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OTTAVA SERIE

AVVERTENZA

l. Il presente volume, primo della serie ottava, comprende il materiale relativo al periodo 15 aprile -31 agosto 1935. Fa quindi diretto seguito all'ultimo della serie settima, che si chiudeva con la conclusione della conferenza di Stresa, e giunge alla fine del secondo quadrimestre del 1935, essendo i volumi di questa serie, per esigenze editoriali, divisi per mesi (quattro o sei a seconda dei casi) e non, come in altre serie, per periodi significativi.

Esso continua pertanto la documentazione concernente la questione etiopica che, sul piano diplomatico, regiskot, in questi mesi, ulteriori sviluppi con i lavori della Commissione di arbitrato e conciliazione, con le discussioni a Ginevra in sede di Società delle Nazioni e, soprattutto, con l'inasprirsi dei rapporti italabritannici, dopo la visita di Eden a Roma il 24 e 25 giugno: il negoziato diretto che si cerca, forse tardivamente, di intraprendere, si risolve in un ulteriore irrigidimento delle due parti sulle proprie posizioni. A questo argomento principale, come già nel precedente volume, si affiancano gli altri temi rilevanti della politica estera italiana del momento, il primo dei quali è costituito dalle intense trattative dirette a creare una rete di solidarietà nel settore danubiano-balcanico a sostegno dell'indipendenza austriaca. Queste trattative non giungono a risultati pratici e ciò accade proprio mentre prende avvio, nel giugno, a Vienna, il negoziato condotto da von Papen per realizzare una «distensione» tra Germania e Austria. Con i contatti stabiliti nell'estate in via informale con Berlino, attraverso il conte Fossombrone, si comincia anche a delineare l'ipotesi di un riavvicinamento itala-tedesco per il caso di complicazioni nei rapporti con la Gran Bretagna. Lentamente maturano, in sostanza, gli elementi che porteranno l'Italia ad assumere una collocazione diversa sul piano della politica europea.

La documentazione in proposito, come quella sulla questione etiopica, è stata selezionata con larghezza data la rilevanza dell'argomento. La sola lacuna degna di nota è quella relativa alla convenzione militare terrestre sottoscritta da Badoglio e Gamelin il 28 giugno. Di essa si ha solo un riassunto del testo fatto da Suvich, con le sue osservazioni (D. 480), e la comunicazione fatta all'Austria (D. 469). Le ricerche effettuate sia presso l'Archivio centrale dello Stato che presso l'Ufficio storico dello Stato Maggiore dell'Esercito non hanno avuto alcun esito. Per essa occorre pertanto riferirsi ai Documents diplomatiques trançais (vol. XI, D. 179), mentre è stato reperito presso l'archivio dell'Ufficio storico dello Stato Maggiore dell'Aeronautica il testo dell'accordo di massima per la cooperazione con la Francia nel settore aereo sottoscritto il 13 maggio (D. 196).

2. I documenti pubblicati provengono dall'Archivio Storico del Ministero degli Esteri e in particolare dai seguenti fondi: Archivio del Gabinetto 1923-1943, serie ordinaria; Archivio degli Affari Politici 1931-1945, nel quale è contenuto anche il fondo di guerra Etiopia, non essendosi proceduto in questa occasione alla istituzione di un ufficio speciale in seno al Gabinetto; Archivio della corrispondenza telegrafica, serie R. e serie P.R., nel quale tuttavia mancano i registri dei telegrammi in arrivo dal Giappone e in partenza per l'U.R.S.S. per l'intero periodo ed il registro dei telegrammi in arrivo dalla Gran Bretagna relativo al periodo 15 luglio-1° settembre 1935. Questi ultimi sono stati suppliti dal fondo dell'Ambasciata di Londra e sono riconoscibili dalla mancanza dell'indicazione del numero di protocollo di arrivo. Le ricerche effettuate in altri archivi, come s'è detto, non hanno avuto esito, mentre le carte di natura strettamente militare reperite intorno alla questione etiopica non sono state incluse nel volume data la loro natura, ad eccezione di due lettere di Mussolini a De Bono. 1937, vol. IV, Gottingen, Vandenhoeck und Ruprecht, 1975) quando si trattava

3. -Dei documenti qui pubblicati avevano visto integralmente la luce in pubblicazioni precedenti solo quelli relativi alla missione Eden a Roma, editi da MARIO TosCANO, Pagine di storia diplomatica contemporanea, vol. II, Milano, Giuffrè, 1963, ed altri quattro documenti editi in PoMPEo ALorsr, Journal (25 juillet 1932 -14 juin 1936), Paris, Plon, 1957, GIANFRANCO BIANCHI, Rivelazioni sul conflitto itala-etiopico, Milano, CEIS, 1967, e in RENZO DE FELICE, Mussolini il duce, vol. I, Gli anni del consenso 1929 -1936, Torino, Einaudi, 1974, mentre qualche brano sparso si trova in RENATO MoRr, Mussolini e la conquista dell'Etiopia, Firenze, Le Monnier, 1978. Naturalmente queste due opere si erano valse della consultazione delle carte qui pubblicate, come era pure accaduto per il volume di LUIGI VrLLARI, Storia diplomatica del conflitto itala-etiopico, Bologna, Zanichelli, 1943, al quale era stato concesso di vedere solo una parte della documentazione sulla questione etiopica selezionata dai funzionari del Ministero. Su tale questione era stata effettuata dall'Istituto per gli Studi di Politica Internazionrule di Milano una corposa pubblicazione di tutto il materiale reso a suo tempo pubblico (Il conflitto itala-etiopico, Documenti, vol. I, Dal trattato di Uccialli al 3 ottobre 1935, Milano, ISPI, 1936). Ad essa si è fatto rinvio in molti casl per non appesantire inutilmente questo volume. La stessa cosa è stata fatta con le parallele collezioni inglese, francese e tedesca (Documents on British Foreign Policy 1919-1939, Second Series, vol. XII, London, Her Majesty's Stationery Office, 1972; vol. XIII, 1973; vol. XIV, 1976; Documents diplomatiques trançais 1932-1939, 1r• série (1932-1935), vol. X, Paris, Imprimerie Nationale, 1981; von XI, 1982; vol. XII, 1984; Akten zur Deutschen Auswiirtigen Politik 1918-1945, Serie C: 1933di documenti già in esse pubblicati. 4. -Alla preparazione di questo volume hanno concorso in particolare il dott. Andrea Edoardo Visone, cui si deve la ricerca archivistica sui fondi principali e la redazione dell'indice sommario, e le dott. Antonella Grossi e Francesca Grispo, le quali, oltre a completare la ricerca estendendola anche agli archivi esterni al Ministero, hanno preparato i documenti per la stampa, predisposto la tavola metodica, le appendici e l'indice dei nomi, e provveduto alla correzione delle bozze. Il più sentito ringraziamento a tutti e il riconoscimento che senza la loro collaborazione precisa. attenta e intelligente il volume non avrebbe potuto essere realizzato.

RENZO DE FELICE PIETRO PASTORELLI


DOCUMENTI
1

1

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2065/82 R. Vienna, 15 aprile 1935, ore 12,50 (per. ore 16,10).

Telegramma di V. E. da Stresa (1).

Ho potuto parlare solo iersera con Berger-Waldenegg, non appena di ritorno dalla Stiria dove si era recato sabato. Egli è partito stamane di buon'ora per Ginevra in aeroplano.

Ministro degli Affari Esteri mi ha fatto subito comprendere una sua maggiore aspettazione per decisione Conferenza Stresa riarmo Stati minori. Avendo io richiamato la sua attenzione sul testo della decisione adottata, che gli ho illustrato, ho potuto comprendere che sua impressione era sopratutto influenzata da una informazione pervenutagli da Stresa e secondo la quale decisione Conferenza circa predetta questione, redatta in un primo tempo in termini generici, approvata prima da Parigi, sarebbe stata modificata all'ultimo momento, in seguito a intromissione di Titulescu.

Berger-Waldenegg mi ha riferito inoltre che elementi nazisti si erano già rivolti all'Ufficio Stampa della Cancelleria per chiedere ironicamente se si era contenti di quanto Stresa aveva creduto implorare per il riarmo dell'Austria. Questa notizia mi è stata confermata anche da altre fonti.

Ad ogni modo Berger-Waldenegg si atterrà, relativamente linguaggio stampa, alle mie raccomandazioni. Egli spera tuttavia ricevere in Ginevra dal nostro delegato ogni più utile e desiderata informazione.

Per quanto riguarda infine tutte le parti rimanenti del comunicato, Bergér-Waldenegg si è mostrato assai soddisfatto.

2

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2073/88 R. Ankara, 15 aprile 1935, ore 13,30 (per. ore 17,30).

Telegrammi di V. E. n. 6 (2) e n. 9 (l) da Stresa in data 14 corrente. E' da ritenere che Turchia sarà ora rafforzata nel suo costante desiderio liberarsi da zona demilitarizzata Stretti.

Se V. E. stimerà inevitabile, come io lo credo da qui, che accordandosi diritto riarmo a Bulgaria Austria Ungheria, anche Turchia (malgrado trattisi per essa di convenzione negoziata e non imposta) abbia a finire per ottenere quanto desidera, mi permetterei suggerire di appoggiare noi per i primi tale risultato futuro inquadrando la eventuale concessione nel nuovo aspetto dei rapporti medesimi specie in relazione alla ventilata alleanza militare.

Richiamo telegramma Lojacono n. 26 del 24 marzo 1933 (l) e mio telegramma n. 50 del 19 marzo scorso con precedenti (2). Gradirei ad ogni modo essere informato se Aras riporrà tale questione a Ginevra.

(l) -Vedi serie settima, vol. XVI, D. 922, nota l p. 983. (2) -Non pubblicato.
3

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2075/42 R. Sofia, 15 aprile 1935, ore 19 (per. ore 24).

Telegrammi di V. E. nn. 6 e 9 da Stresa (3).

Ho veduto stamane Ministro Affari Esteri che aveva ricevuto nella nottata telegramma direttogli da V. E. e nel ripetergli testo del Comunicato gli ho fatto comunicazione confidenziale di cui al telegramma n. 6. Signor Batolov mi ha pregato ringraziare vivamente V.E.

Nel corso del colloquio egli ha rilevato che, mentre comunicato ufficiale parla genericamente di «Stati interessati » al riarmo della Bulgaria, Ungheria ed Austria, nella comunicazione aggiuntiva che ho avuto l'incarico di fargli si fa precisa menzione degli Stati delle Intese Piccola e Balcanica e mi ha pregato di volergli possibilmente chiarire se Governo turco, che non può considerarsi «Stato interessato » dal punto di vista giuridico contrattuale, prenderà [parte] ai negoziati.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2071/68 R. Ginevra, 15 aprile 1935, ore 22,45 (per. ore 1,30 del 16).

È venuto Stein mandato da Litvinov. Ha chiesto di Stresa e specialmente del Patto orientale, ma movente della visita si è rivelata la preoccupazione russa di un nostro riavvicinamento alla Polonia a danno dei rapporti italo-russi.

Gli ho risposto che buoni rapporti itala-polacchi non dovevano necessariamente importare meno buoni rapporti italo-russi, tanto più che atteggiamento italiano di fronte a Patto orientale, che non ci tocca direttamente, era immutato e che azione italiana in Polonia era rivolta unico scopo. fare rientrare Polonia nell'orbita della solidarietà internazionale (l).

(l) -Vedi serle settima, vol. XIII, D. 281. (2) -Con T. 1416/50 R. del 19 marzo 1935, ore 20,55, Galli aveva riferito su un colloquio con Aras, riguardante il r1armo di Austria, Ungheria, Bulgaria e l'abollzione delle zone demilltarizzate degli Stretti. (3) -Il primo dei teleg.rammi citati non è stato pubblicato, per H secondo vedi serie settima, vol. XVI, D. 922, nota l p. 983.
5

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI

T. 3344/42 P. R. Roma, 15 aprile 1935, ore 24.

Suo 53 (2).

Ho pregato Barone Aloisi far sapere a Beck che approfitterò con molto piacere occasione vederlo in Italia suo ritorno da Ginevra, con riserva precisare data e luogo incontro quando Beck avrà fatto conoscere programma suo soggiorno in Italia.

6

IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 2082/38 R. Tirana, 15 aprile 1935, ore 24 (per. ore 10 del 16).

Mio telegramma n. 35 (3). Il Re ha voluto vedermi oggi per farmi una serie di comunicazioni sopra alcune delle quali riferisco a parte (4).

Per la questione delle scuole cattoliche mi ha dichiarato che, mentre teneva a confermarmi formalmente che il provvedimento della loro chiusura fu a suo tempo motivato unicamente da ragioni di opportunità nazionale e che dallo stesso esula ogni e qualunque considerazione a noi sfavorevole, aveva stabilito, unicamente per dimostrare la sua deferenza nei riguardi di un desiderio manifestato da S. E. il Capo del Governo, di dare alla questione la soluzione da noi proposta (telespresso di V. E. n. 208661/151) (5).

Dopo qualche resistenza, anche la questione delle scuole elementari è stata superata, in quanto il Re ha concluso che, dal momento che si tratta di istituti che vengono designati come seminari e noviziati, non è il caso d'indagare particolarmente la denominazione degli stadi successivi dell'insegnamento. È stato convenuto di concretare ulteriormente le modalità di esecuzione dell'intesa

finale raggiunta. Il Re [ha deciso] allo stesso tempo di evitare per ora pubblicità della cosa in ispecie negli ambienti interessati.

Il Sovrano mi ha inoltre confermato il suo accordo, in conformità del nostro punto di vista, sopra le due altre questioni, contemplate nel telespresso sopra citato, éhe erano già state oggetto di precedenti colloqui: organizzazione militare e questione scambi commerciali, raccomandando per quest'ultima una sollecita entrata in azione dell'organo progettato per accentrarli e facilitarli.

(l) -Ritrasmesso con T. per corriere 725/C. R. del 19 aprile 1935 a Mosca, Varsavia, Londra, Parigi, Berlino e Bruxelles. (2) -Cfr. serie settima, vol. XVI, D. 920, nota l. (3) -Con T. r. 1941/35 R. dell'B aprile 1935, ore 20,35, Indelli comunicava di aver appresoda fonte confidenziale la disposizione di Re Zog a r~solvere il problema delle scuole cattoliche conformemente al punto di vista italiano. (4) -Vedi DD. 11, 16 e 17. (5) -Con il telespr. 208661/151 del 18 marzo 1935 Suvich trasmetteva una relazione rimessagli da Buti (vedi serie sett,ima, vol. XVI, D. 699) ed approvata da Mussolini contenente le direttive di massima circa le principali questioni pendenti con l'Albania.
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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2102/043 R. Vienna, 15 aprile 1935 (per. il 17).

Telegramma di V. E. n. 9 da Stresa (l).

In assenza del Ministro degli Esteri, ho fatto oggi al Cancelliere la comunicazione indicatami. Egli ne ha preso atto ringraziando ed aggiungendo di avere ricevuto poco prima la comunicazione direttagli da S. E. il Capo del Governo, quale Presidente della conferenza di Stresa, riproducendo il testo di quella parte del comunicato conclusivo, relativa al riarmo degli Stati minori.

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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2103/044 R. Vienna, 15 aprile 1935 (per. il 17).

Telegramma di V. E. da Stresa n. 11 (2).

Ho chiesto oggi al Cancelliere se gli risultava la esistenza di contatti fra lo Stato Maggiore delle forze federali di Innsbruck e lo Stato Maggiore delle forze germaniche di Monaco.

Cancelliere mi ha subito risposto che non poteva assolutamente riferirsi ai tempi recenti. Ha aggiunto che, nel passato, detti contatti avevano certamente avuto luogo, ma allora le relazioni fra l'Austria e la Germania erano pure tanto diverse dalle attuali. D'altronde egli ricordava benissimo un severo ordine dato parecchio tempo fa dal generale Zehner, Segretario di Stato alla Difesa Nazionale (Ministero di cui Schuschnigg è titolare), interdicente in modo assoluto ogni relazione del genere di cui trattavasi. Inoltre egli conosceva personalmente il Comandante della brigata di Innsbruck, Generale Harhammer, persona a lui amicissima, animata da schietti sentimenti antinazisti. (Questa dichiarazione corrisponde alle mie informazioni di cui al mio teleposta n. 676 del 25 marzo scorso) (3). Conosceva, del pari personalmente, il Capo di Stato Maggiore di detta brigata, Colonnello Sporgeli, di origine croata, ma di sentimenti ineccepibili (il nome di detto ufficiale non corrisponde peraltro a quello

indicato dal R. Console Generale in Innsbruck nel suo rapporto n. 150 {l) quale titolare di detta carica). Non conosceva altri ufficiali di Stato Maggiore della suddetta brigata; ma avrebbe fatto senz'altro le più approfondite indagini in merito, riferendomene il risultato.

Cancelliere ha poscia rilevato che, a seguito della grande epurazione, avvenuta nel corpo degli ufficiali, era piuttosto da escludersi che potesse procedersi ad una qualche azione sporadica dettata da sentimenti nazisti, eventualmente intrattenuti da taluni ufficiali. Ho osservato che egli emetteva un giudizio troppo ottimistico, alcune tendenze esistenti nell'esercito, e negli stessi uffici dirigenti del Ministero della Difesa Nazionale, essendo di notorietà pubblica, tanto che il Governo nei mesi scorsi aveva proceduto a determinate misure a lui note. Cancelliere mi ha replicato che nei casi cui accennavo non trattavasi tanto di nazismo, quanto di tendenze «nazionali» o « pangcrmaniste » (al riguardo mi richiamo al mio teleposta n. 790 del 3 corr.) (l); ma che comunqùe, nel momento attuale egli nutriva effettivamcnt:> l)ll c.tt'mistico pensiero circa lo stato d'animo degli ufficiali, sebbene altrettanto non poteva dirsi degìi ufficiali in congedo, nei cui riguardi il Governo aveva pure cercato recentemente di prendere opportune misure (possibilità agli ufficiali del cessato esercito imperiale, aventi grado non superiore a quello di capitano, di prendere parte alle prossime manovre primaverili).

Cancelliere mi ha inoltre detto, in una spontanea apertura di cui si è però evidentemente ripreso, «che le informazioni da me riferitegli mal si conciliavano con il piano di difesa (contro la Germania) che era stato qui ultimato ». (Tale apertura è da mettere in relazione con quanto dettomi da Berger circa la necessità di addivenire ad accordi militari con l'Italia e la Jugoslavia; mio telegramma riservatissimo per corriere n. 042 del 10 ·corr.) (2).

Cancelliere mi ha infine ripetuto che avrebbe immediatamente proceduto alle indagini del caso, informandomi tosto dei risultati. Intanto poteva dirmi che il mio collega di Germania, pochi giorni fa, si era vivacemente !agnato seco lui per il fatto che l'attuale Governo aveva messo fine puranco a quelle relazioni di cameratismo, che erano state contratte, sui campi di battaglia, dai due eserciti alleati. Egli gli aveva risposto adeguatamente: ma la lagnanza del von Papen poteva acquistare un valore indicativo circa le relazioni attuali intercedenti fra gli ufficiali dei due Paesi.

(l) -Vedi serie settima, vol. XVI, D. 922, nota l p. 983. (2) -T. 4832/11 P.G. del 14 apl'i!e 1935, ore 13,30, non pubbl!cato. (3) -Non pubblicato.
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L'INCARICATO D'AFFARI A PRAGA, GUIDOTTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2169/049 R. Praga, 15 aprile 1935 (per. il 20).

Telegramma di V. E. n. 9 da Stresa (3).

Ho fatto a Krofta la comunicazione ufficiale di cui al telegramma surriferito.

Egli ne ha preso atto e mi ha detto che Benes aveva appreso con soddi.sfazione dal telegramma di S. E. il Capo del Governo la formula concordata a Stresa nella questione del riarmo degli Stati minori.

Questo incaricato d'affari di Francia aveva già fatto il giorno prima una comunicazione analoga a questo Governo. La Legazione britannica, che ho messo subito al corrente del mio passo, non aveva ancora ricevuto istruzioni in proposito.

(l) -Non pubblicato. (2) -VecU serie settima, vol. XVI, D. 897. (3) -Ibid., D. 922, nota l p. 983.
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IL MINISTRO A GEDDA, PERSICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 216/90. Gedda, 15 aprile 1935 (per. il 2 maggio).

Ho l'onore di riferire a V. E. sulla azione da me svolta in occasione dell'arrivo della missione etiopica nell'Hedjaz, seguendo le direttive del telegramma n. 22 del 30 marzo u.s. (l) ; azione di cui non nascondo le difficoltà incontrate.

Fin dall'arrivo della predetta m1sswne in Hodeida, cercai di raccogliere informazioni sull'attività che l'Etiopia svolgeva nell'Hedjaz, come preludio all'arrivo della missione.

Mi risultò che era giunto a Gedda certo Mohammed Nur El Azhari, il quale erasi recato prima a Medina e poi alla Mecca nel periodo del pellegrinaggio ed aveva svolto in quelle località attiva propaganda anti italiana a favore dell'Etiopia.

Prima del telegramma n. 22 di V. E. non mi erano chiari gli scopi che la missione etiopica si prefiggeva nel suo viaggio nell'Hedjaz, tanto più che questo Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri mi assicurava che il Governo Saudiano non conosceva ancora il programma e gli intendimenti della missione predetta.

Nei primi colloqui che io ebbi con S. E. Fuad Hamza non credetti opportuno di prendere subito posizione e di entrare nell'argomento dell'eventualità di un trattato di amicizia saudo-etiopica; ma mi tenni sulle generali, mostrando nel tempo stesso il mio vivo interesse per la visita stessa ed illustrando la situazione dei musulmani in Etiopia.

Il riserbo di questo Sottosegretario nella prima fase dei miei colloqui, la propaganda che il Mohammed Nur El Azhari andava svolgendo alla Mecca soprattutto nel ceto dei notabili, la simpatia che alcuni elementi dell'Hedjaz manifestavano per l'Etiopia, destavano in me qualche apprensione. Tale apprensione era aumentata dal fatto che io non sapevo fino a qual punto il Governo saudiano si fosse impegnato con la precedente missione etiopica giunta nell'estate dello scorso anno a Gedda, la quale -analogamente a quan

(A) Vedi serie settima, vol. XVI, D. 828.

to richiese all'Imam -fece delle proposte a Ibn Saud per la conclusione di un trattato di amicizia.

In un altro colloquio che ebbi con S. E. Fuad Hamza in un pranzo che gli offrii alla Legazione, continuai a intrattenerlo sulla questione e soprattutto sulla propaganda filo-musulmana che l'Etiopia andava svolgendo, cercando di illustrargli il vero aspetto e le origini del conflitto itala-etiopico. Da questi colloqui ebbi però l'impressione che una mia azione presso il Sottosegretario saudiano non avrebbe avuto effetti immediati per chiarire la situazione e per fissare in termini precisi e ben determinati l'attitudine della Saudia. Ritenni invece non opportuno ma necessario di agire direttamente e decisamente su Sua Maestà Ibn Saud e prima che giungesse la missione a Gedda di preparare il terreno al fine di impedire la conclusione di quel trattato che, nel momento attuale, avrebbe costituito un danno per la nostra politica nel Mar Rosso.

Nella udienza concessami il 31 marzo u.s. alla quale era presente anche il Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri, io esposi francamente la situazione a Sua Maestà, non gli nascosi le mie preoccupazioni personali sulla azione che qui intendeva svolgere la missione etiopica e feci appello alla Sua lealtà ed ai sentimenti di amicizia che Egli aveva sempre professato per l'Italia.

Che impressione -io dissi tra l'altro -farà al Capo del mio Governo che ha per Vostra Maestà ammirazione ed amicizia, la conclusione di un trattato saudo-etiopico nel momento in cui i rapporti tra Italia e Etiopia sono tesi? Non si presterebbe quest'atto ad interpretazioni e commenti?

Ibn Sand ascoltò con molta attenzione la mia esposizione e dopo aver espresso la Sua soddisfazione per il telegramma pervenutogli da V. E. (l) in occasione dell'attentato, con tono pacato e misurando le parole, mi disse:

«Né io, né il mio Paese commetteremo alcun atto ostile verso ntalia che è nostra amica e con la quale vogliamo sviluppare i nostri rapporti amichevoli. Ho sempre detto ai suoi predecessori che gli altri usano frasi evasive e a doppio senso. Io sono stato sempre franco e leale e l'avvenire confermerà le mie parole» (conf. mio telegramma n. 22 del 31 marzo u.s.) (2).

Così si conchiuse la mia udienza al Palazzo di Gasser Chzam durata circa un'ora, in cui ancora una volta ebbi occasione di apprezzare l'equilibrio, il buon senso, la lealtà del Re wahabita. Dopo l'udienza diventai ottimista sull'esito della mia azione. Questo ottimismo non fu di lunga durata, perché il 4 aprile, nella conversazione che ebbi con questo Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri, mi resi conto che l'atmosfera limpida che fino allora vi era stata nei miei rapporti col Governo saudiano si era oscurata improvvisamente. Le diffidenze e le preoccupazioni del Governo saudiano sulle pretese nostre relazioni con il figlio dell'Imam Yahia, ancora una volta, come nello scorso anno durante il conflitto saudo-yemenita, entravano in gioco e minacciavano di distruggere tutto il lavoro che pazientemente avevo svolto per impedire la conclusione di un trattato tra Saudia e Etiopia. Nella convinzione che fosse necessario da parte nostra rispondere all'attitudine leale ed amichevole di Sua

Maestà Ibn Saud con un atto altrettanto leale ed amichevole, inviai a V. E. il mio telegramma n. 25 del 4 aprile u.s. (1).

Non appena pervenutomi il telegramma di V. E. n. 25 del 7 aprile u.s. (2) inviai persona di mia fiducia alla Mecca presso S. E. Fuad Hamza per comunicargli le assicurazioni contenute nel telegramma stesso. Tali assicurazioni di V. E. ottennero l'effetto il più benefico e valsero a chiarire di nuovo completamente l'atmosfera.

Ma chi fu che cercò di turbare il corso delle conversazioni che si svolgevano in piena armonia tra me e questo Governo, con insinuazioni sulla attitudine della nostra politica in Arabia? Forse l'Imam Yahia che inviò -da quanto mi risulta -in quei giorni vari telegrammi a Ibn Saud? Forse il Ministro britannico a Gedda? Ad ogni modo questa contro azione, da qualunque parte essa pervenne, non ebbe alcun esito, poiché -ripeto -essa fu completamente smontata dalla dichiarazione sollecita, chiara e leale di V. E.

Nello stesso momento in cui comunicavo alla Mecca il contenuto del predetto telegramma di V. E. sbarcava a Gedda dal piroscafo « El Fath » la missione etiopica. Essa era composta da S. E. Sehafi Tezzaz ueld Mescal, ex Ministro dell'Impero etiopico, da Massò, Console d'Abissinia a Gibuti, dallo Sceicco Ahmed Effendi Dauaheri, funzionario delle dogane etiopiche e dal signor Mensis, segretario deìla missione. Alla banchina la missione fu ricevuta senza speciali onori da tre funzionari saudiani e diventò ospite del Re Ibn Saud.

La missione fece visita il giorno dopo all'Emiro di Gedda.

Il 10 aprile (mio telegramma n. 29 dell'll apri·le) (3) la missione si recò all'accampamento di Scemesi, località distante circa venti chilometri dalla Mecca dove fu ricevuta da Sua Maestà Ibn Saud e dal suo seguito.

S. E. Sehafi Tezzaz consegnò a Sua Maestà una lettera autografa dell'Imperatore di Etiopia e vari doni ed un progetto di trattato di amicizia e di commercio. Da quanto ho potuto sapere nella lettera dell'Imperatore vi erano anche degli accenni al conflitto tra Italia e Etiopia.

L'Il aprile ebbi un colloquio con S. E. Fuad Hamza, il quale mi pregò di ringraziare V. E. per le comunicazioni fattegli, mi parlò del viaggio del Principe Ereditario in Europa, della offerta di questo Ministro britannico di una nave da guerra per trasportare il Principe Ereditario fino a Suez, del vivo desiderio di Sua Maestà che la visita del Principe si iniziasse a Roma. Infine S. E. Fuad Hamza mi assicurò che egli era stato a Scemesi «il custode dell'amicizia italo-saudiana » e confidenzialmente mi comunicò quanto

lO

ebbi a telegrafare a V. E. con mio telegramma n. 29 dell'll aprile u.s. sulle intenzioni di Sua Maestà Ibn Saud di non compromettere detta amicizia con un atto che poteva essere interpretato in senso non favorevole, da parte dell'Italia.

Il 14 aprile Jussuf Jassim, capo della sezione politica di Ibn Saud, per incarico del Suo Sovrano mi comunicò l'insuccesso della missione etiopica, nei termini riferiti a V. E. con mio telegramma n. 33 (1).

La missione è partita oggi col piroscafo della «Kedivial » diretta a Suez.

Nella visita della predetta missione nell'Hedjaz, finita con un completo fallimento, malgrado il lavorio degli agenti etiopici, sono stati posti alla prova i sentimenti di amicizia e la lealtà di Ibn Saud nei nostri riguardi.

L'atteggiamento del Re wahabita in questa occasione, merita di essere tenuto nella maggiore considerazione, in relazione alla nostra politica nel Mar Rosso ed ai suoi possibili sviluppi (2).

(l) -Vedi serie settima, vol. XVI, D. 754, nota 2. (2) -Ibid., D. 839. (l) -Con T. 1829/25 R. del 4 aprile 1935, ore 22, Persieo aveva riferito: «Sottosegreta·rio di Stato per gl[ Affari Ester! mi ha detto che recentemente si è aggravato il dissidio tra Imam Yahia, che intende osservare lealmente Trattato saudo-yemenita, e suo figlio Ahmed ostile a Ibn Saud. Ahmed lascia credere di aver concluso un accordo con l'Italia per agire contro Imam. Questo Governo vuole conoscere quale sarà l'attitudine dell'Italia in caso d! ro-ocura tra Imam ed il figlio e se vi sono veramente relazioni segrete tra ! nostri agenti e Ahmed. Dalla risposta dell'Italia. ha aggiunto il Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri, Governo di Ibn Saud regolerà sua politica». (2) -Con T. uu. 631/25 R. del 6 aprile 1935 Suvich aveva risposto: «V. S. può assicurare Governo saudiano nel modo più formale che informazioni accennatele da Fuad Hamza sono completamente destituite di fondamento. R. Governo mantiene come noto amichevoli relazioni con Imam, ma si è sempre rigorosamente astenuto dall'intervenire negli affari interni dello Yemen, né intende mutare tale linea di condotta». (3) -Non pubblicato.
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IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 2088/39 R. Tirana, 16 aprile 1935, ore 0,25 (per. ore 11,30).

Il Re mi ha parlato stamane a lungo di un argomento che so stargli effettivamente e personalmente a cuore: quelio della emigrazione forzata e crescente dei mussulmani del Kossovo verso la Turchia.

Egli vorrebbe provvedere a dirigere, per quanto è possibile, questo esodo verso l'Albania ed a collocare qui questi elementi albanesi, ripromettendosi di farlo nel modo il più segreto per non destare sospetti presso jugoslavi e turchi. Anche in precedenti occasioni il Sovrano mi aveva fatto cenno della questione per la quale mi dice di aver in principio direttamente sollecitato per iscritto l'interessamento di S. E. il Capo del Governo, avendone promessa di appoggio. Chiede, ora, per potere svolgere il suo programma, un aiuto finaziario che egli concreta nella richiesta di un credito per un milione di franchi. Egli mi ha detto che personalmente considererebbe tale speciale aiuto per questa urgente contingenza di valore morale superiore a qualunque altro possa venirgli concesso.

Data la mentalità di Re Zog, la cosa è possibile e ritengo ad ogni modo la sua richiesta meritevole di essere raccomandata alla benevola considerazione di S. E. il Capo del Governo oltre tutto come la forma più opportuna per costituire un legame personale con il Sovrano.

Sarei grato a V. E. di telegrafarmi istruzioni per la risposta che il Re desidererebbe avere quanto prima possibile (3).

(l) -Vedi serie settima, vol. XVI, D. 918. (2) -Il presente documento rec,a il visto di Mussolinl. (3) -Vedi D. 29.
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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2077/69 R. Ginevra, 16 aprile 1935, ore 1,20 (per. ore 5,45).

Mentre mi riservo riferire dettagliatamente per corriere circa discussione svoltasi odierna seduta privata Consiglio su ricorso etiopico, mi affretto comunicare che Consiglio non senza qualche tentennamento ha adottato in pieno nostra tesi non iscrivendo ricorso etiopico ordine del giorno presente sessione.

Malgrado insistenze, non ho preso il benché minimo impegno circa condizioni o termini alla procedura di conciliazione e arbitrato prevista dall'articolo 5; e non ho neppure risposto alle ripetute domande abissine affinché dessi qualche affidamento circa sospensione misure militari.

È particolarmente significativo intervento di Simon il quale ha dichiarato che, pur rendendosi conto inopportunità iscrivere ricorso etiopico ordine del giorno presente sessione, riteneva conveniente che Consiglio invitasse le Parti in causa ad impegnarsi alla nomina degli arbitri primo della sessione di maggio del Consiglio.

Mi sono limitato a replicare al Delegato inglese di aver gìà dichiarato che Governo italiano intendeva fare da parte sua il possibile a che procedura di conciliazione ed arbitrato avesse rapido corso, confidando che il Governo etiopico facesse altrettanto.

Lavai, Madariaga e Villegas, con i quali avevo previamente preso opportune intese, hanno appoggiato punto di vista italiano.

Dopo la seduta, Simon si è recato da Avenol e lo ha pregato di farmi sapere che riteneva opportuno, onde evitare impressione secondo lui sfavorevole che decisione Consiglio avrebbe avuto sull'opinione pubblica, di procedere ad una riunione privata presso Segretario Generale con intervento delle due Parti, dei Delegati britannico e francese nonché del Presidente del Consiglio, per discutere modalità applicazione procedura di conciliazione e arbitrato.

All'inusitata proposta britannica ho fatto rispondere che non avevo da parte mia nulla da aggiungere alle dichiarazioni fatte, né tanto meno alle decisioni adottate in Consiglio, ma che ad ogni modo ne avrei riferito a V. E.

Dal subdolo intervento britannico, inaspettato all'indomani della Conferenza di Stresa, V. E. potrà dedurre quali ostacoli noi troveremo a Ginevra nella prossima sessione di maggio per evitare una discussione di merito.

Sono d'avviso quindi che si debba tempestivamente, prima cioè della sessione stessa, dare almeno una soddisfazione di forma, perché non nascondo all'E. V. che l'opinione di vari delegati non c'è favorevole, ed oggi meno di ieri, dopo l'intervento britannico.

Quanto più decisione odierna è stata a noi favorevole tanto più è da [attendersi] che sarà assai difficile evitare a maggio una discussione di merito se non verranno almeno previamente comunicati i nomi dei due arbitri italiani.

13

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2080/71 R. Ginevra, 16 aprile 1935, ore 6,15 (per. ore 7,45).

Visto vari delegati Potenze minori tutti per diverse ragioni sbandati in seguito comunicato finale Conferenza Stresa (l).

Tewfik parlatomi indignazione Titulescu contro l'art. 6 del comunicato concernente Stati disarmati, per essere stato riservato alla esclusiva decisione Potenze maggiori convenute Stresa questo problema che tocca direttamente interessi Piccola Intesa.

I tre Ministri della Piccola Intesa erano convinti che Stati disarmati non avrebbero potuto mancare di sottoporre problema a trattative dirette con gli Stati interessati della Piccola Intesa.

Tewfik mostrato sua irritazione personale non esser minore di quella da lui attribuita a Titulescu, per non aver Stresa compreso problema Stretti nella risoluzione concernente riarmo Stati totalmente o parzialmente demilitarizzati dai trattati di pace. Dichiaratomi sua intenzione fissare a Simon seguente dilemma: o Inghilterra e Russia concederanno adeguate garanzie ovvero Turchia procederà riarmamento zone demilitarizzate Stretti.

Ministro degli Affari Esteri danese reduce convegno Copenaghen parlatomi atteggiamento Stati scandinavi. Convegno Copenaghen non ha potuto portare a decisioni concrete in pendenza convegno Stresa. Tuttavia rivelatosi pieno accordo tre Stati scandinavi sulla impossibilità di accedere a una qualsiasi forma di aperta condanna dell'operato della Germania. Stati scandinavi disposti associarsi eventuale solenne riaffermazione intangibilità trattati nonché aderire commissione straordinaria designata a studiare mezzi di repressione per casi futuri di rigetto unilaterale di trattati, ma trovansi in condizione non potere assolutamente andare oltre tali limiti.

Nel pomeriggio ho cercato di controllare presso Lavai tali risultati delle conversazioni del mattino.

Ho trovato Lavai preoccupatissimo atteggiamento Piccola Intesa al punto da aver riconosciuto necessità diramare stampa comunicato (che telegrafo a parte) nel quale egli ha cercato dare all'art. 6 del comunicato di Stresa una interpretazione atta a placare allarme Piccola Intesa.

Ha aggiunto che anche Polonia assunto atteggiamento estrema intransigenza contro proposta condannare operato della Germania, adducendo ragione trovarsi impossibilità condannare rigetto unllaterale trattati dato che essa stessa ne aveva dato esempio scorso anno con rigetto trattato minoranze.

Domani vedrò Beck e mi riservo fargli osservare che il caso Polonia è completamente differente e che condanna prevista a Stresa, come risulta dal comunicato (ultimo alinea dichiarazione finale), si rivolge esclusivamente a quei ripudi unilaterali suscettibili me:ttere in pericolo pace. Non essendo evidentemente tale il caso del rigetto del trattato delle minoranze, una persi

stente intransigenza della Polonia nel caso attuale potrebbe essere interpretata come il sintomo di tale intima unione con Germania che probabilmente non è nelle intenzioni del Governo polacco.

Concludendo, la prevista opposizione delle piccole potenze si annunz'a vasta ed energica.

Dato che centro ne è la Piccola Intesa il giuoco delle rivalità po'itiche personali vi ha grande importanza. Come sempre il più velenoso è Titulpscu. Ho notato infatti una grave differenza fra l'atteggiamento del Tewfik a Milano (l) e quello di stamane, dopo aver subito l'influenza del rumeno. Così pure ho avuto nuova conferma della differenza che intercede fra Benes e ,loro.

(l) Vedi serle settima, vol. XVI, D. 922.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T..../74 (2). Ginevra, 16 aprile 1935, ore 13,40.

In conformità alla decisione presa alla Conferenza di Stresa nella seduta pomeridiana del 13 corrente, i giuristi delle tre Delegazioni si sono riuniti per esaminare il progetto preparato da Sir William Malkin per la nota collettiva da presentarsi a Kaunas. In seguito a discussione ed a notevoli ritocchi, lo schema .della nota è stato concordato come segue:

«Les représentants de l'Italie, de la France et du Royaume-Uni ont examiné, au cours de leur réunion à Stresa, la situation existant à Memel qui est pour eux une cause de sérieuses préoccupations. Ils ont en particulier examiné l'exposé présenté le 5 avril 1935 par le Ministre des Affaires Etrangères de Lithuanie aux représentants des trois Puissances à Kaunas en réponse aux communications simultanées faites auparavant aux Ministres de Lithuanie à Rome, à Paris et à Londres.

Les trois Gouvernements n'estiment pas nécessaire d'entrer dans une discussion détaillée des points mentionnés dans l'exposé du 5 avril. Leur situation est celle de signataires du Traité par lequel la souveraineté sur le territoire de Memel a été transférée à la Lithuanie et qui a arreté le Statut de ce territoire; c'est à la fois leur droit et leur devoir de veiller à ce que les diSP9sitions de ce Statut soient dument observées.

La base du système de gouvernement établie par ce Statut est l'existance et le fonctionnement régulier d'une Chambre des Représentants et d'un Directoire possédant la confiance de la Chambre. Or, la situation actuelle est qu'il n'existe pas de Directoire remplissant cette condition et que la Chambre n'a pas été réunie depuis plusieurs mois. Les trois Gouvernement ne peuvent pas envisager le maintien de cette situation sans graves préoccupations et ils doivent demander au Gouvernement lithuanien d'y mettre fin promptement en assurant la constitution d'un Directoire ayant la confiance de la Chambre

et la réunion prochaine de celle-ci. Ils reconnaissent d'ailleurs que le Gouvernement lithuanien a rencontré certaines difficultés pour la constitution d'un semblable Directoire, et ils rappellent que l'esprit de modération et de loyalisme est une condition du bon fonctionnement, dans le cadre de la souveraineté de la Lithuanie, du régime d'autonomie établie pour le Territoire de Memel.

A défaut de retour à une situation qu'ils puissent considérer comme normale aux dispositions du Statut, les trois Gouvernements seront conduits à porter l'affaire devant le Conseil de la Société des Nations, conformément à l'art. 17 de la convention de 1924. Accueillant avec satisfaction la déclaration faite à la fin de la communication du 5 avril par laquelle le Gouvernement lithuanien énonce sa détermination d'apporter tous ses efforts à réaliser leur désir touchant la collaboration du Directoire avec la Chambre des Représentants, les trois Gouvernements espèrent que la nécessité ne se présentera pas pour eux de recourir à cette procédure ».

Prego V. E. di volermi telegrafare se V. E. mi autorizza comunicare ai rappresentanti degli altri due Governi Sua approvazione di tale schema (1).

(l) -Vedi D. 68, Allegato. (2) -Il numero di protocollo è incompleto non essendo stato rinvenuto l'originale del documento. Si pubblica la minuta in partenza conservata nelle carte di gabinetto.
15

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2087/54 R. Belgrado, 16 aprile 1935, ore 14,25 (per. ore 16,40).

Ho eseguito comunicazione prescritta (2) mediante lettera consegnata a questo Ministro degli Affari Esteri. Ministro di Francia eseguitala verbalmente. Ministro d'Inghilterra non ha fino a questo momento ricevuto istruzioni.

Riferisco a mezzo corriere prime impressioni questo Governo circa riarmo Stati minori (3).

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IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3558/40 P. R. Tirana, 16 aprile 1935, ore 14,45 (per. ore 23).

Mio telegramma n. 36 e n. 38 (4).

Ho comunicato al Re che R. Governo era disposto, nei limiti e nelle forme indicatemi, a concedere anche il suo appoggio finanziario per l'impianto del monopolio di Stato per i tabacchi, a condizione che vengano previamente risolte le questioni A.I.P.A.

6 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. I

Come prevedevo le questioni A.I.P.A. hanno dato occasione al sovrano di parlarmi dello sperato prestito per il miglioramento dell'economia nazionale albanese. Molto più che rompendo le trattative cogli jugoslavi, secondo mi ha riservatamente assicurato il Re, il Governo albanese verrebbe a perdere le seguenti partite: un prestito di tre milioni allo Stato, un milione alla Stamles per acquisto tabacchi, e finalmente impegno acquistare almeno sei milioni in caso di emissione buoni del Tesoro. Quest'ultimo punto, peraltro, non sarebbe ancora completamente concordato. Il Re mi ha testualmente detto: queste sono le uniche trattative che ho avuto e che ho con la Jugoslavia. Mi ha fatto comprendere di ritenere che tutti questi milioni non possono essere effettivamente di provenienza jugoslava. Accertamenti in proposito, possibili forse a Belgrado, sono ad ogni modo qui molto difficili a realizzare.

In conclusione, il Re, in considerazione del nostro aiuto, farà cadere i negoziati cogli jugoslavi e si dispone a risolvere le questioni A.I.P.A., ad eccezione per il momento della concessione ex inglese di Patos, dato che inglesi gli avrebbero fatto nuove proposte e premure proprio in questi giorni. Egli conta peraltro porre loro condizioni inaccettabili.

Complessivamente ho l'impressione che realizzazione definitiva di questa, come di altre questioni, dipenda da concessione prestito economico, di cui riferirò a parte Cl).

(l) -Non è stata rinvenuta risposta. (2) -Vedi serle settima, vol. XVI, D. 922, nota l p. 983. (3) -Si tratta probabilmente del TT. posta 1574/550 e 1649/567, rispettivamente del 16 e 20 aprile 1935, non rinvenuti. (4) -T. 3263/36 P.R. del 9 aprile 1935, ore 13,20, relativo alle questioni degli aiuti !lnanziarl e del monopoldo del tabacchi. Per il T. 2082/38 R. vedi D. 6.
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IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3561/41 P. R. Tirana, 16 aprile 1935, ore 14,25 (per. ore 21,45).

A conclusione delle comunicazioni fattemi, che ho riassunto nei miei telegrammi nn. 38, 39 e 40 (2), il Re mi ha parlato delle tre questioni finanziarie, sulle quali ho riferito al R. Ministero nel novembre u.s. (3): prestito economico, contributo deficit bilancio, S.V.E.A. Sulle prime due il Sovrano mi ha pregato di dargli una risposta ferma e precisa anche circa l'ammontare eventuale, i cui limiti lascia al R. Governo di fissare. L'esercizio finanziario si inizia in condizioni deplorevoli, rese ancora più gravi dalle difficoltà dei traffici del Paese. Il Re vorrebbe essere subito rassicurato che non sarà abbandonato nelle difficoltà e stesso tempo liquidare fin da ora le ultime questioni importanti che mancano per raggiungere l'accordo generale, almeno nella· parte essenziale.

Per il prestito aveva originariamente ritenuto di !asciarlo sui proventi dell'A.I.P.A., non tanto perché si faccia illusioni sulla portata degli stessi, quanto per dare struttura economica all'atto. Ad ogni modo sarà possibile di ricercare, pur nel campo limitato che offre il Paese, delle contropartite. Ho insistito per l'urgenza di una risposta.

Per la S.V.E.A. mi ha nuovamente parlato di una moratoria e ad ogni modo dell'opportunità di una pronta soluzione anche di questo argomento. A mia richiesta ha infine assicurato che l'attuale bilancio contemplerà come il decorso, l'iscrizione di una somma per la S.V.E.A.

Debbo ora pregare V. E. di impartirmi telegrafiche istruzioni, dato che sembra ormai raggiunto il punto critico per il grosso della sistemazione cui tendevano i negoziati finora condotti (1).

(l) -Vedi D. 17. (2) -Vedi DD. 6, 11 e 16. (3) -Vedi serle settima, vol. XVI, D. 109.
18

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2094/149 R. Washington, 16 aprile 1935, ore 17,30 (per. ore 4 del 17).

Dai telegrammi di questo corrispondente Stefani V. E. avrà rilevato che apprezzamento della stampa americana sui risultati della conferenza Stresa variano notevolmente.

Alcuni giornali (come New York Herald Tribune e Baltimore Sun) hanno visto nel comunicato di domenica scorsa (2) soltanto affermazioni generiche che non portano reale contributo alla soluzione delle complicate difficoltà europee mentre altri (come New York Times) attribuiscono notevole importanza alla manifestazione di solidarietà tra tre Grandi Potenze occidentali.

Stessa incertezza si rileva nelle sfere governative dove attitudine inglese rimane punto oscuro della situazione.

Negli ambienti del Dipartimento di Stato, nei quali domina corrente antitedesca, prevale impressione che conferenza Stresa abbia bensì avuto benefico effetto di diminuire tensione acuta allontanando pericolo immediato ma non abbia potuto trovare soluzione del problema fondamentale che è quello degli armamenti tedeschi.

In una conversazione avuta con alto funzionario del Dipartimento di Stato mio interlocutore ha espresso marcato scetticismo circa futura attitudine del Gabinetto di Londra che ritiene facilmente influenzabile da considerazioni di politica interna.

19

IL MINISTRO AD ATENE, DE ROSSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2109/121 R. Atene, 16 aprile 1935, ore 21,10 (per. ore 23).

Telegramma di V. E. n. 9 (3). Queste Legazioni Francia e Inghilterra non hanno ancora avuto alcuna istruzione da loro Governi circa quanto fa oggetto del suindicato telegramma.

(-3) Ibtd., D. 922, nota l p. 983.

Poiché mi risultava che decisioni Stresa e telegramma di V. E. avevano dato luogo malintesi, nel senso si volesse preludere ad un prossimo riarmo Bulgaria, mi sono intrattenuto con questo Ministro degli Affari Esteri e suo Capo di Gabinetto per far conoscere loro che decisioni Stresa costituivano invece la migliore garanzia sicurezza per Grecia rendendo impossibili pericolose improvvise decisioni unilaterali simili a quelle germaniche da parte Stati sottoposti limitazioni armamenti, dato che tale questione non avrebbe potuto da qui innanzi essere risolta che in via contrattuale con Stati interessati nel quadro garanzie generali e regionali sicurezza.

Tali spiegazioni hanno certamente valso chiarire e addolcire interpretazione decisioni Stresa ma comunque permane qua certa contrarietà essere obbligati occuparsi adesso di questa questione che si sarebbe preferito lasciare sopita o prendere in esame in un secondo tempo come quelle relative riarmo Germania e così detto Patto Mediterraneo quando situazione interna sia completamente stabilizzata e dopo aver preso contatti ed accordi con firmaturi Patto Balcanico.

Mi è stato tuttavia assicurato che sono già inviate a Politis precise istruzioni per trattare Ginevra tali questioni e che intanto si sarebbe oggi stesso inviato a V. E. preliminare risposta al suo telegramma.

(l) -Vedi D. 65. (2) -Vedi serle settima, vol. XVI, D. 922.
20

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2175/08 R. Bucarest, 16 aprile 1935 (per. il 20).

In relazione al telegramma n. 9 di V. E. da Stresa del 14 corr. (l) ho l'onore di riferire che ho fatto in data odierna a questo Governo la comunicazione di cui al telegramma medesimo, relativa al riarmo degli Stati minori.

Questo Governo ne ha preso atto. Analogo passo è stato compiuto dal Ministro di Francia, mentre a tutt'oggi il Ministro d'Inghilterra non ha ricevuto istruzioni in proposito.

P. S. -Al momento della partenza del corriere vengo informato che la Legazione britannica, avendo ricevuto istruzioni, compirà in giornata la comunicazione a questo Ministero degli Affari Esteri.

21

IL MINISTRO A BERNA, MARCHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. S. PER CORRIERE 2204/17 R. Berna, 16 aprile 1935 (per. il 23).

Onorevole Motta, che qualche settimana fa era scettico nei riguardi di gravi ripercussioni relative al riarmamento della Germania, mi diceva ieri, in

via del tutto confidenziale, di aver ricevuto precise notizie circa il rapido, intenso e quotidiano riarmamento tedesco. Consiglio Federale pensa seriamente ad applicare le misure militari votate ultimamente e approvate dal referendum pubblico.

22.

IL MINISTRO A BERNA, MARCHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. PER CORRIERE 2205/018 R. Berna, 16 aprile 1935 (per. il 23).

L'On. Motta ha trovato del tutto naturale che la Svizzera, per quanto Stato confinante, venga esclusa, causa la sua neutralità, dalla prossima Conferenza di Roma per l'Austria. Il Governo svizzero non desidera parteciparvi nemmeno come osservatore.

(l) Vedi serie settima, vol. XVI, D. 922, nota l p. 983.

23

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma, 16 aprile 1935.

Sir Eric Drummond ha ricevuto espresso incarico da Simon di chiedere al Governo italiano di autorizzare il Barone Aloisi a trattare con gli etiopici a Ginevra per la procedura da seguire nell'applicazione dell'art. 5 del Trattato di amicizia itala-etiopico del 1928. Simon ritiene che bisognerebbe far marciare un po' questa procedura per evitare che la cosa ritorni alla Società delle Nazioni in maggio, il che è nel desiderio comune.

Mi riservo di dargli una risposta. Lo avverto però fin da ora che noi non riteniamo conveniente di trattare con gli abissini a Ginevra, dato che quell'ambiente può incoraggiare gli abissini nelle loro pretese. D'altra parte la procedura non è ancora matura per la nomina della Commissione di conciliazione. Noi intendiamo ancora discutere la questione delle trattative dirette. D'altronde osservo anche che oltre all'incidente di Ual-Ual, che formerebbe oggetto della procedura di cui si parla, vi sono anche altri gravi incidenti da risolvere ed altre gravi questioni pendenti fra Italia ed Abissinia.

L'Ambasciatore Drummond attenderà la mia risposta definitiva.

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L'AMBASCIATORE GUARIGLIA (l) AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 16 aprile 1935.

Le impressioni della R. Ambasciata a Londra circa una maggiore comprensione da parte del Governo inglese della ineluttabilità del conflitto italo

abissino sembrano smentite dall'atteggiamento tenuto dal signor Simon il 15 corrente a Ginevra, come è riferito nel telegramma del Barone A1oisi (1).

Atteggiamento che tutto fa ritenere non dovuto soltanto alle esigenze societarie del Governo inglese ma che fa naturalmente parte della politica generale britannica, alla quale per molteplici ragioni non conviene in questo momento lo scoppio di una guerra itala-abissina, alla quale lo Stato Maggiore inglese assegna oltretutto una durata maggiore ài quella che sarebbe opportuno per trovar preparata l'Italia al sempre maggiore aggravamento della situazione europea.

In tali condizioni è da prevedersi:

l) un'ostilità crescente degli organi inglesi a Ginevra;

2) una preparazione politica e militare britannica ai confini dell'Etiopia, destinata ad approfittare al momento opportuno -e quando il Governo inglese si trovasse di fronte ad un inevitabile fatto compiuto italiano -della situazione creata dalle ostilità itala-abissine per accaparrarsi quei territori che più appetiscono i coloniali britanni·ci e che per la loro ubicazione sono facilmente raggiungibili dalle colonie inglesi e facilmente occupabili col pretesto di salvaguardare la sicurezza di queste ultime.

Per cercare di evitare -nei limiti del possibile -tanto la prima che la seconda eventualità, non sembra esservi altra via che cominciare a parlare un po' più chiaramente a Londra. Finora infatti il Governo inglese non ha che delle impressioni sulle intenzioni italiane ma può sempre trincerarsi dietro il nostro silenzio per metterei a sua volta dinanzi a quei fatti compiuti che ad esso sembrassero più comodi. Né le conversazioni fra i funzionari subalterni che si sono svolte in questi ultimi tempi, e nelle quali si è fatto più esplicitamente accenno alle questioni che ci interessano, sembrano atte e sufficienti a chiarire la situazione, giacché è vecchio e buon costume diplomatico inglese di non dare a tali conversazioni carattere di serietà ed ufficialità se non quando al Governo inglese convenga.

Cogli inglesi non solo il migliore ma l'unico sistema è il parlare chiaro, franco, senza determinare equivoci, di cui essi sono abilissimi a profittare.

È certo d'altra parte che l'eventualità di una guerra itala-abissina trascende i limiti di conversazioni fra funzionari subalterni, specie nell'attuale momento della politica europea: momento che costituisce per noi la carta da giuocare per aver dall'Inghilterra quei consensi che sono indispensabili non già naturalmente per fare la guerra, giacché di questa siamo arbitri noi, ma perché la guerra si svolga nelle migliori condizioni e col massimo di profitto per noi.

Il problema, l'eterno problema delle guerre, e non soltanto di quelle coloniali, è a che mondo è mondo quello di saper cogliere i frutti delle proprie vittorie. Versaiilles insegni, sopratutto per quanto riguarda l'Italia.

La situazione politica e geografica dell'Abissinia è tale che non possiamo farci illusioni di dare soluzione noi soli -a guerra vittoriosa finita -alle varie questioni politiche che vi si riconnettono, e se i conti cogli altri interessati (vedi specialmente Inghilterra) si vorranno fare soltanto dopo, ri

schieremo di aver tolto -come purtroppo troppe volte abbiamo fatto nella nostra storia coloniale -le migliori e più grasse castagne dal fuoco per conto altrui.

Basta dare uno sguardo alla carta geografica per constatare che gli inglesi non hanno che un passo da fare, muovendo dal Sudan e dal Somaliland per occupare il Wollega e l'Harrar. Né ha importanza il fatto che tali territori non si trovano compresi nella sfera d'influenza attribuita all'Inghilterra dall'accordo del 1906, poiché occupazioni del genere sono assai fortemente giustificabili Ca titolo provvisorio, che rischia sempre di trasformarsi in definitivo) dalla pressione che noi eserciteremmo sull'Abissinia coile nostre future operazioni militari dal Nord dell'Eritrea.

Per tutte queste ragioni qui sommariamente esposte, ma che comportano uno sviluppo assai maggiore, sembra prudente cogliere l'occasione dell'atteggi;rmento a noi contrario tenuto dal signor Simon a Ginevra per cominciare a parlare col Governo inglese in termini più chiari ed espliciti.

Mi onoro pertanto sottoporre a V. E. l'accluso progetto di telegramma da inviarsi al R. Ambasciatore a Londra (1).

(l) Guariglia non aveva un Incarico definito: rientrato dall'Ambasciata a Madrid, aveva proposto la costituzione dl un «Ufficio Abissinia e Mar Rosso (A.M. R.) » all'interno del Gabinetto per «la trattazione degli affari concernenti l'Etiopia, le Colonie Italiane dell'Africa Orientale, gli stati arabi del Mar Rosso (Yemen, Saudia) ». Mussolini non approvò tale proposta e Guariglia rimase a disposizione del Ministro per collaborare alla trattazione della questione etiopica nell'ambito della Direzione Generale degli Affa.r1 Politici.

(l) Vedi D. 12.

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

'I'ELESPR. 1786/680. Mosca, 16 aprile 1935 (per. il 22).

La politica dei fatti compiuti, stoltamente inaugurata dalla Germania, non poteva -ed era prevedibile -rimanere senza risposta. Il primo frutto ne è stato l'annunzio di un patto bilaterale franco-sovietico.

Scrivendo -fin dal dicembre 1933 -del patto orientale (2), io ho sempre avvertito che i suoi iniziatori miravano, sopratutto, ad una alleanza. L'essenza del Patto orientale non è infatti mai consistito nell'Atto n. l del progetto Barthou-Litvinov, ma bensì in quello n. 2: garanzia franco-sovietica. Comunque, le vicende del Patto sono state tali e tante e cosi travagliate da far veramente ritenere che esso sarebbe finito nel nulla. Solo l'inconsulta azione tedesca ha potuto determinarne la ripresa, il denudamento da tutte le sue coperture e quindi, nell'evidente intento di prevenire possibili pressioni angloitaliane in contrario, la virtuale conclusione alla stessa vigilia della Conferenza di Stresa.

Quali siano per essere i termini, definitivi e precisi, del patto sarà ormai più noto costà che a Mosca. Ancora oggi il signor Krestinski mi assicurava di non aver ricevuto da Litvino,v nulla di veramente concreto.

Comunque è già risaputo che, a parte le premesse più o meno pacifiste e destinate a figurare nel preambolo, la assenza del Patto consisterà in una cosa sopratutto: nel vincolare, agli effetti della assistenza mutua reciproca, la li

bertà di azione dei due contraenti di fronte agli art. 15 e 16 del Covenant, e ciò non dissimilmente, del resto, da quanto è previsto dalle altre alleanze, anch'esse societarie, della Francia col Belgio, la Piccola Intesa, la Poldnia.

Quanto alla questione dell'automatismo, si sarebbe su di essa venuti ad un compromesso. Seguendo, cioè, l'esempio dei patti londinesi sulla definizione dell'aggressore -in cui, con anticipazione sopra quelle che potrebbero essere delle possibili integrazioni del Covenant, si è fatto stato fra le parti contraenti di principii non ancora ammessi dalla generalità degli Stati -le due parti si sarebbero reciprocamente impegnate a patrocinare ed assicurare una « abbreviazione di termini ~. suscettibile di evitare i danni ed i pericoli dei possibili indugi ginevrini.

Giova in proposito considerato che, del resto, se il Consiglio della S.d.N. incominciasse, fin da ora, a discutere e concordare quella che potrebbe essere una « procedura di urgenza della convocazione della Lega in caso di possibili aggressioni ~. si vedrebbe che, dopo tutto, le difficoltà e gli indugi potrebbero anche essere ridotti ad un minimo. Non sarebbe difficile ad esempio fissare per la convocazione del Consiglio un termine massimo, passato il quale ognuno riacquisterebbe la propria libertà di azione; si potrebbe, per risparmio di tempo, prescrivere che la riunione del Consiglio dovesse aver luogo nella capitale istessa del paese aggredito, autorizzando altresì i rappresentanti diplomatici colà accreditati a sostituire i membri del Consiglio eventualmente ritardatatarii, etc. etc. Una riunione del Consiglio potrebbe -volendo -aver luogo anche nelle quarantotto ore dalla denunzia dell'aggressione.

Comunque sia di tutto questo -e non dubito che il signor Litvinov prenderà egli stesso, alla prima occasione, una iniziativa in tal senso -il patto franco-sovietico è ora un fatto compiuto e, checché voglia dirsene, rappresenta una di quelle che gli inglesi incominciano a chiamare « Alliances New Style » oppure « League Alliances ~.

Era fatale che così accadesse? E' ozioso ormai il domandarselo. Comunque, il merito di averlo reso possibile è tutto della Germania.

Certo, il problema della sicurezza dell'Europa orientale è lungi dall'essere, con il patto franco-sovietico, risoluto, quel patto non rappresentando, a parte ogni sopravvivenza di questioni baltiche, un complesso di forze sufficienti a deterrere la Germania da una guerra. La necessità di soluzioni generali -perseguibili sia attraverso patti a carattere più o meno europeo, sia attraverso la «sutura» dei diversi patti di assistenza mutua fra loro come vorrebbero i francesi -quella necessità, dico, rimane intatta, ma ne risulta, quanto meno, ritardata e posposta.

Al patto franco-sovietico un altro ne seguirà a breve scadenza e cioè uno ceco-sovietico. La Cecoslovacchia aveva, come è noto, aderito al protocollo Litvinov-Laval fin dall'll dicembre. Del resto, i giornali annunziano già, da Praga, la partenza per Mosca di una delegazione per lo studio e la messa a punto di una «convenzione aerea». Lo Stato Maggiore francese assegna alla Russia bolscevica, in caso di guerra, oltreché una funzione, negativa ma importantissima, di «non~ aiuto alla Germania, anche una positiva, di concorso attivo delle proprie forze aeree, e ciò attraverso la Cecoslovacchia, resa cosi centro e base di un attacco sovietico alla Germania per le vie dell'aria.

Ma le adesioni al patto franco-sovietico si fermeranno poi qui? È dubbio. Ho già detto alla E. V. fin dal 28 marzo come lo stesso signor Litvinov mi abbia dichiarato essere prevedibile -egli aggiungeva desiderabile -l'accessione al sistema anche degli altri paesi della Piccola Intesa (a proposito, si parla qui di un quasi imminente riconoscimento dell'U.R.S.S. anche da parte della Jugoslavia) nonché della stessa Turchia, e ciò per impedire che essi possano cadere nell'orbita tedesca.

Il pericolo di questa attrazione è, nel momento attuale, esagerato, ma non poche sono le ~parti che hanno interesse a specularvici: in primo luogo l'U.R.S.S. che, di fronte ai segni di rilassamento nei rapporti franco-piccolo-intesisti intende sostituirsi alla Francia nel patronato dei paesi balcanici, con precedenza, e possibilmente con vantaggio, anche su di noi, con ciò acquistando ragione e titolo di ingerenza nelle faccende dell'Europa occidentale; in secondo luogo, la Piccola Intesa che, facendo blocco con un sistema al quale nulla ha da dare e tutto eventualmente da ricevere, rafforza e valorizza le posizioni proprie di fronte al futuro sistema danubiano sì da permetterle di mettere a più alto prezzo la propria adesione al medesimo.

L'Ambasciatore ameri·cano Bullitt, che nel suo viaggio di ritorno a Mosca, si è fermato varii giorni in Francia e che, antico membro della delegazione americana alla Conferenza della Pace, è molto addentro nei circoli politici francesi, mi ha riferito di essersi trovato a Parigi mentre fervevano le trattative per il patto tra i Soviet e la Francia. Egli mi ha assicurato -tra l'altro -che il trait d'union di queste negoziazioni, attivissimo ed instancabile, è stato Titulescu. Il Buillitt ne deduce, e credo abbia ragione, che la Romania voglia arrivare buona seconda nella adesione al patto, il che darebbe modo -bisogna ricordarlo -a Titulescu di registrare di fronte alla propria opinione pubblica un successo nei riguardi della questione bessarabica. Né, nella situazione presente e di fronte al delinearsi di una possibile combinazione anglo-franco-italiana da cui temerebbe a torto od a ragione di essere escluso, il signor Litvinov avrebbe motivo per resistere alle pressioni romene in questo senso.

Ecco perché, in presenza di una simile situazione, io mi son permesso 1'11 corrente di telegrafare (1), richiamando rispettosamente l'attenzione della E. V. sulla opportunità che vi sarebbe ad evitare, d'accordo con la Francia, che il patto franco-sovietico abbracciasse subito, e prima della conclusione del patto danubiano, anche la Piccola Intesa.

Secondo le informazioni di S. E. il conte Pignatti (telecorrieri ministeriali del 3 e 6 aprile) (2), a Parigi sembra ritenersi che il patto franco-sovietico potrebbe anche «interessare l'Italia, qualora questa vedesse la convenienza di un a·ccordo con l'U.R.S.S. per la reciproca difesa contro un attacco tedesco». Lo stesso conte Pignatti aggiungeva che della cosa Lavai avrebbe certamente parlato alla E. V. a Stresa.

Io ignoro le decisioni frattanto intervenute in proposito. Ma a titolo di doverosa segnalazione non posso a meno di richiamare in materia i ripetuti accenni fatti da Litvinov 'J)er un accordo tripartito Italia-Turchia-U.R.S.S. (3).

V. -E. conosce bene le mie inclinazioni e sa quindi la mia riluttanza ad ogni sorta di patti con l'Unione Sovietica. Mi sembra peraltro che, ogni riluttanza a parte, tra i diversi patti concepibili fra Italia ed U.R.S.S., quello meno compromettente e relativamente più vantaggioso potrebbe essere proprio quello accennato da Litvinov. Esso, mentre non ci impegnerebbe nel Nord Europa, ci darebbe in caso di guerra la sicurezza dei rifornimenti dal Mar Nero. D'altra parte, sarebbe l'unico patto nel quale, sotto la preponderante pressione sovietica, la Turchia potrebbe essere indotta a entrare senza tirarsi dietro tutti i suoi accoliti della Intesa balcanica.

Dico questo, ripeto, solo a completare il quadro delle possibilità logiche, mentre mi rendo conto che al momento stesso in cui scrivo tutto sarà stato -in ogni probabilità -superato dalle decisioni nel frattempo adottate dalla E. V., e di cui sarò grato di essere, per mia norma, informato (1).

(l) -Vedi D. 60. 11 presente documento reca 11 visto di Mussolini. (2) -Vedi serie settima, vol. XIV, D. 498. (l) -Vedi serle settima, vol. XVI, D. 912. (2) -Non pubbl!cati, con essi venivano rltrasmessl i telegrammi di Pignattl per l quali vedi ibid., DD. 856 e 868. (3) -Ibid., D. 319.
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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2090/75 R. Ginevra, 17 aprile 1935, ore 0,40 (per. ore 4).

Ho prospettato a V. E. col telegramma n. 71 (2) Je esitazioni di alcuni membri del Consiglio ad aderire al progetto di risoluzione concordato a Stresa sul riarmo tedesco. Vi era il pericolo, procrastinando oltre la discussione, che si desse modo alla Germania di intensificare le sue pressioni, col risultato di accrescere il numero degli astensionisti e trasformare così una manifestazione di solidarietà in un gesto di debolezza. La situazione era tanto più delicata in quanto Simon sembrava anch'egli esitante a presentare il progetto di deliberazione senza alcune modifiche che egli aveva scontato sarebbero state fatte introdurre dagli altri membri del Consiglio. Per troncare ogni indugio Laval aveva deciso stamane di presentare a nome del solo Governo francese la deliberazione e di a.prire senz'altro il dibattito contando sull'adesione italiana e inglese. Ho dichiarato a Lavai che la solidarietà affermata a Stresa doveva avere la sua prima manifestazione a Ginevra col presentare, come era stato convenuto, il progetto di deliberazione a nome di tutti e tre i Governi. Gli inglesi hanno finito con l'aderire a tale criterio ottenendo però dai francesi alcune leggere modifiche al testo della risoluzione alle quali ho aderito perché non alterano la sostanza del progetto. Invio per corriere testo definitivo della risoluzione e le dichiarazioni al Consiglio.

Per parte mia ho avvicinato Beck facendogli presente opportunità per la Polonia, in vista di una sempre più stretta collaborazione con le maggiori Potenze, di non dare l'impressione che fosse troppo intimamente legata alla difesa del punto di vista tedesco.

Apertasi la seduta Lavai ha iniziato le sue dichiarazioni affermando che la iniziativa tedesca del 16 marzo doveva essere condannata e ha fatto appello alla responsabilità del Consiglio. Ha terminato riaffermando una politica di sicurezza per tutti su un piede di uguaglianza.

Simon ha riaffermato la solidarietà delle tre Potenze di Stresa insistendo su necessità di una politica di sicurezza e di pace basata sulla Società delle Nazioni, aggiungendo che se la risoluzione si riferiva all'azione di uno Stato determinato doveva intendersi che tutti gli Stati della Lega erano tenuti a osservare le loro obbligazioni imparzialmente verso tutti. Era un velato accenno alla discussione di ieri sull'Etiopia; accenno ripreso nell'affermare che le misure proposte per rafforzare le garanzie di sicurezza contenute nel Patto avrebbero dovuto rendere più effettiva in avvenire l'osservanza degli obblighi internazionali. Nella mia dichiarazione ho sottolineato la continuità della politica fascista per la sicurezza e la pace in Europa.

Molto equilibrato è stato il discorso di Beck. Benes ha appoggiato il progetto di deliberazione. Brevi dichiarazioni di carattere preliminare sono state fatte dal delegato danese e da Madariaga il quale ultimo ha accennato con ogni cautela alla possibilità che qualche ritocco sia apportato al testo. Al che Lavai mi ha confidato che non intende venga apportata alcuna modifica. Nel complesso una buona giornata che ha mostrato come la solidarietà delle grandi Potenze ha suscitato una forte impressione sugli esitanti. Domani la discussione continua.

(l) -Il presente documento reca Il visto di Mussolinl. (2) -Vedi D. 13.
27

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, E A BRUXELLES, VANNUTELLI REY

T. 699/91 (Berlino) 55 (Bruxelles) R. Roma, 17 aprile 1935, ore 3.

In conformità a quanto stabilito nel comunicato finale Conferenza Stresa (l) prego V. E. voler dare ufficialmente comunicazione codesto Governo testo dichiarazione itala-inglese circa trattato Locarno, fatta alla conferenza di Stresa, di cui si trascrive testo integrale:

«I rappresentanti dell'Italia e del Regno Unito, Potenze che sono firmatarie del Trattato di Locarno soltanto in qualità di garanti, riaffermano formalmente tutti gli obblighi che, in base a tale trattato, spettano a queste Potenze e dichiarano che esse intendono, occorrendo, di adempiervi fedelmente:. (2).

28

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, A GINEVRA

T. 700/28 R. Roma, 17 aprile 1935, ore 3.

Ungheria ha già dichiarato che non parteciperà a trattative con altri Paesi per raccordo danubiano se non è prima risolta la questione ungaro-jugoslava. Eden -relatore -è ammalato: bisognerà trovare tuttavia modo perché la relazione possa esser fatta e la vertenza risolta prima del 20 maggio, data prevista per la riunione di Roma. Se Eden dovesse esser sostituito -il che spero possa essere evitato -occorre trovare persona di pari autorità ed altrettanto benevolmente disposta a favore della tesi ungherese.

(l) -Vedi serle settima, vol. XVI, D. 922. (2) -Per le risposte di Cerrutl e Vannutelli Rey vedi DD. 34 e 57.
29

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A TIRANA, INDELLI

T. RR. 701/40 R. (1). Roma, 17 aprile 1935, ore 1.

Suo 39 (2). Comunichi a Sua Maestà che sono disposto a concedergli quanto mi chiede per i mussulmani del Kossovese.

30

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2097/76 R. Ginevra, 17 aprile 1935, ore 4,20 (per. ore 7,30).

In una lunga conversazione Benes ha tenuto comunicarmi sua soddisfazione per successo Conferenza Stresa nella quale tre Potenze occidentali hanno preso in mano situazione europea. Egli ha dichiarato che Cecoslovacchia appoggerà sempre la sua politica su quella delle Potenze occidentali e che accederà al Patto orientale unicamente al fine di ostacolare eventualità di una unione tra Germania e Russia, senza però mai assumere impegni maggiori di quelli che saranno assunti dalla Francia. Ha confermato che, secondo sua ferma convinzione, pericolo tedesco diventerà assai grave verso la metà del 1936.

Circa prossimo convegno di Roma, già mi ha detto che egli è d'accordo con Jeftic nel ritenere necessaria una preparazione diplomatica che assicuri preventivo accordo dei principali intervenuti circa questione essenziale dell'Anschluss. Ha ag,giunto poi di ritenere necessario anche conclusione di un Protocollo speciale che preveda e regoli eventualità installazione a Vienna di un Governo nazista. A questo proposito osservatogli non sembrarmi possibile discutere un principio di ingerenza in sede di conferenza destinata a sancire obbligo non ingerenza.

Gli ho posto poi nettamente problema parità. Ha divagato dicendo essere pericoloso riarmo Ungheria che si propone passare dalla parte tedesca. Ho troncato la divagazione posandogli, a titolo di studio, questione seguente: «Quale contropartita esige Cecoslovacchia contro concessione riarmo Stati Minori disarmati? ». Ha risposto che verso Austria Cecoslovacchia si accontenterebbe di un trattato di amicizia e di garanzia di frontiere, ma che circa Ungheria già da ora Jugoslavia e Rumania sono risolute a porre a Roma pregiudiziale che Ungheria potrà avere riarmo solo se si impegna a rinunziare a qualsiasi revisione territoriale.

Gli ho dimostrato assoluta inopportunità venire a Roma con queste intenzioni. Un simile gesto contribuirebbe a precipitare decisioni ungheresi proprio in un momento in cui sono in gestazione nuovi atteggiamenti politici in tutti i settori europei.

(l) -Minuta autografa. (2) -Vedi D. 11.
31

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2093/78 R. Ginevra, 17 aprile 1935, ore 4,20 (per. ore 7,30).

Stamane (l) prima della seduta Consiglio ho esposto a Beck argomenti di cui a mio telegramma n. 71 (2), convincendolo a mitigare sua intransigenza di fronte a progetto di risoluzione delle tre Potenze. Difatti, nel discorso tenuto al Consiglio nel pomeriggio egli ha limitato la oppos1z1one polacca esclusivamente al progettato Patto orientale, sorvolando sulla parte relativa alla condanna del gesto tedesco.

Mi ha lasciato comprendere che anche se si asterrà dana votazione, non farà alcuna dichiarazione di voto contraria al progetto di risoluzione.

32

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2089/79 R. Ginevra, 17 aprile 1935, ore 4,20 (per. ore 7,30).

Lavai e Beck mi hanno comunicato che Governo sovietico ha presentato ieri un suo contro-progetto relativo al patto di mutua assistenza che si oppone al progetto francese in quanto che mentre questo viene inserito nel quadro della Società delle Nazioni (articoli 10, 15 e 16 del Covenant), progetto russo mira assicurare possibilità far funzionare mutua assistenza automaticamente, al di fuori della Società delle Nazioni. Lavai mi ha detto che le discussioni continuano ma che l'attitudine francese è e sarà nettamente contraria.

33

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2107/209 R. Parigi, 17 aprile 1935, ore 11,31 (per. ore 14).

Giornali francesi informano che deputato Scapini, cieco di guerra, è stato ricevuto da Hitler.

Scapini, che al Parlamento siede a destra, ha sostenuto un mese fa in un pubblico contraddittorio con De Kerillis, dell'Echo de Paris, che la Francia deve ricercare l'accordo con la Germania.

In Francia sono numerosi in tutti i partiti coloro che pensano come il deputato cieco di guerra. Se così non fosse Scapini non avrebbe osato visitare

Hitler proprio il giorno in cui a Ginevra il rappresentante della Francia domanda la condanna del Reich.

D'altra parte, come ho già avuto occasione di dire e ripetere a v. E., lo stesso Lavai ricerca ancora oggi l'accordo con la Germania che, se raggiunto, costituirebbe agli occhi della grande maggioranza dei francesi un trionfo.

Mi scuso di ripetere cose già dette. Credo mio dovere farlo.

Non so che cosa La val abbia detto a V. E. nei colloqui confidenziali di Stresa. L'Uomo di Governo francese maschera spesso proprio pensiero ma alla lunga si arriva a leggergli in fondo all'animo.

Ad ogni modo credo di non ingannarmi nel dire che ancora oggi il Ministro Affari Esteri francese ricerca l'accordo col Reich e non ha perduto speranza di realizzarlo.

(l) -Il 16 aprile. (2) -Vedi D. 13.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2112/124 R. Berlino, 17 aprile 1935, ore 14,20 (per. ore 17).

Telegramma di V. E. n. 91 (1).

In assenza del barone Neurath, che è in vacanza, ho comunicato testé ufficialmente a von Biilow, a mezzo di nota firmata, il testo della dichiarazione itala-inglese fatta nel corso della Conferenza di Stresa circa il Trattato di Locarno.

Von Biilow mi ha detto che il Governo tedesco salutava con grande soddisfazione tale comunicazione in cui gli Stati garanti confermavano loro obblighi. Egli teneva a dirmi quanto aveva detto ieri all'Ambasciatore d'Inghilterra allorché questi gli aveva fatto la medesima comunicazione, che essa acquistava un particolare valore per la Germania in questo momento in cui l'annunzio dell'imminente accordo militare franco-russo la poneva di fronte ad una seria minaccia. Aggiunse che Governo del Reich realizzava tutta gravità della situazione che si andava creando ad Oriente. Gli erano note le informazioni pervenute da Mosca a Parigi, secondo cui l'esercito sovietico era buono ma soltanto per combattere entro i confini russi, la Marina non era interessante e l'aviazione era invece di primissimo ordine. Donde il lavorio intercorso negli ultimi mesi per addivenire ad una convenzione aerea orientale, con il territorio cecoslovacco come base per l'azione antigermanica dell'aviazione sovietica. Erano stati individuati venticinque campi di aviazione in preparazione a questo scopo sul territorio cecoslovacco. Germania sapeva che cosa avrebbe rappresentato per essa minaccia di un attacco aereo da parte sovietica e sapeva pure che viceversa aviazione tedesca avrebbe avuto ben scarsi successi in una eventuale [azione] contro U.R.S.S.

(l) Vedi D. 2'/.

35

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 2122/125 R. Berlino, 17 aprile 1935, ore 17,12 (per. ore 20,30).

Ho trovato von Btilow (l) irritato per quanto sta succedendo a Ginevra. Egli mi ha detto che la Germania si sentiva offesa nella propria dignità per l'inqualificabile modo di procedere degli ex-Alleati e che aveva prodotto la peggiore impressione la frase pronunciata a Ginevra da Simon che colà i rappresentanti dei tre Stati suddetti smettevano di essere parti in causa per vestire la toga di giudici. Era inammissibile che una simile cosa potesse avvenire e anzi essere pubblicamente dichiarata. Sino a che esistevano persone aventi mentalità di Simon, Germania non poteva avere fiducia non soltanto nella S.d.N. ma neppure in consesso in cui si dovessero dibattere questioni internazionali. Germania sarebbe stata a vedere che cosa sarebbe successo a Ginevra. Qualora fosse votata una risoluzione che contenesse un rimprovero a suo riguardo, essa non lo accetterebbe e risponderebbe con la massima energia. Le numerose e adirate telefonate ricevute in mattinata da Salzberg (la residenza bavarese del Cancelliere del Reich, dove Hitler si trova in vacanza) non lasciavano alcun dubbio circa il carattere della eventuale reazione.

Ho procurato di ragionare con von Biilow, dicendogli che quando qualcuno agisce contro la legge, ritenendo la legge stessa deficiente in un caso particolare e contraria ai propri interessi e ammette quindi una infrazione, deve necessariamente pensare che qualche conseguenza spiacevole per il suo atto vi deve pur essere ed essere contenuto qualora se la cavi a buon mercato.

È in fondo quello che sta succedendo a Ginevra nei riguardi della Germania, la quale farebbe quindi meglio a non assumere l'atteggiamento dello Stato offeso ma quello del contravventore che riconosce di essersela cavata a non troppo caro prezzo.

Von Biilow mi ha risposto « che i Trattati non ;:;ono la legge ~; di fronte a questa affermazione assai grave non ho potuto celare la mia sorpresa e ho creduto aggiungere che era appunto perché si temeva che si potessero ripetere fatti incresciosi del genere di quelli avveratisi che a Stresa si era pensato esclusivamente all'avvenire considerando gli eventuali provvedimenti da prendere.

Von Biilow osservò che egli personalmente condivideva il mio modo di vedere che non si dovesse cioè attribuire soverchia importanza alle parole, anche se riuscissero assai dure per degli orecchi tedeschi ed anche se si fosse convinti di avere ragione al cento per cento, [se] si sapesse di avere il modo, ove la S.d.N. non fosse un tribunale composto dJ giudici che sono allo stesso tempo parti, di fare condannare coloro che adesso si erigono ad accusatori. Doveva però ripetermi che Hitler non giudicava le cose a questa maniera ed

avrebbe «risposto» ad una decisione lesiva dell'onore della Germania con la massima energia. Ho cercato di appurare qu!tli fossero le intenzioni che egli attribuiva a Hitler, se cioè credeva parlare soltanto di energica e violenta protesta scritta

o di qualche nuovo colpo dei numerosi già compiuti, e ho tratto purtroppo l'impressione che non si possa escludere qualche nuovo colpo da parte del Cancelliere (l).

(l) Vedi D. 34.

36

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2123/126 R. Berlino, 17 aprile 1935, ore 21,15 (per. ore 0,30 del 18).

Mio collega Inghilterra è stato convocato oggi alle 18 al Ministero degli Affari Esteri, dove BUlow gli ha comunicato che alle ore 14 il Cancelliere del Reich, senza conoscere ancora la decisione del Consiglio della S.d.N., aveva telefonato da Salzberg informando il Ministero degli Affari Esteri di avere convocato per domani a Monaco di Baviera il Barone von Neurath che si trova nella sua proprietà nel Wiirtemberg.

Qualora la decisione di Ginevra fosse stata contraria alla Germania, il che nel frattempo è avvenuto, Cancelliere redigerà domani con assistenza del Ministro degli Affari Esteri una nota assai severa da indirizzarsi ai vari Governi, nella quale sarà detto essere, dopo quanto è accaduto, impossibile alla Germania di pensare a rientrare nella S.d.N.

Mio collega inglese non ha saputo dirmi se nota sarà inviata solo ai Governi che votarono oggi in favore della mozione oppure a tutti quélli del mondo, come si vocifera che intencìa fare Hitler per dare alla sua protesta carattere universale.

Dato che il Cancelliere è stato tutta la mattinata in relazioni telefoniche con Berlino e che da quanto mi risulta Goering e Goebbels, che si trovano accanto a lui in Baviera, lo spingevano ad agire, ho tutte le ragioni di credere che un'azione moderatrice notevole sia stata esercitata su di lui dalla Reichswehr per ragioni evidenti.

37

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AI MINISTRI A SOFIA, SAPUPPO, E A VIENNA, PREZIOSI

T. 705/30 (Sofia) 62 (Vienna) R. Roma, 17 aprile 1935, ore 24.

Mio telegramma da Stresa n. 9 in data 14 corr. concernente riarmo Stati minori (2).

Prego V. S. voler presentire codesto Governo circa limite massimo cui esso intenderebbe portare riarmo. Questo include principalmente punti seguenti: l) numero effettivi truppa; 2) quantità nonché qualità mezzi bellici da adottarsi; 3) termini tempo in cui riarmo dovrebbe effettuarsi.

V. S. vorrà dare Sua richiesta carattere confidenziale (1).

(l) -Vedi DD. 36 e 50. (2) -Vecti serte settima, vol. XVI, D. 922, nota l p. 983.
38

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A TIRANA, INDELLI

T. 706/42 R. Roma, 17 aprile 1935, ore 24.

Prego V. S. informare Re Zog in relazione trattato alleanza delle risoluzioni della Conferenza di Stresa, che Le invio per regolarità carteggio con telegramma a parte (2), mettendo in rilievo azione preponderante svolta da

S. E. Capo Governo, che ha presieduto e diretto i lavori, conseguendo una manifestazione di solidarietà italo-franco-inglese nell'interesse della ricostruzione europea.

39

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A GEDDA, PERSICO

T. 707/31 R. Roma, 17 aprile 1935, ore 24.

Suo telegramma 33 (3).

Mi compiaccio molto con V. S. per azione svolta presso codesto Governo e per risultato ottenuto. Dica a mio nome a S. M. Ibn Saud che R. Governo apprezza al suo giusto valore attitudine amichevole da lui tenuta in questa circostanza e ne terrà dovuto conto.

Sarò lieto poter confermare personalmente nostri sentimenti amicizia per codesto paese al Principe Ereditario Saudiano in occasione sua prossima venuta Roma (4).

7 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. I

(l) -Analogo telegramma (704/53 R. del 17 aprJle 1935, ore 24) venne spedito a Colonna con !',invito a precisare l seguenti punti: «l) limite massimo cui codesto Gove,rno ~ntenderebbe portare r1armo; 2) termini tempo lin cui riarmo dovrebbe essere effettuato». (2) -Con L.p. del 27 aprile 1935 Famlli rispondendo al T. 2221/46 R. del 25 aprile 1935, ore 12,12, col quale Indelli segnalava di non aver ricevuto Il telegramma preannunclato, faceva presente che a tale comunicazione si era soprasseduto dopo la pubblicazione del comunicato ufficiale della conferenza di Stresa. (3) -Vedi serie settima, vol. XVI, D. 918. (4) -Vedi DD. 126 e 262.
40

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 708/61 R. Roma, 17 aprile 1935, ore 24.

S. E. Capo del Governo ritiene che dopo Stresa e Ginevra e prima della Conferenza Danubiana sarebbe molto utile procedere ad una consultazione itala-austro-ungherese sulle questioni di comune interesse.

A tale scopo mi ha designato ad incontrarmi prossimamente con codesto Ministro Esteri e con Ministro Esteri ungherese.

Incontro potrebbe avvenire a Venezia e fissarsi fin d'ora per 4 maggio. Prego V. S. parlarne al Cancelliere ed a Berger e farmi sapere al più presto se siano d'accordo.

Analogo invito viene rivolto al Governo ungherese (1).

41

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2166/0112 R. Berlino, 17 aprile 1935 (per. il 20).

Nel corso della conversazione avuta stamane col Segretario di Stato von Blilow (2), quando si parlò de,lla conferenza che si era deciso a Stresa di riunire alla fine di maggio in Roma per discutere il problema danubiano, il mio interlocutore si espresse in termini simpatici circa questa iniziativa dicendo che riconosceva l'utilità di discutere a fondo le varie questioni che non apparivano ancora sufficientemente chiare.

Sono stato lieto di constatare che il signor von Btilow non si esprimeva meco in termini che lasciassero prevedere un rifiuto del Governo del Reich a farsi rappresentare alla conferenza suddetta. Per procurare di indagare meglio il suo pensiero accennai ad un articolo, comparso sopra un giornale di Monaco di Baviera, nel quale si sosteneva che la Germania non poteva prendere parte a discussioni circa l'Austria sino a che non fosse chiarito che cosa si intendesse per «non immistione » nei suoi affari interni, ed osservai che questa tesi mi riusciva incomprensibile per due ragioni: la prima era quella che la Germania non ha ancora risposto alle spiegazioni fornitele in proposito dall'Italia e dalla Francia (3), la seconda quella che alla conferenza di Roma si sarebbe naturalmente discusso di tutte 1e questioni, quindi anche di questa, con piena libertà a ciascuno di esprimere la propria opinione.

Il signor von Bi.ilow, nel rilevare che non aveva sino allora avuto conoscenza dell'articolo da me menzionato, mi assicurò che le idee in esso esposte non rispecchiavano affatto quelle del Governo del Reich. Egli riconobbe poi che la Germania non aveva sinora risposto alle spiegazioni fornitele dai Governi italiano e francese circa il Patto danubiano.

Signor Eric Phipps mi ha detto dal suo lato che, avendo avuto occasione di vedere il signor von Bi.ilow un giorno prima di me, questi aveva accennato con una certa apprensione alla notizia letta sopra un giornale secondo la quale non sarebbe stata intenzione dell'Italia di invitare la Germania alla conferenza di Roma. Sir Eric aveva risposto che la notizia gli riusciva del tutto nuova e gli sembrava priva di fondamento.

(1) -Con un telegramma identico (T. 709/52 R.) il ministro a Budapest Colonna era incaricato di parlare dell'invito «al Presidente Gombos e al Min!st,ro Kanya ». Preziosi rispose (T. 2137/87 R. del 18 aprile 1935, ore 18,30) che Berger-Waldenegg si era dichiarato «completamente .d'accordo". Per la risposta di Colonna vedi D. 52. (2) -Vedi DD. 34 e 35. (3) -Vedi serie settima, vol. XVI, DD. 667 e 700.
42

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3637/040 P.R. Parigi, 17 aprile 1935 (per. il 19).

Il Signor La val ha intrattenuto V. E. a Stresa del suo imminente viaggio a Mosca e del Patto bilaterale che intende proporre all'U.R.S.S. So dal Signor Bargeton, Direttore Generale degli Affari Politici, che la formala relativa sarà concretata e forse parafata, a Ginevra, fra il Ministro degli Esteri francese e quello sovietico. Ad ogrii modo, e anche a scopo di controllo, credo opportuno riferire quello che ho saputo, a Stresa, dallo stesso Bargeton e da Léger.

In attesa che sia possibile realizzare il Patto di mutua assistenza, del Nord-Est, il Ministro degli Esteri francese proporrà all'U.R.S.S. di dare pratica efficacia alle disposizioni combinate dagli articoli 10, 16 e 17 del Patto della Società delle Nazioni. In altre parole, l'accordo stabilirà che, ove il Consiglio decida o raccomandi che sia data assistenza militare alla Russia, in una vertenza europea, la Francia si impegna senza altro a dare tale assistenza all'U.R.S.S. Beninteso, il Governo sovietico assumerà un impegno analogo verso la Francia.

Il Signor Lavai deve -così mi è stato detto -avere proposto all'E. V. di fare qualcosa di analogo coi Sovieti. I francesi credono che l'aviazione russa potrebbe esserci di grande ausilio in caso di attacco tedesco all'Austria.

Ho domandato al mio interlocutore, il Signor Léger, se veramente l'aviazione sovietica sia efficiente così come si dice. Il Segretario Generale del Quai d'Orsay me l'ha magnificata.

L'affermazione del Segretario Generale del Quai d'Orsay corrisponde essa alla realtà? In altre parole, l'aviazione sovietica costituisce veramente un apporto efficace e notevole? Ecco un primo punto interrogativo.

Il secondo riguarda l'essenza stessa dell'accordo. I francesi intendono limitare l'assistenza militare esclusivamente alla frontiera occidentale dell'U.R.S.S. Ma sarà loro possibile circoscrivere con precisione l'impegno che assumono con Mosca, in guisa da non essere trascinati in un'avventura di più vasta portata? È lecito il dubbio. La tendenza di spingere all'estremo la politica dei Patti finirà per creare deUe so11prese. Già presentemente riesce difficile tenere conto di tutte le eventualità. Che cosa sarà domani?

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Ginevra, 15-17 aprile 1935.

La riunione del Consiglio straordinario della Società delle Nazioni ha dato agli accordi di Stresa la possibilità di una immediata riprova dei fatti.

Il primo giorno, sulla questione del rigetto della iscrizione all'ordine del giorno del ricorso etiopico, sembrò manifestarsi una seria incrinatura nella consistenza del blocco. Mentre Lavai appoggiò immediatamente la tesi italiana, Simon assunse un tono sconcertante, chiedendo alle Parti l'assunzione di impegni, sia pure generici, circa i termini da fissare alla discussione. Bastò un intervento alquanto secco della Delegazione italiana per stroncare ogni incertezza e per far rinviare ancora una volta la questione etiopica senza termini né condizioni, ma negli ambienti ginevrini, per la speciale eccitazione del momento, l'episodio fu oggetto di commenti.

I due giorni successivi hanno invece potuto mostrare la reale consistenza del fronte di Stresa.

Un diffuso scetticismo verso la possibilità della formazione di un blocco delle grandi potenze occidentali, dovuto a un'esperienza societaria di sedici anni, e una sorda reazione anti-autoritaria, che covava fra i piccoli Stati, davano negli ambienti ginevrini l'impressione di un diffuso stato di fronda, di che pubblicamente si rallegravano i numerosi rappresentanti della stampa germanica.

La presentazione in comune del ricorso francese costituì il primo atto chiarificatore. I tre discorsi, di eguale tono, susseguitisi come eco l'uno dell'altro, finirono per confermare inequivocabilmente l'esistenza del blocco dei tre. Allora la paura della Germania fu soverchiata dal timore reverenziale per i « big three » per la prima volta concordi e a fianco alla Russia docilmente aggiogata alla Francia si ebbe la sorpresa di vedere la Polonia rivendicare senza ambagi la sua libertà di azione, malgrado l'alleanza polacco-germanica di data ancora fresca; l'Argentina far tacere i suoi interessi di fornitrice di stocks guerreschi di carne e grano alla Germania e il Portogallo far tacere i suoi interessi di venditore di sardine.

Perfino il rappresentante della piccola Danimarca, assolutamente impossibilitata, per ragioni economiche e militari, a prendere comunque un atteggiamento anti-germanico, sembrò chiedere scusa della sua astensione, facendo comprendere che con qualche modifica avrebbe anch'esso votato il progetto francese di risoluzione.

A lato dell'azione centrale vi furono piccoli diversivi su questioni secondarie, che furono anch'essi rapidamente soffocati dall'intervento dei tre, concorde e rapido anche in questa occasione, per quanto non preparato in anticipo.

Vi fu la Russia, che tentò un piccolo colpo di mano per estendere la condanna anti-germanica anche a infrazioni relative a trattati extraeuropei. Ma là Simon, interessatissimo a non allargare le responsabilità britanniche in Asia, perdé la solita calma e trattò Litvinov in modo aspro e irritato. Non perdendo di mira analoghi interessi nostri nella zona africana, unii la mia reazione alla sua e Lavai fu buon terzo a portare il colpo di grazia.

Anche Litvinov non si attendeva tanta concordia e si ritirò malconcio, mostrando buona grazia. Poi fu la volta del turco che cercò di risollevare la questione della demilitarizzazione degli Stretti in un tentativo infelicissimo e di corta durata. Dopo questi episodi il frondismo dei piccoli fu annichilito e venne la votazione pressoché unanime. Concludendo, è stato degno di speciale rilievo: l) la profonda impressione generale sulla onnipotenza dei «big three ~ allorché essi si rivelano davvero concordi;

2) la dimostrazione che di fronte a questa concordia svanisce la tirannia del Segretariato. Se il Segretariato è la Lega delle Nazioni, essa non è capace di sopravvivere come organo politico alla costituzione di solidi blocchi;

3) la prova della scarsa autonomia dell'attuale politica russa, oramai docile al cenno della Francia, per paura della Germania;

4) la controprova della importanza e della manovrabilità della pedina polacca. Come ebbi l'onore di sottoporre all'approvazione di V. E. (1), io ho agito in Suo nome su Beck, e Beck ha ceduto dopo aver pochi minuti prima resistito a energiche pressioni di Lavai. L'adesione polacca è stata la chiave del successo perché ha segnato immediatamente il crollo del frondismo dei piccoli Stati.

Mi permetto di richiamare ancora una volta l'attenzione di V. E. sulla importanza delle due pedine polacca e cecoslovacca.

Delle due, è indubbiamente più importante la prima, sia per la maggior vastità del suo campo di azione, sia per la equivalenza delle sue posizioni verso Russia e verso Germania e sia per la maggiore accessibilità alle attrattive di un'amicizia italiana. Giacché, nella sua incomoda posizione tra Germania e Russia la Polonia ha assoluto bisogno di altri, e, fra i tre del blocco di oggi, all'Inghilterra lontana e alla Francia, padrona recente e non sempre comoda, la suscettibilissima Polonia ha ragioni per preferire l'Italia, con la quale essa non ha alcun passato legato a spiacevoli ricordi.

Ma ai fini della nostra politica danubiana la Cecoslovacchia può costituire una leva di eccezionale valore. Come ho ripetutamente esposto a V. E., sono due anni che coltivo Benes ottenendo, specie negli ultimi tempi, risultati e prove politiche lusinghiere. Del

resto la posizione senza scampo della Cecoslovacchia di fronte all'ingrandirsi del pericolo tedesco ne fa necessariamente un alleato fidato. Anche questa volta a Ginevra è stato Benes che, attraverso violenti alterchi, ha strappato la Piccola Intesa all'influenza di Titulescu che voleva mobilitarla contro il riarmo degli Stati disarmati deciso in massima dalle tre potenze occidentali a Stresa.

Nella stessa circostanza, Benes mi ha garantito che la Cecoslovacchia non solleverà alcuna difficoltà a Roma in sede di discussione del problema austriaco.

In definitiva la Polonia e la Cecoslovacchia costituiscono due preziose pedine nel giuoco verso Germania e Francia, verso le piccole potenze e verso la Piccola Intesa.

(l) Vedi D. 31.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1517/628. Berlino, 17 aprile 1935 (per. il 20).

Telespresso di V. E. n. 211080/C del 7 aprile 1935 (l).

Assicuro V. E. di essermi espresso quest'oggi col Segretario di Stato von Biilow nei termini delle istruzioni impartitemi, ottenendo da lui conferma di quanto già mi aveva detto in passato.

II Signor von Biilow riconobbe meco che non basta non compiere atti in favore dell'Abissinia, ma che occorre anche dare l'impressione che le speranze di taluni circoli responsabili di Addis Abeba, i quali contano sull'appoggio tedesco, sono prive di fondamento (2).

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2121/80 R. Ginevra, 18 aprile 1935, ore 0,05 (per. ore 1).

Telegramma di V. E. n. 28 (3).

Ho subito intrattenuto Vansittart della questione ungaro-jugoslava. Mi ha detto che Eden è nella impossibilità di lavorare prima dell'estate. Ho pregato Vansittart di provvedere alla sua sostituzione con altra personalità della Delegazione inglese facendogli le più vive premure perché sia affrettata la soluzione della questione. Si è dichiarato pienamente d'accordo e mi ha promesso comunicarci quanto prima a Roma seguito della cosa. Ho ugualmente interessato Benes perché la questione sia regolata al più presto.

(l) -Non pubbllcato. (2) -Il presente documento reca 11 visto d! Mussol!n!. (3) -Vedi D. 28.
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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2117/81 R. Ginevra, 18 aprile 1935, ore 0,05 (per. ore 2).

Il Consiglio ha deciso di fissare al 20 maggio la sua prossima sessione. Sapendo che per tale data V. E. intendeva convocare la Conferenza di Roma mi proponevo suggerire una data diversa, ma Lavai mi ha pregato di non insistere assicurandomi che aveva accennato a V. E. la possibilità di un rinvio della Conferenza di Roma e che V. E. non aveva fatto obiezioni.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2125/82 R. Ginevra, 18 aprile 1935, ore 0,05 (per. ore 7,30).

Manifestazione di ieri (l) di piena solidarietà tra le tre Potenze di Stresa ha dato oggi i suoi frutti. Tutti i Delegati, che non avevano preso ieri la parola, hanno dichiarato di aderire alla deliberazione, ad eccezione del Delegato danese che, in un discorso pieno di reticenze e di contraddizioni, ha chiesto in un primo tempo di apportare delle modifiche al testo e in una successiva dichiarazione ha formulato la sua astensione. Tranne questa sola astensione, tutti, nell'appello nominale, hanno votato in favore.

Di particolare interesse, fra i discorsi di oggi, quello di Litvinov per il rilievo dato alla minaccia degli armamenti tedeschi, tanto più grave per le ripetute affermazioni da parte di quel Governo di un programma di espansione e di violazione dell'indipendenza degli altri Stati. Madariaga ha rievocato difficoltà incontrata dalla Lega nel promuovere disarmo e organizzazione della sicurezza. Pur esprimendo delle perplessità, quanto alla forma della deliberazione, che avrebbe preferito più rispondente alla lettera del Patto della S.d.N., ha concluso dichiarando che Spagna non poteva esimersi dall'approvare progetto. Portogallo, Messico, Cile, pur accennando più o meno velatamente a qualche esitazione iniziale, hanno espresso loro adesione. Piena approvazione è stata data dall'Australia.

Inaspettata è stata la dichiarazione della Turchia, che ha approfittato del dibattito per sollevare questione della demilitarizzazione degli Stretti, facendo un parallelo, assai poco fondato in diritto e comunque inopportuno, colla situazione relativa alla zona demilitarizzata del Reno. Simon ha immediatamente risposto formulando tutte le sue riserve sulla questione. Non meno fermamente, pur con dichiarazione cortese nella forma, ho tenuto ad affermare le più esplicite riserve del Governo italiano. A tali riserve Lavai si è associato. Qualche parola di appoggio è stata invece pronunciata da Litvinov. La questione è stata sepolta nell'ilarità non dissimulata degli altri membri del Consiglio.

. 37

Analoga sorte è toccata a Litvinov quando ha proposto, in una dichiarazione esplicativa del voto, di precisare che l'organizzazione della sicurezza, alla quale si riferisce il punto due della deliberazione presentata dai tre Governi, riguardava non solo l'Europa, ma anche gli altri continenti. Era un evidente accenno all'Asia. La replica di Simon è stata immediata. Egli ha dichiarato che la portata della deliberazione non poteva essere né allargata né limitata. E poiché Litvinov ha ritenuto di insistere per ottenere una promessa che la questione relativa alla sicurezza degli altri continenti sarebbe stata in avvenire studiata, Simon gli ha risposto seccamente che ora il problema non si poneva. Lavai ed io ci siamo associati alle dichiarazioni britanniche.

Il tono di energia e di solidarietà delle tre grandi Potenze ha caratterizzato la seduta. L'impressione è stata profonda, specialmente tra i giornalisti tedeschi che affollavano i corridoi del Consiglio. Essi non hanno nascosto la loro preoccupazione che quella di oggi sia la prima manifestazione di una tendenza che spinge la Lega ad assumere il carattere di un fronte antitedesco. La seduta è stata chiusa con brevi parole di Lavai per sottolineare l'importanza della decisione e ringraziare il Consiglio.

Tra le personalità di Governo del Consiglio è stata unanime l'impressione, che ha fatto il giro delle varie delegazioni, che la manifestazione di oggi non è un successo della S.d.N. ma un successo personale del Capo del Governo italiano ed il primo risultato della politica da lui fatta trionfare a Stresa.

(l) Il 16 aprile: vedi D. 26.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A TEHERAN, CICCONARDI

T. TT. 3437/38 P.R. Roma, 18 aprile 1935, ore 4.

Telegramma di V.S. n. 40 (l).

. Poiché codesto Ministro degli Affari Esteri aveva dato affidamenti a questo Ministero e a V. S. che occorrendo avrebbe sottoposto questione personalmente allo Scià, prego V. S., prima lasciar cadere definitivamente progettata sostituzione personale R. Marina con personale R. Marina stessa, intrattenerne

S. E. Kazemi.

Concordo con V. S. che non convenga ormai fare ulteriori insistenze, tuttavia sembra occorra chiarire in modo soddisfacente la cosa nell'interesse collaborazione tra i due Paesi, collaborazione che codesto Ministro Affari Esteri a nome Scià ha proposto a Roma intensificare ed estendere; o ve Io desiderassimo, anche con un patto formale (telegramma di questo Ministero

n. 18 (2) con il quale tra l'altro si chiedevano a V. S. osservazioni e suggerimenti).

In particolare pregoLa accertare discretamente se Marina iraniana intenda effettivamente limitarsi sostituire nostro personale militare con personale civile o se non intenda rivolgersi ad altri per personale militare.

Questa Legazione Iran secondo informazioni da essa fornite non ha ricevuto istruzioni provvedere sostituzione personale militare con motoristi Fiat; ma soltanto trattare questa ultima questione che è in via di definizione. Tali istruzioni rimontano a sei mesi fa; con telegramma recente codesto Governo ha chiesto soltanto informazioni sullo stato trattative. Nel fornirle Legazione ha aggiunto rimanere in attesa istruzioni definitive. Questione personale militare dunque non risulta qui pregiudicata.

Dopo conversazione che Ella avrà avuto con Ministro Affari Esteri pregoLa telegrafare se a Suo giudizio atteggiamento codesto Governo nella questione personale R. Marina sia dovuto a ragioni tecniche o presunzione sufficienza oppure se dovesse rispondere ad altri criteri.

(l) -Con il T. 282/40 P.R. del 10 aprile 1935, ore 12,25 Cicconardi comunicava l'intenzione del Ministero della Guerra iraniano di sostituire il personale militare della R. Marina in Persia con personale civile italiano. (2) -T. r. 263/18 R. del 21 febbraio 1935, con il quale Suvich annunciava gli esiti della visita a Roma del Ministro degli Esteri iraniano.
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A KAUNAS, AMADORI

T. 712/6 R. Roma, 18 aprile 1935, ore 15,45.

Dalla Delegazione italiana a Ginevra le perverrà testo della nota collettiva concordata con Governi Francia e Gran Bretagna per questione Memel (1). La S. V. vorrà prendere preventivi accordi con codesti Ministri francese e britannico per presentazione nota codesto Governo.

S. V. vorrà far opportunamente presente che è per iniziativa del R. Governo che nel vo paragrafo della nota è stato aggiunto l'inciso « de la part de tous » al fine di mettere in evidenza che funzionamento Direttorio è subordinato anche collaborazione elementi tedeschi.

In relazione ai propositi di collaborazione manifestati dal Governo lituano nella sua dichiarazione del 5 aprile u.s. la S. V. prospetterà opportunità che atteggiamento Governo lituano sia tale da rendere evidente responsabilità partiti tedeschi per eventuale insuccesso nuovo tentativo di collaborazione (2).

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2142/127 R. Berlino, 18 aprile 1935, ore 19,20 (per. ore 23).

Mio telegramma n. 126 (3). Ambasciatore d'Inghilterra è venuto a vedermi testé e, in aggiunta a quanto mi aveva comunicato brevemente ieri, nÌi disse che von BUlow lo

aveva chiamato all'Auswartiges Amt avendone ricevuto ordine telefonico da Hitler per dirgli, a nome di quest'ultimo, di informare sir John Simon che la mozione presentata a Ginevra era un atto inqualificabile e costituiva una nuova discriminazione contro la Germania che continuava a venire trattata dagli ex avversari a calci e schiaffi. Phipps mi disse che von Biilow si era espresso con lui in termini estremamente sgradevoli e aveva sopratutto protestato contro il metodo secondo il quale le parti in causa potessero erigersi a giudici.

Phipps aveva obbiettato che tra gli Stati rappresentati nel Consiglio S.d.N. la maggioranza, che aveva approvata la mozione, era costituita da neutri.

Von Biilow avrebbe pure accennato alla possibilità che la Germania decida di astenersi, in seguito a quanto avvenne ieri a Ginevra, dal partecipare a qualsiasi discussione circa i noti punti trattati da Simon a Berlino (l).

Phipps precisò che la nota redatta oggi a Monaco di Baviera da Hitler e von Neurath verrà inviata soltanto agli Stati rappresentati nel Consiglio e non a tutti gli Stati.

Mi risulta d'altro canto, a conferma della sensazione comunicata ieri sera a V. E., che alla Reichswehr si è stati ieri molto preoccupati per l'atteggiamento estremamente eccitato assunto da Hitler e che naturalmente si agì in senso moderato. La Reichswehr teme che la presentazione della mozione ieri votata abbia fatto rinascere in Hitler le sue prevenzioni contro la S.d.N., che si erano andate attutendo dopo la visita di Simon a Berlino, in modo da far ritenere prossimo il ritorno della Germania a Ginevra, che la Reichswehr considerava opportuno e utile.

(l) -Vedi D. 14. (2) -Con T. 2153/28 R. del 19 aprile 1935, ore 12,35, non pubblicato, Amadori comunicò di aver consegnato al Ministro degli Esteri la norta collettiva. Per la conversazione avuta, vedi D. 67. (3) -Vedi D. 36.
51

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2161-2164/747-748 R. Addis Abeba, 18 aprile 1935, ore 20 (per. ore 0,15 del 20) (2).

Mio telegramma n. 670 (3).

Sia qui che in provincia, come risulta dalle segnalazioni dei RR. Consoli, si diffondono voci di delimitazioni di confini etiopici all'inizio e durante le piogge.

Confermando mie precedenti comunicazioni, ritengo che Governo centrale, per ora almeno, dovrebbe cercare rimanere nella legalità e non provocare conflitti; gli ordini dati finora dall'Imperatore sarebbero tassativi in questo senso.

Ove, tuttavia, dovessero diminuire le speranze in un intervento della S.d.N., potrebbero rafforzarsi le tendenze di coloro che vorrebbero profittare subito della nostra non compiuta preparazione, piuttosto che attendere che le nostre misure militari siano completate.

In ogni modo, accanto alle disposizioni del Governo centrale, che deve rendersi conto che attaccando farebbe il nostro giuoco e che, anche in base ai consigli di consiglieri stranieri almeno finora tutto fa supporre debba tendere a restare sulla difensiva, occorre tener conto:

l) della mobilitazione già parzialmente in atto;

2) dei concentramenti di truppe già rilevanti a frontiera;

3) dell'intensa propaganda fatta tramite armati stessi a cui si sono fatte intravedere immense ricchezze da predare nei territori delle nostre colonie.

E di conseguenza: a) la difficoltà di tenere sotto le armi inoperosi un sì rilevante numero di armati, specie in difficili condizioni stagionali; b) forse la preoccupazione di intaccare innanzi tempo le risorse di cereali già ammassate; c) infine, date le abitudini di parassitismo degli armati etiopici, il pericolo di malcontenti fra le popolazioni nel territorio delle quali essi ora si trovano.

Esiste quindi già in potenza una seria minaccia: che potrebbe tradursi in atto, anche a breve scadenza, se non altro per iniziativa locale.

(l) -Vedi serie settima, vol. XVI, DD. 779, 802, 811, 816, 817, 824 e 8~2. (2) -La seconda parte del telegramma, trasmessa alle ore 10 del 19, è pervenuta alle 13,30 del 20. (3) -Con T. 1962/670 R. del 9 aprile 1935, ore 18, Vinci esprimeva le proprde considerazioni e suggerimenti circa l'atteggiamento da assumere a GlneVTa dopo la presentazione della nota etiopica del 29 marzo.
52

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2147/42 R. Budapest, 18 aprile 1935, ore 22,20 (per. ore 3 del 19).

Telegramma di V. E. n. 52 (1).

Presidente Gombèis, grato invito che veniva incontro -mi ha detto anche a vivo desiderio Reggente Horthy di uno scambio di vedute Governi Roma e Budapest alla vigilia negoziati di importanza decisiva per Ungheria, mi ha pregato, consultato Kanya, di assicurare V. E. che Ministro degli Affari Esteri è pronto trovarsi Venezia giorno indicato.

Mi ha chiesto al tempo stesso sottoporre S. E. il Capo del Governo sua personale preghiera volergli far conoscere, per norma direttive da impartire a Kanya, quali argomenti E. S. ritenga, «anche in relazione aspirazione ungherese da lui [manifestata] al Duce», dovranno formare oggetto riunione Venezia e Conferenza di Roma (2).

(l) -Vedi D. 40, nota l. (2) -Vedi D. 76.
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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY

T. 717/57 R. Roma, 18 aprile 1935, ore 23.

Telegramma per corriere di V. E. n. 020 del 10 u.s. {1).

Mi compiaccio vivamente per azione svolta da V. E. c per risultati già ottenuti. Continui vigilare perché promesse fattele vengano mantenute ed esprima intanto a codesto Presidente del Consiglio soddisfazione R. Governo per atteggiamento favorevole alla nostra richiesta da lui assunto e che confido verrà mantenuto.

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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2168/046 R. Vienna, 18 aprile 1935 (per. il 20).

Berger, tornato ieri da Ginevra, mi ha intrattenuto stamani circa l'attività da lui spesa colà, e della quale mi ha detto avere già dato ampia notizia a S. E. Aloisi. Tuttavia, ad ogni buon fine, desidero riassumere quello che egli mi ha detto circa un colloquio da lui avuto con Benes.

In tale abboccamento Benes si sarebbe innanzi tutto dimostrato pm che mai deciso ad avvicinarsi il più possibile all'Italia; avrebbe sollecitato la conclusione di precise intese militari fra l'Italia, la Cecoslovacchia, l'Austria, la Jugoslavia, ed eventualmente l'Ungheria (della Romania avrebbe detto non tenerne in alcun conto l'efficienza bellica); avrebbe promesso all'Austria, qualora si fosse pervenuto a dette intese militari, non solo larghe facilitazioni economiche, ma anche l'espulsione degli emigrati socialisti austriaci, nonché il più stretto controllo del linguaggio della stampa ceca, nei confronti sempre dell'Austria; avrebbe tenuto a sminuirne la portata di ogni sua eventuale intesa con Mosca (Berger aveva detto di vederla non senza apprensione), asserendo essere deciso a non andare in nessun caso più in là di quanto non lo sia per fare Lavai e la Francia, e tutto ciò al principale scopo di impedire che l'U.R.S.S., se abbandonata, possa rivolgersi dal lato deJla Germania; avrebbe infine smentito la notizia, pervenuta a Berger da qualche giorno, dell'organizzazione di un centro di aviazione sovietica su territorio cecoslovacco.

Da parte sua Berger si sarebbe limitato piuttosto ad ascoltare. Tuttavia egli mi ha detto avere voluto sollevare due questioni. L'una, in modo diretto, e cioè quella dell'ottenimento della parità di diritti per l'Austria, circa cui

Benes aveva dichiarato di essere in principio favorevole. L'altra, ossia quella asburgica, nei cui riguardi Berger aveva creduto di esprimersi in modo indiretto, nel senso cioè che l'Austria, ormai dimentica di ogni possesso dell'antica Monarchia, è pronta a dichiarare in modo formale di essere completamente paga dei suoi attuali confini verso la Cecoslovacchia e la Jugoslavia.

Benes si sarebbe immediatamente dichiarato soddisfatto; e :mi è sembrato che Berger sia incline a considerare questo generico atteggiamento del suo collega cecoslovacco come un implicito assenso di massima nei rispetti di una eventuale restaurazione asburgica in Austria (sic).

Berger mi ha poi riferito le vive sollecitazioni che Benes gli avrebbe rivolto per un loro incontro a Praga od a Vienna. Egli avrebbe rifiutato tale suggestione, ammettendo la possibilità di un incontro privato nella proprietà del Benes, nei pressi di Tabor. L'idea di Berger è che questo incontro, qualora lo consentisse S. E. il Capo del Governo (1), potrebbe avere luogo dopo il convegno di Venezia e prima della conferenza di Roma.

Berger mi ha infine parlato dei suoi colloqui con Simon e Lavai. Il primo gli sarebbe apparso tutto un altro uomo: più duttile e sovratutto -sotto la probabile pressione di Mac Donald -meglio disposto verso l'Austria e la questione della parità dei diritti; il secondo gli avrebbe parlato con grande compiacimento dei lavori di Stresa, celebrando le benefiche conseguenze della raggiunta cordialissima intesa fra Parigi e Roma.

Ad ogni buon fine aggiungo che Berger, tutte -le volte che ha toccato la parità dei diritti, ha tenuto ad aggiungere che questa parità deve essere intesa nel senso assoluto; volendo così alludere che essa non debba essere subordinata alla fissazione di aJlcun limite qualitativo e quantitativo.

(l) Vedi serle settima. vol. XVI, D. 898.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 719/65 R. Roma, 19 aprile 1935, ore 1.

Telegramma odierno n. 64 (2).

In relazione quesito posto da Berger a Aloisi a Ginevra circa suo incontro con Benes, prego dirgli 'che sta bene. Circa riunione privata fra persone di fiducia dei Ministri degli Esteri delle Potenze convocate conferenza a Roma sembra invece opportuno almeno per ora soprassedere.

(l) -Vedi D. 55. (2) -Il T. 718/64 R. del 19 aprile 1935, ore l, ritrasmetteva a Preziosi il se.guente telegramma di Aloisi da Ginevra (T. 2091/77 R. del 17 aprile 1935, ore 4,20): «Berger pregatomichiedere se V. E. ha nulla in contrario: l) •a che egli incontri Benes non a Praga, ma in una villa di campagna, per cercare di concordare atteggiamento che le due Potenze assumeranno alla Conferenza di Roma; 2) a che vengano allo stesso scopo preparate in una qualunque città Italiana riunioni private fra persone dl Hducia dei Ministri degli Esteri delle Potenze che converranno a Roma •.
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COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON IL VICE CANCELLIERE AUSTRIACO, STARHEMBERG

VERBALE (l). Roma, 19 aprile 1935, [ore 11,30].

II Capo del Governo chiede informazioni sulla situazione austriaca.

II Principe Starhemberg riferisce che nel complesso la situazione politica è migliorata. Tuttavia la propaganda nazi è sempre attivissima, soltanto ha cambiato metodo. Oggi questa propaganda si ammanta di idee pangermaniste. Si dice che l'Austria, facendo una politica di ostilità contro la Germania, tradisce il germanesimo. L'Austria dovrebbe invece essere la testa di ponte per la espansione del germanesimo verso il Danubio e l'Oriente che, quando ci fosse l'accordo tra i due paesi, non incontrerebbe più ostacoli.

II Principe Starhemberg deve ammettere che questa forma di propaganda ha in determinati ambienti più presa di quella che era fatta prima a favore del partito nazional-socialista e usando metodi violenti.

II Capo del Governo chiede quanto l'esercito sia inquinato dal nazismo.

II Principe Starhemberg risponde che gli alti ufficiali che provengono dall'antico esercito austro-ungherese sono sicuri, ma questi vanno scomparendo e bisognerà anzi accelerarne la eliminazione perché questi ufficiali sono troppo vecchi e per le loro condizioni fisiche non sono più adatti ai compiti loro affidati. Purtroppo negli ufficiali giovani ci sono molte infiltrazioni naziste. Ora bisognerà fare le scuole di cadetti per tirare su dei nuovi ufficiali con delle tendenze patriottiche. Sono tutte cose che richiedono un certo tempo.

Su domanda del Principe Starhemberg, il Capo del Governo afferma che la situazione della Germania è molto grave dal lato politico. La Germania va direttamente all'isolamento. Si è alienata l'amicizia dell'Italia. La Polonia oggi dimostra delle esitazioni nella sua politica filogermanica. I tentativi tedeschi in Jugoslavia, dopo l'avvicinamento itala-jugoslavo, sono probabilmente destinati a fallire.

II Capo del Governo domanda qualche chiarimento sulla posizione presa dal Governo e da lui, Starhemberg, in particolare nei riguardi della coscrizione obbligatoria.

Starhemberg risponde che anche in tale riguardo c'è la preoccupazione della diffusione delle idee naziste tra i giovani. Se si prendessero senza scelta i giovani tra i venti e i venticinque anni si verrebbe ad avere un esercito con una fortissima percentuale di nazisti. Per ovviare a questo pericolo egli ritiene che occorra mettere una coscrizione generale (Dienstpjlicht) ma che tra quelli che hanno quest'obbligo bisogna scegliere quanti sono di buoni sentimenti patriottici austriaci. Questo sistema deve essere integrato da una propaganda che dimostri il privilegio e l'onore di servire nell'esercito, cosa che in Austria del resto è abbastanza sentita.

Ma il Principe Starhemberg ripete quanto ha detto in principio, che nel complesso la situazione generale politica è piuttosto migliorata. Dove la situazione è grave è nel campo economico e specialmente nelle campagne. La popolazione industriale, anche fra i lavoratori, sta abbastanza bene, ma le campagne sono trascurate. Ora, quando c'è il malcontento per le condizioni economiche, c'è evidentemente molta maggiore presa da parte della propaganda nazista. Si reagisce in tutti i modi da parte austriaca, ma è un pericolo che non va perduto d'occhio. Secondo Starhemberg ciò in parte è colpa anche della politica della Banca Nazionale austriaca; il Presidente Kienbock è un abile amministratore e un buon finanziere ma non fa una politica di aiuto dell'economia, come oggi sarebbe necessario.

Il Capo del Governo si dichiara disposto a esaminare questa situazione quando verrà a Roma il Ministro Schuller o in occasione di altre trattative economiche.

A proposito della questione monarchica, Starhemberg è sempre di opinione che la cosa non sia attuale. D'altra parte l'Arciduca Otto è molto giovane e subisce troppo, o'ltre l'influenza di sua madre, quella di altre persone che gli stanno intorno e che non hanno nessuna comprensione per la situazione attuale.

Starhemberg ad ogni modo continua nella sua attività propagadistica e anche con buoni risultati. Ultimamente in Tirolo ha avuto l'impressione della utilità di tale sua campagna. Egli non può nascondere al Capo del Governo che la situazione dell'Alto Adige rende molto difficile la propaganda a favore dell'idea austriaca, sia in Tirolo che negli altri paesi della Federazione. Si accusa il Governo austriaco di aver tradito le ragioni culturali dei tedeschi dell'Alto Adige.

Il Capo del Governo ha dichiarato di essere disposto a concedere l'insegnamento privato e le altre facilitazioni per gli alto-atesini in quanto ciò possa giocare all'Austria. Oggi però la situazione in Alto Adige è tale che tutti sono diventati nazisti, particolarmente i giovani, che hon vogliono sentire parlare dell'Austria e che aspettano tutto dalla Germania nazional-socialista. Qualunque concessione oggi in Alto Adige sarebbe interpretata come una debolezza di fronte al nazional-socialismo.

Il Capo del Governo sa che Starhemberg ha capito bene tale situazione e ne ha parlato nei suoi discorsi di Innsbruck. Ha apprezzato molto tali discorsi anche per il coraggio dimostrato da Starhemberg nell'affrontare in pieno tale delicata situazione.

Starhemberg si riserva di ritornare sull'argomento affermando in forma anche più precisa che i guai dei tedeschi dell'Alto Adige sono determinati dalla propaganda nazista.

Venendo a parlare poi del prossimo convegno di Roma per il Patto di non ingerenza, il Principe Starhemberg afferma che egli calcola di ritornare in tale occasione insieme al Ministro Berger-Waldenegg.

Il Capo del Governo vede con molto favore una tale eventualità (1).

(l) Era presente al colloquio Il sottosegretario Suvich, che ha redatto questo verbale il 24 aprile.

(l) Il presente documento reca 11 visto di Mussolini.

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L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2191/023 R. Bruxelles, 19 aprile 1935 (per. il 22).

Nell'atto di ricevere da me la comunicazione ufficiale del testo della dichiarazione itala-britannica di Stresa (l) circa gli obblighi delle Potenze garanti del Trattato di Locarno, questo Primo Ministro mi ha pregato di rendermi intel'prete presso V.E. della sincera riconoscenza del Belgio per avere Ella impresso alla politica delle Grandi Potenze Occidentali una direttiva che sola poteva creare l'atmosfera psicologica adatta, in questi gravi momenti, ad una così efficace conferma degli impegni assunti.

Dalla coscienza, oramai ancor più rafforzata, che il Patto di Locarno sia quello fra gli strumenti internazionali del dopoguerra il quale offre le maggiori prospettive di solidità questo Paese trae infatti la tranquillità che gli è indispensabile per le sue condizioni di vita, particolarmente subordinate al mantenimento della pace, a causa della sua infelicissima ubicazione geografica e della sua economia, che si fonda quasi interamente sulla produzione industriale e sulla libera esportazione.

Tale sensazione di tranquillità avrebbe dovuto essere intensificata dalla condanna, che può dirsi effettivamente unanime (giacché l'astensione della Danimarca ha un valore estremamente relativo), inflitta a Ginevra al Reich dalla Società delle Nazioni.

Dico «avrebbe», perché in realtà, attraverso le linee di qualche giornale e attraverso alcuni giudizi colti qua e là nelle sfere dirigenti, si intuisce una vaga apprensione che la Germania, isolata da tutte le parti e addossata al muro dal suo orgoglio intransigente, compia qualche gesto disperato giocando il tutto per tutto. E allora, addio pace, addio tranquillità, addio prosperità per il piccolo Belgio!

A questo Ministero degli Affari Esteri non si aveva oggi ancora (nell'assenza dal suo posto del Conte di Kerchove che travasi questi giorni in Belgio per un lutto di famiglia) nessun notevole indizio circa le reazioni (e gli eventuali sviluppi delle medesime) prodotte a Berlino dalla sentenza di Ginevra.

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IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2193/013 R. Sofia, 19 aprile 1935 (per. il 22).

Ho fatto a questo Ministro degli Esteri la comunicazione di cui al telegramma n. 30 (2).

Ministro Batolov, il quale, per quanto governo sia dimissionario, continua ad occuparsi del disbrigo degli affari correnti, mi ha detto che ne informerà subito

S.M. il Re e che rispol?ta mi verrà data appena possibile da suo successore (1).

Mi ha messo quindi al corrente della risposta data da S. E. Suvich al signor Pomenov circa portata dell'annunziata prossima riunione a Roma dei rappresentanti degli Stati interessati alla conclusione di un Patto Danubiano, aggiungendo che se nel corso della Conferenza dovesse anche esser trattata questione riarmo, egli pensa che Bulgaria non dovrebbe essere assente per quanto sappia di poter fare massimo assegnamento su vigile e costante cura Governo italiano.

(l) -Vedi D. 27. (2) -Vedi D. 37.
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 19 aprile 1935.

ETIOPIA

Per quanto riguarda Ginevra, la questione ora si presenta nei seguenti termini.

Abbiamo accettato, in principio, fin dal gennaio scorso (2), di regolare l'incidente di Ual-Ual in base all'art. 5 del Trattato del '28. Questo prevede tre fasi: trattative dirette, conciliazione, arbitrato. Abbiamo insistito fino ad ora per le trattative dirette, mentre il Governo etiopico afferma che le trattative dirette sono già state fatte e fallite e che perciò bisogna passare alle ulteriori fasi della conciliazione e dell'arbitrato.

Con l'ultima nota (3) ci siamo dichiarati disposti a procedere alla conciliazione ed all'arbitrato, senza tuttavia chiuderci del tutto la porta per una ulteriore insistenza sulla questione delle trattative dirette.

Come è noto noi abbiamo chiesto di poter confrontare le informazioni che i due Governi possiedono per tentare in questo modo di chiarire la questione delle origini dell'incidente di Ual-Ual.

L'Abissinia è ricorsa a Ginevra una prima volta in base all'art. 11. Nel gennaio scorso appunto, in seguito allo scambio di lettere che accettava il principio dell'art. 5, il Consiglio non si è occupato della gestione ed ha rinviato tutto alla prossima sessione di maggio, lasciando nel frattempo alle parti di seguire la via da loro scelta.

Successivamente l'Abissinia, prendendo pretesto dalle affermate lungaggini del Governo italiano, dall'invio di truppe e dall'arruolamento di operai per i lavori, ha fatto un secondo ricorso alla Società delle Nazioni in base all'art. 15 del Covenant, chiedendo che la cosa fosse discussa nel Consiglio straordinario dell'aprile che aveva all'ordine del giorno soltanto la questione del riarmo tedesco. In seduta privata il Consiglio ha deciso di non iscrivere la questione all'ordine del giorno della riunione dell'aprile, sicché la situazione per il momento

8 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. I

non è mutata. Vengono fatte però fortissime pressioni da tutte le parti perché si proceda oggi nelle trattative con l'Abissinia passando alla nomina dei conciliatori.

Si 'Premette che la conciliazione dovrebbe essere esperita dai quattro rappresentanti; due per ciascuna delle parti, con ciò che, ove tale conciliazione non riuscisse, si passerebbe direttamente all'arbitrato con la nomina del quinto membro del Collegio arbitrale.

Certamente, tanto la conciliazione che l'arbitrato daranno luogo a lunghe discussioni perché da parte abissina si sosterrà che il compromesso deve riferirsi all'incidente di Ual-Ual, a tutti gli altri incidenti, alla questione della delimitazione dei confini, alla questione della delimitazione della zona di frontiera. Da parte nostra si sosterrà che il compromesso deve limitarsi alla sola zona di Ual-Ual.

Queste discussioni ci daranno la possibilità di tirare le cose in lungo. E' vero che nel frattempo l'Abissinia avrà sempre la facoltà di ricorrere alla Società delle Nazioni, sia per le lungaggini della procedura arbitrale, sia per l'insufficienza degli scopi che noi vogliamo assegnare al compromesso facendo valere il pericolo di guerra, ma noi, fino a che durano le trattative per l'arbitrato, avremo sempre una buona ragione per apparci a portare la cosa a Ginevra, sostenendo che appunto tali questioni formano oggetto della discussione dell'arbitrato.

È quindi nostro interesse tirare le cose in lungo per quanto possibile con la questione dell'art. 5 ed arrivare alle rispettive fasi solo all'ultimo momento per evitare la discussione di Ginevra. Però, siccome ad un determinato momento, anche la questione del compromesso dovrà essere risolta, ci troveremo allora in questa situazione: o tutte le questioni, oltre Ual-Ual, saranno rinviate all'arbitrato e quindi ci mancherà la ragione per litigare con gli abissini (questa eventualità non dovrà verificarsi per la nostra opposizione); o l'arbitrato contemplerà solo il caso di Ual-Ual, ed allora per tutte le altre questioni -sopratutto per l'invio di forze militari -l'Etiopia avrà buoni pretesti per ricorrere alla

S.d.N. In tale previsione ci converrà preparare fin d'ora degli altri incidenti piuttosto gravi, incidenti diretti tra noi e l'Etiopia.

Bisognerà risolvere per l'ultimo momento, e cioè per quando saremo pronti ad intervenire per andare a fondo, tutta un'altra serie di incidenti determinati sopratutto da sollevamenti di tribù periferiche etiopiche contro il Governo centrale, che ci diano modo di penetrare nel territorio dell'Etopia per lì poi provocare l'incidente finale.

Nel risolvere la fase attuale della questione relativa all'applicazione dell'art. 5 bisogna evitare che da parte nostra, si dimostri troppa sollecitudine, anche per evitare lo scatenarsi della campagna pacifista che certamente accompagnerà la costituzione del Collegio arbitrale, in quanto con ciò si potrà avere l'impressione che la questione itala-etiopica sia avviata verso una soluzione definitiva pacifica.

Bisogna evitare questa impressione e questa campagna pacifista, perchè tanto maggiore sarebbe poi la reazione nel momento in cui verrà fatta l'azione a fondo.

(l) -Vedi D. 140. (2) -Vedi serie settima, vol. XVI, DD. 404 e 429. (3) -Nota italiana al Governo etiopico del 14 aprile 1935, ed. in Il conflitto italo-etiopico, Documenti, vol. I, Dal trattato di Uccialli al 3 ottobre 1935, MiLano, ISPI, 1936, pp. 189-190.
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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PER CORRIERE 731 R. Roma, 20 aprile 1935.

L'atteggiamento tenuto dal signor Simon a Ginevra il 15 corrente sulla questione italo-abissina (vedi telespresso di questo Ministero n. 212464 del 18 corrente) (l) per molta parte è stato evidentemente determinato dalle esigenze societarie e dalle preoccupazioni parlamentari del Governo britannico, che noi non ci rifiutiamo di comprendere, ma occorre pure riconoscere che il signor Simon è andato molto più avanti che non tutti gli altri membri del Consiglio. Egli è giunto a farsi difensore della tesi abissina (che fosse necessario cioè fissare un termine per la nomina degli arbitri) mentre nello stesso tempo faceva compiere a Roma un passo dall'Ambasciatore Drummond per spingerei ad iniziare al più presto la procedura arbitrale (2).

Se però il Governo britannico non ama come noi vedere complicate le discussioni a Ginevra con le faccende abissine e preferisce giustamente che queste siano trattate direttamente fra gli interessati, non è possibile tuttavia che esso si illuda di vedere presto concluse e risolte tali trattative dirette ed eliminata così ogni causa di conflitto fra l'Italia e l'Etiopia.

n Governo britannico o non ha o non vuole mostrare di non avere una sensazione esatta di quella che è la situazione dell'Italia nella questione etiopica nonché della fermezza del nostro proposito di giungere ad una soluzione definitiva di essa per assicurare stabilmente il prestigio del nostro paese in Africa, la sicurezza e la possibilità di sviluppo delle nostre Colonie.

Mi sembra dunque giunto il momento di dare a codesto Governo una impressione più precisa delle nostre intenzioni allo scopo di non ingenerare equivoci e malintesi che potrebbero in seguito riuscire dannosi.

v. E. si recherà pertanto a visitare il signor Simon e gli dirà da parte mia che, pur rendendomi conto delle sue esigenze e preoccupazioni parlamentari cui ho più sopra accennato, ho dovuto rilevare con vivo rincrescimento che il suo atteggiamento a Ginevra è andato forse al di là delle sue intenzioni e si è risolto in un aperto appoggio alla tesi abissina, appoggio che, conosciuto in Etiopia, non mancherà certo di fomentare le velleità di resistenza di quel Governo e le sue illusioni di poter liquidare coi soliti suoi sistemi i torti che ha verso l'Italia.

Ora anche io voglio sottrarre all'atmosfera di Ginevra la vertenza italaetiopica, ed è perciò che mi sono mantenuto fermo sulla via delle conversazioni dirette e che non mi sono rifiutato all'arbitrato, resistendo al tentativo abissino di saltare a pié pari i mezzi ordinari di conciliazione per far capo direttamente alla Società delle Nazioni. Quello però che bisogna che il signor Simon sappia in modo chiaro è che su questo terreno delle trattative dirette

l'Italia intende mantenersi a qualunque costo, quali che rpossano esserne le conseguenze in caso di fallimento delle trattative stesse. Bisogna in altri termini che il signor Simon si convinca della inutilità di eventuali futuri suoi tentativi per irretirci nella procedura ginevrina, giacché l'Italia non potrebbe mai ammettere l'eventualità di vedere compromessi nelle maglie di questa il proprio prestigio ed il proprio avvenire coloniale. Comprendo perfettamente che il Governo britannico non potrebbe darci a Ginevra che un appoggio relativo per evidenti molteplici ragioni interne ed internazionali, ma tra questo e il favorire la tesi abissina, come è avvenuto il 15 corrente, ci sono dei gradi intermedi.

Il signor Simon d'altra parte non può pensare che dopo essere stati costretti a mettere in completa efficienza militare le nostre colonie noi ci contenteremmo di una soluzione dell'incidente di Ual-Ual all'acqua di rosa ginevrina. Egli deve rendersi esatto conto che per noi la questione trascende i limiti della soluzione più o meno soddisfacente di questo singolo incidente ed -investe in pieno la sistemazione delle nostre colonie confinanti con l'Etiopia, giacché l'Italia intende fermamente dare a queste un assetto che non sia più esposto ai pericoli derivanti dalla situazione interna di uno stato come quello abissino che sotto le apparenze di un'organizzazione politica nasconde la realtà innegabile del disordine e dell'inciviltà.

Ormai su questo argomento occorre parlare in termini meno vaghi e perciò

V. E. nella sua conversazione con Simon, uscendo, di propria iniziativa, dall'ambito dell'incidente di Ual-Ual, dovrà fare intendere al ministro britannico la nostra intenzione assolutamente ferma di non !asciarci arrestare da considerazioni estranee ai vitali interessi coloniali dell'Italia fascista. Non è certo il Governo britannico che può darci delle lezioni in senso contrario come non è certo da Londra che si può consigliare al nostro paese di ritardare ancora !"attuazione di una politica coloniale realistica per cui del resto noi non contiamo che sulle nostre forze e richiediamo soltanto ad una nazione amica come l'Inghilterra quella solidarietà di cui in ogni tempo e in ogni occasione le abbiamo dato prova nelle questioni. europee e anche in Africa per la Somalia inglese. Che questa solidarietà non possa essere limitata al campo dell'Europa è logico ed evidente. Anzitutto essa ha sempre esistito fra noi e la Gran Bretagna in Africa, e tutta la nostra storia coloniale da Kassala all'insurrezione madista sta a provarlo. Ma i risultati di tale azione solidale se sono stati per noi a volte scarsi non lo sono stati altrettanto per l'Inghilterra giacché essa più di noi ne ha tratto vantaggio. Vorrebbe dunque il Governo inglese cambiare ora la sua buona tradizionale politica per tener conto soltanto di «circostanze » parlamentari o ginevrine che hanno assai scarso valore di fronte ai gravi e permanenti interessi delle nostre due Nazioni ed alle quali, ove esistesse un leale accordo fra di noi, si potrebbe porre rimedio, sia pure con qualche difficoltà iniziale?

A Londra non si può né si deve perdere di vista il fatto che, se un giorno, malgrado ogni nostra buona volontà, non sarà più possibile assicurare la pace in Europa, il campo di un deprecabile conflitto non sarà limitato a questa ultima ma si estenderà automaticamente all'Africa dove la Germania mantiene e persegue tutte le sue rivendicazioni, pur ponendole in un piano più remoto di quelle europee. Vorrà dunque il Governo inglese lasciar ferire a Ginevra il prestigio dell'Italia cercando di trascinarla in una discussione sullo stesso piede dell'Etiopia, e vorrà in Africa ostacolarne il legittimo rafforzamento che noi esigiamo, quando così facendo esso agirebbe esclusivamente a futuro vantaggio di quelle forze disgregatrici della pace e della sicurezza europea, al cui indebolimento lealmente collaboriamo?

Questa prima conversazione di V. E. col signor Simon, deve in altre parole, aver lo scopo di togliergli ogni illusione sulla possibilità presente o futura di imporci delle soluzioni ginevrine, e far sì che egli cominci a considerare il vantaggio di porsi al ~Più presto su di un terreno pratico di amichevoli conversazioni con noi anziché perseverare in una più o meno voluta incomprensione tanto delle nostre intenzioni che dei nostri bisogni (1).

(l) -Nun pubblicato: è la rltrasmissione del D. 12. (2) -Vedi D. 23.
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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI

T. PER CORRIERE 732 R. Roma, 20 aprile 1935.

Telegrammi di V. E. n. 033 e 187 (2).

Ho appreso da un telegramma della R. Legazione in .&ddis Abeba (3) che, mentre duravano le discussioni tra V. E. e codesto Governo e mentre quest'ultimo si era dichiarato disposto a prendere nella massima considerazione i ben fondati argomenti politici e giuridici che avevo fornito a V. E. per sostenere la nostra tesi, l'ingente partita d'armi trattenuta per qualche tempo a Gibuti è stata tutta lasciata passare ed è giunta alla capitale abissina.

V. E. vorrà recarsi dal signor Lavai e dirgli a mio nome che se il Governo francese intende lasciar trattare dagli uffici in base alle solite disquisizioni giuridico-amministrative una questione di così grande importanza per l'Italia in questo momento, lo spirito dei nostri accordi di Roma potrà uscirne sminuito e falsato.

Mentre il Governo italiano dava a Stresa tutta la sua più cordiale collaborazione non solo all'opera di pacificazione europea, ma alla tranquillizzazione dell'opinione pubblica francese, a Parigi dei funzionari forse profondi in diritto internazionale, ma certo dotati di assai scarsa sensibilità nella politica generale, hanno permesso che ben 20 mila fucili, quattro milioni di cartucce Mauser e quattrocento mitragliatrici dessero all'Etiopia l'illusione di poter fronteggiare con l'aiuto della Francia le giuste richieste dell'Italia, hanno ravvivato lo spirito bellicoso di quelle popolazioni, con la conseguenza che il conflitto esistente ne potrà venire aggravato e imporci una sola soluzione.

Io mi attendo che il signor Lavai voglia in occasione di carattere politico così delicato porsi al disopra delle formalità burocratiche e delle preoccupazioni parlamentari. Il Gov~rno francese ha saputo tante volte superarle al Marocco e altrove quando i suoi interessi erano in gioco, occorre ora che le superi nell'interesse della rinnovata amicizia franco-italiana, giacché il reciproco leale appoggio su cui questa deve esser basata nelle questioni europee non può tollerare una diversa forma di realizzazione in quelle coloniali.

Attendo che il signor Lavai dica a V. E. con tutta franchezza fino a che punto l'Italia può contare sulla chiusura del transito di Gibuti essendo nostro preciso dovere e fermo proposito di fare quanto possibile per proteggere le nostre colonie e la vita dei nostri soldati (l).

(l) -Per la risposta di Grandi vedi DD. 115 e 134. (2) -Non pubblicati. (3) -Il T. 2000/694 R. dell'l! aprile, non pubblicato.
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI

T. 737/193 R. Roma, 20 aprile 1935, ore 24.

Prego V. E. interpellare codesto Governo se convenga su opportunità o meno che invito Conferenza Roma venga inviato formalmente anche a Governo britannico, tenendo tuttavia presente che a Stresa si è parlato della possibilità che un osservatore britannico, rappresentato da Ambasciatore britannico a Roma, avrebbe seguito lavori conferenza.

PregoLa poi prospettare anche eventualità che lavori conferenza vengano seguiti da un osservatore svizzero. In tal caso potrebbe presentirsi Governo svizzero.

Come è noto protocollo del 7 gennaio venne a suo tempo comunicato a Berna facendo presente che non era stata discussa partecipazione svizzera agli accordi previsti in detto protocollo, malgrado Svizzera sia Paese confinante con l'Austria, solo in considerazione della particolare e tradizionale situazione internazionale della Repubblica elvetica (2).

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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI POLACCO, BECK

APPUNTO. Venezia, 20 aprile 1935.

Il signor Beck si rende conto del punto di vista assunto dalle Potenze Occidentali nella recente fase della politica europea. La Polonia ha voluto chiarire alcuni punti che la interessano da vicino specialmente per quanto

concerne il Patto Orientale, ma non ha voluto dissociare la propria posizione da quella delle altre maggiori Potenze che siedono a Ginevra. A proposito del Patto Orientale mi dice che lo stesso è ormai morto.

Gli chiedo se non pensi che lo stesso, dopo gli accordi franco-russo-cecoslovacchi, possa essere conchiuso nella forma di Patto di non aggressione.

Risponde che ciò può essere, ma la cosa ha tutto un altro significato. Parlandomi della posizione della Polonia mi dice che la stessa deve fare una politica di equilibrio. La Polonia cerca di vivere in pace con i suoi due potenti vicini, ma non avverrà mai che la Polonia possa entrare nell'orbita di uno dei due per fare una politica di fiancheggiamento.

Ho osservato al Ministro Beck che il Capo del Governo ha più volte considerato questa situazione della Polonia osservando che dei due suoi vicini l'uno, la Russia, costituisce un pericolo sociale; l'altro, la Germania, un pericolo militare. Dal primo ci si difende con la polizia, dal secondo con una guerra.

Si viene a parlare della recente fase dei rapporti tedesco-polacchi, in connessione con le elezioni a Danzica ed il Ministro Beck mi dice che egli non ha voluto espressamente reagire alla eccezionale propaganda fatta dai nazi: egli aveva fiducia nella resistenza che avrebbe offerto Danzica e non ha voluto intervenire perché l'insuccesso nazista fosse più evidente. Ha giocato ed ha rischiato prendendosi una grande responsabilità, ma l'esito è stato a suo favore.

Il Ministro appare molto interessato e compiaciuto per il fatto che secondo le informazioni che io gli riferisco, l'insuccesso di Danzica ha avuto un effetto deprimente sullo spirito dei nazional-socialisti.

Gli chiedo dei recenti incidenti avvenuti fra tedeschi e polacchi in territorio danzichese. Egli ha poche informazioni al riguardo ma sa che la cosa non ha importanza. D'altra parte egli deve onestamente riconoscere che nel territorio tedesco, le minoranze polacche sono rispettate.

Si viene poi a parlare dell'Europa Centrale.

Gli chiarisco il punto di vista italiano: riteniamo necessario per la pace e l'equilibrio di Europa che nel Bacino Danubiano la situazione attuale, nelle linee generali, si stabilizzi (salvo le modificazioni di rapporti che possono intervenire fra i singoli Stati danubiani) e vogliamo evitare che la Germania, assorbendo l'Austria e favorita dalle minoranze tedesche che si trovano nei vari Paesi della regione del Danubio, si apra un colossale corridoio per la propria espansione verso Oriente facendo anche una forte pressione su tutti i Paesi vicini. Ad esempio, l'Italia e la Polonia, che oggi comunicano attraverso i Paesi del Bacino Danubiano, domani sarebbero completamente tagliate l'una dall'altra. A tale fine noi abbiamo cominciato con l'aiutare, facendo dei sacrifici non indifferenti, l'Austria e l'Ungheria. Il recente accordo con la Francia ci dà la possibilità di attenderci ulteriori, favorevoli sviluppi nel Bacino del Danubio; la nostra politica di tradizionale amicizia con l'Austria e con l'Ungheria rimane però immutata.

Il Ministro Beck, in linea di massima, concorda con la politica italiana. Mi autorizza a dichiarare esplicitamente al Capo del Governo che la questione dell'Austria non entra nel quadro dei rapporti esistenti tra la Germania e la Polonia. Per quanto poi riguarda l'Ungheria, la Polonia, che nei secoli ha vissuto in buona armonia con questo Paese, è anche oggi disposta a favorirlo nei limiti delle sue possibilità; è particolarmente favorevole, la Polonia, alla tendenza italiana di cominciare col rilevare le sorti dell'Austria e dell'Ungheria.

Dico al Ministro Beck che noi contiamo di avere la collaborazione della Polonia nella prossima riunione di Roma per il Patto di non ingerenza. Il Ministro polacco risponde che la Polonia interverrà molto volentieri, ma, come si sa, fa dipendere la propria adesione da quella dell'Ungheria.

Si passa poi a parlare dei rapporti fra i due Paesi, oltre che politici, economici e culturali. A proposito di questi ultimi il Ministro Beck mi dice del grande interessamento della Polonia per tutto quanto è cultura italiana, cultura che ha messo radici nel suo Paese parecchio tempo prima di quella francese.

In un successivo colloquio nel pomeriggio, il Ministro Beck mi ha pregato di informarlo, nei dettagli, della situazione austriaca. Ho corrisposto al suo desiderio. Il Ministro Beck ha l'impressione che l'Austria possa resistere.

(l) -Per la risposta vedi D. 105. (2) -Con suceessivo teleg,ramma del 21 aprile (n. 739/197 R.) Suvieh agg1ungeva: «In relazione al punto n. 3 della risoluzione Stresa relativa alla Conferenza da riunire a Roma per gli Accordi relativi all'Europa Centrale, prego v. E. voler interpellare codesto Governo se gli inviti stessi saranno da diramare anche a nome del Governo francese. Circa la data, tenendo conto che il Consiglio della Società delle Nazioni si riunisce il 20 maggio, occorrerebbe spost,are !'.inizio della Conferenza. Da parte nostra proporremmo lunedì 3 giugno». Per la risposta di Pignatti vedi D. 100.
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COLLOQUIO DEL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 20 aprile 1935.

Nel corso della conversazione che ha seguito la consegna della nota di protesta del Governo del Reich, questo Ambasciatore di Germania ha manifestato speciale interesse per la Conferenza degli Stati Danubiani di Roma.

Ho l'impressione che la vresa di posizione annunziata nella protesta di ieri (1), e le discussioni che ne seguiranno, hanno per obiettivo invece di stabilire la situazione tedesca di fronte ai problemi che si discuteranno a Roma (2).

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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A TIRANA, INDELLI

T. PER CORRIERE 3620 P. R. Roma, 22 aprile 1935.

Suoi telegrammi 38, 40 e 41 (3). Il R Governo è disposto a fare a quello albanese nel campo finanziario le seguenti concessioni:

l) Creazione di un Istituto di Credito Agricolo con un capitolo di cinque milioni di franchi oro ed un prestito di dieci milioni di franchi oro de

stinato sviluppo agricolo dell'Albania ,con le modalità indicate per ambedue le opemzioni nel promemoria allegato al telespresso ministeriale 22 gennaio

n. 202199/35 (1). Il prestito dovrebbe essere ripartito in cinque anni, corrisposto metà in contanti e metà in attrezzi e materiale, e rimborsabile in cinquanta anni con l'interesse dell'uno per cento. Interessi e quote d'ammortamento dovrebbero essere garantiti sui proventi dell'AIPA. (Si ritiene opportuno stabilire tale interesse e tali garanzie anche per dare all'operazione carattere commerciale, corrieRe Zog mostra di desiderare). Quale contropartita della creazione di un Istituto di Credito Agricolo e di tale prestito il R. Governo chiede la concessione trentennale della gestione del Porto di Durazzo a società ita-liana; gestione che -è bene subito farlo notare -rappresenterà dal punto di vista finanziario una non indifferente passività. Inoltre esercizio da parte di una società italiana, e quindi la presenza di tecnici competenti, assicurerà a codesto Governo il vantaggio di una gestione proficua ed efficace.

2) Prestito gratuito fino alla concorrenza di tre milioni di franchi oro per somma che competenti amministrazioni albanesi, d'accordo con nostri tecnici, riterranno necessario per istituire servizio Monopolio di Stato Tabacchi, alle condizioni indicate mio telegramma n. 35 (2) (rimborsabile in dieci anni, garantito sui proventi del monopolio stesso); come contro partita si richiede l'accettazione delle tre domande dell'A.I.P.A.: a) nuova concessione di Berat; b) proroga seconda convenzione 1926; c) proroga al 1936 della costituzione società sfruttamento).

3) Concessione a fondo perduto della somma necessaria per risanamento bilancio. Tale somma verrà fissata di comune accordo, in base alle ultime statistiche ufficiali, da competente amministrazione albanese e nostro organizzatore Finanze; tuttavia questo Ministero non intende allontanarsi troppo dalle cifre indicate dal Comm. Merlino e riportate nel promemoria rimesso brevi manu dalla S.V. nel dicembre scorso (3); va quindi tenuto conto e della parte esigibile dei crediti che attualmente ha il Governo albanese e della cessata necessità di ricostituire il fondo per la Banca Agricola le cui funzioni sarebbero assorbite ora dall'erigendo Istituto di Credito Agricolo. Sulla somma di cui trattasi questo Ministero tratterà ammontare complessivo dei crediti che ditte e privati italiani vantano verso Governo albanese che verrebbero pagati direttamente. Naturalmente i tre milioni già versati verrebbero conteggiati in tale partita.

4) ConcessiOne della somma necessaria per la liquidazione delle pendenze relative al prestito decennale (pagamento mandati in sospeso, proseguimento dei lavori già iniziati e che non potrebbero essere abbandonati senza danno, pagamento eventuali riserve riconosciute fondate ecc.) conformemente

alle proposte contenute nel promemoria di codesta Legazione e valutabile approssimamente a 1.250 mila franchi oro.

È implicita e connaturata alla stipulazione di questi accordi la cessazione da parte del Governo albanese di ogni sua eventuale .pretesa derivante dagli accordi del 24 giugno 1931, sia per quanto riguarda le annualità maturate che per quelle future; cessazione che ad ogni modo dovrà risultare dagli atti da concludere. Nessun dubbio deve restare su questo punto come su quanto riguarda la completa esecuzione della soluzione concordata per le scuole confessionali nei termini indicati nel Suo telegramma n. 38. Inizio vari versamenti avrà luogo solo dopo che saranno stati presi i diversi provvedimenti relativi alle contropartite da noi richieste. In occasione stipulazione detti accordi sarà altresì necessario regolare definitivamente posizione nostri organizzatori civili.

Per quanto concerne la SVEA, la S.V. -dopo aver preso atto che anche nell'attuale bilancio come in quello decorso sarà stanziato una somma per il servizio del prestito SVEA -potrà comunicare a Re Zog che la questione sarà da regolarsi direttamente tra Governo albanese e rappresentanti Società e che regolamento dovrà portare effettivo pagamento delle somme stanziate; che naturalmente R. Governo si adopererà per indurre SVEA a venire incontro più che sia possibile a richieste albanesi; che a tale scopo sarebbe opportuno che negoziati con SVEA abbiano luogo subito dopo concluso accordo con

R. Governo.

Per quanto riguarda piano riorganizzazione e finanziamento esercito, prima di esprimere giudizio definitivo occorrerà conoscere tutti possibili dettagli onde poter sottoporre progetto a competenti organi militari.

Questione commerciale dovrebbe invece rimanere fuori degli accordi finanziari. R. Governo è disposto a che complesso rapporti commerciali sia regolato (successivamente ad accordi finanziari) con nuovo trattato di commercio che si ispiri a criteri analoghi a quelli del vigente trattato italaungherese. Nel frattempo si potrebbero acquistare in Albania alcune partite di merci a prezzi remunerativi se ciò appaia realmente utile per sollevare mercato albanese e non arrechi troppo danno a nostra economia.

Invece per quello che riguarda la costituzione di un istituto privato monopolizzatore degli scambi commerciali itala-albanesi sul genere di quello proposto .dal gruppo barese, e con riserva di tornare sull'argomento, tenga presente che questione appare in ogni c2.so prematura per varie ragioni.

Prego la S. V. di continuare a riferire dettagliatamente circa scambi di vedute che avrà con Re Zog sulle varie questioni oggetto del presente telegramma che ritengo Le fornisca utili elementi di negoziato, consentendo concessioni che assicurano a Governo albanese mezzi per mettere ordine nel proprio bilancio e nella propria economia; e mi compiaccio intanto con V. S. per l'opera da Lei svolta affine di assicurare una progressiva soddisfacente sistemazione dei rapporti tra i due Paesi (l).

(l) -Vedi D. 50. (2) -Il presente documento reca !l visto di Mussol!nl. (3) -Vedi DD. 6, 16 e 17. (l) -Non pubblicato. (2) -T. 3071/36 P.R. dell'B aprile 1935, ore 2, non pubblicato. (3) -Non rinvenuto.

(l) Per la risposta di Indell! vedi D. 179.

66

L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. P. Roma, 22 aprile 1935.

Ho avuto istruzioni dal mio governo di portare ufficialmente a conoscenza del Governo italiano una conversazione che il Consigliere dell'Ambasciata di Germania a Londra ha avuto al « Foreign Office » il 17 aprile sul progettato Patto aereo.

Dato il carattere della traccia del colloquio che mi è stata inviata, ritengo preferibile fare questa comunicazione con una lettera a Lei indirizzata.

Il Principe Bismarck domandò quale significato avesse il riferimento agli «accordi bilaterali che possono accompagnare» il Patto aereo. Gli fu detto, in risposta alla sua domanda, che non esisteva ancora un quadro generale del Patto aereo. Il Governo di S. M. aveva in proposito le proprie idee che erano quelle che il Ministro degli Affari Esteri di S. M. aveva esposto a Berlino. Il Cancelliere tedesco aveva parimenti le proprie idee. Il Governo francese aveva le proprie idee, e i governi italiano e belga avevano anche esposto alcune idee all'inizio della primavera. Non vi era però per il momento alcun quadro generale o un progetto comune; questo presumibilmente avrebbe dovuto essere tracciato dalle cinque Potenze di comune accordo. Finché non vi era un quadro generale, nessuno può dire se tali accordi bilaterali siano necessari o meno.

Il Principe Bismarck domandò poi quale sarebbe stato il contenuto degli accordi bilaterali. Gli fu risposto che finché non vi era un quadro generale del Patto aereo, era impossibile dirlo. Gli fu tuttavia ricordato quello che sir John Simon aveva detto al Cancelliere germanico circa la posizione del Regno Unito e dell'Italia nel Patto aereo e fu rilevato che lo stesso Cancelliere aveva fatto su questo punto alcuni commenti. Ma era impossibile dire, al momento attuale, se un accordo bilaterale si sarebbe reso necessario o meno. Forse la questione sarebbe stata prevista in qualche clausola dell'accordo, forse no. Ma tutto questo era soltanto congettura.

Il Principe Bismarck allora disse che aveva letto nella stampa che vi sarebbero stati degli accordi militari bilaterali. Egli citò un articolo del Daily Herald del 17 aprile e domandò se era vero che il Governo britannico e il Governo francese, o il Governo italiano e il Governo francese stavano già negoziando accordi militari. Il Principe Bismarck fu informato che, per quanto riguardava il governo di S. M., questo non era affatto vero.

Il Governo di S. M. britannica non poteva naturalmente rispondere per quanto concerne il Governo francese e italiano, ma esso certo ignorava che un siffatto negoziato fosse sul tappeto.

Gli fu inoltre detto che l'articolo non rispecchiava le opinioni del Governo di S. M. la cui finalità era un accordo a cinque. Il Principe Bismarck domandò allora se vi era qualche cosa di celato dietro il comunicato di Stresa. Gli fu detto che non era nelle abitudini del

Governo di S. M. di nascondere le proprie azioni. Il comunicato dice la verità di quello che è avvenuto. Il Principe Bismarck domandò infine se era stata stabilita qualche cosa . a Ginevra in proposito. Gli fu detto che il Foreign Office non aveva ricevuto al

riguardo alcuna informazione.

Spiegazioni simili sono state date al Governo belga.

Il Governo francese è stato anche informato della conversazione col Prin

cipe Bismarck sopra riportata.

67

IL MINISTRO A KAUNAS, AMADORI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2209/29 R. Kaunas, 23 aprile 1935, ore 19,56 (per. ore 23,45).

Questo Ministro degli Affari Esteri mi ha detto oggi in conversazione di carattere personale:

l) Governo lituano per le feste correnti e per assenza Presidente del Consiglio non ha potuto ancora prendere in esame nota collettiva Potenze firmatarie (l);

2) probabilmente Presidente attuale Direttorio, signor Bruvelaitis, continuerà sue proposte di collaborazione ai partiti tedeschi;

3) prevedo che queste proposte si incontreranno in un rifiuto tedesco.

Ho replicato al Ministro che proposte Lituania di collaborazione devono

avere carattere urgente, attuabile e pubblico per essere persuasive per le Po

tenze.

Osservo intanto che Governo lituano, affidando i nuovi tentativi collabo

razione al Presidente attuale Direttorio, dimostra volere conservare ai lituani

presidenza qualsiasi Direttorio per tenere in mano tutto il lavoro legislativo e

amministrativo.

Governo lituano considera per situazione generale oggi attenuato il peri

colo di una azione germanica a Memel e giudica più calmi i rapporti tedesco

lituani, pur continuando a non accettare la formula inglese di concessioni so

stanziali Lituania a Memel contro eventuale impegno di non aggressione da par

te Germania, e pur riconoscendo indebolita propria posizione per sospensione

accordo Russia, Francia e Piccola Intesa, e per ripresa dei contatti tra Polonia

Francia e Italia.

Perciò Governo lituano intenderà tuttora insistere in proposte di colla

borazione che i tedeschi giudicheranno inaccettabili ed intanto arrivare al 4

maggio, giorno in cui scadono poteri Dieta attuale.

(l) Vedi D. 14.

68

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI

T. 746/39 R. Roma, 23 aprile 1935, ore 24.

Trasmetto a V. E. con prossimo corriere riassunto colloquio avvenuto Milano con Rustu Aras (1).

Per norma di V. E. La informo intanto che è stato deciso soprassedere a negoziati per Patto Mediterraneo Orientale in attesa sviluppo e chiarimento situazione relativa Patto non ingerenza.

ALLEGATO

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI TURCO, RUSTtJ ARAS

APPUNTO. Milano, 13 aprile 1935.

Il sig. Tewfik Rustu Aras mi chiede delle decisioni di Stresa. Gli rispondo che le Potenze sono d'accordo sulla necessità di una parola di condanna per la Germanta. Rustu Aras pensa che egli potrebbe utilmente intervenire per ceroare di facilitare la ripresa di trattative con la Germania. Gli dico che ormai le deliberazioni di Stresa sono fissate e sono ormai definitive. Domattina saranno letti i testi e pubblicati: non vedo quindi che cos'altro ci sia da fare.

v,enendo a parlare dei rapporti diretti fra i nostri due Paesi, il Ministro turco mi dice che l'accordo itala-francese e il conseguente avvicinamento con la Jugoslavia hla sptanato la via alla possibilità di nuovi sviluppi della politica comune italo-turca nei Balcani e nel Mediterraneo Orientale.

Si viene quindi a parlare del progetto di patto per il Mediterraneo orientale. Ricordo a questo proposito al Ministro Rustu Aras che il primo accenno è stato fatto da parte turca. Raccolto dal nostro Ambasctatore (2), il Capo del Governo aveva dichiarato di essere favorevole ad una fusione in un solo patto dei tre accordi fra Italia, Grecia e Turchia, ed al rafforzamento dello stesso (3). Oiò il Capo del Governo faceva sopratutto per tr,anquillizzare certe apprensioni turche delle quali noi d'altronde non avevamo mai compreso l'origine e la ragione.

Il Ministro turco osserva che ormai la cosa è superata: qualunque nube è scomparsa dall'orizzonte italo-turco. Egli ha proposto un allargamento del patto italo-turco-greco anche alla Jugoslavia e alla Romanta, col che sarebbero nel patto le quattro Potenze dell'accordo balcanico (4).

Gli rispondo che si era esaminata tale sua proposta e non si era esclusa la possibilità di estendere, al momento opportuno, il Patto del Mediterraneo orientale anche alla Jugoslavia; ci pareva invece che r.on fosse il caso di arriv,are alla Romania, cioè al Mar Nero, il che avrebbe importato la inclusione di altri Stati cìoè Bulgaria e forse anche U.R.S.S. (5).

Tewfik Rustu Aras risponde che non ha nessuna contrarietà per la Bulgaria ma crede che l'U.R.S.S. non abbia mai considerato la eventualità di entrare in questo patto. Egli tiene alla Romania perché vuole vincolare la Turehia ad un sistema di patti che facciano capo alla intesa itala-francese; vuole evitare che la Turchia possa entrare in guerra, domani, a fianco della Germania, ed oggi è perfettamente libera di farlo. La Jugoslavia e la Romania gli servono come punto di sutura verso H sistema centro-europeo per la difesa dell'Austria. Fa capire anche la convenienza che ci sarebbe ad avere la Turchia nel Patto di non ingerenza.

A questo proposito gli osservo che l'idea sarebbe di non estendere il patto oltre i paesi direttamente nominati nel processo verbale. Perché una estensione troppo spinta di questo patto ne snaturerebbe il carattere.

Tewfik Rustu Aras afferma che t1ra il Patto danubiano e il p,atto del Mediterraneo orientale egli tiene più a questo secondo perché esso è il vero compo di azione della Turchia.

Si rimane d'accordo di soprassedere ad ogni negoziato relativo al Patto del Mediterraneo orientale, fino a che si sarà visto quale sia la sorte e quale forma prenda il Patto di non ingerenza.

(l) -Vedi Allegato. (2) -Vedi serlie settima, vol. XVI, D. 527. (3) -Ibid., D. 600. (4) -Ibid., DD. 656, 657.

(5) Ibid., D. 827.

69

IL MINISTRO AD ATENE, DE ROSSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2228/051 R. Atene, 23 aprile 1935 (per. il 26).

Mio telegramma n. 121 (1).

Questo Capo di Gabinetto Ministro degli Affari Esteri, cui accennavo come recente comunicato Consigli Permanenti Intesa Balcanica-Piccola Intesa fosse stato concepito in termini molto vicini allo spirito che ha animato riunioni Stresa e come esso non possa che efficacemente contribuire al chiarimento situazione Stati minori interessati riarmo, mi ha detto che nonostante tale comunicato e chiarimenti che io avevo fornito a questo Ministro degli Affari Esteri, Grecia rimane preoccupata eventuale piega che possono prendere avvenimenti in seguito al riarmo sopra tutto Bulgaria.

Gli ho replicato che invito pervenuto da Stresa agli Stati minori ha evitato ogni semplificazione in quanto tanto Bulgaria che gli altri Stati interessati, invece seguire esempio Germania adottando straordinaria procedura che questa Potenza ha voluto seguire, saranno costretti ad esaminare questione riarmo nel quadro degli accordi regionali di sicurezza.

Aggiungeva che Grecia ha dietro di sé una serie di tali accordi, per non parlare del Patto Balcanico, che dovrebbero costituire efficacissima garanzia contro ogni minaccia proveniente dal riarmo.

Capo di Gabinetto ha replicato che, ad onta tali circostanze, opinione pubblica ellenica è convinta che da Stresa sono venute preoccupazioni che diversamente avrebbero potuto, se non altro, essere rimand2t2. Paese è troppo angosciato dalla dura situazione interna da potersi seriamente rendere conto della necessità di riorganizzare difesa del Paese, eventualità che il Governo greco è adesso costretto affrontare.

Ho ribattuto che, senza i chiarimenti di Stresa, Grecia avrebbe potuto capitare trovarsi all'improvviso di fronte una situazione simile, situazione che, invece, essa oggi ha tutto il tempo di esaminare con calma e d'ac,cordo con gli altri Stati interessati.

Esso non è apparso persuaso e di tale avviso sono peraltro queste sfere dirigenti, sulle quali, evidentemente, ha facile presa atteggiamento che ha adottato al riguardo Rushdi Bey.

Passando a parlare, viceversa, della richiesta turca di riarmo Stretti, egli soggiungeva che richieste turche non possono essere scartate a priori come pare che abbia voluto fare Ministro degli Affari Esteri britannico.

Senza volergli ricordare come sia labile la memoria ellenica, ho fatto presente come riarmo degli Stretti è stato stabilito a Losanna di fronte a una Turchia vittoriosa e come situazione questo Stato sia sostanzialmente diversa da quella degli altri che domandano riarmo.

Dalla risposta che egli mi ha dato mi è parso comunque di poter concludere che Turchia ha presentito Governo ellenico della sua richiesta di riarmo degli Stretti e che questo si è dichiarato disposto ad appoggiarla.

(l) Vedi D. 19.

70

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO (l) . Roma, 23 aprile 1935.

Come l' E.V. sa, il Comm. Vitetti ed il Comm. Guarnaschelli hanno avuto a Stresa conversazioni di carattere amichevole e confidenziale con il Signor Thompson, incaricato degli affari d'Etiopia al .F'oreign Office (2). In queste conversazioni, giusta le istruzioni ricevute, è stato messo in rilievo che l'andamento dei rapporti itala-etiopici e considerazioni di carattere politico generale costringono l'Italia ad affrontare il problema etiopico in modo da giungere ad una definitiva soluzione, che comporti il raggiungimento della « sicurezza » per le nostre colonie dell'Africa Orientale, e che implichi nel contempo la possibilità di far procedere sulla via della civiltà e del progresso economico la regione etiopica, ancora in condizioni così inferiori a quelle deHe colonie europee che la circondano. Sono state indicate anche varie ragioni per dimostrare che l'interesse di sviluppare la civiltà e l'economia di detta regione non è soltanto interesse italiano, ma anche interesse britannico e francese. Analogamente sono state esposte considerazioni di carattere umanitario che inducono a sottrarre quelle popolazioni dallo stato di barbaro asservimento e talvolta di schiavismo in cui si trovano. Infine è stato accennato alla richiesta tedesca ormai ufficialmente avanzata di raggiungere la parità anche nel campo coloniale ottenendo dei territori in Africa. L'Italia non potrebbe ammettere che siano restituite alla Germania le ex-colonie tedesche oggi sotto mandato britannico o francese (sull'eventuale ri

distribuzione delle quali l'Italia vanta un indubbio diritto di precedenza), e non ritiene d'altra parte probabile che le aspirazioni coloniali tedesche possano trovare sbocco in altre colonie africane di Stati europei. L'Italia deve quindi preoccuparsi della possibilità di un incremento della già affermatasi influenza tedesca nell'Impero etiopico, lo sviluppo della quale potrebbe condurre ad una pratica manomissione della indipendenza di quello Stato africano. Evitare il pericolo che la Germania estenda in Etiopia la sua influenza non è però soltanto interesse italiano, ma anche interesse britannico e francese.

Avendo il Signor Thompson detto che non è agevole alla mentalità britannica di considerare dei problemi con una visione lontana del futuro e che è piuttosto tradizione della politica inglese di regolarsi a mano a mano che tali problemi si pongano sul tappeto, gli è stato replicato che il problema etiopico deve ormai considerarsi non come problema che si prospetta in un avvenire, più o meno lontano, ma come questione già in atto nel momento attuale, e la cui soluzione non potrebbe tardare.

Senza poi dichiarare esplicitamente al Signor Thompson (giusta le istruzioni stabilite) la determinazione dell'Italia di agire quanto prima militarmente in Etiopia, gli è stata data la sensazione che ogni giorno di più l'atteggiamento etiopico e la forza delle circostanze portano ormai ineluttabilmente ad una soluzione radicale del problema.

Il Signor Thompson, in successivi colloqui, ha detto di aver fatto conoscere al Signor Vansittart quanto gli era stato esposto circa la questione, e che il Signor Vansittart ne era rimasto preoccupato. Il Signor Vansittart avrebbe osservato che la situazione generale europea non consigliava di risolvere prossimamente il problema etiopico, con un'azione di forza, la quale avrebbe inevitabilmente ripercussione sulla posizione politica e sulla efficienza militare dell'Italia in Europa: il che era interesse non solo italiano, ma anche francese e britannico, che non avvenisse. Imprese coloniali del genere sono di lunga durata, implicano l'impiego di mezzi militari rilevanti, e costringono ad uno sforzo finanziario cospicuo. Nell'opinione britannica, l'Italia non poteva evidentemente sottrarvisi. Il Signor Thompson si rendeva conto della delicatezza dell'argomento.

E' stato risposto al Signor Thompson che il Governo italiano aveva avuto ben presenti anche questi aspetti del problema; e che non era il caso che la Gran Bretagna se ne preoccupasse; erano state fatte anche dichiarazioni pubbliche in proposito. Ad ogni modo la cosa rientrava se mai in un campo più vasto di politica generale europea che sfuggiva alle presenti conversazioni. Il Signor Thompson ha osservato che il signor Vansittart si proponeva di intrattenere al riguardo S. E. Suvich. Ciò che non risulterebbe sia stato fatto.

Nel corso dei colloqui, il Signor Thompson ha inoltre confermato che è già stato iniziato a Londra, da parte di apposito Comitato di esperti, lo studio degli interessi britannici in Etiopia, nonché l'esame dell'interpretazione da darsi all'Accordo 'T'ripartito del 1906 e agli altri Atti Internazionali relativi all'Etiopia. A tale proposito, egli ha accennato alla tesi che, secondo gli esperti giuridici del Foreign Office, l'Accordo 'T'ripartito è un accordo che impegna le Potenze contraenti a mantenere l'indipendenza e l'integrità dell'Etiopia. Gli è stato replicato che l'Accordo 'T'ripartito ha prevalentemente contenuto politico, e prevede il coordinamento degli interessi italiani, britannici e francesi ai fini tanto della pacifica convivenza coll'Etiopia, quanto, ove essa si dimostri di impossibile attuazione, della spartizione dell'Etiopia stessa. In ciò l'Accordo Tripartito è analogo ad altre intese, intercedute fra Potenze europee per lo stabilimento di possessi coloniali in Africa, e l'Inghilterra sa bene come queste abbiano trovato utile applicazione per essa. Il Signor Thompson ha detto che non condivideva tale apprezzamento.

Nel corso delle conversazioni, e rispondendo ad un accenno fatto a titolo ·personale dal Signor Thompson, si è confermato che -come già l'Italia si era intesa con la Francia per precisare e coordinare i reciproci interessi in Etiopia per ogni eventualità futura -era desiderio italiano che ad un analogo chiarimento si giungesse con la Gran Bretagna. Le aperture già fatte al riguardo dalla R. Ambasciata a Londra al Foreign Office e le conversazioni che si avevano con lui dimostravano ~punto come da parte nostra si fosse desiderosi di giungere ad una precisazione degli interessi italiani e britannici in Etiopia, e ad un loro coordinamento, in modo da evitare in qualsiasi eventualità futura la possibilità di incidenti e di frizioni. Da parte nostra si intendeva anzi porre bene in chiaro che ogni possibilità era stata da noi tempestivamente offerta al Governo britannico per giungere con il Governo italiano ad un'intesa chiarificatrice che valesse ad eliminare nel futuro ogni possibilità di urti fra interessi italiani e britannici in Etiopia.

Dal complesso dei colloqui, sembra potersi ritenere che, pure essendosi verificato da parte del Foreign Office qualche progresso nel considerare l'eventualità di giungere con l'Italia ad intese circa l'Etiopia, non è ancora entrato nella mentalità dei funzionari britannici il convincimento dell'opportunità che a tale intesa si pervenga. Allo stato attuale dei contatti e delle conversazioni se ne deduce che la Gran Bretagna non appare finora disposta ad assumere un atteggiamento preciso; che anzi si mantiene sostanzialmente contraria ad una nostra azione di forza in Etiopia, e intenderebbe regolare giorno per giorno la sua politica a seconda delle contingenze del momento ed in relazione agli sviluppi della situazione politica generale in Europa. Ciò che evidentemente non va; e conviene invece di portare il Governo britannico ad assumere altro atteggiamento più conforme ai nostri interessi (1).

(l) -Buti ha redatto quest'appunto rielaborando in alcune frasi un promemoria sulle conversazioni con Thompson presentatogli da Guarnaschelll in data 19 aprile. (2) -Vecti D. 71.
71

IL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA A LONDRA, VITETTI, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI

APPUNTO. Londra, 23 aprile 1935.

CONVERSAZIONI DI STRESA PER LA QUESTIONE ETIOPICA (11, 12 E 13 APRILE 1935)

Come era stato concordato con il Foreign Office, il Comm. Guarnaschelli ed io abbiamo avuto a Stresa con il Signor Thompson uno scambio di idee sulla

9 -Documenti diplomatici -Serle VJ:II -Vol. I

questione etiopica. Oggetto principale dei nostri colloqui è stato lo studio degli interessi britannici nell'Ogaden, e in particolare la questione dei diritti di pascolo delle tribù della Somalia britannica, questione che era stata già più volte discussa a Londra tra il Signor Thompson e me, e alla quale il Colonia! Office attribuisce una speciale importanza. Sulla scorta di un documento preparato

. appunto dal Colonia! Office, il Signor Thompson ci ha esposto le preoccupazioni del Governo britannico sulle nostre attività e sulle nostre intenzioni, e noi abbiamo potuto dargli spiegazioni e assicurazioni, che hanno chiarito in maniera esauriente la nostra posizione, e che il Signor Thompson ha trovato di sua piena soddisfazione. Questi chiarimenti sono stati tanto più utili ed opportuni, in quanto le preoccupazioni del Colonia! Office erano fondate sopra una interpretazione veramente arbitraria della nostra politica nell'Ogaden, e sopra il convincimento -almeno così è sembrato a noi -che le nostre autorità coloniali mirassero a privare le tribù della Somalia britannica dei loro diritti. Noi abbiamo assicurato il Signor Thompson che questo non era affatto nelle nostre intenzioni, e che non solo noi eravamo determinati a rispettare i nostri impegni per quello che riguardava i territori soggetti alla nostra sovranità, ma eravamo desiderosi di rispettare tali impegni anche per i territori che avessimo eventualmente acquistato dall'Etiopia.

Messo il problema su queste basi siamo venuti a parlare con il Signor Thompson delle nostre intenzioni nei riguardi dell'Etiopia, dei nostri accordi con la Francia, e del nostro desiderio di procedere ad uno scambio di idee con l'Inghilterra, per uno sviluppo armonico degli interessi dei due paesi in Etiopia.

Il Signor Thompson ci ha informato che, in seguito ai passi fatti dalla R. Ambasciata alla fine di gennaio, e della nostra offerta di procedere a un chiarimento degli interessi reciproci dell'Inghilterra e dell'Italia in Etiopia, era stata costituita una Commissione Interministeriale, che, sotto la presidenza di Sir John Maffey, avrebbe dovuto esaminare e determinare la natura e l'estensione degli interessi britannici in Etiopia, in relazione appunto ai fini da noi indicati nelle nostre comunicazioni al Foreign Office. Tale Commissione si era già riunita e aveva iniziato il suo lavoro. Le spiegazioni e assicurazioni che il Comm. Guarnaschelli ed io avevamo date sarebbero state portate a conoscenza della Commissione. Intanto egli, Thompson, teneva a dirci che egli era rimasto soddisfatto dei nostri colloqui, e riteneva che il nostro scambio di idee avrebbe molto contribuito a calmare le inquietudini del Colonia! Office.

Il Comm. Guarnaschelli ed io abbiàmo da parte nostra tenuto a mettere in rilievo che l'Italia non intendeva in alcun modo pregiudicare gli interessi dell'Inghilterra. Riferendomi alle conversazioni avute con lui lo scorso gennaio (1), ho ricordato a Thompson che il nostro desiderio era di giungere a un accordo anglo-italiano della natura stessa di quello concluso con la Francia, e sulla base dell'Accordo Tripartito. Lungi dal voler contestare o indebolire i diritti e gli interessi dell'Inghilterra, noi volevamo venire a una precisazione di tali interessi e di tali diritti, in modo che quale che fosse l'avveni're dell'Etiopia la pòsizione dell'Inghlterra fosse pienamente salvaguardata. Allo stesso

tempo noi non potevamo nascondere al Governo britannico che era intenzione dell'Italia di giungere, in una maniera o nell'altra, a una risoluzione definitiva della questione abissina, e che nel suggerire al Governo britannico uno scambio di idee sull'argomento, vi era anche da parte nostra il desiderio di evitare che n Governo britannico si trovasse davanti a ded. fatti compiuti, senza avere avuto la possibilità di adeguatamente proteggere i .propri interessi. Era per questo che volevamo tempestivamente offrire al Governo britannico ogni possibilità di .giungere con noi a una chiarificazione di questi interessi, e di eliminare fin da ora ogni possibilità di controversia e di frizione tra i nostri due paesi.

SLamo entrati così a discutere della questione abissina nei suoi aspetti più generali. Il Signor Thompson non ci ha nascosto le preoccupazioni del Governo britamnico di fronte al conflitto itala-etiopico, preoccupazioni che gli avvenimenti delle scorse settimane sono andati aggravando. Egli ha ripetuto tutti gll argomenti che il Foreign Office aveva già avanzato nel corso degli ultimi mesi: la necessità che ha l'Lnghi1terra di un'Africa pacifica, il timore che il conflitto J.talo-abissino si allarghi, le ripercussiom che una guerra nell'Africa orientale avrebbe sui possedimenti britannici, e finalmente le conseguenze che un'impresa militare così g.ravosa e così difficile avrebbe sulla posizione dell'Italia in Europa.

Abbiamo punto per punto ribattuto gli argomenti del Signor Thompson; la necessità da parte nostra di provvedere alla sicurezza delle nostre colonie, minacciate dalla politica centralista e aggTessiva del Negus, i nostri bisogni di espansione, l'utilità, non solo per noi, ma anche per l'Inghilterra e pe.r la Francia, di eliminare dall'Africa orientale un elemento di instabilità e di turbamento che è oggi costituito dall'Etiopia. Inghiltel'lra, Francia e Italia -abbiamo detto -hanno un comune interesse: quello di pacifica;re l'Africa. L'Africa non avrà pace fi.no a quando esisterà uno stato militare indipendente, che minaccia la sicurezza delle colonie europee, ed eserciterà sulle popolazioni indigene una forza d'attrazione. L'Inghiltel'ra si preoccupa delle simpatie che le sue popolazioni coloniahl.-dal Sudan all'Africa del Sud -mostrano peT l'Etiopia. Ebbene questa è proprio la ragione per la quale l'Inghilterm, la Francia e l'Itahl.a devono ridur.re l'Etiopia. Altrimenti esse si troveranno un giO<rno davanti a un movimento così vasto e cosi forte, che il resistere costerà molti più sforzi che non oggi. L'Italia per conto suo non può poi non preoccuparsi delle rivendicazioni coloniali tedesche. L'Italia non potrebbe ammettere che una eventuale revisione dei mandati fosse fatta a esclusivo vantaggio della Germania e in una eventuale revisione dei mandati essa reclame;rebbe la sua pa;rte, fondandosi sopra un diritto ben più sicuro di quello che potrebbe accampare la Germania. Data la difficoltà di risolvere il problema delle ridistribuzioni dei mandati, l'Italia teme che un giorno la Germania si diriga verso l'Etiopia e cerchi in Etiopia quelle soddisfazioni coloniali che altrove le sarebbe .difficile ottenere. Una manomissione politica ed economica dell'Etiopia, sul tipo di quella che la Germooia stava compiendo in TuTchia, prima della guerra, sarebbe ~ grandissimo pregiudizio agli interessi dell'Inghilter;ra, della Francia e dell'Italia, che vedrebbero la Germania stabilirsi in uno ded centri vitall dell'Africa. L'esclusione della Germania dall'Af.rica è considerato dall'Inghilterra un suo pennanente interesse.

,

Anche da questo punto di vista l'Inghilterra dovrebbe perciò facilitare all'Italia la realizzazione dei suoi diritti nell'Africa Orientale.

Non si vede d'altronde in quale altra maniera potrebbe risolve.rsi il problema coloniale italiano. La revisione dei mandati è problema arduo e la cui soluzione solleva complesse questioni di politica europea; l'acquisto delle Colonie portoghesi sarebbe certo ostacolato dall'Inghilterra; è solo in Etio:Pia che l'Italia può estendere la sua influenza senza danno di nessuno, e anzi con vanta:ggio della Francia e dell'Inghilterra, che sono ambedue interessate alla messa in valore dell'Etiopia.

Il Sig. Thompson non ha opposto a questi nostri ragionamenti alcun argomento, ma è rito11nato sul concetto che l'Inghilter-ra non può non considerare senza apprensione le ripercussioni di un conflitto italo-abissino tanto in Africa che tn Europa. Egli ci ha detto ehe, dopo il nostro primo colloquio, egli aveva parlato della situazione con Sir Robert Vansittart, il quale era rimasto assai sconcertato del nostro modo di vedere, e si proponeva di intrattenere seJ:'iamente

S. E. Suvich della questione etiopica e di esporgli le gravi preoccupazioni del Govemo britannico per l'azione dell'Italia. Il Gove['no brita:nnico -ci ha aggiunto Thompson -non può non tene.r presente che l'Etiopia è uno stato membro della S. d. N., e che a questo titolo essa ha diritto di esdgere il rispetto della sua indipendenza e integrità. Tale indipenden:t'Ja e tale integrità sono state ga:rwntite inoltre dall'Accordo Tripartito, e l'Inghilterra ·non potrebbe permettere una violazione aperta di questo Trattato.

Abbiamo, a questo punto, repLicato al Sig. Thompson che l'Accordo Tripartito non aveva affatto il caratte·re di una garanzia della 1ndipendenza e della integrità etiopica; ma di un accordo politico tra le Tre Potenze confinanti con l'Etiopia destinato a fissa•re e coordinare i loro interessi tanto in caso di mantenimento dell'integrità etiopica, che in caso di spartizione.

n Sig. Thompson ci ha detto che questo non era il punto di vista del Fo.reign Offiice. Il Foreign Office ritiene che l'Accordo T·ripartito non lascia libertà ad alcuna delle 'llre Potenze di agire per conto suo in Etiopia. Esso obbliga le Tre Potenze ad agire di comune accordo. Un'azione dell'Italia <Ln Etiopia contro le volontà della Francia o dell'Inghilterra, sarebbe contraria agli impegni che sono fissati nell'Accordo, non meno che una v.iolazione del Patto della S.d.N. Ad ogni modo la cosa poteva formare oggetto di discussione tra i due Governi. Siamo rimasti dunque d'accorrdo che, al mio ritorno a Londm, ai primi di maggio, avremmo riprreso con Sir Wil1iam Malkin l'esame della questione.

Dall'insieme delle conversazioni -che qui ho rriassunto solo nelle loro linee generali e nella parte essenziale -è risultato quello che grià ci era noto: l'ostilità inglese ad una nostra azione di forza nell'Africa orientale. Questa ostilità è dettata da tre ordini di interessi:

l) dall'interesse britannico a che lo status quo in Africa non sia minimamente turbato;

2) dall'interesse britannico a che l'Italia non si impegni in una guerra che indebolisca le sue forze in Europa, e incoraggi la Germania nella sua politica aggressiiva ed espansionista verso il Bacino danubiano;

3) dall'interesse britannico a difendere la S.d.N. che, dopo le gravi scosse subite in questi ultimi anni, a causa specialmente del conflitto cino-giapponese, non potrebbe resistere a un nuovo colpo quale quello che riceverebbe ove l'Italia attaccasse l'Etiopia e distruggesse la sua indipendenza.

Oltre questi interessi l'Inghilterra ne ha di specifici che essa deve salvaguardare, e sono quelli che dall'Accordo Tripartito all'Accordo Graham-Mussolini essa ha avuto cura di definire. Ma non sono interessi di natura essenziale, e d'altronde essi non sarebbero annullati, e forse neanche menomati da un nostro acquisto dell'Etiopia. Non ci sarà, io credo, difficile persuadere l'Inghilterra che noi potremmo proteggere i suoi interessi più pienamente e più adeguatamente che non possa fa,re l'Etiopia. La nostra stessa offerta di un accordo del genere di quello concluso con la Francia, può essere portato a favore delle nostre intenzioni. E se vi è una convenienza da parte nostra, questa è più nell'abbonda,re, quando si tratti degli i!nteressi inglesi, i quali sono pochi e limitati, che nell'abbondare quando si tratti deg1i interessi francesi, che si riferiscono a una zona di essenziale importanza per risolvere il problema della sicurezza delle nostre colonie.

Noi abbiamo urgenza a l'lisolvere questo problema, e non dovremmo trascurare alcuno sforzo per giungere a un accordo con il Governo britannico, che sia soddisfacente per l'Inghilterra. Una volta che l'Inghilterra sa,rà tranquilla per quello che siano i suoi interessi specifici coloniali, noi avremo indebol>ito una delle ragioni della sua opposizione. Le altre sono ~ragioni che ci sarà difficile vincere, poiché si riferiscono a un quadro generale di politica estera e interna inglese che non è in noi di poter modificare. Ma intanto, messe da parte le preoccupazioni coloniali, con chiare assicurazioni e precisi impegni, la rlinea di contrasto tra noi e l'Inghilterra sarà semplificata e noi non ci troveremo a dover combattere contemporaneamente i due .fronti: quello della S.d.N. e quello dell'imperialismo britannico.

(l) Il presente documento ;reca n visto di Mussollnl.

(l) Vedi serie settima, vol. XVI, D. 367.

72

IL MINISTRO A KAUNAS, AMADORI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2213/30 R. Kaunas, 24 aprile 1935, ore 11 (per. ore 13,50).

Questo Mrnistro degli Affari Esteri mi ha detto ritenere incerta la situazione orientale ~n seguito al progredd.re crescente contrasto fra concezione e sviluppi della Conferenza Stresa e concezione Russia Piccola Intesa, ma però considera il pericolo di una crisi immediata diminuito per impotenza comune, compresa Germania, salvo colpi di azzardo.

Per quanto quindi situazione orientale sia più in aria che mai, egli non considera esistano ragioni per rinviare Conferrenza Baltica, che si deve tenere a Kaunas il 6 maggio.

Conferenza Baltica si occuperà di tutte le questioni generali e dei vari progetti in esame fra le Grandi Potenze che interessano sicurezza e pace orientale, compreso il progetto di precisazione articoli 15 e 16 Statuto Lega delle Nazioni e il progetto russo di patto con Francia e Cecoslovacchia comprendente Stati baltici.

A domanda Lituania, Conferenza si occupeJ"à anche della dichiarazione Germania circa suo proposito escludere Lituania da Patto di non aggressione. Osservo che discussioni Conferenza Baltica non potranno che avere un carattere vago, data assenza di progetto concreto delle Potenze. Conferenza potrà perciò agevolmente concludersi con formule generiche e formali di unità baltica.

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IL MINISTRO A TEHERAN, CICCONARDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3815/44 P.R. Teheran, 24 aprile 1935, ore 14,05 (per. ore 17,35).

Telegramma di V. E. n. 38 (l).

Mi sono intrattenuto con Ministro Affari Esteri signor Kazemi circa questione rimpiazzo nostri sottufficiali Ma;r.ina Golfo Persico.

Egli mi ha dichiarato che aveva sottoposto questione S. M. lo Scià e che ques•ti, dopo aver sentito Comandante in Capo Mar,ina persiana, aveva deciso non procedere per il momento rimpiazzo nostri sottufficiali.

Si vuole compiere esperimento per assodare S'e Uffi.ciali Marina persiana valgano. Questa è del resto pratica seguita da Governo persiano rispetto varie missioni tecniche straniere (mio telespresso 7 dicembre n. 753) (2).

Signor Kazemi ha tenuto affermarmi che nulla toglie che in avvenire si possa nuovamente ricorrere a noi per assumere nostri ufficial-i in servizio pr·esso Marina persiana.

In ogni modo non (dico non) si pensa affatto a ricorJ"ere ad altri Paesi. per •rimpiazzare nostri sottufficiali rimpatriandt

Il fatto stesso della richiesta di motordsti civili italiani dimostra, secondo signor Kazemi, che in tutto ciò che riguarda Martna Governo intend.e rivolgersi a nostro Paese.

Signor Kazerni ha tenuto ad affermarmi che, dopo viaggio a Roma, S. M. lo Scià e suo Gov·erno ritengono che >relazioni amicizia fra i due Paesi siano di gran lunga migliorate .rispetto passato anche recente.

Egli ha voluto confermarmi, riferendosi a conversazioni avute con S. E. il Capo del Governo (3), che tutto sarà fatto da parte persiana per intensificare collaborazione nel campo economico, commerciale, culturale, in attesa che da una parte e dall'altra si 'ritenga giunto momento opportuno per conclusione patto formale cui egli tuttora mira.

Signor Kazemi, che mi ha intrattenuto in lungo e cordiale colloquio, ha concluso col dire che egli desiderava telegrafare anche al suo Ministro a Roma, dandogli istruzioni fare analoghe dichiarazioni a V. E. (4).

Signor Kazemi parttrà di qua 8 maggio per trova;rsi 20 maggio a Ginevra.

(l) -Vedi D. 48. (2) -Non pubbllcato. (3) -Ved! serle settima, vol. XVI, D. 555. (4) -Ved! D. 120.
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L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2215/103 R. Mosca, 25 aprile 1935, ore 0,25 (per. ore 5,30).

Mio ["apporto n. 680 del 16 aprile (l).

Difficoltà sopravvenute nelle negozi,azioni franco-sovi,etiche hanno in appa,renza una portata puramente ["edazionale. In sostanza, però, questa esteriore differenza di formule (che verte sul solo punto -in principio peraltro già ammesso -della dipendenza del Patto dalle decisioni del Consiglio Società Nazioni) cela ostentamente tutta una lotta svolgentesi attorno al Patto di Locarno, la Francia preoccupandosi per parte sua di non pregiudicare la propil'ia situazione giuridica nei conf·ronti ed ag.1i effetti di quel Patto, l'U.R.S.S. mirando invece ad impedire che l'azionamento del nuovo Patto franco-sovietico possa finire praticamente col dipendere dalle decisioni che a suo tempo potessero essere in merito prese dalle Potenze garanti di Locarno.

Questione sarà da Litvinov sottomessa domani al Politbureau, d'urgenza, dal quale uscirà probabilmente una formula transattiva, che si spera possa essel1e accettata da Parigi ov·e sarà telefonata domani stesso.

Mi permetto comunque di richiamare miei telegrammi sulla visita Eden nn. 70, 74 e 80 (2).

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IL MINISTRO AL CAIRO, PAGLIANO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2223-2222-2225-2226/155-156-157-158 R. Cairo, 25 aprile 1935 (3).

Telegramma di V. E. n. 67 (4).

In merito informazioni fornite a codesto Ministero che Abdul Amid Said e associa:llione ,$iorentù mussulmana da lui presieduta, starebbero organizzant:io violenta campagna anti-italia-na in relazione questione Etiopia e atti terrorismo in occasione passaggio nostri trasporti Canale di Suez, ho disposto accurate indagini ambienti diversi.

Risposte finora avute da fiduciari vari non conferme,rebbero attendibilità informazioni anzidette.

Abdul Amid Said travasi in forte contrasto oon dirigenti Wafdismo, come pure in lotta con vari p8irtigiani mufti Gerusalemme; inoltre versa in condizioni finanziarie molto precarie; ed ha pochissimo seguito. In questi giorni l'ho fatto avvicinare da mio fidudario; a più riprese caduto discorso su lettera Arslan ha detto presumerla, se non vera, almeno falsificata in base a dati di fatto cor

rispondenti verità; ha accusato vivacemente Arslan di incoerenza glacchè al tempo questione Giarabub, proprio da lui egli ricevette i maggiori incoraggiamenti alla campagna contro l'Italia; ha soggiunto essere convinto che il Mufti era entrato nel giuoco di Arslan a favore dell'Italia unicamente per poter informarne gli inglesi.

In altre conversazioni caduto discorso su transiti militari italiani nel Canale di Suez, Abdul Amid Said si è espresso con vivacità in senso ostile soggiungendo che Governo egiziano dovrebbe promuovere azione internazionale per impedidi, ma non ha mai fatto cenno a mezzo violento.

Caduto altre volte discorso circa questione itala-abissina, ha detto Governo etiopico in questi ultimi tempi si era reso responsabile di g.ravi maltrattamenti verso suoi sudditi mussulmani; che ciò non poteva non attenuare molte simpatie egiziane, ma che non sarebbe generoso da par•te di egiziani attaccaJre Etiopila in questo momento, onde non resta per ora che tacere.

Circa attività associazione Giovani Mussulmani, aggiungo che sua importanza è, almeno per ora molto limitata; che art. 2 suo Statuto vieta ogni discussione politica e suoi scopi principali, oltre difesa principi religiosi mussulmani, sono: sports, conferenze, letterarie, storiche, a•rtistiche ecc., onde qui viene considerata come .imitazione ridotta dell'Y.M.C.A.

Sovrano, cui ho fatto fare cenno della cosa, mi ha fatto sapere che nessun appoggio nè diretto nè indketto mai darebbe ad un attivismo del genere di quello segnalato, soggiungendo che in ciò altro non ravvisava ·che una manovra dei suoi nemici per metterlo male con il Re d'Italia, onde non converrebbe almeno per ora dare impressione di prendere sul serio le parole pronuncia·te forse da qualche irresponsabile. (Vi è stato in passato un generico appoggio Palazzo alla associazione, nel senso che Sovrano specialmente questi ultimi due anni ostentò sua particolare protezione istituzioni e sodalizi aventi finalità religiose mussulmane). Ad ogni buon conto ho già provveduto perchè un mio giovane fiduciario entri subito a far parte associazione; egli mi terrà al corrente sue attività.

Circa azione collegata con elementi estremismo comunista, confermo quanto in miei rapporti che qui comunismo non esiste. ,

Da ultimo, per misura precauzional•e, ho informato confidenzi,almente questo Agente Superiore Canale di Suez (come se notizia mi fosse stata data qui) essermi giunta voce che qualche fanatico volesse provocare dncidenti e atti terrorismo Canale in occasione nostro transito. Agente, ringraziandomi comunicazione mi assicurò sua cooperazione promettendomi massima vigilanza, come pure che avrebbe fatto controll8!re se nella zona del Canale vi fossero degli inscritti all'Associazione.

(l) -Vedi D. 25. (2) -Vedi serie settima, vol. XVI, DD. 834 e 855. Il T. 1731/74 R. del 1° aprile, ore 16,20, non è pubblicato. (3) -Il presente telegramma, diviso in quattro parti (che sono state spedlite rdspettivamente alle ore 14,20 11 n. 155 e il n. 156, alle ore 20,15 il n. 157 ed alle ore 20,18 11 n. 158), è giunto tra le ore 15,10 e le 21. (4) -Con T. 687/67 R. del 13 aprile 1935, ore 24, Suvich chiedeva di verificare l'attendibilità delle notizie pervenutegli circa l'organizzazione di una campagna antitaliana in relazione alla questione etiopica e di interessare al riguardo 11 Sovrano.
76

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AI MINISTRI A BUDAPEST, COLONNA, E A VIENNA, PREZIOSI

T. 753/59 (Budapest) 67 (Vienna) R. Roma, 25 aprile 1935, ore 21.

(Solo per Vienna) Ho telegrafato Budapest:

(Per tutti) Suo telegr.amma 42 O).

Prossima riunione a tre di Venezia ha, come già detto, lo scopo di rendere possibile un approfondito esame della situazione e uno scambio di vedute fra i tre Governi in vista dei negoziati di Roma.

Sostanzialmente dovrà esaminarsi questione protocollo non ingerenza con connessa questione di non agg,ressione ed eventualmente di assistenza in forma da studiare.

L'invito a partecipare a tale conferenza, che probabilmente sarà fissata per il 3 giugno p.v. e che verrà diramato nei prossimi giorni, sarà diretto a tutti gli Stati anzidetti, fra cui naturalmente anche la Germania.

Da parte nostra è già in preparazione un progetto-schema di patto che potrà essere oggetto di esame fin dalla riunione a tre insieme con un progetto austriaco, che mi consta è stato già redatto, ed eventualmente quei progetti che il Govermo ungherese ritenesse di predisporre. Tali testi potrebbero fornire una utile base di discussione sia pe,r chiarire i vari lati della situazione come pure per facilita;re la preparazione dei lavori della conferenza.

Naturalmente l'esame di tali progetti non può essere disgiunto dall'esame delle varie questioni generali, nonché di quelle più specificatamente ungheresi, e sulle quali questo Ministro di Ungheria mi ha d'incarico del suo Governo ultimamente intrattenuto in via indicativa (conflitto ungaro-jugoslavo, minoranze, parità di diritti ecc.).

Per quanto l'ordine del giorno della Conferenza di Roma sia di massima limitato alla questione del cosidetto patto danubiano, è certo che direttamente o indirettamente potrà essere sollevata in quella sede anche la questione del riarmo degli Stati minori e del sistema di sicurezza, ed è opportuno perciò che a Venezia si sia in grado di esaminare anche tale questione.

(l) Vedi D. 52.

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L'INCARICATO D'AFFARI A BAGHDAD, PORTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2297/37 R. Baghdad, 25 aprile 1935 (per. il 29).

Nuri Pascià mi ha detto ieri che se, come spera, situazione locale glielo permetterà, conta partire per Europa verso il due o il tre maggio prossimo. Da Baghdad si recherà a Beirut per discutere con Autorità francese questione stabilimento assiriani in Siria. Da Beirut proseguirà probabilmente per Marsiglia, proponendosi essere Ginevra sedici maggio.

Egli mi ha infotmato che nuovo testo Trattato di amicizia con l'Italia, statogli consegnato a Roma febbraio scorso, si tmva in esame presso il Consiglio dei Ministri (1). Tale esame, a causa delle ultime due crisi ministeriali non aveva finora potuto avere luogo. Nuri confida che il Consiglio dei Ministri possa fare a tempo ad approvarlo prima della sua partenza; nel qual caso lo porterà seco e prenderà accordi per sua firma tramite nostra Delegazione Ginevra.

(l) Vedi serle settima, vol. XVI, D. 616.

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IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, UMILTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA R. 2495/258. Zagabria, 25 aprile 1935 (per. il 30).

Non ho mancato di seguire sinora le fasi della agitazione elettorale con speciale riguardo alla opposizione croata, di cui con vari rapporti ho tenuto al corrente V. E.

Sembra ora che tale agitazione assuma uno svolgimento speciale che potrebbe avere un seguito imprevisto.

Si tratta di quanto segue:

Il partito frankiano (assoluta indipendenza), che nella lotta contro Belgrado si era unito da tempo al partito radiciano, capeggiato dal dott. Macek, si è atteggiato in questi ultimi giorni ad una insolita insofferenza verso la condotta del menzionato tribuna, definendola come disastrosa. I frankiani imputano a Macek di chiama;re attorno a sé persone di dubbia fede, già devote alla politica del 6 gennaio 1929, mentre i fra;nkiani, rappresentanti la estrema sinistra della opposizione, vengono messi a parte.

Già il Ministro dell'Intemo Popovié ha osservato, in un suo recente comizio di propaganda elettorale, che la opposizione di tutta la Jugoslavia è guidata da Macek, mentre Macek è guidato da Pribicevié a Parigi. I frankiani confermano ciò e provano tale fatto con la più stretta amicizia fra Macek e Wilder, che è appunto l'esponente di Pribicevié in Croazia e che è nello stesso tempo il factotum della campagna elettorale di Macek.

A Macek i frankiani rimproverano di aver messo nella lista dei candidati due massoni, il commerciante Grivicié ed il dott. Jancikovié poi l'usuraio Reberski ed altre persone di nessuna importanza o di discutibile devozione al partito, mentre ha escluso dalla lista tutti i frankiani, anche quelli che nel partito erano considerati come capi, per esempio il dott. Bue, il dott. Decak ed altri. I frankiani seguono ogni gesto, afferrano ogni parola di Macek e tutto viene sottoposto ad un rigoroso esame. Le recenti parole di Macek: «Queste elezioni sono uno scherzo: quelle per la Costituente saranno invece vere elezioni » hanno provocato la determinazione di andare fino in fondo nelle loro indagini, cosi che avrebbero trovato i seguenti fatti, che mi sono stati segnalati come di una certa importanza:

L'avvocato di Delnice, il dott. subaslé, lontano parente di Macek, fu nel passato l'uomo di fiducia di Re Alessandro, che si serviva di lui quando aveva da comunicare qualcosa a Macek.

Ora i frankiani sono venuti a sapere che il dott. subasié fa di nuovo la spola, stavolta fra il Principe Pavle e Macek. Hanno pUTe saputo che i Reggenti Stankovié e Peirovié, ed i Ministri Jeftié, Kojié e Popovié si sono dati molto dattorno peir convincere il P>Iincipe a ordinare la reiezione della lista di Macek, sotto un pretesto qualsiasi, che le autorità di Belgrado non avrebbero avuto difficoltà a trovare.

n Pil"incipe ha dovuto molto lottare e con inattesa energia è riuscito invece a far accettare la lista di Macek. Nonostante che i frankiani siano

esclusi da tale lista, essi riconoscono che la azione del Principe dimostra fermezza di carattere e chiare finalità. Dall'ulteriOTe esame degli avvenimenti essi hanno tratto il convincimento che Macek avrebbe escluso gli estremisti frankiani dalla lista dei candidati e fatto posto in loro vece a persone di nessuna entità, maneggiabili e di facile persuasione, i:n seguito ad un compromesso col Principe, per conseguire scopi speciali, finora non noti ad alcuno, neppure a Trumbié, che, del resto, è al corrente della condotta politica di Macek. Quest'ultimo avrebbe con ciò dato la prova che la sua ostilità contro Belgrado sarebbe divenuta per lo meno discutibile.

Già da lungo tempo si vuole che il Principe con le elezioni intenda dare all'estero la prova di avere nella nazione un seguito considerevole e di aver messo a guida di essa un Governo liberale e umano. I frankiami ritengono che tale prova, qualora attuata, avrà il suo inizio alla prossima Conferenza di Roma, in cui il Ministro degli Esteri jugoslavo, fermo restando sulla politica unitaria di Re Alessandro, saprà transigere sulle domande che sarebbero f~tte dall'Italia in favore dei paesi disarmati (Austria e Ungheria).

Ammesso che la lista di Macek riuscisse, saprà, vorrà o potrà il tribuno della opposizione di ieri, assumere tale missione? O non vorrà Macek forse seguire il Principe Hno a elezioni fatte e poi sfruttare il plebescito croato per altre finalità? Queste sono le domande che si fanno i frankiani senza potervi rispondere, perché Macek non confida più ad alcuno i suoi piani.

Mi astengo dal commentare le riferite supposizioni dei framkiani, i quali sono noti ancora dai tempi dell'Austria, come irriducibili estremisti. Riferisco solo le conclusioni che essi temono:

l) completa liquidazione della emigrazione croata, retta dal frankiano dott. Ante Pavelié;

2) riabilitazione di P.ribicevié, fanatico integrale, però decentralLsta irruducibile nemico dell'Italia;

3) eliminazione della opposizione croata (federalisti, radiciani, democratici, indipendenti). Rimarrebbero in opposizione soltanto i frankiani, in numero insignificante;

4) Macek, al potere, perderebbe tutto il seguito che ha, perché la massa croata non approverebbe il compromesso, fatto ad insaputa della nazione. Con ciò Macek sarebbe esautorato e ben presto sarebbe abbandonato anche da Belgrado;

5) allontanamento della Jugoslavia dall'amicizia ed alleanza francese per sostituirla con la tedesca, appoggiata dall'Inghilterra, seconda madre-patria del Principe;

6) la Serbia, dopo aver giocato per la ennesima volta i croati, liberata dai Tiguardi dovuti alla Francia, agli effetti di una intesa con l'Italia, passerebbe nella orbita della Germania e con ciò ritornerebbe alla antica antitesi con noi.

Volente o nolente, di tale politica Macek avrebbe gettate le fondamenta con la sua nuova arrendevolezza verso Belgrado.

Dall'altro materiale senza dubbio in possesso di V. E., Ella vedrà quale valo,re possa essere dato a tutte queste combinazioni che la eccitata fantasia alla vigilia delle elezioni produce in questi momenti. Io mi sento in dovere di riferirle, per debito d'Ufficio e anche per la eventualità che qualche situazione possa corrispondere al vero e per poter così prevenire qualche mala azione a nostro danno (1).

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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO AL CAIRO, PAGLIANO

T. 754/89 R. Roma, 26 aprile 1935, ore 3.

Suo te'legr!limma n. 146 (2).

Per eventualità che Missione etiopica costì gtunta cerchi indurxe cotesto Governo a concludere Trattato di amicizia, analogamente a quanto è stato fatto con lo Yemen e tentato inutilmente di f!lire con Saudia, sarà bene che V. S. faccia intendere a codesto Governo che eventuale stipulazione di un Trattato di amicizia fra Egitto e Etiopia nel momento attuale, data la tensione di rapporti fra Italia e Etiopia, sarebbe considerato dal R. Gove,rno come atto non amichevole verso l'Italia.

Converrà inoltre intensificare azione già iniziata da V. S. (suo telegramma 102) (3) verso Patriarca copto e notabili copti, sul quali con ogni probabilità Missione etiopica cercherà di agire ( 4).

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO AD ATENE, DE ROSSI

T. R. 757/66 R. Roma, 26 aprile 1935, ore 3.

Secondo informazioni pervenute, parrebbe che Governo etiopico abbia intenzione di scegliere Politis quale uno dei due membri che da parte etiopica, insieme con due membri designati dal Governo italiano, debbono formare la Commissione di conciliazione e di arbitrato, prevista dall'art. 5 del Trattato itala-etiopico del 1928, alla quale saxà affidato il compito di risolvere vertenza itala-etiopica circa aggressione U!lil-Ual.

Prego V. S. recarsi dal signor Tsaldaris ed esporgli in via amichevole e confidenziale che non gradiremmo tale designazione. Signor Politis è Ministro di Grecia a Parigi e se codesto Governo lo autorizzasse ad accettare di essere

arbitro per l'Etiopia in una vertenza contro l'Italia, farebbe -dato anche lo speciale carattere della vertenza -un atto che non considereremmo conforme alle relazioni di amicizia esistenti fra i due Paesi. In più egli è Deleg.ato a Ginevra, ed essendo pendente un ricorso etiopico presso la S.d.N., sarebbe strano che il Delegato greco a Ginevra prendesse previamente, quale arbitro etiopico, la difesa dell'Etiopia, compromettendo la propria libertà di azione in seno ad organismi ginevrini quale rappresentante della Grecia.

Prego telegrafare esito suo colloquio con Tsaldaris.

Prego V. S. altresì esaminare se non conver·rebbe di far conoscere, in via indiretta e confidenziale, al signor Maximos la probabile nomina di Politis quale arbitro etiopico nella vertenza con l'Italia (l).

(l) -Il presente documento reca il visto d! Mussol!nl. (2) -Con T. 2206/146 R. del 23 aprile 1935, ore 19,40, Pagl!!llno r!fe111va circa l'arrivo al Cairo della delegazione etiopica. (3) -Vedi serle settima, vol. XVI, D. 863. (4) -Per la risposta di P91gllano ved'i DD. 99, 106 e 119.
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI

T. PER CORRIERE 758 R. Roma, 26 aprile 1935, [ore 20].

PregoLa comunicare in via molto confidenziale a codesto Ministro Affari Esteri e per sua riservatissima conoscenza che, in base a cauti sondaggi fatti a Budapest, siamo in grado di fornire qualche dettaglio circa quelle che risulterebbero essere intenzioni Gove11no ungherese in materia di ·riarmo.

Quanto agli effettivi richiesta è di circa 115 mila uomtni. Essa è in rapporto tra un quarto e un quinto con la cifra globale dei tre Stati della Piccola Intesa, e inferiore agli effettivi del più piccolo tra gli eserciti degli Stati suddetti ed è proporzionale alla popolazione ungherese.

Ctrca i materiali il governo ungherese sarebbe anche disposto a non chiedere cannoni di calibro superiore ai 150 millimetri ove gli Stati della Piccola Intesa si impegnino a eliminare gradualmente i calibri superiori.

Circa i termini entro cui effettuare il ·riarmo, il governo ungherese è disposto a delle ragionevoli graduazioni di quattro o cinque anni colla clausola per altro di poter ripartire liberamente nei singoli anni le va·rie misure di riarmo da realizzare.

Occorrerebbe poi concedere all'Ungheria ogni libertà di prendere tutte le misure preparato·rie come per esempio di mobilitazione che riflettano in largo senso la possibilità di attuazione di una difesa.

Da parte nostra consideriamo tali richieste come >ragionevoli e modeste e tali da poter essere di massima approvate, senza sollevare preoccupazioni da parte degli Stati più direttamente interessati e confidiamo che il Governo francese vorrà giungere alle medesime nostre conclusioni.

Mi sarà comunque gradito conoscere appena possibile la risposta che codesto Ministro degli Affari Esteri Le potrà dare in proposito (2).

n. -100.
(l) -Per la risposta di de Rossi vedi D. 93. (2) -La risposta da Parigi è implicita nel T. 2281/225 R. del 29 aprile 1935, riportato al
82

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. 759/135 R. Roma, 26 aprile 1935, ore 20.

Risulta a questo R. Ministero che Casa Ford sta fornendo a Governo etiopico ingenti quantitativi autoca-rri destinati ad essere impiegati dall'amministrazione militare abissina a scopo bellico.

Prego V. E. voler amichevolmente attirare su quanto precede attenzione di codesto Dipartimento di Stato cercando di persuaderlo ad influke presso Ditta Ford a sospendere dette forniture le quali, come ogni altra fornitura di mezzi militari, contribuiscono ad aumentare l'effi.cienza bellica dell'Etiopia e rafforzano le tendenze aggressive ed intransigenti di quel Governo nei nostri riguardi; il che ha per conseguenza di rendere sempre più problematica pacifica soluzione attuali controversie italo-etiopiche.

V. E. potrà, in tale occasione, informare codesto Dipartimento di Stato che passi analoghi sono stati fatti .da R. Governo presso Governi europei. Si sono già avuti così precisi affidamenti dai Governi francese, cecoslovacco, belga, danese, svizzero, tedesco ecc. (l) di provvedere ad impedire che forniture militari vengamo dirette in Etiopia dai rispettivi Paesi. Non ci attendiamo un diverso trattamento da codesto Governo (2).

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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI

T. 764/206 R. Roma, 26 aprile 1935, ore 23.

Prego V. E. di informa•re il Signor La val che il 4 maggio p.v. Ministri degli Esteri d'Austria e di Ungheria si incontreranno a Venezia col Sottosegretario agli Esteri on. Suvich. La riunione avrà luogo a norma del Protocollo italo

R. -del 5 aprile 1935, ore 21,15, Pignatti aveva invece nfento avergl! Lavai confermato la mancata riuscita, per la violenta reazione del governo etiopico, del tentativo delle autorità di Gibuti di interrompere l'afflusso di materiale bellico destinato all'Abissinia. Per l'atteggiamento dei governi cecoslovacco, belga e tedesco vedi serie settima, vol. XVI, rispettivamente DD. 858, 898 e 903.

austro-ungherese del 17 marzo 1934 che prevede delle consultazioni. Essa non potrà non occuparsi anche di questioni interessanti la prossima conferenza danubiana. Ritengo anzi l'occasione propizia -come ebbi ad accennare già a Stresa -per avviare così opera di chiarimento e di preparaziorne necessaria al successo di quest'ultima. Superfluo quindi osservare che sarebbe fuori di luogo ed anche contrario allo spirito della riunione del 4 maggio vedervi il proposito di precostituire posizioni determinate, blocchi ecc.

V. E. può aggiungere che di questa riunione ho informato contemporaneamente anche i Governi della Piccola Intesa (l) e che mi riservo di metterli al cor,rente di quello che potesse risultare dalla riunione di Venezia ed interessarli ai fini della preparazione della Conferenza di Roma (2).

(l) -Con T. 1920/14 R. dell'8 aprile 1935, ore 12,30, Capasso aveva riferito le assicurazioni del governo danese relative al divieto di esportazione di materiale bell!co in Abissinia, segnalando tra l'altro che <<tenuto conto delle segnalazioni fatte dal R. Governo è stato interessato Ministero della Giustizia di procedere ad una inchiesta giudiziaria per constatare infrazioni che sarebbero state commesse alle leggi vigenti in Danimarca sul traffico delle armi». Analoga inchiesta era struta disposta anche dal gove~no svizzero, come aveva segnalato Marchi con T. 1816/20 R. del 4 aprile 1935, ore 21,10, nel quale si legge: «Motta [non ha dissimulato]difficoltà esercitare efficace controllo trattandosi di fabbriche private (!n molte delle qual! io posso aggiungere essere notevole partecipazione capitale tedesco) e mancando disposizioni interne determinate da obblighi internazdonali che vietino traffico armi». Con T. 1841/187 (2) -Per la risposta di Rosso vedi D. 98.
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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, :MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2324/047 R. Vienna, 26 aprile 1935 (per. il 1° maggio).

Avant'ieri von Papen, in un colloquio con Berger, dopo essersi !agnato che durante i sei mesi della sua missione a Vienna, a malgrado la sua buona volontà, la situazione fra la Germania e l'Austria, lungi dal fare qualche passo avanti, non aveva che peggiorato, ha insistito sull'urgente necessità che i due Paesi rivenissero « all'antica costante fraterna collaborazione », proponendo di nuovo la conclusione di un diretto accordo austro-tedesco. Ha specificato poi che tale accordo avrebbe dovuto essere raggiunto «prima della conferenza di Roma».

Berger mi ha riferito avere risposto al von Papen che tutta la storia degli ultimi due secoli stava a dimostrare, più che l'asserita fraterna collaborazione, una costante divergenza fra l'Austria e la Prussia; che ad ogni modo l'accennato accordo avrebbe potuto essere concluso, non prima, ma dopo la conferenza di Roma, e sempre nel quadro dei noti protocolli romani.

Von Papen ha allora lasciato cadere la cosa, tornando a nuove lagnanze per la poca comprensione dei suoi pretesi sinceri sforzi.

Impressione di Berger è che le aperture del von Papen siano da ascriversi esclusivamente alla segreta preoccupazione di Berlino che l'Austria stia per decidersi a contrarre formali impegni di carattere militare.

Tale impressione di Berger appare fondata. Essa trova difatti riscontro in quanto ho di recente riferito a V. E., intrattenendoLa delle· cause cui sembrava doversi attribuire la ripresa d'attività nazista.

(l) -Con T. 765/46 (Belgrado) 43 (Budapest) 29 (Praga) R. del 26 aprile 1935, ore 22, di contenuto analogo al presente. Per le risposte di Sola e &occo vedi DD. 91 e 101. (2) -Con T. 2245/221 R. del 27 aprile 1935, ore 17,50, F'ransoni riferiva di aver fatto a Bargeton la comunicazione prescrlttagll.
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COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON WLADIMIR POLIAKOFF

APPUNTO (l) . [Roma], 26 aprile 1935.

Egli mi ha detto: «Faccio parte di una " comunità morale " (" fascio " dico qualche volta a Grandi) che cerca di influire sulla politica estera della Gran Bretagna in senso anti-germanico. Dei due uomini che dirigono la politica estera della Gran Bretagna Simon è infido. Un documento che non è stato pubblicato in Inghilterra, ma soltanto negli Stati Uniti, documenta la viltà, la codardia di Simon allo scoppio della guerra. Anche in questi ultimi tempi ha tradito gli interessi inglesi " negoziando " all'insaputa del Gabinetto con Berlino, a mezzo di Lord Lothian e a mezzo di una sua amica (non sessuale) che quando va a Berlino fa sapere -da idiota -che l'Ambasciatore germanico le fa cambiare le sterline in marchi a un prezzo di favore. Le tendenze germanofile sono forti: la dinastia è tedesca, la City è tedescofila, la propaganda dei circoli tedeschi intensa. Si deve all'azione della nostra "comunità morale" se dopo il viaggio di Simon a Berlino, c'è stato quello di Eden a Mosca, Varsavia, Praga; è la nostra " comunità morale " che -conosciute le intenzioni "nulle " di Simon lo ha fatto accompagnare a Stresa da MacDonald. Il contrasto [tra] Vansitta;rt e Simon è tale che se Simon non fosse quello che è, Vansittart non rimarrebbe al Foreign Office ventiquattro ore. Ci sarà un cambiamento nel Gabinetto dopo il giubileo del Re e se si riuscirà a vincere la pigrizia di Baldwin, le elezioni potrebbero aver luogo prima della fine dell'anno. È BaldwLn che ha già assegnato alla Gran Bretagna il suo tratto di fronte aereo sul Reno, cioè nel Belgio e nell'Olanda. Il fatto dominante è l'accordo franco-italiano che può prolungarsi sul Danubio e attraverso il quale si può porre alla Germania l'alternativa della pace con o senza la Germania. Data la mentalità inglese è difficile ottenere impegni sicuri prima degli eventi, ma è importante di fissare la direzione. Ora la Germania tenterà sforzi disperati per scindere il fronte occidentale e quando non vi riuscisse giocherà per indebolire tale fronte la carta irlandese contro la Gran Bretagna; la carta araba contro la Francia nell'Africa del Nord; la carta etiopica contro l'Italia. A proposito di quest'ultima, l'opinione inglese si domanda se una impresa coloniale nello stato attuale non vi impegnerà troppo, indebolendovi in Europa. Ad ogni modo non giustificate la vostra azione con motivi di espansionismo che l'opinione inglese non comprenderebbe e ricordatevi che per vincere tale opinione occorre "fermezza e pazienza". Comunque io sono a vostra disposizione per servire l'Italia e voi nel modo che riterrete migliore».

A questa parte politica della conversazione ne ha seguito un'altra sulla psicologia degli Lnglesi, sul carattere «catastale y, della organizzazione del Times, sull'abitudine all'ozio dei giovani inglesi, sul feticcio del bilancio.

Risposta:

l. È interesse vitale dell'Inghilterra di partecipare attivamente al fronte occidentale, unico mezzo per preservare la pace con la Germania, senza la Germania, e in caso necessario contro la Germania.

2. -Una egemonia germanica in Europa sarà soprattutto pericolosa per la Gran Bretagna perché è la Gran Bretagna che possiede il più «lauto bottino :. di guerra. 3. -L'Italia è decisa a risolvere in maniera radicale il problema dei suoi rapporti con l'Etiopia, e ciò per la sicurezza delle sue colonie, sopratutto in caso di guerra europea. La nostra attuale situazione strategica è sommamente precaria. Abbiamo finora mandato più operai che soldati, ma se è necessario manderemo -come dissi al vostro Ambasciatore a Roma (l) -anche mezzo milione di uomini. 4. -Il patto di amicizia da me firmato con l'Etiopia è stato inoperante nel modo più assoluto e ciò per la cattiva volontà degli abissini. Ogni nostra iniziativa di collaborazione è caduta. 5. -Dato ·che noi possiamo mobilitare sino a sette (2) milioni di uomini, il pericolo di un indebolimento nostro 1n Europa non è da considerarsi con eccessiva preoccupazione. Del •resto manterremo sino a situazione definita una forza costante alle armi di 600 mila uomini. 6. -Ritengo -da informazioni attendibili -che la Reichwehr non può essere pronta prima di due o tre anni. (Il Poliakoff -uomo di non comune intelligenza -ha dimostrato di comprendere che nella questione abissina l'Italia ha già preso le sue decisioni). 7. -L'Inghilterra deve aprire sulla questione etiopica le conversazioni previste dagli atti diplomatici e che hanno già fissato la posizione della Francia.

(l) Minuta autografa di Mussolini, che ha intitolato il documento: «Colloquio con Poliakoff il 26 aprile (secondo dopo sei anni) ».

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COLLOQUIO DEL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, CON IL MINISTRO DI LETTONIA A ROMA, SPEKKE

APPUNTO. Roma, 26 aprile 1935.

Mi ha espresso il disappunto del suo Governo e degli altri Governi baltici sull'atteggiamento assunto dal delegato danese nell'ultimo Consiglio di Ginevra, che essi considerano eccessivamente remissivo verso la Germania.

A questo proposito mi ha manifestato l'aspirazione concorde degli Stati baltici, che essi si dispongono a fare oggetto di una prossima richiesta ufficiale alla Società delle Nazioni, di ottenere l'aggiunsione di un seggio permanente al Consiglio che venga a loro riservato, allo scopo di poter collaborare piu' effi

IO -Documenti diploinattci -Serie VIII -Vol. I

cacemente, con le altre Potenze rappresentate al Consiglio, all'organizzazione della pace europea. Ho risposto di ritenere che il R. Governo esaminerà al caso tale richiesta con spirito di benevola comprensione (1).

(l) -Vedi serie settima. vol. XVI, D. 678. (2) -Lettura incerta dell'orig!.nale.
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IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 1779/598. Belgrado, 26 aprile 1935 (per. il 28).

In una conversazione avuta il 23 corrente col primo segretario della R. Legazione de Ciutiis, il Signor Avakumovic, capo della sezione Italia al Ministero degli Esteri e consigliere di fiducia del Signor Jeftic per le questioni italajugoslave, ha fatto alcune dichiarazioni, premettendo che egli parlava a titolo personale, ma sottolineando, nel corso del suo dire, che se il Signor Jeftic fosse stato al suo posto, avrebbe parlato nell'identico modo.

Tali dichiarazioni possono così riassumersi:

« l. Le dichiarazioni fatte dal nuovo Ministro d'Italia all'atto della presentazione delle credenziali (2) erano state accolte con vero senso di soddisfazione, ingenerando piena fiducia in un prossimo sincero riavvicinamento dei due Paesi, facendo tacere opposizioni e critiche che non erano mancate, per il ricordo sempre vivo e, per ora, volutamente sopito da parte del Governo jugoslavo, di recentissimi avvenimenti che avevano intorbidato e profondamente turbato i rapporti itala-jugoslavi (mancato attentato Oreb, attentato di Marsiglia).

2. -La decisione di Stresa (riarmamento Stati minori) aveva in certo modo scosso tale fiducia. La reazione avutasi era molto profonda. Pensiero del Governo jugoslavo era che, per parecchio tempo ancora, nessuno degli Stati disarmati avrebbe osato seguire l'esempio tedesco; e tanto meno l'Ungheria quando si fosse trovata di fronte ad un monito preventivo itala-franco-inglese-Piccola Intesa, ed anche all'infuori di quest'ultima. In tale modo, date le aspettative jugoslave conseguenti alle dichiarazioni del conte Viola e l'importanza per la Jugoslavia della questione, il Governo di Belgrado si attendeva di essere, in una qualsiasi forma, preavvertito da parte italiana di una tale decisione: rendendosi conto della particolare situazione italiana non avrebbe mancato, esso Governo, di venire incontro ai desiderata del Governo fascista, mentre oggi, essendo scossa -almeno per il momento -la fiducia di una diretta collaborazione italajugoslava, era costretto ad irrigidirsi in un atteggiamento di cauta attesa. 3. -Gli ambienti responsabili jugoslavi si rendono conto della particolare situazione dell'Italia verso l'Ungheria, in relazione ad un accordo di larga portata itala-jugoslavo. Ma, da parte italiana si trattava di scegliere fra le due amicizie. Non era da escludere che l'Ungheria, prima o poi potrebbe causare

qualche profonda delusione all'Italia. Ed allora, perchè attendere un netto orientamento dell'Ungheria verso la Germania invece di addivenire senz'altro ad una intesa fra italiani e slavi del sud, all'infuori di qualsiasi intermediario, e, passando sopra, pur con le dovute forme e cautele, dall'una parte e dall'altra, alle rispettive amicizie, costituire un blocco di tale forza e sopratutto di tale vitalità da renderlo in certo qual modo indipendente di fronte a tutti, non accodato alla politica di altri, ed al quale spetterebbe l'ultima parola nei casi di gravi complicazioni internazionali?

4. -Le simpatie per l'Italia sono in Jugoslavia profondissime. Esse hanno superato la prova di giornate molto grigie. Quelle per la Francia -del resto superficiali e dettate solo da interesse -si affievoliscono. Le prime sono arra sicure della fecondità di una intesa a fondo itala-jugoslava. 5. -La mentalità jugoslava è rimasta paesana: difficilmente sa adattarsi a politiche manovrate od a formule che si prestano ad elasticità di interpretazione. Su una base di precisione e di chiarezza la Jugoslavia è pronta immediatamente ad un'ampia intesa con l'Italia. In poche parole: patti chiari, amicizia lunga. 6. -Il rinvio ai primi di giugno della Conferenza di Roma era stato accolto con senso di sollievo. Vi era ancora un mese, ed in tale periodo il Governo italiano (se ne aveva l'intenzione) aveva il tempo di intendersi direttamente col Governo iugoslavo su tutti i problemi danubiani gettando in tale occasione le basi di un futuro possibile accordo. Al Governo italiano non sarebbe mancata la più cordiale collaborazione jugoslava. In mancanza, non sarebbe restato che attendere; attesa pregiudizievole per tutti, di fronte ad ulteriori prevedibili sviluppi della politica autoritaria germanica. E le cose potevano anche cambiare».

In sostanza, quindi: delusione ed irritazione per le decisioni di Stresa prese all'infuori di una qualsiasi amichevole preventiva informazione al Governo jugoslavo; ciononostante, volontà sempre più riaffermata di arrivare con l'Italia a un'intesa di larga portata, all'infuori di qualsiasi intermediario; desiderio che tale intesa possa avere un primo inizio sotto forma di cordiale collaborazione, prima dell'apertura della Conferenza di Roma, in sede di amichevole diretto scambio di vedute sui problemi danubiani.

Il concetto di un'intesa itala-jugoslava che precedesse il patto danubiano era già affiorato in precedenti mie conversazioni col Principe Reggente (telegramma per corriere n. 022 riservatissimo del 5 aprile 1935) (l) e con Jeftic, il quale mi aveva anche accennato alla possibilità di una sua venuta in Italia (teleposta 1523/519 dell'll aprile 1935) (2), cioè prima della Conferenza di Stresa, e prima che la Conferenza di Roma fosse fissata.

Bisogna convenire che ai propositi di cordiale collaborazione da noi manifestati in occasione della presentazione delle mie credenziali non abbiamo fatto seguire gesto alcuno che significasse indirizzo della nostra volontà verso un principio di attuazione concreta e appagasse, comunque, l'aspettativa jugoslava. È intervenuto invece il punto sesto delle decisioni di Stresa che ha por

tato, specie in un primo tempo, delusione e diffidenzè, venutesi poi man mano attenuando (miei teleposta n. 1574/550 del16 aprile n. 1649/567 del 20 aprile) (1). Ciò malgrado persiste da parte jugoslava, e trova modo di manifestarsi in ogni -per quanto indiretta -occasione, il vivo desiderio di intesa con noi. È da chiedersi però se tali disposizioni, qualora non siano sorrette da un minimo di corrispondenza da parte nostra, possano mantenersi indefinitivamente: grande è il lavorio di propaganda e di persuasione che la Germania qui svolge con larghezza di mezzi in ogni campo. La sua azione politica si è -naturalmente -intensificata negli ultimi tempi; né mancano nel paese, forti ed attive correnti germanofile. Ma anche a prescindere da un più lontano possibile orientamento jugoslavo verso la Germania, e considerando solo per ora, il prossimo evento della discussione del patto danubiano di non ingerenza, parmi ragionevole pensare che la Jugoslavia, se non previamente sorretta da qualche nostro affidamento, non potrà --in quell'occasione -che tenersi legata alle direttive che il signor Titulescu cercherà di far prevalere nella Piccola Intesa, in opposizione a noi.

Ho già espressa (mio rapporto n. 1523/519 dell'H aprile) e confermo qui la mia impressione, che se la Jugoslavia avesse la sensazione di poter sicuramente contare sull'Italia, non esiterebbe ad agire indipendentemente dai sistemi politici dei quali fa parte.

Un nostro tempestivo gesto -anche semplicemente formale -che precedendo l'apertura della Conferenza di Roma rivestisse il carattere di amichevole attenzione verso la Jugoslavia e significasse apprezzamento della sua importanza e della sua posizione tra gli Stati interessati ai problemi danubiani, sarebbe, a mio avviso, sufficiente per portare la Jugoslavia al tavolo della Conferenza animata da sincero spirito di collaborazione: l'affiatamento così determinatosi in sede di trattazione dei problemi di comune interesse, potrebbe costituire l'inizio e il presupposto pratico per una più larga diretta intesa.

A mio subordinato avviso tale nostro gesto potrebbe ridursi a un invito confidenziale al Signor Jeftic di recarsi a Roma con uno o due giorni di anticipo sulla data di apertura della Conferenza, per avere un colloquio con V. E.

Credo poter affermare che Jeftic sarebbe sensibilissimo a questa attenzione di v. E. e che essa avrebbe larghissima portata di effetto: ad ogni modo, qualora il mio sommesso suggerimento incontrasse l'alto consenso dell'E. V., mi onoro pregarLa di voler autorizzarmi a presentire fin d'ora in proposito -e in via del tutto personale e confidenziale -questo Ministro degli Affari Esteri (2).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussollnl. (2) -Vedi serie settima, vol. XVI, DD. 660, 661 e 727. (l) -Vedi serie settima, vol. XVI, D. 867. (2) -Ibid., D. 906.
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L'INCARICATO D'AFFARI A BUDAPEST, BALDONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2240/46 R. Budapest, 27 aprile 1935, ore 14,15 (per. ore 16,15).

Ministro degli Affari Esteri, nel ringraziare per comunicazioni di cui al telegramma di V. E. n. 59 (3), mi ha detto che anche questo Governo avrebbe pre

sentato riunione a tre Venezia un suo progetto Patto. Tale progetto, ispirandosi alle note esigenze politica ungherese, sarebbe stato per altro « assai diver::;o » da progetto austriaco, del quale egli aveva testé avuto conoscenza, e che da un primo esame gli era sembrato invece «troppo sulla linea delle idee francesi».

89.

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI

T. 769/282 R. Roma, 27 aprile 1935, ore 18,30.

Suo telegramma 740 (1).

Conviene che V. S. non (dico non) risponda, per... il momento, per iscritto alla Nota etiopica n. 27 del 17 corr., ma intrattenga verbalmente circa il suo contenuto il Blatingheta Herui, svolgendo i seguenti concetti:

l. Governo italiano considera arbitrario e contrario al Trattato itala-etiopico il rifiuto di continuare le trattative dirette. Lasciando a Governo etiopico tutta la responsabilità per tale rifiuto, che considera priva di cattiva volontà di cui non potrà non tener conto, riconferma di essere pronto a prendere col Governo etiopico le intese necessarie per l'applicazione della procedura di conciliazione e di arbitrato prevista dall'art. 5 del Trattato del 1928. Governo italiano ritiene che con colloqui personali si possa più agevolmente giungere a concordare tali intese.

2. Circa il compito da assegnarsi ai quattro arbitri, Governo italiano non potrebbe ammettere che questi esaminassero altre questioni oltre quella della responsabilità della aggressione di Ual-Ual, quindi né la questione della determinazione della frontiera somalo-etiopica né gli altri incidenti ancora aperti. Governo etiopico afferma che questione Ual-Ual non potrebbe essere risolta indipendentemente o separatamente da questione delle frontiere. Governo italiano non è dello stesso parere, e non ammette iniziare discussione questione frontiere se non dopo aver avuto soddisfazione per aggressione Ual-Ual.

La questione dell'aggressione etiopica ad Ual-Ual va considerata e deve essere risolta indipendentemente dalla legittimità o meno della presenza colà di un presidio italiano che stabilmente vi risiedeva da parecchi anni. Trattasi di una questione di fatto e non di diritto. L'aggressione che ha dato origine alla vertenza sussiste infatti indipendentemente dalla definitiva attribuzione di Ual-Ual.

Se Governo etiopico insistesse invece nel suo punto di vista ciò equivarrebbe a voler protrarre eccessivamente i lavori della Commissione di conciliazione, ritardando la soluzione della questione, in quanto è evidente che per detetininare la frontiera somalo-etiopica occerrerà un tempo molto notevole e si renderanno necessarie dettagliate indagini sul posto. Inoltre una Commissione per la determinazione di frontiera dovrebbe essere formata con apposito

personale tecnico. Né d'altra parte è possibile determinare soltanto la frontiera somalo-etiopica nel settore Ual-Ual-Uarder-Afdub e non negli altri settori della frontiera. Il lavoro di delimitazione della frontiera dovrà a suo tempo essere affrontata nel suo complesso ed esaurito totalmente, onde chiarificare in via definitiva una situazione che da troppo tempo è rimasta incerta malgrado il contrario desiderio del Governo italiano.

3. -Circa la sede della Commissione di conciliazione e di arbitrato, V. S. proponga a titolo personale che la commissione si riunisca a Roma, e chieda se il Governo etiopico concordi. 4. -V. S. vorrà insinuare anche a titolo personale che naturalmente ci aspettiamo che i due arbitri nominati dal Governo etiopico siano di nazionalità etiopica. Governo italiano non potrebbe ammettere, come già in casi precedenti, inframmettenza di stranieri nella vertenza itala-etiopica (1).
(l) -Non rinvenuti. (2) -Per la risposta di Mussol!ni vedi D. 107. (3) -Vedi D. 76.

(l) Non pubblicato: trasmetteva la nota etiopica n. 27 del 17 aprile 1935, ed. in IZ conflitto italo-etiopico, Documenti, vol. I, cit., pp. 200-202.

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IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3950/47 P. R. Tirana, 27 aprile 1935, ore 18,40 (per. ore 24).

Ringrazio l'E. V. delle istruzioni impartitemi con telegramma per corriere 3620 (2) per questioni finanziarie. Dato che con queste si dovrebbe concludere la trattazione dei principali argomenti dei negoziati in corso, credo dover fare presente:

l) che dettagli piano riorganizzazione e finanziamento dell'Esercito (mio rapporto 16 febbraio u.s. n. 190 e telespresso di V. E. 151, 18 marzo u.s.) (3) nonché suo esame con Re Zog sono già noti in ogni particolare a competenti nostri organi militari, né mi consta abbiano sollevato obbiezioni. Argomenti che rivestono per noi, almeno nel presente momento, importanza precipuamente politica ne hanno altrettanta e dello stesso carattere, per il Re, anche nei riguardi interni, dato il gravame che spese militari rappresentano per esercizio finanziario già iniziato. Una nostra esitazione su questo punto potrebbe avere influenza non desiderabile in questa fase conclusiva dei negoziati;

2) che per questione commerciale, che con quella militare è punto più sensibile ed urgente della situazione, dal momento che ·R. Governo è nell'ordine d'idee di addivenire nuova convenzione commerciale, sarebbe opportuno che fossi autorizzato a dichiarare che, a conclusione nostri accordi, Delegazione albanese potrà a tale scopo recarsi a Roma e fossi posto in grado di anticipare qualche precisazione circa modalità contemplate per acquisti merci previsti nel frattempo (4).

R. -Addetto mil!tare relativo al riordinamento delle forze armate albanesi. Per !l Telespr. 20861/151 vedi D. 6, nota 5.
(l) -Per la risposta eU Vinci vedi D. 123. (2) -Ved! D. 65. (3) -Con R.s. 468/190 del 16 febbraio 1935, Indell! trasmetteva un progetto predisposto dal (4) -Per la risposta di suv!ch vedi D. 131.
91

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2247/49 R. Bucarest, 27 aprile 1935, ore 19,30 (per. ore 21,50).

In assenza Ministro e Sottosegretario di Stato Ministero degli Affari Esteri ho fatto comunicazione di cui al telegramma di V. E. n. 43 (l) al Segretario Generale Ministero degli Affari Esteri. Ho sottolineato carattere amichevole della comunicazione e spirito di collaborazione che ha animato R. Governo nell'informare subito Governo romeno circa prossima riunione di Venezia. Ho fatto anche presente che, allorché notizia della riunione di Venezia sarà divenuta di pubblica ragione (per ora la mia comunicazione doveva essere considerata come segreta) mi aspettavo che Governo romeno avrebbe influito su stampa per presentare detta riunione nella luce della comunicazione oggi da me fatta (2).

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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2255/91 R. Vienna, 27 aprile 1935, ore 20 (per. ore 22,10).

Mio telegramma n. 90 (3).

Direttore Generale Affari Politici del Ministero Affari Esteri ungherese ha esposto a suo collega austriaco, che me le ha riferite, idee suo Governo sul Patto Danubiano.

Ha escluso che, per motivi già noti a V. E., Ungheria possa accedere Patto mutua assistenza. Ha dichiarato invece, sebbene a malincuore, che essa potrà partecipare a Patto di non aggrec:;sione, ammette altresì che tale partecipazione non resti subordinata a talune condizioni (garanzie per minoranze ungheresi, parità di diritti, previa liquidazione [questione] ungaro-jugoslava; abolizione clausola absburgica) che suo Governo si riserverebbe tuttavia sollevare eventualmente in altra sede. Ha fatto comprendere infine adesione Ungheria al Patto di non ingerenza, specie quando questo venisse concretato in termini abbastanza elastici, in guisa che governo di Budapest potesse continuare esercitare ingerenza in questione minoranze ungheresi nei Paesi Piccola Intesa.

Predetto funzionario ha poi confidato al suo collega che distensione fra Roma e Belgrado ha causato nel suo Paese un intiepidimento nei riguardi dell'Italia ed un accentuato ravvicinamento alla Germania. Detto ultimo sentimento sarebbe prevalente nelle sfere militari.

Funzionario in question~ ha poi asserito essere Kanya sempre dell'avviso che gli ideali nazionali ungheresi potranno essere conseguiti soltanto con l'aiuto comune dell'Italia e della Germania; che pertanto politica ungherese cercherà

sopra tutto, per il momento, di non impegnarsi. Per questo medesimo motivo Kanya desidererebbe che anche Governo austriaco «non si impegnasse troppo :. (allusione ad un eventuale Patto di mutua assistenza) verso gli Stati della Piccola Intesa.

Direttore Affari Politici austriaco ha risposto «che Austria non può sacrificare per lungo tempo all'amicizia dell'Ungheria una pratica e reale garanzia della sua propria indipendenza :..

(l) -Vedi D. 83, nota l p. 75. (2) -Vedi D. 182. (3) -Con T. 3793/90 P.R. del 24 aprile 1935, ore 13, Prezlos;l. aveva dato preven·tdva ·notizia dell'Incontro tra l direttori degli aff.ari politic:l austriaco e ungherese.
93

IL MINISTRO AD ATENE, DE ROSSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2253/132 R. Atene, 27 aprile 1935, ore 21,50 (per. ore 24).

Telegramma di V. E. n. 66 (l) e mio telegramma n. 128 (2).

S. E. Tsaldaris mi ha assicurato che Governo ellenico, desiderando sempre fare cosa grata a R. Governo, dà subito disposizioni Politis affinché declini noto incarico.

Ministro Affari Esteri, che ho successivamente in merito informato, mi ha confermato tali disposizioni Presidente del Consiglio, aggiungendo che essencl,o al riguardo stato presentito da Politis, aveva già disposto nel senso da noi desiderato.

Presidente, che causa malattia non avevo più visto da circa un mese, ha preso occasione per confermarmi sentimenti cordiale amicizia verso nostro Paese, aggiungendo che aveva profondamente apprezzato attitudine piena di amichevole e cortese disposizione, osservata dall'Italia durante sedizione e durante sua liquidazione.

Ho ringraziato Presidente del Consiglio a nome V. E. disposizioni prese circa Politis e per sue dichiarazioni.

94

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GRANDI, E A PARIGI, PIGNATTI, E AI MINISTRI A BELGRADO, VIOLA, A BUCAREST, SOLA, A BUDAPEST, COLONNA, E A PRAGA, ROOCO

T. 772/c. R. Roma, 27 aprile 1935, ore 23.

(Per Parigi e Budapest) Ho telegrafato R. Ambasciata Londra quanto segue:

(Per tutti) L'Ungheria ha dichiarato fin da principio che metteva come condizione per la sua partecipazione a qualsiasi trattativa per un Patto danubiano che fosse preventivamente liquidato il conflitto sorto con la Jugoslavia in conseguenza degli avvenimenti di Marsiglia.

Secondo gli accordi presi a Ginevra nel gennaio u.s. {l) la cosa avrebbe dovuto essere definita entro un mese da allora, ciò che per varie circostanze non si è verificato. Da ultimo è anche intervenuto il fatto imprevedibile della malattia di Eden.

Giorni addietro avendo interrogato, in via confidenziale gli ungheresi sulla loro partecipazione alla Conferenza di Roma prevista dalle deliberazioni di Stresa, mi è stato fatto nuovamente presente quell'impegno e quella condizione (2).

Ho pregato allora Aloisi che si trovava in quel momento a Ginevra di rammentare alla delegazione inglese la necessità che la questione venisse sollecitamente definita sia ottenendo da Eden il rapporto conclusivo sia sostituendo Eden con altro rappresentante di autorità pari alla sua ed egualmente ben disposto a favore della tesi ungherese.

Vansittart si dichiarò d'accordo e promise che avrebbe comunicato quanto prima seguito dato alla nostra segnalazione (3).

Prego V. E. di voler cortesemente rammentare a Vansittart tale sua promessa facendogli presente carattere urgenza della questione dato che non sarebbe agevole diramare inviti per prossima conferenza di Roma, fissandone data senza essere preventivamente sicuri della partecipazione ungherese. A parte tali circostanze di già notevole importanza, è poi sempre oltremodo opportuno che terreno venga sgombrato da residui controversia cui ritardata chiusura non potrebbe che pesare sfavorevolmente su insieme negoziati fin d'ora in corso.

(l) -Vedi D. 80. (2) -Con T. 2232/128 R. del 26 aprile 1935, ore 20, de Rossi assicurava che avrebbe provveduto, appena possibile, ad interessare Tsaldar1s alla questione.
95

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 27 aprile 1935.

Questo Ministro di Bulgaria ha informato, d'ordine del suo Governo, che la politica estera bulgara seguirà le direttive dei Governi precedenti continuando quindi a considerare i rapporti della Bulgaria con gli altri Stati in uno spirito d'intesa e di pace e contando sull'appoggio benevolo delle Grandi Potenze (4).

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L'INCARWATO D'AFFARI A BERLINO, DIANA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1608/662. Berlino, 27 aprile 1935 (per. il 29).

Gli aspri commenti e gli articoli minacciosi apparsi nei giornali tedeschi durante i giorni della riunione di Ginevra, la notizia subito risaputasi del lin

guaggio violento adoperato dal Sottosegretario von Biilow con i diplomatici esteri che erano stati in quei giorni da lui e le voci di continuo ripetute di una grande irritazione e di oscure minacce pronunziate dal Cancelliere Hitler, avevano diffuso un poco dappertutto in Germania un certo senso di inquietudine e l'aspettazione di qualche manifestazione violenta o di un nuovo colpo di testa come risposta della Germania al solenne deliberato di Ginevra. La nota di protesta che il Governo del Reich ha fatto consegnare a tutti i Governi rappresentati nel Consiglio della Società delle Nazioni (l) è stata perciò accolta con un senso generale di sorpresa, tanto presso questa opinione pubblica che negli ambienti diplomatici di Berlino, essendo apparsa a tutti come una manifestazione molto più moderata di quanto le violente premesse dei giorni precedenti lasciavano prevedere. Questo senso di sorpresa non è sfuggito ai circoli governativi e commenti ufficiosi si sono affrettati a mettere in evidenza come, benchè in forma concisa e dignitosa, la protesta tedesca nulla perdeva della sua importanza e fierezza; ed in un certo modo si è cercato di far risaltare appunto la dignità e la moderazione dimostrata dal Reich in contrapposto all'atteggiamento delle potenze riunite a Ginevra, le cui decisioni non avrebbero nessuna base o contenuto giuridico, ma rappresenterebbero soltanto una manifestazione di odio politico. Si è inoltre chiarito che con la presentazione della nota di protesta il Governo del Reich non intendeva la questione esaurita, ma che esso si era espressamente riservato di ribattere con una comunicazione ulteriore tutti i diversi punti del deliberato di Ginevra. Quale sarà per essere la forma ed il contenuto di questa ulteriore comunicazione non mi è riuscito finora di appurare, ma ho raccolto la voce che l'argomento verrà trattato personalmente dallo stesso Cancelliere, nel discorso che egli pronunzierà alla grande adunata del l o maggio.

Frattanto sono giunte opportunamente le feste pasquali, e la consueta sospensione per due giorni della pubblicazione dei giornali ha servito a spegnere l'acredine delle discussioni ed allontanare l'eco dei commenti dei giornali stranieri. Ripresa la pubblicazione dei giornali, l'argomento viene trattato come dire in sordina, quasi si volesse lasciare intendere che esso non sia più di immediata attualità, dato che, nonostante le loro proteste, le Potenze hanno oramai dovuto inclinarsi davanti al fatto compiuto, ed il riarmo della Germania costituisce una necessità accettata da tutti. L'attenzione dell'opinione pubblica viene abilmente distratta con la descrizione delle numerose manifestazioni di omaggio organizzate il 20 aprile per il compleanno del Cancelliere e con l'annunzio delle spettacolose cerimonie che si vanno preparando per solennizzare la prossima Festa del Lavoro del 1° maggio.

Quelli, ed in verità, ripeto, erano molti, che si attendevano un colpo di testa od una manifestazione di protesta particolarmente violenta si sono sbizzarriti a ricercare una spiegazione dell'atteggiamento, sotto molti aspetti certamente di inusitata moderazione, adottato dal Governo del Reich: si è parlato specialmente di nuove energiche pressioni e di segrete promesse da parte inglese; altri hanno fantasticato di un intervento moderatore da parte polacca; altri infine hanno rimesso in giro il consueto ritornello di un'imposizione della Reichswehr. Penso che, piuttosto che ricercare macchinazioni e pressioni che

probabilmente non sono mai esistite, la spiegazione dell'atteggiamento tedesco può trovarsi con considerazioni di buon senso: il Cancelliere ha esaminato la situazione col Ministro degli Esteri barone von Neurath e col signor von Ribbentrop, e sembra pure con i Ministri delle Forze Armate von Blomberg e dell'Economia Nazionale Schacht; nonostante l'impulsività del Cancelliere e lo scarso senso politico da lui dimostrato in molte occasioni, nulla porta ad escludere che una volta tanto quest'uomo, che ha in mano i destini di un grande paese, abbia ascoltato i suggerimenti dei suoi consiglieri politici, militari e finanziari, e si sia regolato secondo le regole del buon senso, riconoscendo l'opportunità di non tagliare tutti i ponti per ulteriori trattative con le grandi Potenze occidentali, e di astenersi da manifestazioni violente che avrebbero suscitato nuova inquietudine nel paese e nuovi allarmi all'estero. La calma all'interno e la minore possibile diffidenza dell'estero appaiono infatti requisiti necessari per poter svolgere l'attuazione pratica del programma di riarmamento e per permettere di superare la situazione economico-finanziaria che si mantiene sempre molto grave.

La voce di cui sopra, di nuove segrete conversazioni e promesse da parte inglese, ha trovato particolare credito in quegli ambienti che già da tempo insistono nel credere in una politica particolarista dell'Inghilterra e nei sentimenti germanofili di buona parte di quel Governo e di quell'opinione pubblica. Per dare credito a tale voce i giornali hanno pubblicato con titoli di scatola la notizia di uno scambio di ufficiali fra l'esercito britannico e l'esercito tedesco. Si tratta peraltro di una consuetudine già frequente prima della guerra e che ora viene ripresa in modestissima misura: due ufficiali tedeschi andranno a prestar servizio per qualche settimana presso un reggimento inglese e tre ufficiali inglesi verranno con lo stesso scopo in Germania. Ricordo ad ogni buon fine che già da alcuni anni un simile scambio esiste anche fra ufficiali italiani ed ufficiali tedeschi ed infatti attualmente alcuni ufficiali italiani prestano servizio presso reparti armati tedeschi.

È stato anche dato risalto alla notizia della prossima partenza per Londra di alcuni ufficiali di marina tedeschi per una presa di contatto con l'Ammiragliato britannico. La cosa era stata già accennata durante i colloqui SimonHitler e questo R. Addetto Navale mi riferisce che alcuni ufficiali della marina tedesca si recheranno infatti prossimamente a Londra, ma che è stato ben stabilito che la missione avrà carattere semplicemente informativo ed è quindi da escludersi che le conversazioni navali anglo-tedesche possano portare comunque ad una decisione concordata in merito al problema degli armamenti navali germanici.

Le speranze e le speculazioni di quelli che confidano nei sentimenti germanofili di una parte del Gabinetto inglese hanno ricevuto una doccia fredda con la pubblicazione apparsa ieri dell'articolo del Presidente MacDonald. Con telegrammi Stefani (l) ho riferito i primi commenti dei giornali tedeschi e come questi si affannino stamane a mettere particolarmente in rilievo quegli articoli apparsi nella stessa stampa inglese e che suonano dissenso o disapprovazione della pubblicazione dell'eminente uomo di Stato britannico (2).

97.

L'INCARICATO D'AFFARI A BUDAPEST, BALDONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 4440/591. Budapest, 27 aprile 1935 (per. il 1° maggio).

Telespresso di questa R. Legazione n. 3575/482 del 5 corrente (1).

Questo Direttore degli Affari Politici mi si è mostrato stasera lieto e fiducioso per gli ultimi sviluppi della questione ungaro-jugoslava. Sebbene la malattia del signor Eden -mi ha detto -avesse impedito a questo di occuparsene, si aveva ora qui motivo di ritenere che fosse stata trovata per la relazione una formula la quale, soddisfacendo entrambe le parti, avrebbe consentito la liquidazione onorevole e definitiva di tutta la faccenda nella prossima riunione del Consiglio della S.d.N.

Avendo io osservato che ciò mi rallegrava tanto più in quanto mi era noto -come era noto a lui -quale fosse stata l'azione svolta dal R. Governo per una soluzione corrispondente al vivo desiderio ungherese, il Barone Bessenyei si è affrettato a convenire meco con parole di caloroso riconoscimento. Ha aggiunto poi potersi ora vedere come il miglioramento dei rapporti italo-jugoslavi, «di cui a tutta prima non era stato dato discernere i vantaggi», stesse portando buoni frutti.

Le considerazioni surriferite sembrano meritevoli di attenzione ove si tenga presente che fino alla settimana scorsa il pessimismo, apertamente manifestato, in merito alla questione ungaro-jugoslava era qui pari alla preoccupazione, malamente celata, suscitata dalla prima manifestazione di riavvicinamento tra Belgrado e Roma (2).

98.

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2263-2267/167-168 R. Washington, 28 aprile 1935, ore 14,17 (per. ore 23,30).

Telegramma di V. E. 135 (3).

Nell'assenza da Washington tanto del Segretario quanto del Sottosegretario di Stato mi sono intrattenuto della questione col signor Murray, Capo Divisione del Vicino Oriente, che ha competenza per questioni Abissinia. Ho creduto opportuno però di dare al mio passo carattere di semplice sondaggio fatto quasi a titolo personale, e ciò anche perché avevo motivo di ritenere che la risposta non sarebbe stata soddisfacente.

Mi astengo dal riferire argomenti e considerazioni da me svolte per mettere in evidenza nostro intento facilitare pacifica composizione del conflitto italo-etiopico e mi limito a comunicare osservazioni dell'alto funzionario Dipartimento di Stato.

Il signor Murray ha in primo luogo richiamato mia attenzione sulla circostanza che politica americana segue criterio di non incoraggiare né assistere

Ditte americane interessate all'esportazione di armi e mumzwni. Rappresentanti diplomatici e consolari americani all'estero hanno istruzione non solo di astenersi dal prendere iniziativa ma anche di negare loro appoggio nella conclusione di contratti del genere. D'altra parte, potere esecutivo non ha alcuna autorità e non possiede alcun mezzo legale di limitare diritto costituzionale che ciascun cittadino americano possiede di vendere propri prodotti. Limitazione di tale diritto può essere applicata soltanto in forza di legge, che deve essere appositamente votata dal Congresso. Ciò si è verificato per ultimo con le leggi che hanno autorizzato Presidente a imporre embargo sulle spedizioni di materiale da guerra alla Bolivia e Paraguay. Potere del Presidente è però limitato ai due suddetti Paesi sud-americani. A questo punto ho osservato al mio interlocutore che mi rendo conto delle difficoltà di carattere costituzionale e legale ma che io non avevo inteso alludere ad un divieto formale di vendita di materiale bellico americano all'Etiopia, bensì soltanto all'opportunità politica di esercitare opera di persuasione su Compagnia Ford allo scopo indurla a sospendere volontariamente le sue forniture.

A ciò signor Murray ha anzitutto obbiettato che azione del genere da parte del potere esecutivo sarebbe stata contraria alla regola di non interferenza costantemente seguita dal Governo. In secondo luogo ha osservato che, dato e non concesso che Presidente volesse autorizzare pressioni su Compagnia Ford nel senso da noi desiderato, era molto dubbio che esse avrebbero raggiunto effetto voluto, perché Ford si è sempre mantenuto indipendente e qualche volta ha assunto anche attitudine ostile di fronte all'amministrazione Roosevelt. Finalmente egli mi ha fatto rilevare che qualsiasi azione anche ufficiosa del Governo avrebbe molto difficilmente potuto rimanere segreta e che minima indiscrezione avrebbe inevitabilmente sollevato violenta critica contro il Presidente nonché campagna di stampa contro l'Italia, la quale sarebbe stata certamente accusata di avere impedito che altri Paesi meno armati e con minore capacità di produzione si fornissero all'estero di materiali che potevano anche essere considerati con scopi puramente difensivi. Stampa avrebbe certamente messo in evidenza che autocarri non costituivano materiale di guerra vero e proprio e che d'altra parte, data sproporzione fra le risorse militari italiane e etiopiche, sospensione fornitura americana costituiva presa di posizione contro Etiopia e a favore dell'Italia in un conflitto al quale Governo degli Stati Uniti doveva mantenersi estraneo. E simile campagna di stampa che nessun argomento potrebbe prevenire o arrestare -ha concluso mio interlocutore -danneggerebbe seriamente posizione morale dell'Italia negli Stati Uniti, ciò che stesso Dipartimento ha interesse e desiderio di evitare.

Ho riferito fedelmente osservazioni fatte da signor Murray. A mio avviso esse rispecchiano attitudine che Governo assumerebbe di fronte ad una nostra più esplicita richiesta ed ho quindi motivo di escludere che ulteriori insistenze possano sortire esito diverso.

Poiché tuttavia mio passo odierno ha avuto semplicemente carattere di sondaggio, V. E. giudicherà se sia il caso che io intrattenga della questione Segretario di Stato al suo ritorno a Washington (1).

(l} Per la risposta di Suvich vedi D. 124.

(l) -Vedi serie settima, vol. XVI, DD. 440, 445, 453 e 456. (2) -Vedi D. 28. (3) -Vedi D. 45. (4) -Con T. 2201/44 R. del 22 aprile 1935, ore 15,10, Sapuppo aveva rUerito circa la crisi ministeriale bulgara conclusasi con la promessa da parte del Re d! una nuova Cost!tuzi=e e la dichiarazione del Presidente del Consiglio sulla politica d! conc!l!az!one e pacif!caz!one del nuovo Governo. Il presente documento reca il visto di Mussol!ni.

(l) Vedi D. 50.

(l) -Non si pubblicano. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (l) -Non pubbl!cato. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussol!ni. (3) -Vedi D. 82.
99

L'AMBASCIATORE AL CAIRO, PAGLIANO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2285/166 R. Cairo, 29 aprile 1935, ore 12,31 (per. ore 13,30J.

Da un mio fiduciario ho fatto avvicinare abissino che ha costantemente accompagnato Missione etiopica durante sua sosta Cairo.

Impressione generale ricevuta conferma quanto riferitomi da mio fiduciario copto (mio telegramma n. 150) (l) che stato d'animo membri Missione era alquanto depresso.

Missione inizialmente contava prendersi qualche giorno in Palestina, ma aveva ricevuto ordine rientrare Etiopia.

Capo Missione, parlando con detto abissino, gli disse che ormai in Etiopia guerra si ritiene inevitabile, ma che si prevede non scoppierà prima di novembre risultando che soltanto a quella data preparazione militare italiana sarà ultimata, che al contrario forze abissine sono poco preparate e difettano armi e munizioni e si teme prossimo rallentamento del flusso forniture dall'estero, che Imperatore è preoccupatissimo sopratutto per recenti cattive notizie circa fedeltà vari Ras, che preoccupazioni non meno gravi si hanno per viveri, che da molti si pensa che l'Italia, vinta Abissinia, ne farà Stato protetto e non Colonia.

Confermo che Missione etiopica non ebbe qui contatti politici, né recò doni e da Patriarca Copto ebbe accoglienza cordiale, ma piuttosto fredda. In proposito uno dei miei fiduciari copti mi disse che Patriarca era irritato per avere scoperto che un emissario etiopico lo sorvegliava. Su argomento Chiesa copta aggiungo che ieri mattina, ricorrendo Pasqua Ortodossa, mi recai fare auguri Amba Johannes.

Patriarca (aveva predisposto fossi salutato cortile onore da musica e da due Vescovi) mi accolse con cordialità e ricordò particolarmente con quanta generosità Governo italiano provvide anno scorso consacrazione nuovi sacerdoti venuti da Eritrea.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2281/225 R. Parigi, 29 aprile 1935, ore 13,20 (per. ore 15,15).

A telegrammi di V. E. n. 193 e n. 197 (2).

Questo Ministro degli Affari Esteri non ha obiezioni a che un invito alla conferenza di Roma sia inviato formalmente al Governo britannico e che lavori siano seguiti da un osservatore svizzero .

Laval è di avviso invece che non convenga fissare fin da ora data conferenza. Egli desidera preparare Stati della Piccola Intesa ai quali la fissazione di una data senza preavviso potrebbe apparire come una imposizione.

Il Ministro ha aggiunto che la questione del riarmamento degli Stati minori ha reso estremamente nervosa la Piccola Intesa. Occorre, secondo lui, non dare pretesto a nuovi malumori.

Laval spera di condurre in porto le trattative con la Russia entro questa settimana, dopodiché si occuperebbe subito della preparazione della Conferenza Danubiana nei riguardi della Piccola Intesa.

(l) -Con T.s. 2211/150 R. del 24 aprile 1935, ore 14,13, Pagliano aveva comunicato che la delegazione etiopica sarebbe ripartita il giorno dopo senza aver avuto contatti con personalità ufficiali. (2) -Vedi D. 62.
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IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2292-2295/54-55 R. Praga, 29 aprile 1935, ore 19,55 (per. ore 0,30 del 30).

Telegramma di V. E. n. 29 (1). Ho fatto comunicazione prescrittami, parlando con Benes, rientrato stamane Praga.

Questo Ministro degli Affari Esteri ringrazia V. E. della cortese comunicazione di cui apprezza significato, ma mi ha detto che tuttavia la cosa non può far piacere e non mancherà di sollevare qualche inquietudine nei circoli della Piccola Intesa.

Gli ho replicato che non (dico non) potevo condividere suo punto di vista, dato che cortese e leale [natura] del gesto di V. E. sorpassa in significato e portata e deve prevenire ogni inquietudine dei tre Governi della Piccola Intesa.

Benes ne convenne e mi ha confermato quanto già detto a S. E. Aloisi (2) che cioè sue intenzioni e disposizioni per realizzare accordo danubiano restano immutate e che a tal fine adoperasi del suo meglio. Mi ha ripetuto suo concetto, già riferito, che Conferenza di Roma debba consacrare accordo già raggiunto in massima fra Stati interessati attraverso contatti diplomatici, non essendo possibile ed essendo estremamente pericoloso che Stati convenuti a Roma si mettano a litigare fra loro con profitto solo Germania, che non mancherà far tentativi disgregazione. A tal fine Benes mi ha detto che si riserva invitarmi ad una esauriente esposizione sue vedute (3) affinché io possa prospettarle tempestivamente a V. E.

Ho avuto così ancora occasione di sottolineare importanza della comunicazione fattagli stamane, in quanto ultima parte del telegramma cui rispondo era già stato perfettamente concordato col modus procedendi suggerito e raccomandato da esso Benes.

Mentre quindi resto in attesa comunicazioni preannunciatemi circa risultati conferenza Venezia (4), nonché quelle altre istruzioni e norme di linguaggio che v. E. crederà farmi pervenire, riferisco idee preliminari espostemi da Benes.

l. -In massima egli confida nella riuscita accordo danubiano a condizione che solidarietà Italia, Francia, Stati danubiani venga mantenuta nonostante tentativi disgregazione che potrà [effettuare] Germania. 2. -Non (dico non) crede che Germania interverrà Conferenza Roma, sebbene suo intervento sia desiderabile: bisogna però poter fare accordo anche senza Germania. 3. -Problema più difficile sarà Ungheria (ho potuto così sottolineare di nuovo e fargli ammettere utilità Conferenza Venezia). 4. -Intesa con Austria non dovrebbe incontrare difficoltà giusta colloquio avuto a Ginevra con Berger-Waldenegg di cui informò Aloisi. 5. -Prevede che alcuni degli Stati partecipanti Conferenza Roma non (dico non) vorranno impegnarsi assistenza militare, come Ungheria e certamente Polonia.

In conversazioni di carattere sondaggio reciproco Benes ha tenuto a valorizzare importanza popolo cecoslovacco per sicurezza Europa contro pericolo germanico rappresentato da Cecoslovacchia, che egli ha paragonato a situazione Bulgaria nel 1918, chiave di volta del sistema di [sicurezza] degli Imperi centrali cui crollo si iniziò con caduta Bulgaria.

Cecoslovacchia rappresenterebbe oggi indispensabile anello di congiunzione tra Potenze occidentali e elementi orientali del sistema di sicurezza europea, siano essi costituiti da Polonia o Russia; per cui, Benes mi ha detto chiederà che venga considerata importanza del fattore cecoslovacco su un piede di perfetta reciprocità.

Gli ho subito obiettato che interesse cecoslovacco è prevalente in quanto esistenza stessa dello stato abbisogna assistenza Potenze occidentali per le quali Cecoslovacchia non rappresenta più di una posizione strategica importante ma non vitale. Per cui ho concluso, amichevolmente ma francamente, che Cecoslovacchia non deve esagerare sue pretese.

Benes ha ripetuto noto argomento che Cecoslovacchia potrebbe intendersi con Germania, così come ha fatto Polonia, ma che egli preferisce restare con Potenze occidentali.

Gli ho detto che intesa con Germania significherebbe ritorno Boemia ad asservimento germanico per cui anche qui interesse cecoslovacco è di seguire attuale politica itala-francese.

Benes ha concluso sua esposizione preliminare, che considero come introduzione solita difesa preventiva della intransigenza cecoslovacca verso prevedibili rivendicazioni ungheresi, col dirmi che se la Cecoslovacchia deve adempiere sua missione di fronteggiare con tutte sue possibilità pericolo germanico, deve essere garantita dal pericolo essere pugnalata alla schiena, ciò che -ha detto Benes -Ungheria deve comprendere. Egli ha riconosciuto peraltro necessità che tutti Stati danubiani addivengano intesa, che sarà possibile solo con inclusione Italia e Francia nell'intesa regionale destinata a impedire Anschluss da una parte, e, dall'altra, [a] preparare [attraverso] congruo periodo di connivenza politica, possibilità intesa fra tutti Stati danubiani. Ha precisato che un accordo per indipendenza Austria della durata, per esempio, di dieci anni potrebbe bastare a fare maturare possibilità reale pacificazione danubiana, dopo di che potrebbero esaminarsi eventuali concessioni.

Avendo io attirato sua attenzione su gravità di un mancato intervento Germania a conferenza Roma, Benes ha detto che accordo dovrebbe lasciare porta aperta a possibile successiva accessione Germania (1).

(l) -Vedi D. 83, nota l p. 77. (2) -Vedi D. 30. (3) -Vedi D. 163. (4) -Vedi D. 172, nota 2.
102

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2293/226 R. Parigi, 29 aprile 1935, ore 20 (per. ore 22,30).

Lavai mi ha detto che il comunicato dell'Agenzia Tass da Mosca del 28 corrente, riprodotto dal Petit Parisien rappresenta in fondo idee del Governo. Il Ministro interpreta perciò il comunicato ufficioso russo come un modo elegante del Governo sovietico di cedere alle domande della Francia. Tuttavia Quai d'Orsay non ha ricevuto finora nessuna comunicazione al riguardo.

Punti più importanti ancora in discussione sono i seguenti:

l) Francia insiste perché accordo di mutua assistenza franco-russo rientri nel quadro della Società delle Nazioni e non transigerà su questo punto;

2) assistenza sarà data soltanto in seguito ad un invito della Società delle Nazioni;

3) Francia intende assolutamente evitare che il fatto dì prestare soccorso alla Russia si ritorca contro di lei;

4) assistenza alla Russia non deve insomma in nessun caso poter essere sfruttata come una aggressione della Francia alla Germania, facendo funzionare Locarno contro la Francia;

5) la Russia domanda alla Francia di accordarle vantaggio della clausola della Nazione più favorita in linea politica. In altre parole la Russia domanda di beneficiare degli accordi politici che la Francia concluderà con altri Stati.

Lavai ha opposto che la Francia ha con alcuni paesi limitati interessi diretti, che non possono essere paragonati a quelli che la legano alla lontana Russia.

In un secondo tempo Mosca si è dichiarata disposta a prescindere dagli accordi politici della Francia con l'Italia, l'Inghilterra ed il Belgio, appunto in considerazione degli interessi speciali derivanti dalla situazione di Stati confinanti.

Lavai, a sua volta, ha proposto alla Russia la parità con la Germania in

previsione di eventuali accordi della Francia col Reich dei quali beneficiereb

be dunque anche la Russia.

11 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. I

Litvinov ha domandato trattamento analogo nei riguardi della Polonia.

Ministro degli Affari Esteri francese ha obiettato di non poter concederlo perché Polonia è nella condizione speciale di alleata della Francia.

Le cose sono a questo punto. Lavai mi ha detto che terrà duro.

La Russia ha domandato infine che, nel caso di lungaggine della S.d.N. a prendere una decisione, assistenza venga data, anche in difetto di una decisione della S.d.N., dopo un determinato periodo di tolleranza da stabilirsi.

Lavai mi ha detto che richiesta della Russia è inammissibile e non sarà in nessun caso accolta dalla Francia. Assistenza deve dipendere in modo assoluto da una decisione della S.d.N.

Ministro degli Affari Esteri mi ha detto che mi dava suddette informazioni a titolo confidenziale.

In risposta a mia richiesta, Lavai ha detto che, pur non condividendo ottimismo della stampa francese, non dispera di parafare accordo nel corso della [settimana] corrente.

Informo che la Stefani Speciale ha telegrafato ad ogni buon fine il comunicato dell'Agenzia Tass nella forma pubblicata dal Petit Parisien, comunicato al quale mi sono riferito al principio del presente telegramma.

103.

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO AL CAIRO, PAGLIANO

T. 778/94 R. Roma, 29 aprile 1935 (1).

Suoi telegrammi 155, 156, 157 e 158 (2).

PregoLa comunicare a Re Fuad che S. E. il Capo del Governo ha preso atto, con soddisfazione, di quanto S. M. ha fatto sapere alla S. V.; e che è sicuro che, grazie alle misure preventive che S. M. vorrà disporre, le amichevoli relazioni itala-egiziane saranno ora ed in avvenire al riparo da ogni eventuale tentativo di sconsigliati miranti ad intorbidirli.

PregoLa inoltre continuare sorvegliare attività Abdul Amid Said e Associazione gioventù mussulmana (3), e riferire ogni utile emergenza (4).

104.

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2325/048 R. Vienna, 29 aprile 1935 (per. il 1° maggio).

Mio telegramma n. 91 (5).

Mentre barone Bessenyey, che ricopre la carica di Direttore degli Affari Politici presso il Ministero degli Esteri ungherese, si Intratteneva qui con

Hornbostel, da parte sua il barone Apor, che sta per assumere in Budapest le funzioni di Segretario Generale, si recava avant'ieri in Stiria a visitarvi ministro Berger, che trascorreva colà la fine della settimana.

Apor ha manifestato a Berger le medesime idee esposte da Bessenyey o Hornbostel: in modo particolare l'impossibilità dell'Ungheria ad accedere ad un patto di mutua assistenza, e ciò non solo perchè l'esercito ungherese sarebbe appena sufficiente per la stretta difesa del paese, ma perché l'adesione ad un tale patto sarebbe interpretata dai paesi della Piccola Intesa come una definitiva rinuncia dell'Ungheria ad ogni revisione dei Trattati di pace.

Da parte sua Berger, che è assillato dal desiderio di conseguire al più presto ogni più sicura garanzia per l'indipendenza austriaca, nonché il riarmo, non mi ha nascosto le sue preoccupazioni per tale atteggiamento dell'Ungheria: che egli teme possa finire col complicare grandemente, se non per pregiudicare, ogni desiderato accordo danubiano, e di conseguenza le stesse imminenti conversazioni di Venezia.

Per tale motivo egli mi ha detto avere lungamente insistito con l'Apor sulla necessità che l'Ungheria attenui ormai le sue tendenze revisionistiche, ispirandosi unicamente a concetti realistici e d'immediata e possibile attuazione (minoranze, ed eventualmente qualche aggiustamento territoriale consensualmente ottenuto dalla Cecoslovacchia), e ciò tanto più in quanto una siffatta politica potrebbe essere praticata anche senza il formale abbandono delle vecchie idealità.

L'Apor avrebbe prestato un orecchio benevolo, essendo da una parte assai dubbioso (ed anche il Kanya, secondo Berger, sarebbe dello stesso avviso) della bontà della politica revisionistica finora seguita dal suo Governo, e dall'altra sinceramente preoccupato del pericolo nazista in Ungheria. Ma a tale riguardo lo stesso Berger ha rilevato che tale disposizione dell'Apor, ed eventualmente del Kanya, non trova riscontro nell'atteggiamento del reggente Horthy, del tutto intransigente in fatto di revisonismo, né in quello del Gombos, costretto -forse a suo malgrado -a subirlo, a causa delle note esigenze parlamentari, rese più acute a seguito delle ultime elezioni che, se hanno significato la fine degli incomodi partiti minori, hanno portato alla ribalta numerosi elementi nazionali, grandemente influenzati dai nazisti.

Ad ogni modo Berger ha rappresentato all'Apor l'assoluta necessità dell'Austria di provvedere alla sua indipendenza, e il conseguimento di tutte quelle garanzie, compreso il riarmo che va1gano a meglio assicurarla. Allo stesso tem

po egli ha tenuto a mettere bene in chiaro che in tutte le questioni in esame il Governo Federale intende procedere in pieno accordo con Roma e con Budapest, e che esso intende altresì astenersi da ogni impegno che potesse eventualmente portare l'Austria ad agire contro l'Ungheria.

In seguito ad opportuni sondaggi ho potuto comprendere che Berger, con la frase anzidetta, si riferiva implicitamente ad un eventuale accordo militare itala-austro-jugoslavo (cui egli tiene, come ho già riferito, in modo particolare), essendo persuaso che una siffatta convenzione possa essere raggiunta con una formula atta ad escludere che essa convenzione possa giocare, in qualsiasi caso, contro l'Ungheria.

(l) Con T. 2291/56 R. del 29 aprile 1935, ore 19,55, Rocco aggiungeva quanto segue: «A proposito delle differenti voci circa data della conferenza di Roma, Benes mi ha detto che a partire dalla fine della prima settimana di giugno Governo cecoslovacco sarà certamente costituito e quindi tale epoca sarebbe certo conveniente per questo Paese».

(l) -Manca l'indicazione dell'ora di partenza. (2) -Vedi D. 75. (3) -Vedi D. 75, nota 4. (4) -Con T. 4320/313 R. del 30 luglio 1935, ore 17,45, Ghig! comunicò d! seguire costantemente le attività di Ham!d Sa!d e si riservò ulteriori comunicazioni, vedi D. 661. (5) -Vedi D. 92.
105

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2366/047 R. Parigi, 29 aprile 1935 (per. il 3 maggio).

Mi riferisco al telegramma di V. E. per corriere n. 732 del 20 corr. (l) ed al mio n. 224 in data odierna (2).

Ho fatto stamane a questo Ministro degli Esteri la comunicazione ordinatami. Ho detto al signor Lavai che l'atteggiamento della Francia male si confaceva con gli Accordi di Roma. Ho osservato che il mio interlocutore conosce perfettamente il pensiero di V. E. e la sua ferma volontà di venire a capo, a qualunque costo, della questione abissina. Lavai ha convenuto lealmente che infatti sa tutto. In queste condizioni, ho precisato, il lasciare passare armi da Gibuti ha per conseguenza di aggravare la situazione e precipitare gli avvenimenti. Ho detto al signor Lavai di augurarmi che il popolo italiano, che ha nell'Africa Orientale il fiore della sua gioventù non sappia mai che le autorità francesi hanno lasciato transitare liberamente 20 mila fucili, quattro milioni di cartucce e quattrocento mitragliatrici.

Ho concluso che V. E. attende che il signor Lavai risolva la situazione al lume del suo acuto senso politico, lasciando da parte le considerazioni d'ordine giuridico che non hanno significato alcuno dopo gli Accordi di Roma e la rinnovata amicizia fra i nostri due Paesi, che, a Stresa, ha avuto una prima solenne consacrazione di fatto. Ho letto, infine, al Ivlinistro l'ultima parte del telegramma di V. E. e l'ho pregato di darmi una precisa risposta da comunicare alla E. V.

Il signor Lavai ha tentato di espormi di nuovo i precedenti della questione. L'ho interrotto per dirgli cortesemente che li rammentavo e che non avevo trascurato, di riferire fedelmente alla E. V. le nostre precedenti conversazioni sull'argomento. Ho insistito affermando che la questione era politica, non giuridica. Si trattava di sapere se la Francia fosse disposta o no di regolarsi secondo lo spirito degli Accordi di Roma. Il Ministro si è messo in mia presenza in comunicazione telefonica con il Segretario Generale del Quai d'Orsay e gli ha domandato di fornirgli tutti gli elementi per studiare personalmente la questione. A un certo punto Léger gli ha obiettato gli obblighi convenzionali della Francia verso l'Etiopia. Al che Lavai ha risposto testualmente: «Dans ce cas Mussolini fera la guerre tout de suite ».

Il Ministro si è rivolto poi a me per dirmi di rendersi conto della necessità di risolvere la questione. Egli si propone di studiarla e di informarmi. Ho insistito ancora una volta e ho detto al Ministro che la soluzione è una sola, ossia di impedire il transito del materiale bellico da Gibuti, a destinazione dell'Abissinia.

Il signor Lavai ha desiderato, alla fine, darmi conoscenza di alcuni telegrammi del Ministro di Francia ad Addis Abeba e ha insistito ripetutamente perché io riferisca alla E. V. anche su questo punto della nostra conversazione, facendomi prendere nota di alcune frasi che citerò sottolineandole. Ho risposto

al Ministro che ero a conoscenza delle pressioni esercitate dalle autorità etiopiche sulla Francia e che aveva segnalato a suo tempo anche questa circostanza alla

E. V.. Comunque dacché egli (Lavai) lo desiderava avrei comunicato le sue nuove dichiarazioni.

Dai telegrammi dei quali mi è stata data conoscenza risulta che il 1° aprile il Negus ha chiamato presso di sé il Ministro di Francia e gli ha domandato «per quale motivo, mentre non esisteva lo stato di guerra, le autorità francesi avessero impedito il transito, da Gibuti, di armi e munizioni ordinate fin dallo scorso anno dal Governo abissino, in Cecoslovacchia e nel Belgio».

Il Negus aveva inoltre chiesto al Rappresentante francese le ragioni per cui il Governo della Repubblica avesse vietato l'esportazione di alcune partite di materiale bellico ordinato all'industria francese nel febbraio del corrente anno. Il Negus aveva deplorato infine «l'affronto morale immeritato» che gli era stato inflitto. Il Sovrano, ha chiosato Lavai, aveva letto le surriferite dichiarazioni e aveva trattato con ostentata freddezza il Ministro di Francia.

Assicuro V. E. che mi rendo conto dell'imprescindibile necessità di impedire il rifornimento di materiale bellico da Gibuti, e di quello che è il mio compito nella circostanza (l).

(l) -Vedi D. 61. (2) -Con T. 2276/224 R. del 29 aprile 1935, ore 13,20, Pignatti aveva informato dl aver eseguito le istruzioni di cui al D. 61 e di riferirne per corriere.
106

IL MINISTRO AL CAIRO, PAGLIANO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2455/175 R. Cairo, 29 aprile 1935 (per. l'8 maggio).

Seguito mio telegramma n. 166 (2). Subito dopo mia uscita da Patriarcato Amba Johannes riunl vescovi e membri Meglis Milli per comunicare loro che ministro Italia avevagli detto Governo italiano vedeva con favore sviluppo istituzioni religiose in generale come fattore agevolante funzionamento normale vita dello stato, che ministro gli aveva dato impressione che Italia avrebbe preso favorevole considerazione desideri chiesa copta nei suoi domini, che se particolare benedizione impartiva ai figli dell'Etiopia riteneva che copti Egitto non dovessero abbandonarsi a reazioni inconsulte verso Italia.

Patriarcato ha inoltre dato stampa comunicato nel quale, dando conto persone che recarono auguri Pasqua, insieme con menzione generica varie autorità e personalità egiziane o straniere, ha indicato individualmente e soltanto ministro Italia.

107

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA

T. 784/47 R. (3). Roma, 30 aprile 1935, ore 19,30.

Rispondo al Suo interessante rapporto riguardante conversazione con signor Avakumovic (4). Sono anch'io d'avviso che è necessario fare un altro passo

innanzi nel riavvicinamento Roma-Belgrado e questo può avvenire dopo le elezioni jugoslave e non due giorni prima della Conferenza di Roma come Lei propone, con un incontro Suvich-Jeftic a Venezia. Tale incontro potrebbe quindi aver luogo nella seconda quindicina di maggio. Ne parli a Jeftic (l).

(l) -Con successivo T. per corriere 2369/050 R. del 1° maggio 1935 Pignatti riferiva di aver intrattenuto Bargeton sull'argomento e di essere in attesa di una risposta da Laval. (2) -Vedi D. 99. (3) -Minuta autografa. (4) -Vedi D. 87.
108

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2311/256 R. Londra, 30 aprile 1935, ore 19,45 (per. ore 22,10).

Suo telegramma n. 772/C (2).

Vansittart è d'accordo con V. E. sulla necessità di assicurare l'intervento dell'Ungheria alla Conferenza di Roma liquidando in tempo utile vertenza ungaro-jugoslava.

Dato miglioramento sensibile condizioni di salute di Eden, tutto fa prevedere, così mi ha detto Vansittart, che Eden stesso rappresenterà Governo britannico prossima riunione Consiglio della S.d.N. e presenterà quindi rapporto conclusivo.

Qualora Eden non potesse recarsi Ginevra, Vansittart mi ha assicurato che delegato inglese da nominarsi in sostituzione avrà dal Foreign Office le opportune istruzioni nel senso desiderato da V. E.

109

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, CANTALUPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2331/176 R. Rio de Janeiro, 30 aprile 1935, ore 21,04 (per. ore 2,25 del 1° maggio).

Mio telegramma n. 171 del 22 aprile u.s. (3).

Oggi questi rappresentanti Stati Uniti Argentina Cile Perù presentarono a

Ministero Affari Esteri nota identica scusandosi per non avere invitato Brasile

a conferenza economica Buenos Aires e domandandogli intervenire.

Si ritiene che, risolto detto punto, Brasile entrerà nell'azione pacificatrice

per conflitto Chaco su per giù come indicato nel telegramma suddetto.

Ieri miei colleghi inglese e francese, dietro istruzioni loro Governi, hanno interessato per via amichevole Brasile ad unirsi agli sforzi degli Stati Uniti e Lega delle Nazioni per pacificazione Chaco. Ministro Affari Esteri ha ringraziato per l'interessamento lasciando intendere che Governo brasiliano, appena superato ostacolo di cui sopra, non dovrà avere difficoltà collaborare sforzo collettivo.

Appoggiandosi a frequenti [contatti] che recentemente ho avuto con lui, Ministro Esteri ha consentito a giornali pubblicare che al passo di cui sopra ha partecipato anche l'Italia mio tramite.

Mio collega Francia riteneva che anche questa Ambasciata avesse ricevuto da V. E. istruzioni identiche. Prego dare istruzioni per eventuale norma linguaggio (1).

(l) -Per la T1sposta di Viola vedi D. 121. (2) -Vedi D. 94. (3) -Con T. 2200/171 R. del 22 aprile 1935, ore 20,17, Cantalupo aveva anticipato la dlsponibllità brasillana a partecipare all'azione paclflcatrlce per la controversia del Chaco.
110

IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 2329/48 R. Tirana, 30 aprile 1935, ore 21,20 (per. ore 2,25 del 1° maggio).

Telegramma di V. E. n. 40 (2).

Re Zog, che ha già stabilito iniziare programma d'azione per emigrazione mussulmani Kossovo, mi ha fatto vive premure per ottenere da V. E. un anticipo immediato di 200 mila franchi albanesi.

Somma potrebbe essere prelevata dai fondi disponibili presso Banca Nazionale d'Albania e a mio avviso dovrebbe essere versata personalmente al Re, sia per opportunità di riservatezza sia per valorizzare meglio l'atto. Concessione potrebbe eventualmente essere inquadrata in seguito fra aiuti finanziari (3).

111

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2320-2322/94-95 R. Ankara, 30 aprile 1935, ore 21,49 (per. ore 4,20 del 1° maggio).

Telegramma di V. E. n. 39 (4).

Ricevuto oggi riassunto colloquio Milano fra S. E. Suvich ed Aras.

Ieri Aras, dopo avermi detto che non voleva mutare conclusioni colloquio Milano lasciando quindi a S. E. Suvich decidere quando riprendere le trattative, ha aggiunto che però, a titolo puramente informativo, egli era obbligato a fare conoscere che le circostanze sembravano consigliare la immediata ripresa delle conversazioni per arrivare possibilmente ad una conclusione prima della riunione Roma.

Egli ritiene che la Conferenza di Roma presenterà difficoltà per gli impegni che tutti i convenuti dovranno prendere e stima che le conseguenze di tali difficoltà potrebbero poi ripercuotersi dannosamente sulle trattative itala-balcaniche.

{l) Vedi D. 118.

Invece le trattative itala-balcaniche nelle condizioni presenti non presenteranno difficoltà di sorta per raggiungere le finalità di un semplice Patto di amicizia e di non aggressione, mentre stabiliscono immediatamente una atmosfera di armonioso equilibrio italo-balbanico che non può che giovare al risultato della riunione di Roma mentre ivi l'Italia avrà al suo fianco le potenze balcaniche che non attendono e non desiderano altro che la definitiva parola dell'Italia al loro riguardo.

Egli è sicuro di interpretare pensiero romeno e jugoslavo. Ovvio, sotto riserva, il consenso greco.

Anche le discussioni e le proposte eventuali dell'Italia per l'Ungheria, compreso il riarmo (ha confermato egli non ritiene eterno il disarmo degli Stati minori: vedi mio telegramma n. 50 del 19 marzo s.) (1), saranno esaminate sotto altra luce e con altro spirito se verranno dall'Italia, già legata da vincoli di amicizia con gli Stati Balcanici, che non senza questo legame. È la funzione mediatrice dell'Italia, fra Ungheria, da una parte, e Jugoslavia e Romania dall'altra, che potrà ottenere qualche utile risultato al quale la Turchia, essa pure unita da vincoli di amicizia con l'Ungheria, coopererà del suo meglio.

Egli spera che V. E. abbia potuto, nel frattempo, esaminare la assoluta necessità politico-militare della partecipazione anche della Romania al proposto Patto (richiamo pro-memoria Addetto Militare allegato al mio rapporto n. 375 del 13 corrente) (2) mentre ogni preoccupazione di astensione è esclusa poiché egli conferma che la Russia si disinteressa del proposto Patto, accontentandosi di saperlo concluso, come se ne disinteressano Francia e Inghilterra.

Per la Russia egli ha già fatto fare comunicazioni precise a S. E. Suvich da codesto Ambasciatore di Turchia. Ha ripetuto che egli non vuole modificare le decisioni prese a Milano ma solo esporre una situazione di fatto che gli sembra evidente.

Se V. E. giudicherà la situazione odierna come egli la considera e vorrà fargli avere una parola di approvazione di massima, egli il 10 maggio a Bucarest potrà fare votare una risoluzione di principio da parte Intesa Balcanica e poi potrà avere un incontro con S. E. Suvich o a Stambul (dove potrebbero venire tutti i Balcanici), immediatamente dopo la riunione di Bucarest, o in una città dell'Italia settentrionale al loro passaggio, o a Ginevra con S. E. Aloisi il 20 maggio.

Se accordo definitivo potrà essere raggiunto, la firma potrà aver luogo o a Ginevra o a Roma durante riunione per l'Austria.

Suo colloquio estremamente animato volev~soprattutto dimostrare che progettato Patto, non toccando Europa Centrale, non avrebbe diretto significato anti-germanico; che non partecipandovi Cecoslovacchia non avrebbe significato anti-ungherese, anzi faciliterebbe componimento fra Ungheria e Jugoslavia con Romania e successivamente con Cecoslovacchia; che gioverebbe all'atmosfera nella quale si debbono prendere poi a Roma conclusioni ed impegni per la non ingerenza in Austria; che forse la Germania (che molto lo interroga sullo stato attuale delle nostre trattative) sarebbe indotta ad un maggiore adattamento alla situazione e forse meno renitente a partecipare alla Conferenza di Roma.

Ha tenuto a marcare che il suo colloquio con S. E. Suvich era stato estremamente cordiale ed amichevole il che aveva recato molta soddisfazione agli alleati balcanici.

Ismet Pascià, che ho veduto poco dopo, mi ha chiesto insistentemente se Tewfik Rtistu Bey mi aveva parlato, ed ha aggiunto che era meglio accelerare le trattative. Ho la netta sicura (ripeto sicura) impressione che la nuova odierna premura di Tewfik Rustu Bey viene non solo da Ismet Pascià, ma anche dalla commissione parlamentare per gli Affari Esteri e che decisione rinvio trattative non è stata qui approvata.

Aras ha concluso che non si turberà se non gli sarà data alcuna risposta, restandosi quindi alle conclusioni già prese con S. E. Suvich. Ma io stimo che una risposta qualsiasi dovrebbe essergli data. In tal caso essa dovrebbe giungermi non più tardi della mattina del 7 maggio prossimo, poichè Tewfik Rtistu Bey partirà la sera per Bucarest (1).

(2) -Ved:l D. 29. (3) -Per la risposta di Suvlch vedi D. 142. (4) -Vedi D. 68. (l) -Vedi D. 2, nota 2 p. 4. (2) -Non pubbllcato.
112

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DELL'UNIONE SOVIETICA A ROMA, STEIN

APPUNTO. Roma, 30 aprile 1935.

Il signor Stein si informa degli ultimi avvenimenti politici ed insiste particolarmente sul mio incontro col Ministro Beck (2). Lo metto al corrente della situazione ed anche dello scambio di vedute col Ministro Beck.

L'Ambasciatore dice che deve parlarmi molto francamente per mettermi al corrente di uno stato d'animo che si verifica in Russia nei riguardi dell'avvicinamento itala-polacco. Si ritiene cioè in Russia che l'Italia ora stia perseguendo la politica di ottenere l'appoggio della Polonia per la questione dell'Austria e che perciò abbia aderito alla tesi polacca sulla questione del Patto orientale (articolo di Engely nella rivista Affari Esteri). Questo avvicinamento italo-polacco è accompagnato anche da un indirizzo dell'opinione pubblica italiana contraria alla politica russa. L'accordo franco-russo non è commentato direttamente dalla stampa italiana, ma si riportano prevalentemente le voci contrarie allo stesso. C'è poi l'articolo di Coppola (3), che in Russia si ritiene rappresenti le correnti ufficiali dell'opinione pubblica italiana, che prende netta posizione contro l'U.R.S.S.

Il signor Stein spera che, per controbilanciare tale impressione negativa nella stampa italiana, possa comparire qualche articolo di migliore comprensione del punto di vista russo.

Ritornando alla Polonia l'Ambasciatore osserva che in Russia si ritiene che la Polonia sia talmente legata alla Germania che ogni sforzo nel senso di staccarla riesca inutile.

Gli rispondo che in Russia SI Immaginano molte cose che non hanno base di realtà. Non è vero che l'Italia giuochi la carta polacca. La Polonia è entrata nel Patto austriaco per nostra iniziativa, è vero, ma soltanto per controbilanciare la presenza della Romania richiesta dalla Francia e dalla Piccola Intesa. I nostri rapporti con la Polonia negli ultimi tempi sono stati sempre buoni e parrebbe veramente assurdo nel momento attuale scoraggiare la Polonia che dimostra delle buone tendenze a rivedere la propria posizione politica. L'Italla non ha nulla da chiedere alla Polonia e non ha fatto nessuna promessa. Se la Polonia non ne vuole sapere del Patto Orientale, l'Italia non ci può nulla.

L'Ambasciatore mi chiede se l'Italia abbia cambiato il proprio punto di vista per quanto concerne il Patto Orientale.

Gli rispondo che l'Italia non ha mutato il proprio punto di vista; che l'Italia non è contraria al Patto Orientale, ma che la questione non la riguarda direttamente. Aggiungo che la Polonia comincia a preoccuparsi seriamente della risorta potenza e dell'aria di sfida che assume la Germania di fronte a tutto il mondo. Se la Polonia intende modificare la propria posizione ed avvicinarsi alle Potenze occidentali, questo potrà essere eventualmente nell'interesse nostro e della Francia o della Gran Bretagna, ma ciò è sopratutto interesse della Russia. Perciò l'opposizione russa ai tentativi di conversione da parte della Polonia riesce assolutamente inesplicabile. Posso aggiungere all'Ambasciatore che da informazioni molto serie in nostro possesso, risulta che in Polonia, e particolarmente il Maresciallo Pilsudski, si ,preoccupano eccessivamente della situazione e cercano di riprendere i contatti con le Potenze occidentali.

(l) -Dall'esame della corrispondenza telegrafica non risulta che Suvich abbia inviato una risposta. (2) -Vedi D. 63. (3) -81 riferisce all'articolo dl F. COPPOLA, La politica danubiana dell'Italia, in «Pol1tdca », 1935, fase. CXIII-CXIV, pp. 5-21.
113

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 30 aprile 1935.

Ho l'onore di richiamarmi ai telegrammi del R. Ambasciatore in Giappone nn. 34 e 35 (l) e al telegramma n. !)l del R. Ambasciatore in Cina (2), che concernono la politica italiana in Estremo Oriente e suggeriscono l'opportunità che essa sia riconsiderata ed eventualmente modificata.

La situazione in Etremo Oriente, quale la si può desumere dalle notizie per-venute al R. Ministero, è caratterizzata:

l) dalla tendenza ad un'intesa sino-giapponese;

2) dalla détente tra U.R.S.S. e Giappone;

3) dal desiderio inglese che si appianino le divergenze sino-giapponesi;

4) infine dalla non opposizione attiva del Giappone all'interessamento di altri Stati in Cina.

Circa il n. 3 «desiderio inglese che si appianino le divergenze sino-giapponesi~. mi richiamo ad altro Appunto del 25 marzo u.s. (l) col quale riferivo le informazioni fornite al riguardo da questa Ambasciata di Cina circa il pro"' gettato prestito internazionale della Cina, nel senso che l'Inghilterra si sta occupando per attutire i contrasti tra Nanchino e Tokio consigliando ai cinesi di mettersi d'accordo col Giappone. Come contropartita a questo intervento inglese, il Giappone sembra abbia desistito dalla opposizione che aveva originariamente fatto al prestito.

Circa il n. 2 « détente tra U.R.S.S. e Giappone ~. è da segnalare la vendita da parte dell'U.R.S.S. al Manciukuo della Ferrovia dell'Est Cinese. L'U.R.S.S. ha rinunciato così alle sue posizioni in Manciuria ed ha eliminato una delle maggiori cause di attrito col Giappone. Le ragioni di contrasto tra Mosca e Tokio continuano tuttavia a sussistere. Basti riferirsi alla lotta per la supremazia in Mongolia e nel Turkestan cinese, che il Giappone continua a condurre sistematicamente, e alla quale l'U.R.S.S., alla lunga, non può evidentemente rimanere indifferente. Ciò non astante, come osservato, una détente esiste. Anzi sotto la spinta anche degli avvenimenti europei, si torna a parlare ora di una zona demilitarizzata tra l'U.R.S.S. e il Manciukuo e di un Patto di non aggressione sovietico-giapponese.

Circa il n. l «tendenza ad un'intesa sino-giapponese)) e al n. 4 «non opposizione attiva del Giappone all'interessamente di altri Stati in Cina», non è azzardato affermare che tra Cina e Giappone si vada delineando una specie di transazione tra il programma massimo giapponese: l'Asia agli asiatici, esclusione degli occidentali da ogni attività in Cina ecc.; e il programma massimo cinese: lotta al Giappone per la difesa dell'integrità territoriale e della libertà politico-economica della Cina, ecc. Probabilmente si tratta di temperamenti tattici, dovuti a ragioni contingenti, delle aspirazioni dei due popoli, aspirazioni le quali tuttavia permangono. Ma intanto né il Giappone sembra insistere su richieste verso la Cina, che escluderebbero gli Stati occidentali dalla Cina ed asservirebbero quest'ultima al Giappone; né la Cina si appresta a resistere attivamente e apertamente alla pressione giapponese. Date queste tendenze si avrà probabilmente per qualche tempo una specie di stasi, che comporterà una situazione di preminenza del Giappone i:g_ Cina, ma darà agli Stati occidentali la possibilità di continuare a lavorare nella Cina. D'altronde è evidente l'interesse cinese a favorire l'attività degli Stati occidentali al fine di bilanciare l'influenza giapponese; e in questo senso le maggiori autorità responsabili cinesi si sono anche espresse di recente col R. Ambasciatore a Shanghai.

Altra forza sulla quale sembra contare la Cina per la difesa delle sue posizioni sembra essere la Società delle Nazioni. Non ostante le delusioni subite a Ginevra pel Manciukuo, la Cina, lungi dal prescindere, nella sua complessa politica, dalla sua appartenenza alla S.d.N., vi mostra ancora il maggiore attac

camento. Quanto alla posizione e all'azione italiana, i RR. Ambasciatori a Tokio e a Shanghai hanno fatto conoscere il loro pensiero come segue.

L'Ambasciatore Auriti, premesso che il Giappone è deciso a diventare 11 padrone dell'Estremo Oriente, e che dispone di larghi mezzi, ha prospettato tre possibilità:

a) fronte unico di tutte le Potenze contro il Giappone;

b) intesa dell'Italia con il Giappone;

c) atteggiamento per così dire di neutralità benevola che non pregiudichi l'avvenire.

L'Ambasciatore Auriti ritiene del tutto improbabile la formazione di un fronte unico anti-giapponese (lettera a), e aggiunge che, anche se esso fosse attuabile, sarebbe inefficace.

Nel suggerire un'intesa itala-giapponese (lettera b), egli considera due sotto-ipotesi:

-un accordo di vasta portata (al riguardo il R. Ambasciatore prospetta i vantaggi che -in ragione di un tale accordo -potrebbero derivare all'Italia da un ulteriore accrescimento della potenza del Giappone, in Europa e nelle Colonie degli Stati europei, come conseguenza dell'eventuale sfasciarsi degli Stati europei medesimi); oppure

-un'intesa limitata alla Cina.

Per quest'ultima ipotesi (intesa itala-giapponese concernente la Cina soltanto) l'Ambasciatore Auriti ritiene che occorrerebbe che l'Italia dichiarasse al Governo giapponese di essere disposta a rinunciare alla sua azione politica in Cina, chiedendo come contropartita, la garanzia giapponese di essere lasciata libera di esplicare la sua azione economica. Per attuare questa linea di condotta, suggerisce che il R. Ministero incominci col fare sondaggi presso l'Ambasciatore Sugimura.

Quanto infine alla terza linea di condotta -neutralità benevola in attesa degli avvenimenti -, l'Ambasciatore Auriti è d'avviso che sarebbe sufficiente di modificare i,1 tono della stampa italiana e di dare a Tokio la sensazione che non siamo contrari alla sua politica in Estremo Oriente.

Quanto al R. Ambasciatore in Shanghai, egli osserva pure a proposito dei rapporti italiani col Giappone, che «un avvicinamento politico fra Italia e Giappone potrebbe giovare~ a creare una atmosfera di comprensione dalla quale potrebbe poi derivare una possibilità di cooperazione o almeno una divisione di lavoro in Cina».

La Direzione Generale degli A. P. -Ufficio IV -tenendo presente quello che S. E. il Capo del Governo in data 28 febbraio u.s. (l) ha telegrafato alle RR. Ambasciate a Tokio e a Shanghai (cioè che il R. Governo mira a continuare l'opera iniziata di partecipazione alla ricostruzione della Cina, collaborando ai fini di questa, che sono difensivi e pacifici) si esprime a favore della seguente linea di condotta:

l) continuare a curare gli ottimi rapporti esistenti tra Italia e Cina e sviluppare le nostre posizioni politiche (Missioni educativa fascista, aeronautica, navale, ecc.), nonché quelle economiche nei limiti delle nostre possibilit.à finanziarie;

2) mirare contemporaneamente a un miglioramento dei rapporti italagiapponesi, -mostrando, a mano a mano che se ne presenti l'opportunità, che l'Italia non intende di dare carattere antinipponico alla sua azione in Cina, per modo che il Governo di Tokio si renda gradualmente conto della vera natura di essa, e intanto e tra l'altro, -venire incontro alle proposte fatteci da Sugimura sul terreno culturale ed economico. Si potrebbe anche pensare ad una presa di contatti col Giappone per facilitare tale miglioramento di rapporti, e rassicurare Tokio sui nostri propositi;

3) non andare oltre tale limite. Addivenire ad un vero e proprio accordo col Giappone, sia pure limitato alla Cina, non sarebbe possibile senza accettare delle rinuncie sul terreno delle nostre posizioni politico-militari in Cina. Ora, allo stato delle cose, queste posizioni sono per varie ragioni altrettanto e forse più importanti delle nostre posizioni economiche. Non sacrificare le posizioni-chiave che deteniamo, ci darà infatti e tra l'altro modo di spianare il terreno alla costituzione di seri interessi economici. Già oggi, grazie ai rapporti politici esistenti, ci sono offerte possibilità di grossi affari, quali forniture aeronautiche e navali, fabbrica di aeroplani e costruzioni nell'arsenale di Shanghai, riorganizzazione dell'industria della seta naturale e artificiale, ricostituzione della compagnia di navigazione fluviale «China Merchant » ecc.; tutte iniziative suscettibili di larghi sviluppi, se troveremo gli uomini adatti e i mezzi finanziari necessari.

Si obietta: per svolgere questo lavoro occorre il beneplacito del Giappone. Si risponde: sembra sia da ritenersi che basti che il Giapponè non ci sbarri decisamente la strada. All'uopo deve tendere il proposto miglioramento dei rapporti itala-giapponesi nel senso indicato di sopra al punto 2. Si rileva che qualche cosa in tal senso è stato già fatto con l'appoggio italiano ad Oslo al Giappone, a proposito delle prossime Olimpiadi.

Resta da considerare l'attività del Giappone in Abissinia. Il R. Ambasciatore in Tokio, interpellato circa la fondatezza della voce di un atteggiamento giapponese favorevole all'Abissinia, ha risposto in senso negativo e ha rilevato che il Giappone, mentre estende la sua azione economica a tutti i mercati, concentra i suoi sforzi politici in Estremo Oriente. Anche l'Ambasciatore Sugimura, mediante una dichiarazione diffusa dalla «Reuter », ha smentito la voce d'interessamento politico giapponese all'Abissinia;

4) la Direzione Generale A. P. è d'avviso infine che convenga continuare ad appoggiare la concessione di un seggio alla Cina nella Società delle Nazioni, la quale, nonostante la debole difesa della Manciuria, rappresenta tuttavia una forza, o se si voglia, una tendenza contraria alla tendenza del Giappone ad allargare il suo predominio in Estremo Oriente.

La Direzione Generale degli A. P. -ufficio IV -rimane in attesa di conoscere se v. E. approvi la linea di condotta tracciata ai nn. l, 2, 3 e 4 del presente Appunto (1).

(l) -Non sono stati rinvenuti mancando il volume del Giappone nella raccolta del telegrammi in arrivo del 1935. (2) -Vedi serle settima, vol. XVI, D. 782.

(l) Non pubblicato.

(l) Vedi serie settima, vol. XIV, D. 676.

(l) In testa a questo documento, s,iglato da MussoUni, c'è l'annotazione: «Approvo. M.». Ad essa segue questa nota, siglata Aloisi: «Il Capo approva e conferma di fare una politica '\michevole col Giappone senza pregiudicare i uostri interessi e posizioni in Cina».

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IL SERVIZIO INFORMAZIONI MILITARE DEL MINISTERO DELLA GUERRA AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

PROMEMORIA S. 75/B. Roma, 30 aprile 1935.

Si comunica stralcio di un rapporto del centro di Vienna sull'atteggiamento austriaco verso di noi.

«Reputo tuttavia opportuno confermare come sia errato il ritenere che l'orientamento della opinione pubblica in Austria sia nei nostri riguardi così favorevole come può apparire dalle dichiarazioni di una stampa opportunamente ammaestrata e sottoposta a censura dal Governo.

L'Italia e gli italiani non sono benvoluti da nessuno, tolte le Heimwehren di Starhemberg o meglio lo Starhemberg stesso e la sua stretta cerchia di aderenti e l'elemento israelita che farebbe lega con chi che sia, purché contro la Germania nazista.

Ci avversano:

-i nazionalsocialisti palesi o nascosti, per la nostra politica austriaca nei confronti con la Germania;

-i quadri ufficiali dell'esercito perché in buona parte filonazisti ed in ogni caso contrari alla influenza italiana nella politica interna austriaca, sebbene avversi a mutamenti di Governo su basi violente;

-i funzionari di grado elevato della Polizia, pure filonazisti in gran parte sebbene anch'essi, come i quadri dell'esercito, avversi a mutamenti di Governo su basi violente;

-gli aderenti ai partiti di sinistra per costruzione;

-i cattolici, che vorrebbero sbarcare le Heimwehren dello Starhemberg, che tacciano di condurre una politica filoitaliana al 100 % anche in contrasto con gli interessi dell'Austria indipendente;

-tutto il vecchiume dell'ex-impero austriaco che non può e non vuole dimenticare che deve a noi la perdita delle sue precedenti posizioni.

Le autorità governative e sopra tutto di Polizia sono poi contrariate dalla attività, non sempre svolta nel modo più appropriato da agenti accertati o presunti del nostro Paese in territorio austriaco, attività che, se pure non si sia potuto sinora riscontrare diretta contro l'Austria, ha spesso avuto emergenze poco gradite... (cita alcuni episodi).

Per concludere, convengo pienamente nella affermazione che l'orientamento degli ambienti austriaci, ivi comprese le autorità statali, sia fondamentalmente e per varie ragioni ostile a noi ed al nostro agire nel territorio federale ed esprimo il sommesso parere che convenga, nel lavoro che qui si fa ed ove non si faccia capo a provate relazioni personali, di agire cogli stessi procedimenti e modalità che si adotterebbero in paese a noi avverso: da escludersi in ogni caso che presso le autorità austriache si possa a priori trovare appoggio qualsiasi per una attività del genere, per il solo fatto di essere italiani.

La situazione in Austria, nei nostri confronti, non è mai stata eccessivamente buona ma si può con sicurezza affermare che va facendosi sempre meno agevole~.

115

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2338/261 R. Londra, 1° maggio 1935, ore 21,15 (per. ore 23,45).

Prima di recarmi [da Simon] col quale ho fissato un appuntamento posdomani, per fargli le comunicazioni prescritte dal telegramma per corriere di

V. E. del 20 corrente (1) in merito all'atteggiamento britannico nella questione italo-etiopica, ho giudicato opportuno avere con Vansittart una lunga esauriente discussione sullo stesso argomento.

A scanso possibili equivoci e malintesi ho dato a Vansittart lettura parola per parola del telegramma di V. E. e del telegramma inviato dalla Delegazione italiana a Ginevra in data 16 corr. (2) cui le istruzioni di V. E. si riferiscono.

La reazione di Vansittart a questa mia comunicazione è stata assai vivace. Vansittart sostiene che le informazionl della nostra Delegazione circa atteggiamento della delegazione britannica a Ginevra non sarebbero obbiettive.

Ho replicato che ciò non mi sembrava possibile. Col prossimo corriere invierò rapporto dettagliato sulla mia discussione tanto con Simon quanto con Vansittart (3).

116

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL MINISTRO A TEHERAN, CICCONARDI, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A BAGHDAD, PORTA

T. 3980/46 (Teheran) 14 (Baghdad) P.R. Roma, 1° maggio 1935, ore 22,15.

Prima presentare mio rapporto su vertenza frontiera Iran-Iraq prossima sessione Consiglio S.d.N. che si apre 20 c.m., desidero avere scambio vedute conclusive con delegati parti interessate alcuni giorni prima detta data.

Prego pertanto V. S. invitare mio nome codesto Ministro Esteri intervenire personalmente riunione che avrà luogo Roma 13 corrente.

Ove fosse impossibile a Ministro Esteri venire a Roma, riunione avrebbe luogo Ginevra 16 corr.; in tal caso però sarei costretto farmi rappresentare colà in un primo tempo da un mio delegato essendo io trattenuto a Roma da altri impegni.

Prego telegrafarmi (4).

(l) -Si intende il 20 aprile: vedi D. 60. (2) -Vedi D. 12. (3) -Vedi D. 134. (4) -Con T..~20/56 P.R. del 3 maggio 1935, ore 14,30, CicconarcU riferiva che Kazemi si sarebbe potuto recare a Ginevra solo il 18 o 19 maggio e che, se necessario, alle riunioni del 16 avrebbero potuto partecipare i ministri !ran!ani a Londra e Roma. Per la risposta di Porta vedi D. 127.
117

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI

T. PER CORRIERE 787 R. Roma, 1° maggio 1935.

Suoi nn. 222 (l) e 225 (2).

Sta bene circa invito Governo britannico. Svizzera ha già risposto non intende inviare osservatore. Quanto a data, quella del 3 giugno è stata precisata a semplice titolo indicativo. Conveniamo nella opportunità di non fissare ancora alcuna data anche per avere in proposito massima libertà in relazione all'andamento dei lavori preparatori della conferenza. Avvertiamo fin d'ora che è nostro avviso che la conferenza si debba tenere solo quando sia stata convenientemente preparata in modo da poterei attendere una conclusione positiva. Altrimenti sarà più opportuno rinviarla.

Non ci nascondiamo difficoltà tale preparazione dati argomenti delicati che sia pure indirettamente dovrebbero essere considerati in occasione della conferenza stessa. Per facilitare nostro compito sarà molto opportuno mantenere la conferenza nei limiti di quello che è stato l'idea originaria, cioè un intervento dell'Italia e della Francia e degli altri Stati legittimi successori a favore dell'Austria. Non va trascurato l'altro elemento che afferisce all'idea stessa della conferenza, quello cioè di un avvicinamento tra gli Stati che convivono nel Bacino danubiano. In tale riguardo bisognerà però non voler andar troppo oltre, pretendendo di risolvere in una volta sola i difficili complicati e delicati problemi che esistono fra detti Paesi. Bisognerà considerare che il poter ottenere l'adesione ad uno stesso Patto politico dei paesi della Piccola Intesa e dell'Austria e dell'Ungheria e della Polonia, costituisce già un successo notevolissimo. Il resto verrà poi. Nella preparazione converrà, quindi, cercare di evitare le punte e le asperità tenendo conto in modo particolare della speciale situazione dell'Ungheria e dei suoi rapporti con la Piccola Intesa, situazione e rapporti che possono costituire il vero scoglio dell'attuale conferenza.

Tale difficoltà si può riassumere nel binomio: parità di diritti-sicurezza. Da una parte si dovrà riconoscere con una certa larghezza di visione la parità di diritti a tutti gli Stati coi quali si vuole concludere un accordo sulla base della uguaglianza; d'altra parte bisognerà considerare che la adesione dell'Ungheria e dell'Austria ad un accordo di non ingerenza e di non aggressione costituiscono una sicurezza sufficiente per tutti gli Stati partecipanti. Sarà bene non entrare nel campo della mutua assistenza, che del resto non è stata prevista nel processo verbale di Roma, perché questo solleverebbe delle difficoltà forse insuperabili. La mutua assistenza potrà essere riservata a degli accordi bilaterali fra singoli Paesi (noi ad esempio non abbiamo nessuna difficoltà a fare un accordo del genere con la Francia) fuori però del patto di non ingerenza.

Potrà invece formare oggetto degli accordi particolari, previsti dal processo verbale, accordi bilaterali, la consultazione in vista delle misure da prendere quando si verifichi un caso di violazione degli impegni assunti col Patto.

Quindi nel Patto ci potrebbe essere la non ingerenza, la non aggressione ed eventualmente -la cosa è da discutere -la non assistenza all'aggressore; negli accordi bilaterali particolari a latere e connessi al patto ci potrebbe essere la consultazione; circa la mutua assistenza mi riferisco a quanto accennato precedentemente.

Altro punto delicato è quello della definizione della non ingerenza; tale concetto se da una parte deve coprire ogni possibilità di immistione negli affari degli altri Stati contraenti -leggi sopratutto Austria -diretta al fine di rovesciare l'ordine di cose esistente, d'altra parte non dovrà impedire il mantenimento ed il controllo sulla tutela delle minoranze, protette per trattato, cosa che interessa in particolar modo l'Ungheria. Si potrà pensare ad una maggiore specificazione della ingerenza quando si saprà se o meno la Germania interviene nel Patto.

Le osservazioni e le considerazioni che precedono sono fatte anche in relazione allo schema di accordo rimessomi dal Conte de Chambrun il 27 febbraio scorso (l) nonchè al progetto austriaco che ho ricevuto in questi giorni e che mi risulterebbe già comunicato anche al Governo francese. Il progetto austriaco del resto non fa che sviluppare lo schema originario francese e ne segue molto da vicino l'impostazione e lo sviluppo. Copia del progetto francese e del progetto austriaco le sono state inviate a parte per Sua opportuna norma per corriere.

In relazione a quanto precede è stato anche predisposto un nostro progetto di accordo generale di non aggressione, non ingerenza e consultazione generica, progetto che è per ora indicativo e potrà subire anche profonde trasformazioni in seguito ai negoziati e consultazioni in corso.

Desidero poi richiamare la Sua attenzione sulla circostanza che nel nostro progetto non si fa menzione particolare delle procedure previste dal patto della

S.d.N. Dati infatti i limiti e l'impostazione di questo nostro progetto è sembrato che non fosse necessario fare un espresso riferimento alla S.d.N., la quale invece potrà essere presa in considerazione negli accordi particolari per coordinare il funzionamento di tali accordi alle norme più generali del Patto ginevrino. Ciò per prevenire eventuali obiezioni da parte francese e tenendo conto che nel progetto francese era fatta larga parte alla S.d.N.

A Venezia il 4 maggio sarà esplorata più a fondo l'opinione dell'Ungheria dopo di che si comunicheranno tutti gli elementi utili che da tali conversazioni risultassero per una per quanto possibile rapida conclusione del Patto.

Prego v. E. di voler intrattenere il signor La val in argomento. Ella potrà ad ogni buon fine rimettergli copia del nostro progetto di accordo qui allegato (2), che è opportuno abbia per ora almeno carattere strettamente confidenziale (3).

lZ -Documenti diplomatici -Serle VIII -VoL I

118.

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, CANTALUPO

T. 790/121 R. Roma, 1° maggio 1935, ore 24.

A seguito premure rivolte R. Governo dal Governo cileno, prego V. E. associarsi passo che colleghi britannico e francese faranno presso codesto Governo per indurlo partecipare nuovamente con Argentina Cile Perù negoziati pace conflitto Chaco.

Tale passo dovrà avere carattere di amichevole suggerimento nella convinzione che collaborazione Brasile azione mediatrice Potenze sopraindicate, potrà facilitare soluzione pratica trattative in corso.

119.

IL MINISTRO AL CAIRO, PAGLIANO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2456/176 R. Cairo, 1° maggio 1935 (per. l'B).

Seguito mio telegramma 175 (1).

Patriarca Copto venuto stamane rendermi visita Legazione, mi ha chiesto che potevo dirgli della questione abissina accennando vagamente ad una mediazione che si sarebbe potuta svolgere da lui qualora avesse potuto contare sui miei buoni uffici. Gli ho risposto che Governo italiano a proposito reclamo Abissinia a Ginevra aveva fatto conoscere a Lega e Governo etiopico che, pur considerando che negoziati diretti avrebbero dovuto continuare fra due Governi, nondimeno, vista opposizione abissina a scambiare documenti circa note aggressioni, era disposto -dando cosi prova incontrovertibile sua longanimità -ad addivenire costituzione Commissione conciliazione secondo lettera e spirito precise stipulazioni trattato 1928. Traduzione mia risposta fatta da interprete Legazione Ornar, Amba Johannes ha ringraziato molto chiarimenti avuti.

Gradirei essere tenuto al corrente questione per mia norma linguaggio.

120.

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A TEHERAN, CICCONARDI

T. 3981/47 P. R. Roma, 2 maggio 1935, ore 11.

Telegramma di V. S. n. 44 (2).

Ministro Iran è venuto a questo Ministero a fare comunicazione preannunciata da V. S. esprimendosi in termini analoghi a quelli usati da codesto Ministro degli Esteri con Lei.

Ha aggiunto che codesto Governo considera possibilità inviare in Italia una parte. assegnatari borse studio destinati all'estero.

Inoltre ha comunicato che signor Kazemi in occasione suo prossimo viaggio Ginevra si propone tornare con noi sull'argomento patto inteso intensificare rapporti tra i due Paesi.

AvvertoLa che codesto Ministro degli Esteri tiene a sottolineare indipendenza questione personale marina dalle altre in trattazione.

(l) -T. 2248/222 R. del 27 aprile 1935, ore 19,50, col quale Fransoni aveva comunicato di aver fatto al governo francese le comunicazioni di cui al D. 62 e di essere in attesa di risposta. (2) -Vedi D. 100. (l) -Vedi serle settima, vol. XVI, D. 667. (2) -Manca. (3) -Con T. per corriere 2434/054 R. del 4 maggio 1935 Plgnatt! comunicava di essersi espresso con Léger nel senso delle istruzioni ricevute. Per il colloquio con Lavai vedi D. 161. (l) -Vedi D. 106. (2) -Vedi D. 73.
121

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 2342/66 R. Belgrado, 2 maggio 1935, ore 12,35 {per. ore 14,30).

Telegramma di V. E. n. 47 del 30 aprile (1). Jeftic ha accolto con aperta soddisfazione proposta incontro con S. E. Suvich Venezia e mi ha pregato far pervenire a V. E. suoi vivi ringraziamenti.

Egli si riserva comunicarmi appena possibile data alla quale incontro potrebbe aver luogo compatibilmente con suoi impegni interno, riunione del Consiglio Intesa Balcanica Bucarest 10 corrente e Ginevra 20. Prevede tuttavia che incontro potrebbe aver luogo in occasione suo transito Venezia per recarsi Ginevra.

122

IL MINISTRO A KAUNAS, AMADORI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2352/39 R. Kaunas, 2 maggio 1935, ore 15 {per. ore 18,10).

Punto più importante nota lituana odierna (2) è invito alle Potenze firmatarie a esaminare con Lituania garanzia di sicurezza per Memel. Stessa questione sarebbe sollevata a Ginevra da Lituania.

È chiaro anche che Governo lituano vuole trovare tutto il possibile profitto da ammissione delle Potenze circa «lealismo e moderazione di tutti».

Si ha notizia che capi partiti tedeschi hanno già declinato offerta Lituania volendo totalità Direttorio. Governo lituano addebiterà tale intransigenza alle pressioni di Berlino e affermerà alle Potenze firmatarie di aver fatto tutto il suo possibile.

Intanto, scadendo il 4 corrente poteri Dieta, Governo lituano ritiene non potersi più parlare di conflitto tra Direttorio Dieta e di avere perciò libertà di azione per nuove elezioni.

(l) -Vedi D. 107. (2) -Con T. 2348/38 R. del 2 maggio 1935, ore 14,10, Amadori aveva comunlcato la risposta Utuana alla nota collettiva di cui al D. 49.
123

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2386/848 R. Addis Abeba, 2 maggio 1935, ore 20 (per. ore 20,30 del 3).

Mio telegramma 843 {1).

Ho potuto stamane vedere Blata Herui.

Prova del suo deliberato ostruzionismo il fatto che, [nonostante] le insistenti ricerche fatte a tale scopo da tre giorni (essendo chiuso il Ministero) dal Direttore Generale, mi ha inviato nota n. 28 (2) e solo oggi mi aveva fissato appuntamento per domani. Mi sono invece recato immediatamente al Ministero degli Affari Esteri dove sono stato allora ricevuto subito.

Premettendo che avrei dovuto iniziare conversazione proposte in questione prima di ricevere nota n. 28, mi sono espresso secondo le istruzioni contenute nel telegramma di V. E. n. 282 (3).

Blata Herui ha cercato negare (sic) rifiuto da parte Etiopia di continuare nelle conversazioni dirette, respingendo mia dichiarazione. Gli ho ribattuto con facili argomenti e testo stesso sue note.

Ho cercato fargli ritirare nota n. 28, ma senza dirlo apertamento, perchè ho veduto che invece egli ha nettamente insistito.

Ho ripetutamente protestato circa proposta di cui all'art. l, attirando sua attenzione su grave impressione che il suo modo di procedere, specialmente una inammissibile fissazione di termini perentori e immediati, avrebbe prodotto sul R. Governo, dichiarando essere assurdo parlare di nomina di arbitri quando non siamo d'accordo sulla competenza e la procedura; e le nostre conversazioni al riguardo essendo appena iniziate. Se vi insistesse lasciavo al Governo etiopico ogni responsabilità, ciò mostrando anche la sua cattiva volontà di raggiungere sollecitamente un accordo.

Il Blata Herui ha insistito, dicendo che anzi nello stato di spirito per facilitare e affrettare le intese, egli si era deciso a fissare già i punti di vista del suo Governo: attendeva ora le controproposte del Governo italiano.

Oltre i concetti suggeritimi dalla E. V. ho ampiamente dimostrato che principio della indipendenza e della separazione delle due questioni è stato ammesso anche in tutte le prime note etiopiche e nelle nostre conversazioni (mio telegramma n. 289) (4).

Ha replicato non trattarsi della delimitazione in generale ma solo dell'appartenenza di Ual-Ual.

Messo alle strette si è variamente contraddetto; ad un certo momento ha affermato, riprendendosi poi subito, che gli arbitri stessi avrebbero allora potuto decidere se statuire o non anche sull'appartenenza del territorio. Ha poi ripreso una sua antica proposta (mio telegramma n. 310) (5) dicendo che, se si mandasse subito la Commissione di delimitazione, si sarebbe potuto fare a meno di arbitri.

Da tutto questo confuso ragionamento è apparsa in definitiva solo la ferma intransigenza sulla competenza della Commissione a giudicare sia sul fatto dell'aggressione, sia sulla, appartenenza di Ual-Ual. Malgrado mie dichiarazioni non ha replicato (ma forse perchè gli è sfuggito) circa competenza per altri incidenti. Durante discussione mi ha chiesto esporgli per iscritto risposta del

R. Governo alla nota n. 27. Ho risposo che ormai vi era la nuova nota n. 28. Ho poi avanzato in via personale [contenuto] punto 3°: non crede possibile

sede a Roma. Punto 4°: ha detto che arbitri delle nostre rispettive nazionalità non avrebbero risolto nulla e che saranno necessari arbitri disinteressati. Quindi evidente intenzione nominare straniero (1).

124.

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. 793/149 R. Roma, 2 maggio 1935, ore 24.

Suoi telegrammi n. 167 e n. 168 relativi conversazioni col signor Murray (2).

Come risulta da telegramma ministeriale n. 144 del 29 aprile u.s. (3), sono in corso da parte Ditte nord-americane forniture all'Etiopia non solo di autocarri ma anche di materiali bellici.

Ritengo opportuno V. E. intrattenga codesto Segretario di Stato della questione, dichiarandogli che, se legislazione nord-americana e considerazioni di politica interna non consentono a codesto Governo di impedire forniture materiali bellici all'Etiopia, Governo italiano non può che constatare che il comportamento di codesto Governo in materia risulta diverso da quello di altri Governi, ed ha praticamente l'effetto di aumentare efficienza bellica Etiopia e rafforzare tendenze aggressive contro di noi.

Prego inoltre V. E. di voler esaminare se, in via privata, non sia possibile di agire presso Casa Ford nonchè presso altre Case fornitrici materiali bellici, per ostacolare conclusione contratti con Governo etiopico.

125.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2394/0119 R. Berlino, 2 maggio 1935 (per. il 4).

Durante visita fatta stamane al barone von Neurath gli ho detto, giusta istruzioni verbali impartitemi da S. E. il Capo del Governo, che il Governo del

Reich avrebbe ricevuto invito a partecipare alla Conferenza danubiana. Ho aggiunto che non si poteva ancora prevedere quando invito stesso sarebbe stato diramato, dato che erano tuttora in corso le consultazioni preparatorie necessarie.

Ministro degli Affari Esteri mi è sembrato soddisfatto della comunicazione e, senza dirmi esplicitamente che il Governo del Reich parteciperebbe alla Conferenza stessa, mi ha però pregato di fargli conoscere ruppena possibile il programma di essa, affinchè il Governo del Reich lo potesse esaminare. Prego quindi V. E. di mettermi in grado aderire a tale richiesta (1).

Nel corso della conversazione ho ricordato al barone von Neurath che i Governi italiano e francese attendevano ancora di conoscere le osservazioni tedesche alle spiegazioni fornite circa i vari punti della convenzione danubiana (2).

Ministro degli Affari Esteri, mentre ha riconosciuto che in linea di diritto spetterebbe ora alla Germania di far conoscere sue obbiezioni all'Italia ed alla Francia circa le spiegazioni fornitegli che esso non trovò intieramente soddisfacenti, ha osservato che in linea di fatto avrebbe gradito di ricevere ora anche comunicazione del programma della progettata conferenza ed eventualmente delle ulteriori nostre proposte per dirimere le difficoltà· connesse con la definizione della «non ingerenza~. E ciò tanto più che noi dovevamo renderei facilmente conto delle obiezioni tedesche nei riguardi della non ingerenza.

Al mio accenno che l'assicurazione, datami dal Cancelliere del Reich il 22 gennaio (3) in sua presenza, relativa ad una sua dichiarazione pubblica circa l'indipendenza dell'Austria non aveva sino ad ora avuto seguito, barone von Neurath rispose che era estremamente difficile per Hitler di fare una tale dichiarazione per ragioni ideologiche ed in questo momento anche perché egli non voleva assolutamente che gli si menzionasse l'Austria.

Ministro degli Affari Esteri aggiunse che teneva a darmi assicurazione formale che il Cancelliere del Reich non intendeva ingerirsi negli affari interni dell'Austria e che tanto meno pensava all'Anschluss. Egli aveva dato ordini perchè la propaganda relativa cessasse. Ogni qualvolta Habicht cercava di risollevare il capo gli veniva somministrata una doccia fredda. Naturalmente non si poteva pretendere che Hitler si disinteressasse del movimento del suo partito in Austria e che non si compiacesse quando le notizie che riceveva erano soddisfacenti. Dato che il nazionalsocialismo era un movimento ideologico totalitario involvente tutti i tedeschi dovunque essi risiedano, Hitler non poteva escludere questo o quel gruppo dal movimento medesimo.

Barone von Neurath concluse dicendomi che si augurava che attraverso le consultazioni dei vari Stati, alle quali la Germania avrebbe partecipato, fosse possibile di trovare la formula soddisfacente circa la « non ingerenza ~. senza la quale sarebbe stato vano confidare nel succe.;;so della Conferenza danubiana.

(l) -Con T. 2340/843 R. del 1° maggio 1935, ore 1,19, Vinci comunicava di aver ricevuto le istruzioni di Suvich (vedi D. 89) e di aver chiesto udienza al Ministro degli Affari Esteri. (2) -Non pubblicata: era stata trasmessa a Roma con T. 2348/842 R. del 1° maggio 1935, ore 22. (3) -Vedi D. 89. (4) -T. 814/289 R. del 20 febbraio 1935, ore 23, non pubblicato. (5) -Vedi serie settima, vol. XVI, D. 643. (l) -Con 1 TT. 2350/849 R. e 2377/850 R. del 2 maggio 1935, spediti rispettivamente alle ore 18 ed alle ore 2,20, Vinci aveva comunicato di aver inviato al Ministero degli Esteri etiopico una nota interlocutoria in attesa delle istruzioni da Roma, per le quali vedi D. 191. (2) -Vedi D. 98. (3) -T. 783/144 R. del 29 aprile 1935, ore 24, con il quale Suvich segnalava la partenza da New York di un carico di forniture militari per l'Etiopia. (l) -Vedi D. 230. (2) -Ved! serie settJma, vol. XVI, DD. 667 e 700. (3) -Ibid., D. 484.
126

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 2 maggio 1935.

Come è noto a V. E. nella seconda decade del prossimo maggio verrà in visita a Roma il Principe Ereditario saudiano, figlio del Re Ibn Saud.

La fama che il Re Ibn Saud ha saputo crearsi nel mondo arabo è venuta in questi ultimi anni sempre più affermandosi e consolidandosi sia per le imprese militari da lui vittoriosamente condotte, e che gli hanno consentito di divenire da Emiro del Neged Re di un vasto regno comprendente il Neged, l'Hegiaz coi Luoghi Santi musulmani, e l'Assir; sia pel fatto che -escluso lo Yemen -tutti gli altri Stati arabi sono tuttora sottoposti a mandato (PalestinaSiria-Transgiordania) ovvero ad un regime di controllo paragonabile praticamente al protettorato (Iraq, Sultanato di Mascate, Koweit, etc.); sia infine per l'abilità e saggezza dimostrata dopo la recente guerra contro lo Yemen, terminata come noto con un Trattato cosi detto di «fratellanza islamica » e senza che alcun territorio yemenita venisse annesso ai domini di Ibn Saud.

A consolidare la posizione morale e politica di Ibn Saud in Arabia, ha recentemente contribuito anche la morte di Re Feisal, attorno al quale, per i suoi brillanti precedenti politici e militari, erano venute concentrandosi le speranze dei siro-palestinesi, e la cui scomparsa ha loro tolto l'uomo capace -secondo essi -di tenere vive e all'occorrenza di galvanizzare le correnti nazionaliste e panarabiche di quei paesi.

Può dirsi oggi che, se Ibn Saud, per essere wahabita e beduino, è riguardato con una certa diffidenza e forse anche con un certo senso di superiorità da taluni intellettuali dell'Islam, è tuttavia fuori di dubbio che la sua figura esercita ormai sulla massa delle popolazioni arabe un crescente senso di ammirazione e di attrazione.

Le nostre relazioni con Ibn Saud, avevano per vari anni risentito, come noto, dei particolari rapporti intercedenti fra l'Italia e l'Imam dello Yemen col quale Ibn Saud fu a lungo in conflitto per la questione dello Assir.

Risolta, almeno per ora, tale questione col trattato di Taiz dello scorso anno, la Direzione Generale scrivente ritenne che, senza compromettere le nostre relazioni con lo Yemen, fosse ormai possibile di attuare un programma di concreta valorizzazione del Trattato di Amicizia italo-saudiano del 1932. L'attuazione di tale programma venne facilitata dallo stesso contegno di Ibn Saud il quale durante la guerra con lo Yemen tenne nei nostri riguardi attitudine corretta e amichevole, non opponendosi allo stabilimento ad Hodeida, occupata dalle sue truppe, di un nostro agente ufficioso e di un nostro ambulatorio, -i:l dopo la guerra ha a più riprese manifestato anche personalmente il desiderio di rendere più intime le sue relazioni di amicizia con l'Italia, ciò che fu confermato anche dal Ministro degli Esteri saudiano Fuad Hamz a in occasione della sua venuta a Roma nello scorso autunno (1).

In questi ultimi mesi tali buone disposizioni da parte di Ibn Saud ebbero pratica attuazione coll'invio da parte di Ibn Saud stesso alle nostre scuole di aviazione del primo nucleo di allievi piloti saudiani. Inoltre recentemente il re wahabita ha, come noto a V. E., rifiutato di sottoscrivere con l'Abissinia, in considerazione della tensione esistente nei rapporti itala-etiopici, un Trattato di amicizia che gli era stato proposto dal Governo di Addis Abeba. Per consentire al Principe Ereditario di compiere a Roma la sua prima visita in occasione della sua prossima venuta in Europa, il Governo saudiano ha chiesto che una nostra nave faccia scalo possibilmente a Gedda, ciò che è stato disposto d'accordo col

R. Ministero delle Comunicazioni.

Ciò premesso, sia per considerazioni di ordine politico generale, concernenti la nostra azione in Saudia e in Arabia, sia ai fini della propaganda che nei vicini paesi musulmani conviene a noi di svolgere anche in relazione all'attuale fase dei rapporti itala-etiopici, la Direzione Generale A. P. (Uff. III) riterrebbe opportuno cogliere l'occasione della visita a Roma del Principe Ereditario saudiano per accentuare il carattere amichevole assunto dai rapporti italo-saudiani.

A tale fine la Direzione Generale scrivente riterrebbe opportuno che oltre ad accogliere il Principe Ereditario saudiano in modo spiccatamente cordiale, com'è già stato disposto dalla E. V., si cogliesse la presente occasione per insignirlo di un'alta onorificenza nazionale.

Ove l'E. V. in ciò concordi la Direzione Generale A. P. (Uff. III) si riserverebbe di prendere in tal senso opportuni accordi coll'Ufficio del Cerimoniale.

P. S. L'azione politica verso la Saudia si completa e richiede -secondo il pensiero della Direzione Generale e secondo le direttive dell'E. V. -un'azione parallela verso lo Yemen, azione che non potrebbe utilmente differirsi, tanto più che non sono da escludersi complicazioni nella situazione interna di quest'ultimo Regno; complicazioni che potrebbero far sentire vieppiù un mancato rafforzamento delle nostre posizioni. Al riguardo la Direzione Generale ha l'onore di richiamarsi alle proposte già presentate con Relazione del 5 novembre u.s. (l) per l'invio a Sanaa di una missione ad hoc, in vista di preparare il rinnovamento del Trattato di amicizia italo-yemenita, che scade nel prossimo anno, ma che prima del 2 settembre 1935 deve essere rinnovato o denunciato (2).

(l) Vedi serle settima, vol. XV, D. 793.

127

L'INCARICATO D'AFFARI A BAGHDAD, PORTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4206/40 P. R. Baghdad, 3 maggio 1935, ore 12,19 (per. ore 16,20). Telegramma di V. E. n. 14 (3).

Ho fatto immediatamente a questo Ministro degli Affari Esteri comunicazione prescrittami.

Il Ministro mi ha detto che in questi ultimi giorni già aveva studiato la possibilità di recarsi a Roma anziché a Ginevra (come ho già informato V. E. con mio telegramma n. 37) (l) da Beirut, e probabilmente avrebbe potuto mettere in atto questo suo proposito.

Ma il signor Olivan, Presidente del Comitato per gli Assiriani, che avrebbe dovuto abboccarsi con lui e con autorità francesi di Siria a Beirut verso il 3 corr. gli aveva ieri fatto conoscere di non potere trovarsi all'appuntamento se non dopo il 6.

D'altra parte questa Ambasciata britannica gli aveva ripetutamente fatto insistenze sull'urgenza di intendersi al più presto col rappresentante S.d.N. sulla questione stabilimenti assiriani, cosicché Ministro degli Affari Esteri non aveva potuto rifiutarsi di aderire a tali insistenze.

Egli doveva quindi attendere che l'intervista col signor Olivan avesse luogo prima di decidere se avere lo scambio di vedute conclusivo con V. E. ed il Delegato iraniano a Roma o a Ginevra. Come stavano le cose, però, pensava sarebbe stato preferibile tale scambio di vedute avvenisse a Ginevra. Ciò, tuttavia, senza ancora escludere assolutamente sua possibilità recarsi a Roma. Ad ogni modo, appena possibile, avrebbe fatto informare V. E. dei suoi ulteriori movimenti (2).

(l) -Non rinvenuta. (2) -Il presente appunto è vistato da Mussolini, che ha poi aggiunto anche un «si>> evidentemente relativo alla concessione dell'onorificenza. (3) -Vedd. D. 116.
128

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 2389/175 R. Washington, 3 maggio 1935, ore 19,30 (per. ore 8 del4).

Telegramma di V. E. n. 149 (3) si è incrociato con mio telegramma n. 173 (4) col quale comunicavo come io avessi già intrattenuto anche Sottosegretario di st,at.n sull'argomento delle forniture di materiale bellico all'Etiopia da parte di r>lt.t.P. americane.

Opportune considerazioni dell'E. V. circa incoraggiamento indiretto che attitudine aggressiva dell'Etiopia può trarre da tali forniture, nonché circa amichevole cooperazione che abbiamo trovato in altri Governi, sono state da me ripetute anche nella conversazione di ieri col Sottosegretario di Stato.

Risposta è identica a quella datami da Murray (5) e cioè:

1) Governo non ha alcun mezzo legale di intervenire per vietare esportazioni;

2) Dipartimento di Stato non crede di poter agire con altri mezzi, sia perché eventuali pressioni su ditte private sarebbero con tutta probabilità destinatP. a non raggiungere alcun risultato, sia perché notizia di tali pressioni sol

leverebbe inevitabilmente violenti attacchi contro Presidente, e di riflesso campagna antitaliana.

Per quanto constatazione mi riesca spiacevole, reputo mio dovere far presente che situazione prospettatami dal Dipartimento di Stato corrisponde alla realtà dei fatti.

Rendendomi conto del nostro grande interesse al riguardo, e per non lasciar nulla di intentato, coglierò prima occasione favorevole per intrattenere della questione persona molto vicina al Presidente, benché estranea al Dipartimento di Stato, onde vedere se esista una qualsiasi anche remota possibilità di ottenere appoggio personale del signor Roosevelt. Confesso però che faccio questo tentativo con ben poca speranza di riuscita.

In questo stato di cose mi permetto chiedere a V. E. di voler riconsiderare convenienza che io rinnovi formalmente al Segretario di Stato dichiarazioni che in sostanza ho già fatto ben due volte al Dipartimento, ma che formulate in forma più categorica saranno certo interpretate da questo Governo come manifestazione di risentimento .non giustificato dalla situazione di fatto nella quale Autorità americana si trova di fronte all'opinione pubblica.

Comunque credo sarebbe particolarmente utile che fossero forniti a codesta Ambasciata degli S.U.A. (perché essa possa [rappresentarli] in modo convincente a Washington) tutti gli argomenti e le notizie atte a provare politica dell'Etiopia. Sottometto tale opportunità al giudizio dell'E. V. perché mie recenti conversazioni mi fanno sorgere il dubbio che informazioni fornite da Legazione degli S.U.A. ad Addis Abeba in questi ultimi tempi conducano Dipartimento di Stato a conclusioni ben differenti.

Riferendomi all'ultima parte del telegramma di V. E. assicuro che mi adopererò con tutti mezzi a mia disposizione per agire presso Ditta Ford nel senso desiderato, mentre faccio quanto possibile per controllare sulla base scarsi elementi finora fornitimi provenienze e carattere delle forniture che sarebbero spedite da questi porti a destinazione dell'Etiopia.

(l) -Vedi D. 77. (2) -Con T. 4242/41 P.R. deJ 4 maggio 1935, ore 13,55, Porta comunicava che Nuri Pascià aveva fatto sapere di non potersi recare a Roma prima della riunione della S.d.N. (3) -Vedi D. 124. (4) -Con T. 2379/173 R. del 3 maggio 1935, ore 13,19, Rosso aveva comunicato di aver ricevuto dal Sottosegretario di Stato la conferma delle dichiarazioni di Murray. (5) -Vedi D. 98.
129

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BAGHDAD, PORTA

T. 795/15 R. Roma, 3 maggio 1935, ore 24.

Suo telegramma per corriere n. 37 (1).

Dopo che Nuri Pascià le avesse eventualmente comunicato sua decisione di intervenire personalmente alla riunione di Roma del 13 corr. (di cui al mio telegramma n. 14) (2), V. S. vorrà suggerirgli, come di sua iniziativa, che in detta occasione potrebbe procedersi alla firma a Roma del Trattato di amicizia fra Italia e Iraq; sempreché codesto Consiglio dei Ministri ne avesse approvato testo prima della partenza di Nuri Pascià.

(l) -Vedi D. 77. (2) -Vedi D. 116.
130

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A STOCCOLMA, PATERNÒ

T. 805/15 R. Roma, 3 maggio 1935, ore 24.

Risulterebbe che signor Unden, ministro senza Portafoglio di codesto Gabinetto, avrebbe aderito alla richiesta del Governo etiopico di far parte, quale arbitro di parte etiopica, della Commissione di Conciliazione che, a termine dell'art. 5 del Trattato italo-etiopico del 1928, dovrà esaminare la vertenza itala-etiopica originata dall'aggressione di Ual-Ual.

Prego V. S. di chiedere a codesto Ministro Esteri se suddetta notizia è esatta, ed in caso affermativo se Governo svedese abbia autorizzato il signor Unden ad accettare l'incarico di cui sopra.

Governo italiano considererebbe per lo meno singolare che un Ministro svedese in carica assumesse praticamente la difesa dell'Etiopia in una vertenza già portata a Ginevra, compromettendo in certo modo, con il proprio atteggiamento quale arbitro di parte etiopica, il giudizio e la libertà d'azione del Governo svedese in materia.

V. S. vorrà far intendere che Governo italiano non considererebbe conforme alle relazioni amichevoli esistenti fra l'Italia e la Svezia la designazione di un Ministro svedese in carica quale arbitro di parte etiopica nella vertenza con l'Italia. Prego telegrafare (l).

131

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A TIRANA, INDELLI

T. s. 4033/52 P.R. Roma, 3 maggio 1935, ore 24.

Telegramma V. S. n. 47 (2).

l) Questo Ministero si è messo in rapporto col Ministero della Guerra sulla base delle informazioni che Ella fornisce con il suo telegramma n. 47 ma per Sua norma ed anche in relazione alla seconda parte del n. l di detto telegramma avverto che sono tuttora in attesa che la S. V. mi faccia conoscere se, come dovrebbe presumersi, piano riorganizzazione e finanziamento dell'esercito albanese trasmesso col Suo rapporto del 16 febbraio u.s. sia stato modificato o J;D.eno in relazione al telespresso n. 151 (3) e dopo esame da parte di Re Zog che Ella annuncia col telegramma surriferito. Interesso anzi la S. V. per il sollecito andamento dei negoziati a volermi comunicare risultato tale esame ed eventuali modificazioni apportate a progetto originario (4).

2) Per quanto concerne convenzione commerciale mi rimetto alla S. v. circa opportunità momento dichiarare che, dopo risolte questioni in corso trattazione, Delegazione albanese potrà venire Roma e mi riservo inviarLe precisazioni circa modalità acquisti merci previsti nel frattempo appena Ministeri competenti, coi quali ho provveduto a mantenermi contatto e che sollecito opportunamente, avranno fornito gli elementi necessari. AssicuraLa mio interessamento al riguardo.

132.

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A RIGA, MAMELI

T. 4042/13 P.R. Roma, 3 maggio 1935, ore 24.

Esprima al Capo del Governo la mia simpatia per il discorso da lui pronunciato e che ha avuto molta diffusione nella stampa italiana (1).

133.

L'AMBASCIATORE GUARIGLIA AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 3 maggio 1935.

Mi riferisco al telegramma Grandi n. 261 del 1° corrente (2).

In attesa del rapporto che lo stesso Grandi annunzia circa le sue conversazioni (3), mi permetto esporre alcune considerazioni che naturalmente possono andare soggette a modifica secondo il contenuto di tale rapporto.

V. E. potrà farne quel conto che crederà sulla risposta da dare a Grandi, presumibilmente durante la mia assenza.

l) Mi par bene che la reazione di Vansittart sia stata vivace. È solo con un poco di vivacità da una parte e dall'altra che si può uscire dalle attuali acque stagnanti nei riguardi dell'Inghilterra. Occorre però che Grandi non se ne impressioni.

2) Grandi non deve lasciarsi trascinare in una discussione sull'atteggiamento tenuto il 15 aprile da Simon a Ginevra, e sulla veridicità o meno delle informazioni dateci a questo proposito dalla nostra Delegazione a Ginevra. Questo è un episodio che ci è servito solo per prendere lo spunto delle nostre conversazioni con gli inglesi, le quali debbono avere ben altra portata e svolgersi su ben altri argomenti di fondo. Lo scopo del passo ordinato a Grandi è come si dice chiaramente nell'ultima parte del nostro telegramma n. 731 (4):

a) di ottenere per lo meno la rassegnazione inglese alla nostra azione in Etiopia;

b) di cominciare dalle conversazioni tecniche autorizzate per conciliare i nostri interessi con quelli britannici, prevedendo fin d'ora la delimitazione di tali interessi secondo i risultati che potrà raggiungere detta nostra azione. In altri termini Grandi deve porsi per iscopo di far sì che gli inglesi giuochino oramai con noi a carte scoperte, così come noi intendiamo far con loro. Gli ìnfingimenti ginevrini e i soliti ritornelli sull'opinione pubblica britannica sul laburismo e il parlamentarismo che debbono essere messi da parte in queste conversazoni tecniche autorizzate che noi auspichiamo.

3) Ho inteso dire che gli inglesi (cioè Drummond) si lagnano che noi non vogliamo dir loro quali siano le nostre intenzioni sull'Etiopia. Ebbene, è appunto in tali conversazioni autorizzate che noi glielo vogliamo dire; ma vogliamo fare anche di più: prevedere così le diverse eventualità e prendere preventivi accordi per salvaguardare e armonizzare nelle diverse ipotesi gli interessi italiani e quelli britannici.

4) Dire però sin d'ora che cosa esattamente noi faremo in Abissinia è un po' difficile, giacché tutto dipende dallo svolgersi degli avvenimenti politici e militari. Possiamo però esporre delle idee e delle intenzioni di carattere generale da esaminare di comune accordo.

(l) -Con T. 2412/32 R. del 4 maggio 1935, ore 17,10, Paternò comunicava di aver ricevuto assicuraz.ione dal Governo svedese che il pro!. Unden non accettava di ·rappresentare l'Abissinia nella procedura arbitrale. (2) -Vedi D. 90. (3) -Vedi D. 90, nota 3. (4) -Vedi D. 141. (l) -Con T. per corriere 4027/075 P.R. del 27 aprile 1935 Mameli aveva trasmesso alcuni brani del discorso di Ulman~s al congresso della gioventù lettone nel quale veniva elogiato il fascismo italiano. (2) -Vedi D. 115. (3) -Vedi D. 134. (4) -Vedi D. 60.
134

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 1451/465 (1). Londra, 3 maggio 1935 (2).

Le istruzioni inviate dal R. Ministero a questa Ambasciata sulla nostra politica africana e sun·azione dell'Italia in Etiopia (3), sono state finora nel senso di:

l) far presente al Governo Britannico l'opportunità e la necessità di una azione concorde delle tre Potenze firmatarie dell'Accordo Tripartito nei riguardi dell'Etiopia;

2) di domandare al Governo Britannico d'entrare in trattative amichevoli per la conclusione di un accordo itala-inglese sulle stesse linee dell'Accordo Itala-Francese concluso a Roma;

3) di indirizzare gradualmente il Governo Britannico a rendersi conto della necessità della nostra politica coloniale africana, ma sempre evitando di dichiarare esplicitamente la determinazione dell'Italia ad agire militarmente in Etiopia, e senza direttamente scoprire gli obiettivi finali della nostra azione politica e militare laggiù. Nelle conversazioni recentemente intervenute a Stresa fra il Comm. Guarnaschelli, il Signor Thompson Capo dell'Uffi.cio competente al Foreign Office, ed il Consigliere di questa Ambasciata Comm. Vitetti (1), il Comm. Guarnaschelli ha seguito infatti identiche istruzioni, come rilevo dall'interessante appunto in cui sono riferite le conversazioni medesime (2).

Ciononostante fino dall'attuazione da parte del Duce delle misure militari precauzionali (metà febbraio) e sin dall'invio dei primi contingenti di nostre truppe nelle Colonie dell'Africa Orientale, io ho creduto tempestivo ed opportuno di parlare agli Inglesi, e non soltanto a Simon e Vansittart, bensi a tutti coloro che nelle sfere dirigenti del Governo e della vita politica britannica potevano svolgere una utile influenza sulle direttive ufficiali e sulla pubblica opinione di questo Paese, in maniera molto più esplicita e più chiara circa gli obiettivi «necessari» della nostra politica africana, di quello che non mi autorizzassero le istruzioni ministeriali. La prudente menzogna in una comunicazione ufficiale può essere utile a patto che essa sia verisimile, altrimenti essa ottiene senz'altro il risultato contrario. Mi sembrava infatti assurdo e indubbiamente nocivo ai fini della nostra azione diplomatica in questo Paese, nascondere agli Inglesi quello che era di una chiarezza lampante nei fatti medesimi. Ciò rischiava di accrescere le diffidenze, d'ingenerare nuovi equivoci, e ad ogni modo di aumentare le già notevoli difficoltà a far comprendere agli Inglesi le necessità di una nostra azione totalitaria e radicale in Africa. Il Governo Britannico conosce quindi perfettamente, per essergli stato dichiarato dal sottoscritto a più riprese e in discussioni spesso vivaci e sempre non agevoli, data la testarda, ostinata riluttanza degli Inglesi a intendere quale avvenimento possibile ciò che essi, a torto o a ragione, hanno preventivamente deciso essere contrario ai propri interessi, o suscettibile comunque di capovolgere i loro calcoli e le loro previsioni.

Ecco perché considero le nuove istruzioni di V. E. del 20 u.s. (3), di dire cioè chiaro agli Inglesi quello che noi intendiamo di fare in Africa, piuttosto come un'approvazione ad un'azione dal sottoscritto già intrapresa: le preziose argomentazioni di pretta marca mussoliniana fornitemi da V. E. col telegramma cui rispondo, mi permettono di continuare a svolgere più agevolmente la mia attività la quale dev'essere costante, minuta e paziente, presso Simon, vansittart, il Foreign Office, le sfere governative e politiche britanniche.

Come ho già riferito nel mio telegramma n. 261 del 1° corrente (4), prima di recarmi da Simon per fare il passo prescritto col telegramma per corriere

di V. E. del 20 u.s., ho giudicato opportuno procedere ad un passo analogo presso Vansittart. V. E. conosce ormai in tutti i suoi dettagli la tortuosa e paradossale situazione in cui lavorano e 'prendono le loro decisioni le gerarchie responsabili della politica interna ed estera del Governo Britannico. Situazione che appare perfino incredibile se la giudichiamo collo spirito essenziale e semplificatore del Fascismo, ma di cui è costretto a tener conto chi deve svolgere una qualsiasi azione in mezzo all'ambiente politico britannico. Una comunicazione fatta a Simon che non sia preceduta da analoga comunicazione a Vansittart, o viceversa, rischia di non ottenere i risultati voluti.

Ho premesso a Vansittart che ero incaricato di fare al Governo Britannico, per ordine del Duce, una comunicazione di estrema importanza per la politica dei nostri due Paesi, sulla quale io desideravo anzitutto richiamare la sua più seria attenzione perché egli, a sua volta, potesse immediatamente sottoporla ai Capi responsabili della politica britannica. A scanso di ogni possibile equivoco e malinteso ho letto parola per parola il telegramma di V. E., la cui chiarezza, precisione e abbondanza di argomenti rendeva superfluo ogni commento o illustrazione aggiuntiva. Dopo averne tradotto il testo integralmente e letteralmente, ho lasciato che Vansittart, il quale legge perfettamente l'italiano, rileggesse per proprio conto il testo delle istruzioni inviatemi da V. E.

Prima ancora di entrare nel merito della questione, Vansittart mi ha detto che non si rendeva perfettamente conto delle ragioni che avevano determinato nel Governo Italiano una cosi cattiva impressione sulla recente attitudine della Delegazione Inglese a Ginevra durante l'ultimo esame della vertenza italaabissina. Egli si era trovato testimonio dell'attività svolta dalla sua Delegazione, la quale, secondo lui, non aveva fatto alcunché che potesse comunque essere interpretato come lesivo degli interessi italiani. Ho giudicato allora opportuno, sempre a scanso di equivòci e malintesi, di leggere a Vansittart anche il telegramma della nostra Delegazione di Ginevra in data 16 aprile (1), al quale precisamente si riferiscono le istruzioni di V. E.

Vansittart ha reagito vivacemente alla lettura di questo documento ed ha esclamato con tono risentito: «Le informazioni sull'attitudine svolta dalla Delegazione Britannica non sono né serene né obiettive, la mia devota lealtà per il Duce e l'amicizia per l'Italia mi danno il diritto di domandare al Duce una equanime valutazione di questi elementi di informazione. Da qualche tempo in qua molti agenti italiani all'estero hanno preso l'abitudine di presentare sotto una luce volutamente esagerata quelle che voi chiamate le " responsabilità dell'Inghilterra", e ciò allo scopo troppo grossolanamente evidente di ingrandire le loro difficoltà e quindi i loro successi. Ora anche il Governo Britannico ha la sua dignità e le sue suscettibilità che debbono essere prese in considerazione almeno nell'identica misura con cui il Governo fascista vuole che siano considerate le sue. Tutto ciò è destinato non a eliminare, bensì ad accrescere le difficoltà e le diffidenze e rischia di provocare in Inghilterra delle reazioni di estensione ancora maggiore di quello che l'attuale situazione non lasci prevedere:..

Grandi: «Non drammatizzate la situazione, e ricordatevi piuttosto delle informazioni non sempre obiettive trasmes~ dal vostro Ministro ad Addis Abe

ba, del quale voi stesso avete avuto con me a lamentarvi. Vi sono degli inconvenienti comuni alle diplomazie di tutti i Paesi, Inghilterra compresa. Pensate viceversa al compito delicato e difficile del Delegato italiano a Ginevra in questo momento».

Vansittart: «Me ne rendo conto, mentre il Governo Italiano non sembra voglia rendersi conto delle difficoltà del Delegato britannico. Io non ho nessuna voglia di difendere l'azione di Simon. Voi potete immaginarlo. Ma questa volta credo sia il mio dovere di farlo. Io sono stato testimonio di quanto è accaduto a Ginevra ultimamente. Il Governo fascista deve darmi atto che il Governo Inglese, malgrado le difficoltà di politica interna, ha sempre, durante questi cinque mesi, agito perché la richiesta del Duce di sottrarre all'atmosfera di Ginevra la disputa itala-abissina fosse accettata. Il ·Governo Britannico è stato attaccato a più riprese perciò nel Parlamento e nella stampa. Quando Simon udrà domani da voi quello che voi mi dite quest'oggi egli sarà per lo meno altamente stupito, perché, d'accordo con me, egli ha creduto anche stavolta a Ginevra di perseguire questa linea, nonostante gli attacchi che egli sapeva avrebbe dovuto subire, come infatti ha dovuto, al suo ritorno a Londra. La Delegazione italiana ha ottenuto quello che voleva, non " malgrado " l'ostilità inglese, ma bensi coll'appoggio " indiretto " della Delegazione inglese. Questa è la verità. E se -dopo che la Delegazione italiana ha ottenuto quello che voleva -il Segretario di Stato Britannico ha blandamente insistito perché fossero nominati i membri della Commissione di Conciliazione prima della riunione del prossimo Consiglio, egli ha fatto ciò per indirizzare l'esame della controversia sempre più verso le soluzioni previste dal Trattato itala-abissino spezzando così ogni ulteriore velleità dell'Abissinia di portare l'intera questione, come giuridicamente sarebbe suo diritto di Stato membro della Lega, all'esame del Consiglio della Società delle Nazioni».

Grandi: « Io non so n qui per discutere le intenzioni ed i moventi dell'azione britannica, ma soltanto per valutarne l risultati. Ed il risultato chiaro fino ad ora è che la condotta inglese, a Ginevra e ad Addis Abeba, ha sempre finito per essere interpretata dagli Abissini più in loro favore che in favore dell'Italia. Ciò ha fomentato la loro resistenza, e per conseguenza l'azione dell'Italia ne è stata sin qui danneggiata. Questo è soltanto ciò elle conta. Occorre non perdere di vista il punto essenziale della questione, sulla quale occorre invece discutere e che si può riassumere così: malgrado la sua ferma volontà di pace, l'Italia si è trovata improvvisamente di fronte ad una premeditata politica di aggressione da parte dell'Etiopia e quindi nella necessità di salvaguardare la sicurezza presente e futura delle proprie colonie nell'Africa Orientale. La soluzione di questo problema investe in pieno gli interessi della Nazione Italiana e non può quindi essere arrestata da elementi o da avvenimenti estranei alla difesa di questi precisi interessi. Non deve esistere dubbio di sorta su questa ferma volontà del Duce di andare sino in fondo. L'Italia è pronta a riconoscere alla Gran Bretagna, attraverso discussioni amichevoli, i suoi interessi in Etiopia, così come ha fatto colla Francia. L'Italia prevede non lontano un nuovo conflitto in Europa. È quindi necessario, anzi, urgente risolvere subito e nel più breve tempo possibile il problema della nostra sicurezza africana per non correre il rischio che questo indebolisca domani il problema della nostra stessa sicurezza in Europa. Le stesse ragioni politiche e militari invocate dall'Inghilterra per far desistere l'Italia da una impresa africana costituiscono precisamente per l'Italia una ragione di più per liquidare al più presto il problema africano, e dovrebbero determinare l'Inghilterra a considerare l'opportunità non solo di non creare ostacoli, ma bensi di collaborare efficacemente coll'Italia perché si possa esaurire questa impresa nel minor tempo e col minor dispendio di mezzi possibile. Se l'Inghilterra ci tiene ad avere una Italia militarmente forte sul Continente così come noi teniamo ad avere un Impero Britannico miltarmente forte, collabori con noi per sbrigare al più preso la faccenda etiopica, invece di incoraggiare, attraverso la sua politica di tentennamenti e accomodamenti ginevrini, le velleità di resistenza dell'Etiopia».

Vansittart ha replicato dicendomi che dal mio passo di oggi, a parte il suo carattere insolitamente crudo, egli non apprendeva nulla di nuovo su quelle che sono le reali intenzioni dell'Italia in Etiopia. «Le vostre comunicazioni di oggi non sono se non la ripetizione esatta di quanto mi siete andato dicendo da tre mesi a questa parte, e di quello che in ripetute occasioni il Consigliere di questa Ambasciata ha detto ai funzionari competenti del Foreign Office. Il Governo Britannico -ha ·continuato Vansittart-non da questo momento, ma precisamente dalla metà di febbraio, ha la esatta sensazione degli avvenimenti che si prepararono nell'Africa Orientale. Noi non abbiamo mai avuto alcun dubbio su quelle che sono le ferme intenzioni del Duce al riguardo. Su questo punto voi potete assicurare il Duce: il Governo Britannico si rende conto che c'è qualcosa di molto grosso in marcia e che è assai difficile fermarlo. L'Italia vuole mettere le mani sull'Abissinia. Anche se l'attenzione del Governo Britannico è stata distratta durante queste ultime settimane da questioni europee di maggiore importanza e proporzione, non credete per questo che le preoccupazioni dell'Inghilterra per gli avvenimenti che stanno svolgendosi nell'Africa Orientale si siano per questo addormentate o diminuite. Il Governo Britannico persiste, malgrado le vostre argomentazioni di cui non disconosco il valore, nel ritenere che un conflitto fra l'Italia e l'Abissinia non è nell'interesse dell'Italia, d'altra parte riconosco la giustezza di quello che voi mi dite quando rispondete di lasciare l'Italia giudice di valutare quelli che sono i su0i interessi. Bisognerà tuttavia che voi illuminiate il vostro Governo in modo che non vi siano né equivoci né malintesi: nessun appoggio deve aspettarsi l'Italia dalla politica britannica nell'eventualità di un conflitto coll'Abissinia. L'opinione pubblica inglese sarà decisamente contro l'Italia, e questa reazione non potrà essere controllata se non in misura assai relativa da un Governo di per se stesso debole e reso ancor più debole dal fatto di trovarsi alla vigilia di una elezione generale. Sono d'accordo con voi nel ritenere che in Inghilterra si sopravvaluta la Società delle Nazioni. Ma questo " mito " della Società delle Nazioni esiste, è un fatto di cui nessun Governo inglese può a meno di tener conto, a pena di essere rovesciato. Voi conoscete ormai l'Inghilterra come la conosco io. Le divisioni politiche fra conservatori e laburisti sono divisioni convenzionali basate su necessità polemiche, non su principi ideologici. Il credo politico del popolo inglese, nella sua totalità, è liberale. La ragione per cui un "partito" liberale non esiste

o quasi, risiede appunto nel fatto che tutti sono liberali. In questo momento la questione che interessa l'Europa intera, e dalla quale può dipendere, come il

13 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. I

Duce ha più volte dichiarato, la pace o la guerra a breve scadenza, è quella di s!l!J)ere se la Gran Bretagna si decide o no ad affiancarsi risolutamente alla Francia, all'Italia e ad altre Potenze europee per arginare la minaccia tedesca. Lo spirito liberale britannico è contrario a questa politica d'intervento dell'Inghilterra a fianco delle Potenze Alleate, voi lo sapete. Noi lavoriamo contro questo stato d'animo, perché crediamo che l'Inghilterra debba assumere il suo posto di responsabilità dal quale non può sottrarsi. Ora il " mito " o meglio come voi lo chiamate il "feticcio" della Società delle Nazioni è diventato per noi che non vi crediamo affatto, lo strumento più potente per convogliare liberali, conservatori e laburisti ad accettare, in nome degli obblighi spettanti alnnghilterra come Stato membro della Lega, dei precisi obblighi militari in Europa. Ecco perché il Governo Inglese trova estremamente difficile sottrarre il conflitto italo-abissino dalla diretta competenza della Società delle Nazioni, nell'istesso momento in cui esso cerca di dimostrare alla diffidente e restia pubblica opinione britannica l'efficacia dell'Istituto Ginevrino e di convincerla che l'unico mezzo per evitare lo scoppio di una guerra è di accettare i doveri d'intervento militare previsti dal Covenant ».

Ho replicato a Vansittart che circa il definitivo contegno dell'opinione pubblica inglese sul conflitto coll'Etiopia, io ero meno pessimista di lui. «Spero ad ogni modo che nel frattempo l'opinione pubblica inglese potrà rendersi meglio conto che la nostra politica nell'Africa Orientale è determinata non da obiettivi coloniali, ma dalle stesse necessità inderogabili della nostra sicurezza europea. Ad ogni modo se pure le simpatie dell'opinione pubblica inglese sono considerate in Italia come un fattore di importanza, esse non costituiscono tuttavia una condizione per l'azione dell'Italia». Circa la Società delle Nazioni ho ripetuto e illustrato nuovamente a Vansittart quello che gli vado dicendo da tre mesi a questa parte, e cioè che qualora si volesse veramente portare la vertenza itala-abissina alla Società delle Nazioni ciò significherebbe indebolire in un modo forse irreparabile la già barcollante Istituzione Ginevrina. L'Italia, posta nella incresciosa necessità di scegliere fra la difesa autonoma dei propri interessi e l'appartenenza alla Società delle Nazioni, non esiterebbe un istante, come il Duce ha più volte dichiarato, e allora non sarebbero anche per la stessa opinione pubblica inglese gli zelanti dell'ortodossia ginevrina, proprio i responsabili di una crisi profonda della Lega?

La mia conversazione con Vansittart si è protratta per oltre due ore; essa è stata ripresa il giorno dopo, in occasione di un'altra mia comunicazione circa la richiesta di fermo per una quantità d'armi che si suppone destinate all'Etiopia (vedi telegramma di V. E. n. [133] e mia risposta telegramma n. [267]) (1). Tutti gli argomenti contenuti o anche semplicemente accennati nelle istruzioni di V. E. sono stati discussi (circa la torbida attività tedesca nei territori africani britannici, circa la necessità di fermare il contrabbando di armi in Etiopia attraverso le colonie inglesi, circa la necessità di una politica di collaborazione delle Tre Potenze in Africa e il vantaggio per l'Inghilterra di fissare in una franca

discussione con noi il limite dei suoi concreti interessi in Etiopia ecc. ecc. ecc.) e sviluppati da ambedue le parti: V. E. ne troverà cenno scorrendo le pagine che seguono nelle quali riferisco il mio colloquio con Simon, durante il quale molti degli argomenti esposti a Vansittart sono stati naturalmente con Simon ripresi e nuovamente esaminati.

Alla fine della mia conversazione ho posto a Vansittart, nei seguenti termini, una domanda precisa: «Faccio appello alla vostra personale amicizia e alla vostra lealtà per avere una risposta precisa alla domanda che vi pongo. Malgrado la vostra dichiarata franchezza voi siete stato reticente su un punto che è assai importante per l'Italia. In gennaio io mi sono presentato a Simon e a voi comunicandovi, d'ordine del Duce, il testo dell'Accordo !taio-Francese sull'Etiopia firmato a Roma il 7 gennaio, e facendovi la proposta formale di iniziare al più presto delle conversazioni fra il Governo fascista e quello britannico per un accordo analogo fra i nostri due Paesi. Non solo io non sono mai riuscito, durante tre mesi, ad ottenere una risposta al passo del gennaio, ma avendo per almeno una dozzina di volte sollecitato di conoscere l'avviso del Governo Britannico al riguardo, voi vi siete schermito o vi siete espresso in modo assolutamente evasivo. Anche ora (discutiamo già da più di due ore) io non sono riuscito ad ottenere da voi di portare il vostro occhio sulla carta geografica dell'Etiopia (che ho preso con me e aperto davanti espressamente a tale scopo) o ad avere una sola indicazione geografica concreta su quelli che voi oggi considerate i vostri interessi in Etiopia, in base all'Accordo Tripartito e ai documenti internazionali che a questo Trattato fondamentale sono seguiti. Vi siete dilungato invece, anche troppo, su considerazioni di politica generale. Ora, io debbo dare al Duce delle impressioni precise su quello che saranno gli sviluppi probabili della politica britannica nella vertenza itala-etiopica. Voi mi avete detto e ripetuto che l'Inghilterra è contraria alla nostra impresa in Abissinia. Ciò è chiaro. Quello che non è chiaro è un altro punto, forse più importante per noi. Questa contrarietà dell'Inghilterra è determinata soltanto da quelle ragioni di politica generale sulle quali voi avete insistito, oppure (il che non sarebbe infrequente nel modo di pensare e sopratutto di agire britannico) le ragioni di politica generale, ossia interna, parlamentare, ginevrina ecc. ecc. nascondono invece una contrarietà irreconciliabile sul terreno degli interessi coloniali italo-inglesi? Insomma è ancora l'Inghilterra fedele al Patto Tripartito del 1906, o sono per avventura i colonialisti inglesi, come essi dicono e fanno dire da qualche tempo in qua, ostili a riconoscere all'Italia il suo preponderante diritto ad una sua espansione in Etiopia, quale venne riconosciuto nell'Accordo Tripartito? ».

Vansittart non ha esitato a rispondermi su questo punto: «Resta inteso che quanto sto per dirvi non ha alcun carattere ufficiale ed ufficioso, ma può soltanto servire come indirizzo e sorgente d'informazione personale per le vostre impressioni. Ebbene, no, non credo insolubile il problema della conciliazione degli interessi britannici e degli interessi italiani in Etiopia. Voi sapete che i colonialisti di tutti i Paesi si rassomigliano. Per essi la sorte la fortuna del mondo intero dipende spesso da una concessione, da un pozzo, da una miniera, da un protettorato su questa o quella tribù ecc. ecc. Il Colonia! Office è naturalmente ostile ad ogni idea di accordo coll'Italia, ed è appunto per convincerli del contrario che noi abbiamo nominato riservatamente un comitato di esperti del Foreign Office e del Colonia! Office onde avere subito, per ogni evenienza, pronto il materiale necessario per quella che potrebbe essere domani una seria trattativa fra i due Paesi. Ma vi prego di non farvi molte illusioni neppure su questo punto, perché il Governo Britannico non risponderà per ora affermativamente alla domanda italiana per una apertura di trattative fra Roma e Londra. Voi ci avete detto riservatamente, ma è ormai notizia conosciuta e divulgata a Roma, a Parigi e a Addis Abeba che la sostanza degli Accordi itala-francesi del gennaio u.s. consiste per l'Italia nell'aver ottenuto dalla Francia "mano libera" in Etiopia. Ora nessun governo britannico oserebbe nelle attuali condizioni di politica interna, intraprendere un negoziato coll'Italia che lasciasse pensare altrettanto da parte dell'Inghilterra. Già a quest'ora, per la sua tattica acquiescente a Ginevra sulla controversia itala-abissina, il Governo Inglese è accusato da ogni parte di complicità coll'Italia, e di venir meno ai suoi doveri verso la Lega. Voi che seguite di persona le sedute ai Comuni avete assistito al martellamento di domande che sono quasi ogni giorno rivolte al Governo su questo punto. MacDonald e Simon erano imbarazzati all'idea che il Duce li portasse a Stresa a discutere il problema dell'Etiopia, discussione alla quale non avrebbèro potuto esimersi naturalmente, ma che sono stati ben lieti di evitare. Infatti al loro ritorno la prima interrogazione ai Comuni è stata per domandare se a Stresa il Governo Britannico aveva preso impegni circa l'Etiopia. Ora io non ritengo francamente che un negoziato nelle attuali circostanze sarebbe nell'interesse dell'azione militare a cui l'Italia si prepara: perché il Governo Britannico, se a questo negoziato si vedesse obbligato, domanderebbe all'Italia tali precisi e categorici impegni sul rispetto dell'indipendenza etiopica, e sull'interpretazione del Patto Tripartito, da rendere ancora più difficile domani un'azione dell'Italia in Etiopia, e forse potrebbero nel futuro costringere l'azione diplomatica e forse militare della Gran Bretagna ad una linea contraria agli interessi dell'Italia, assai più che non vi sia costretta oggi. Se io fossi il Governo fascista non insisterei ora sull'apertura di queste trattative. Esse possono risolversi in un danno assai più che in un vantaggio per voi».

Grandi: « Deve restare comunque come un preciso dato di fatto, a scanso di responsabilità future, che l'Italia ha tempestivamente offerto alla Gran Bretagna un'intesa per il rispetto dei reciproci interessi in Etiopia. Non vorrei che ad un certo momento fossero proprio i colonialisti inglesi a pentirsi per non avere accettato la leale offerta d'intesa da parte dell'Italia. Una campagna coloniale ha sempre le sue sorprese, e non deve esserci rimprovato domani se il Governo Italiano si troverà nell'impossibilità di riconoscere alla Gran Bretagna quei diritti in Etiopia che sarebbe pronta a discutere oggi. Allora sarà il Parlamento inglese che accuserà il Governo di non avere protetto abbastanza gli interessi coloniali dell'Inghilterra in Etiopia».

Vansittart: «Ma adesso rispondete voi con altrettanta lealtà ad una mia domanda precisa. Quali sono i veri obiettivi dell'azione miltare italiana in Etiopia? Che cosa il Duce intende come "soluzione del problema della sicurezza italiana in Africa?" Credo che il Duce non pensi a distruggere nel senso bibHco l'Etiopia, perché questo nessuno al mondo potrebbe riuscire a farlo. E allora quali sono i limiti e gli obiettivi che egli pone alla sua azione? Vi è un limite minimo nei desiderata italiani che voi credete si potrebbe riuscire a raggiungere facendo sul Negus delle forti pressioni, o comunque riducendo al minimo indispensabile l'impegno dell'Italia? »

Grandi: «Le mie istruzioni sono quello che voi avete veduto, ed esse non potevano essere diversamente. Come si può discutere coll'Inghilterra su questo punto, quando l'Inghilterra trova imprudente e prematuro discutere perfino quali sono i suoi desiderata e interessi in Etiopia? Le trattative proposte dall'Italia hanno come scopo l'applicazione integrale dei diritti spettanti alle Tre Potenze nell'Accordo Tripartito. Questa è la linea sulla quale l'Italia vuole regolare la sua azione. In difetto di un'intesa coll'Inghilterra è naturalmente difficile prevedere il futuro».

Vansittart: «Rifletterete tuttavia a quello che vi ho detto?».

Grandi: «Voi fate altrettanto».

Stamane mi sono recato da Simon e anche a Simon ho dato letterale e integrale lettura del telegramma di V. E. soffermandomi e insistendo nella traduzione inglese sui punti centrali delle istruzioni ricevute.

Simon mi ha ascoltato tenendo sott'occhio un lungo pro-memoria preparato da Vansittart sul colloquio avuto con lui. A differenza di Vansittart egli non ha tradito da principio il suo risentimento per le aperte critiche da me mosse a quella che è stata la sua recente azione a Ginevra.

Simon: « Vi ringrazio, e vi prego ringraziare a mio nome il Duce, per la franchezza di questa comunicazione quantunque essa non mi apprenda nulla di nuovo oltre a quello che già io non conoscessi dalle nostre numerose precedenti conversazioni, a parte il tono inusitatamente, e permettetemi di dirvi subito, inutilmente crudo col quale voi mi esponete la situazione. Esaminiamo questa dunque con freddezza: io vi parlerò con franchezza pari alla vostra. Vi dico subito che gli apprezzamenti sulla mia azione da parte della Delegazione Italiana a Ginevra non mi toccano perché spero che Mussolini li prenda per quello che valgono. L'Italia è una grande e ormai potenze Nazione, e Mussolini è certamente, fra i viventi, il più grande Uomo della terra. Io sono un liberale, che crede nella democrazia, ma non mi sento per questo così partigiano da non riconoscere che soltanto la dittatura di Mussolini poteva fare dell'Italia il grande Paese che è attualmente. Personalmente ho per il Duce una profonda simpatia e ammirazione nella quale io desidero che egli sinceramente creda. Ultimamente recandomi da Stresa ad Alassio ho traversato per lunghe ore una parte dell'Italia: un solo pensiero ha dominato in quelle ore il mio spirito e cioè il miracolo di questa trasformazione fascista del suo Paese fatta da Mussolini. Voglio che Mussolini creda che io sono un sincero amico dell'Italia, e che se qualche volta nell'azione internazionale da me compiuta come responsabile della politica estera della Gran Bretagna, Egli trova qualche cosa che non corrisponde alla sua convinzione o a quelli che Egli ritiene (Egli è il solo che lo possa giudicare) gli interessi del suo Paese, questo non è dipeso dall'intenzione di rendere a Lui meno facile la soluzione dei problemi da Lui intrapresi, ma soltanto perché le necessità mi possono portare a delle valutazioni degli interessi britannici che non coincidono perfettamente cogli interessi italiani. Nella controversia fra Italia e Abissinia l'opinione pubblica britannica è nella sua maggioranza contro l'Italia e lo sarà assai più quando la deprecata eventualità di maggiori complicazioni nell'Africa Orientale sarà presto un fatto compiuto. In Italia si dimentica troppo spesso che l'Inghilterra non ha la dittatura, e che nessun Governo Britannico può trascurare, a pena di essere rovesciato, questi sentimenti dell'opinione pubblica. Soltanto avant'ieri io ho avuto ai Comuni quattro interrogazioni in cui mi si domandava ragione della mia condotta a Ginevra nella disputa itala-abissina. È un peccato che il Duce non abbia creduto di intrattenere a Stresa il Primo Ministro o il sottoscritto su questo argomento, che non dubito sia di importanza vitale per l'Italia. Avremmo potuto avere una franca reciproca spiegazione. Il Governo Britannico si oppose, voi lo sapete, all'entrata dell'Abissinia a Ginevra. Fu la Francia e l'Italia che hanno portato l'Abissinia nella Società delle Nazioni. Non possiamo oggi metterla fuori. Il Duce non può domandare a noi più di quello che non possiamo dare. Io vorrei che voi pregaste il Duce di volersi rendere conto della nostra difficile posizione e nello stesso tempo di valutare che la disputa italo-abissina, qualora provocasse una più seria situazione, determinerebbe una tale reazione nello spirito pubblico britannico da temere veramente che grosse nubi potrebbero oscurare le relazioni fra i nostri due Paesi».

Ho risposto a Simon che il Duce s1 rendeva perfettamente conto delle esigenze parlamentari del Gabinetto Britannico, come risultava chiaramente dalle istruzioni che egli mi aveva mandato. Ma che è parimenti suo diritto di chiedere al Gabinetto Britannico di rendersi conto di quello che è per l'Italia un problema non soltanto di sicurezza coloniale e africana, ma il problema della sua stessa sicurezza in Europa. Ho ripetuto a Simon tutti gli argomenti già esposti a Vansittart su questo punto. «A mio avviso voi, Simon, sopravalutate le necessità parlamentari britanniche nei riguardi della disputa itala-abissina nella Società delle Nazioni. Ad ogni modo un fatto deve essere ben chiaro, e cioè che l'Italia non si lascerà per nessuna ragione al mondo irretire nelle maglie ginevrine, per cui il problema quale sta per presentarsi nella imminente sessione di maggio non sarà più quello di una continuazione dell'esame della disputa itala-abissina, bensì un problema assai più vitale per il prestigio e per la vitalità medesima della Società delle Nazioni. Esso consiste nel sapere se l'Italia può o non può rimanere nella Società delle Nazioni e se al Governo Britannico conviene, in questo momento, di indebolire proprio quell'organismo internazionale che lo spirito britannico considera come l'unica garanzia di pace rimasta in Europa, e ciò semplicemente per correre dietro ai fantasmi di una regolamentazione !egalitaria della disputa itala-abissina alla luce degli articoli del Covenant. La situazione è ben più importante e più grave e va esaminata sotto una luce completamente diversa che non quella ristretta ed astratta della Società delle Nazioni. L'Italia non ha mai pensato a una guerra coll'Etiopia. Ne è prova il fatto che da circa quaranta anni i presidi delle nostre Colonie sono costituiti essenzialmente da elementi indigeni, mentre lo stesso Governo Britannico ha sempre mantenuto nelle sue Colonie

accanto agli indigeni dei reparti di truppe metropolitane. Ciò valga a dimostrare

che l'Italia non ha mai pensato seriamente ad un conflitto coll'Abissinia. Da

qualche tempo in qua la politica aggressiva del Negus, il disordine e l'anarchia

in cui è precipitato questo aggruppamento feudale di Stati ancora incivili nel

centro Est Africano, in seguito al fallimento della politica accentratrice del

Negus, ha messo e sta mettendo in serio pericolo le nostre Colonie dell'Eritrea e

della Somalia. In pari tempo si addensano sull'Europa nubi minacciose che richiederanno fra non molto, da parte di tutti gli Stati europei i quali vogliono la pace, la massima efficienza della loro preparazione bellica. Noi non possiamo lasciare dietro di noi proprio in vista di questa oscura e minacciosa situazione europea un centro di infezione coloniale che domani, in un momento delicato per l'Europa, rappresenterebbe certamente un elemento di debolezza per noi».

Simon mi ha interrotto a questo punto: «Ma è appunto per questo che noi non vogliamo una guerra tra voi e l'Abissinia. Non crediate che noi non abbiamo esaminato e fatto esaminare dai nostri esperti coloniali e militari la situazione. Una spedizione militare in Etiopia richiede dall'Italia dei mezzi sproporzionati agli obiettivi da raggiungere e indebolirà notevolmente la vostra preparazione militare sul continente».

Grandi: «II Duce è il solo che può giudicare della efficienza militare italiana, in Europa, in Africa e dappertutto. Su questo punto vorrei pregarvi di non insistere. Il Duce ha valutato tutte le difficoltà di una nostra impresa coloniale in Abissinia. L'Italia si rende perfettamente conto degli sforzi che essa dovrà sostenere. Ma appunto per queste identiche ragioni, ntalia ha il diritto di chiedere che la Gran Bretagna non accresca le difficoltà che l'Italia dovrà superare. E ciò non soltanto in nome della cosidetta tradizionale solidarietà itala-britannica, ma sopratutto in nome della solidarietà futura fra Italia e Gran Bretagna di fronte a quelli che saranno i comuni pericoli in Europa in un prossimo futuro. Non si tratta di una guerra che l'Italia vuole fare all'Etiopia. Si tratta di una guerra che l'Italia è costretta a fare all'Etiopia. L'Italia ha necessità di estirpare il cancro abissino al più presto possibile. Come tutte le operazioni chirurgiche questa deve essere fatta in condizioni normali e il più rapidamente possibile, in modo che questa situazione intollerabile possa venire liquidata prima che il nostro Paese sia chiamato ad una azione ben più importante e decisiva sul Continente. È quindi interesse della Gran Bretagna, e non soltanto dell'Italia, che la faccenda abissina sia liquidata al più presto. E invece l'azione della Gran Bretagna a Ginevra e ad Addis Abeba ha finora fomentato le velleità abissine anziché persuadere il Negus a sottostare alle condizioni che verranno imposte dall'Italia. Dico " imposte " perché bisogna chiamare le cose col loro nome. È perfettamente vero che è colpa della Francia e dell'Italia se l'Abissinia si trova sul piede d'uguaglianza delle Grandi Potenze bianche nella Società delle Nazioni. L'Inghilterra fu contraria e manifestò il suo avviso contrario con una serie di argomentazioni preziose che noi oggi invochiamo precisamente contro quella che appare voler essere oggi la ripetizione, da parte britannica, dell'errore commesso una dozzina di anni or sono dall'Italia e dalla Francia. Italia e Francia si sono messe ormai d'accordo per riparare questo errore. Non ditemi che è difficile per le grandi Potenze europee: Inghilterra, Francia e Italia (l'assenza della Germania ci faciliterà il compito) di trovare mille ed una ragione "giuridiche" per cacciare da Ginevra degli schiavisti e dei selvaggi di razza negra, che vivono in uno stato permanente di brigantaggio e di anarchia. La Lega delle Nazioni o diventa lo strumento solidale delle Grandi Potenze europee e bianche, o finirà per accelerare il ritmo della decadenza dell'Europa. L'Italia domanda che l'Inghilterra, entrando finalmente nel terreno della realtà internazionale, riconosca, nel suo stesso vantaggio di potenza colonizzatrice in Africa, il dovere di solidarietà per una soluzione adeguata del problema abissino che non è solamente problema italiano, ma problema britannico e francese. Se questo problema non sarà risolto nel più breve tempo possibile secondo le linee indicate dall'Italia, noi avremo attraverso l'Abissinia un nuovo potente centro di espansione tedesca in Africa, centro di espansione tedesca che ha già iniziato il suo lavoro torbido e tenace, e con degli obiettivi molto più importanti di quelli che non siano le colonie Italiane dell'Africa Orientale, cioè contro i tessuti vitali dell'Impero Britannico in Africa.»

Simon: « Sono d'accordo con voi circa il pericolo tedesco in Africa. Siamo noi che vi abbiamo dato a questo riguardo delle preziose informazioni sull'attività del Ministro tedesco ad Addis Abeba. »

Grandi: «Queste informazioni per verità ce le siamo date scambievolmente nello stesso tempo e ciò dimostra ancora una volta l'interesse comune ad arginare con una rapida soluzione del problema abissino qualsiasi velleità di rinascita

· imperialistica della Germania in Africa. » Simon: «Vi consiglio tuttavia di non insistere troppo nei vostri contatti, che so frequenti ed assidui, coi colonialisti britannici su questo tema. In questi

~ ultimi mesi sono pervenute al Colonia! Office informazioni allarmanti sulle simpatie degli indigeni dei territori africani britannici per l'Abissinia. Uno strano e impreveduto fermento si è rivelato a favore dell'Abissinia e contro l'Italia in Egitto, nell'Arabia, nel Sudan, nei territori dell'Africa Orientale. Una volta accesa la guerra quali saranno le ripercussioni che questa avrà nei paesi di colonizzazione inglese? Noi temiamo seriamente che la guerra itala-abissina possa essere l'origine di rivolgimenti politici nell'Africa Orientale e in Arabia a danno dell'Inghilterra. » Grandi: «Ma è appunto per questo insieme di ragioni che anche all'Inghil.terra conviene che una volta per sempre si ponga fine all'indipendenza etiopica perché l'Etiopia, sopratutto se in mano della Germania, sarà il .più pericoloso centro di irrequietezza anti-britannica in Africa e nel Mar Rosso.»

Simon: «Purtroppo noi Inglesi abbiamo l'abitudine mentale a considerare soltanto i pericoli imminenti e a trascurare quelli lontani. Il pericolo tedesco per le nostre Colonie non è fra quelli imminenti: d'altronde il suo manifestarsi provocherà una maggiore solidarietà fra noi e i nostri Dominions. Eppoi voi trov·erete sempre degli Inglesi molto soddisfatti davanti all'ipotesi di uno "sfogo·· all'espansione economica tedesca in Etiopia, nell'illusione che ciò diminuirà la pressione diretta tedesca sulle Colonie britanniche. Ma veniamo al terreno pratico e immediato. Anch'io vi ripeto la domanda fatta da Vansittart. Che cosa vuole Mussolini, e cioè che cosa intende, colle parole "definizione, risoluzione e liquidazione" del problema abissino? Quali sono in sostanza gli obiettivi finali dell'azione da intraprendersi dall'Italia contro l'Abissinia? »

Grandi: «Tre mesi fa, precisamente alla fine di gennaio, io mi sono presentato a voi per proporre, a nome del Governo Italiano, l'inizio di conversazioni itala-britanniche per una definizione degli interessi britannici e degli interessi italiani in base all'Accordo Tripartito del 1906 e dei susseguenti documenti internazionali firmati dall'Inghilterra e dall'Italia. Il nostro invito era formale e, come voi ricordate, per avervelo detto ripetutamente allora e in seguito, era determinato dal fermo desiderio del Duce che nessun malinteso o equivoco potes

se sorgere fra l'Italia e la Gran Bretagna nell'eventuallta che i disordini e l'anarchia etiopica rendesse necessario un intervento di una delle Potenze firmatarie dell'Accordo Tripartito. Il Governo Britannico non ha mai risposto né si né no a questa apertura del Governo Italiano, malgrado che io più volte, come Ambasciatore d'Italia, abbia sollecitato il Foreign Office a prendere una decisione. Ora i tempi stringono. Noi vi domandiamo non soltanto di non complicare la situazione inserendola più di quanto già non lo sia la disputa itala-abissina nel macchinario rigido della Società delle Nazioni (vi ripeto, è il macchinario

che salterebbe in questa evenienza) ma di addivenire ad una pacata e serena trattativa coll'Italia, così come la Francia è addivenuta con reciproca soddisfazione dei due Paesi. La Gran Bretagna ha dei considerevoli interessi in Etiopia, interessi che, nel limite del ragionevole, l'Italia intende rispettare. Dato inoltre lo stato attuale di tensione e la possibile imminenza di complicazioni alla· frontiera coll'Etiopia, noi domandiamo che la Gran Bretagna collabori amichevolmente ed efficacemente perché sia impedito qualsiasi contrabbando di rifornimenti di mezzi bellici attraverso alle frontiere dei Possedimenti Coloniali britannici in Africa e siano d'altra parte vietate dal Governo Britannico forniture militari di ditte inglesi all'Etiopia. »

Simon: «Circa le conversazioni itala-britanniche il Foreign Office non vi ha dato una risposta affermativa perché a nostra volta non siamo ancora riusciti ad ottenere dal Comitato di Esperti del Foreign Office e del Colonia! Office una precisazione su quelli che sono gli interessi britannici in Et~opia. Vi prometto che interverrò personalmente per accelerare questo lavoro, e darvi quanto prima una risposta, sulla quale tuttavia non prendo impegni di sorta. Mi limito soltanto a pregarvi di considerare quello che Vansittart vi ha detto circa la reale convenienza per l'Italia circa queste conversazioni. Circa la fornitura e contrabbando di armi in Etiopia io ho esaminato con molta attenzione le vostre pressocché quotidiane comunicazioni in proposito. Io non so quali siano i vostri accordi colla Francia e colle altre Potenze eventuali fornitrici di armi all'Etiopia. Su questo punto, che probabilmente è stato oggetto degli accordi italo-francesi di Roma, nessuna comunicazione io ho avuto dal Governo Italiano. Mi risulta tuttavia da informazioni assunte a Parigi e sopratutto dalle informazioni pervenute dalla nostra Legazione ad Addis Abeba, che la Francia non solo non ha chiuso al traffico di armi coll'Etiopia le sue frontiere, ma che forniture all'Etiopia sono fatte anche direttamente o indirettamente da ditte francesi. È difficile che la Gran Bretagna accetti una interpretazione quale voi avete sottoposto al Foreign Office del Trattato del 1930, però voi sapete d'altra parte che tutte le volte che l'Ambasciata d'Italia ha segnalato al Foreign Office forniture o spedizioni di armi all'Etiopia, noi abbiamo fatto del nostro meglio perché queste forniture non avessero corso, e ciò non soltanto per fare cosa grata al Governo Italiano, ma perché anche noi non desideriamo, quale Potenza confinante dell'Etiopia, accrescere l'efficienza bellica delle tribù abissine. Un mese fa vi ho fatto informare confidenzialmente di avere spedito d'urgenza un funzionario del Foreign Office in un porto del Nord dell'Inghilterra per dissuadere una ditta inglese a spedire un considerevole carico di armi con destinazione ad Addis Abeba. Molto più difficile, se non impossibile, è controllare il contrabbando· attraverso le frontiere del Sudan e del Somaliland Britannico. Ciò sfugge al nostro controllo. Ad ogni modo

mi risulta per certo che le armi fornite all'Etiopia attualmente non provengono, se non in misura minima, da porti inglesi, e comunque in quantità infinitamente minima minore che non attraverso Gibuti e i territori francesi: anche sotto questo riguardo si sono dimostrate quasi sempre inesatte le informazioni precipitose e non sempre accurate dei vostri agenti in Etiopia e nel Mar Rosso, che vedono sempre e dappertutto la perfida mano dell'Inghilterra. Ma resta la questione più importante, quella degli obiettivi italiani in Abissinia. Alla mia domanda voi avete dato una risposta indiretta. Io vorrei qualche cosa di più pratico e di più preciso. Capisco benissimo che una definizione dell'incidente di Ual-Ual è assolutamente sproporzionato oggi alla situazione. Che cos'è che Mussolini vuole dal Negus? E che cosa egli materialmente considera sufficiente garanzia alla sicurezza delle Colonie Italiane nell'Africa Orientale? Vi ripeto questa domanda per rendermi conto e per riflettere se vi fosse una via, che per ora non vedo, attraverso la quale si potesse ottenere che fosse data una legittima soddisfazione all'Italia limitando il più possibile l'entità del suo impegno militare in Africa~

Grandi: «L'Italia non intende abbandonare quello che è il documento fondamentale della politica delle Tre Potenze interessate in Etiopia, e cioè l'Accordo Tripartìto. Su questa base e lungo tali linee l'Italia intende sviluppare la sua azione nell'Africa Orientale. Quello che noi oggi chiediamo alla Gran Bretagna è: 1°) non interferire nelle trattative itala-etiopiche, nè direttamente nè indirettamente lascia~do l'Italia libera di negoziare coll'Etiopia come essa crede; 2°) non mettere in pericolo l'organismo della Società delle Nazioni insistendo a trattare la disputa itala-abissina a Ginevra; 3°) non contribuire a fomentare le velleità di resistenza abissine dando indirettamente al Negus la sensazione che egli può contare sull'appoggio dell'Inghilterra in seno alla Società delle Nazioni; 4°) stabilire un regime di collaborazione sincera, fra le Autorità coloniali italiane e britanniche in Africa, in modo che cessi da parte di queste ultime ogni tortuosa e ambigua iniziativa tendente a sfruttare ai fini di piccoli vantaggi particolaristìcì l'attuale tensione fra Italia e Etiopia; 5°) impedire rifornimenti e contrabbando dì armi; 6°) infine, e più importante di tutti, venire coll'Italia a una discussione serena e conclusiva degli interessi delle due Potenze in Abissinia.~

Simon mi ha detto che rifletterà a queste considerazioni, che rimangono purtroppo e sempre subordinate a quelle che sono e che saranno sempre più le necessità di politica generale del Governo Britannico. «La controversia italaabissina rischia purtroppo di diventare per i nostri nemici la pietra di paragone

della fedeltà del Gabinetto Britannico alla Società delle Nazioni. Questo rimane per il Governo Britannico l'ostacolo maggiore. ~

Ho replicato ancora a Simon che dopo aver sostenuto vittoriosamente ogni sorta di attacchi sullo stesso terreno per la politica svolta a Ginevra in occasione dell'uscita del Giappone e della Germania dalla Società delle Nazioni, il Governo Britannico non deve sopravalutare quelle che potranno essere le reazioni all'azione dell'Italia nell'Africa Orientale. «Credo che valga la pena~. ho aggiunto, «per qualsiasi Governo Britannico di affrontare questo piccolo rischio di politica interna per mantenere intatto quel fronte unico di solidarietà itala-britannica che, a giudicare soltanto dalle reiterate di.chìarazioni dei capi responsabili della

politica britannica, è stato definito la chiave di volta della pace dell'Europa in questi ultimi dieci anni~

Ho cercato, Duce, di riprodurre con fedeltà fotografica le mie conversazioni con Simon e con Vansittart, lasciando intatto lo stesso disordine, spesso illogico, nelle loro argomentazioni, perché anche questo è un elemento che Tu devi conoscere. Tu trarrai le Tue conclusioni, e mi darai eventualmente nuove istruzioni. Io continuo ad agire come ho fatto sinora nel senso da Te ordinato. Queste conversazioni con Simon e con Vansittart debbono essere da Te considerate come la conversazione «standard ~ che ho continuamente con membri del Governo, della Camera dei Comuni e dei Lords, direttori di giornali, capipartito, personalità della politica, della City ecc. allo scopo di fare entrare in testa a questa gente refrattaria e pesante l'ineluttabilità della nostra azione africana. Mi saranno preziosi tutti gli elementi e i consigli che Tu vorrai ancora darmi perché la mia azione, che è dura, possa avere quel margine di successo che è sempre relativo, e nella misura che può essere consentito all'azione di un Ambasciatore. Io non ho mai avuto sin'ora il cattivo gusto di esagerare le difficoltà, e sorrido spesso e volentieri scorrendo i telegrammi e i dispacci a Te diretti da alcune nostre Rappresentanze, e che mi sono inviati per conoscenza.

Simon e Vansittart continuano ad agitare sempre lo spauracchio dell'oscurarsi delle relazioni itala-britanniche come effetto della vastità della reazione anti-italiana che scoppierà in Inghilterra in seguito a quella che sarà la nostra azione militare in Africa. Una forte reazione indubbiamente è prevedibile, ma tuttavia non nelle esagerate proporzioni previste da Simon e Vansittart. Durante il mese di febbraio e durante la prima metà di marzo abbiamo registrato una vera campagna anti-italiana nella stampa e nell'opinione pubblica inglese a questo proposito. Poi, «more britannico~. l'isterismo si è calmato. Oggi, mentre scrivo, c'è calma su tutto il fronte; qualche colpo di fucile isolato e qualche sporadica azione di pattuglia, come gli articoli sul Daily Telegraph di Sir Percival Phillips. Nulla più. Ciò è dovuto in parte all'azione di questa Ambasciata, in parte al fatto che l'opinione pubblica inglese è stata stordita e distratta dagli avvenimenti europei, in parte perché dopo le prime manifestazioni di entusiasmo popolare in Italia in occasione della partenza delle nostre truppe per l'Africa la partenza di queste truppe è diventata un fatto normale per cui l'attenzione della stampa estera è stata meno richiamata sullo svolgimento dei nostri preparativi bellici, ed infine perché tutti si abituano a tutto, ed anche l'Inghilterra si è abituata, almeno in parte, all'idea della nostra azione in Etiopia.

È prevedibile un altro scoppio di reazione contro di noi, e forse di carattere più vasto e meno provvisorio, nel momento in cui si inizieranno le operazioni e le nostre truppe entreranno materialmente in campagna. L'affronteremo. Forse occorrerà mostrare a questo popolo che si crede il più superbo e tranquillo «incassatore~ del mondo che il nuovo spirito italiano non è da meno, e che l'antipatia inglese non ci farà perdere la calma né contribuirà ad alterare di un centimetro il programma fissato alla nostra azione. Quando si vuole un Impero, come noi vogliamo, non possiamo aspettare di averlo per eredità da chicchessia, o cogli applausi da parte di chicchessia. Bisogna conquistarlo duramente, come noi ci prepariamo a fare.

Si tratta invece, freddamente, di esaminare fin dove è possibile diminuire gli ostacoli alla nostra azione. Io credo che, nonostante le dichiarazioni contrarie di Simon e Vansittart, se agiremo «con pazienza», abbiamo una certa probabilità di giungere più o meno tardi ad una situazione di fatto colla Gran Bretagna che ci consenta di svolgere la nostra impresa africana in condizioni normali senza appoggi materiali o morali, ma anche senza l'ostilità di fatto della Gran Bretagna. Un valore determinante avrà per l'Inghilterra il «fatto compiuto». Fino a che il nostro esercito non sarà entrato in campagna l'Inghilterra si rifiuterà a ritenere che sia impossibile fermarci sulla strada della guerra. E farà ancora di tutto per fermarci, questo non dubito: sebbene, come Tu, Duce, hai potuto renderti conto da queste mie conversazioni con Simon e Vansittart, la linea di resistenza inglese alla nostra impresa africana abbia già ceduto un po' da quella che era tre mesi fa.

L'importante è che la reazione dell'opinione pubblica inglese non si manifesti prematuramente, cioè molto tempo prima dell'apertura delle ostilità. Questo è il momento cioè in cui il Governo Britannico sarà costretto a scegliere fra l'Italia e l'Abissinia già in guerra tra loro. Ecco perché tanto più presto si verificherà il «fatto compiuto» tanto minori saranno le difficoltà da vincersi in questo paese. Adesso in ordine di tempo vi è il «preliminare» inconveniente della Società delle Nazioni da superare. In Inghilterra dove il mito della Società delle Nazioni ha assunto, specie ora, degli aspetti di feticismo puritano, tutti sono convinti che mai l'Italia fascista oserebbe in alcuna evenienza, giocare la grossa carta della sua uscita dalla Società delle Nazioni, così come ad un certo momento l'hanno giocata il Giappone e la Germania. Tutte le volte che io ho prospettato questa eventualità come assai probabile, mi è stato risposto che da dodici anni a questa parte l'Italia è stata, a parole, la meno fedele, ma nei fatti la più fedele fra le Nazioni firmatarie del Patto della Lega e che, nonostante gli Ordini del Giorno del Gran Consiglio, l'Italia non ha fatto mai alcunché che possa far pensare seriamente ad una sua presa di posizione contro la Società delle Nazioni.

Ho sempre replicato che sarebbe un grosso errore confidare in quella che è stata la longanimità del Duce, e che ad ogni modo sinora nessun interesse capitale ha costretto l'Italia a seguire quella che è la sua più legittima e naturale inclinazione politica e ideologica. Credo che nulla sarebbe meglio indicato per vincere in definitiva la ostilità britannica alla nostra politica africana e a dare a questa opinione pubblica un esatto senso della realtà assai più di quello che non lo possano dare le conversazioni dei suoi Ambasciatori, che l'Italia dichiarasse nettamente a Ginevra il suo rifiuto a entrare in qualsiasi trattativa sullo stesso piede di eguaglianza di Stato Membro della Lega delle Nazioni con un paese che si è dichiarato indegno di appartenere alla Società delle Nazioni. Occorre mettere l'Inghilterra nella situazione penosa di dover scegliere a Ginevra fra l'Italia e l'Etiopia nella Lega delle Nazioni. L'evoluzione dello spirito britannico in favore del Giappone e della Germania precisamente dopo che questi due Paesi hanno giocato tempestivamente la loro grossa partita ginevrina sta a dimostrare i vantaggi di una politica a Ginevra ferma e decisa Cl).

(l) -Questo rapporto era accompagnato dalla seguente lettera personale di Grandi, in data 5 maggio 1935: «Duce, Ti Invio, qui allegato il resoconto fotografico delle mie conversazioni con Simon e Vansittart. Ti ringrazio dell'appunto dell'udienza concessa al Poliakoff [vedi D. 85]. Tale appunto è straordinariamente interessante, e mi è stato e mi sarà utile. Mi risulta che U resoconto fatto dal Pollakoff al Forelgn Office sulla sua visita a Palazzo Chigi ha fatto molta impressione. Vorrei pregarti di leggere attentamente queste mie conversazioni con Simon e Vansittart, e (ove possibile) sapermi dire se la linea da me eseguita è quella che Tu desideri. Vi sono anche nelle dichiarazioni di Simon e Vamsittart, qua e là degli spunti che Tu giudicherai se, e in qual modo, dovranno essere ripresi o lasciati cadere. L'ambiente di lavoro non è facile. Ma io faccio e farò tutto quanto è possibile e impossibile. Di questo puoi stare certo». · (2) -Manca l'indicazione della data d'arrivo; un telegramma di Grandi (T. 2445/275 R.)informa che questo documento è partito da Londra per corriere la sera del 7 maggio. (3) -Vedi serie settima, vol. XVI, D. 492. (l) -Nota del documento: «Il Foreign Office aveva dapprima decllnato il mio invito di inviare a Stresa il Capo dell'UffLcio competente Sig. Thompson, ed è soltanto all'ultimo momento in seguito ad una personale insistente richiesta del sottoscritto a Vanslttart che il Governo Britannico ha tncluso il Sig. Thompson nella Delegazione Britannica, tuttavia alla condizione esplicitamente ripetuta che a Stresa fra il Comm. Guarnaschelli e il Sig.Thompson la conversazione si sarebbe llmitata ad esaminare la questione dei pascoll del!'Ogaden, e non (dico non) avrebbe affrontato il tema principale della controversia !taioabissina». (2) -Vedi DD. 70 e 71. (3) -Vedi D. 60. (4) -Vedi D. 115.

(l) Vedi D. 12.

(l) T. 773/133 R. del 28 aprile 1935, ore 24, firmato Suvich, e T. 4153/267 P.R. del 2 maggio 1935, ore 19,20, con il quale Grandi info=mava di aver fatto la comunicazione e di attendere la risposta.

(l) Mussolini ha sottolineato tn più punti questo documento e l'ha infine siglato. Per la risposta vedi D. 175.

135

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE MANDATI DELLA S.D.N., THEODOLI, AL CAPO DI GABINETTO, ALOISI

L. Roma, 3 maggio 1935.

Il Duce sabato scorso (l) mi esortò a riprendere i contatti con l'Ambasciatore d'Inghilterra.

Mi sono trovato con Sir Eric Drummond ieri dalle 11 all'una. Ho aperto la conversazione accennandogli alla mia assenza dall'Italia in questa ultima settimana il che gli spiegava perché non lo avessi visto da qualche tempo. A sua volta Drummond mi ha riferito le sue impressioni sulla Conferenza di Stresa mettendo in rilievo il disaccordo latente tra Vansittart e Simon su quasi tutte le questioni più importanti di politica estera. Egli, Drummond, era riuscito ad influenzare Simon in diverse fasi delle trattative di quei giorni. Ha aggiunto che era pronto, nell'interesse dei due paesi, a continuare la sua azione per influenzare il Ministro e orientare il Sottosegretario a condizione, naturalmente, che si abbia fiducia in lui e che egli sia messo in grado di sapere esattamente quello che l'Italia vuole e fin dove intende arrivare.

Drummond mi ha detto che la delegazione britannica a Stresa era rimasta delusa nel constatare che il Duce si asteneva dal parlare dell'Abissinia, Vansittart era stato per due volte sul punto di introdurre la questione, ma i primi giorni aveva temuto di essere mal accolto dal Capo del Governo e l'ultimo giorno gli mancò il tempo per una serena e larga discussione. Preferì perciò astenersene piuttosto che veder fallire il suo tentativo. Sir Eric mi ha confessato che Mac Donald e Simon sono fisicamente terrorizzati da Mussolini del quale subiscono, d'altro canto, l'irresistibile fascino personale e la potenza del genio.

Ho fatto osservare a Drummond che forse mentre parlavamo l'Ambasciatore Grandi aveva già avuto occasione di esporre al Foreign Office le idee del Duce. Drummond ha risposto:

«So che il vostro Ambasciatore a Londra ha ricevuto un telegramma molto preciso ed energico (2) ma mi consta che fino a ieri sera Grandi non l'aveva ancora mostrato a Simon. Capisco che la comunicazione non è né facile, né piacevole in tutti i suoi particolari. Non so, d'altro canto, se una conversazione ufficiale sia il mezzo più pratico per impostare la questione. Con gente lenta e cocciuta, come sono i miei connazionali, forse sarebbe stato tatticamente più opportuno far fare i primi approcci da persona senza veste ufficiale, per preparare il terreno, sondare le eventuali reazioni, spiegare senza reticenze le ragioni di un atteggiamento che è motivato da situazioni demografiche, da bisogni economici, da pressioni dell'opinione pubblica. Tutto ciò è meno facile prospettare francamente e crudamente in una conversazione ufficiale. Ma passiamo oltre ...

Quello che voi dovete intendere -ha continuato Drummond -è che il Governo Britannico non può non tener conto di un'opinione pubblica sui generis che va presa per il suo verso e convinta con gli argomenti che le sono famigliari, di un'opposizione parlamentare ostinata specialmente da parte del laburismo, pronto a sfruttare, ai fini delle prossime lotte elettorali, tutte le sfumature e le preoccupazioni di politica estera. Come può, in queste condizioni, il mio Governo spiegarsi apertamente e giocare a carte scoperte con voi di cui non riusciamo a comprendere gli obiettivi ultimi dell'azione di pressione e di intimidamento che conducete nei riguardi dell'Etiopia? Ciò che più spaventa il Governo Britannico è di vedere l'Italia lanciarsi in una impresa difficile che impegnerà per parecchi anni le sue migliori energie militari ed economiche proprio mentre il pericolo tedesco si fa più grave e immediato. La preoccupazione in Inghilterra è tanto maggiore in quanto che i Governi dei Dominions singolarmente e collettivamente hanno dichiarato che non possono assumere impegni di sorta dal punto di vista militare nel caso di un conflitto europeo.

L'Inghilterra, mentre si rende oggi pienamente conto che la sua flotta e il suo esercito dovranno essere impegnati per arginare la pazzia sempre più minacciosa della Germania, ritiene d'altro canto indispensabile che gli eserciti francese e italiano siano nella massima efficienza».

A questo punto non ho esitato a dichiarare all'Ambasciatore che solo il Capo del Governo aveva gli elementi per valutare la situazione internazionale, sulla quale perciò non ero in grado di emettere alcun apprezzamento. Una cosa però potevo dichiarargli e cioè che tutti, senza distinzione, gl'Italiani non intendevano che si tornasse indietro per due motivi: uno di prestigio e l'altro perché la situazione dell'Eritrea e della Somalia diverrebbe insostenibile se, dopo aver minacciato e ostentato la forza, non si scongiuri per sempre il ripetersi della minaccia attuale. Gli ho ricordato la disastrosa conseguenza che ebbe per gl'Inglesi la ritirata dal Sudan dopo che Wolseley era sbarcato a Suakim e aveva battuto due volte Osman Digma. Non era neppur pensabile un nostro passo indietro per l'opinione contraria o per il mancato appoggio proprio da parte di coloro che hanno sempre trovato l'Italia amica e alleata. Gli ho citato a questo riguardo l'affermazione di Lord Cromer che l'unica potenza che non aveva mai ostacolato l'Inghilterra in Egitto era l'Italia e che soltanto grazie alla sua cooperazione militare e diplomatica essa poté debellare il Mullah in Somalia. Doveva ben esserci ancora in Inghilterra chi si ricordava delle dimostrazioni contro la Regina Vittoria in Francia e del famoso telegramma a Krueger all'inizio della lotta contro i Boeri. Nessuno meglio di Drummond doveva ricordarsi che al momento dell'affare di Mossul gli accordi tra Chamberlain e Mussolini avevano risolto la situazione. Lo spavento dei Turchi era stato tale che precipitosamente tre divisioni furono trasportate dal fronte di Mossul a quello di Konia. Sir Eric stesso mi aveva un giorno confidato che tutto ciò era stato ottenuto facendo giungere un discreto accenno di tali accordi all'orecchio dei Turchi.

L'amicizia italo-inglese è tradizionaìe, è uno dei punti fermi della politica europea -ho continuato -. Ma, caro Ambasciatore, vi rendeto conto delle conseguenze che avrebbe nella opinione pubblica italiana, il dubbio che delle difficoltà alla nostra azione provengano proprio dall'amica Inghilterra?

«È falso >, mi ha interrotto vivacemente Drummond. «Noi ci preoccupiamo assai e desideriamo che l'Italia sia sempre più forte. Noi approviamo le misure precauzionali da voi prese. Noi facciamo pressioni su Addis Abeba perché vi siano date soddisfazioni. Ciò che ci preoccupa d'altro canto sono le ripercussioni a Ginevra di un atto di forza in Africa. Noi speriamo che prima di ricorrere alla forza l'Italia vorrà esperire tutte le vie di un accordo. Né vi nascondo il dubbio, data la ignoranza nella quale siamo delle vostre intenzioni, che voi cerchiate di sottrarvi alle discussioni e consultazioni previste dai trattati del 1906 e 1928 ».

« Queste vostre preoccupazioni», ho risposto, «sono infondate. Nessuno più del Governo Italiano è disposto a darvi le più ampie assicurazioni che saranno rispettati i vostri privilegi in materia di acque che giustamente vi stanno a cuore e che nessuno vi contesta». Prendendo un tono di scherzo ho aggiunto: « Baldwin ai Comuni ha parlato di garanzia dell'integrità dell'Impero abissino, ma nessuno in Italia pensa a una spartizione. Penso che i Francesi non abbiano mire di tal genere. Non potrebb'essere che la perfida Albione a nutrire tali pensieri ». Sir Eric mi ha risposto scherzando ch'era il mio un piacevole modo di eludere la questione centrale. «Cerchiamo invece », mi ha detto, «francamente e lealmente quale sia il modo migliore per far avere all'Italia tutto quello che ha diritto di pretendere dall'Abissinia in materia commerciale, economica, etc. In primo luogo bisogna preparare convenientemente l'opinione pubblica e in special modo quella parte dell'opinione pubblica inglese che è oggi tanto più puntigliosa e suscettibile che in passato».

«Nessuno più di voi», gli ho risposto, «è in grado di dare avvisi in questa materia. Due mesi fa voi stesso m'indicaste la procedura ginevrina aggiungendo che nelle sue pieghe si possono trovare tutti gli argomenti e i metodi per meglio manovrare in vista dello scopo che si vuoi raggiungere ».

<< Voi dovete dare l'impressione al mondo che l'Italia è rispettosa della procedura ginevrina ed è disposta a fare il possibile per conciliare la vertenza sulla base dell'art. 5 del Trattato di amicizia con l'Etiopia. Solo quando avrete esaurito la fase conciliativa dovete passare a quella arbitrale. Nel frattempo non tralasciate di valervi della Società delle Nazioni per dimostrare che l'Abissinia non ha osservato alcuna delle clausole del Trattato di amicizia. Voi potrete influire attraverso la Società delle Nazioni sull'opinione pubblica mondiale mettendo in rilievo ad esempio che, contrariamente alla linea di condotta dell'Inghilterra, la quale non desiderava l'ammissione dell'Etiopia nel.la S.d.N., l'Italia volle dimostrare la sua fiducia e la sua volontà di collaborazione di pace patrocinando l'entrata dell'Abissinia nella Lega. Purtroppo i risultati non sono stati quelli sperati. Nessuno più dell'Italia, dopo le prove date di longanimità e di conciliazione, ha maggior veste per additare i tristi risultati di tale esperienza. Sorge allora, naturalmente, la questione se l'Etiopia possa rimaner membro della Società delle Nazioni. Niente essa ha fatto per osservare

quelle fondamentali obbligazioni di diritto internazionale che sono una condizione sine qua non per conservare la qualità di membro della Lega. Nessun serio provvedimento è stato preso per reprimere la schiavitù come hanno dimostrato le inchieste compiute. Nulla è stato fatto per definire le frontiere per assicurare l'inviolabilità di quelle esistenti. Domandate al Governo Britannico quante noie ha avuto nel Kenia e nel Somaliland dalle popolazioni confinanti di predoni e razziatori ».

«Ma tutte queste idee», gli ho detto, «perché non le esprimete al Palazzo Chigi? Questo vostro tono amichevole non può che giovare a una chiara comprensione della cosa».

«Non conviene», mi ha risposto, «che le conversazioni siano intavolate a Roma. Non già perch'io voglia esimermi dalle responsabilità che me ne deriverebbero ma perché mi potrebbero giungere delle istruzioni categoriche che finirebbero col paralizzarmi. Sarebbe stato invece opportuno che tutto quello che voi avete detto a me fosse ripetuto a Vansittart e negli ambienti più vicini a Simon e MacDonald da persona che parlasse con la stessa libertà e confidenza di voi. Non dovete dimenticare che i miei connazionali sono attaccati a certe loro idee fisse e ignorano assolutamente tutto ciò che non li riguarda direttamente. Il pubblico inglese, ad esempio, nulla sa delle difficoltà incontrate dall'Italia nei suoi tentativi d'intesa e di collaborazione con l'Abissinia durante l'ultimo decennio.

Non dimenticate sopratutto -ha aggiunto Drummond -che ogni giorno che passa è a favore dei Tedeschi. Essi fanno e faranno tutto il possibile perché il dissidio itala-abissino si acuisca e non mancheranno di aiutare l'Abissinia perché il conflitto, ove incominci, duri il più possibile: il che è contrario all'interesse della pace europea.

Riassumendo -egli ha detto -una volta che le conversazioni siano incominciate a Londra potranno essere continuate a Roma dove il Signor Mussolini col suo spirito chiarificatore e con quella facoltà di previsione che tutti gli riconoscono, potrà mettere la questione su una base tale da dare piena soddisfazione. Ciò gioverà a dissipare le prevenzioni e preoccupazioni che si hanno a Londra dato Io stato d'incertezza e d'ignoranza nel quale si trovano nei riguardi dei vostri obiettivi».

Ho riprodotto quasi testualmente il corso della nostra conversazione.

Ancora una volta Drummond ha insistito, ma con maggior larghezza di argomenti e con un tono di amichevole sincerità che non posso non rilevare, sul nostro interesse di sfruttare ai nostri fini la procedura ginevrina e metterei nella posizione più vantaggiosa di chi difende il Patto. La nostra manovra, secondo Drummond, dovrebbe consistere nel fare un vero e proprio processo all'Abissinia e nel dar rilievo a tutti quegli aspetti di ferocia e di barbarie che non possòno non esercitare una profonda impressione sulla opinione pubblica mondiale e specialmente su quella inglese. In tal modo s'impedisce ogni possibilità da parte di qualsiasi membro della Lega che intendesse erigersi a paladino dell'Etiopia, di solidarizzare con uno Stato incapace per il suo basso livello di far parte della Comunità delle nazioni civili. Non rimarrebbe allora, per giustificare il disinteressamento della Lega, che chiedere la applicazione dell'art. 16 del Patto così concepito : « Peut étre exclu de la S.d.N. tout membre qui s'est rendu capable de la violation d'un des engagements résultant du Pacte. L'exclusion est prononcée par le vote e tous les membres de la Société et du Conseil ».

In tal caso all'Abissinia non rimarebbe, per evitar di peggio, che accettare di esser posta sotto mandato.

Sono queste delle estreme conclusioni alle quali Drummond non è esplicitamente arrivato ma che erano implicite nelle sue premesse. Sono del subordinato avviso che è questo indirizzo che merita di essere preso nella più attenta considerazione.

(l) -Il 27 aprile. (2) -Vedi D. 60.
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2391/273 R. Londra, 4 maggio 1935, ore 1,25 (per. ore 5,30).

Ho telegrafato al R. Ministero stanqtte appena terminata seduta della Camera dei Comuni un ampio sunto dei discorsi pronunciati, e stamane ho spedito per posta aerea resoconto stenografico, onde V. E. possa al più presto farsi un'idea della discussione, che non è stata nel complesso priva di interesse.

Il discorso di MacDonald è stato cauto, specie per quanto riguarda la possibilità di un allargamento degli attuali impegni internazionali dell'Inghilterra, ma esso contiene tuttavia in maniera abbastanza chiara, non solo la riconferma dichiarazioni precedentemente fatte dal Primo Ministro a Stresa e al ritorno dall'Italia, ma anche volontà da parte britannica di sviluppare politica di Stresa e cioè di stretta cooperazione con l'Italia e con la Francia.

Chamberlain ha pronunciato energico coraggioso discorso e criticando politica di tentennamento dell'attuale Governo, particolarmente nei riguardi della questione austriaca, ha dichiarato essere dovere dell'Inghilterra, appunto in base agli impegni contratti quale Stato membro della S.d.N., di assumere una precisa resopnsabilità di fronte al problema dell'indipendenza dell'Austria.

Chamberlain ha illustrato con grande efficacia e fermezza la tesi che io stesso gli ho prospettata qualche giorno fa durante una lunga, amichevole conversazione, nella quale l'ho messo al corrente delle trattative di Stresa.

È la prima volta che ai Comuni questione dell'Austria è stata portata da uno Statista inglese dell'autorità del Chamberlain con tanto senso di drammatica attualità.

Opposizione laburista è appena intervenuta nella discussione sicché si può dire che Camera dei Comuni è stata ieri presso a poco unanime nell'approvare politica estera del Governo.

Questo è ancora ben lungi dall'essere quello che Italia e Francia giustamente attendono dall'Inghilterra. Esperienza dimostra che non bisogna su questo punto farsi soverchie illusioni e che molti sforzi saranno ancora necessari perché Gran Bretagna si decida affiancarsi a Italia e Francia in una politica chiara e netta nei riguardi Germania. Bisogna tuttavia riconoscere che Conferenza di Stresa ha segnato per la politica inglese un passo avanti su questa strada.

Iersera atmosfera Camera dei Comuni era infatti assai diversa da quella che precedette viaggio di Simon a Berlino. Stamane ho veduto Simon e Vansittart. Vansittart mi ha detto essere nel complesso soddisfatto discussione di ieri. Simon mi ha pregato di illustrare par

14 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. I

ticolarmente a V. E. parte finale suo discorso (che è la più criticata in questi circoli politici) nella quale egli rivolge alla Germania un appello per una franca cooperazione con le altre Potenze. « MacDonald ed Io -mi ha detto Simon ci siamo preoccupati del fatto che Hitler ha annunziato terrà prossimamente importanti dichiarazioni di politica estera e non abbiamo dato al Cancelliere Germanico un facile pretesto per giustificare davanti alla Germania nazista qualche altro gesto temerario».

Ho risposto a Simon che per evitare dei nuovi colpi di testa tedeschi non vi è che un linguaggio, quello della maggior durezza e non vi è che una politica, quella del fronte unico delle tre Potenze vincitrici ultima guerra, pronto e deciso a tutte evenienze.

Il Times stamane, riprendendo le frasi con cui Simon ha concluso le sue dichiarazioni di ieri, ritorna alla sua ambigua campagna in favore della mediazione britannica fra la Germania e le Potenze Continentali. Tutto il resto della stampa, compresi anche i giornali laburisti, mantiene nei suoi commenti una netta intonazione anti-tedesca.

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2413/108 R. Mosca, 4 maggio 1935, ore 3,40 (per. ore 12,30).

Ho veduto oggi Litvinov, dopo la firma patto franco-sovietico (di cui mi ha dato lettura) perfettamente ristabilto ed esultante.

Riferendosi vicende di questi ultimi giorni, mi ha detto esser rimasto francamente «irritato» del modo di agire di Lavai che, dopo aver con lui definitivamente concordato a Ginevra un testo, domandava, ventiquattro ore dopo, una prima serie di modificazioni, e dopo dubbi, tutta una seconda.

Comunque, ora tutto è finito e l'aver saltato lo stadio intermedio della parafatura ha compensato quel tanto di svalutazione del Patto che le tergiversazioni e le esitazioni di questi ultimi giorni avevano fatalmente prodotto.

Pur facendo le opportune riserve sul valore più strettamente militare del Patto, valore che dipenderà dalla buona volontà con cui esso sarà a suo tempo applicato (valore aggiungo io, che la ragione geografica rende in gran parte aereo!), Litvinov sostiene che il Patto del 2 maggio va oltre i Patti di alleanza stipulati fino a questo momento nel dopoguerra, in quanto, a differenza di questi ultimi, vincola esplicitamente, e non soltanto implicitamente, la libertà delle Parti contrattuali nei casi di «non unanimità » previsti dal Covenant.

Il Patto testè concluso non copre alcun caso di aggressione «indiretta »; lascia pertanto fuori persino un attacco alla zona renana demilitarizzata. Ma ciò era inevitabile, vista la recisa opposizione della Francia a qualsiasi garanzia baltica. Non copre neanche, naturalmente, il caso di un attacco della Germania (o della Polonia) alla Cecoslovacchia, lacuna peraltro, questa, destinata almeno parzialmente a scomparire con la conclusione di un Patto cecoslovacco-sovietico, [che] comunque serve a dare al Patto franco-sovietico una base relativa di pratica efficacia.

Espressamente da me interpellato in proposito, Litvinov mi ha dato però l'impressione di non avere alcuna particolare premura di procedere a questo come agli altri Patti sussidiari, già previsti.

Ritengo che, avendo ormai concluso il Patto con la Francia, Litvinov intenda far cadere dall'alto ogni sua adesione a Patti con Paesi minori e cioè sia rper non metterli sullo stesso piano, sia per ottenere, possibilmente, nei nuovi Patti concessioni maggiori.

A domanda se gli atti ieri firmati a Parigi fossero tre, come a suo tempo mi aveva espressamente assicurato Alphand, Litvinov mi ha risposto di no, la lettera di accompagno (atto n. 3 del mio telegramma 30 aprile u.s.) (l) essendo stata all'ultimo momento rifusa nel protocollo di firma (atto n. 2 del telegramma citato a suo tempo). Credo però, che gioverebbe chiarire bene questo punto a Parigi, potendosi anche pensare alla esistenza, oltre ai due atti pubblici, di un terzo atto di carattere segreto.

Si fanno grandi preparativi per la visita di Lavai, che prenderà ben quattro giorni.

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IL MINISTRO A KAUNAS, AMADORI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2403/41 R. Kaunas, 4 maggio 1935, ore 15,11 (per. ore 20,20).

Governo lituano è preoccupato di non essere [incluso] nell'accordo russofrancese che non tiene conto degli Stati Baltici.

Governo lituano, anche in vista Conferenza Baltica, ha chiesto a questo Ministro sovietico se avesse sempre valore la nota russa del 6 aprile, ma ha ricevuto risposta che proposta doveva ritenersi decaduta (2).

Si pensa qui che allo stato delle cose U.R.S.S. possa non stringere Patto assistenza con Lituania che non apporterebbe alcuna forza reale, e riservarsi invece libertà decisione al momento di un attacco tedesco o polacco su Lituania.

Russia potrebbe essere interessata soltanto all'adesione di tutti e tre Stati Baltici per il suo valore morale ma ciò non è realizzabile data preveduta astensione Estonia, Lettonia.

Si ritiene però che nelle seguenti trattative militari franco-russe probabilmente potrà essere considerato il caso di forze armate germaniche e polacche sul territorio lituano, in quanto questo è porta di accesso alla U.R.S.S.

Tuttavia questi circoli politici pensano che accordo russo-francese e fatto stesso della sua firma prima della visita Lavai a Varsavia significano un punto fermo di cristallizzazione della situazione orientale.

Esso renderà più rischioso doppio giuoco polacco. Si pensa che Lituania logicamente dovrà essere più prudente nello svolgimento sua manovra polacca

abbozzata in questi giorni per tentare una collaborazione polacca contro violenze tedesche a Memel, che Kaunas ritiene rese possibili da atteggiamento Potenze firmatarie.

Estonia e Lettonia dovranno pure tenersi più distanti da formule polacche per non provocare risentimenti U.R.S.S. Tutta questa situazione renderà più vuota di sostanza le decisioni Conferenza Baltica.

(l) -Con T. 2330/107 R. del 30 aprile 1935, ore 21,53, Attolico aveva informato che 11 pattofranco-sovietico sarebbe stato composto di tre atti: «1°. patto propriamente detto; 2°. protocollo di firma; 3°. lettera di accompagnamento». (2) -Con T. 1882/21 R. .del 6 aprUe 1935, ore 22,13, Amadori aveva comunicato la proposta russa alla Francia di un unico Patto Orientale di garanzia ed assistenza comprendente gli Stati Baltici.
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IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2409/62 R. Praga, 4 maggio 1935, ore 16,10 (per. ore 18,45).

In via strettamente confidenziale Benes ha manifestato a questo ministro Austria una sua nuova idea per sistemazione danubiana, consistente in una nuova intesa economica e, possibilmente, anche politica, fra Cecoslovacchia, Austria e Ungheria. Con essa dovrebbe essere dato modo ad Ungheria collaborare con Piccola Intesa, pur senza farne parte, e cioè pel tramite Cecoslovacchia.

Rendendosi però conto immaturità relazioni ceco-ungheresi, Benes penserebbe incominciare con intesa austro-cecoslovacca.

Marek ha subito comunicato quanto precede a Berger-Waldenegg perché ne fosse informato prima di partire per Venezia. Benes gli ha pure detto che di tale progetto ancora del tutto vago apprestavasi informare ministro d'Italia desiderando che intesa suddetta abbia benestare e patrocinio dell'Italia cui dovrebbe fare capo come Potenza cui spetta in primo luogo armonizzare relazioni fra tutti gli Stati Danubiani.

Nel suo progetto Benes ha aggiunto pensare anche a possibilità che Cecoslovacchia assicuri collegamento Austria ed Ungheria anche con Stati Baltici sempre nell'intento realizzare con una rete di intese regionali sicurezza europea.

Comunicazioni mio collega austriaco hanno carattere confidenziale.

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IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2416-2419/50-51 R. Sofia, 4 maggio 1935, ore 21,30 (per. ore 0,50 del 5).

Telegramma di V. E. n. 30 (1).

Ministro degli Affari Esteri mi ha consegnato oggi appunto strettamente confidenziale, in cui viene esposto pensiero Stato Maggiore bulgaro circa questione riarmo aperta Conferenza Stresa, che riassumo brevemente:

l) abrogazione tutte clausole militari Trattato di Neuilly (parte quarta, articoli 64-104);

2) aumento forze militari bulgare· a un totale di 65 mila uomini (Guardie di Frontiera comprese) ripartite come segue: Fanteria 32 mila, Artiglieria 16 mila, Cavalleria 5 mila, Genio 5.400, Aviazione 2 mila; Commissariato 2 mila, Marina 1.200, Servizi diversi 1.100;

3) miglioramento materiale da guerra in modo esso non sia inferiore a quello degli eserciti degli Stati vicini; 4) creazione di un'Aviazione militare e di artiglieria antiaerea ed autorizzazione possedere carri d'assalto, e navi da guerra sul Mar Nero e Danubio; 5) riarmo dovrà effettuarsi da tre a cinque anni.

Ministro Affari Esteri mi ha quindi detto che Governo bulgaro sarebbe estremamente grato a V. E. se volesse per il mio tramite fargli conoscere come a suo avviso Bulgaria dovrebbe regolarsi se Stati Intesa Balcanica dovessero porre come condizione al riarmo l'entrata della Bulgaria nell'Intesa.

Governo bulgaro è molto perplesso di fronte a questa eventualità che teme e prevede e di fronte alla quale non ha preso finora alcuna decisione per quanto lui, Ministro Affari Esteri, sia già fermamente d'avviso che piuttosto che aderire all'Intesa Balcanica convenga alla Bulgaria rinunciare all'immediata possibilità di un diritto alla libertà di riarmarsi, e che allo stato economico attuale sarebbe più teorico che pratico.

La Bulgaria potrebbe accettare di concludere con i vicini patti o trattati contenenti formule di «non aggressione» e di «sicurezza», ma non sottoscrivere il patto balcanico la cui essenza è la reciproca garanzia delle frontiere. Mentre formule di sicurezza e non aggressione lasciano sempre sussistere lo spirito dell'articolo 19 del Covenant, l'adesione all'Intesa Balcanica lo annullerebbe per sempre (1).

Mi permetto di richiamare attenzione di V. E. sul mio telespresso n. 530 spedito con corriere odierno (2).

(l) Vedi D. 37.

141

IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4259/51 P. R. Tirana, 4 maggio 1935, ore 21,50 (per. ore 0,50 del 5).

Telegramma di V. E. n. 52 (3).

Progetto militare di cui mio rapporto 16 febbraio u.s., riassunto nella relazione annessa al telespresso di V. E. n. 151 (4), è stato conclusamente illustrato nei criteri generali e nei dettagli tecnici a Re Zog da questo addetto militare, colonnello D'Antoni, me presente, nell'udienza del 3 aprile u.s.

Come lo stesso addetto militare ha riferito in tale occasione al Ministero della Guerra, il Sovrano non ha sollevato obbiezioni né chiesto modifiche, dichiarandosi disposto ripristino Dipartimento militare.

Non si è parlato della fusione della gendarmeria con l'Esercito e del conseguente allontanamento ufficiali inglesi per ragioni di nostre convenienze politiche prospettate nella relazione sopra citata.

È stato poi lasciato al Re di esaminare e fare proposte per soluzione pratica della questione concernente modalità erogazione nostro aiuto destinato Ufficiali, nell'intento assicurarne controllo e nello stesso tempo evitarne confusione con bilancio ordinario.

Argomento non facile verrà opportunamente affrontato in sede realizzazione pratica progetto.

(l) -Per la risposta di Musso!ini vedi D. 183. (2) -Non rinvenuto. (3) -Vedi D. 131. (4) -Vedi D. 90, nota 3.
142

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A TIRANA, INDELLI

T. s. 806/53 R. Roma, 4 maggio 1935, ore 24.

Telegramma V. S. n. 48 (l).

Autorizzo la S. V. a concedere l'anticipo di 200 mila franchi oro r~chiestoLe da Re Zog prelevando la somma dai fondi disponibili presso la Banca Nazionale d'Albania e convengo nell'opportunità che essa venga per le ragioni da Lei indicate versata personalmente al Re.

Giudicherà la S. V. se, ai fini dell'opera da Lei svolta sinora per avviare una soddisfacente sistemazione dei rapporti italo-albanesi, non ·convenga, invece di inquadrare, come Ella suggerisce, sia l'attuale anticipo che tutto il milione promesso a titolo di aiuto per l'emigrazione mussulmana di Kossovo, mantenere a queste nostre erogazioni il carattere di un dono grazioso.

143

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2433/028 R. Belgrado, 4 maggio 1935 (per. il 6).

È venuto oggi a vedermi questo Ministro di Albania signor Fitso che già da vari giorni sollecitava da me un colloquio. Scopo della visita era di chiedermi se io ritenessi «che nell'eventualità di un rimaneggiamento dell'Intesa Balcanica, sotto l'egida dell'Italia e con la probabile annessione della Bulgaria, l'Albania sarebbe stata invitata a parteciparvi ».

Gli ho risposto che non avevo elementi per esprimere un parere -anche puramente personale -perché mi riusciva nuova la premessa, cioè l'eventualità di un rimaneggiamento dell'Intesa Balcanica nel senso da lui prospettato.

Il signor Fitso, insistendo nel suo concetto ha tenuto a dimostrarmi che l'Albania, malgrado la sua modesta importanza, dovrebbe partecipare a un sistema balcanico di sicurezza a maggior titolo che la Romania, la quale è al nord del Danubio, la Grecia, che è prevalentemente mediterranea, e la stessa Turchia che è soltanto in minima parte europea. La partecipazione dell'Albania, stante la sua posizione geografica, risponderebbe a un interesse generale, e faciliterebbe particolarmente la soluzione della questione albanese agli effetti del riavvicinamento italo-jugoslavo, senza pregiudizio degli impegni albanesi verso l'Italia.

Il signor Fitso ha concluso pregandomi, se ne avessi avuto l'occasione, di spendere una parola per fare nota all'E. V. questa aspirazione dell'Albania. Ha aggiunto che parlava a titolo personale, ma le sue insistenze per riuscire a piazzare questo discorso, e lo sviluppo che egli ha dato all'argomento, mi lasciano supporre che non si tratti di una semplice iniziativa sua.

Presumo, poi, che questa specie di démarche del signor Fitso trovi origine e spiegazione in discorsi a lui fatti dal signor Tewfik Rustu, col quale è in rapporti di amicizia e che egli ha visto in occasione del di lui passaggio per Belgrado. Il Ministro degli Esteri di Turchia deve infatti avergli parlato (come ha parlato a Jeftic, ed anche a me) delle sue conversazioni con S. E. Galli e del punto di vista suo proprio nel senso di una vasta combinazione ItaliaIntesa Balcanica presa in blocco. Il signor Fitso ne ha certamente riferito al suo Governo, e può essersi così maturata l'idea dell'eventuale partecipazione albanese, circa la quale si è forse pensato di fare -per intanto -un assaggio attraverso l'odierno colloquio con me.

(l) Vedi D. 110.

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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON I MINISTRI DEGLI ESTERI AUSTRIACO, BERGER-WALDENEGG, E UNGHERESE, KANYA

VERBALE. Venezia, 4 maggio 1935.

Espongo il carattere preparatorio dell'odierna riunione e il nostro desiderio che la conferenza non si riunisca se non quando tutti i problemi saranno messi a punto.

Kanya espone il punto di vista ungherese. Per dare l'impressione esatta dello spirito che regna in Ungheria, egli deve comunicare che le istruzioni che aveva avute dal Gabinetto erano le seguenti: regolare la questione della revisione, la questione delle minoranze e la questione della parità dei diritti. Egli ha risposto che non poteva accettare tali istruzioni, non volendo fare ricadere sull'Ungheria l'odiosità di avere mandato a monte la conferenza. Tuttavia egli non può non tenere il massimo conto dello stato d'animo dell'Ungheria nei riguardi del progettato patto di Roma. Egli prospetta il punto di vista ungherese nei seguenti termini:

l) liquidazione preventiva dell'incidente ungaro-jugoslavo. A tale proposito egli deve dichiarare che l'Ungheria non è disposta a prendere altre sanzioni contro suoi funzionari. Sarebbe disposta eventualmente a fare una dichiarazione tranquillizzante per l'avvenire, purché altrettanto faccia la Jugoslavia;

2) riconoscimento della Gleichberechtigung prima della firma dell'accordo;

3) salvaguardia dei diritti che oggi ha l'Ungheria (propaganda pacifica, diritti delle minoranze, diritto di intervento a Ginevra contro gli abusi che toccano il diritto ungherese -articolo 19 -, droit de régard, ecc.);

4) nessuna assistenza che obblighi l'Ungheria a intervenire colle armi; quindi niente sanzioni.

Riguardo a quest'ultimo punto Kanya osserva che l'Ungheria non è pronta per una guerra. D'altra parte in Ungheria si crede poco alla necessità delle sanzioni. Se si ammette il principio che si possa non mantenere l'impegno preso, si può ammettere anche il principio che non si mantenga l'impegno di intervenire con le sanzioni.

L'Ungheria tiene anche a che nel patto sia ripetuta la frase «par la force » contenuta nel processo verbale. In complesso, l'Ungheria ammette la non ingerenza, la non aggressione, potreb!Je ammettere anche la consultazione, non ammette la mutua assistenza.

Il Ministro Berger espone il punto di vista dell'Austria. L'Austria si attiene alla tesi del processo verbale del 7 gennaio. Non si può fare un passo indietro; se mai bisogna farne uno in avanti, altrimenti la situazione dell'Austria ne uscirebbe indebolita.

Per la Gleichberechtigung condivide il punto di vista ungherese: non si possono accettare condizioni, né controlli. Egli si richiama alla dichiarazione dell'll dicembre 1932. Si metteva allora come condizione per l'effettiva Gleichberechtigung la «sécurité ». La «sécurité » è l'adesione dei due Paesi -Austria e Ungheria -al sistema di pace per l'Europa. Ciò avviene coll'adesione al patto di non ingerenza e quindi la Gleichberechtigung interviene automaticamente. Non vede le ragioni delle preoccupazioni ungheresi riguardo ad una eventuale menomazione dei diritti oggi esistenti. Il patto vuole evitare l'ingerenza colla forza o l'ingerenza con dei mezzi illegali, non certo una ingerenza legalizzata da trattati esistenti.

Per le minoranze l'Austria non ha un proprio punto di vista. È disposta a sostenere la tesi dei suoi amici. Il patto può contenere quattro elementi: aggressione, ingerenza, consultazione, mutua assistenza.

La non aggressione si deve intendere già contenuta nella non ingerenza che va nella tutela dei diritti un po' più in là. Il Ministro Berger deve insistere per la mutua assistenza perché un patto senza sanzioni è esautorato. L'Austria ha bisogno di sentire in pieno questa tutela.

Io constato che ci sono molti punti sui quali la tesi dei due Paesi sono in accordo. Bisogna però rendersi conto della realtà e di certe difficoltà insopprimibili. Il patto deve arrivare a una conclusione perché altrimenti la posizione dell'Austria ne uscirebbe nettamente indebolita. Per arrivare a tale conclusione bisogna tener conto anche delle opposizioni a quelle che sono le nostre tesi, siano pure fondate e legittime. Naturalmente nessuno chiede di andare oltre a quelli che sono gli interessi vitali del Paese. L'Italia non ha bisogno di ripetere quanto si preoccupi di sostenere tali interessi per quanto riguarda l'Austria e l'Ungheria.

La questione dell'incidente ungaro-jugoslavo probabilmente sarà liquidata a tempo. Non la discutiamo ora. Abbiamo dato e daremo tutto l'appoggio all'Ungheria.

Per quanto riguarda la Gleichberechtigung non bisogna immaginarsi che la cosa possa andare così liscia. Abbiamo avuto, a proposito delle deliberazioni di Stresa, una prova di quella che è la resistenza su questo punto da parte della Piccola Intesa. D'altra parte bisogna ricordare che noi alla Germania abbiamo offerto sempre un riarmo graduale e controllato. Non vedo facile superare tale punto anche per quanto riguarda l'Austria e l'Ungheria. Prospetto la possibilità che in occasione del patto si riconosca il diritto incondizionatamente, salvo a concordarne poi l'esecuzione mediante una convenzione.

Berger pare abbastanza propenso a questa idea ma Kanya la ritiene inaccettabile.

Venendo alle preoccupazioni dell'Ungheria che possano essere menomati i diritti esistenti, dico che ciò non mi pare possa costituire una difficoltà. Se la salvaguardia di tali diritti non è già sottintesa, potremo facilmente trovare una formula per riaffermarla.

Riguardo il contenuto del patto, mi pare inutile discutere della non ingerenza e della non aggressione perché sono accettate da tutti. La consultazione ha certi vantaggi perché è bene accetta dalla Polonia e forse anche dalla Gran Bretagna. Quindi la consultazione andrebbe anche considerata. Essa potrebbe formare oggetto dei patti speciali con libertà per ciascun partecipante di scegliere i Paesi coi quali vuole consultarsi.

Per quanto riguarda la mutua assistenza non mi nascondo la fondatezza delle ragioni portate dal Ministro Berger. La mutua assistenza, come corollario del patto di non ingerenza, sia pure contenuta in accordi bilaterali ha però l'inconveniente che porterà un notevole squilibrio nel sistema del patto: la Francia, ad esempio, potrà concedere la mutua assistenza su per giù a tutti i partecipanti. Noi non credo che potremmo fare altrettanto. Ad esempio, non vedo una mutua assistenza italo-cecoslovacca. L'Ungheria non la concederà -secondo quanto ha dichiarato il Ministro Kanya --a nessuno. Ad ogni modo io ritengo clìe la cosa dovrebbe essere regolata così da avere i patti bilaterali di mutua assistenza soltanto con l'Austria.

Berger a tale proposito dichiara che anche l'Austria non potrebbe concedere la mutua assistenza che a alcuni Stati: non alla Cecoslovacchia, non alla Polonia, non alla Romania. Lo farebbe volentieri coll'Italia, con la Jugoslavia e con l'Ungheria.

Kanya, rettificando quanto ha detto prima, afferma che se la Jugoslavia aderisse alla mutua assistenza coll'Austria, egli non esclude di poter fare altrettanto.

Informo i due Ministri dell'interesse che noi vediamo in questo momento a curare la Jugoslavia, e della possibilità di un mio incontro con Jeftic. Tanto Kanya quanto Berger ritengono la cosa opportuna.

Ritornando sulla questione del patto, metto in rilievo la situazione pratica che noi vorremmo far risultare da queste varie combinazioni. Vorremmo poter ottenere che in caso di un necessario per quanto deprecato nostro intervento in Austria, non ci fosse un contemporaneo intervento della Jugoslavia e della Cecoslovacchia. Avverto però che non mi pare facile ottenere tale risultato. Certamente oggi noi siamo al punto che se dovessimo intervenire, tanto la · Jugoslavia che la Cecoslovacchia interverrebbero senz'altro, con l'aggravante che potremmo trovarcele contro.

Il Ministro Kanya osserva che in una tale situazione l'Ungheria si troYerebbe nel massimo imbarazzo.

Afferma infine che se anche si omettesse dal patto la mutua assistenza, non perciò noi intenderemmo rinunciare all'azione di forza in casi di attentati contro l'Austria. Soltanto che allora sceglieremmo un sistema al di fuori del patto stesso e forse più corrispondente alle circostanze.

Si rimette su tutti questi punti il proseguimento della discussione a domani e si sottoporranno dei precisi quesiti ai rappresentanti dei ministeri che sono convenuti qui a Venezia (l).

145

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI AUSTRIACO, BERGER-WALDENEGG

APPUNTO. Venezia, 4 maggio 1935.

Berger mi riferisce che il Ministro d'Austria a Praga ha avuto una lunga conversazione con Benes.

Il Ministro degli Esteri cecoslovacco gli lla parlato della possibilità di un accordo austro-cecoslovacco a cui egli spera che in seguito possa aderire anche l'Ungheria. L'Austria diverrebbe in tal modo un punto di congiunzione dei due sistemi: quello del patto di Roma e quello del patto della Piccola Intesa.

Benes ha detto al Ministro d'Austria a Praga che lo intratterrà anche sull'argomento. Il Ministro d'Austria a Praga chiede se debba in questo colloquio stare a sentire soltanto per riferire o se possa entrare nel merito della questione.

Berger darà istruzioni al Ministro a Praga di dire che la cosa interessa molto l'Austria e elle ci si riserva di ritornare sull'argomento. Sarebbe difatti intenzione di Berger di incontrarsi con Benes fuori di Praga per cercare di vincere le difficoltà che possono venire da quella parte. Chiede quale sia la nostra opinione.

Gli rispondo che da parte nostra, come si è già comunicato, non ci sareb· bero delle difficoltà. Anche noi pensiamo di avvicinare separatamente la Jugoslavia.

(l) Vedi D. 150. Il presente documento reca il visto di Mussollnl.

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CONVERSAZIONI DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON I MINISTRI DEGLI ESTERI AUSTRIACO, BERGER-WALDENEGG, E UNGHERESE, KANYA

APPUNTI (l). Venezia, 5 maggio 1935.

L

Nelle conversazioni a tre, Berger ha risollevato la questione di un suo eventuale incontro con Benes.

Si è rimasti d'accordo che l'Austria avrebbe un contatto con la Cecoslovacchia e noi con la Jugoslavia, lasciando per ora da parte Titulescu che è il più inferocito.

Anche Kanya trova opportuni questi contatti.

11

Kanya è di opinione che con la Jugoslavia ci sia poco da fare. Anche recentemente il Ministro di Jugoslavia a Vienna gli ha detto che nel suo paese non ci si fida degli italiani; si crede che gli italiani facciano una manovra, ma non si pensa che abbiano intenzioni serie di procedere ad un accordo sostanziale con la Jugoslavia. Secondo Kanya la Jugoslavia attacca la politica di Goering, quella cioè di avvicinare la Germania ai Paesi della Piccola Intesa. Come è noto, Goering qualche tempo fa si è espresso col Re di Romania in modo molto antipatico per le aspirazioni romene. Kanya ne ha parlato alla prima occasione a Neurath il quale ha detto che Goering era un pazzo che non sapeva quello che faceva.

Rispondo a Kanya che le nostre impressioni sono diverse: non che in Jugoslavia ci sia una grande tenerezza per noi, ma il Governo jugoslavo mette molto valore a un avvicina-mento con l'Italia. Anche la politica del Principe Paolo -a differenza di quella di Re Alessandro -nell'ultima fase, tende a far entrare la Jugoslavia in un sistema Italia-Francia. C'è una certa ammirazione in alcuni circoli jugoslavi, specialmente militari, per la Germania, ma negli ambienti più responsabili si paventa una espansione della Germania nei Balcani che sopraffarebbe i piccoli Stati e tenderebbe all'Adriatico, probabilmente a spese della Jugoslavia dato che 'l'Italia offrirebbe una resistenza insuperabile. Quindi vale la pena di occuparci ora un .po' della Jugoslavia.

Berger è della stessa mia opinione.

111

Il. Signor Kanay chiede se si sarebbe d'accordo di riunire in maggio a Budapest i capi degli Stati Maggiori dei tre Paesi, naturalmente in forma segretissima.

quelle del 6 maggio (vedi D. 150) ci sono quattro distinti appunti che si pubblicano d'i seguito.

Gli osservo che il segreto non sarebbe certamente mantenuto ·e nel momento attuale questo incontro potrebbe dar luogo a commenti malevoli, aumentare diffidenze e rendere ancora più difficile la conclusione del patto per l'Austria.

È mia opinione che tale incontro non possa aver luogo prima della conclusione del patto di non ingerenza. Berger è d'accordo con le mie osservazioni e anche Kanya vi aderisce.

IV.

Il Signor Kanya deve intrattenerci anche sulle questioni economiche.

Gli accordi economici tra Italia, Austria e Ungheria non sono riusciti in modo troppo favorevole per questi ultimi Paesi. La bilancia commerciale si è rovesciata a danno dell'Ungheria. Oggi ci sono in Ungheria 80 milioni di lire di crediti italiani congelati e 10 milioni di scellini di crediti austriaci congelati.

Il Ministro Kanya chiede che si voglia trovare la maniera di aumentare le importazioni negli altri due Paesi dall'Ungheria, in modo da liquidare questi crediti congelati.

Si osserva all'Ungheria che questo cattivo andamento della bilancia per l'Ungheria è dipeso dal fatto che essa ha avuto un cattivo raccolto di grano. Ad ogni modo si darà il massimo peso al desiderio della Ungheria cercando di riequilibrare la bilancia commerciale.

(l) Sulle conversazioni tripartite svoltesi il 5 maggio, oltre al verbale cumulativo con

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IL MINISTRO A RIGA, MAMELI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4324/29 P. R. Riga, 6 maggio 1935, ore 20,45 (per. ore 23,40).

Ho fatto Capo del Governo Lettonia comunicazione ordinatami da V. E. con telegramma n. 13 (1).

Signor Ulmanis mi ha pregato esprimere V. E. sua profonda gratitudine per graditissimo messaggio in cui vedeva nuova prova interessamento V. E. Lettonia e comprensione sforzi ed aspirazioni suo Governo. Ha rilevato che personalmente tanto egli stesso che popolo Iettane seguono e ammirano opera Duce in tutti i campi e particolarmente in grande contributo causa pace. Ha affermato che tali amichevoli relazioni .e tale reciproca comprensione sono per lui causa soddisfazione più sincera.

Diffusione data nostra stampa discorso Ulmanis è stata qui grandemente

apprezzata.

(l) Vedi D. 132.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. PER CORRIERE 2458/0124 R. Berlino, 6 maggio 1935 (per. l'B).

Mi risulta che il Generale Goering e la sua consorte contano intraprendere verso H 18 o il 20 corrente il progettato viaggio di nozze nella regione sudorientale d'Europa. Da quanto ho appreso in via confidenziale, il Presidente del Consiglio di Prussia conta di visitare la costa della Dalmazia, facendo peraltro, nel recarvisi, una sosta a Budapest, per vedere il Generale Gombos ed impedire -secondo una sua frase -«ch'egli si lasci eccessivamente influenzare da Mussolini :~>.

Questo viaggio in Ungheria e Jugoslavia ha uno scopo evidente: quello di staccare l'Ungheria dall'Italia e di impedire alla Jugoslavia di avvicinarsi a noi.

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IL MINISTRO A KAUNAS, AMADORI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2476/43 R. Kaunas, 6 maggio 1935 (per. il 9).

Questo Ministro Affari Esteri ha pronunziato il discorso d'apertura della Conferenza Baltica che ha tenuto oggi la sua prima seduta.

In questo discorso il signor Lozoraitis ha ·esposto la tesi-base della azione lituana nella conferenza, e la stessa tesi è ripresa e sviluppata dai giornali lituani odierni.

Il signor Lozoraitis ha diehiarato: «In questo momento la preoccupazione più seria delle Nazioni e dei Governi è di mantenere la pace e rinforzare la sicurezza.

Da tale preoccupazione permanente sono sorti diversi progetti, per i quali noi alcune volte abbiamo avuto uno sc.~mbio reciproco di idee e i quali senza dubbio oggi fanno uno dei principali oggetti della Conferenza.

Lo spirito di fiducia e di solidarietà tra noi sorge da questo fatto principale che la sicurezza di ciascuno di noi tre è intimamente legata colla sicurezza degli altri due.

Mi pare si possa affermare che tra i nostri tre Stati dovrebbe esistere la solidarietà degli interessi anche davanti alle odierne difficoltà che però danno elementi di pericolo a qualcheduno di noi tre.

Mi sarebbe difficile guardare la situazione in modo che quando uno dei nostri tre Stati fosse entrato in difficoltà di simile specie, gli altri due rimarrebbero indifferenti alle preoccupazioni riguardanti la sicurezza di tutto il

Baltico:~>.

La Lituania intende dunque alla Conferenza affermare una solidarietà assolua dei tre Paesi baltici nella difesa e nella pace.

Ma è appunto questa tesi che non è condivisa da Lettonia ed Estonia. Vi è in realtà tra queste due e Lituania una diversità sostanziale di interessi ed una conseguente diversità di metodo.

La Lituania ha due rivendicazioni territoriali: Wilno e Memel, le quali fino a che non saranno sistemate coi vicini mettono in pericolo immediato l'integrità dello Stato lituano. Estonia e Lettonia, che hanno confini stabilizzati e non contestati dai vicini, si considerano . oggi lontane da pericoli di violenze. Per la Lituania il pericolo c'è oggi, per Riga e Tallinn deve concretizzarsi.

Ciò porta anche ad una diversità di metodo. Kaunas per le sue rivendicazioni attive si orienta verso una collaborazione con l'U.R.S.S. contro la Germania e Polonia..Riga e Tallinn invece per la loro pace e la .loro sicurezza intendono svolgere una politica assolutamente equidistante da Berlino, Varsavia, Mosca, tanto più che ognuna di queste Grandi Potenze può essere un pericolo ed un aiuto per la Lettonia ed Estonia secondo le circostanze. E più ancora preferirebbero sistemi generali europei di sicurezza dentro la sfera della Lega Nazioni.

Pertanto è da prevedersi che ben difficilmente la diplomazia lituana riuscirà a far solidarizzare totalmente e senza limitazioni gli altri due Stati all'integrità lituana, compreso Memel.

La Conferenza dovrà trovare ancora una formula generica di solidarietà morale baltica, che non rappresenterà nessun impegno politico dei tre Stati verso le terze Potenze.

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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON I MINISTRI DEGLI ESTERI AUSTRIACO, BERGER-WALDENEGG, E UNGHERESE, KANYA

VERBALE. Venezia, 5-6 maggio 1935.

Negli ulteriori colloqui si sono esaminati pm a fondo e nei dettagli, anche con l'aiuto degli esperti che hanno redatto l'allegata memoria (1), i punti che presentano le maggiori difficoltà di soluzione.

Per quanto riguarda il riarmo, ho insistito perchè si uscisse dalla posizione intransigente presa in un primo momento. Dopo lunghe discussioni, si è convenuto sullo schema unito (2) che potrebbe rappresentare un tentativo di venire incontro alle nazioni che si oppongono ad un riarmo puro e semplice. L'Ungheria si riserva su questo punto il proprio benestare.

Riguardo al contenuto del Patto si ritiene conveniente di includere nel patto generale una clausola semplice di consultazione (3) e ciò perché tale clausola da un lato completa meglio il patto e dall'altra dà la possibilità a una partecipazione sia pure in forma platonica della Gran Bretagna. Pare

anche che la Polonia voglia una clausola di consultazione semplice. Viceversa è stato rinviato agli accordi particolari, per i quali pure bisognerà trovare qualche soluzione in vista della conferenza di Roma, di specificare meglio tale consultazione in vista delle misure da prendere. Questa dizione «in vista delle misure da prendere», mentre da un lato non impegna eccessivamente nessuno, d'altro lato lascia a chi vuole assumere degli obblighi maggiori la possibilità di qualunque soluzione( mediazione, ricorso a Ginevra, intervento armato, ecc.). Data tale possibilità è stato stabilito anche che i detti accordi particolari potranno essere completati coll'assunzione di obblighi del genere. Tutto ciò però facoltativo e con la intesa che i relativi accordi saranno portati a conoscenza di tutti i partecipanti al Patto generale. Rimane inteso che ~e discussioni di Ginevra non possono avere un valore né assoluto né definitivo in quanto che esse costituiscono una base per trattare negli altri Paesi interessati.

Il Ministro Kanya fa però presente che, rappresentando questa conclusione circa il massimo delle concessioni che può fare l'Ungheria, sarà bene non mettere subito tutte le carte in tavola.

Il Ministro Kanya, interpellato, risponde che l'Ungheria potrebbe accettare l'invito per la conferenza, che gli fosse rivolto sotto riserva che prima della riunione della conferenza sia liquidato l'incidente ungaro-jugoslavo.

Si rimane anche di intesa che sulla base delle conclusioni di Venezia si preparerà la redazione di un progetto di Patto che potrà servire per base della discussione (l).

ALLEGATO I

PROGETTO PREPARATO DAI MINISTRI

Il est entendu que le pacte à conclure à la Conférence de Rome prendra comme base le procès verbal ,italo-fmnçais du 7 Janvier et restera pmtiquement dans les 1imites fixés dans ce méme procès verbal.

I. Egalité des droits.

a) A la question qui nous a été posée, si la pasition de l'Allemagne était ou non, au point de vue juridique, la méme que celle des ,autres Etats désarmés par traité, nous répondons afHrmativement. A notre avis aucune différence n'existe entre les différents Etats désarmés. A l'appui de cette thèse, nous citons la Déclaration du 11 Décembre 1932 qui met sur le méme died tous ces Etats, sans aucune distinction.

b) Toutefois nous pensons qu'au point de vue pratique, il est à prévoir que les Etats de la Petite Entente marqueront leur volonté d'avoir une voix prépondérante dans le règlement du réarmement de l'Autriche, de la Hongrie et de la Bulgarie. A cet égard on a eu déjà des indications très claires, notamment à l'occasion de la Conférence de Stresa. Par conséquent les deux aspects du problème du réarmement:

réarmement par étapes ou réarmement immédiat,

connection entre le réarmement et la sécurité, seront siìrement exploités pa,r la Petite Entente afin de rétarder et de rendre plus difficile la solution de ce problème.

c) Quant à la question des «étapes », il est à remarquer que si l'égalité des droits ne peut étre conçue que camme un principe ne comportant ni restriction, ni rétard, son application pratique '1i!U cas particulier du réarmement, ne pomra pas étre réalisée que dans un certain temps. Le cas écheant, on pourrait par conséquent constater cette circonstance de fait.

d) Quant à la sécurité, il a été observé que les accords qui devront sortir de la prochaine Conférence de Rome, devraàent par eux memes fournir à la Petite Entente la sécurité demandée. Aux objections que la Petite Entente pourrait avancer sur l'insuffisance de cette sécurité, on pourrait répondre que !es Etats désarmés par traité ont de leur céìté pleinement droit de demander eux aussi aux Etats de la Petite Entente des gar·anties de sécurité. Tout de meme il f111ut s'attendre sur cette question, de la part de la Petite Entente, des requetes IIISSez étendues quiront de beaucoup au delà des accords envisagés.

L'attitude de l'Allemagne vis-à-vis des Grandes PuisSances à l'égard de la question de son réarmement est destinée, à notre avis, à avoir une très grande ~nfluence sur le développement ultérieur du réarmement de l'Autriche, de la Hongrie et de la Bulgarie. Si l'Allemagne devait entrer dans la voie des négociations et si les Grandes Puissances lui feront dans ce cas, comme il est très probable, de larges concessions, légalisant pratiquement ses revendications quant à son statut militaire, cette circonstance serait certainement destinée à avoir des répercussions favorables sur le développement du problème du réarmement des autres Etats désarmés.

II. « Droit acquis ».

Nous ne pensons pas qu'il devrait y avoir des difficultés insurmontables pour faire accepter à la Petite Entente une formule réaffirmant les droits que l'Autriche, la Hongrie et la Bulgarie détiennent actuellement à l'égard des mino11ités et de la révision légale (art. 19). Cette réaffirmation pourrait trouver piace soit dans le préambule soit dans un article du pacte à conclure (V. annexe n. 1).

III. Object du pacte.

a) Défdnition de la non ingérence. Du céìté hongrois on insiste pour que l'expression « par la force» contenue dans le procès verbal italo-français du 7 Janvier, so-it maintenue dans la définition de la non ingérence. Une formule est à l'étude (annexe n. 2). Nous sommes d'accord que plutòt qu'une énumération des cas de non ingérence, il est préférable d'avoir recours à une formule rédigée en termes généraux.

b) Consultation. Nous sommes d'accord qu'ayant égaro à la position prise par l' Allemagne à Stresa à propos de tout engagement relatif à l'assistance, la consultation pourra faire partie du pacte général seulement dans le cas qu'elle ne dépasse par !es limites d'une consultation pure et simple sans aucune tidée d'assistance. Contre l',inclusion de pareille formule de consultation, on a considéré qu'elle pourrait donner la possibilité à tout Etat signataire du Pacte d'abuser de la consultation. On a cité l'exemple de l'envoi du céìté par ex. de l'Italie à la Hongrie d'un avion militaire, tout autant que le réarmement hongrois n'a pas été décidé. On a cité aussi le cas d'une consultation provoquée à la suite d'honne.urs rendus à un Archiduc. Mais d'autre part on a aussi considéré que, ou bien H s'agit de questions qui sont vraiment importantes, et alors la consultation reste toujours ouverte à n'importe quel Etat, meme si elle n'est pas incluse dans le pacte, le Covenant assurant déjà cette possibilité d'autant plus qu'on a pris l'habitude d'y recourir assez facilement et fréquemment. Ou bien H s'agit de cas d'importance sécondaire, et alors, 1a consultation n'aura p:as de conséquences, ou tout au plus elle prendra le caractère d'une conciliation. Nous sommes par conséquent favorables à l'introduction dans le pacte d'une clause de consultation. Un point important à retenir à ce propos c'est que une telle clause pourrait permettre l'adhésion de l'Angleterre et de la Pologne à la consultation, probablement quant à l' Angleterre, per le moyen d'un instrument séparé. Nous pensons finalemen.t que pour discipliner la consultation on pourrait éventuellement tomber d'accord qu'elle n'aurait lieu que sur requete adressée soit à l'Italie, comme Grande Puissance principalement intéressée à la question danubienne, soit à l'Italie et à la France et éventuellement à l'Allemagne.

c) « Aide et assistance ». Il est entendu que l'« aide et assistance » formeront l'object d'accords particuliers, et qu'on n'en parlera pas dans le pacte général, qui ne contiendra non plus une clause de renvoi de cette question à des pactes spécia.ux, et cela, à part toute autre considération, et comme nous l'avons déjà remarqué, pour tenir compte de la position prise par l'Allemagne vis-à-vis des pactes d'aide et d'assistance. Nous pensons aussli que l'étendue et la nature de cette « assistance » ne sont pas à fixer par le moyen d'un traité tjpe, mais plutòt par la conclusion de différents pactes séparés parmi ceux des Etats signataires du pacte général de non ingérence etc. qui sont disposés à prendre des engagements dans ce sens.

P. S. -Dans le préambule nous serions d'accord pour introduire un alinéa se référant aux principes et procédures de la S.d.N. et que cet alinéa parle de « tous les prinoipes et procédures ».

ANNEXE I CLAUSE RELATIVE A LA NON INGERENCE

Les Hautes Parties contractantes s'engagent à ne pas tolérer sur leur propre territoire et à ne susciter ni favoDiser où que ce soit une agitation quelconque, propagande ou tentative d'intervention directe ou indirecte qui aurait pour but d'attenter per la force à l'intégrité territoriale ou de transformer per la force le régime politique ou social d'un des Etats contractants, et, en tout cas, à ne pas s'immiscer dans leurs affaires intérieures respectives.

Ne sera considérée comme immixtion au sens de la présente Convention l'exercice d'un droit acquis par des engagements internationaux antérieurs.

ANNEXE II

Les dispositions de la présente Convention ne pourront etre interprétées comme portant atteinte à l'exercice des droits découlant du Pacte de la Société des Nations.

ALLEGATO II

PROGETTO DI CLAUSOLA DI CONSULTAZIONE

Dans le Pacte général on introduirait une clause concernant la consultation sans aucune spécification. Une autre c1ause dirait que les Etats signataires ont la faculté de conclure des accords bilateraux, qui seront portés à la connaissance de tous les Etats signataires du Pacte Général, ayant pour but de préciser l'objet de cette méme consultation et ses modalités en vue de mesures à prendre.

ALLEGATO III

SCHEMA PER IL RIARMO STATI DISARMATI

l) Comme conséquence du fonctionnement du système de sécurité, reconnaissance en principe du droit d'égalité. · 2) Arrangement à conclure dans un bref délai pour réaliser le principe de l'égalité.

3) Eventuellement les Etats désarmés seraient disposés à communiquer aux autres Puissances signataires leur programme pour le développement successif de leur réarmement.

4) Les Etats désarmés seraient disposés à accepter un contrale sur la base de la plus stricte réciprocité.

15 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. I

(l) -Vedi Allegato I (2) -Ved:i Allegato III. (3) -Vedi Allegato Il.

(l) Sul colloqui di Venezia suvlch redasse poi una relazione finale per MussoU.ni: vedi D. 172.

151

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI AUSTRIACO, BERGER-WALDENEGG

APPUNTO. Venezia, 6 maggio 1935.

Chiedo al Ministro Berger qual'è la situazione interna dell'Austria.

Egli mi risponde che la situazione non è cattiva. Però la propaganda nazista è molto intensa e dispone di larghissimi mezzi. Si arriva fino a sovvenzionare i proprietari di tendenze naziste perché paghino il bestiame e i prodotti più cari facendo sapere che questo risponde al benessere di cui godono i contadini in Germania. Il momento è un pò delicato per la campagna elle i vecchi cristiano-sociali fanno contro le Heimwehren e il Cancelliere Schuschnigg. È una crisi che passerà ma per il momento non può non destare qualche preoccupazione. Quello elle interessa è di unificare le formazioni armate. Si è già sulla buona strada. Verrà prossimamente questo Gemeinsames Dach per tutte le milizie. Ne sarà a capo il Conte Thun che è un parente di Starhemberg. Sarà opportuno però che il Capo del Governo, se si incontrerà con Schuschnigg, gli faccia delle premure per arrivare al più presto a questa soluzione. Schuschnigg è bene orientato ma ha bisogno di incoraggiamento. Questa unificazione dovrà estendersi anche a tutte le istituzioni per la educazione della gioventù.

Chiedo al Ministro come si presenti il problema della coscrizione obbligatoria.

Mi risponde che la leva normale in Austria potrà dare circa 80 mila uomini. Di questi si potranno assumere annualmente nell'esercito circa 20 mila, scegliendoli tra quelli più fidati. In quattro o cinque anni si spera di avere un esercito, tenendo calcolo anche dei contingenti attuali di circa 110 mila uomini forniti del corrispondente materiale. La spesa si aggirerebbe intorno ai 450 milioni di scellini ripartita nel detto periodo.

Parlo al Ministro del pericolo determinato dal fatto che molti degli ufficiali giovani sono nazi.

Il Ministro mi risponde che il fenomeno esiste, ma non è così grave come lo si presenta. Ora viene fatta una grande propaganda in senso patriottico e le scuole di cadetti che si intende costituire daranno degli ufficiali fidati dal punto di vista austriaco. Egli calcola che in qualche mese l'esercito sarà veramente rinforzato. Potrà opporsi allora a qualunque tentativo della legione austriaca. Probabilmente lo potrebbe già fin d'ora.

A proposito di tale legione egli conferma le notizie, che abbiamo anche noi, che tale legione viene spostata e riformata ma che tuttavia in Baviera ci sono 20 mila legionari. Questi sono malcontenti e irrequieti e non sono ben visti neanche in Germania. Non è escluso che la Reichswehr li spinga a ritornare in Austria, anche in forma non pacifica. Se ima eventuale azione riesce, tanto di guadagnato. Se no, il governo germanico negherà qualunque propria responsabilità.

Faccio un accenno al Ministro Berger sulla questione dell'Alto Adige facendogli presente che il rapido dilagare del nazional-socialismo in quella regione ci ha messo nella impossibilità di fare quella politica di larghezza che era nell'animo del Capo del Governo.

Il Ministro Berger ha informazioni molto pessimiste al riguardo. Secondo queste, la proporzione di nazisti in Alto Adige varierebbe tra 1'80 e il 90 %. Molti di questi però non sono nazisti convinti ma sono trascinati dagli altri e sono sopratutto comperati dal danaro tedesco. C'è ancora la possibilità di ricuperare una parte della popolazione ma bisogna fare qualche cosa.

Il Ministro Berger è persuaso che se si facesse qualche agevolazione facendo sapere ben chiaramente che essa rientrerà nel quadro dell'amicizia italaaustriaca, un tale atteggiamento avrebbe un immediato e non disprezzabile effetto sull'animo della popolazione.

Il Cancelliere, che conosce bene la situazione dell'Alto Adige e che si trova in una situazione di grave imbarazzo per la campagna che a tale riguardo si fa contro il governo austriaco, è probabile che parli della cosa al Capo del Governo nel prossimo incontro.

Si viene a parlare della restaurazione.

Il Ministro mi dice che la gran massa popolare (operai e contadini) è per la restaurazione. Non che si tenda all'impero, ma si sente il bisogno di un Sovrano. Contrari alla restaurazione sono i nazi e alcuni circoli intellettuali.

Chiedo al Ministro se una restaurazione in questo momento non potrebbe tradursi in una grande delusione con la conseguenza di costituire una situazione peggiore dell'attuale.

Il Ministro Berger non lo crede. L'Austria è in un momento accensionale e la Monarchia potrebbe beneficiare dei miglioramenti che sono prevedibili nelle condizioni generali del popolo austriaco. Di restaurazione però nel momento attuale non si può parlare per l'opposizione accanita che viene fatta da parte della Piccola Intesa.

Il Ministro Berger sa che gli uomini politici francesi gli sarebbero favorevoli ma non hanno coraggio di prendere nettamente posizione. Chiedo al Ministro se in Austria si vedrebbe bene una unione più stretta con l'Ungheria. Mi risponde di no. Si vuole fare una politica di amicizia con l'Ungheria ma una unione sarebbe sommamente anti-popolare.

Per quanto riguarda i rapporti con la Germania, il Ministro Berger mi informa che von Papen è stato da lui poco tempo addietro e gli ha fatto le promesse più sperticate purché l'Austria si decidesse a fare un accordo con la. Germania prima del Patto di Roma. Tutte queste promesse però tenute in tono molto vago.

Il Ministro ha voluto fare qualche sondaggio per vedere in che modo tali promesse si potessero concordare e ha potuto capire che quello che vuole la Germania è la Gleichschaltung. Non si è potuto tirare però niente di più concreto nei riguardi delle suddette promesse.

152

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI UNGHERESE, KANYA

APPUNTO. Venezia, 6 maggio 1935.

Espongo al Ministro Kanya le idee del Capo del Governo relative all'attuale posizione nostra e dell'Austria nei riguardi della Germania.

L'Ungheria ha sempre cercato di favorire la costituzione e il mantenimento della zona Berlino-Roma che avrebbe dovuto passare attraverso Vienna e Budapest. Questa zona ora è stata abbandonata né si vede per il momento la possibilità di riprenderla. Quindi l'Ungheria deve mettersi nettamente di fronte alla situazione quale si presenta oggi. Il Capo del Governo ritiene che l'Ungheria non abbia nulla da guadagnare da una intesa colla Germania. Una Germania debole non potrebbe sostenere le ragioni ungheresi. Una Germania forte invece ne minerebbe la autonomia e forse la stessa indipendenza. Non bisogna dimenticare neanche l'azione che la Germania svolge attraverso le minoranze tedesche negli altri paesi. D'altra parte bisogna tener conto del doppio gioco che fa la Germania che, mentre da una parte accarezza l'Ungheria, dall'altra sta facendo una politica .a favore dei Paesi della Piccola Intesa.

Il Ministro Kanya si rende conto che una Germania troppo forte costituisce un pericolo per l'Ungheria.

Per quanto riguarda i Paesi della Piccola Intesa, la Germania fa una politica di avvicinamento verso la Romania e la Jugoslavia. Anzi Hitler ha detto a Kanya che non capisce perché l'Ungheria non faccia altrettanto. Dove sono d'accordo tra l'Ungheria e la Germania è sulla questione della Cecoslovacchia. Hitler recentemente si è espresso in termini molto drastici nei riguardi di questo Paese che egli ritiene dovrebbe addirittura scomparire dalla carta geografica.

Il Ministro Kanya ritiene che la Germania non abbia ragioni speciali per mettersi contro l'Ungheria. Solo in due casi egli crede che la Germania reagirebbe fortemente: l) se l'Ungheria aderisse a un sistema politico anti-germanico; 2) se in Ungheria si facesse la restaurazione. In tal caso il Ministro non dubita della possibilità di una intesa tra la Germania da una parte e la Jugoslavia e la Romania dall'altra, forse anche la Cecoslovacchia.

Chiedo al Ministro quale sia la posizione dei legittimisti in Ungheria e quale la prospettiva di una restaurazione. I legittimisti per ora sono stati battuti; ciò non vuoi dire però che nel Paese questa tendenza non sia forte; manca però di capi. Prospettive di successo per ora non ce ne sono. Tanto Horthy che Goemboes sono contrarissimi.

Chiedo al Ministro che cosa penserebbe l'Ungheria di una restaurazione in Austria. Noi per conto nostro riteniamo che anche a non voler favorire la restaurazione, essa sia tuttavia una carta che non bisogna gettar via perché a un dato momento può diventare necessaria.

Il Ministro Kanya mi risponde che il Governo farebbe quanto è possibile per impedirla.

Chiedo al Ministro se vede la possibilità di un avvicinamento maggiore tra l'Ungheria e l'Austria fino al punto di arrivare a una specie di unione e ciò anche senza restaurazione.

Il Ministro non lo crede possibile. Ritiene invece possibile un accordo di carattere militare molto stretto. Il Ministro Kanya ritiene che l'Ungheria debba perseguire la politica di amicizia con l'Austria e con l'Italia. Gli faccio presente che noi ora tendiamo a un ravvicinamento colla Jugoslavia e gli chiedo quale è il punto di vista dell'Ungheria a tale riguardo.

Il Ministro Kanya, che dubita della buona volontà della Jugoslavia a tale riguardo, afferma però che se ottenessimo tale avvicinamento, esso sarebbe un indubbio successo. L'Ungheria non solo non vede male tale possibilità, ma sarebbe forse anche disposta a partecipare a una intesa del genere.

Riferisco a Kanya le espressioni molto amichevoli che Benes ha avuto nei riguardi dell'Ungheria. Egli mi ha detto che la cosa gli è nota. Tra l'Ungheria e la Polonia intercedono i migliori rapporti.

Domando al Ministro come egli vede la situazione in Austria.

Kanya crede che se si riesce a mantenere la situazione austriaca ancora per dieci o quindici anni, probabilmente poi il pericolo di un Anschluss è evitato per sempre.

Nel momento attuale -secondo Kanya -il punto debole è costituito dall'esercito ove ci sono molti nazisti, specialmente tra i giovani ufficiali. È un punto sul quale conviene attirare la più seria attenzione del governo austriaco. Egli ritiene che l'esercito austriaco non marcerebbe contro la Germania (1).

153.

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, UMILTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA RR. 2659/282. Zagabria, 6 maggio 1935 (per. l'11).

In risposta al telegramma per corriere del 1° corrente, n. 3962 P.R. (2), ho l'onore di informare V. E. che circa l'atteggiamento del dottor Macek ho ampiamente riferito con mio telespresso del 25 aprile u.s. n. 2495/258 (3).

Da quella data, stante il febbrile lavorio nella imminenza delle elezioni, non ho più avuto contatti di qualche rilievo con questi esponenti della opposizione, tanto più che a quanto mi è stato assicurato, il dott. Macek sarebbe stato oggetto di vari tentativi di assassinio e perciò si sarebbe ritirato chi dice nella sua villa in campagna, chi dice presso questo Vescovo coadiutore, dott. Stepinac.

Anche attualmente la situazione è tale, che da venerdì sera 4 corrente, fino a tutt'oggi 6 maggio, ogni comunicazione telefonica è sospesa; la Polizia è virtualmente padrona della città in maniera che è impossibile vedere o parlare con qualcuno circa i risultati delle elezioni, sui quali circolano le voci più stravaganti. Si può solo dire che le comunicazioni della radio di Belgrado parlano della completa vittoria della lista Jeftié.

Credo che accorreranno diversi giorni perché si possa realmente sapere qualcosa di preciso a tale riguardo e non appena ciò sarà possibile, manderò dettagliate informazioni.

(l} Un appunto separato relativo a questo colloquio dice: «Parlando della forza militare della Piccola Intesa, il Ministro Kanya osserva che l'esercito romeno ha un buon elemento assoldato ma non ha né materiali né ufficialità. Per quanto riguarda l'esercito cecoslovacco pare che l'Ufficiale francese che è stato recentemente a fare una ispezione in Cecoslovacchia ha avuto la peggiore delle impressioni dello Stato Maggiore che è assolutamente inadeguato al suo compito. La Jugoslavia ha l'esercito più rispettabile».

Circa il giornale Novi Borac (Il Combattente) esso fu spedito a V. E. senza traduzione, il 12 aprile u.s. con telespresso n. 2225/217 (1), e siccome fu subito sequestrato, non nìi è per il momento possibile trovare altra copia.

Vengo tuttavia informato, e ciò a conferma di quanto ebbe già a riferire il Cancelliere Reggente di questo Consolato Generale con il rapporto predetto, che le frasi collaborazioniste del dott. Macek contenute in tale giornale, furono scritte nella speranza che il giornale non fosse sequestrato, ma che tali espressioni, mentre non riuscirono ad evitare il sequestro, furono poi una delle ragioni principali della ostilità dei frankiani contro il dott. Macek, riferite appunto con mio telespresso del 25 aprile u.s. n. 2425/258 (2).

154.

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, GEISSER CELESIA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2446/84 R. Madrid, 7 maggio 1935, ore 16,30 (per. ore 19,30).

Con telegramma Stefani speciale ho comunicato composizione nuovo Gabinetto e commenti stampa (l).

Come previsto in telegramma 82 (3), nuovo Ministero basasi su medesima coalizione partiti su cui fondavasi prima dell'ultima crisi ed è principalmente frutto intesa dei quattro leaders [dei] radicali, cattolico-popolari (C.E.D.A.), agrari e liberali-democratici: esso costituisce però effettivamente notevole affermazione (mio telegramma n. 79) (1), C.E.D.A., che ha aumentato a cinque numero suoi portafogli, e, particolarmente, Gil Robles, assumendo Ministro della Guerra e Vice Presidente del Consiglio.

Negli ambienti politici e giornalistici si ha impressione che da crisi, risolta contro vedute personali Presidente della Repubblica (mio rapporto n. 684) (1), blocco anzidetti partiti esce rafforzato, dando affidamento possibilità proficuo lavoro, per quanto non si nascondano suoi elementi deboli costituiti principalmente da convivenza partiti naturalmente dissenzienti, quali radicali e cattolici, e da fiera per quanto larvata ·ostilità Presidente della Repubblica.

155.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. PER CORRIERE 2503/0128 R. Berlino, 7 maggio 1935 (per. l'11).

Mio telegramma di ieri n. 134 (4). Essendomi recato ieri dal signor von Biilow per intrattenerlo di alcune questioni di minore importanza colsi l'occasione per manifestargli la mia ap

prensione per lo stato di continua eccitazione della stampa germanica, la quale commentava ogni avvenimento politico come se fosse diretto contro la Germania, dando cosi origine ad uno stato d'animo in tutto il Paese che non costituiva certo una premessa favorevole per la collaborazione del Reich con le altre Potenze. Ciò mi riusciva tanto più sgradito inquantoché, nel corso del recente breve mio soggiorno a Roma, avevo avuto occasione di constatare la serenità con cui si giudicava la situazione politica attuale e la speranza che tuttora si nutriva di vedere la Germania modificare il proprio atteggiamento e partecipare insieme agli altri Stati alla discussione dei problemi atti a garantire la pace dell'Europa.

' Il Segretario di Stato agli Esteri rispose che non si poteva pretendere dalla Germania che essa si rallegrasse della conclusione del patto franco-sovietico. Il protocollo che vi .era annesso non lasciava alcun dubbio che l'accordo era diretto contro la Germania.

Questo atto internazionale segnava del resto la condanna della Società delle Nazioni. Esso si basava infatti sull'art. 15, articolo che registrava l'impo

. tenza dell'Istituto ginevrino, e sull'art. 16, articolo che non aveva alcuna seria portata, dato che, contrariamente allo spirito il quale avrebbe dovuto guidare i membri della Società, taluni di essi avevano creduto di concludere Trattati di alleanza.

Ricordai al signor von Biilow che egli mi aveva a più riprese dichiarato che un Trattato di alleanza franco-sovietico avrebbe lasciato completamente indifferente la Germania. Ciò mi era parso logico dato che un simile trattato aveva potuto essere facilmente previsto sino dal giorno in cui la Germania aveva concluso l'intesa con la Polonia. Del resto la Germania sapeva che tale patto era in preparazione allorché, durante la Conferenza di Stresa, aveva consentito a ritirare le proprie obbiezioni contro la stipulazione di accordi bilaterali fra taluni degli eventuali firmatari del Patto Orientale.

Von Btilow replicò che evidentemente la Germania non credeva di essere presa così alla lettera. Era verissimo che egli mi aveva più volte detto che un'alleanza franco-sovietica avrebbe lasciato indifferente il Reich. Esso conosceva da antica data i metodi diplomatici della Francia che, pur essendo la figlia primogenita della Chiesa cattolica, non aveva esitato a stringere alleanze col Sultano e più tardi, in piena Repubblica democratica, si era alleata con l'Autocrate di tutte le Russie. Non si poteva pretendere però che quanto era avvenuto facesse piacere alla Germania, tanto più che l'accordo era redatto in modo da non lasciare dubbi circa quello che sarebbe stato l'eventuale comune nemico. Con ciò non bisognava prendere le cose in modo tragico, perché era certo al cento per cento che Hitler non avrebbe mai mosso guerra alla Francia. Egli riteneva che le probabilità che la Francia dal suo lato non attac

casse la Germania potevano calcolarsi al novanta per cento. Dal lato orientale il Reich non avrebbe mai attaccato l'U.R.S.S. e d'altronde non avrebbe avuto il modo di farlo non possedendo un confine comune. Se l'U.R.S.S. avesse voluto attaccare la Germania avrebbe prima dovuto passare sul territorio di altri Stati intermedi. Le ansietà tedesche derivavano dalla circostanza che negli ultimi quindici anni la Germania aveva subito quattro invasioni.

Mi permisi osservare che si trattava di sanzioni previste dal Trattato di pace e che, oggettivamente parlando, si doveva riconoscere che le «invasioni» menzionate non avevano causato gravi danni alla Germania, se essa si trovava oggidi in condizione tanto florida da potersi permettere spese ingentissime per riarmarsi.

Von BUlow aggiunse in tono ironico che in avvenire non vi sarebbero certamente mai più state guerre, ma soltanto « sanzioni » dirette contro i disturbatori della pace. Siccome le «sanzioni» formavano l'oggetto delle varie alleanze che sotto i nomi più speciosi si andavano formando da tutte le parti, la Nazione che riteneva di poter venir considerata come perturbatrice della pace, e quindi meritevole di sanzioni, non aveva tutti i torti nutrendo qualche preoccupazione.

Ritengo superfluo assicurare V. E. di avere replicato a von Blilow che nessuno Stato pensava a muovere guerra alla Germania, qualora essa avesse lasciato in pace i propri vicini, cosicché era fuori di luogo per i tedeschi di voler continuare ad atteggiarsi a vittime dell'altrui inimicizia. Gli ripetevo che un mutamento radicale di attitudine, vale a dire la dichiarazione sincera da parte della Germania di voler collaborare con gli altri Stati al ristabilimento della fiducia in Europa, sarebbe stato salutato da tutti con la massima soddisfazione.

Von BUlow osservò che non si poteva pretendere un simile atteggiamento della Germania quando le si facevano proposte inaccettabili come il Patto Orientale. Dopo una breve discussione al riguardo, durante la quale osservai che il Patto stesso, liberato dalla clausola generale ed obbligatoria della mutua assistenza, corrisponde attualmente alle idee manifestate dalla Germania, si venne a parlare dell'altro patto, di quello danubiano.

Von Billow era stato posto al corrente dal barone von Neurath di quanto gli avevo comunicato circa l'invito alla Germania per partecipare alla conferenza danubiana (1). Egli mi disse che, come sapevo, la Germania, pur facendo le debite riserve, aveva subito dimostrato di interessarsi al Patto danubiano. Essa si trovava ora di fronte ad un fatto nuovo: una conferenza, alla quale sarebbe stata chiamata a partecipare. Doveva esaminare questa situazione e, in base alle notizie che contava di ricevere ulteriormente, sperava che si potesse giungere ad un accordo soddisfacente per tutti.

La Germania era pure disposta a trattare, qualora le altre Potenze lo volessero, per concludere una convenzione circa gli armamenti. Il FUhrer lo aveva del resto comunicato agli Ambascìatori quando comunicò loro la decisione presa di ripristinare il servizio militare obbligatorio e di costituire un esercito di 550 mila uomini.

Non gli celai che l'aumento così grande dell'esercito tedesco era stato ovun

que considerato come un aggravamento se non un impedimento della possi

bilità di poter giungere ad una convenzione circa gli armamenti. La corsa agli

armamenti, che era stata la conseguenza della decisione tedesca comunicata al

mondo il 16 marzo, lo provava del resto in modo evidente.

Del resto prima di addivenire ad una convenzione generale circa gli armamenti terrestri sarebbe stato previsto di concludere quella relativa alle forze

aeree, accolta con tanta simpatia dal Governo del Reich quando vi si era accennato nel protocollo di Londra. Senonché le notizie date dal Cancelliere agli uomini di Stato inglesi, durante il loro soggiorno berlinese, il recente discorso del generale Goering e le dichiarazioni di MacDonald al Parlamento inglese mi sembravano dimostrare che anche nel campo dell'aria si stava facendo una corsa agli armamenti che tutto lasciava prevedere salvo un accordo di limitazione.

Von Btilow espresse l'avviso che l'aumento degli armamenti non fosse un impedimento alla conclusione di accordi internazionali e potesse anzi facilitarli.

La Germania si disponeva del resto ad inviare a Londra i propri esperti navali per fornire al Governo inglese i necessari chiarimenti circa le costruzioni navali che intendeva impostare prossimamente. Gli chiesi se fosse vero che oltre a degli ufficiali di Marina si recherebbe a Londra a tale scopo anche il signor von Ribbentrop. Von Btilow mi rispose affermativamente e mi disse che la proposta al riguardo era stata fatta dagli Inglesi i quali avevano osservato che siccome la Germania non aveva finora partecipato a conferenze navali sarebbe stato bene iniziare i lavori dei tecnici alla presenza di diplomatici. Così la Gran Bretagna vi delegherebbe il signor Strang, capo dell'Ufficio Società delle Nazioni al Foreign Office, ed il Cancelliere aveva designato il proprio plenipotenziario per gli armamenti, signor von Ribbentrop. Naturalmente, nel corso dei lavori, sarebbero stati esclusivamente i tecnici navali che avrebbero avuto la parola.

Von Btilow mi disse che la Germania si riprometteva molto da queste conversazioni che dovevano preparare la prossima Conferenza Navale. Alla mia domanda se il Governo del Reich sapesse quando essa avrebbe avuto luogo, fu risposto che il signor Simon informò il Cancelliere che MacDonald sperava di convocarla nell'autunno prossimo. Osservai che l'annuncio delle prossime costruzioni navali germaniche rendeva impossibile prorogare la Conferenza stessa perché, mentre tutti gli altri Stati erano impegnati sino alla fine dei suoi lavori di costruire navi entro i limiti del Trattato di Washington, la Germania, dopo avere dichiarato decaduta la parte quinta del Trattato di Versailles, poteva costruire come e quanto voleva. Era evidente che ciò doveva spingere gli altri Stati e sopratutto l'Inghilterra, a costruire dal loro lato con la massima urgenza per non essere espot3ti ad una momentanea superiorità marittima tedesca. Il mio ragionamento potè piacere più o meno al signor von Biilow che però mi disse di pensare allo stesso modo.

L'impressione da me riportata dalla conversazione con il signor von Btilow fu che l'Auswartiges Amt è molto impressionato dagli avvenimenti politici di questi ultimi tempi la cui tendenza è chiara e che, mentre cerca in tutti i modi di sconvolgere i piani che considera orditi a proprio danno, si domanda a che cosa servirebbe l'atteggiamento decisamente negativo che sarebbe desiderato dalla parte estremista del Partito nazional-socialista.

v. E. ha visto come il signor von Btilow mi abbia spontaneamente parlato della possibilità che, a suo giudizio, esiste tuttora di addivenire ad una Convenzione generale per gli armamenti terrestri. Durante l'ultimo mio colloquio col Barone von Neurath anche egli, ancorché in forma più vaga e solo incidentalmente, mi parlò delle speranze che egli nutriva tuttora di discutere almeno alcune questioni connesse con gli armamenti stessi, e menzionò il divieto dell'uso dei gas velenosi e del bombardamento delle località non militari.

Non so se e quanta sincerità vi sia nelle cose dettemi all'Auswì1rtiges Amt e sopratutto mi domando fino a qual punto esse corrispondano alle reali intenzioni del Cancelliere. Sino a prova contraria mi sembra peraltro che dobbiamo prendere nota che i maggiori esponenti della diplomazia tedesca mostrano di pensare tuttora alla possibilità di accettare una riduzione degli armamenti terrestri. In mezzo a tanti fatti positivi che dimostrano il proposito della Germania di raggiungere i propri scopi senza tenere conto di quanto possano pensare gli altri Stati, anzi contro i loro interessi, questo piccolo indizio di buon volere merita di essere tenuto presente, anche se esso debba soltanto dare l'illusione agli Inglesi che la loro somma aspirazione di concludere una convenzione circa gli armamenti è appoggiata dalla Germania.

(2) -Con T. per corriere 3962 P.R. del 1° maggio 1935 Mussolini aveva chiesto ad Umiltà «un rapporto sull'atteggiamento di Macek e copia del giornale Il nuovo combattente nel quale il Macek -secondo notizie da Vienna riportate dai giornali italiani -si sarebbe dichiarato collaborazionista nei confronti di Belgrado». (3) -Vedi D. 78. (l) -Non pubblicato. (2) -II presente documento reca 11 visto di Mussol!nl. (3) -Con T. 2406/82 R. del 4 maggio 1935, ore 15,30, Fornari comunicava che Lerroux aveva rassegnato le dimissioni. (4) -Con T. 2441/134 R. del 6 maggio 1935, ore 22,03, Cerruti aveva riferito sulle prime reazioni tedesche alla sottoscrizione del patto franco-sovietico.

(l) Vedi D. 125.

156

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

ThLESPR. 1229/494. Ankara, 7 maggio 1935 (per. il 13).

Aras mi ha intrattenuto lungamente sulla questione della Convenzione degli Stretti. Le sue dichiarazioni rivestono particolare importanza e perciò mi permetto attirarvi tutta la attenzione di V. E. specie tenuto presente il colloquio fra S. E. Suvich e Pomenov, comunicatomi con telespresso n. 213491 del 26 aprile u.s. ( 1).

Il colloquio di Aras si fissa principalmente sui seguenti punti: a) La Convenzione degli Stretti è in diretto preciso rapporto con la situazione politico-diplomatica del momento della sua firma. Esistevano allora vari trattati che imponevano agli stati vinti una serie di limitazioni degli armamenti, insieme ad un impegno generale nel Covenant di limitazione degli armamenti da parte anche delle grandi potenze. b) Se questo sistema venga man mano a finire, anche la Convenzione che la Turchia ha accettato deve essere riconsiderata, poiché non costituisce più un tutto armonico con le altre disposizioni. c) La Convenzione non è più neanche in rapporto con la nuova situazione politica internazionale. Ad esempio, poiché la Convenzione ha anche un significato antirusso, anzi più antirusso che antiturco, la Francia, ora legata dal nuovo strettissimo legame con l'U.R.S.S., non può opporsi ad una richiesta che è

anche in favore del suo alleato. Ed ha moltiplicato gli esempi in tal senso, rilevando altresì una contraddizione fra il Covenant e la Convenzione in questione. d) Egli ha indicata l'esistenza di tale questione a Ginevra ma non ne hh domandata la discussione. Le riserve delle Grandi Potenze lo hanno molto colpito e messo in difficile situazione di fronte al Governo ed al Partito, così come di fronte alla opinione pubblica. Per fortuna che l'U.R.S.S. non si è associata a tali riserve, se no la posizione sua e del governo (col cui consenso egli aveva

fatta la dichiarazione) sarebbe stata assai difficile e sgradevole, forse insostenibile.

e) Egli continuerà a porre la questione, e ne farà un junctim col riarmo dei piccoli Stati, segnatamente della Bulgaria. Preferirà ritirarsi che ammettere un riarmo austro-ungaro-bulgaro senza la revisione della questione delle zone demilitarizza te.

f) Alla comunicazione del punto sei di Stresa ha preferito non rispondere, che rispondere indicando anche la richiesta turca, per non creare nuove difficoltà. Ma esse sussistono e debbono essere risolte.

g) La opinione pubblica turca non arriva e non arriverà mai a comprendere che si facciano o si accenni a fare dei vantaggi ad altri Stati verso i quali non vi sono particolari legami, e non si facciano alla Turchia che ha legami e patti di amicizia con le Grandi Potenze. Se l'amicizia non induce a far considerare anche le necessità degli amici, allora è inutile continuarla poiché non vale.

h) In questo caso la opinione pubblica guarda ad altre Potenze che invece considerano favorevolmente la questione. La stampa germanica si è espressa simpaticamente per il postulato turco. Ed ora le dichiarazioni di Hitler ai rappresentanti della stampa turca e così simpatiche per la Turchia (mio telespresso

n. 1224 del 6 ·corrente) (l) sono state molto rilevate e notate, benché i giornali turchi prudenti e cauti non vi diano ancora speciale rilievo. Ma l'opinione pubblica è molto sensibile a queste manifestazioni.

i) Del resto la Turchia non intende porre alcuna limitazione al traffico, anzi assumere ogni possibile obbligo per assicurare la libertà alla navigazione. E la soppressione delle zone demilitarizzate non è questione pratica, ma solo ed unicamente di amor proprio. Questo la Turchia intende avere rispettato ad ogni costo. Non vuole trovarsi in condizioni minori di alcuno.

Dalle dichiarazioni di Aras traspare anzitutto un vivo malcontento perché quando si propose il riarmo dei piccoli stati non si fece alcun accenno alla questione delle zone turche demilitarizzate. Poi si continua una minaccia di riaccostamento alla Germania già alleata della Turchia, e che fa ogni sorta di avances a questo stato dove ha ancora larghi strati della opinione pubblica che le sono favorevoli (2). Infine preannuncia la più forte opposizione al riarmo degli stati minori se la posizione turca non sia contemporaneamente risolta.

Vi è in ciò una parte di bluff, una di ricatto, insieme ad interpretazione giuridica dei vecchi trattati bellici di alleanza nettamente capziosa e sofisticata. (Il trattato di alleanza con la Germania non è mai stato denunciato. Se gli altri impegni successivi cadono, questo risorge, dice Aras).

Ma non vi è dubbio che la questione è, in se stessa ed in fatto, estremamente sensibile e delicata, e che sarebbe, a mio subordinato giudizio, errato non tenerne conto. È per tale motivo che attiro tutta l'attenzione di V. E.

Ad Aras ho replicato i noti argomenti: volontarietà della Convenzione, posizione di parità con le Grandi Potenze, ecc. Ho pure fatto rilevare che era insostenibile e quasi immorale che egli potesse anche per assurda ipotesi pensare ad

una evoluzione verso la Germania della politica turca, che i legami con l'U.R.S.S. lo vietavano, ecc. Ho pure spiegato che la diversa posizione assunta a Ginevra fra le tre Grandi Potenze e l'U.R.S.S. derivava dal fatto che quest'ultima non aveva mai ratificato la Convenzione ecc. Il colloquio è durato un'ora e mezzo, e sarebbe ozioso indicarne tutti i particolari.

Ma credo mio dovere noiosamente insistere sulla necessità di tenere conto in qualche modo dell'amor proprio ed anche delle necessità turche, se non si vuole che se ne abbiano ripercussioni sui rapporti itala-turchi, e difficoltà in negoziati successivi (1).

(l) Non rinvenuto.

(l) -Ron pubblicato. (2) -Per la posizione tedesca circa la questione degli Stretti vedi D. 328.
157

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA S.D.N., PILOTTI, AL CAPO DI GABINETTO, ALOISI

L. P. Ginevra, 7 maggio 1935.

Mi onoro scriverLe per confermare e completare quanto ebbi già occasione di dirLe a proposito della Commissione di conciliazione da nominarsi nella controversia itala-etiopica.

Gli arbitri designati dal Governo di Addis Abeba erano realmente, come prevedevo, Politis e Unden. L'avvocato dell'Etiopia, Jèze, ne aveva suggerito i nomi perché legato a loro da relazioni personali e perché intendeva (secondo dichiarazioni sue proprie) fare impressione con personalità di grande rilievo per uffici ricoperti (l'uno e l'altro sono stati ministri degli affari esteri nei rispettivi Paesi, e primi delegati all'Assemblea della Società delle Nazioni). Ho poi appreso da fonti sicure che Politis gode direttamente la fiducia del Negus, che si è consultato con lui sovente per affari importanti dopo il viaggio di Politis in Etiopia avvenuto qualche anno fa. Così venne ultimamente affidato a Politis lo studio delle questioni relative all'impianto della stazione radiotelegrafica in Etiopia, impianto di recente inaugurato.

Il consiglio di non accettare la nomina dato a Politis dal Governo di Atene ha grandemente irritato Jèze, che ha detto di volerne trarre partito per far oggetto di discussione al Consiglio delìa Società delle Nazioni gli impedimenti che l'Italia creerebbe alla costituzione della Commissione di conciliazione.

Unden, da parte sua, non aveva ancora definitivamente accettato, anzi aveva espresso riserve di carattere personale: si ritiene che Jèze insisterà vivamente presso di lui; ma si dubita che, dopo il rifiuto di Politis, egli sia disposto a consentire.

Per la sostituzione di Politis, Jèze lascia intendere di aver pronto altro nome od altri nomi importanti che però non vuole dichiarare per evitare difficoltà. Ritengo che egli insisterà con tutte le sue forze per avere almeno Unden:

V. E. potrà apprezzare le ragioni di tale insistenza, ricordando che Jèze fu l'agente del Governo venezuelano nell'arbitrato relativo alla questione Martini, in cui arbitro italiano era S. E. l'On. Cesare Tumedei, e superarbitro Unden, il quale, pur ammettendo il buon fondamento delle principali allegazioni italiane, si pronunciò, sostanzialmente, con una strana sentenza, a favore del Venezuela. La

difesa del nostro Governo era allora affidata a S. E. l'On. Scialoja e a S. E. Ugo Aloisi. Da questo e dall'On. Tumedei, Ella avrà, occorrendo, ogni ulteriore chia

,__, rimento. La mia preoccupazione, nell'indicare a V. E. i nomi del Senatore Salvago Raggi e del Senatore d'Amelio, era stata di contrapporre a Politis e Unden persone di altissimo grado e dotate, fra l'altro, di piena conoscenza delle cose etiopiche. Mi riservo di trasmettere ogni altra notizia utile che pervenisse a mia conoscenza, e intanto rilevo che si è molto accentuata la preoccupazione di questi ambienti inglesi.

158.

IL MINISTRO A HELSINKI, TAMARO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 2464/17-18 R. Helsinki, 8 maggio 1935, ore 19,30 (per. ore 2).

Ministro degli Affari Esteri di Finlandia sarà a Varsavia il 17 corrente. Da informazioni confidenziali mi risulta che farà dichiarazioni atte ad escludere qualunque partecipazione della Finlandia ad attuale politica polacca

o germanica.

Il Ministro, secondo testo ufficiale fattomi oggi vedere dopo aver affermato cordialità delle relazioni fra i due Paesi e comunità di alcuni interessi creata da ragioni geografiche, storiche, culturali, dichiarerà che eguali ragioni rendono però la Finlandia appartenente al gruppo della Scandinavia e come questa decisa a rimanere fuori d'ogni conflitto e in ogni caso strettamente neutrale.

Rilevato che l'equilibrio delle Grandi Potenze è la migliore garanzia per i piccoli Stati, sosterrà che, avendo coi vicini patti di non aggressione sufficienti ad assicurarle la pace, la Finlandia non intende partecipare a nessun patto collettivo, nè schierarsi da nessuna di quelle parti che sembrano ora contrapporsi in Europa.

Ricordata la vastità del Paese poco abitato, il Ministro Hackzell affermerà che la Finlandia non ha aspirazioni territoriali e che vuole vivere nei migliori rapporti con i suoi vicini.

Rileverà altresì che la mancanza d'ogni concorrenza nel campo economico assicurerà sempre meglio le amichevoli relazioni con la Polonia.

159.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2465/251 R. Parigi, 8 maggio 1935, ore 20,20 (per. ore 22,30).

Mi riferisco a precedenti comunicazioni (l) e da ultimo al mio telegramma per corriere 055 (2).

Ho trovato Lavai molto imbarazzato. Mi ha detto desidererebbe far cosa gradita a V. E., ma che non può andare oltre certi limiti senza mettersi dalla parte del torto con l'Abissinia.

Ho osservato che, anche volendo considerare la questione del traffico di armi attraverso Gibuti sotto l'aspetto giuridico, l'ultimo capoverso dell'articolo 9 del Trattato 1930 forniva una buona base al Governo francese per sospendere inoltro delle armi in Etiopia.

Il Ministro ha cercato delle scappatoie pur di non darmi assicurazioni che io sollecitavo.

Alla fine gli ho rammentato che egli mi doveva una risposta precisa da far pervenire a V. E. La risposta è la seguente. Ne ho preso nota e sono in grado di riferirla nei precisi termini nei quali mi è stata fatta.

Laval mi ha assicurato «che sono state impartite istruzioni perché regolamenti siano strettamente e rigorosamente applicati e perché, fermi restando gli obblighi che il Governo francese ha verso quello abissino, sia messo tutto in opera per impedire quello che potrebbe essere accordato in più dello stretto diritto degli abissini l>. Insomma, osservanza degli obblighi convenzionali, non acconsentendo alla benché minima ulteriore agevolazione agli etiopici.

Non ho nascosto al mio interlocutore che la sua risposta avrebbe amaramente deluso. Gli ho ripetuto che il materiale da guerra avviato a Gibuti è ingente e che, se arrivasse in Etiopia, aggraverebbe sensibilmente nostra posizione. Ho detto infine che avrei continuato a segnalare al Quai d'Orsay tutti i carichi di materiali di guerra diretti a Gibuti. Se durante il suo viaggio in Russia e Polonia la situazione, dal punto di vista del transito delle armi e munizioni da Gibuti, si fosse aggravata, lo avrei fatto avvertire perché intervenisse. Siamo rimasti d'accordo in tal senso. Lavai mi ha detto che sarà giornalmente in comunicazione telefonica con Parigi.

R. Consolato in Gibuti e la R. Legazione in Addis Abeba sono probabilmente in condizioni di sorvegliare fino a un certo punto e segnalare come si svolge spedizione del materiale da guerra a mezzo ferrovia.

Se V. E. crede tenere informata questa Ambasciata, eserciterò una azione costante sul Quai d'Orsay, insistendo perché detto traffico sia ostacolato in tutti i modi possibili. Lavai parte domani sera.

(l) Il presente documento reca l! visto di Mussollnl.

(l) -Vedi D. 105. (2) -T. 2435/055 R. del 4 maggio 1935, con il quale Pignatti aveva riferito su un colloquio in argomento con Léger.
160

IL MINISTRO A KAUNAS, AMADORI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2472/45 R. Kaunas, 8 maggio 1935, ore 23,32 (per. ore 6,10 del 9).

Conferenza baltica ha terminato stasera suoi lavori. Accordo fra i tre Stati non si è potuto raggiungere che su tre seguenti formule inespressive:

l) tre sono pronti a dare loro collaborazione attiva ad ogni azione per il rafforzamento garanzie di sicurezza nell'Europa Orientale;

2) collaborazione e solidarietà fra i tre Stati dovrà trovare applicazione per ogni progetto di organizzazione della sicurezza;

3) prendendo atto della decisione del Consiglio della S.d.N. per aumentata efficacia Patto nella organizzazione sicurezza collettiva, tre Stati esamineranno possibilità allargamento della loro collaborazione, ma già da ora decidono prestarsi aiuto reciproco politico e diplomatico in ogni circostanza in cui Patto Lega delle Nazioni può essere applicato come strumento efficace di garanzia della sicurezza di ogni membro Lega delle Nazioni.

Queste dichiarazioni sono inadeguate alle realtà presenti, che consiglierebbero solidarietà totale e anche militare in forme attive e dirette.

Conferenza non ha quindi dato a Lituania la desiderata solidarietà difensiva politico-militare e diretta, anche per territorio Memel, ed impegno comune di adesione a Patto di Sicurezza anche senza Germania e Polonia.

Neppure Estonia Lettonia hanno ottenuto i desiderati impegni lituani di politica conciliativa verso Germania e Polonia e adesione Lituania soltanto ad un Patto generale europeo di sicurezza.

La incredulità di una generica solidarietà baltica e di una volontà di approfondirla ha indubbiamente un valore morale ed eventualmente anche reale, ma nelle circostanze politiche odierne è praticamente inoperante per ciascuno dei tre Stati.

Conferenza Kaunas non ha dunque portato alcun fattore nuovo nella situazione orientale.

161

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2484/056 R. Parigi, 8 maggio 1935 (per. il 10).

Lavai mi ha detto di sperare di poter conoscere, al suo ritorno dalla Russia, i risultati della riunione itala-austro-ungarica di Venezia. Egli si propone di riunire a Ginevra, durante la prossima sessione del Consiglio, i rappresentanti della Piccola Intesa per fare, nei loro confronti, lavoro preparatorio alla Conferenza danubiana.

Rispondendo ad una mia domanda, il Ministro mi ha dichiarato che Titulescu, nel suo recentissimo passaggio da Parigi, si è dimostrato più ragionevole di quanto lo fosse stato prima di Pasqua. Lavai mi ha detto testualmente: «Ha messo molta acqua nel suo vino~-Non mi ha però dato particolari. Ho avuto l'impressione che il Ministro consideri appena iniziato il suo lavoro di persuasione verso la Piccola Intesa e che preferisca non entrare in particolari, non disperando in un buon risultato finale.

162

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2510/09 R. Bucarest, 8 maggio 1935 (per. l'11).

I telegrammi delle note agenzie al servizio di questo Governo hanno qui, ai fini interni, presentato il signor Titulescu come una specie di paraninfo del Trattato di mutua assistenza tra Francia e Soviet. Se non si è osato dire che il signor Titulescu è stato intermediario nella fase più difficile del negoziato, si è lasciato tuttavia intendere che egli, via! un po' le mani in pasta le ha avute.

Ignoro quale attività abbia effettivamente spiegata Titulescu nelle varie fasi per la conclusione del patto franco-russo, e negli approcci tra Cecoslovacchia e Soviet per l'altro patto in gestazione. Sta di fatto però che questa stampa ha presentato la conclusione del patto tra Francia e Russia come avvenimento favorevole alle linee direttive della politica romena. È poi indiscutibile che i negoziati per il futuro trattato tra Cecoslovacchia e Sovieti metteranno nelle mani del signor Titulescu una carta di primo ordine. Basta ricordare che la non continuità territoriale fra Russia e Cecoslovacchia rende indispensabile il transito attraverso la Romania per ogni seria azione militare russa al di là dei Carpati. Cecoslovacchia e Russia non possono cioè, nella supposizione di una Polonia neutrale, darsi la mano se non attraverso il territorio romeno.

Pretenderà il signor Titulescu che la Romania entri a far parte del futuro patto tra Cecoslovacchia c Russia? E quali compensi egli chiederà? È concepìbile che la Romania consenta il passaggio di truppe russe attraverso il suo territorio senza conseguire almeno, il riconoscimento giuridico, inequivocabile, dell'appartenenza della Bessarabia, il primo territorio che truppe e materiali sovietici dovrebbero attraversare?

Richiamo poi l'attenzione di V. E. sul fatto che una eventuale intesa a «tre» fra Romania, Cecoslovacchia e Russia non potrebbe non ripercuotersi in modo gravissimo sulle relazioni fra Polonia e Romania, segnando praticamente la fine di un'alleanza la quale aveva una sola premessa, ed un solo obiettivo, la difesa comune contro la Russia.

In questi ambienti polacchi si nota non poco nervosismo che è spiegabilissimo data l'ampiezza e l'intimità che fino alla metà del 1932 avevano avuto non solo i rapporti politici tra i due Governi, ma anche e sopratutto i rapporti tecnici fra i due Stati Maggiori che si erano scambiati ogni sorta di informazioni, e che lavoravano in assoluta armonia, e con piena reciproca fiducia.

La distribuzione degli armamenti, gli spiegamenti delle forze, i piani di difesa e di offesa erano studiati collegialmente. Si apre ora, invece, una non prevista fase nei rapporti fra i due paesi, che, fatalmente, dovrà abbattere anche gli ultimi baluardi dell'alleanza, che erano rappresentati proprio dai circoli militari dei due paesi. Solo i militari, infatti, avevano resistito agli scossoni che Titulescu da una parte, e Beck dall'altra, stanno dando all'edificio dell'alleanza romeno-polacca.

163.

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2517/067 R. Praga, 8 maggio 1935 (per. l'11).

Mio telegramma filo odierno n. 66 (l).

Benes invitatomi prevista conferenza di cui al mio telegramma filo n. 54 del 29 aprile u.s. (2). In realtà ho compreso subito che teneva a dirmi qualche cosa di urgente.

Ripetutomi necessità che conferenza di Roma sia accuratamente preparata, non essendo possibile incontrarsi per discutere o addirittura disputare. Ho capito che Benes teme di essere messo di fronte a progetti in istato di avanzata elaborazione da dover forse accettare o rifiutare. Ha tuttavia soggiunto che difficoltà sarebbero più per suoi alleati della Piccola Intesa, non essendovi difficoltà dirette fra Italia e Cecoslovacchia.

Benes dice desiderare accordo netto quanto più possibile sia di fronte all'Ungheria sia per consacrare indipendenza Austria. Formulazione non dovrebbe esserne difficile. Egli la vede divisa in:

l) un trattato generale di principio;

2) accordi particolari fra Stati disposti a scambiarsi impegno di mutua assistenza, i quali praticamente dovranno essere dei veri trattati d'alleanza per i casi più gravi.

A tale riguardo Benes vorrebbe sapere qual'è il pensiero del Governo italiano, se cioè esso pensi ad una serie di trattati bilaterali, oppure ad un patto collettivo fra alcuni Stati, eventualmente aperto all'adesione successiva di altri Stati.

Secondo sue informazioni e impressioni, Benes, confermando le mie previsioni occasionate dal progetto francese ultimamente comunicatomi (mio telespresso n. 719/414 del 3 corrente) (3), prevede che l'impegno di mutua assistenza non sarà assunto: dalla Polonia, che, secondo Benes, lo avrebbe già fatto sapere nell'incontro Beck-Suvich (4); dall'Ungheria, che lo avrebbe fatto parimente già noto a mezzo di Kanya a Venezia (5); dalla Germania. Ne consegue che praticamente mutua assistenza per garantire indipendenza Austria dovrebbe condurre ad una combinazione che unisse Italia, Francia, Austria e Piccola Intesa. E quindi, o si deve prevedere ed Impedire che col sistema dei patti bilaterali possa realizzarsi anche un patto tra Austria e Germania, oppure fare un patto collettivo fra le Potenze che sinceramente vogliono assicurare indipendenza Austria. Se a questo aderirà anche Ungheria tanto meglio.

Quest'anno e il prossimo saranno, secondo Benes, decisivi pel problema austriaco. Se si riesce adesso ad impedire lo sforzo germanico per l'Anschluss, la partita potrà dirsi vinta, e si tratterà di consolidare il successo, ciò che sarà possibile mediante un accordo della durata di un decennio.

16 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. I

Dopo questo preambolo, Benes è venuto a quello che mi è sembrato vero motivo della sua frettolosa convocazione.

Già a Ginevra Berger-Waldenegg gli aveva accennato ad idea che per realizzare accordo danubiano si potesse procedere per gradi, e precisamente incominciare con un accordo fra Italia, Austria e Jugoslavia. Ora questa idea pare sia stata riaffacciata a Venezia, come sarebbe stato già segnalato da Vienna da Ministro cecoslovacco Fierlinger. Benes non crede che questo sia un buon metodo. La cosa susciterebbe subito diffidenze, apparendo come tentativo di disgregazione della Piccola Intesa, nonché di isolamento Cecoslovacchia, per cui si avrebbe reazione pericolosa per ulteriore svolgimento trattative. A Belgrado stessa il progetto potrebbe suscitare diffidenze. Benes mi ha detto che anzi egli non avrebbe ancora fatto dire nulla a Belgrado e che si limitava ad attirare su questa situazione, in via di amichevole avvertimento, l'attenzione di V. E. Nessuno -dice Benes -è più sinceramente di lui interessato alla conclusione dell'accordo per l'indipendenza dell'Austria, e quindi egli confida che si crederà alla sua sincerità. Ora, nella sua esperienza dell'Europa centrale e danubiana, Benes ritiene che vera direttrice dell'azione per obiettivo suddetto sia Roma-Parigi-Praga. Assicurata tale collaborazione gli altri seguiranno. Egli non sa se il progetto di accordo itala-austro-jugoslavo sia una cosa seria. Ma potrebbe essere una trappola pericolosa, per cui egli si sente in dovere di avvertire V. E. « Titulesco sarebbe capace di insospettirsi e l'atmosfera di necessaria fiducia e buona volontà sarebbe turbata fino dal principio».

A conclusione di questa perorazione, che mi son limitato a registrare senza pronunciarmi, Benes ha nuovamente raccomandato -invece di una eventuale rete di patti bilaterali -la conclusione di un patto collettivo del quale dovrebbero essere in primo luogo partecipi Austria, Italia, Francia, Cecoslovacchia, Jugoslavia; in una seconda categoria di Stati, che potrebbero aderire in un secondo tempo, potrebbero considerarsi Romania e Ungheria; mentre che Polonia e Germania possono presumibilmente considerarsi come Stati che in nessun caso aderiranno al patto di mutua assistenza.

Il sistema del patto collettivo presenta, secondo Benes, due vantaggi: da una parte, essere meno ostico per la stessa Germania di un sistema di patti bilaterali a raggiera di cui Austria sarebbe centro; dall'altra parte, evitare, escludendo tale raggiera di patti bilaterali, quello austro-germanico che altrimenti non si può evitare e col quale tutti [saremmo] «fritti» (« nous serions tous fichus »).

Tornando sull'eventualità di un progettato accordo itala-austro-jugoslavo, Benes ha detto essersi domandato se esso trovi sua giustificazione nel desiderio di procedere per gradi, allo scopo di facilitare accessione Ungheria attraverso un sistema di accordi bilaterali successivi, da concludere a tappe brevi e prestabilite: ad esempio: 1° Italia-Austria; 2° Austria-Jugoslavia; 3° AustriaUngheria.

Ma allora bisognerebbe che all'Ungheria si imponesse l'accessione immediata oppure entro un breve termine perentorio ad esempio di quindici giorni. Ed entro stesso breve termine dovrebbero concludersi anche patti itala-cecoslovacco ed austro-cecoslovacco. Oppure, se questo sistema di tappe fosse preferito, Cecoslovacchia vedrebbe volentieri aprirsi serie degli accordi bilaterali con quello tra Italia e Jugoslavia (senza Austria) al quale seguirebbe immediata richiesta cecoslovacca di patto itala-cecoslovacco, così come patto di amicizia itala-jugoslavo fu seguito nel 1924 da quello itala-cecoslovacco, essendo naturale che Praga e Belgrado marcino sempre di pari passo nelle loro relazioni con Italia.

Benes non mi ha parlato di sua iniziativa dell'idea manifestata a questo Ministro d'Austria di una combinazione tra Austria, Cecoslovacchia e Ungheria (mio telegramma filo n. 62 del 4 corrente) (1}. Avendo quindi io fatto un cauto sondaggio -per non scoprire mio collega Marek -Benes mi ha detto che una collaborazione economica fra questi tre Paesi è una cosa naturale cui si oppone soltanto attuale prolungata tensione politica; e che una volta migliorata atmosfera politica essa si realizzerà certamente; in quanto alle forme di essa Benes mi ha detto non credere che pel momento si possa fare di più che un miglioramento, sia pure sostanziale, delle attuali relazioni commerciali fra i tre Paesi.

Non ho creduto di insistere di più avendo l'impressione che Benes, preoccupato dalle voci di possibile accordo itala-austro-jugoslavo, abbia pensato di rinfoderare prudentemente la sua idea di combinazione austro-ceco-ungherese.

A questo punto Benes mi ha detto di essere informato di un prossimo incontro Suvich-Jeftic previsto pel 18 corrente a Milano e mi ha manifestato il suo incondizionato compiacimento come ho segnalato col ricordato telegramma filo odierno n. 66.

In conclusione Benes, come si vede dall'accurata enumerazione di tutte le possibili combinazioni sopra esposte, mi è sembrato oltremodo preoccupato dall'eventualità di un accordo tra Italia, Austria e Jugoslavia come pericolosissimo principio di disgregazione della Piccola Intesa. Se in questa evidente preoccupazione di Benes si debba ravvisare un principio di realizzazione di quella politica indipendente dai suoi alleati che la Jugoslavia potrebbe svolgere giusta l'accenno fatto da Viola col suo rapporto n. 1523/519 (2) potrà oramai giudicare v. E. con ben altri elementi di quelle che possono essere mie congetture. '

Nell'odierno colloquio con Benes io ho creduto attenermi ad atteggiamento di ascoltatore, e per la migliore intelligenza dell'esposizione di questo Ministro degli Esteri, nonché delle sue intendenze, preoccupazioni, movimenti e riserve mentali, ho creduto utile di riferirlo fedelmente, nell'ordine stesso da lui seguito.

Gli ho solo detto, conforme al telegramma di V. E. n. 29 del 27 aprile (3) ed alla comunicazione da me fattagli nel senso prescrittomi, che supponevo probabile qualche imminente comunicazione da parte di V. E. sui risultati del convegno di Venezia. Con tale eventuale comunicazione V. E. potrà farmi pervenire le Sue alte istruzioni e norme di linguaggio in merito alle comunicazioni del Dr. Benes (4).

(2} Vedi serie settima, vol. XVI, D. 906. (-4) Vedi D. 172, nota 2.
(l) -Con T. 2468/66 R. dell'S maggio 1935, ore 22,45, Rocco preannunciava in sintesi le notizie contenute nel presente telegramma. (2) -Vedi D. 101. (3) -Non pubblicato. (4) -Vedi D. 63. (5) -Vedi D. 146. (l) -Vedi D. 139. (3) -Vedi D. 83, nota l, p. 77.
164

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma, 8 maggio 1935.

Sir Eric Drummond ha avuto incarico dal proprio Governo di interpellare il Governo italiano in merito alla convenienza di riunire a Ginevra, in occasione della prossima Assemblea, i giuristi dei quattro Paesi: Italia, Francia, Inghilterra, Belgio, per studiare un testo di Patto aereo. I particolari della richiesta inglese sono contenuti nella nota allegata.

L'Inghilterra è ferma al principio di fare un patto collettivo e non dei Patti bilaterali. L'Ambasciatore prega il Capo del Governo di volergli concedere un'udienza (l) perché ha incarico da Londra di intrattenerlo direttamente su tale questione.

Mi riservo di dare all'Ambasciatore una risposta al riguardo.

Chiedo a sir Eric Drummond se la Gran Bretagna metterebbe come condizione una limitazione delle forze aeree germaniche. L'Ambasciatore ritiene che ciò sia fuori discussione. Chiedo se tale limitazione dovrà mantenere la Germania ad un livello

inferiore alle forze aeree delle altre Potenze, come Italia, Francia e la stessa Gran Bretagna.

Sir Eric Drummond non è in grado di darmi una risposta su questo punto.

Gli domando se la Gran Bretagna non abbia pensato alla possibilità di fare in un primo tempo dei patti bilaterali: Italia-Francia e Gran BretagnaFrancia, per attendere che la Germania sia la prima a fare un passo, anzicbé rivolgere alla stessa un nuovo invito, ciò che non potrà che aumentare le sue pretese.

L'Ambasciatore ritiene che il suo Governo voglia fare prima ancora questo tentativo, pur essendo un pò scettico sul risultato dello stesso. Ritiene altresì che sarà interessante sentire quanto Hitler dirà nel suo discorso. Gli osservo che anche se il discorso sarà di intonazione pacifista, non porterà nessun elemento nuovo nella situazione. L'Ambasciatore pensa che Hitler potrebbe fare delle proposte concrete perché può effettivamente preoccuparsi del suo isolamento.

ALLEGATO

L'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA

AL MINISTERO DEGLI ESTERI

PROMEMORIA 331/311/35. Roma, 8 maggio 1935.

Il Governo di Sua Maestà ha considerato il mezzo migliore per rendere effettiva quella part.e della risoluZJione comune della Conferenza di Stresa (paragrafo 4o) che dichiara che i Governi di Francia, d'Italia e del Regno Unito concordano di continuare attivamente lo studio della questione del Patto Aereo per l'Europa Occidentale con

lo scopo di redigere il testo di un patto tra le cinque Potenze menzionate nella Dichiarazione di Londra del 3 febbraio e di quegli accordi bilaterali che possano accompagnarlo.

Il Governo di Sua Maestà sottopone all'esame del Governo italiano la proposta di cogliere l'occasione della presenza a Ginevra, durante la prossima sessione del Consiglio della S.d.N., dei giuristi delle tre Potenze rappresentante a Stresa per un incontro e una discussione privata e riserva,ta dei due progetti di Patto Aereo che sono stati già redatti e di ogni altra proposta relativa al Patto che una di queste Potenze possa desiderare sottoporre all'esame. Il Governo di Sua Maestà riterrebbe inoltre che sarebbe desiderabile che il giurista belga sia associato a queste conversazioni ufficiose con i suoi colleghi Francese, Italiano e Inglese. Non si propone che queste conversazioni siano spinte fino al raggiungimento dell'accordo su di un testo. Ove risulti che uno schema comune sia emerso da questa discussione sarebbe opportuno secondo l'opinione del Governo di Sua Maestà, di tentare di convocare la riunione di tutte le Potenze di Locarno (vedi al riguardo la dichiamzione del Segretario di Stato a pag. 26 dei verbali stampati della Conferenza di Stresa). Resterebbe inteso, naturalmente, che i giuristi dovrebbero considerare soltanto la forma che il Patto plurilaterale può assumere. Non si suggerisce di far discutere ai giuristi la proposta francese per accordi bilaterali aerei, che porta con sé problemi politici e militari.

L'Ambasciata di Sua Maestà sarebbe grata se potesse essere informata al più presto possibile dell'opinione del Governo itaLiano sulle suesposte proposte.

Al tempo stesso il Governo di Sua Maestà sarebbe grato di conoscere l'opinione del Governo italiano sulla seguente proposta che viene fatta a titolo di sondaggio (tentative suggestion):

Era inteso originariamente che un Patto Aereo dovesse essere concluso soltanto come parte di un accordo generale, come è messo in rilievo nella dich1arazione anglofrancese del 3 febbraio. In considerazione, tuttavia, del rapido aumento degli armamenti aerei della Germania, i Governi francese e dtaliano possono tenere a considerare se vi sia un qualche vantaggio per loro nel procedere alla negoziazione di un Patto Aereo a se stante, a condizione che sia raggiunto simultaneamente un accordo fra Francia, Italia, Belgio, Regno Unito e German:ia per quanto riguarda la limitazione delle loro rispettive forze aeree.

(l) Vedi D. 213.

165

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 1087/429. Varsavia, 8 maggio 1935 (per. il 13).

Ho visto stamattina Beck per la prima volta dopo il suo ritorno da Venezia e l'ho trovato soddisfatto delle sue conversazioni con S. E. Suvich (1). Egli ha tenuto a sottolineare la franchezza e la lealtà che caratterizzano i rapporti fra Italia e Polonia e mi ha pregato di rinnovare a S. E. il Sottosegretario i suoi vivi ringraziamenti.

Venuti a parlare della situazione che alla vigilia dell'arrivo di Lavai a Varsavia attende di essere chiarita, Beck mi ha detto che nelle sue conversazioni col Ministro francese degli Esteri dovranno essere fatte delle precisazioni sulla vera portata ed i riflessi dell'accordo franco-sovietico; egli teneva però fin d'ora a dirmi:

a) che la Polonia non pensa in alcun modo a lasciar stabilire un collegamento qualsiasi fra il patto d'alleanza che la lega alla Francia ed il nuovo patto col quale questa si è legata ai So vieti;

b) che la conclusione del nuovo patto e di quello che, a suo avviso, seguirà fra breve tra U.R.S.S. e Cecoslovacchia, non sembrano favorire eventuali progetti di altri patti più larghi di non aggressione.

Circa l'accordo fra Cecoslovacchia e Sovieti, Beck ritiene che Praga dovrà fare a Mosca concessioni anche più importanti di quelle fatte da Parigi perché Praga non ha l'ancoraggio del patto di Locarno che è stato tanto utile al signor Lavai per resistere alle pretese sovietiche. Ha soggiunto che guarda con molta curiosità anche a quel che avverrà fra U.R.S.S. e Piccola Intesa, avendo l'impressione che questa siasi spinta troppo avanti nei confronti di Mosca e si trovi perciò fuori fase anche con Parigi.

Circa il patto franco-sovietico e quello che seguirà sovietico-cecoslovacco, Beck mi ha detto che essi resteranno due atti bilaterali, escludendo quindi che possano dar luogo ad un accordo tripartito.

Risultato di questa conversazione è la conferma ricevuta delle diffidenze che permangono tra Parigi e Varsavia, per vincere le quali il signor Lavai dovrà fare, a mio avviso, qualcosa di più che delle precisazioni, esaminando con spirito di benevolenza le questioni che gli verranno sottoposte riguardanti la posizione della Polonia dai Carpazi al Baltico, se non forse le condizioni alle quali l'alleanza franco-polacca potrebbe ritornare ad essere un elemento attivo.

È caratteristico a tale proposito Io scalmanarsi della stampa tedesca in questi giorni a dimostrare che l'accordo franco-sovietico significa la relegazione definitiva della Polonia ad un rango secondario, ed il contemporaneo succedersi di cortesie che Berlino non lesina a Varsavia, fra le quali va particolarmente sottolineato l'invito rivolto a quattro ufficiali polacchi con a capo il generale Kutrzeba, direttore di questa Scuola di Guerra, a recarsi in visita nei centri militari tedeschi (l).

(l) Vedi D. 63.

166

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2482/127 R. Buenos Aires, 9 maggio 1935, ore 20,34 (per. ore 3 del 10).

Premesso che, attraverso ogni nuova fase degli annosi ed ingarbugliati tentativi soluzione conflitto Chaco traspare confermato retroscena rivalità interessi materiali e di amor proprio che si agitano tra gli Stati mediatori per il vanto del primato nell'azione pacificatrice, mi consta che, un certo atteggiamento di superiorità ostentato dal Brasile dopo di avere ultimamente accettato il reiterato invito a partecipare a tale azione, è stato qui àccolto con marcato nervosismo nelle sfere governative e specialmente del Ministero Esteri.

Nervosismo che ha dato anche luogo al malcelato risentimento anche nell'opinione pubblica, di fronte alla proposta brasiliana di una riunione preliminare da tenersi a Rio Janeiro tra i Cancellieri dei Paesi belligeranti con il presunto scopo di esaminare condizioni pace prima della Conferenza economica già indetta a Buenos Ayres.

Mentre di qui, per la forma, si dichiarava ufficialmente nulla ostare in principio a tale riunione, mi consta che Saavedra Lamas, seccato per tale tentativo di larvata deviazione della sede del negoziato (proprio vigilia visita Presidente Vargas che Buenos Ayres si appresta ricevere con le maggiori onoranze) è corso ripari, cercando abilmente, con la volenterosa cooperazione di questa Ambasciata degli S.U.A. di far sì che, il Ministro degli Affari Esteri suggerisse l'abbandono della proposta idea di detta riunione preliminare.

Per oggi sono stati ufficialmente convocati da questo Ministro degli Affari Esteri Rappresentanti Diplomatici Brasile, Cile, Perù, Stati Uniti d'America del Nord per esame della situazione e dell'ulteriore procedura da seguire dichiarando egli inoltre di desiderare Argentina che non vengano creati contrasti od incompatibilità con quelli della S.d.N. di accogliere con viva soddisfazione la partecipazione dell'Uruguay alla progettata azione mediatrice.

(l) Il presente documento ·reca il visto di MussoUn.i.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2512/0134 R. Berlino, 9 maggio 1935 (per. l'11).

Mi riferisco al telespresso n. 214345/153 del 3 maggio corrente (1).

Ho parlato anche con il Segretario di Stato von Bti.low dell'Abissinia nel senso che, per migliorare le relazioni tra Italia e Germania, sarebbe desiderabile che i giornali tedeschi si astenessero dall'occuparsi del nostro conflitto con l'Etiopia, rilevando come questo argomento non interessi menomamente la Germania.

Von Biilow che evidentemente era al corrente del colloquio di S. E. Suvich con l'ambasciatore von Hassell, mi ha risposto che il contegno ed il linguaggio della stampa tedesca sarebbero stati subordinati a quelli dei giornali italiani i quali, ancora recentemente, hanno ripetutamente accusato i tedeschi di parteggiare per l'Abissinia e di fornirle materiale bellico. Mentre qualche settimana fa (mio telegramma per corriere n. 099 del 3 aprile u.s.) (.2) il Segretario di Stato mi aveva dichiarato essere escluso che potesse partire dalle officine tedesche materiale di guerra destinato all'Etiopia, appunto per il controllo al quale tale produzione è sottoposta da parte dello Stato, egli non fu questa volta meco altrettanto esplicito e si limitò a dire che il Governo tedesco faceva il possibile per consigliare agli stabilimenti che producono materiale bellico di non venderne all'Abissinia.

Il Signor von Biilow, ricordando alla fine del colloquio la frase da me dettagli, dichiarò che «effettivamente la Germania non aveva interesse nella questione». Non nascondo di aver rilevato una certa ironia in questa dichiarazione perché l'interesse grandissimo che tutti in Germania portano a quanto l'Italia sta facendo nell'Africa Orientale dimostra ad usura come qui si speculi sopra un nostro impegno a fondo in quelle regioni per gli scopi della politica tedesca.

(l) -Non rinvenuto, conteneva la ritrasmissione a Berlino dell'appunto, anch'esso non rinvenuto, di suvich sul colloquio con von Hassell citato appresso. (2) -Vedi serie settima, vol. XVI, D. 858.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. PER CORRIERE 2513/0135 R. Berlino, 9 maggio 1935 (per. 1'11).

Non è possibile assumere di fronte ad un altro paese un atteggiamento più condiscendente di quello di cui la Germania sta dando prova in questi ultimi tempi nei riguardi dell'Inghilterra.

L'articolo di MacDonald è scordato, il suo discorso alla Camera dei Comuni dopo la conferenza di Stresa e la risoluzione di Ginevra è stato rilevato soltanto nelle parti favorevoli verso la Germania, mentre si è omesso di menzionare quanto egli disse circa gli armamenti navali ed aerei o non vi si è dato alcuna importanza. Anche del discorso di Sir John Simon non si è parlato che per rilevarne lo spirito conciliante. Nessun accenno al battibecco fra il Ministro degli Affari Esteri inglese e Sir Chamberlain circa la pretesa di ottenere un mandato coloniale per la Germania sollevata da Hitler durante i colloqui berlinesi con gli uomini di Stato britannici.

Il telegramma di augurio spedito da Hitler al Re di Inghilterra non poteva

essere più amichevole. L'accenno all'amore per la pace del Re Giorgio appare

ai molti che hanno tuttora presente allo spirito il « Gott strafe England » del

periodo bellico come una prova manifesta che i tedeschi, quando vogliono otte

nere qualeosa, diventano adulatori e pongono in non cale la dignità.

Con altre mie comunicazioni ho fatto conoscere a V. E. come tanto il

barone von Neurath quanto il signor von Biilow, di loro iniziativa, abbiano

tenuto a menzionare meco la convenzione generale degli armamenti terrestri

come una aspirazione che sta a cuore della Germania. Anche ciò rientra nel

quadro degli sforzi che Hitler fa per mostrare all'Inghilterra che esso non do

manda di meglio che secondare i suoi desideri. Non escludo nemmeno che il

Cancelliere accetti un giorno di rientrare nella S.d.N., nonostante la risoluzione

di condanna del riarmamento germanico del 18 aprile scorso, qualora si renda

conto che l'Inghilterra vi insiste, disposta a fare in cambio qualche conces

sione importante.

V. E. si domanderà come mai i tedeschi abbiano potuto, in un periodo in cui fanno ogni sorta di moine all'Inghilterra, compiere viceversa alcuni atti tali da compromettere la loro politica. Intendo parlare della decisione comunicata da Hitler a Sir John Simon di costruire una flotta germanica che corrisponda al 35 per cento di quella britannica e della notizia, tenuta dapprima celata e comunicata agli inglesi subito dopo Pasqua, relativa alla costruzione dei dodici sottomarini da 250 tonnellate. E ciò senza parlare del discorso del Generale Goering relativo agli armamenti aerei della Germania, il quale probabilmente costituisce un «bluff», ma non è ad ogni modo tale da tranquillare gli inglesi. Ricordiamo infatti che il nervosismo britannico si manifestò nei mesi scorsi appunto quando a Londra si ebbe la sensazione che la flotta aerea tedesca era ormai una realtà e poteva quindi costituire un pericolo per la capitale dell'impero.

La spiegazione può essere data dalla nota mancanza di tatto politico dei tedeschi da un lato e dalla constatazione da essi fatta che sinora tutto quello che osarono fare, anche quando era in assoluta opposizione con i trattati, ottennero, sia pure con qualche manifestazione di malumore, la tacita sanzione delle altre Potenze.

Le discussioni dei giorni scorsi alla Camera dei Comuni ed a quella dei Lords non possono del resto che spingere i tedeschi a continuare per la via sinora seguita. Quando essi trovano fra gli onorevoli deputati ed i nobili lords inglesi i migliori avvocati, quando i sovvertitori della pace del mondo di vent'anni fà trovano nei loro più accaniti avversari di allora strenui difensori della loro politica di armamenti, la quale viene giustificata non solo, ma dichiarata garanzia di pace, perché dovrebbero i tedeschi mutare politica?

Non intendo dire con ciò che la politica del Governo inglese sia influenzata in modo decisivo da questi fautori della Germania. La conferenza di Stresa ha fornito al riguardo un esempio utile e salutare al quale ne seguiranno altri. È probabile che i tedeschi ricevano qualche doccia fredda in occasione delle prossime conversazioni fra tecnici navali a Londra. Questo è però certo: che Hitler ed il sig. von Ribbentrop sperano di poter a Londra concludere con gli inglesi circa gli armamenti navali una convenzione bilaterale. A giudicare dal resoconto parlamentare del 2 maggio del Times una tale convenzione parrebbe bensì esclusa, perché MacDonald si è espresso nei termini seguenti: «The (naval) conversation would be carried on under precisely the same conditions as those with the United States and Japan. Those two countries together with France and Italy will be informed of what takes place, because we have nothing to hide and have no intentions of making any secret or private agreement with anybody ».

Il fatto che il Premier inglese credette necessario di menzionare nel suo discorso una convenzione bilaterale, sia pure per escluderla, mi sembra corroborare il mio convincimento che i tedeschi ebbero ed hanno tuttora la speranza di poterne concludere una.

Da un rapporto del R. Addetto Navale, in data del 7 corr., che trasmetto a V. E. col telespresso odierno n. 1754/520 (l) risulta che i tedeschi vanno a Londra per informare ragguagliatamente l'Ammiragliato inglese della decisione da loro presa di possedere, nel campo navale, forze pari al 35 per cento di quelle inglesi, quali risultano dal tonnellaggio fissato dalla conferenza di Washington. Ciò significa che i tedeschi diranno agli inglesi che, fintantoché queste ultime rimarranno nei limiti di Washington, essi tedeschi intendono contentarsi di una flotta ragguagliata al 35 per cento di quella britannica, mentre se la futura conferenza di Londra dovesse stabilire per le varie Potenze

marittime tonnellaggi diversi, la Germania ragguaglierebbe le proprie forze al 35 per cento di quelle che risulteranno essere quelle inglesi.

Queste comunicazioni verranno fatte dai tedeschi a titolo informativo, senza ammettere discussioni al riguardo, allo stesso modo come furono comunicate alle varie Potenze le cifre circa il riarmo terrestre della Germania.

Gli inglesi nutrono certo preoccupazioni al riguardo, perché la decisione della Germania di iniziare immantinenti le proprie costruzioni navali potrebbe esporre l'Inghilterra al pericolo di trovarsi, almeno per qualche tempo, in una situazione di relativa inferiorità possedendo solo tipi di navi antiquate mentre i tedeschi disporrebbero già di quelle modernissime.

Mi domando quindi se gli inglesi, per ovviare a questo inconveniente, non faranno tutti gli sforzi possibili per indurre i tedeschi ad impegnarsi a ritardare le loro costruzioni sino a conferenza di Londra conclusa. I tedeschi potrebbero avere politicamente interesse ad aderire ad una simile iniziativa inglese, qualora potessero ottenere dal loro lato che fosse stipulato al riguardo un accordo bilaterale, di portata maggiore o minore a seconda delle circostanze, ma che in ogni caso avrebbe un valore morale immenso, dato che servirebbe a Hitler per avvalorare la sua teoria che i soli patti che servono sono quelli conclusi fra due Potenze. Una simile convenzione avrebbe poi un'importanza grandissima per la Germania dato che l'altro contraente sarebbe l'Inghilterra e che questa Potenza avrebbe dovuto piegarsi a concluderla nonostante le intenzioni contrarie manifestate in Parlamento da MacDonald.

Ancorché queste siano soltanto supposizioni, ritengo necessario esporle a

V. E. perché l'andata a Londra, insieme alla Commissione dei tecnici navali tedeschi, del sig. von Ribbentrop, mi fa ritenere che Hitler intende ottenere dagli inglesi qualche cosa in linea politica.

(l) Non rinvenuto.

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IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. PER CORRIERE 2518/068 R. Praga, 9 maggio 1935 (per. 1'11).

A seguito del mio telegramma filo n. 67 (l) in data odierna informo V. E. che Benes mi ha detto che l'accordo ceco-sovietico che sarà probabilmente parafato lunedì prossimo sarà identico a quello franco-sovietico salvo le due seguenti differenze:

a) un articolo conterrà il mutuo impegno di non assistenza ad uno Stato aggressore non previsto dall'accordo;

b) tenuto presente il trattato di Locarno, l'accordo ceco-russo non si applicherà praticamente a casi non previsti da Locarno; in altri termini l'accordo sarà concepito in modo che non possa applicarsi né in senso contrario a Locarno né contro Polonia.

(l) T. rr. 2478/67 R. del 9 maggio 1935, ore 18, con cui Rocco riferiva avergli Benes comunicato la prossima parafatura dell'accordo ceco-sovietico.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2537/084 R. Londra, 9 maggio 1935 (per. il 13).

Nel mio ultimo colloquio con Simon (vedi mio rapporto n. 1451/465 del 3 corrente) (l) egli mi aveva promesso che avrebbe fatto eseguire dagli Uffici del Foreign Office e del Colonial Office le più minute indagini circa eventuali forniture di armi all'Etiopia.

Vansittart, che ho visto oggi, mi ha detto che tali indagini erano state scrupolosamente compiute, e che quello che risultava era quanto segue: l) dal giorno dell'incidente di Ual-Ual nessuna fornitura di armi è partita dall'Inghilterra per l'Etiopia;

2) il Governo Britannico ha sconsigliato e scoraggiato le ditte che potevano essere interessate a fornire armi;

3) in seguito a questi passi nessuna domanda per forniture o trasporto di armi in Abissinia è stata presentata; 4) tutte le segnalazioni fatte al Foreign Office dalla R. Ambasciata circa pretese spedizioni di armi e munizioni sono risultate infondate.

Vansittart mi ha aggiunto, con riferimento specifico alla segnalazione di cui al telegramma di V. E. n. 133 (2), che comunque sono state date ieri stesso istruzioni a Porto Sudan di sorvegliare accuratamente tutti i movimenti di armi, che si può sospettare siano destinate all'Etiopia, e, anche qualora spedizioni di armi siano munite di regolare permesso, fermarle in attesa di istruzioni da Londra.

Fissato bene che nessuna spedizione di armi all'Etiopia è stata effettuata dall'Inghilterra, che dall'Inghilterra non sono partite armi, né alcuna richiesta di permesso è stata presentata, Vansittart mi ha anche assicurato che qualora nell'avvenire una domanda fosse presentata -per forniture o transito di armi attraverso territori britannici -il Foreign Office prima di darvi corso ne informerebbe subito la R. Ambasciata.

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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DEL BELGIO A ROMA, LIGNE

APPUNTO. Roma, 9 maggio 1935.

Ho visto l'Ambasciatore de Ligne che mi ha chiesto informazioni sulla situazione politica generale. Gli ho detto, a proposito del maggiore Dothée, che avevamo avuto ancora delle ulteriori segnalazioni.

L'Ambasciatore mi ha risposto che il Governo belga aveva:

l) dato gli ordini più severi alla missione in Etiopia;

2) rifiutato l'invio di altri ufficiali sebbene gli abissini avessero pagato già anticipatamente; 3) disposto che in caso di conflitto la missione belga fosse ritirata; 4) fatto sospendere dalle ditte private tutte le forniture di armi per l'Abis

sinia. Il Governo belga ha dato tutte le prove di buona volontà che da lui si erano richieste. Se ci fossero nuove segnalazioni sul conto dei componenti la missione l'Ambasciatore mi pregava di inforrnarlo ed egli se ne sarebbe molto volentieri reso interprete presso il Governo di Bruxelles. Pregava però in tal caso di dargli dei fatti precisi. Come si è visto molte delle segnalazioni che erano state fatte antecedentemente non rispondevano a verità (l).

(l) -Vedi D. 134. (2) -Vedi D. 134, nota l p. 128.
172

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. [Roma], 9 maggio 1935.

RELAZIONE SULLA CONFERENZA TRIPARTITA DI VENEZIA (4-6 MAGGIO 1935)

La discussione di Venezia (2) è stata, come già preavvertito, esplorativa. Si è trattato, infatti, di vedere se [e] fino a che punto potesse trovarsi una base di intesa tra Italia, Austria e Ungheria, che potrebbe, a sua volta, costituire un avvicinamento al punto di vista degli altri Paesi partecipanti al Patto. Evidentemente in tutte queste trattative la situazione più delicata è quella dell'Ungheria, situazione della quale bisogna assolutamente tenere conto se si vuole mettere la questione su una base realistica e portare le discussioni ad un risultato.

Le conversazioni di Venezia si sono svolte sui seguenti punti:

l) condizione pregiudiziale posta dall'Ungheria che sia liquidato l'incidente magiaro-jugoslavo. Tale condizione era nota; non c'è nulla da opporre alla richiesta ungherese: l'unica cosa da fare è sollecitare con un'azione concorde delle maggiori potenze la conclusione di tale incidente. Se l'incidente non potrà essere regolato prima del 20 maggio (riunione del Consiglio della S.d.N.) difficilmente prima di tale data potranno partire gli inviti per la conferenza.

Per quanto riguarda il merito della possibile soluzione dell'incidente, si crede di poter affermare che l'Ungheria non intende in modo assoluto procedere ad altre sanzioni oltre quelle prese contro propri funzionari. Si potrebbe forse ottenere una dichiarazione, purché questa fosse reciproca, però che gli elementi già acquisiti siano sufficienti per mettere la parola fine all'incidente, purché ci sia un po' di buona volontà da parte di tutti.

2) Revisione. Il Governo ungherese desiderava che in tale occasione fosse regolata in qualche [modo] la questione del revisionismo. Si è indotto tuttavia a non richiedere al momento di trattar detta questione.

3) Parità di diritti. Il punto di vista tanto dell'Austria che dell'Ungheria è il seguente: colla dichiarazione 11 dicembre 1932 si è riconosciuta la parità di diritti purché ci sia la contropartita della sicurezza. La sicurezza è costituita dal Patto di non ingerenza e quindi con la conclusione di tale patto anche la parità di diritti deve essere riconosciuta. Tale parità di diritti non può essere che incondizionata come è incondizionato il riarmo della Germania. Se così non fosse bisognerebbe venire alla conclusione che il metodo buono è quello degli atti arbitrari anziché quello degli accordi. L'Ungheria anzi richiederebbe il riconoscimento della parità di diritti prima di firmare l'accordo di non ingerenza.

Si è osservato che le due questioni possono avere una soluzione contemporanea.

Alla tesi prospettata dall'Austria e dall'Ungheria in linea di logica non c'è nulla da opporre. Va anzi rilevato che l'Austria sostiene che questo punto è di importanza fondamentale per combattere il Nazismo, che oggi proclama altamente che l'Austria non ha che un modo per risolvere i propri problemi: quello di unirsi più: strettamente possibile alla Germania. Se non si vuole svalutare la tendenza per l'indipendenza austriaca e esautorare il Governo e i partiti che lo sostengono, bisogna dare all'Austria questa soddisfazione.

Tuttavia per avvicinare il punto di vista dell'Austria e dell'Ungheria a quello delle altre potenze che dovrebbero partecipare al Patto, si è prospettata la seguente possibilità: colla conclusione del Patto di non ingerenza si è realizzata la condizione della sicurezza e quindi ne deriva per gli Stati disarmati la parità di diritti. Al più presto dovrà intervenire un accordo per la realizzazione di tale parità di diritti.

Si è chiesto anche all'Austria e all'Ungheria se sarebbero disposte a comunicare il programma del loro riarmo, programma che dovrebbe estendersi a quattro o cinque anni. Questa nostra proposta non è stata accettata. Tuttavia i due Stati si sono riservati di riesaminare la questione e di dare una risposta quanto prima possibile.

Per quanto riguarda il controllo, l'Austria e l'Ungheria sono disposte ad accettarlo purché sulla base della reciprocità.

4) Diritti acquisiti. L'Ungheria è pure preoccupata che attraverso il nuovo Patto non possano venire diminuiti i diritti che le derivano da altre convenzioni tuttora esistenti (Covenant, Trattato per le minoranze, ecc.). Si è espresso chiaramente il parere che ciò non deve avvenire e si è ritenuto che non ci possa essere nessuna difficoltà da nessuna parte a chiarire in modo preciso tale punto.

5) Contenuto del Patto. Tanto l'Austria che l'Ungheria, salvo conferma da parte di quest'ultima, hanno aderito ad accettare, come oggetto del Patto generale, la non aggressione, la non ingerenza e la consultazione semplice.

Potrebbe invece, salvo conferma da parte dell'Ungheria, formare oggetto dei patti particolari bilaterali la specificazione dei fini che si vogliono raggiungere e le modalità di questa consultazione «en vue des mesures à prendre ».

Questa forma di consultazione potrebbe essere regolata secondo uno schema

unico. In più i contraenti dei singoli accordi bilaterali possono completare tale

clausola concordata con altre disposizioni tendenti sempre a realizzare i fini

dell'accordo generale.

I patti particolari sono facoltativi, sia per quanto riguarda la clausola di

consultazione a tipo unico che per quanto riguarda le ulteriori eventuali aggiunte.

Devono essere però portati a conoscenza degli altri partecipanti all'accordo

generale (l).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussollni. (2) -Vedi DD. 144, 145, 146, 150, 151, 152.
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L' AMBASCIATOHE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. 1091/431. Varsavia, 9 maggio 1935 (per. il 13).

Ringrazio V. E. della comunicazione datami del colloquio di Venezia fra

S. E. il Sottosegretario ed il Ministro Beck (2), nonché dell'appunto datato 15-17 aprile del Capo della nostra Delegazione a Ginevra (3).

Le due comunicazioni non richiedono alcuna aggiunta da parte mia, permettendo la prima di constatare il favorevole svolgimento dei rapporti italopolacchi, e la seconda di giudicare il valore pratico che questi sono venuti assumendo nel quadro internazionale. Mi limito perciò a sottolineare la necessità di mantenere la nostra situazione attuale con la Polonia su quel piano di cordiale collaborazione che è venuto a stabilirsi, il quale mentre dilata la nostra influenza fino a questa regione arricchisce di elementi non trascurabili le nostre facoltà.

È curioso e potrebbe perfino apparire provvidenziale, che nel momento in cui la Francia alleata della Polonia stringe con i Sovieti un'alleanza, l'antico adagio «gli amici dei nostri amici sono nostri amici » trovi una nuova smentita nei rapporti sovietico-polacchi come già l'aveva trovata nei rapporti polono-cechi.

È destino, a mio avviso, che la Francia paghi prima o poi a caro prezzo il fio di questa « mésalliance » che il Sindaco di Lione ha patrocinato con tanto -molti insinuano non disinteressato -calore, e quando ciò avverrà non sarà la prima volta che il Quai d'Orsay si troverà costretto a registrare disgr.azie del genere, ma v'è un tantum non trascurabile di conseguenze che il patto franco-sovietico ha fin da adesso nel quadro generale europeo, e questo sembra avvantaggiare l'Italia che con la sua azione equilibratrice e moderatrice svolta durante la laboriosa gestazione del patto e con il realismo e la comprensione di cui sembra essere sola a dar prova, ha conquistato in questa regione quasi d'un tratto una posizione di rilievo che Varsavia avverte non meno di Mcsca e

di Berlino. Così mentre il Cancelliere teutonico si sforzava d'immobilizzare la politica italiana perfino alle porte di casa nostra, ecco questa mostrarglisi alle porte di casa sua come un elemento attivo capace di attaccare la base puramente negativa da lui data ai rapporti polono-germanici, ed apparirgli a Ginevra come la determinante dell'effettivo isolamento della Germania. Così a Varsavia dove -va sempre tenuto presente -la politica è più reazione che diretta inspirazione ed abbisogna di cordiali «ménagements » e non di eccitanti, non sfugge che l'Italia ha voce e spirito d'iniziativa sufficienti ad influenzare profondamente i rapporti europei, come ha interesse a contenere le brame tedesche ed il risorto panslavismo russo convergenti nella regione danubianobalcanica. E ben venga l'Italia su questa frontiera da cui, pronuba la Francia, potrebbe un giorno erompere l'Asia!

Così a Mosca dove non sì era pensato che il fattore italiano potesse intervenire sulla Vistola, mentre si trovava perfettamente naturale che il fattore sovietico dovesse interferire da Praga a da Ankara nei centri più vitali dei nostri interessi, e dove si dovrà tener conto di questo fatto nuovo che è la collusione itala-polacca.

E questo è, a mio rimesso avviso, il valore della carta polacca, senza contare quello che nel settore danubiano e balcanico può assumere in determinate circostanze dati i rapporti stabilitisi fra la Polonia e quei Paesi, specie nei confronti della Cecoslovacchia e della Piccola Intesa.

A tal proposito conviene sottolineare che Beck non ha mai tralasciato occasione di ripeterini che nel settore danubiano e balcanico la Polonia, approvando in linea di massima le direttive italiane, sarebbe anche pronta ad appoggiare eventualmente nostre iniziative in quelle regioni. A questo punto mi preme di rilevare particolarmente che già una volta, e mi affrettai ad informarne V. E., e poche settimane fa un'altra volta lo stesso Beck mi dichiarò esplicitamente essere stato convenuto durante il viaggio di S. E. Grandi in Polonia (l) una specie di « gentlemen agreement » per il quale Roma non avrebbe ostacolato l'attività polacca nei Paesi baltici in cambio del suddetto atteggiamento della Polonia nella regione del Danubio e dei Balcani.

Di tale accordo non esiste traccia presso quest'Ufficio, né ritengo siano a conoscenza le R. Legazioni interessate, nel fare avvertito V. E. che qui lo si considera efficiente, esprimo altresì rimesso avviso che allo stato delle cose nessun vantaggio deriverebbe ai nostri interessi da una modificazione della nostra linea di condotta di amabile riserbo in quei Paesi la cui posizione ricorda quella dei vasi di terracotta manzoniani e talvolta perfino quella dei capponi di Renzo.

A conclusione di questo mio breve rapporto desidero rilevare che l'elemento che ha permesso il crearsi di questa atmosfera tra la Polonia e l'Italia è stato la fiducia che Roma ha avuto in Varsavia la quale ha condotto la Polonia ad aver fiducia nell'Italia.

L'invito che V. E. rivolse alla Polonia di partecipare alla Conferenza Danubiana deve avere certamente suscitato non poche meraviglie in Europa dove la certezza che Polonia e Germania si fossero accordate a spese dell'Austria era generale, ma qui non si tardò a comprenderne il grande valore ed a mo

strarsene grati a Ginevra dove il Delegato italiano poté ottenere che Beck si schierasse con gli altri nella condanna della Germania. Con lealtà di cui va preso atto il Governo polacco, nonostante il suo bisogno di valuta, ha proibito di propria iniziativa qualsiasi vendita di materiale da guerra all'Abissinia e Beck ha parlato a S. E. Suvich ed a S. E. Aloisi con una franchezza che non dimostra a tutti.

Basterà che da parte nostra si continui a dare alla Polonia l'impressione della nostra considerazione, per rafforzare in questo Governo e nell'opinione pubblica il sentimento che aver fiducia nell'Italia sia per la Polonia una necessità ed un vantaggio (1).

(l) -Questo appunto è stato trasmesso, con alcune varianti, a Pignatti (T. per corriere 843 R. dell'll maggio 1935) con l'istruzione di «voler informare dettagliatamente e in via riservata di quamto precede codesto Governo, con la preghiera di volerei far conoscere in argomento le sue osservazioni anche in relazione ai contatti che il sig. Lava! dovrebbe avere già avuto con la Pi.ccola Intesa», a Rocco, Sola e Viola (T. 846/C. R. del 12 maggio 1935, ore 3) e a Bastianini (T. 8·56/C. R. del 13 maggio 1935, ore 24), con istruzioni di «voler informare opportunamente e in via riservata di quanto precede codesto Governo, con la preghiera di volerei far conoscere i.n argomento le sue osservazioni». Per le risposte da Parigi, Praga, Budapest e Belgrado vedi rispe.ttivamente DD. 229, 204, 200 e 216. (2) -Vedi D. 63, (3) -Vedi D. 43.

(l) Vedi serle settima, vol. IX, p. 74, nota 3.

174

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2485/87 R. Bruxelles, 10 maggio 1935, ore 11,14 (per. ore 12,30).

Le forti pressioni dell'industria pesante sul Governo hanno indotto questo ultimo ad incaricare codesta Ambasciata del Belgio di dare costì una interpretazione estensiva della quota di armi e munizioni già ordinate da tempo, di cui questo Primo Ministro mi dichiarò un mese fa (2) non (dico non) potersi arrestare l'esportazione in Etiopia.

Con odierno telegramma per corriere numero 029 (che giungerà a Roma lunedì 13 corrente (3) invio elementi di ragguaglio, i quali potranno riuscire utili a determinare atteggiamento che V. E. crederà adottare al riguardo.

175

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. RR. 4317/143 P.R. Roma, 10 maggio 1935, ore 21,30.

Letto tuo molto importante rapporto (4). C'è, forse, una leggera rettifica nell'atteggiamento inglese. Per il momento non aggiungere nulla al Foreign Office, ma continua a lavorare l'ambiente.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Vedi serie settima, vol. XVI, D. 898. (3) -Con T. per corriere 2542/029 R. del 10 maggio 1935 Vannutelli riferiva di aver nuovamente intrattenuto sulla questione della fornitura di armi all'Etiopia Van Zeeland il quale aveva segnalato l'impossibilità per il Governo belga, per ragioni di politica finanziaria ed interna, di ritirare le licenze di esportazione da tempo accordate. Vannutelli, nell'informare che Van Zeeland aveva accennato all'eventualità dell'acquisto da parte dell'Italia delle forniture stesse, comunicava inoltre che avrebbe tentato di convincere il Ministero della Difesa Nazionale belga a rilevare le ordinazioni fatte dall'Etiopia. Per la risposta di Suvich vedi D. 217. (4) -Vedi D. 134.
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L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 2501/129 R. Buenos Aires, 10 maggio 1935, ore 23,45 (per. ore 8 dell'11).

Ho avuto oggi al Ministero degli Affari Esteri una lunga conversazione con Saavedra Lamas.

Ho cominciato col parlargli del Chaco.

Egli, nel confermare con enfasi affermazione che l'Argentina non intende in alcun modo fare una questione di vanità nelle precedenze tra Paesi mediatori, mi ha nel fatto dipinto la situazione all'incirca come esposta nel mio telegramma n. 127 (l) di ieri. Ha poi subito francamente aggiunto con tono confidenziale tenere Argentina moltissimo a che la pace tra belligeranti possa sostanzialmente concretarsi in Buenos Aires. Mi ha (non senza una abbastanza trasparente compiacenza) amichevolmente alluso a speranza favorevole atteggiamento italiano a riguardo accennando all'inquadramento dell'azione Argentina nelle direttive dell3: S.d.N. in quanto, come membro del Consiglio, Buenos Aires può considerarsi una specie di longa manus di Ginevra mentre, egli mi ha osservato, eventuale iniziativa di pace apertamente capitanata da uno Stato che non faccia parte della Lega delle Nazioni potrebbe facilmente interpretarsi in senso dimostrativo antisocietario.

Pur avendo naturalmente cura di non dare alcun aspetto comunque impegnativo alle mie parole, ho dimostrato di considerare non prive di logica le deduzioni del ragionamento fatto, ed ho lasciato comprendere che ne avrei a titolo informativo riferito a V. E. Ciò mi ha dato agio di chiedere al mio interlocutore il programma delle prossime riunioni di Ginevra e di portare cosi del tutto incidentalmente il discorso anche sull'Etiopia.

Saavedra Lamas si è molto interessato descrizione caotica condizione feudale di quello Stato semi-barbaro, nonché provocatrice attitudine del Negus. Non ho d'altra parte mancato condurre sua attenzione sulle probanti constatazioni relative alla attiva ostinata perdurante schiavitù, agli ininterrotti armamenti ed alla assoluta incapacità (se non forse addirittura mancanza di volontà) del Governo imperiale di imporre alle proprie tribù periferiche rispettare di, ritti primordiali degli Stati limitrofi.

Dopo di che, pur senza che 10 abbia perciò dovuto formulare nessuna richiesta precisa, ho potuto chiudere cordiale conversazione sulla categorica dichiarazione di questo Ministro degli Affari Esteri: «Per tutto quanto possa concernere Ginevra, il voto dell'Argentina sarà a fianco dell'Italia (sic) ».

In vista carattere strettamente confidenziale dato alle sue parole dal mio interlocutore non (ripeto non) ho comunicato ad altre Capitali il presente telegramma.

Qualora V. E. giudicasse eventualmente opportuno che io concreti in qualche modo maggiormente presso Saavedra Lamas, pregherei telegrafarmi (2).

17 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. I

(l) -Vedi D. 166. (2) -Vedi D. 203.
177

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI

T. 4324/53 P. R. Roma, 10 maggio 1935, ore 24.

Suo 63 (1).

Prego V. E. voler ringraziare codesto Ministro Affari Esteri per pronto intervento affine vietare forniture belliche all'Abissinia da parte fabbriche polacche e pregarlo volere disporre di guisa che altri eventuali tentativi del genere non abbiano seguito.

Osservo che non (dico non) è da escludersi che forniture belliche per Abissinia vengano ordinate da intermediari celando loro vera destinazione o simulando destinazione diversa (2).

178

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2565/086 R. Londra, 10 maggio 1935 (per. il 14).

Mi sono recato oggi da Vansittart per attirare la sua seria attenzione su alcuni sgradevoli commenti comparsi sulla stampa di stamane e su altri che mi risulta saranno pubblicati domani (vedi mio fonogramma odierno n. 131) (3) circa i nostri preparativi militari nell'Africa Orientale e l'attitudine dell'Italia a Ginevra, commenti che so in buona parte provenire da fonte ufficiosa.

Ho avuto con Vansittart un'altra discussione, durata due ore circa, sull'intera questione itala-etiopica e sulla necessità per l'Italia di risolvere una buona volta e per sempre il problema della sua sicurezza africana. Tale discussione si è svolta più o meno sulle linee delle due precedenti conversazioni riferite con mio recente rapporto n. [1451/465] del [3] maggio corrente (4).

Ho detto a Vansittart che il Duce non mancherà di apprezzare le assicurazioni datemi ieri (mio telegramma n. 084 di ieri) (5) circa la condotta che il Governo britannico si è impegnato a seguire in materia di importazioni di armi in Etiopia. Ma io gli ho di nuovo dichiarato nello stesso tempo che il perdurare di questa volontà di incomprensione da parte britannica della necessità in cui si trova l'Italia di risolvere il problema africano, non potrà mancare di avere delle serie conseguenze su quella che è stata finora la collaborazione itala-britannica nei maggiori problemi europei. Vansittart ha risposto dicendo che egli vede con dolore aumentare giorno per giorno la possi

15) Vedi D. 170.

bilità ed i pericoli di una frattura del fronte itala-britannico, e di questa situazione la Germania sarà pronta a profittarne a danno di tutti. Ho replicato che appunto per ciò era tanto più biasimevole e inspiegabile l'attitudine britannica nei riguardi della questione etiopica, e che mediante un leale tempestivo accordo fra le tre Poten:-:e interessate il problema abissino sarebbe risolto presto e facilmente, nel comune interesse. Vansittart mi ha interrotto dicendo che l'attitudine dell'Italia e la volontà di fare la guerra ormai pubblicamente dichiarata nei comunicati e nelle manifestazioni ufficiali rende per ragioni di politica generale ancora più difficile al Governo britannico di discutere un accordo con l'Italia sulle linee di quello che l'Italia ha concluso con la Francia «sebbene -ha continuato Vansittart -ritenga che nessun serio contrasto esista fra i nostri e i vostri interessi coloniali in Etiopia». Ho replicato vivacemente ricordando a Vansittart che sin dal 27 gennaio il Governo fascista ha proposto al Governo inglese una franca discussione sull'intero problema etiopico (1), e che il Governo fascista attende tuttora una risposta, « L'Italia -ho detto -non può misurare la necessità della sua azione militare, al lentissimo e laborioso processo di comprensione della mentalità britannica. Il problema della S.d.N. è un ostacolo di natura artificiale: esso costituisce uno dei più evidenti paradossi della politica erroneamente considerata realistica dell'Inghilterra. Questo problema non va sopravalutato. Ma poiché il Governo britannico -ho continuato ---sembra voler fare dell'intervento della

S.d.N. nella controversia itala-etiopica una questione di tanta importanza, perché non considerare la soluzione del problema etiopico proprio attraverso la stessa S.d.N., nel senso che il Consiglio della S.d.N. dia ufficialmente all'Italia il mandato di distruggere l'anarchia, di restaurare l'ordine ed attuare in Abissinia la sua missione civilizzatrice? »

Vansittart mi ha domandato se parlavo a titolo ufficiale o personale. Gli ho risposto che l'idea era puramente personale suggerita esclusivamente dalla discussione, non avendo istruzioni su questo punto. Vansittart ha risposto che ad ogni modo una soluzione come questa gli appariva molto difficile e pregiudicata dall'esperienza del conflitto cino-giapponese per il Manciukuo. Tutte le piccole Potenze avrebbero protestato di fronte ad una soluzione di questo genere. Ho replicato che l'esperienza del Giappone valeva precisamente quale precedente in favore, non contro, e in quanto alle piccole Potenze, bisogna una volta decidersi su quello che deve essere Ginevra: vogliono gli inglesi che Ginevra diventi l'effettivo strumento di pace delle tre grandi Potenze occidentali, oppure che continui ad essere un ridicolo Parlamento della democrazia universale? In questa seconda ipotesi meglio per l'Italia fare quello che hanno fatto con tanto materiale successo il Giappone e la Germania. Ad ogni modo -ho concluso -nessun errore più grossolano e più grave di ritenere che un movimento di pubblica opinione, anche se britannica, possa fermare o deviare o mutare l'azione di Mussolini. L'Inghilterra ha fatto quarant'anni fa la guerra boera, contro l'opinione pubblica di tutto il mondo, e malgrado ciò ha tirato diritto sino in fondo. Fuori o dentro la S.d.N. col mandato o senza della S.d.N., l'Italia farà lo stesso.

(l) -Con T. 2460/63 R. dell'B maggio 1935, ore 14,18, Bastianini riferiva che il Governo polacco aveva posto il divieto di vendita di armi destinate all'Abissinia. (2) -Per la risposta di Bastianini vedi D. 261. (3) -Non pubblicato. (4) -Vedi D. 134.

(l) Vedi serie settima, vol. XVI, DD. 492 e 510.

179

IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. 1272/500. Tirana, 10 maggio 1935 (1).

Ho avuto con Re Zog un lungo colloquio, nel corso del quale ho esposto al Sovrano, nei termini prescrittimi da V. E. col telegramma per corriere

n. -3620 del 22 aprile u.s. (2), le concessioni di carattere finanziario che i1 R. -Governo sarebbe disposto a fare a quello albanese. Il colloquio era destinato a concludere, almeno in linea di principio, l'accordo sulle principali questioni oggetto dei negoziati in corso. Effettivamente il Re attendeva le mie comunicazioni sul capitolo finanziario per disporre la presentazione al Parlamento del bilancio per l'attuale esercizio. Le attendeva, inoltre, a quanto mi è stato confidenzialmente riferito, per decidere una crisi ministeriale, da tempo in gestazione, che avrebbe dovuto portare alle varie amministrazioni statali uomini decisamente orientati verso una politica di collaborazione con noi. Re Zog mi ha dichiarato senz'altro il suo accordo per le seguenti concessioni, colle modalità di realizzazione per ciascuna indicatemi:

1°) prestito dei dieci milioni di franchi oro; 2°) prestito per il Monopolio dei Tabacchi, previa regolarizzazione delle tre note questioni interessanti l'A.I.P.A.; 3°) concessione a fondo perduto per il risanamento del bilancio;

4°) liquidazione delle pendenze relative al prestito decennale;

5°) regolamento della posizione dei nostri organizzatori civili.

Mi ha invece categoricamente detto il suo disaccordo sopra questi argomenti: a) creazione di un istituto di credito agricolo nelle condizioni da noi progettate;

b) concessione a società italiana della gestione del porto di Durazzo;

c) regolamento del credito S.V.E.A.

Ho l'impressione che il Re, abituato a maggior larghezza in passato, e stretto dalla difficile situazione economico-finanziaria che traversa il paese, pur non movendo obiezioni, sia stato non favorevolmente disposto dalla cifra del prestito che siamo disposti a concedere, e sopratutto dal fatto che lo stesso si riduce, per parte contante -il prestito è detto «agricolo», e, in principio, destinato all'agricoltura, ma, in realtà, ad integrare l'insufficienza del bilancio attivo -ad un milione annuo, essendo, per altrettanto, corrisposto in materiale agricolo. Proporzione questa assai forte anche senza tener conto dell'eventuale altezza dei prezzi del detto materiale e delle possibilità del suo utile collocamento in paese. Mentre il prestito, in queste condizioni, non può giungere a sollevare efficacemente e sopratutto immediatamente le risorse statali, d'altra

parte so che non sono mancati, in questi ultimi tempi, influenti consiglieri che ci hanno rappresentato al Sovrano come desiderosi di liquidare formalmente, con un vantaggioso forfait, i gravi impegni presi in occasione del prestito decennale. Comunque, ripeto, il Sovrano non ha creduto di fare difficoltà in argomento.

P.er l'Istituto di Credito Agricolo, invece, Re Zog mi ha nettamente dichiarato che riteneva assolutamente impossibile di fronte all'opinione pubblica albanese di accettarne la creazione nelle condizioni da noi progettate. Secondo lui l'Istituto non potrebbe essere che prettamente albanese, sia pure col più rigoroso controllo di nostri specialisti e previe eventuali intese per eliminare qualsiasi interferenza dell'Istituto medesimo cogli interessi della Banca Nazionale d'Albania.

Ho lungamente dimostrato al Re le difficoltà ed i rischi, per qualsiasi paese, di un efficiente organizzazione di credito agricolo, difficoltà e rischi che potevano facilmente far prevedere, in Albania, nelle speciali e complesse circostanze locali, malgrado ogni stretto controllo dei nostri consulenti, un insuc. cesso ed un rapido esaurimento del capitale. Re Zog si è dimostrato irremovibile ed ha finito col dichiararmi che, tutto considerato, qualora dovessimo insistere nel nostro progetto, preferirebbe rinunziare ai cinque milioni offerti per l'Istituto di Credito Agricolo. Ho replicato che, dal momento che, con tale offerta non ci prefiggevamo altro scopo che quello di corrispondere in forma utile ad una richiesta albanese, e, nel tempo stesso, di venire in aiuto degli agricoltori, non avrei, dal canto mio, insistito per l'accettazione della nostra offerta.

Nello stesso ordine politico di idee anche per la questione della concessione dell'esercizio del porto di Durazzo a Società Italiana, il Sovrano, pur riservandosi, dopo più approfondito studio dell'argomento, una risposta definitiva, non mi ha nascosto la sua aperta contrarietà. Egli, replicando alle mie argomentazioni sopra i sacrifici che ci imporremmo, a tutto vantaggio dell' Albania, coll'assumere tale esercizio, sacrifici che l'Amministrazione albanese non sarebbe capace di sopportare, né di utilizzare convenientemente, mi ha dichiarato che, data la scarsezza dei traffici, il porto di Durazzo potrebbe anche rimanere nello stato in cui presentemente si trova. Il porto è stato costruito e corrisponde, essenzialmente, ad esigenze militari. Egli, alleato, sul punto di riconfermare la sua collaborazione politica, non potrebbe essere che fedele garante di tali esigenze. Noi potremo fare nel porto di Durazzo ogni opera che crederemo utile, vigilare e disporre per mezzo di nostri tecnici. La concessione formale dell'esercizio ad una società italiana, mentre non potrebbe darci di più, conforterebbe i numerosissimi critici delle concessioni del Re all'Italia e sarebbe pretesto di rinvigoriti attacchi al regime ,in Albania e fuori. Il Re si è riservato una risposta, che prevedo, peraltro, non si discosterà, sostanzialmente, dal suesposto suo punto di vista. Richiamo del resto, in proposito, le precedenti corrispondenze in argomento, e segnatamente il mio telespresso

n. 4420/1931 del 29 dicembre u.s. (1).

Per la questione S.V.E.A., riferivo all'E. V. fin dal 17 novembre u.s. -rapporto n. 3961/1741 (1), che fin dal mio arrivo a Tirana, avevo avuto l'impres

sione che la questione stessa rappresentasse il punto centrale ed essenziale di una sistemazione delle relazioni italo-albanesi. Ho avuto ora formale conferma che non mi ero ingannato. L'argomento S.V.E.A. è stato il punto più difficile e determinante della piega del mio colloquio col Re. Il Sovrano è stato insolitamente agitato quando si è sentito dire che, ad accordi conclusi, pur col generico favore del R. Governo, il Governo albanese avrebbe dovuto provvedere ad un regolamento diretto coi rappresentanti della Società per il debito

S.V.E.A. Re Zog, edotto dell'esperienza di passati ed inconclusivi ed inconcludibili negoziati del genere, messo in punto di amor proprio da minacce di sanzioni che si afferma -sarebbero state formulate, in tale occasione, dai detti rappresentanti, non intende negoziare colla S.V.E.A. che nei soli riguardi formali. Egli desidera che la questione sia, in principio, esaminata e risolta, sostanzialmente, con rappresentanti del R. Governo. Egli non ha rinunciato, in relazione a situazioni politiche che si tratta di stabilire, e interpretando a suo modo assicurazioni favorevoli che gli sarebbero state date, in passato, a chiedere una considerazione, anche politica, oltre quella dell'effettiva impossibilità albanese di pagare somme pur relativamente modeste, del problema. Per intanto, egli domanda al R. Governo, un'assicurazione anche verbale, per mio tramite, che la S.V.E.A. concederà una moratoria di almeno cinque anni. Ogni mia argomentazione di principio e di pratica non ha valso a rimuovere il Sovrano da questa sua precisa richiesta.

A conclusione della discussione e del colloquio, mi sono limitato a dire che avrei informato l'E. V. dei punti di dissenso manifestatimi dal Re, dissenso che, ragionevolmente, non mi sarei atteso di dover constatare.

Ho avuto la sensazione, confortata da notizie giuntemi dall'entourage di Re Zog, che questi si agiti ogni volta che in qualsiasi affare egli veda apparire interessi ed ingerenze del binomio Banca d'Albania-S.V.E.A. che, per ragioni varie, per atteggiamenti ed attività non sempre adeguati ad una oculata politica in questo paese, riscuotono qui troppo scarse simpatie. Ciò dicasi per tutti e tre gli argomenti di dissenso: Credito agricolo, Porto e S.V.E.A.

Quanto alla questione della moratoria, ebbi già nel rapporto sopra citato ad esporre all'E. V. un mio subordinato parere di massima che sarebbe negativo. Non perché non riconosca l'effettiva impm,sibilità per il Governo albanese, nelle circostanze presenti di far fronte ai suoi impegni, anche ridotti in misura normalmente modesta, ma perché so la preoccupazione del R. Ministero che i pegni restino, in continuazione, non solo « fermi » -che tali rimarrebbero pur con un accordo di moratoria -ma «operanti», per inadempienza del debitore, in qualunque momento. Ma, giunta la cosa a questo punto, e messa ormai sul tappeto la questione, quale formale richiesta, da parte del Re -sorretto, ritengo, nel desiderio di allentare la minaccia S.V.E.A. dai consigli di questo Ministro d'Inghilterra -bisognerà pure affrontare in pieno, una volta, questo problema di quadratura del circolo. Rilevo, in proposito, che in occasione della moratoria accordata dalla S.V.E.A. nel 1928, il R. Ministero telegrafava al Ministro Sola (Telegramma Gabinetto n. 1539/701 del 23 novembre 1927) (l) che il Gr. Uff. Alberti aveva elaborato un congegno tecnico, mediante il quale,

anche durante il periodo di moratoria, sarebbe stato possibile riservarsi l'esercizio del diritto aipegni. Dagli atti in possesso della R. Legazione, in che cosa consista tale congegno non risulta. Potrebbe essere utile prenderlo in esame e studiare se esso, anche nelle presenti circostanze, possa essere considerato capace di risolvere il difficile problema.

Riassumendo: Malgrado che nessuna parola, tale da modificare formalmente la situazione di fatto creatasi qui negli ultimi tempi, sia stata detta, mi risulta che il Re considera, quanto meno, la possibilità che, per parte nostra, la conclusione di un accordo richieda ancora un certo tempo. A questa convinzione corrisponde il fatto che egli non abbia più esitato a far presentare al Parlamento il bilancio ridotto, che fra altro, defalca circa due milioni di franchi oro sulle spese dell'esercito, facendo precedere la presentazione da un invito al Consiglio dei Ministri -la crisi è rimandata -di realizzare, nel corso dell'esercizio, ogni possibile economia, visto che, per il momento almeno, l'Albania deve poter contare soltanto sulle proprie risorse. Mi consta, peraltro, che il Sovrano non ha perduto ogni speranza che possiamo venirgli incontro nelle questioni rimaste in sospeso. L'opinione pubblica, che dal fatto della presentazione del bilancio ridotto, trae la convinzione più radicale che le speranze di accordo coll'Italia siano oramai scarsissime, è particolarmente abbattuta.

La situazione determinatasi è, quindi, tale da consentirci ancora nei confronti albanesi una maggiore libertà di iniziativa, in relazione ad eventuali convenienze della nostra politica balcanica. Dico questo, perché apprendo dai giornali di un prossimo incontro di S. E. il Sottosegretario di Stato con Jeftic.

Comunque, mi sarebbe assai utile, per convenienze di situazione locale, e per poter meglio riferire all'E. V. alcuni dettagli di tale situazione, necessari ad apprezzarne i possibili sviluppi, il fare a Roma una breve corsa di tre o quattro giorni. Onoromi pregare l'E. V. di volermene concedere, telegraficamente, l'autorizzazione (l).

(l) -Manca l"indicazione della data di arrivo. (2) -Vedi D. 65.

(l) Non pubblicato.

(l) Non pubblicato.

180

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON IL CANCELLIERE FEDERALE AUSTRIACO, SCHUSCHNIGG

VERBALE (2). Firenze, 11 maggio 1935, [ore 11-13].

Il Capo del Governo chiede informazioni sul progresso delle forze armate in Austria.

Il Cancelliere risponde che per la metà di giugno l'esercito potrà essere costituito su sei-sette divisioni; esse non sono ancora del tutto pronte mancando in parte l'artiglieria e qualche battaglione che viene completato rapidamente. È intenzione poi di arrivare fino a dieci divisioni.

Il Capo del Governo osserva che è già una forza discreta. Chiede notizie sull'affidamento che danno gli ufficiali dal lato politico.

Il Cancelliere risponde che nel complesso il corpo degli Ufficiali non gli dà preoccupazioni per quanto riguarda la fedeltà. Vengono creati da sessanta ad ottanta ufficiali all'anno dall'Accademia di Wiener Weustadt, ed un corrispondente numero di cadetti: tutti con educazione patriottica. Per quanto riguarda la coscrizione obbligatoria, il Cancelliere riconferma che si vuole stabilire il principio, ma fare poi una scelta del contingente di leva per fare entrare nell'esercito quelli più sicuri.

Il Capo del Governo chiede a che punto siamo con la unificazione delle formazioni para-militari.

Il Cancelliere risponde che questo progetto è in marcia.

Il Capo del Governo ritiene che sarebbe opportuno che qualche reparto delle Milizie entrasse nell'Esercito a titolo di riconoscimento per i meriti patriottici che si sono acquisiti.

Il Cancelliere è d'accordo. Deve però confessare che ci sono ancora alcune rivalità tra Esercito e Milizie. Sono cose che si metteranno a posto un po' alla volta. Si è preso ora un Ufficiale Generale come istruttore per la gioventù del «Fronte Patriottico».

Il Cancelliere ringrazia per l'invio dei fucili. Prega di sollecitare la fornitura dei quindici carri veloci già ordinati. Questi assieme al battaglione di tanks che l'Austria già possiede rappresenterebbero l'armamento sufficiente per l'Austria in questo campo. Prega anche di sollecitare la consegna degli aeroplani. Ne sono stati ordinati dieci e sono stati consegnati fino ad ora solamente due. Per i carri veloci il pagamento potrebbe essere fatto subito. Per gli aeroplani bisognerebbe che fosse dilazionato. Non si potrebbe pagare con legname?

Il Cancelliere chiede anche se ci fossero ancora degli obici austriaci da 150 preda bellica. Essi sarebbero molto utili per l'Austria. Il Capo del Governo s'interesserà di tutte queste questioni sollevate dal Cancelliere.

Il Cancelliere riferisce poi sulla visita fatta in Austria dal Capo dello Stato

Maggiore ungherese. Gli ha parlato della possibilità di una cooperazione mili

tare itala-austro-ungherese contro la Piccola Intesa nel caso di un'aggressione

all'Ungheria. Il Cancelliere ha capito che si tratterebbe di un caso di aggres

sione di qualche Paese della Piccola Intesa -gli ungheresi avevano in vista

sopratutto la Jugoslavia -contro l'Ungheria.

Il Capo del Governo conferma che questa è effettivamente l'interpretazione

esatta.

Il Cancelliere ritiene che in ogni caso ci dovrebbe essere da parte dell'Un

gheria la reciprocità.

Il Capo del Governo osserva che noi ora facciamo un'opera di avvicina

mento verso la Jugoslavia. Chiede al Cancelliere come l'Austria veda tale fatto.

Il Cancelliere ritiene che un avvicinamento itala-jugoslavo sia vitale per

l'Austria. La grande preoccupazione dell'Austria fino ad ora è stata quella di

dover fronteggiare oltre che un attacco proveniente dalla Baviera, anche uno

eventuale proveniente dalla Jugoslavia. Anche le truppe italiane che fossero

accorse in aiuto dell'Austria avrebbero potuto scontrarsi con le forze jugoslave

penetrate in Carinzia. Un accordo itala-jugoslavo mette al sicuro da questo

pericolo. Tuttavia il Cancelliere dubita che la Jugoslavia sia già molto legata alla Germania. La propaganda tedesca continua fortissima e con grandi mezzi. Egli ha anche dei dati recenti che gli confermano l'esistenza di centri nazi in Jugoslavia.

Il Capo del Governo non crede che le cose siano molto avanti. D'altra parte la propaganda nazi in Jugoslavia costituisce un pericolo per la Jugoslavia stessa.

Il Cancelliere chiede quale atteggiamento prenderebbe l'Ungheria di fronte ad un avvicinamento itala-jugoslavo,

Suvich riferisce che l'Ungheria vede la cosa con molto favore; Kanya anzi a Venezia (l) ha detto che se si verificasse un accordo itala-jugoslavo, egli non esclude che l'Ungheria possa parteciparvi.

Il Capo del Governo ritiene che l'avvicinamento itala-jugoslavo risponda ad un interesse della Jugoslavia: la situazione interna è tutt'altro che facile; le elezioni hanno rappresentato un forte colpo per il Governo. Del resto anche noi abbiamo interesse a questo accordo perché non vogliamo avere fastidi da questa parte nella eventualità di un'azione a fondo in Africa.

Il Cancelliere aggiunge che la situazione in Jugoslavia è molto difficile anche dal lato economico.

Egli riferisce che ora sono migliorati i rapporti anche dell'Austria con la Cecoslovacchia. Ci sarà fra giorni un incontro fra Benes e Berger, non però a Praga.

Il Capo del Governo osserva che la situazione della Cecoslovacchia è molto precaria. Chiede notizie sulla propaganda dei fuorusciti della social-democrazia austriaca, che hanno il loro centro a Brunn.

Il Cancelliere risponde che la cosa non è preoccupante. Quello che preoccupa invece, perché è veramente molto seria, è la propaganda nazista in Austria. Il grosso problema per l'Austria è sempre quello lì: la minaccia da parte della Germania. Se la Germania entrerà nel Patto di non-ingerenza sarà certamente un vantaggio perché potrà portare ad una certa détente. Anche in questo riguardo però non bisogna farsi illusioni: la Germania avrà sempre come fine della sua politica -confessato o non confessato -l'assorbimento dell'Austria.

Il Capo del Governo ritiene però che per qualche tempo la Germania non tenterà nessuna azione contro l'Austria. Non rischierà una guerra. Ci vogliono ancora due o tre anni perchè essa sia pronta. Certamente che se la Germania assumesse nel frattempo un altro atteggiamento nei riguardi dell'Austria questo potrebbe portare ad una détente nei rapporti fra Germania ed Italia. Ma anche recentemente il Capo del Governo ha chiesto al Principe di Assia, che era da lui, perché Hitler non si decidesse a fare una dichiarazione pubblica a favore dell'indipendenza austriaca. Il Principe ha risposto che ciò Hitler non può fare per ragioni di Partito.

A domanda del Cancelliere il Capo del Governo conferma che nessun avvicinamento potrà intervenire fra Italia e Germania se non sarà assolutamente garantita l'Austria.

Il Cancelliere, a proposito della preparazione militare germanica, osserva che anche per l'Austria sono indispensabili due-tre anni per potersi un po' rafforzare. Egli non esclude però elle qualche azione possa avvenire da parte della Legione Austriaca. Questa Legione avrebbe sempre una consistenza di circa 29 mila legionari. È tutta armata e motorizzata ed è quanto mai irrequieta. Tempo fa si diceva che i legionari sarebbero diventati cittadini germanici. Ad

ogni modo non è escluso che da essa possa pervenire qualche colpo di forza.

Ora l'Austria deve essere ed è in grado di difendersi di fronte ad un tale attacco coi propri mezzi. Non è in grado di difendersi se oltre alla Legione partecipano anche elementi della Reichswehr.

Per tale eventualità si esamina come funzionerebbe il Patto di non immissione.

Suvich espone le fasi attuali dei negoziati nei riguardi del Patto da cui risulterebbe che per ora si pensa di arrivare fino alla consultazione lasciando liberi i singoli Stati di conchiudere degli accordi bilaterali che potrebbero contenere degli impegni più precisi. In questi accordi potrebbe entrare anche la mutua assistenza. Suvich osserva che questa parte non è facile a realizzare nella cornice del Patto date le differenti posizioni che assumono i vari Paesi: l'Ungheria, ad esempio, dichiara di non voler fare patti di mutua assistenza con nessuno. La Polonia fa altrettanto; d'altra parte, altri paesi come la Francia e la Piccola Intesa, la Francia e la Polonia, i Paesi della Piccola Intesa fra loro, sono già legati da forme di alleanze.

Il Capo del Governo osserva che a parte la forma definitiva che potrà avere il Patto, è necessario che gli Stati maggiori, Italia ed Austria, prendano dei contatti tra loro per esaminare il caso di una eventuale a,ggressione contro l'Austria.

Il Cancelliere parlando della situazione interna afferma che questa nel complesso tiene. C'è un punto molto delicato e che gli sta molto a cuore sul quale vorrebbe richiamare la più benevola attenzione del Capo del Governo: quello dell'Alto Adige. Egli non può nascondere la viva preoccupazione che gli deriva dalla situazione che ora si è creata in tale riguardo perchè il Governo austriaco viene attaccato in forma molto più violenta su questo terreno. Se il Capo del Governo volesse dare seguito a quegli accordi che si erano già concretati col compianto Cancelliere Dollfuss riguardo all'insegnamento privato e fare qualche atto di grazia per degli alto atesini, specialmente degli ecclesiastici, condannati al confino, ciò darebbe un grandissimo respiro al Governo austriaco e gli darebbe modo di difendersi. Naturalmente tutto questo dovrebbe essere presentato di fronte al pubblico come una conseguenza dei buoni rapporti esistenti tra i nostri Paesi.

Il Cancelliere aggiunge che la propaganda è fatta da agenti tedeschi che distribuiscono largamente denaro che proviene dalla Germania; egli ha anzi l'impressione che oggi l'Alto Adige sia diventato il centro maggiore di propaganda nazista; anche i materiali di propaganda probabilmente entrano in Austria attraverso l'Alto Adige. Chiede se non sia possibile intervenire in qualche modo per frenare tale propaganda.

Il Capo del Governo risponde che non è possibile togliere al Partito nazio

nal-socialista ogni libertà di manifestazione e di propaganda, perchè noi abbiamo molti fasci in Germania che altrimenti ne subirebbero le conseguenze, però l'opera di sorveglianza in Alto Adige è attiva ed assidua. Egli si rende perfettamente conto della difficile situazione del Governo austriaco nei riguardi dell'Alto Adige ed intende venire in suo aiuto. Nel corso di questo mese egli prenderà dei provvedimenti in forma che gli stessi dovranno essere ascritti ai buoni rapporti esistenti tra l'Austria e l'Italia.

Il Capo del GovernQ passa alla questione della restaurazione. Chiede al Cancelliere quale sia la situazione al riguardo e che cosa ne pensi egli stesso.

Il Cancelliere risponde che la restaurazione è molto popolare in Austria. Egli personalmente pensa che questa sia la soluzione del problema austriaco. Ritiene però che la questione non sia ancora matura. La situazione economica austriaca è ancora troppo precaria. Perdurando le condizioni difficili, la Monarchia potrebbe facilmente perdere il proprio prestigio e la propria popolarità. Dove però il Cancelliere vede la maggiore difficoltà è nella opposizione che verrebbe fatta da parte della Piccola Intesa. Jeftic ha dichiarato nettamente che la restaurazione lo autorizzerebbe ad entrare nel territorio austriaco. Benes ha ammesso che l'Austria possa darsi un monarca -è questione che non lo interessa -ma questo non deve essere un Asburgo. Anche a Parigi al Cancelliere è stato fatto capire chiaramente che della restaurazione. non si poteva parlare per l'opposizione della Piccola Intesa.

Il Capo del Governo ritiene che tale opposizione sia leggermente ridotta.

Il Capo del Governo crede che l'atteggiamento italiano sarà decisivo in tale riguardo; anche in Francia c'è un notevole movimento a favore della restaurazione in Austria. Bisogna riconoscere che la persona di Otto raccoglie delle simpatie in molti paesi stranieri.

Il Capo del Governo ritiene che la questione essenziale però sia quella di non voler fare l'Impero. Se il Sovrano avesse il titolo di Re probabilmente le diffidenze sarebbero minori.

Il Cancelliere è d'accordo: in nessun caso si tratterebbe di ristabilire l'Impero: egli pensa che sarebbe un buon consiglio da dare ad Otto, che dimostra una ·certa impazienza, quello di limitare le proprie aspirazioni all'attuale territorio della Federazione austriaca. Otto insiste molto per venire in Austria, ma il Cancelliere ritiene che ciò non sia opportuno per il momento; se egli venisse come privato solleverebbe tutte le diffidenze in giro senza far progredire in nulla la causa della restaurazione. Il Cancelliere crede se in questa questione bisogna andare per gradi. Egli pensa che si potrebbe prima costituire una reggenza -la persona di Starhemberg viene in considerazione in prima linea per poi procedere alla restaurazione. Tutto ciò dovrebbe essere fatto d'accordo col pretendente. Ad ogni modo per il momento potrebbe rimanere il Presidente Miklas che si rende perfettamente conto della situazione e che certamente non solleverà mai delle difficoltà.

Il Cancelliere manderà un memorandum relativo alla questione della restaurazione.

Il Cancelliere riassumendo la sua esposizione ritiene che la situazione politica in Austria si stia consolidando.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Era presente a-l colloquio il sottosegretario Suv.ich, che ha redatto il presente verbale.

(l) Vedi D. 152.

181

IL MINISTRO AL CAIRO, PAGLIANO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2504/202 R. Cairo, '11 maggio 1935, ore 13,55 (per. ore 15,30).

Mio telegramma n. 102 (1).

Fiduciario mi riferisce che Patriarca avrebbe deciso riferire a Meglis Milli sua decisione di non dare risposta noto messaggio per ora considerando miglior risoluzione essere quella di pregare perchè relazioni itala-etiopiche non abbiano ad aggravarsi.

182

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2499/58 R. Bucarest, 11 maggio 1935, ore 18,10 (per. ore 20,10).

Questo Ministro degli Affari Esteri, in occasione del banchetto offerto in onore Paul-Boncour che visita la Romania, mi ha domandato se avevo altre comunicazioni da fargli dopo quella di cui al telegramma di V. E. n. 43 ed a mio telegramma n. 49 (2).

Gli ho risposto che, per ora, non avevo nulla da aggiungere. Titulescu si è dimostrato soddisfatto del gesto amichevole che aveva dimostrato nostra comunicazione.

Da parte mia l'ho ringraziato delle parole che poco prima egli aveva pronunciato all'indirizzo Ministro italiano nel discorso di saluto a Paul-Boncour. Compiuto scambio cortesie, Titulescu si è dilungato ad illustrarmi i motivi

di battibecco con Lavai a proposito comunicato di Stresa.

Nel corso di tali non richieste confidenze, ho potuto comprendere [che], riunione di Venezia (per la quale ad onore del vero questa stampa ha tenuto contegno correttissimo anzi cordiale e perfettamente intonato alle mie raccomandazioni) aveva comunque destato non poca emozione e altrettanta preoccupazione. Per calmare tale preoccupazione Titulescu ha proposto a Lavai di riunire a Ginevra, in vicinanza dell'Italia, i Ministri della Piccola Intesa: «per fare anche noi la nostra Venezia».

Titulescu ha poi accennato di sfuggita ad una seconda proposta che egli avrebbe fatto o intenderebbe fare a Lavai e cioè una riunione, su un lago italiano, prima della Conferenza di Roma, preparatoria fra Italia e Francia e Piccola Intesa.

[Mi] sono limitato domandargli di precisare il suo pensiero.

183.

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO

T. 841/41 R. Roma, 11 maggio 1935, ore 24.

Suoi telegrammi n. 50 e n. 51 (1).

Ho esaminato con molto interesse comunicazioni fattele da codesto Ministro Affari Esteri. Riteniamo che questione parità di diritti e riarmo Bulgaria possa più convenientemente essere trattata fuori del progettato accordo danubiano e separatamente. Sono in corso scambi di idee per realizzazione del Patto danu:. biano e contemporaneamente della parità nei riguardi dell'Austria e dell'Ungheria. Da tali scambi di vedute, che sono ancora incompleti, trarremo indicazioni per un più definito giudizio su come impostare la questione nei riguardi bulgari. Per lo stesso motivo ci sembra ancora prematura questione dell'ingresso della Bulgaria nell'Intesa Balcanica. Pur condividendo in massima apprezzamento di codesto Ministro degli Affari Esteri che occorre trovare le eventuali contro}'artite alla ottenuta parità al di fuori dell'Intesa Balcanica, ci riserviamo di tornare anche su questo argomento successivamente.

Ella può confermare costì che teniamo e terremo presente situazione bulgara al pari di questa dell'Austria e dell'Ungheria e che è solo per ragioni tattiche e di opportunità che essa viene trattata in separata sede.

Anche in considerazione di questo Ella può dire che continueremo a tenerci in contatto con il Governo bulgaro e lo informeremo confidenzialmente degli scambi di idee in corso (2).

184.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2546/0138 R. Berlino, 11 maggio 1935 (per. il 13).

Sir Eric Phipps mi domandò ieri se fossi già stato informato del passo compiuto dal Governo britannico a Parigi e Roma per conoscere se i Governi francese ed italiano condividessero l'opinione che sarebbe opportuno iniziare senz'altro trattative per concludere il Patto aereo di cui al protocollo di Londra.

Alla mia risposta negativa l'Ambasciatore d'Inghilterra aggiunse che il Governo francese aveva manifestato l'avviso che il Patto stesso dovesse far parte di tutto il complesso di atti internazionali al quale si riferiva il protocollo di Londra. Egli non aveva ancora avuto comunicazione della risposta del Governo italiano, ma riteneva che non sarebbe stata diversa.

Sir Eric Phipps mi sembrò spiacente dell'atteggiamento assunto dal Governo francese perché egli trovava utilissimo, sopratutto di fronte alle recenti dichiarazioni del Ministro Goering circa gli armamenti aerei tedeschi, che si addìvenisse al più presto alla firma di un Patto che costituirebbe una seria garanzia per l'Inghilterra (3).

(l) -Vedi serie settima, vol. XVI, D. 863. (2) -Vedi DD. 83, nota l, p, 77, e 91. (l) -Vedi D. 140. (2) -Per la risposta di Sapuppo vedi D. 215. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. Per la risposta vedi D. 218.
185

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, UMILTÀ, AL VICE CAPO DI GABINETTO, JACOMONI

L. P. Zagabria, 11 maggio 1935.

In questi ultimi mesi la nostra politica è così mutata che la situazione locale nei nostri confronti merita un esame speciale. Le cose da dire, secondo la mia coscienza, sono piuttosto sgradevoli. Ella vedrà se è il caso di farne parte ai superiori, poiché io ritengo mio penoso dovere non nascondere niente. Scrivo così con tutta sincerità.

Fra le file delle varie organizzazioni separatiste che fanno capo alla opposizione croata retta dal dott. Macek, l'Italia annoverava un buon numero di sinceri ammiratori del nostro Paese e di amici della politica del nostro Governo.

Ogni qualvolta un provvedimento italiano riguardante la politica di qui richiedeva una interpretazione locale per chiarire un dato caso, si affrettavano detti « amici dell'Italia » -chiamiamoli cosi -a spiegare ~l popolo croato la natura di tale provvedimento, interpretandolo sempre a favore del prestigio della politica italiana, per rafforzare vieppiù l'attaccamento dei croati verso l'Italia e per aumentare la loro fiducia sull'appoggio italiano, per il raggiungimento dei loro ideali.

Non si può negare che le buone intenzioni di tali « amici dell'Italia » abbiano avuto un esito favorevole, ciò sin dal primo giorno, vale a dire dal tempo dei patti itala-albanesi 1926-27, fino allo scorcio dell'anno passato.

Col riavvicinamento itala-francese, e dopo la tragedia di Marsiglia, è subentrata al riguardo del successo della su riferita attività una modificazione notevole.

Da allora datano le restrizioni sempre più accentuate della libertà di azione della emigrazione croata, precedentemente confortata dai nostri benevoli appoggi, restrizioni che man mano condussero alla privazione della libertà personale degli emigrati. Dette restrizioni difficilmente poterono resistere alle locali interpretazioni degli «amici dell'Italia», che cioè tali provvedimenti corrispondessero soltanto ad una necessaria nostra manovra. La opposizione croata si mostrò sempre più scettica a tale riguardo.

Aggiungasi poi il solerte lavorio sottacqua della locale colonia tedesca, che insiste nel mettere in guardia la opposizione croata contro l'Italia; va da sé che la situazione dei nostri sostenitori quaggiù si è fatta sempre più precaria, al punto da non essere presi forse neanche sul serio.

Le notizie sempre continue riguardanti il trattamento della emigrazione croata, di cui sono latori i viaggiatori dall'Italia, hanno condotto alla su riferita modificazione, che potrebbe in breve tempo voltarci contro gli animi di questa popolazione, che nella emigrazione croata vede i loro migliori elementi.

La trasformazione degli animi -è chiaro -andrebbe a nostro danno con vantaggio dei circoli politici di Belgrado, ai quali la emigrazione croata ha dato tanto da fare.

Il discorso di Viola in occasione della presentazione delle credenziali poté ancora passare per un gesto di tattica. Non così la deposizione di una corona sulla tomba di Re Alessandro, ciò che questa opposizione ha ritenuto eccedere qualsiasi esigenza di cerimoniale; non così la cessazione delle notizie a mezzo della nostra radio in lingua serbo-croata; non così la cessazione di notizie di quà sulla nostra stampa, ecc.

È giunto ultimamente da Roma, in ferie scolastiche, il canonico Medjimoraz, Rettore dell'Istituto di S. Gerolamo di Roma, per diffondere, urbi et orbi, di aver udito direttamente dal signor Simié, Ministro jugoslavo presso il Vaticano, che in Sicilia sarebbero stati internati gli emigrati croati, cui viene suggerito e data la facoltà di emigrare, a proprie spese, in America.

Il Prelato aggiunge poi con intenzione « la loro sorte è terribile; per essi non c'è più che da fare atto di sottomissione al Governo jugoslavo e di rimpatriare».

L'ambiente di Macek dice che nulla sarebbe più rimasto delle promesse del Capo del nostro Governo, che dicevano: « In nessun caso e mai lascerò cadere i croati».

Il dott. Macek, opportunamente interrogato al riguardo mi fa dire di non credere a tali versioni, che però hanno tutta la parvenza di giustificare la nuova opinione pubblica che si fa strada fra i croati, ma di ritenere invece tuttora che il cambiamento sarebbe una nostra manovra politica, per poter in qualche modo guadagnar tempo, fino al momento di decidere sulla politica definitiva da osservare verso questo paese.

In ultimo questi croati si dolgono che nel momento in cui il dott. Macek, con le recenti elezioni politiche, di carattere plebiscitario per ciò che riguarda la Croazia, ha dimostrato alla Serbia ed all'Europa intera che tutta la nazione

croata rifiuta la vita in comune coi serbi e non ne riconosce la attuale politica, che in tale momento, ripeto, venga meno l'appoggio della amica Italia, sul quale fu fatto tanto affidamento.

Tale opinione vedono essi confortata dal discorso di Jeftié in occasione del comizio elettorale di Zagabria, in cui l'oratore disse -che « ben altri uomini di Stato esteri hanno riconosciuto che nulla si può intraprendere in Europa contro la Jugoslavia, potente e considerata».

Nel riferirLe il più fedelmente possibile l'insieme delle impressioni da me raccolte in seguito ai discorsi fattimi ultimamente in questo ambiente della opposizione, non voglio neanche nasconderLe che nelrambiente invece prettamente jugoslavo, più o meno d'accordo con l'attuale Governo, il cambiamento della nostra politica non sembra sia stato adeguatamente apprezzato, poiché non è ritenuto né sicuro, né spontaneo, né duraturo.

Da quando i rapporti italo-francesi hanno cominciato a migliorare fino agli ultimi accordi, l'ambiente prettamente jugoslavo si è automaticamente, adagio, adagio, allontanato dalle simpatie francesi, per assumere quelle sempre maggiormente filo tedesche e addirittura nazista.

In fondo la Jugoslavia sembra non esistere altro che in funzione antita

liana. Cioè legata a filo doppio alla Francia, quando la Francia ci è stata

avversaria e addiritttura nemica, con tendenze e simpatie filo naziste adesso

che la Germania può danneggiare l'Italia con l'Anschluss, ecc.

Che del resto sia stata poco apprezzata la nostra offerta di buon vicinato

dagli ambienti prettamente jugoslavi è dimostrato dal poco calore di tutta la stampa ufficiale a questo riguardo, e dalla malignità dei titoli e degli articoli di tale stampa per quel che si riferisce alla nostra azione in Etiopia.

In tale situazione il fortificarsi della Jugoslavia col diminuire delle sue guerre interne, non può essere di grande vantaggio per noi, che a trattarla bene o male la troviamo sempre essenzialmente ostile e nemica e in grande simpatia con quelli che sono a turno i nostri nemici.

Con non pochi rapporti ufficiali ho in questi ultimi mesi informato circa l'azione irredentista sostenuta più o meno palesemente dal Governo e dai circoli militari nei confronti degli slavi della Venezia Giulia, e tutto ciò è continuato ed è forse aumentato negli ultimi mesi, e deve essere messo in relazione con la identica azione nazista in Alto Adige.

Non mi permetto naturalmente di dare dei consigli, ma mi preme, (e per questo ho scritto a Lei tutte le precedenti considerazioni per l'uso che crederà di fare) che non si perda d'occhio da parte nostra tutta la effettiva azione irredentista e filo nazista dei circoli responsabili di questo Stato, e non si molli, senza una matura riflessione e per sempre i croati, che se anche non ci vogliono molto bene, hanno per noi la grande fortuna di costituire in Jugoslavia un grandissimo elemento di non lealtà e di debolezza per questo paese megalomane.

186

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2528/64 R. Varsavia, 12 maggio 1935, ore 2,50 (per. ore 7,30).

In questo pomeriggio ho veduto Laval, il quale ritornava dalla sua terza conversazione con Beck e si mostrava soddisfatto. Mi ha detto di avere proposto a Beck un Patto Orientale di non aggressione e consultazione che farebbe sparire («qui ferait disparaitre ») accordo franco-sovietico e di non (dico non) aver avuto alcuna obiezione di principio dal Governo polacco, salvo certe riserve sui Paesi che dovrebbero entrare a farne parte.

Mi pare di aver compreso che Polonia al posto della Cecoslovacchia desideri immettervi Finlandia.

Lavai ritiene di essere riuscito a tranquillizzare Beck, assicurandolo che accordo franco-sovietico non (dico non) va oltre il suo testo, che non esistono altri accordi segreti e che Francia tiene a che sua alleanza con Polonia abbia pieno valore, conoscendo buon diritto Polonia a evitare che risultati raggiunti per mezzo suoi accordi bilaterali con Germania e U.R.S.S. debbano venire compromessi.

Lavai mi ha pregato informare V. E. che egli non (dico non) è entrato in troppi dettagli circa Patto che ha proposto a Beck ma che, vista adesione di principio ricevuta, è sua intenzione, rientrando a Parigi di iniziare subito attività necessaria, tanto più che François-Poncet ebbe a dirgli ieri a Berlino che Germania sarebbe contenta di far dimenticare sua adesione di principio fatta pervenire a Stresa.

Beck gli ha riconfermato sua adesione al Patto Danubiano, dichiarandogli che si preparava a prendere parte alla sua conclusione.

Léger, confermandomi che accordo franco-sovietico dovrebbe venire riassorbito da Patto generale proposto da Lavai, mi faceva rimarcare che accordo con Mosca è avvenuto solo perché non (dico non) si era potuto fare un accordo più largo.

Sembrami che da parte francese si mostri più sollecitudine a fare scomparire o riassorbire l'accordo con Mosca, che a dargli seguito.

Mio collega sovietico, che ha visto Lavai dopo di me, mi diceva ritenere questi troppo ottimista e riferivasi probabilmente alle difficoltà che un Patto generale di non aggressione e consultazione avrebbe incontrato nel suo Governo.

Mi riservo indagare conversazioni Beck-Laval dalle quali non (dico non) credo abbiano esultato questioni baltiche.

Comunicato ufficiale che viene diramato stasera sottolinea «le comuni 'mete delle due politiche~ e mette in rilievo « la stretta solidarietà che si esprime attraverso l'alleanza franco-polacca~.

Quanto precede comunicato Mosca.

187

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2530/65 R. Varsavia, 12 maggio 1935, ore 13,13 (per. ore 17,10).

Facendo seguito al mio telegramma n. 64 (1), informo V. E. che Léger mi ha detto che progetto Patto generale non aggressione e consultazione fatto pervenire da von Neurath al Quai d'Orsay gli sembra accettabile come base discussione per il Patto a cui Lavai tende. Poiché ignoravo che Neurath avesse a suo tempo fatto conoscere al Quai d'Orsay un tale progetto, ho voluto chiedere allo stesso Léger se Lavai si baserebbe su di esso ed egli mi ha dichiarato: «Perché no? Esso sembra accettabilissimo come base, salvo eventuali

adattamenti~.

188

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 536/495. Ginevra, 12 maggio 1935 (per. il 13).

Seguito telegramma per corriere n. 089 di ieri (2).

S. E. Pilotti comunica quanto segue:

18 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. I

«Walters, Capo della Sezione politica, e Hoden, Capo Gabinetto di Avenol, sono partiti rispettivamente per· Londra e per Parigi, e nel salutarmi si sono mostrati preoccupatissimi (evidentemente in base a notizie .già ricevute dalle loro capitali) della situazione in Etiopia. Walters rileva che per l'Inghilterra l'osservanza del Patto della .Società delle Nazioni è un principio fondamentale di rpolitica, e che quindi il Governo britannico si troverà nell'impossibilità di evitare o ritardare la discussione al Consiglio se l'Etiopa insisterà nel domandarla. Hoden dice che la Francia continuerà, come sinora ha fatto, ad appoggiarci, ma che, messa al bivio di scindersi dall'Inghilterra in una questione di osservanza del Patto, non le sarà più possibile di seguirei, perché il rispetto del sistema internazionale della Lega è la base della sua politica estera e della difesa dei suoi interessi verso la Germania. Egli riconosce gli errori di tattica commessi da Jèze e da me segnalatigli, i quali, come il recente infelicissimo discorso del Negus, non hanno fatto che peggiorare la situazione; e mi ha aggiunto che il Qual d'Orsay lascerà chiaramente intendere a Jèze il suo malcontento, ma crede che sarebbe da parte nostra più che mai opportuno procedere senza indugio alla nomina dei nostri arbitri.

Naturalmente anche Walters è del parere che la nomina ci porrebbe in una posizione inattaccabile di fronte al Consiglio, e che noi dovremmo procedervi senza preoccupare! della scelta degli arbitri avversarli. Se questi saranno europei di grande nome e di grande esperienza, sarà, secondo Walters, tanto meglio, perché non potrà loro impartirsi da Addis Abeba l'ordine di precipitare una rottura, o alcun altro mandato di carattere imperativo l).

(l) -Vedi D. 186. (2) -Con T. per corriere 2536/089 R. dell'll maggio 1935 Bova Scoppa ·aveva tra l'altro riferito: «Circo!l francesi Segretarlato si mostrano preoccupati per eventualltà che Governo ltallano abbia a trovarsi a un certo momento in aperto dissenso con la Lega e possa di conseguenza venir pregiudicata tutta l'opera compiuta finora per l'organizzazione della sicurezza europea che si è svolta nel quadro della S.d.N. Da pa;rte inglese si teme che confl1>tto ltalo-etloplco possa aver decisive ripercussioni su incerto equlllbrlo europeo od!el'no e possaspingere Germania verso avventura pericolosa per la pace. Inglesi si preoccupano anche che azione ltallana indebolisca vlepplù 11 Patto della S.d.N. dopo l gravi colpi già da esso subiti per opera del Giappone e della Germania ».
189

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2544/261-262 R. Parigi, 13 maggio 1935, ore 14,25 (per. ore 17,45).

A proposito passo concordato franco-inglese a Roma di cui parlano i giornali ho saputo quanto segue:

Codesto Ambasciatore di Francia ha avuto istruzioni di presentire V. E. circa un passo che i Governi francese ed inglese si propongono di fare ad Addis Abeba. Si tratterebbe di esigere dal Governo etiopico un mutamento radicale di atteggiamento nei nostri riguardi invitandolq a cessare dall'ostacolare svolgimento della nostra espansione economico-commerciale nel Paese.

Al passo franco-inglese ad Addis Abeba dovrebbe però corrispondere un allentamento dei nostri preparativi militari per non dare impressione all'Etiopia di una imposizione. Ripeto quello che mi è stato detto. Inoltre de Chambrun dovrebbe far presente costà che sarebbe fortemente consigliabile che Commissione di Conciliazione itala-etiopica fosse nominata prima prossima sessione del Consiglio della S.d.N.

Ho domandato al Direttore Generale degli Affari Politici a chi spetta iniziativa del predisposto passo.

Bargeton ha balbettato una risposta dalla quale ho desunto che l'Inghilterra avrebbe desiderato marcare un poco più le tinte, ma che i due Governi francese ed inglese sono d'accordo nell'opportunità di un intervento.

Ho dichiarato a Bargeton di temere che passo in questione produca impressione cattiva a Roma.

Intervento giunge a mio avviso troppo tardi. Forse avrebbe potuto giovare alcuni mesi or sono. D'altra parte Abissinia ha obbligato Italia ad uno sforzo militare notevole che non potrebbe in alcun caso assumere carattere continuativo. Non c'è dubbio che ammettendo anche ipotesi di una détente italaabissina situazione ritornerebbe grave tra qualche mese.

Ho ripetuto che si deve escludere in modo assoluto che l'Italia sia costretta tenere le sue colonie dell'Africa Orientale in efficienza bellica a causa di disordine che regna in Etiopia, della tracotanza e del malvolere del Governo di Addis Abeba. ., ~:-.;•itiiiJ

Siccome il mio interlocutore ha accennato a questo punto a una situazione normale che esisterebbe in Etiopia, gli ho dichiarato che non potevo concepire che l'Abissinia barbara e schiavistica, fosse membro della S.d.N., mentre altri Popoli civili erano sotto mandato. Se non ha capito che alludevo al Libano e alla Siria, significa che è tonto.

190

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO (1). Roma, 13 maggio 1935, [ore 17].

Il Capo del Governo mette al corrente l'Ambasciatore von Hassell sul corso dei negoziati .per 11 Patto di non-ingerenza e riafferma il desiderio italiano che la Germania partecipi al Patto.

L'Ambasciatore non ha notizie da Berlino.

Il Capo del Governo deplora poi il contegno della stampa tedesca che è particolarmente ostile nei riguardi dell'azione italiana in Africa. In Italia si terrà conto dell'atteggiamento avuto dai singoli Paesi in un argomento cosi vitale per l'avvenire del nostro Paese.

L'Ambasciatore, che ha già agito in senso moderatore e che sarà nei prossimi giorni a Berlino, si occuperà ancora per ottenere un cambiamento di tono nella stampa tedesca, in rispondenza ad un atteggiamento analogo da parte della stampa italiana.

(l) Il presente appunto è stato redatto dal sottosegretario Suvich e poi vistato da Mussolini.

191

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI

T. 851/320 R. Roma, 13 maggio 1935, ore 18.

Suoi telegrammi 842, 843, 848, 849 e 850 (1).

Approvo invio della nota interlocutoria di cui al suo telegramma 850.

Pre.go V. S. voler rispondere alle note etiopiche nn. 27 e 28 secondo le linee seguenti, salvo osservazioni da parte di V. S.: «l) Governo italiano conferma che considera arbitrarlo e contrario al Trattato itala-etiopico il rifiuto del Governo di Addis Abeba di continuare nei negoziati diretti. Governo italiano, lasciando a Governo etiopico tutta la responsabilit4 di tale rifiuto, che considera prova di cattiva volontà, di cui non potrà non tener conto, riconferma di essere pronto a prendere col Governo etiopico le intese necessarie per la applicazione della procedura di conciliazione e di arbitrato pr.evista dall'art. 5 del Trattato del 1928. 2) Nell'intento di raggiungere più rapidamente tali intese, Governo italiano aveva inviato in data 27 aprile (2) istruzioni alla S. V. di intrattenere

in via verbale, il Blatingheta; ma, come indicato, nella nota 2 maggio, questi rinviava il colloquio, e faceva nel frattempo pervenire alla S. V. la nota n. 28. 3) Governo italiano, di fronte alla presa di posizione ufficiale del Go

verno etiopico che ostacola ulteriori contatti personali, più adatti a raggiungere rapidamente le necessarie intese, è a sua volta costretto a notificare al Governo etiopico quanto segue:

4) Governo italiano ha già designato i due membri della Commissione di conciliazione. Esso è pronto fin d'ora a comunicarne ufficialmente i nomi al Governo etiopico non appena gli verranno comunicati ufficialmente i nomi

dei due arbitri etiopici. 5) Governo italiano ritiene che la Commissione di conciliazione debba esaminare le circostanze di fatto relative agli avvenimenti svoltisi ad Ual-Ual il 5-6 dicembre 1934, e dedurne le conseguenti responsabilità. n Governo italiano non potrebbe assolutamente ammettere che detta Commissione possa esaminare altri argomenti, ed in particolare le questioni di frontiera in tutto o in parte, o dare interpretazioni giuridiche dei Trattati o accordi relativi alla frontiera fra Somalia ed Etiopia.

6) Governo italiano propone che la Commissione di conciliazione si riunisca a Roma. Ove il Governo etiopico non concordi, esso è disposto a lasciare che i membri della Commissione determinino essi stessi di comune accordo la

località dove si svolgeranno i loro lavori. 7) I membri della Commissione fisseranno essi stessi di comune accordo la procedura da seguire nei loro lavori:.. Fin qui, gli elementi di risposta alle note etiopiche nn. 27 e 28.

Nell'eventualità che, a seguito della nostra nota, Governo etiopico Le comunichi ufficialmente i nomi dei due membri etiopici della Commissione, v. S. è autorizzato a comunicare ufficialmente i nomi dei due membri italiani che le telegrafo con telegramma a parte (1).

Tuttavia, nella probabile eventualità che i membri etiopici della Commissione non siano sudditi etiopici, V. S. dovrà nel comunicare nomi dei membri italiani dichiarare che i membri etiopici devono essere etiopici e non cittadini di altri paesi (2).

192.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2550/264 R. Parigi, 13 maggio 1935, ore 20 (per. ore 21).

Telegramma di V. E. n. 251 (3).

Ho eseguito immediatamente istruzioni di V. E.

Direttore Generale degli Affari Politici ha osservato che non si tratta di un passo vero e proprio, ma di uno scambio di idee fra Governi. Ho osservato che in queste condizioni riusciva agevole al Quai d'Orsay di pubblicare smentita chiesta da Roma.

Ho detto poi a Bargeton che ero autorizzato da Lavai a fargli pervenire a mezzo del Quai d'Orsay delle comunicazioni a Mosca. Ho pregato quindi il mio interlocutore di informare immediatamente il suo Ministro per telefono. Ho aggiunto di sperare che la smentita francese venga rapidamente e che non sia dato altro seguito al proposito di un intervento concordato franco-inglese a Roma.

Bargeton ha preso atto delle mie dichiarazioni. Mi ha assicurato che procurerà subito mettersi in contatto telefonico con Laval, col quale ha avuto già stamane la conversazione giornaliera (4).

v. E. giudicherà se sia il caso di non dare possibilità agli Ambasciatori di Francia e Inghilterra di eseguire le istruzioni ricevute, in attesa ·che Lavai sia informato e in grado svolgere azione per la quale è stato sollecitato.

193.

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2556/59 R. Bucarest, 13 maggio 1935, ore 20,30 (per. ore 23,30).

Mio telegramma per corriere dell'B corrente (5).

Ministro Titulescu mi ha assicurato che la Romania « non:~> sarà parte nel Patto ceco-russo il cui testo, trasmessogli per corriere ieri in comunicazione, « non » prevede il << casus foederis » per l' Anschluss.

Da quanto egli mi ha detto mi è parso doveroso ritenere che, secondo lui, l'evoluzione dei rapporti ceco-russi si svilupperà in tale guisa da includere fatalmente anche il problema dell'Anschluss. In tale eventualità l'apporto della Romania diventerebbe per i due contraenti indispensabile; egli quindi si riserva negoziarlo caro, cioè contro:

l) riconoscimento della Bessarabia;

2) sostanziali aiuti per gli armamenti della Romania;

3) assicurazione internazionale per il ritiro delle truppe russe al termine delle ostilità, per il caso in cui al loro confinante fosse stato concesso attraversare territorio romeno.

Devo aggiungere che Titulescu mostra di annettere scarsissima importanza, oltre che scarsissima fiducia, nel Patto di non immistione. A suo avviso problema è quello di «garantire» indipendenza austriaca: evitare cioè l'Anschluss.

Per raggiungere tale finalità occorre a suo avviso incoraggiare tutta una serie di Patti di massima garanzia e proprie allenza militari. Gli anelli di tale serie sono i seguenti: alleanza franco-sovietica; alleanza ·ceco-sovietica; patti bilaterali dell'Italia con Potenze del Bacino Danubiano disposte a garantire, cioè difendere, indipendenza dell'Austria; connessione della Romania nel Patto ceco-sovietico; completamento del sistema con l'accessione della Turchia ed in futuro, e se possibile, della Grecia.

Morte di Pilsudsky fa considerare a 'I'itulescu possibilità di una presa di posizione meno rigida da parte della Polonia nel problema dell'Europa CentroOrientale.

Egli crede si potrebbe aprire in un vicino futuro uno spiraglio alla possibilità di giusto [collocamento], nel sistema [di] Polonia e Russia, sembrandogìi indispensabile sottrarre sia l'una che l'altra agli allettamenti di Berlino.

(l) -Vedi D. 123. (2) -Vedi D. 89. (l) -Con T. 859/324 R. del 14 maggio 1935, ore 12,25 SU\'tch comunicava i nomi di Aldrovandl e Montagna. (2) -Con i TT. 2615/950 R. e 2594/958 R. del 15 maggio 1935, ore 20, Vinci assicurava di aver eseguito le istruzioni contenute nel presente telegramma. Con successivo T. 2607/974 R. de] 16 maggio 1935, ore 18, Vinci trasmetteva la nota di risposta n. 35, pari data, con la quale 11 Governo etiopico confermava l'intenzione di sottoporre ad una soluzione arbitrale tutte le questioni relative alla frontiera somalo-etloplca e comunicava l nomi degli arbitri scelti. (3) -Con T. 850/146 (Londra) 251 (Parigi) R. del 13 magg.io 1935, ore 15, Suvich aveva incaricato Grandi e Pignattl dl ottenere dal rispettivi governi una smentita alle voci di un passo franco-Inglese a Roma in relazione alla questione etiopica. (4) -Vedi D. 202.

(5) Vedi D. 162.

194

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2564/60 R. Bucarest, 13 maggio 1935, ore 22,40 (per. ore 5 del14).

Trasmetto seguenti informazioni raccolte in conversazioni membri delle varie Delegazioni, qui riunite per Intesa Balcanica, e che, salvo in qualche dettaglio, vanno considerate come sicure.

l) Titulescu ha spiegato notevoli sforzi per costituire un fronte unico diretto a fronteggiare Germania, nel seno Intesa Balcanica. Non ci è riuscito. Maximos ha nettamente rifiutato di prendere qualsiasi impegno che pregiudicasse i suoi rapporti con Berlino. Più disposto si è dimostrato il Ministro degli Affari Esteri di Turchia (chi sa con quali riserve mentali), mentre Jeftic si è mantenuto ondeggiante, ma non per preconcette direttive politiche come fa la Grecia, bensì per ragioni tattiche, ritenendo egli che la carta Germania

possa essergli utile in eventuali negoziati con l'Italia c per premere sulla Francia.

2) Maximos, allo stesso tempo che ha rifiutato ogni comprom1sswne antigermanica, ha tuttavia sostenuto, invocando i noti impegni, che legano i quattro membri dell'Intesa Balcanica, la inscindibilità del gruppo di fronte al problema danubiano. Egli non voleva quindi consentire che gli altri partecipassero alla futura Conferenza di Roma senza fosse garantita anche la partecipazione greca. Su questo punto si è però giunti ad una laboriosa transazione: e cioè i membri dell'Intesa Balcanica convocati a Roma chiederanno intervento anche della Turchia e della Grecia: ove ciò non fosse conseguito insisterebbero presso il Governo italiano per la previa conclusione del patto mediterraneo nelle linee esposte da Tewfik Riistli bey a S. E. Galli. Cioè: Patto a cinque anche se con formula relativamente larga, che potrebbe essere quella di un patto « plurilaterale » di non aggressione.

3) In seno alla Intesa Balcanica Romania e Jugoslavia si sono dichiarate assolutamente ferme. nella loro pregiudiziale antiasburgica, di cui intendono fare, con Cecoslovacchia, condizione preliminare per qualsiasi intesa danubiana. La pregiudiziale non verrebbe tuttavia posta «in seno [alla Conferenza] ma verrebbe presentata «prima» della Conferepza all'ltalia ed alla Francia. Titulescu mi ha personalmente detto che su questo punto Piccola Intesa sarà intransigente.

4) Negli ambienti greci prevale grande scetticismo circa la possibilità di mandare in porto l'accordo europeo vista la intransigenza che Grecia e Turchia dividono circa la parità di diritti.

5) In seno all'Intesa Balcanica è stata lungamente dibattuta la questione degli Stretti. I tre hanno dimostrato alla Turchia l'impossibilità çli risolverla con atti unilaterali: si sono però impegnati a sostenere le pretese turche che saranno contrapposte a quelle dell'Ungheria e della Bulgaria per la parità di diritti.

195

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A PRAGA, ROCCO

'Ì'. 852/37 R. (l). Roma, 13 maggio 1935, ore 24.

Dica personalmente a Benes e a mio nome che ho preso atto con vivo compiacimento delle informazioni che mi ha dato circa le forniture d'armi all'Abissinia e circa gli impegni per il futuro nel senso di non permettere ulteriori spedizioni (2). Questa linea di condotta assunta lealmente dal Governo ceco potrà avere le migliori ripercussioni nei rapporti fra i due Paesi (3).

curato .che 11 Governo ce.coslovacco· aveva proibito le forniture mllltari all'Abissinia. Sul.•l'argomento vedi 11nche serle settima, vol. XVI, D. 903.

(l) -Minuta autografa. (2) -Con T. 4004/53 P.R. del 29 aprile 1935, ore 19,55, Rocco comunicava avergli: Benes assi

(3) Per la risposta vedi D. 220.

196

ACCORDO DI COLLABORAZIONE AEREA TRA ITALIA E FRANCIA (l)

Reunis pour examiner une collaboration eventuelle entre les deux aéronautiques Française et Italienne dans l'hypothèse d'une agression allemande, les Colonnels Giuseppe Santoro et Ugo Fischetti de l'Etat Major de l'Armée de l'Air italienne, le Comm.t Guerrier de Dumast, le Capitaine d'Arnaud de Vitrolles de l'Etat Major de l'Armée de l'Air française se sont mis d'accord sur le programme d'etudes suivant:

I -Envisager le trois hypothèses

n. -l Allemagne contre Italie n. -2 Allemagne contre France n. -3 Allemagne contre France et Italie.

II -Dans chaque hypothèse etudier les possibilités de l'aviation de chaque pays en vue d'effectuer à chacune de ces aviations

une zone d'action normale

une zone d'action eventuelle

De cette façon toutes manoeuvres seront possibles en vue

soit d'actions simultanées

soit d'actions concentrées.

soit de toutes autres actions communes.

III -Etudier l'ensemble des mesures d'execution:

-effectifs à mettre en jeu,

-échange de renseignements sur les objectifs,

en fonction de ces objectifs bases mises à la disposition des aviations italiennes ou française par l'un ou l'autre pays,

-détails d'organisation, transmission, terrains, équipements, etc.

IV -Prévoir des réunions périodiques pour la mise à jour de ces differentes mesures d'execution.

Poursuivant les conversations engagées le 12 mai 1935 dans le cadre du programme arreté au document C.A.F.I. n. l,

le Colone! Giuseppe SANTORO

le Colone! Ugo FrscHETTI

de l'Etat Major de l'Armée de l'Air italienne

le Commandant Guerrier de DUMAST

le Capitaine d'Arnaud de VITROLLES

de l'Etat Major de l'Armée de l'Air française, ne sont mis d'accord sur les points suivants:

Hypothèse n. 1

AGGRESSION ALLEMANDE CONTRE L'!TALIE

l) Zones d' action

Normale: Aviation française: au Nord de la ligne Strasbourg-Cheb. Aviation italienne: au Sud de la ligne Strasbourg-Cheb. Eventuelle: Aviation française: au Sud de la ligne Strasbourg-Cheb. Aviation italienne: au Nord de la ligne Strasbourg-Cheb.

2) Appui de Z'aviation jrancaise

a) Mesures préparatoires. En cas de menace d'agression allemande contre l'Italie, l'Aviation française, dès que la demande lui en sera adressée par le gouvernement italien ou de sa propre initiative, prendra des mesures d'alerte en vue d'accélerer sa mise sur pied de guerre éventuene.

b) L'Aviation française agira en totalité en partant des bases françaises, soit dans sa zone normale, soit sur tous objectifs sur lesquels l'aviation italienne demandera son intervention dans la zone éventuelle.

c) L'Aviation française mettra à la disposition de l'Aviation italienne II terrains et plans d'eau équipés, dans la zone située à l'Est de la ligne Lons le Saulnier -Nancy, et éventuellement à la demande de l'Aviation italienne sur la totalité du territoire français.

Terrains proposés par les experts français et à determiner:

LUXEUIL 850 x 650 BELFORT-CHAUX 800 x 500 BESANCON -THISE 900 x 450 XAFFEVILLERS 1000 x 700 MONTBELIRD-COURCELLES 800 x 800 LURE-MALBOUHANS 900 x 1500 PONTARLIER 1200 x 1000 LE VALDAHON 650 x 500 EPINAL 650 x 500 FONTAINE 1000 x 900 HERBEVILLER 1000 X 600 LAC DE GERARDMER( LAC DE SAINT

POINT, éventuellement RESERVOIRS DE LANGRES)

d) L'Aviation de chasse: dirigera, sur demande éventuelle de l'Aviation italienne, une escadre de chasse sur l'Italie qui entrera dans le dispositif de défense sérienne italien et sera aux ordres du Commandement italien; assurera la protection des unités itaUennes basées en France.

3) L'Aviation italienne agira en partant de ses bases natìonales et pourra diriger initialement sur la France un ~Stormo» d'aviation de bombardement (50 avions gros porteurs) qui restera aux ordres du Commandement italien.

Hypothèse n. 2

AGRESSION ALLEMANDE CONTRE LA FRANCE

l) Zones d'action: Sans changement.

2) L'aviation jrançaise:

-agira en partant de ses bases nationales; -mettra à la disposition de l'Aviation italienne 11 terraihs et plans d'eau équipés.

3) Appui de l'aviation italienne

a) Mesures préparatoires: En cas de menace d'agression allemande contre la France, l'Aviation italienne, dès que la demande lui en sera adressée par le Gouvernement français ou de sa propre initiative, prendra des mesures d'alerte en vue d'accélerer sa mise sur pied de .guerre éventuelle.

b) L'Aviation italienne enverra initialement en France sur les bases preparées à cet effet: deux «Stormi» de bombardement (100 avions gros porteurs); en escadre de chasse, qui seront à la disposition du Commandement français.

Hypothèse n. 3

AGRESSION ALLEMANDE SIMULTANÉE CONTRE LA FRANCE ET CONTRE L'!TALIE

l) Zones d'action: Sans changement. 2) L'Aviation française agira en partant de ses bases nationales. 3) L'Aviation italienne agira en partant de ses bases nationales et pourra

utiliser en France les bases prévues dans l'hypothèse no l.

MESURES D'EXECUTION

Les modalités d'execution feront l'objet de plans établis en commun entre les deux Etats Majors et qui envisageront en particulier les points suivants:

l) Articulation du commandement et coordination des moyens.

2) Personnel et materiels (transmissions, essence, vivres, etc.) à mettre sur les terrains à la disposition de l'une ou de l'autre aViation en attendant l'arrivée du personnel et du materie! de l'aviation déplacee.

3) Stockage des munitions fournies par l'aviation française ou par l'aviation italienne si l'interchangeabilité des munitions le :Permet (caracteristiques des lance-bombes et des munitions), ou envoyées dés le temps de pair dans le l)ays intéressé.

4) Mesures diverses: balisage, défense contre avions, guet.

5) Utilisation éventuelle des bases étrangères.

6) Deplacement de l'aviation de coopération nécessaire pour les grandes unités de l'Armée de terre déplacées dans l'un ou l'autre pays.

Echange d'informations

Les deux aviations échangeront leurs informations tàctiques ,et techniques.

RÉUNIONS PÉRIODIQUES

Les deux Etats Majors de l'Air français et italien se réuniront deux fois

par an (en principe, en mai et en novembre) pour la mise à jour des plans,

et chaque fois qu'une des deux aviations le desirera.

La première réunion aura Iieu au début de juin 1935 (l).

Roma, le 13 mai 1935 (2).

GIUSEPPE SANTORO

UGO FISCHETTI

GUERRIER DE DUlVIAST

D'ARNAUD DE VITROLLES

(l) In Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Aeronautica. Il titolo ortgina.le del documento è H seguente: «Collaborazione aerea !taio-francese: accordi di massima sottoscritti 11 12 e 13 maggio 1935 ».

197

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2552/286 R. Londra, 14 maggio 1935, ore 0,28 (per. ore 5).

Quest'Ambasciatore di Francia mi informa confidenzialmente di aver avuto istruzioni del suo Governo di proporre al Governo britannico un passo a Roma, da farsi nella forma più amichevole possibile, per ottenere dal Governo fascista la nomina dei rappresentanti italiani nella commissione di conciliazione prevista dal Trattato di amicizia italo-etiopico, prima della prossima riunione del Consiglio S.d.N.

Ciò, secondo il Governo francese, allo scopo di facilitare aggiornamento della discussione della questione italo-etiopica a Ginevra almeno sino all'autunno.

In assenza di Simon e Vansittart che vedrò per questo domani mattina (3) ho fatto subito presente al competente Ufficio del Foreign Office che nulla potrebbe essere meno opportuno e destinato ad una ripercussione assai grave che adottare tale ingiustificata e grottesca procedura, la quale non potrebbe in nessun modo essere tollerata dall'Italia.

Foreign Office mi informa stasera che su questa iniziativa Governo britannico prenderà domani sua decisione. Essendo Simon in Scozia, ho insistito di vedere subito domani mattina Vansittart non appena questi tornerà a Londra.

Nella certezza di interpretare il pensiero di V. E., mi riprometto di domandare domani mattina a Vansittart nel modo più energico e formale che Governo britannico lasci cadere senz'altro questa inverosimile proposta francese alla quale qualche giornale ha già fatto cenno, producendo in me una impressione assolutamente sfavorevole.

(l) -Ebbe invece luogo nel settembre: vedi serle ottava, vol. II. D. 99. (2) -La firma avvenne a Palazzo Venezia: vedi P. ALOISI, Jour.nal (25 tutllet 1932-14 juin 1936), Parls, Pian, 1957, p. 270. (3) -Il 14 maggio: vedi D. 210.
198

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2555/288 R. Londra, 14 maggio 1935, ore 2,20 (per. ore 5).

Ho ricevuto stasera telegramma n. 146 (l) e nonostante l'ora tarda sono riuscito a mettermi subito in comunicazione con competente Ufficio del Foreign Office, per confermare a nome di V. E. mia protesta di stamane (2) non appena ho avuto notizia della iniziativa francese di un passo franco-inglese a Roma, e per domandare altresì una secca smentita alle voci messe oggi in giro dai giornali al riguardo.

Foreign Office nel far presente che notizie divulgate dai giornali inglesi stamane, provengono da Parigi, mi ha assicurato che domani mattina Vansittart sarà subito messo al corrente della mia protesta e della mia formale domanda, prima ancora che io possa parlare con lui.

Vedrò Vansittart alle ore 10 e telegraferò (3).

199

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2576-2578/113-114 R. Mosca, 14 maggio 1935, ore 17,35 (per. ore 22,25).

Dopo firma Trattato mutua assistenza, visita Lavai ha assunto carattere quasi puramente decorativo.

Sopra di essa gettato una certa ombra la morte di Pilsudski, la quale, per sue possibili [ripercussioni] sopra situazione polacca, consiglia in materia di rapporti franco-sovietici una certa prudenziale riserva.

Ricevimento all'arrivo abbastanza caloroso, con discreto concorso di popolo.

Nel colloquio pomeridiano Laval-Litvinov, dopo qualche amichevole chiarimento sopra ultime peripezie Trattato, interlocutori sono passati all'esame prospettive future, intrattenendosi in ispecial modo sulla situazione polacca.

Lavai ha avuto e conserva tuttora delle sue conversazioni con Beck una impressione sostanzialmente buona e abbastanza promettente, tale da consigliare ogni ragionevole sforzo per disincagliare Polonia dalla sua solidarietà con la Germania, restituendola all'azione generale di cooperazione internazionale.

Nell'occasione, Lavai ha parlato a Litvinov con simpatia e convinzione dell'azione benefica esercitata -appunto in questo senso -dall'Italia.

Prospettive circa situazione polacca, dopo la morte di Pilsudski, sono state

giudicate come relativamente dubbie dal punto di vista interno, ma in defini

tiva forse più favorevoli dal punto di vista internazionale.

Nei riguardi della Germania si è convenuto di accentuare, ora che il Trattato franco-sovietico è fatto, desiderio delle due parti, in quanto sinceramente con la prima interessate al mantenimento della pace, ad ottenerne cooperazione. E poiché sembra che Germania lamenti che suo gesto Stresa sia stato non adeguatamente apprezzato e quasi lasciato cadere, si è rimasti d'accordo di prenderla sulla parola, invitandola formalmente ed al più presto ad un patto collettivo orientale di non aggressione e consultazione.

Litvinov, pure aderendo a questa linea di condotta, prevede peraltro da parte tedesca resistenze ed ostacoli «insormontabili:. a causa posizione assunta vis-à-vis della Lituania.

Si è quindi esaminata situazione baltica, convenendo che, come rivelato da ultime decisioni convegno Kaunas, anche essa richiede un'azione, intesa non neutralizzare tendenze collaborazioniste manifestatesi.

Litvinov ha anche spezzato una lancia in favore della Lituania a propo4 sito Memel, ricevendo peraltro in proposito da Lavai affidamenti puramente generici.

Si è quindi concluso essere necessario perseverare nella comune lotta per la pace. Su questo punto si è specialmente insistito nei brindisi scambiati la sera, circa i quali è peraltro da notare da parte Lavai in confronto di Litvinov, nonostante il più grande calore e colore delle apparenze, una relativa maggiore riserva, riconosciuta anche dai francesi.

In sostanza, lo spunto di Litvinov inteso fare apparire Trattato testé concluso come punto di partenza anziché punto di arrivo della collaborazione franco-sovietica, non è stato da Lavai espressamente rilevato.

Notati anche gli accenni dì Lavai alle differenze nelle premesse politiche ed ideologiche dei due Paesi, nonché l'inquadrament9 del negoziato ultimo nella linea Ginevra-Roma-Londra-Stresa.

Niente di speciale né di straordinario, anche per qualità e quantità di intervenuti, nel ricevimento notturno.

In fondo, mi è parso visita Eden destasse maggiore curiosità.

Durante ricevimento, ho veduto e parlato con Lavai, il quale -gentilissimo -ha rievocato con viva simpatia suoi recenti incontri con V. E., aggiungendo, dei suoi colloqui con Litvinov, le notizie da me già rifuse nel testo del presente telegramma.

(l) -Vedi D. 192, nota 3. (2) -Vedi D. 197. (3) -Vedi D. 210.
200

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2573-2579/63-64 R. Bucarest, 14 maggio 1935, ore 17,40 (per. ore 22,25).

Hd fatto a questo Ministro degli Affari Esteri le comunicazioni prescrittemi con telegramma di V. E. 846/C. (1).

Riassumo le osservazioni del signor Tltulescu: l) Incidente jugoslavo-ungherese. La questione concerne sopra tutto la

Jugoslavia. 2) Revisionismo. Prende atto con soddisfazione. 3) Parità di diritti. Titulescu osserva che la Piccola Intesa non è parte

nella dichiarazione 11 dicembre 1932 che perciò non impegna questo Paese. Fa ogni riserva sulla formula: «riarmo in un regime di sicurezza), Ha aggiunto, però, che se e quando la Romania avesse conseguito la sicurezza, «che può essere offerta solo da Trattato mutua assistenza>, egli si riserverebbe riesaminare la questione riarmo. A suo modo di vedere parità di diritti, riarmo e Patto di non aggressione non (dico non) possono avere soluzioni contemporanee perché i patti di non aggressione hanno per la Romania valore nullo. Titulescu ha ascoltato con molto interesse la parte relativa allo scaglionamento (quattro

o cinque anni) dell'eventuale riarmo per Austria e Ungheria. Esclude in modo categorico possibilità controllo sulla base della reciprocità. Pur non essendosi pronunciato, mi è sembrato tuttavia disposto entrare nell'ordine d'idee prospettato da V. E. circa provvedimento in caso di infrazioni.

4) Diritti acquisiti. Titulescu contesta che l'Ungheria abbia diritto di intervento nelle questioni minoranze ungheresi ostandovi la prassi adottata Ginevra per cui ogni intervento è escluso per le minoranze della propria razza. Egli suggerisce, ad ogni modo, che questo punto non sia sollevato, né pro, né contro, sembrandogli implicito che i diritti delle Convenzioni esistenti non possano essere diminuiti dal nuovo Patto.

5) Contenuto del Patto. Titulescu attribuisce scarsissima importanza al Patto generale di non aggressione. Non è disposto ad ammettere che gli obblighi della non ingerenza vincolino eventuale azione della Piccola Intesa nel caso di restaurazione absburgica. Mi è sembrato riluttante anche nei riguardi della clausola di consultazione, se questa dovrà essere generale.

Egli crede che solo Patto regionale, o almeno bilaterale, di mutua assistenza,. cioè Patto militare, possa risolvere questione dell'Austria e con essa causa della pace.

Gli ho fatto osservare che il Trattato generale, cui bisogna pure assegnare compito di carattere più generico, costituirebbe quadro entro il quale potrebbero essere conclusi patti particolari bilaterali con « specificazione dei fini che si vogliono raggiungere».

Ha replicato che se tra « i fini da raggiungere» potrà essere compresa anche la mutua assistenza fra l'Italia e ciascuno, sia pure separatamente, dei tre membri della Piccola Intesa, allora soluzione del problema danubiano si presenterebbe ai suoi occhi sotto luce molto più favorevole.

Titulescu ha sottolineato indivisibilità dei tre membri della Piccola Intesa da una parte, ciascuno dei quali dovrà avere un trattamento identico, ed i membri della Intesa Balcanica dall'altra e dei due gruppi fra di loro.

Ho obiettato che sembravami molto difficile possibilità di concludere un trattato « plurilaterale » (vedere mio telegramma 60) (l) fra l'Italia ed i mem

220 bri dell'Intesa Balcanica, sia pure nei:a forma attenuata di un patto di non aggressione, ma che la questione si presentava altrimenti se si fosse parlato della .eventuale. conClusione di Trattati bilaterali « di non aggressione » con ciascuno · dei membri dell'Intesa Balcanica.

Su questo punto mi è sembrato disposto a mostrarsi conciliante facendo intendere che se si raggiungessero, nel quadro del Patto generale, tosto o tardi, patti bilaterali. di mutua a,ssistenza fra l'Italia e ciascuno dei membri della Piccola Intesa e, contemporaneamente, si concludessero, sia pure fuori del quadro dell'Intesa danubiana, Patti bilaterali. di non aggressione, come contentino per la Grecia e per la Turchia, che egli. non desidera lasciare fuori del complesso delle . .Intese per la riorganizzazione della pace, si poteva sperare in un risultato finale favorevole. Ciò egli mi diceva a titolo assolutamente personale e senza nessun impegno di sorta e con ogni riserva di consultazione con i suoi coassociati.

. Conclusione del colloquio mi è parsa ispirata a maggiore fiducia sulla possibilità di un'intesa con questi signori.

(l) Vedi D. 172, nota l p. 188.

(l) Vedi D. 194.

201

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2592/943 R. Addis Abeba, 14 maggio 1935, ore 19 (per. ore 12,55 del15).

Da una lunga conversazione avuta col Ministro di Inghilterra posso dedurre:

l) che Governo britannico continua a fare ogni possibile sforzo qui e lo farà a Ginevra e pdma per costringerci all'arbitrato e per evitare complicazioni;

2) secondo Sir Sidney Barton a ciò Governo britannico è mosso da preoccupazioni sia di politica interna, per atteggiamento dei liberali e dei laburisti riguardo Società delle Nazioni, sia nei riguardi politica internazionale, nella tema che eventuale scintilla qui provocherebbe incendio in Europa;

3) ho creduto comprendere che Governo britannico proporrà alla Società delle Nazioni nomina di un superarbitro e fissazione della competenza e della procedura secondo tesi etiopica.

Ho modo di avere frequenti contatti con Ministro di Inghil~erra, il quale, benché tenace assertore della tesi abissina e solerte consigliere dell'Imperatore, non ha reticenza nella sua decisa ostilità e le sue conversazioni, del resto cordialissime, sono ampiamente rivelatrici per la genesi dell'atteggiamento inglese: si lascia spesso andare a utili confidenze, ma vorrei pregare V. E. di non voler fare uso delle mie eventuali segnalazioni perché mi risulta che qualunque mia comunicazione a riguardo ritorna qui celermente allo stesso Sir Sidney dal Foreign Office: e se ciò accadesse per sue personali confidenze, per lo meno non potrei più approfittarne per l'avvenire.

202

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2572/270 R. Parigi, 14 maggio 1935, ore 21,35 (per. ore 23,45).

Confermo comunicazione telefonica fatta or ora a S. E. il Sottosegretario di Stato. Il Direttore Generale degli Affari Politici ha potuto ieri corrispondere telefonicamente con Lavai a Mosca.

In seguito alle istruzioni da lui ricevute, Quai d'Orsay ha fatto sapere a Londra essere disposto pubblicare smentita da noi domandata (l) e di [essere] in condizione di farla.

Si sa qui che Simon è rientrato stamane a Londra e vedrà oggi S. E. Grandi. Quai d'Orsay è in attesa delle decisioni del Foreign Office. Bargeton mi ha lasciato intendere che noi dovremmo premere a Londra.

Ho risposto sarà certamente fatto ma che gioverebbe inoltre che Parigi suggerisse a Londra di lasciar cadere la cosa, dato che risulta evidente che il Governo italiano non gradisce in questo momento intromissione di terzi nella vertenza itala-etiopica.

Bargeton ha osservato che, se prevarrà criterio della pubblicazione di una smentita, gli Ambasciatori francese ed inglese a Roma potranno, in via di conversazione, rappresentare a Palazzo Chigi opportunità di un passo franco-inglese ad Addis Abeba nel senso di cui ai miei precedenti telegrammi di ieri (2).

Ho ripetuto di ritenere preferibile che non si parli più di questa faccenda.

'La conversazione col Direttore Generale degli Affari Politici mi ha dato l'impressione che nella quistione etiopica Quai d'Orsay si proponga di trincerarsi dietro l'Inghilterra nel timore che gli venga imputato di averci ceduto Abissinia come prezzo degli Accordi di Roma, come dicono e scrivono giornalmente gli estremisti francesi.

203

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA

T. 864/83 R. Roma, 14 maggio 1935, ore 24.

Telegramma di V. E. n. 129 (3).

V. E. potrà far presente Ministro Affari Esteri come R. Governo abbia assai apprezzato sua dichiarazione circa atteggiamento che Governo argentino, riconosciuto buon diritto delle ragioni italiane nella vertenza con Etiopia, (che sono

del resto le ragioni stesse della giustizia e della civiltà), si propone tenere a tale riguardo nelle prossime riunioni di Ginevra. V. E. potrà aggiungere in proposito che eguale riconoscimento R. Governo si attende dalla stampa e dall'opinione pubblica di codesto Paese.

Quanto poi al desiderio di codesto Governo di veder concretare pace fra Bolivia e Paraguay in Buenos Aires sulle direttive della Società delle Nazioni e di poter avere pertanto, quale membro del Consiglio della Società, parte preminente in tali negoziati, V. E. potrà in linea di massima dire al signor Saavedra Lamas che R. Governo vedrà con simpatia azione che Governo argentino intende svolgere per successo negoziati stessi e sarà ben lieto assecondarne nella misura del possibile sforzi diretti conseguimento tale scopo. Atteggiamento R. Governo al riguardo non potrà peraltro, per intuitive considerazioni, non tener conto eventuali suscettibilità altre Potenze mediatrici nell'interesse riuscita opera di mediazione.

(l) -Vedi D. 198, nota l. (2) -Vedi D. 189. (3) -Vedi D. 176.
204

c'

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2662/069 R. Praga, 14 maggio 1935 (per. il 18).

Telegramma di V. E. n. 846/C del 12 corr. (1). Ho conferito lungamente con Benes e riferisco considerazioni ed osservazioni risultate in merito comunicazioni fattegli.

l) Incidente ungaro-jugoslavo. Benes è convinto che potrà liquidarsi prima della conferenza di Roma. Personalmente ha agito in tal senso a Belgrado. Piccola Intesa è disposta, in massima, a chiudere l'incidente purché Ungheria dia una risposta di chiusura tale che Jeftic possa davanti al Consiglio della fi.d.N. prenderne atto. Benes non crede sia il caso di chiedere nuove sanzioni. In quanto a dichiarazione «per l'avvenire» non ci si è pensato da parte Piccola Intesa e sembrerebbe meglio non proporla, per evitare difficoltà della reciprocità chiesta dall'Ungheria.

2) Revisionismo. Benes dopo discussione diversiva ha riconosciuto importanza concessione ungherese.

3) Parità di diritti e controllo.

a) Benes ricorda che Piccola Intesa non riconobbe validità dichiarazione ll..jicembre 1932 per quanto concerne Stati disarmati minori e fece sue riserve.

b) Benes osserva che patto non-aggressione, non ingerenza e consultazione non basta per realizzare sicurezza ma ha bisogno essere completato ed in tal senso può essere considerato come principio positivo di discussione. Benes desidera sapere se argomentazione esposta sia condivisa da V. E. oppure avanzata da Austria e Ungheria.

19 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. I

c) Circa esempio germanico atti arbitrari!, Austria e Ungheria non avrebbero forse esitato a seguirlo se ne avessero avuto forza e possibilità. Tuttavia Benes apprezza forza dell'argomento.

d) Argomento opposizioni interne e correnti germanofile da neutralizzare in Austria e Ungheria ha il suo valore. Però devesi scegliere buona tattica perché non sia sfruttato oltre misura dagli interessati.

e) Circa possibilità trovare «soluzione contemporanea » dei due problemi della parità di diritti e del patto di non-aggressione, Benes si dichiara d'accordo chiedere all'Austria e all'Ungheria loro programma per quattro o cinque anni.

In quanto al controllo Benes in massima è favorevole al controllo per tutti e sottopone seguente sua idea:

In vista negoziati con Germania viene concessa senz'altro una completa ed immediata parità di diritti in materia di riarmo: nessuna riserva né materia di concessioni esisterà più in confronto Germania. Invece, se riarmo Stati minori viene accordato a tappe progressive e condizionate, sarà possibile tenere ancora in riserva per qualche anno utile argomento per riprendere negoziati con Germania. Che se poi ogni speranza di accordo con Germania avesse a risultare impossibile, parità di diritti verrebbe senz'altro interamente riconosciuta agli Stati minori. In altri termini e praticamente Benes suggerisce seguenti tappe e condizioni:

a) Austria e Ungheria comunichino loro programmi per quattro o cinque anni.

b) Tutti stati interessati proporrebbero controllo per tutti compresa Germania. Se questo controllo si potrà realizzare esso sarà reciproco per tutti.

c) Se entro termine non oltre due o tre anni non sarà stato possibile accordarsi pel controllo di tutti, parità di diritti sarà automaticamente acquisita, per impegno assunto fin da ora, agli Stati minori disarmati. Termine di due anni è intravisto da Benes in considerazione fatto che periodo più critico del pericolo germanico e classi vuote in Francia si porrebbe precisamente fra 1936 e 1938.

4) Diritti acquisiti. Dubbio dell'Ungheria e desiderio di un chiarimento preciso su mantenimento diritti Covenant (art. 19 e minoranze) equivale -secondo Benes -a porre o no questione revisionismo. Preoccupazioni Ungheria sembrano infondate perché nessuno può togliere diritti art. 19 e minoranze, né diritto dare a tali impegni internazionali interpretazione che più le conviene. (Questa, ltlodestamente, è anche la mia opinione). Se tuttavia Ungheria tiene a chiarimento, nessuna difficoltà da parte Cecoslovacchia. Però avvertasi che Cecoslovacchia e Piccola Intesa manterranno punto di vista che non vi può essere revisione se non col consenso degli interessati: vale a dire che in tale materia principio unanimità previsto dal patto debba essere mantenuto. In quanto minoranze, diritto Ungheria esiste, come esistono suoi obblighi. Se si tratta applicazione, Cecoslovacchia non ha nulla da temere -dice Benes -perché minoranze magiare in Cecoslovacchia sono trattate assai meglio minoranze slovacche ed anche tedesche in Ungheria. Benes ammette forse Romeni potrebbero essere infastiditi dal paragone. Comunque, discussione non potrebbe prescindere dalla reciprocità. Credo quindi che, per poter decidere, sia il caso di vedere formulazione della dichiarazione desiderata dall'Ungheria.

5) Contenuto del patto. Giusta mio telegramma p.c. 067 (1), Benes ha già manifestato sua preferenza per patto collettivo, ma se l'Italia preferisce sistema di patti particolari, bilaterali e facoltativi, egli non insiste. Occorre però che questi patti bilaterali, colla più ampia specificazione possibile dei fini da raggiungere e delle modalità della consultazione « en vue des mesures à prendre :. siano conclusi perché si possa parlare di realizzazione della sicurezza anche come condizione della parità di diritti. Benes conviene che indipendenza Austria debba essere fine da raggiungere e antefatto da porre come condizione per consultazione e misure da prendere (vedi telespresso 719/414 con mie osservazioni a progetto francese) (2). Benes si rende pure conto che assistenza non possa estendersi oltre caso di violazione o minaccia Austria. Esclude quindi mutua assistenza tra Italia e Cecoslovacchia per fatti in cui non c'entri l'Austria. Viceversa, come previsto col citato rapporto 719/414, Benes fa presente che patti particolari e facoltativi debbono prevedere estensione mutua assistenza fra tutti Stati che intervenendo in difesa Austria venissero a trovarsi in conflitto con lo Stato aggressore (leggi Germania) nonché degli Stati che nello sviluppo del conflitto avessero a schierarsi con aggressore stesso (leggi Ungheria).

In suddetta esposizione Benes avverte aver parlato in nome Cecoslovacchia e deve riservarsi confermare o meno suo punto di vista dopo consultazione con colleghi Piccola Intesa. Mi ha assicurato sarebbesi adoperato del suo meglio per far accettare suo punto di vista dove coincide con vedute sommarie di cui al telegramma di v. E. In via confidenziale mi ha detto che non teme tanto obiezioni Jeftic quanto Titulescu; ma che esso Benes ha abitudine !asciarlo sfogare e poi riesce a persuaderlo.

Benes prevede riunione Piccola Intesa subito dopo Consigilo S.d.N., forse a Ginevra stessa per i primissimi giorni giugno. Ha impressione che conferenza Roma dovrà forse subire qualche giorno ritardo su data 3 giugno che finora è la più accreditata. Avverto che qui circolano voci di rinvio conferenza danubiana addirittura all'autunno.

A proposito di voci giornalistiche di probabili contatti ministri Piccola Intesa con Governo italiano, Benes potrebbe sempre, nonostante elezioni, trovare modo recarsi per ventiquattro ore in Italia. Ha tenuto però ad escludere ogni sua suscettibilità personale in merito ordine e precedenza contatti. Dice anzi che può essere anche preferibile «lavorare» dapprima i suoi colleghi più restii, anche per facilitare loro, con soddisfazioni di prestigio, accettazioni e concessioni eventuali.

Con telespresso pari data n. 822/496 (2) il presente telegramma riassuntivo viene riprodotto in redazione più estesa, conforme alla conversazione con Benes.

(l) Vedl D. 172, nota l p. 188.

(l) -Vedi D. 163. (2) -Non pubblicato.
205

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 14 maggio 1935.

Il Signor Chambrun m'informa che in seguito ai nostri passi relativi al transito delle armi .per Gibuti (1), sono state date a Gibuti le più severe disposizioni per applicare gli articoli 6 e 9 del Trattato del '30, in modo da rendere per quanto possibile difficile il transito delle armi per l'Abissinia.

L'Ambasciatore ha appreso con molta soddisfazione la nomina avvenuta da parte nostra dei conciliatori nella vertenza italo-etiopica.

E,gli ritiene che la Francia potrebbe agire su Addis Abeba ·per appoggiare il punto di vista italiano relativo alla limitazione dell'arbitrato all'incidente di Ual-Ual. Inoltre il Governo francese sarà sempre disposto, quando il Governo italiano lo desideri, di agire ad Addis Abeba per indurre quel Governo ad un atteggiamento conciliativo.

Ringrazio l'Ambasciatore per queste dichiarazioni ma il Governo italiano non ha nessun desiderio da esprimere in tale riguardo; anzi noi riteniamo che qualunque intervento a Addis Abeba otterrebbe l'effetto contrario. Bisogna che gli abissini si rendano ben conto che noi siamo disposti ad agire sul serio e fino in fondo.

Informo l'Ambasciatore delle notizie che ci sono pervenute sui risultati della Conferenza dell'Intesa balcanica, risultati tutt'altro che incoraggianti per la conclusione del Patto Danubiano.

n Signor Chambrun ritiene che in pratica tale annunciata intransigenza verrà a smorzarsi.

206

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 14 maggio 1935.

È venuto a vedermi l'Ambasciatore von Hassell; mi ha chiesto informazioni sulle trattative per il patto di non ingerenza.

L'ho messo sommariamente al corrente.

Gli ho chiesto che cosa si sappia dell'atteggiamento della Germania.

Mi ha risposto che per ora non se ne sa nulla. Il Patto russo-francese non faciliterà la cosa. Questo patto è chiaramente diretto contro la Germania. Gli ho osservato che il patto è aperto alla Germania. L'Ambasciatore mi ha fatto presente che la preparazione del patto di non

ingerenza dovrebbe essere fatta in modo da non dare alla Germania l'impressione di metterla di fronte ad un fatto compiuto.

Gli ho detto che ciò è ben lontano dalle nostre intenzioni, anzi la Germania è stata il primo paese col quale è stato discusso. L'Ambasciatore ritiene che Hitler terrà il suo discorso tra il 14 e il 16 del mese.

Gli ho chiesto se sarà d'intonazione pacifica.

Mi ha risposto che per ora nessuno ne sa nulla, neanche in Germania.

(l) Vedi DD. 61 105 nota l p. 99 e 159.

207

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DEL GIAPPONE A ROMA, SUGIMURA

APPUNTO. Roma, 14 maggio 1935.

Il Signor Sugimura mi intrattiene su una questione di carattere economico. Mi parla poi del Patto franco-russo. Dice che in Giappone si è appreso colla massima soddisfazione che esso si riferisce soltanto all'Europa. Gli osservo che ad ogni modo i rapporti tra Giappone e U.R.S.S. paiono migliorati. Non pare molto persuaso della cosa.

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IL SEGRETARIO GENERALE, AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SOOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 539/498. Ginevra, 14 maggio 1935 (1).

Walters partito il giorno 13 corr. per Londra, ha ripetutamente espresso nei giorni scorsi la sua viva preoccupazione ,per la controversia etiopica. Ritiene che qualora la procedura prevista dal trattato particolare non riesca ad attuarsi in modo concreto prima della prossima sessione di maggio, riuscirà pressoch~ impossibile al Consiglio mantenere il precedente atteggiamento passivo.

Gli è stato risposto da parte nostra non poter esservi dubbio che a tale procedura il Governo fascista intenda attenersi, ma che egli Walters, come me e come chiunque, non può ignorare in che modo debbano necessariamente procedere negoziati di qualunque genere con l'Etiopia. Un diverso atteggiamento da parte del Consiglio non potrebbe, se mai, che ulteriormente ritardare l'applicazione del trattato del 1928, in quanto sarebbe certamente interpretato dal Governo di Addis Abeba come un incoraggiamento alla resistenza. Ciò che del resto le parole che Sir John Simon aveva creduto opportuno pronunziare nella sessione straordinaria dell'aprile scorso avevano indubbiamente prodotto.

Comunque, la situazione potrebbe -secondo Walters -esser in certo senso riassunta in questi termini: che la Gran Bretagna come qualunque Paese de1

mondo, posta a scegliere fra Italia e Etiopia non potrebbe evidentemente e naturalmente avere un solo istante di esitazione. Ma, costretta a scegliere fra Italia e Covenant, la Gran Bretagna non può di fronte alla sua opinione pubblica e al mondo, avere l'aria di buttare senz'altro a mare la Società delle Nazioni; su cui basa, oggi più che mai, il 9!:1 per cento della sua politica europea.

Gli è stato risposto che questo sembrava essere un modo decisamente arbitrario di porre il problema; che non si tratta cioè di scegliere fra Italia e Covenant, ma di prendere posizione fra una grande Potenza amica e l'ultimo avanzo di barbarie africane, il quale tenta di trovare appunto nel Covenant un complacente paravento e riparo. Tentativo che, chiunque ragioni con senno ed equità,

, dovrebbe senz'altro contribuire a sventare. Non è superfluo aggiungere che già qualche tempo fa Walters aveva espresso l'opinione che nella ipotesi che l'arbitrato possa non dare per una qualunque ragione quel risultato che tutti sperano, non fosse per avventura conveniente per l'Italia consentire senz'altro all'applicazione dell'art. 15.

«Il Compito del Consiglio -si citano le sue parole -è in questo caso compito essenzialmente diverso da quello di giudice o arbitro. II Consiglio o l'Assemblea non hanno il potere di imporre una definizione. Propongono semplicemente una soluzione che le parti sono, giuridicamente, libere di accettare o di respingere. La procedura è, cioè, la seguente: Il Segretario Generale dispone per una inchiesta ed esame completi, e il Consiglio tenta di conciliare le parti. Qualora tale conciliazione non riesca, il Consiglio redige e pubblica un rapporto, il quale ha effetti diversi a seconda che sia approvato all'unanimità o alla maggioranza. Se alla unanimità (escluso il voto degli interessati), i membri del Consiglio s'impegnano a non ricorrere alla guerra contro la Parte che si conformi alle conclusioni del rapporto e misure conseguenti. Se a maggioranza, il rapporto non ha alcun effetto giuridico e i membri della Società si riservano di agire come meglio credono. Basterà dunque fare in modo che non vi sia unanimità fra i membri del Consiglio. D'altra parte, l'art. 15 impone certe remare: il rapporto deve infatti essere redatto nel termine di sei mesi a decorrere dal giorno in cui il Consiglio è stato investito del conflitto, e le parti hanno l'obbligo di non far ricorso alla guerra prima dello scadere di tre mesi dal giorno della presentazione del rapporto. Ciò che rappresenta, dunque, un totale di nove mesi di proibizione di guerra».

Sin qui il ragionamento di Walters, il quale sembra, almeno sino ad un certo limite, inspirato dal desiderio sincero di conciliare una eventuale insistenza societaria del suo paese con la liberazione da parte nostra, pur restando nel quadro della Società delle Nazioni, dagli inciampi ed ostacoli ginevrini. Ma, più tardi, lo stesso Walters riconosceva essere la procedura dell'art. 15 in ogni caso dubbia e irta di imprevisti e di pericoli: un'arma cioè che deve essere maneggiata con somma prudenza e cautela, come i precedenti dimostrano.

Walters ha voluto anche toccare l'argomento di eventuali decisioni estreme da parte nostra nei confronti della Società delle Nazioni. Ciò che non ha esitato a qualificare come di colpo pressoché mortale per Ginevra e di indubbie gravissime conseguenze per il già incerto e fragile ordine europeo. Ma, tutto sommato, egli sopratutto insiste sulle enormi difficoltà per il suo paese di disinteressarsi del Patto, visto che, a torto o a ragione (ed egli è prontissimo ad ammettere a

torto), l'Etiopia fa pur parte della Società delle Nazioni. Si augura per conseguenza che la procedura di conciliazione possa fare in questi giorni quei rapidi passi che consentano al Consiglio di persistere nella sua precedente linea di azione.

Anche Hoden, che aveva poco prima parlato telefonicamente con Massigli, ha detto che il Quai d'Orsay è più che mai convinto dell'opportunità che la controversia etiopica stia lontana da Ginevra, ma che la Francia finirebbe col trovarsi nell'impossibilità, in caso di mancata applicazione della procedura prevista dal Trattato particolare, di scegliere una via diversa da quella segnata dal Patto.

(l) Manca l'indicazione della data d'arrivo.

209

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 545/504. Ginevra, 14 maggio 1935 (per. il 17).

S. E. Pilotti comunica quanto segue:

«Ho parlato ieri lungamente con Avenol subito dopo l'arrivo dell'ultima nota etiopica (1). Ritiene non sembrargli possibile che il Consiglio, nella sua prossima sessione, mantenga il suo precedente atteggiamento passivo. Atteggiamento che sarebbe stato lecito attendersi soltanto nel caso che la procedura di conciliazione e di arbitrato prevista dal trattato particolare fosse entrata almeno in una prima fase concreta di attuazione. Ciò che non è sino ad oggi avvenuto.

Piuttosto che sull'atteggiamento francese, Avenol ha lungamente insistito su quello britannico: quasi a chiarire la necessità in cui la Francia potrebbe venire a trovarsi di battere la stessa strada. Gli pare da escludere che la Gran Bretagna possa comunque essere indotta a disinteressarsi del Patto e a considerare lettera morta le soluzioni che esso offre alla controversia. La Gran Bretagna -egli ha aggiunto -basa su Ginevra tutta la sua politica europea e imperiale, sopratutto nei suoi recenti sviluppi che hanno culminato a Stresa. E sulla Società delle Nazioni appoggia, e giustifica dinanzi al ParlamentQ, stampa, Domini, le sue attuali tendenze di riavvicinamento al continente e di accresciuta collaborazione europea, che non sarebbero, su altre basi, facilmente accettate dalla grande massa dell'opinione pubblica britannica. L'Inghilterra -ha aggiunto -non potrebbe per conseguenza, date tali premesse, rinunziare apertamente all'applicazione del Patto, senza neutralizzare o sovvertire le basi stesse della sua politica generale.

Di tale concreto elemento, il Governo francese è costretto, secondo Avenol, a tenere naturalmente il massimo conto, pur pienamente apprezzando le ragioni che motivano la nostra politica in Africa Orientale e pur desiderando renderei servigio nella più larga misura possibile.

Una mancata applicazione dei mezzi che il Patto predispone per la soluzione delle controversie, nel caso che la via tracciata dal trattato particolare dovesse manifestarsi impraticabile, gli pare possa inoltre costituire gravissimo pericolo per la conservazione dell'ordine generale europeo in un momento di crisi come l'attuale.

Avenol ha qui accennato, per vivamente deplorarli, ai motivi e continuati intrighi che elementi responsabili ed irresponsabili vanno da tempo tessendo attorno alla persona del Negus appunto nell'intento di utilizzare la controversia etiopica come indiretto elemento di perturbazione e di dissidio in Europa, ove la collaborazione delle Potenze è più che mai necessaria.

Ho naturalmente ribattuto alle ar;;c:::nentazioni di Avenol. Gli ho detto, fra l'altro, che comunque si giudichi la situazione europea, l'Italia rappresenta, come Avenol perfettamente sa e nessuno dubita, un formidabile ed essenziale elemento di conservazione di quell'ordine europeo che Gran Bretagna e Francia desiderano appunto non compromettere. E che un mezzo certissimo di rendere insolubile con mezzi normali la controversia etiopica, è indubbiamente quello di dare ad Addis Abeba l'impressione che gli Stati che hanno con noi maggiori responsabilità africane non agiscano con quello spirito di reciproca collaborazione che è certamente necessario in Europa e altrove».

(l) Nota del Governo etiopico alla S.d.N. dell'l! maggio 1935, ed. in Il conflitto italoetloptco, Documenti, vol. I, clt., pp. 214-216.

210

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2577/292 R. Londra, 15 maggio 1935, ore 1,20 (per. ore 5,45).

Ho veduto Simon nelle prime ore del pomeriggio, non appena di ritorno a Londra, e gli ho dato comunicazione della nomina da parte nostra dei due rappresentanti italiani nella Commissione di Conciliazione italo-abissina, mettendo bene in chiaro i punti indicatimi per telefono da S. E. Suvich, e cioè che da parte etiopica i due conciliatori debbano essere etiopici, e che il mandato della Commissione non deve andare oltre all'esame dell'incidente di Ual-Ual.

Simon, il quale non (dico non) si aspettava questa comunicazione, mi ha detto di ringraziare il Duce per questa sua decisione che -egli ha continuato -risolve almeno in questo momento molte difficoltà, in quanto che faciliterà enormemente il compito del prossimo Consiglio della Società delle Nazioni e farà negli ambienti politici britannici la migliore impressione.

Ho creduto bene dire a Simon che qualsiasi eventuale tentativo di allargare la competenza della Commissione di Conciliazione avrebbe compromesso irreparabilmente sino dall'inizio ogni speranza di vedere questa Commissione funzionare utilmente, e che bisognava dare atto invece all'Italia di una buona volontà la quale non corrisponde certamente né all'atteggiamento etiopico, né all'atteggiamento di quelli che si ostinano a seguire una strada assolutamente falsa per raggiungere una definitiva soluzione della questione etiopica.

Ho quindi riferito a Simon circa la pessima impressione fatta in Italia dalle voci sparse di un passo franco-inglese a Roma, voci messe evidentemente in

giro da gente che vuole pescare nel torbido, e delle quali l'Italia attende comunque una chiara smentita.

Simon mi ha risposto che, non appena informato al suo ritorno a Londra del mio passo di ieri sera tardi (l), ha dato disposizioni ai giornali nel senso da me richiesto riservandosi solo di fare domani o posdomani una smentita in sede interrogazioni Camera dei Comuni.

Simon mi ha confermato quanto ho avuto stamane occasione accennare per telefono a Suvich e cioè che sono state date istruzioni a Drummond di avere con V. E. altro colloquio, il più approfondito possibile, sulla situazione italaetiopica, ma che Governo britannico non ha pensato, e tanto meno pensa, a dar seguito all'idea suggerita da Parigi di una détente franco-inglese presso il Governo fascista, persuaso che questo metodo sarebbe il peggiore in qualunque evenienza.

Da accertamenti fatti eseguire da Simon stamane risulterebbe che notizie pubblicate stampa inglese provengono esclusivamente da fonte francese. Lo stesso Simon ha accennato alla pubblicazione della «Havas ».

Alla fine del colloquio, Simon, riferendosi all'ultima parte della nostra recente lunga conversazione riferita con mio rapporto al Duce del 3 corrente (2), mi ha detto che Governo britannico, dopo avere esaminato seriamente ultimi sviluppi questione etiopica, non sarebbe alieno, sempre bene inteso col consenso dell'Italia, dal proporre al Governo francese una azione di forte pressione da esercitarsi congiuntamente dai due Governi francese e inglese ad Addis Abeba perché Abissinia si decida, per evitare un conflitto che non potrebbe non riuscire fatale per Impero etiopico, di dare soddisfazione a quelle che sono le legittime e concrete aspirazioni del popolo italiano nell'Africa Orientale.

Mi sono limitato a rispondere Simon molto evasivamente su questo punto. Ma credo non privo di interesse che il Duce conosca anche questo particolare del nostro incontro di oggi.

211

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 865/148 R. Roma, 15 maggio 1935, ore 13,10.

Suo telegramma n. 293 (3).

Il R. Ministro ad Addis Abeba ha già ricevuto istruzioni di far conoscere al Governo etiopico che non possiamo assolutamente ammettere che la Commissione di Conciliazione abbia, oltre al compito di esaminare i fatti relativi all'aggressione di Ual-Ual del 5-6 dicembre e le conseguenti responsabilità, anche quello di esaminare questioni di frontiera.

È sempre stato inteso che la Commissione di Conciliazione dovesse limitare i propri lavori all'incidente di Ual-Ual.

La responsabilità dell'aggressione di Ual-Ual, dove esiste un presidio italiano da vari anni, è come è ovvio assolutamente indipendente dalla questione della attribuzione definitiva di detta località.

L'esame delle questioni di frontiera richiede d'altra parte una diversa procedura ed una Commissione composta con criteri tecnici diversi dall'attuale Commissione di Conciliazione.

Abbiamo già dimostrato a varie riprese che procederemo ai lavori dl delimitazione della frontiera somalo-etiopica, dopoché sarà risolto l'incidente di Ual-Ual.

(l) -Vedi D. 198. (2) -Vedi D. 134. (3) -Con T. 2574/293 R. del 15 magg.io 1935, ore 1,20, Grandi aveva chiesto chQarimenti circa la competenza della ·commissione di conciliazione italo-abissina.
212

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2581/116 R. Mosca, 15 maggio 1935, ore 15,08 (per. ore 17).

Visita di Lavai non ha presentato ieri nulla di interessante all'infuori incontro -e colazione -con Stalin.

Colloquio -mantenutosi nel quadro conversazioni già avute primo giorno con Litvinov -si è anche esso aggirato sopratutto su situazione polacca e tedesca confermando volontà due Governi abbozzare prossimamente formale iniziativa per patto collettivo non aggressione e consultazione di cui al mio telegramma di ieri (1).

Subito dopo visita Stalin, [iniziata] lotta per comunicato ufficiale, Lavai cercando di dire meno possibile, Litvinov facendo invece ogni possibile sforzo per allargare quadro e prospettive collaborazione franco-sovietica.

Ieri notte, dopo rappresentazione gala teatro, grande ricevimento Ambasciata di Francia, riuscito (erano presenti anche Molotov e Voroscilov) più rappresentativo di quello giorno prima.

Con scambio brindisi previsti per oggi Consiglio Comunale, visita può dirsi come praticamente finita.

213

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO (2). Roma, 15 maggio 1935, [ore 18,15].

L'ambasciatore Drummond espone al Capo del Governo l'iniziativa inglese di far studiare nei prossimi giorni a Ginevra dai giuristi uno schema di Patto aereo fra le cinque Potenze di Locarno (3). Lo studio dei giuristi dovrebbe non

essere portato fino in fondo, ma quando si dimostrasse la possibilità di raggiungere un accordo, sospenderne la discussione per non avere l'aria di mettere la Germania di fronte al fatto compiuto.

L'Ambasciatore espone poi l'opinione del suo Governo che se il Patto aereo potesse andare in porto col concorso della Germania, converrebbe marciare anche indipendentemente dall'accordo sugli altri punti.

Il Capo del Governo ricorda che il Patto Aereo fa parte di un tutto e ritiene che da parte francese si faranno serie difficoltà a venire in un accordo definitivo solo su questo Patto lasciando da parte gli altri punti del programma. Ad ogni modo egli per parte sua non ha niente in contrario ad aderire al desiderio del Governo inglese.

214.

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, GEISSER CELESIA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2597-2600/89-90 R. Madrid, 15 maggio 1935, ore 19,30 (per. ore 0,50 del16).

Del dibattito parlamentare di ieri, di cui ai telegrammi odierni e del quale non è ancora noto testo stenografico, necessita porre in rilievo alcune delle scarse affermazioni di questo Ministro della Marina che gettano però luce su quanto in merito singole questioni ebbi anteriormente a comunicare.

Questione mediterranea (rapporto n. 240 del 14 febbraio) (1). Spagna considera vigente statu qua in base accordo Cartagena del 1907 e considera conveniente per essa agire d'accordo con Gran Bretagna, Francia e Italia.

Statuto di Tangeri (rapporto n. 726 del 13 corrente) (1). Spagna considera prematuro definire sua azione, conferma decisione inglese non essere a sua conoscenza. Spagna intende però migliorare sua posizione tangerina.

Neutralità. In tutte questioni politica internazionale Spagna segue una politica idealista e si regola secondo la sua dichiarazioné costituzionale di neutralità guardando fede Società Nazioni.

Ministro degli Affari Esteri, che vidi stamane per altre questioni, non celò suo stupore per intempestiva interrogazione Romanones che lo prese alla sprovvista al suo ritorno da un viaggio in provincia. «Del resto -egli aggiunse il poco che ho potuto dire, e che fu origine di tanto biasimo a mio riguardo, dice di per sé già abbastanza. Che potevo dire di più, se non che Governo spagnuolo riconferma quanto ha dichiarato al tempo degli accordi di Roma (telegramma n. 21 del 30 gennaio) (l) e che, per questioni mediterranee, intende agire d'intesa con Italia, Francia, Inghilterra? Naturalmente, considerata situazione " non comoda" fatta alla Spagna in Tangeri, non possiamo che concordare con proposta inglese di revisione, ma tuttavia Governo spagnuolo non ha definito sua linea di condotta in merito situazione colà di cui la responsabilità ricade intera sulla Francia; ciò che però Romanones avrebbe dovuto comprendere, mi era impossibile dichiarare pubblicamente».

(l) -Vedi D. 199. (2) -Questo appunto è stato redatto dal sottosegretario Suvlch e poi vlstato da Mussollni. (3) -Vedi D. 164.

(l) Non pubblicato.

215

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2593/57 R. Sofia, 15 maggio 1935, ore 20,50 (per. ore 23,15).

Telegramma di V. E. n. 41 (1).

Ministro degli Affari Esteri al quale ho fatto comunicazione prescritta mi ha pregato ringraziare vivamente V. E. ed assicurare che questo Governo condivide pienamente opinione di V. E. circa migliore maniera impostazione questione riarmo Bulgaria che interessa politica Oriente Europa mentre quello Ungheria e Austria è problema politico centro-europeo.

Anche egli ha promesso che mi terrà informato di qualsiasi notizia, comunicazioni ricevute o sintomi che possano servire formarsi esatto concetto successivo evolversi della situazione.

Per il momento egli credeva potermi dire da informazioni giunte da Bucarest che nel corso convegno Intesa Balcanica si sono manifestate due tendenze: una capeggiata da Turchia, che avrebbe voluto affrontare e decidere subito questione riarmo Bulgaria, l'altra patrocinata Jugoslavia che considerava più opportuno rimandarla ad altro tempo (dopo riunione del Consiglio Piccola Intesa) e che quest'ultima, più vicina pensiero italiano e bulgaro, avrebbe avuto sopravvento.

216

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2588/71 R. Belgrado, 15 maggio 1935, ore 21,50 (per. ore 0,15 del 16).

Soltanto ora ho potuto vedere Jeftic tornato avantieri sera da Bucarest. Mi ha dichiarato che con suo grande rincrescimento deve rinunziare, per impegni di politica interna, a recarsi a Ginevra e perciò anche all'incontro con

S. E. Suvich a Venezia (2). Mi ha spiegato la necessità di organizzare la maggioranza parlamentare composta in massima parte elementi nuovi. Non potrà più assentarsi da Belgrado fin dopo la riunione della Scupcina, che si aprirà 6 giugno per una sessione brevissima. Ha dovuto scusarsi anche con Lavai che aveva insistito per sua andata Ginevra, e lo ha assicurato che, dopo la sessione della Scupcina -e cioè verso la metà di giugno -si sarebbe recato a Parigi e in Italia. Mi ha pregato ripetutamente scusarlo presso V. E. e S. E. Suvich assicurando che nulla è mutato nel suo desiderio di avere appena possibile un contatto diretto, che egli ritiene anzi indispensabile, non solo ai fini

della preparazione della Conferenza Danubiana, ma anche, e sopra tutto, per una chiarificazione dei rapporti itala-jugoslavi. In quella occasione Jeftic, potendo disporre di maggior tempo, è disposto venire anche a Roma o altra località scelta da V. E.

Ho comunicato poi a Jeftic i punti precisati convegno Venezia (telegramma di V. E. 846/C R. del 12 corrente) (l) sui quali egli si è riservato far conoscere le osservazioni del Governo jugoslavo (2).

(l) -Vedi D. 183. (2) -Vedi D. 121.
217

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY

T. 866/82 R. Roma, 15 maggio 1935, ore 24.

Telegrammi di V. E. nn. 87 e 029 (3).

Nessun passo è stato finora eseguito da questa Ambasciata del Belgio.

Concordo con l'E. V. nell'opportunità di cercare di ottenere che codesto Ministero della Difesa Nazionale acquisti le armi e munizioni di cui trattasi.

Ove ciò non riuscisse possibile saremmo disposti acquistare noi stessi detta partita coll'intesa tuttavia che, esaurita tale ordinazione, verrebbe ormai impedita da codesto Governo qualsiasi altra esportazione di partite di armi e materiali bellici in Etiopia, con particolare riguardo all'eventualità già verificatasi che licenze di esportazioni siano richieste per altri Stati (ad esempio Hedjaz), mentre armi sono destinate in realtà all'Etiopia.

218

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. PER CORRIERE 870/113 R. Roma, 15 maggio 1935.

Suo telegramma n. 0138 dell'H corrente (4).

Informo V. E. che R. Governo ha aderito proposta britannica per riunione giuristi Italia Francia Inghilterra e Belgio per studiare testo eventuale Patto aereo. Dato carattere tecnico detta riunione adesione R. Governo non comporta alcun impegno politico (5).

(3J Vedi D. 174.
(l) -Vedi D. 172, nota l p. 188. (2) -Vedi D. 294. Il presente documento reca il visto di Musso1ini. (4) -Vedi D. 184. (5) -Questo telegramma fu inviato per conoscenza anche a Parigi (T. 870/263) e a Londra (870/170).
219

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. PER CORRIERE 2656/0141 R. Berlino, 15 maggio 1935

(per. il 18).

Il mio collega francese mi ha detto di avere avuto occasione di conversare negli ultimi giorni con il signor von Ribbentrop. Questi si era espresso con lui assolutamente negli stessi termini che i giornali tedeschi a proposito del recente accordo franco-sovietico ed in genere della politica di sicurezza che si sta cercando di fare d'accordo tra la Francia, l'Italia e l'Inghilterra. Egli definì infatti di « scandaloso » l'accordo franco-sovietico sentendosi dire dal signor FrançoisPoncet che non bisogna avere la memoria cosi labile e che avrebbe fatto bene a rammentare l'intimità germanico-sovietica degli scorsi anni. Von Ribbentrop replicò che si trattava di una politica che il Fiihrer ripudia e condanna, ma François-Poncet insistette che quella politica era stata fatta a ragion veduta dalla Reichswehr che è in questo momento il più valido appoggio del FUhrer e del suo Partito.

Quanto alla politica che condusse ai protocolli di Roma e Londra ed alla Conferenza di Stresa, von Ribbentrop naturalmente la definì politica di guerra contro la Germania integrata ogni giorno da accordi militari, ultimo dei quali quello aereo fra la Francia e l'Italia testè firmato a Roma (1). Françols-Poncet gli disse che riteneva fosse in errore. Questo ultimo accordo concerneva soltanto una cooperazione per l'aviazione civile (2).

Von Ribbentrop ricordò allora che la Germania aveva accolto col massimo favore la proposta di concludere un accordo fra gli Stati firmatari del Trattato di Locarno per garantirsi, reciprocamente, da un evenutale attacco aereo. Di questo accordo non si sentiva però più parlare. Il mio collega francese gli ricordò che il Patto aereo avrebbe dovuto far parte di tutta una serie di accordi destinati a costituire la «sicurezza» ritenuta indispensabile per poter procedere ad una convenzione generale circa gli armamenti terrestri. Pare che von Ribbentrop si sia allora messo a fare una tirata a fondo contro la politica così detta di sicurezza che è invece una politica anti-tedesca e anti-nazionalsocialista.

François-Poncet mi diceva che è rimasto sorpreso della superficialità di von Ribbentrop. Il suo linguaggio dimostrava come tanto Hitler che il suo consigliere di politica estera persistevano a non volersi rendere conto della situazione internazionale, e ritenevano che il mondo intiero fosse ostile alla Germania di cui non voleva riconoscere il buon diritto di agire siccome aveva fatto. In tale stato d'animo è evidentemente difficile che il Cancelliere possa pensare ad una politica di collaborazione con gli altri Stati.

(l) -Vedi D. 196. (2) -Per 11 testo di questo accordo cfr. Trattati e convenzioni jra tl Regno d'Italia e gli altri Stati, vol. XLIX, Roma, Tip. del Ministero degli Affari Esteri, 1938, pp. 177-183.
220

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2661/072 R. Praga, 15 maggio 1935 (per. 1Z 18).

Telegramma di V. E. n. 37 del 14 corr. (1). '-'

Ringrazio V. E. del telegramma suindicato ed assicuro che oggi stesso ne ho comunicato il contenuto a Benes. Egli è stato molto lusingato dell'apprezzamento di V. E. ed ha tenuto a dirmi che quando è amico lo è senza riserva alcuna.

221

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2679/018 R. Ankara, 15 maggio 1935 (per. il 20).

In relazione passo ultimo comunicato conferenza Intesa Balcanica a Bucarest e che allude chiaramente ad accessione Bulgaria all'Intesa Balcanica, e nel riferirmi al mio rapporto n. 1246/500 del 12 corrente (2), confermo V. E. che

U.R.S.S. farebbe vive pressioni a Sofia ed Ankara in tale senso.

Si dice che contropartita per accessione bulgara sarebbe: a) consenso al riarmo, che del resto sussiste già di fatto; b) facilitazioni al transito merci bulgare per Istambul fino alla cessione di una zona franca a disposizione dei bulgari.

222

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma, 15 maggio 1935.

Sir Eric Drummond è stato chiamato improvvisamente a Londra perché si vuole conferire con lui personalmente sui molti problemi che sono attualmente all'ordine del giorno.

Mi chiede se ho da dargli qualche informazione o esprimergli qualche desiderio in relazione a tale sua chiamata.

Esaminando le varie questioni gli dico che per l'Abissinia non c'è niente di nuovo. Egli conosce i colloqui di Grandi con Simon e Vansittart (3). Le dichiarazioni di ieri del Ca;po del Governo (4) espongono nel modo più chiaro e esplicito la posizione dell'Italia.

A riguardo dell'Etiopia l'Ambasciatore vuol farmi una dichiarazione a titolo suo personale senza averne avuto alcun incarico dal proprio Governo. Egli ha parlato con Chambrun e sa che questi ha dichiarato la buona volontà della Francia di agire in senso moderatore su Addis Abeba quando ciò fosse nel desiderio del Governo italiano. Sir Eric Drummond non dubita che lo stesso sentimento ispiri anche il Governo britannico. Mi dice di aver voluto farmi questa dichiarazione a titolo puramente personale soltanto perché ne aveva parlato al riguardo con Chambrun.

Venendo a parlare del Patto di non ingerenza, espongo all'Ambasciatore le difficoltà che fanno gli Stati della Piccola Intesa e l'opportunità, se si vuole ottenere un risultato, di agire sugli stessi in modo da farli diventare più ragionevoli.

L'Ambasciatore prende nota dei singoli punti che io gli riferisco, riservandosi di parlarne in proposito a Londra (1).

(l) -Vedi D. 195. (2) -Non rinvenuto. (3) -Vedi DD. 134, 170 e 178. (4) -Si riferisce al dlscorso pronunziato da Mussolini tn Senato il 14 maggio.
223

L'ADDETTO AERONAUTICO A BERLINO, TEUCCI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

R. 176/s. Berlino, 15 maggio 1935.

Quest'oggi il Capo di Gabinetto dell'Aeronautica, Colonnello Wenninger, mi ha invitato al Ministero per darmi ufficiale comunicazione che la Germania non ha sinora fornito né intende assolutamente fornire apparecchi, strumenti od altro materiale bellico all'Abissinia.

Egli aggiungeva che prima di farmi tale comunicazione, aveva tenuto a telefonare personalmente a tutte le principali ditte aeronautiche. alle quali aveva comunicato ordini categorici al riguardo. Aveva così avuto anche diretta assicurazione che sinora nessun apparecchio era stato spedito, non solo, ma che nessuna ordinazione era in corso. Tentativi ve ne erano stati, ma erano stati declinati.

In particolare, egli teneva a smentire anche le notizie apparse di recente sulla stampa italiana ed estera, circa eventuali forniture all'Abissinia di apparecchi Junkers.

Dato che il Colonnello Wenninger si limitava a parlare del materiale, ho creduto di domandargli quale era il suo punto di vista circa la questione del personale.

Egli mi ha comunicato risultargli che in effetti erano pervenute richieste di personale specializzato: montatori, motoristi, radiotelegrafisti, ecc., ma che, naturalmente, queste richieste non erano state prese in considerazione. Tale personale, del resto, difetta per le stesse necessità dell'Aeronautica tedesca.

II Colonnello Wenninger non riteneva possibile che ci fosse un solo tedesco che pensasse di andare a battersi per l'Abissinia. Comunque ordini severissill!i sono stati dati a tutti i gruppi del Deutscher Lutsport-Verband (Associazione

di piloti e specializzati della riserva) e speciali disposizioni verranno impartite ad ogni posto ·il.i frontiera onde vietare eventuali trasgressioni. Se alcuno fosse già in viaggio, cosa che a questo Ministero dell'Aria non semba risultare, verrà fatto rientrare.

Il colloquio essendo caduto sul noto maggiore Steffen, il quale travasi attualmente a Berlino, ove mi risulta esplicare una grande attività pro-abissina, il mio interlocutore, mi ha espresso il suo proposito di fare i passi necessari presso le competenti autorità onde farlo richiamare al dovere.

Il Colonnello Wenninger mi dava inoltre comunicazione di un documento del Ministero degli Esteri tedesco dal quale risultava che le dichiarazioni di cui sopra non rispondevano solo a direttive isolate dell'Aeronautica tedesca, ma anche a quelle del Ministero degli Esteri e della Reichswehr.

Infine, il Capo di Gabinetto mi dichiarava che l'Aeronautica tedesca teneva ora come prima a mantenere intatte le ottime relazioni di cameratismo con l'Aviazione italiana, ed era lieta di svolgere un benefico influsso per le buone relazioni dei nostri due Paesi; mi domandava in forma molto cortese se l'Aeronautica italiana potesse fare qualcosa nello stesso senso e cioè intervenire nella forma ritenuta migliore, magari con un breve comunicato riflettente le dichiarazioni di cui sopra, perché nella stampa italiana si cessi dal riportare notizie di soccorsi tedeschi all'Abissinia, notizie che per essere prive di fondamento, contribuirebbero a maggiormente complicare la situazione.

Io ho risposto che la questione della stampa esulava dalla mia competenza, ma che avrei fatto senz'altro il mio dovere di riferire il contenuto del colloquio e quindi anche il desiderio espressomi, sia al R. Ambasciatore come a codesto Superiore Dicastero (1).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussol1nl.

224

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PERSONALE 2596/296 R. Londra, 16 maggio 1935, ore 0,20 (per. ore 10,10).

Tuo discorso di ieri al Senato ha fatto qui enorme impressione.

Come avrai rilevato dal mio fonogramma di questa mattina, stampa inglese riporta discorso pressoché integralmente, sottolineando a grossi caratteri passaggi più significativi e dando esatta sensazione dell'entusiasmo suscitato nel Senato gremito, entusiasmo che Morning Post definisce, con aggettivo assai raro nella lingua inglese, «travolgente».

Dai titoli e sottotitoli con i quali discorso è stato presentato (riprodotti per esteso nel mio fonogramma) Tu avrai rilevato che attenzione inglese si è fermata su [alcuni] punti del discorso, e cioè proprio su quelli che Tu inten

20 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. I

devi mettere in modo netto e definitivo davanti alla pubblica [opinione] dì questo Paese e alla responsabilità del Governo britannico.

Nessuno potrà mai più dire d'ora innanzi che aveva frainteso o, peggio ancora, che non aveva capito. Discorso è stato quanto mai tempestivo in questo momento di generale esitazione e confusione, e darà motivo, qui e fuori di qui, alla più seria meditazione. Esso è giunto come un colpo inaspettato e avrà come primo benefico effetto di scoraggiare quelle illusioni di accomodamenti ginevrini sulle quali molti, malgrado tutto, continuavano qui a illudersi per arrestare nostra azione.

Alla Camera dei Comuni, dove oggi mi sono appositamente recato, il discorso ha fatto, come dovunque, una impressione enorme. I commenti erano rari e prudenti come davanti ad un documento di carattere definitivo che impone necessità di un esame pacato e profondo.

Simon non ha risposto oggi, come si proponeva di fare, ad alcuna interrogazione sulla questione itala-abissina. Segnalo coraggioso articolo Daily Mail, il cui autore è Ward Price al quale ho creduto far pervenire una parola di compiacimento.

Mi risulta Times avrà invece domani un articolo non (dico non) favorevole il cui autore è Kennedy, col quale ho conferito or ora e a cui ho detto ancora una volta, dopo avere illustrato ad uno ad uno i punti fondamentali del Tuo discorso di ieri, che la debolezza inglese di fronte alla Germania e l'incomprensione inglese di fronte alla situazione italiana in Africa, rischiano diventare, ove si persistesse in questo duplice errore, i due fatti destinati ad accelerare inevitabilmente [scoppio] del conflitto ed a far ricadere interamente responsabilità di esso sulla Gran Bretagna.

(l) Vedi D. 283.

225

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2599/117 R. Mosca, 16 maggio 1935, ore 4,20 (per. ore 7).

Visita Lavai ha assunto all'ultimo momento una piega affatto inattesa in seguito alla pubblicazione di un comunicato che, con poco rispetto della stessa dignità della Francia, mescola, in maniera direi quasi indecorosa, la politica interna alla politica estera dei due Paesi.

Nell'evidente intento di assicurare un'arma parlamentare ed elettoralistica, Lavai è riuscito, dopo un infruttuoso tentativo fatto con Litvinov, ad ottenere direttamente da Stalin -ma in una forma che il comunicato rivela nel caso sovranamente infelice -una condanna della propaganda comunista contro l'esercito e le spese militari in Francia.

La forma del comunicato ha destato in tutto il corpo diplomatico la più penosa impressione. Il risultato nettamente positivo dell'incontro Stalin-Laval ha finito (attraverso ciò che può apparire come un baratto di concessioni di politica estera

contro vantaggi di politica interna) col rialzare, agli effetti sovietici, le sorti della visita, dandole una portata superiore a quella che le pubbliche, inequivoche manifestazioni della prima giornata autorizzavano a ritenere.

Il comunicato riafferma quindi espressamente -pur con le dovute concessioni alla collettività degli obiettivi -la ulteriore continuazione della «collaborazione » politica franco-sovietica.

226

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2603/118 R. Mosca, 16 maggio 1935, ore 4,24 (per. ore 7,10).

Ho rivisto Lavai prima della sua partenza. Egli si è mostrato particolarmente soddisfatto del suo incontro con Stalin.

Stalin -mi diceva -è un asiatico, ma un individuo dritto, sobrio, pieno di «comprensione » (per il significato di questa comprensione staliniana rinvio al precedente telegramma n. 117) (1). Lavai mi ha dichiarato di essersi lasciato con Stalin in rapporti veramente cordiali, «come se lo avesse conosciuto da tempo ».

Sul contenuto delle sue conversazioni, in materia di politica estera, il Ministro degli Affari Esteri francese mi ha ancora una volta ripetuto quanto mi aveva già detto precedentemente, insistendo specialmente sul programma di cooperazione con la Polonia e la Russia.

Per parte mia, ho approfittato dell'occasione per cercare -attraverso una serie di domande -di comprendere se Lavai considerasse il Trattato firmato il 2 maggio, almeno per il momento, come un punto di arrivo, anziché di partenza del suo programma di cooperazione franco-sovietica.

Ciò che Lavai mi ha risposto non mi sembra per quanto riguarda la prima ipotesi. Egli ha cominciato con ammettere espressamente che protocollo francosovietico del 5 dicembre conserva suo pieno vigore, con tutto il programma di cooperazione politica che vi è connesso.

Germania. Accennando ulteriormente all'opera che si propone di intraprendere per abbracciare in un patto regionale anche la Germania e Polonia, egli ha pure ammesso che Patto franco-sovietico non risulterebbe da questo nuovo patto affatto menomato, la sua portata oltrepassando comunque quella di un eventuale patto regionale e i patti bilaterali di assistenza mutua avendo funzione complementare e Integrativa dei Trattati consultivi generali. Pure ammettendo che il valore e gli sviluppi del Patto del 2 maggio « dipenderanno dalle circostanze», Lavai ritiene che il Patto meriterebbe una più estesa adozione, nell'occasione, anzi, dicendo di avere a Stresa espressamente proposto a v. E. la conclusione dì un Patto analogo Italia-U.R.S.S.

Richiesto se sapesse degli sviluppi che l'U.R.S.S. intendesse dare per suo conto al Patto nei rispetti altri Paesi dell'Oriente europeo oltre la Cecoslovac

chia, Lavai mi ha risposto di no, traendone per altro occasione per dire che sarebbe interesse italiano concludere un Patto Mediterraneo che comprendesse Paesi Intesa Balcanica con la Turchia alla testa. Ha concluso dicendo accingersi recarsi a Roma per cooperare con tutte le sue forze alla riuscita del Patto Danubiano.

(l) Vedi D. 225.

227

IL MINISTRO A COPENAGHEN, CAPASSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2604/22 R. Copenaghen, 16 maggio 1935, ore 14,12 (per. ore 16,55).

Telegramma di V. E. n. 10, quattordici corrente (1).

Nel giornale Politiken e nel suo supplemento settimanale, non ho trovato indicate serie corrispondenze da Addis Abeba. Solo nel numero di ieri l'altro 13 corrente, una scrittrice ha pubblicato articolo intitolato «Abissinia e Grandi Potenze» che è piuttosto attacco generico contro principio colonizzatore e prende a partito tutte le Potenze coloniali. In detto articolo, che trasmetto per posta, trovasi tuttavia asserzione trovarsi Ual-Ual in territorio etiopico.

Per questa presa di posizione della scrittrice a favore della tesi abissina prima ancora di eventuale giudizio arbitrale, nonché per tono articolo di fondo odierno detto giornale che anche esso trasmetto, ho già fatto serie rimostranze questo Governo come ordinato dall'E. V. (2).

228

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON L'AMBASCIATORE DELL'UNIONE SOVIETICA A ROMA, STEIN

VERBALE (3). Roma, 16 maggio 1935, [ore 18,15].

L'Ambasciatore Stein premette che deve parlare al Capo del Governo con molta franchezza. Dopo sei mesi della sua permanenza a Roma egli crede di poter fare un bilancio dei risultati raggiunti nei rapporti fra i due Paesi. Pre

messo che questi rapporti sono buoni egli deve esporre qualche preoccupazione che nel momento attuale è sorta nel suo paese nei riguardi della politica italiana. Queste preoccupazioni. riguardano in primo luogo la Polonia: il Governo dell'U.R.S.S. constata un avvicinamento fra l'Italia e la Polonia. Pensa che una delle ragioni dell'avvicinamento sia quella di distaccare la Polonia dalla Germania ed in ciò l'U.R.S.S. non può che essere perfettamente d'accordo. D'altra parte però risulta da a~cune dichiarazioni ufficiali (comunicato sul convegno Beck-Suvich a Venezia) (l) che l'Italia è d'accordo con la Polonia nelle più importanti questioni del momento. Ciò fa supporre che l'Italia abbia modificato il proprio punto di vista sulla questione del Patto Orientale che notoriamente è osteggiato dalla Polonia. Inoltre a Mosca ci si chiede quali sono le contropartite offerte dall'Italia alla Polonia per ottenere la sua adesione alla difesa dell'Austria.

Un secondo ordine di preoccupazioni deriva dal contegno della stampa italiana. Durante la preparazione del Patto franco-russo, la stampa italiana non ha fatto che raccogliere le notizie contrarie al detto Patto; dopo la conclusione del Patto è venuto qualche articolo più oggettivo, ma nessun commento favorevole. C'è poi l'articolo dell'accademico Coppola (2) che considera che la Russia non sia atta a partecipare ad alcun patto con Potenze occidentali.

L'On. Suvich ha già detto che Coppola non rappresenta l'opinione ufficiale del Governo, però sta di fatto che in mancanza di dichiarazioni ufficiali a Mosca non ci si può non preoccupare di tale campagna di stampa italiana.

Il Capo del Governo risponde per la Polonia: l) l'Italia ha interesse a che la Polonia partecipi al Patto Danubiano e quindi alla difesa dell'Austria smentendo le voci che si erano diffuse su un impegno !!ella Polonia verso la Germania per lasciarle mano libera in quel

settore; 2) noi abbiamo un certo interesse a staccare la Polonia dalla Germania; 3) non abbiamo fatto né ci è stata. chiesta alcuna promessa alla Polonia

in contraccambio della sua adesione al Patto danubiano.

Per quanto riguarda il Patto Orientale e particolarmente l'accordo francorusso il Capo del Governo ha mantenuto sempre un atteggiamento favorevole; ancora recentemente ha consigliato Lavai a marciare versò questo accordo.

A proposito della stampa infine deve dire che c'è stata qualche reazione nella stampa italiana per il contegno poco amichevole per noi della stampa russa e dei circoli politici russi nei riguardi dell'incidente itala-etiopico. Né in ciò possiamo far distinzione fra organi del Governo ed organi del Partito. Noi sappiamo molto ben giudicare le relazioni fra l'uno e l'altro data l'analogia con quanto oggi esiste in Italia.

L'Ambasciatore dell'U.R.S.S. contesta che ci sia un atteggiamento ostile in Russia contro l'azione dell'Italia in Etiopia: è una cosa che non riguarda la Russia e nella quale non vuole entrare. Ad ogni modo egli ringrazia il Capo del Governo per le informazioni dategli che riferirà senz'altro a Mosca (3).

(l) -Il testo del telegramma era il seguente: <<Dato contenuto terza corrispondenza da Addis Abeba pubblicato dal Politiken -assolutamente falsa per quanto concerne scontro Ual-Ual -tale giornale sarà vietato nel Regno. Faccia anche intendere che tali pubblicazioni possono seriamente compromettere i rapporti itaio-danesi. MussoLINI » (T. 854/10 R.). (2) -Con T. 891/12 R. del 18 maggio 1935, ore l, Suvich rispondeva: «suo 22. Corrispondenza cui si è riferito S. E. Capo del Governo nel Suo telegramma del 13 corr. è stata esgnalata come apparsa nel numero 29 aprile di Politiken col titolo «Guerra sotto il sole tropicale"». Capasso replicava con T. 2697/23 R. del 21 maggio 1935, ore 14,20: «Numero 29, aprile u.s. Politiken di Copenaghen non (dico non) contiene [articolo] dal titolo segnalato dall'E. V. né altro genere. Riveduta collezione intero aprile con identico rusultato negativo.Avanzo ipotesi trattarsi equivoco dovuto omonimia giornale altro paese. Avendo già comunicato all'Ufficio Stampa d[ questo Ministero Affari Esteri sospensione nel Regno di detto giornale, prego V. E. impartirmi istruzioni al riguardo». E con T. 2723/25 R. del 22 maggio 1935 ore 14, aggiungeva: «Corrispondenza incriminata è apparsa nel Berlingske Tidende 29 aprile confinata come precedenti in edizione della sera detto giornale. Ho subito provveduto avvertire Ufficio Stampa questo Ministero degli Affar.! Esteri che non Politiken ma Berlingske Tidende è stato sospeso nel Regno per false notizie concernenti scontro Ual-Ual ». A questi due te.Jegrammirispondeva Ciano (T. 933/13 R. del 26 maggio 1935, ore 21): «È stato disposto fin dal 23 corrente divieto introduzione Regno del giornale Berlingske Tidende. Si conferma che divieto disposto per giornale Politiken è stato revocato». (3) -Al colloquio era presente anche suvlch che ha redatto il verbale. (l) -Vedi D. 63. (2) -Vedi D. 112, nota 3. (3) -Il presente documento reca 11 visto di Mussolini.
229

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2608/274 R. Parigi, 16 maggio 1935, ore 19,35 (per. ore 22,20).

Telegramma [di V. E.] per corriere n. 843 (1).

Ho fatto stamane a questo Direttore Generale degli Affari Politici comunicazione particolareggiata della quale V. E. mi ha incaricato. Ho dato gli schiarimenti del caso, lasciando un appunto della conversazione, ripeto appunto, non pro-memoria.

Circa nostra osservazione, aver cioè «esperienza dimostrato che il controllo in pratica non è efficace, si presta ad inconvenienti». Bargeton mi ha detto Governo francese ha preso in materia di controllo una linea di condotta alla quale intende mantenersi rigorosamente fedele. Quai d'Orsay è d'avviso che il mantenimento del principio del controllo, sulla base della reciprocità beninteso, sia la sola arma che ormai resta per frenare gli armamenti della Germania. La Francia non potrebbe pertanto rinunciare al controllo in una convenzione concernente riarmamento degli Stati disarmati per Trattato.

Direttore Generale degli Affari Politici ha osservato poi, a proposito del Patto generale di non aggressione, non ingerenza e consultazione semplicemente, che la consultazione semplice non è sufficiente. Quai d'Orsay chiede che, in caso di difficoltà, la vertenza sia deferita infine alla competenza della S.d.N.

Mi [riservo] di intrattenere su tutta la questione Lavai al suo ritorno. Temo però che egli, di ritorno dal viaggio nell'Europa Orientale, si trattenga soltanto poche ore a Parigi per proseguire per Ginevra. Infatti la sua assenza si prolungherà di qualche giorno per la nuova sosta a Varsavia, dove Ministro degli Affari Esteri Lavai rappresenterà il Governo della Repubblica ai funerali del Maresciallo Pilsudski.

230

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, A LONDRA, GRANDI, A MOSCA, ATTOLICO, A PARIGI, PIGNATTI, A VARSAVIA, BASTIANINI, E AI MINISTRI A BELGRADO, VIOLA, A BUCAREST, SOLA, A BUDAPEST, COLONNA, A PRAGA, ROCCO, E A VIENNA, PREZIOSI

T. PERCORRIERE 873/C.R. Roma, 16 maggio 1935, [ore 24].

Il 9 corr. ho ricevuto l'Ambasciatore von Hassell e l'ho messo sommariamente al corrente degli scambi di idee in corso circa il Patto danubiano, particolarmente in relazione al convegno di Venezia (2). Egli mi ha detto che era opportuno non dare alla Germania la sensazione di volerla mettere dinanzi a fatti compiuti. Gli ho risposto che ciò era molto lontano dalle nostre intenzioni e che anzi la Germania era stato il primo Paese con cui avevamo avuto degli scambi di idee circa il protocollo danubiano.

Ieri (l) poi, come Le venne anche telegrafato a parte (2), Hassell è stato ricevuto da S. E. il Capo del Governo che lo ha messo al corrente della situazione.

Circa la data della conferenza, nessuna data in realtà è stata fissata sia perché occorre che la Conferenza in ogni caso sia convenientemente preparata, sia perché è bene tener conto delle opportunità di ogni partecipante. Le date indicate nella stampa del 20 maggio prima e del 3 giugno poi sono state perciò puramente indicative e non autorizzate.

Sempre sulla linea degli schiarimenti già forniti dal Governo germanico verbalmente e per iscritto, nel nostro pensiero la Conferenza danubiana dovrebbe portare alla èonclusione per gli Stati interessati alla situazione nell'Europa centrale e danubiana di un patto collettivo di non aggressione, non ingerenza, eventualmente di non assistenza all'aggressore e di consultazione in termini generici. In tale patto dovrebbe essere prevista la facoltà di concludere accordi bilaterali prevedendo una consultazione più sostanziale «en vue des mesures à prendre ».

Col telegramma per corriere dell'H corrente n. 844 (3) V. E. ha ricevuto per notizia comunicazione del telegramma informativo inviato a Parigi sui risultati della riunione di Venezia.

Con altri telegrammi per corriere V. E. riceverà notizia delle comunicazioni parallele fatte in proposito ai Governi di Belgrado, Bucarest, Praga e Varsavia (4).

Non è affatto nostro desiderio che il Governo del Reich non partecipi anche a tale lavoro preparatorio, ma occorrerebbe chiarire quale significato sia da attribuire all'atteggiamento finora tenuto da parte germanica di così cauta riserva e se questo preluda ad una ulteriore effettiva volontà di collaborare o ad una tattica di disinteresse e di astensione.

Si può anche dire che il lavoro preparatorio sia cominciato proprio colla Germania. Mi riferisco ai chiarimenti a suo tempo forniti sul processo verbale del 7 gennaio.

Sulla base di quanto precede e delle conversazioni con Hassell V. E. potrà prendere opportuni contatti costì e farmene sapere appena possibile il risultato. Mi riservo allora autorizzarla a procedere a eventuali comunicazioni più estese; per ora può limitarsi a notizie sulle linee della impostazione generale.

(l) -Vedi D. 172, nota l p. 188. (2) -Vedi DD. 144, 145, 146, 150, 151, 152.
231

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. 875/114 R. Roma, 16 maggio 1935, ore 24.

Trovi modo di far esattamente controllare le notizie trasmesse dalla Radio di Londra circa uno straordinario affollamento di giovani tedeschi attorno al Consolato d'Etiopia a Berlino, allo scopo di essere arruolati in Etiopia (5).

(l) -Questo telegramma è stato redatto il 14 maggio. (2) -T. 862/C.R. del 14 maggio 1935, ore 23, non pubblicato. Per il colloquio vedi D. 190. (3) -T. per corriere 844/C.R. dell'll maggio 1935, non pubblicato, ma vedi D. 172, nota 1 p. 188. (4) -Vedi D. 172, nota l p. 188. (5) -Con successivo T. 915/121 R. del 23 maggio 1935, ore 2, Suvich aggiungeva: «Anche stampa viennese riporta notizia arruolamenti cittadini tedeschi da parte consolato Etiopia. Prego rispondere cortese urgenza telegramma n. 114 ». Vedi D. 315.
232

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2660/0144 R. Berlino, 16 maggio 1935 (per. il 18).

Non ricordo, dacché sono a Berlino, un periodo di calma maggiore di quello degli ultimi giorni. Sono probabilmente state impartite istruzioni alla stampa di non commentare gli avvenimenti in attesa del discorso politico che il Can

-celliere pronuncerà il 21 corrente. Come riferii a V. E. Hitler avrebbe dovuto parlare il 17 corrente, secondo anniversario della nota esposizione di politica estera in cui il Fiihrer manifestò le sue intenzioni di pace nei riguardi di tutti i vicini, offrendo a ciascuno (tranne che all'Austria) la conclusione di patti bilaterali di non aggressione. La proposta fu raccolta sinora soltanto dalla Polonia, ragione per la quale la morte del Maresciallo Pilsudski fu considerata in Germania occasione propizia per inscenare dimostrazioni di simpatia ed amicizia fraterna per la Polonia. Nessun elogio è sufficiente per magnificare il defunto grande soldato polacco ed il linguaggio odierno è sorprendente per chi, dotato di un poco di memoria, rammenta quali termini fossero sino a poco più di un anno fa adoperati dalla stampa tedesca nel parlare del Capo delle Legioni polacche durante la guerra, che era stato dai Tedeschi fatto prigioniero e tenuto relegato per oltre un anno a Magdeburgo perché voleva, dopo avere liberato dai Russi una parte del territorio della Patria, far sventolare la bandiera polacca anche in Posnania ed in Galizia.

Nulla viene tralasciato in questo momento da parte tedesca per conservare l'amicizia polacca, divenuta ancora più preziosa dopo la firma del patto francosovietico e dell'accordo sovietico-cecoslovacco, attribuendosi ad ambedue il carattere decisamente ostile, anzi aggressivo, verso la Germania. Colla mancanza di misura che caratterizza questa Nazione, la Rappresentanza tedesca alle cerimonie funebri del Maresciallo Pilsudski consterà non solo del Presidente del Consiglio Prussiano in persona, ma di due Generali, uno dell'Esercito e uno dell'Aviazione, e di un Ammiraglio, oltre agli aiutanti di Goering, cosa anche questa che contrasta con il disprezzo che si ostentava in Germania sino a poco tempo fa per l'Esercito polacco, del quale si soleva dire che lo si sarebbe battuto anche con i soli 100 mila uomini consentiti al Reich dal Trattato di Versailles.

Goering ci ha abituati ad un Unguaggio così inopportuno, anzi pericoloso ne1 riguardi del suo Paese,. quando parla di politica estera, che tutti quanti aspettano di conoscere con curiosità le sue eventuali prossime manifestazioni oratorie. Ancorché i giornali di Berlino abbiano taciuto al riguardo, si è venuto a conoscere ugualmente nei circoli diplomatici attraverso la stampa del Baden il sorprendente e volgarissimo linguaggio tenuto da Goering a Friburgo in Brisgau il 10 corrente contro la Svizzera, stato colpevole solo di non avere tollerato che la Polizia politica segreta del Reich potesse liberamente agire sul territorio della Confederazione per arrestarvi e trascinare in Germania un emigrato politico tedesco. Espressioni quali «saudumme Liigen », «Leute die keinen hirn sondern Dreck im Schadel haben » e simili saranno genuinamente germaniche, ma non sono certo usuali nel linguaggio diplomatico.

L'inopportunità politica del Presidente del Consiglio prussiano è risaltat~:> inoltre in recenti dichiarazioni che egli fece ad un giornale jugoslavo, secondo le quali la Germania era spiacente di non avere avuto il modo di combattere insieme alle valorose truppe jugoslave. Mi risulta che questa infelice frase produsse un'impressione pessima in Ungheria, dove si riteneva che essa avrebbe anche potuto avere una certa ripercussione sul ricevimento da farsi al Maresciallo von Mackensen. Se si pensa poi che il Generale Goering si propone di recarsi personalmente fra pochi giorni a Budapest, all'inizio del suo viaggio di nozze che lo porterà in Dalmazia ed in altre regioni jugoslave e che terminerà a Belgrado, ci si domanda proprio se egli sia perfettamente normale. Non dovrebbe infatti essere verosimile che gli ungheresi facciano a Goering, dopo le dichiarazioni filo-romene ed anti-revisioniste di Belgrado in occasione del funerale di Re Alessandro e dopo il suddetto inopportuno elogio alle truppe jugoslave, le accoglienze cordiali che egli indubbiamente si aspetta da loro, convinto come è che tutto gli sia dovuto.

Parlai, all'inizio di questa comunicazione, della calma politica che regna in questi giorni a Berlino. Nei circoli diplomatici la si attribuisce a varie cause: innanzi tutto allo stato di depressione delle sfere responsabili per la situazione internazionale della Germania. L'Auswartiges Amt, che non approvò mai la politica estera del Fiihrer o per lo meno i metodi da lui adottati per farla, scorge nell'isolamento della Germania il risultato logico di una azione diplomatica infelice, ancorché i singoli suoi funzionari si trovino però nella necessità di sostenere ufficialmente che Hitler ha ragione al cento per cento.

Il partito, sprovvisto com'è di cultura politica estera e sopratutto dell'oggettività necessaria per giudicare i delicati problemi internazionali, si rende tuttavia conto che non tutto quanto è stato fatto fu coronato da successo, giudicandolo dall'astio del mondo verso la Germania. Hess è partito p~r la Svezia, Paese giudicato relativamente amico del nazionalsocialismo, per far ivi propaganda in favore del terzo Reich. Non si hanno ancora notizie esatte circa tale viaggio.

Le illusioni tedesche circa il contegno inglese sembrano destinate a cadere. È di ieri il discorso di Lord Rothermere alla Camera alta britannica, in cui questo volgare e leggerissimo Lord, dopo avere trascorso varie settimane in Germania a lodare tutto quanto aveva fatto il nazionalsocialismo e dopo avere posto i suoi numerosi ·giornali a disposizione della propaganda tedesca in Inghilterra, se ne venne fuori con un discorso in cui pose in guardia il suo Paese dinanzi alla minaccia aerea del Reich, e, con la consueta sua leggerezza, parlò di 10 mila apparecchi tedeschi di bombardamento. La sorpresa e la delusione per il linguaggio di Lord Rothermere è stata tale che nessun giornale del mattino ha creduto di far seguire alla notizia un breve commento per ridicolizzare le assurde affermazioni di chi era considerato sino a ieri come uno dei migliori amici della Germania.

In tale atmosfera il discorso del Cancelliere è atteso con grande curiosità. Mentre una parte di esso consterà della esposizione delle ragioni che indussero Hitler a stracciare la parte quinta del Trattato di Versailles (gli argomenti che verranno addotti sono tutti noti), si ignora se e quale atteggiamento vorrà

pubblicamente assumere Hitler nei riguardi dei vari problemi politici attuali. E siccome i problemi medesimi non possono essere risolti in modo completo e quindi soddisfacente senza il concorso del Reich, l'esposizione di politica estera del Cancelliere sarà di importanza capitale. Essa avrà luogo alle ore 20 di martedì prossimo, ventuno maggio, e sarà radiotrasmessa da tutte le stazioni tedesche.

233

COLLOQUIO DEL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, CON IL MINISTRO DI CECOSLOVACCHIA A ROMA, CHVALKOVSKY

APPUNTO. Roma, 16 maggio 1935.

Mi ha comunicato confidenzialmente il punto di vista di Benes sui lavori per la conferenza danubiana, che egli mi ha fatto pervenire ricapitolato nell'accluso promemoria.

Gli ho detto che tale punto di vista era già noto attraverso comunicazioni del nostro Ministro a Praga (l) e gli ho chiarito i Iati della questione su cui le nostre opinioni non collimavano, esponendogli al riguardo il punto di vista del R. Governo. Infine ho creduto opportuno accennargli che le prime notizie sulla ,conferenza della Piccola Intesa a Bucarest avevano prodotto a Roma un certo senso di pessimismo, che -lo pregavo di avvertire confidenzialmente Benes -avrebbe potuto finire per portare da parte nostra anche a un certo disinteressamento alle sorti della Conferenza.

ALLEGATO

IL MINISTRO DI CECOSLOVACCHIA A ROMA, CHV.ALKOVSKY,

AL CAPO DI GABINETTO, ALOISI

PRoMEMORIA. [Roma, 16 maggio 1935].

Le point de vue concernant la Conférence danubienne à Rome:

1. -dans les travaux préparatoires ne pas procéùer par étapes, traiter tous les problémes actuels simultanément en bloc. 2. -Un pacte général de non-ingérence sans de pactes parallèles de l'assistance mutuelle (surtout: d'Italie, de Yougoslavie, de Tchécoslovaqtiie, d'Autriche) ne serait pas une garantie complete de l'indépendance d'Autriche. 3. -C'est seulement dans l'atmosphère favorable; créée par la conclusion des pactes susmentionnés de l'assistance mutuelle, qu'on pourrait entrer d'accord avec tous les autres, en négociations avec la Hongrie concernant le réarmément. 4. -Tous les participants de la Conférence devraient conclure avec l'Autriche des pactes de l'assistance mutuelle et avec la Hongrie le pacte de non ingérence, les pactes de non-agréssion et consultatifs. 5. -La Petite Entente s'oppose à la restauration des Habsbourgs dans n'importe quelle forme; il ne serait pas nécessaire de demander de la part de l'Autriche une déclaration spéciale au cas où la France et l'Ita1ie garantissent qu'elles ne vont pas admettre cette restauration. 6. -Il faut éviter tout ce qui pourrait créer la méfiance de la Yougoslavie et de la Roumanie non seulement comme membres de la Petite Entente, mais aussi de l'Entente Balcanique.

(l) Vedi DD. 101, 139 e 163.

234

COLLOQUIO DEL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, CON IL MINISTRO DI ROMANIA A ROMA, LUGOSIANU

APPUNTO. Roma, 16 maggio 1935.

Ha voluto informarsi su eventuali mutamenti del nostro punto di vista nei riguardi di alcuni problemi della conferenza danubiana, e specialmente del problema della consultazione.

Gli ho detto che i nostri punti di vista erano immutati e ho parlato anche a lui, come al Ministro cecoslovacco, della cattiva impressione prodotta a Roma dalle prime notizie della riunione tenuta dalla Intesa Balcanica a Bucarest (1).

235

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 16 maggio 1935.

QUESTIONE ETIOPICA (GINEVRA, MAGGIO 1935)

V. E. si degnò approvare a suo tempo il programma procedurale-dilatorio, che la Delegazione italiana ha attuato per tre sessioni successive, conseguendo lo scopo prefisso di tirare in lungo le cose da gennaio a maggio.

Presentemente le difficoltà si presentano assai maggiori sia perché complicate dal complesso della situazione internazionale; sia perché oramai la questione ha dovuto necessariamente essere iscritta all'ordine del giorno dell'assemblea e del Consiglio e sia infine per le due seguenti circostanze di carattere politico. Nei riguardi di ognuna di esse ho l'onore di sottoporre alla approvazione di V. E. la linea di condotta che la Delegazione italiana si propone di seguire:

a) l'Inghilterra e la Francia, interessantissime come sono, per ragioni d'ordine interno ed esterno, alla conservazione del prestigio della Società delle Nazioni, cercano di servirsi di questo assioma della intangibilità ginevrina per ricattarci e legarci le mani.

Ritengo che la migliore risposta a questo tentativo sia quella di ritorcere contro di loro le loro stesse armi e speculare anche noi, a nostro vantaggio, su questa loro paura, per le sorti della Lega, il che può attenersi lasciando accortamente e cautamente diffondere la voce che l'Italia abbia già considerato sotto tutti gli aspetti la questione della sua eventuale uscita dalla Lega, in modo da indurre francesi ed inglesi a riflettere seriamente sul pericolo che la Lega, per tenere troppo a conservare l'Abissinia, possa finire per perdere l'Italia, che è oggi per lei necessaria condizione di vita. E contemporaneamente in

durli a temere che, con l'uscita dell'Italia, crolli anche il fronte di Stresa, su cui poggia oggi tanta parte della loro «sécurité ». In altri termini, trovare il modo di metterei nella condizione non di colui che direttamente o indirettamente solleciti la discussione del problema abissino, col pericolo di dover subire la nomina di qualche Commissione di inchiesta, che sia poi difficile togliersi dai piedi al momento dell'azione, ma nell'atteggiamento di chi attende che siano gli altri, se vogliono salvare la Lega, a escogitare una soluzione di carattere ginevrino che, dandoci soddisfazione, ci dia il modo di rimanere a Ginevra.

b) L'ultima nota etiopica (l) tratta di vari argomenti, ma racchiude solo nell'ultimo periodo tutta la sua vera ragione d'essere: nell'appello al Consiglio perché voglia garantire l'integrità etiopica contro ogni aggressione.

A questo proposito la Delegazione italiana non ha che da seguire fino in fondo la traccia del discorsd di V. E. al Senato, inibendo a chicchessia di tentare di immischiarsi nell'esame e nel giudizio sul come e quando l'Italia intenda provvedere alla sicurezza del suo territorio.

Quanto alle questioni minori, di carattere procedurale, la Delegazione si atterrà alle istruzioni già avute nel passato. Tuttavia mi permetto prospettare l'atteggiamento che reputo opportuno adottare in ognuna delle due seguenti prevedi bili manovre abissine:

a) la Delegazione etiopica cercherà probabilmente di negare che, ai sensi del Trattato, sia sostenibile l'esistenza della fase della conciliazione e pretenderà quindi di saltare senz'altro a quella dell'arbitrato, basandosi su di una certa ambiguità del testo del trattato. Mi propongo di tener duro sulla nostra interpretazione basata sulle lettere che furono scambiate fra le parti in occasione della firma del trattato e che ne sono parte integrante. E ciò per allungare di una tappa la fase procedurale;

b) la Delegazione etiopica coglierà il pretesto della nostra opposizione alla nomina da parte etiopica di arbitri conciliatori di nazionalità diversa da quella abissina per accusare l'Italia di sabotare la procedura in corso.

Sottopongo all'approvazione di V. E. la opportunità eventualmente di transigere tempestivamente su questo punto secondarissimo per evitare che l'Etiopia si ~wvalga di questo pretesto per chiedere di nuovo l'applicazione del Covenant in luogo del Trattato italo-etiopico, che a suo tempo noi abbiamo preteso e ottenuto fosse prescelto. E' da tener presente che i molti noti zelatori della Lega sarebbero felicissimi di appoggiare questo pretesto che darebbe modo alla Lega di intrufolarsi in questa questione.

D'altronde la nostra dichiarazione di longanime concessione alla nomina da parte etiopica di arbitri conciliatori non abissini potrebbe essere accompagnata dalla considerazione che noi ci vediamo costretti a cedere dalla stessa confessione del Governo etiopico di non saper trovare fra i milioni dei suoi surtditi due sole persone che siano all'altezza di-difendere gli interessi del loro paese.

Del che potrebbe essere assai utile per noi che il Consiglio prendesse atto.

(l) Il presen te documento reca il visto di Mussolini.

(l) Vedi D. 209, nota l.

236

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. ~227/871. Mosca, 16 maggio 1935 (per. il 20).

Nell'esaminare, alla vigilia dell'arrivo di Laval, il valore del patto francosovietico, io scrivevo (mio rappo~o dell'S corrente) (l) che, naturalmente, esso sarebbe stato diverso a seconda che il trattato del 2 maggio mostrasse il fatto di costituire il punto di partenza, ovvero il punto di arrivo della collaborazione franco-sovietica. Vediamo, ora che la visita Laval è compiuta, quali siano al riguardo gli insegnamenti da trarre.

Che la visita Laval avesse inizio in una atmosfera di netto riserbo non è dubbio. Le esitazioni che avevano preceduto la firma del trattato erano state tante, che era già molto assegnare alla visita il compito immediato di distruggerne le tracce. Tutto questo appariva chiaramente dallo stesso contegno della stampa sovietica, mantenutosi, come io a suo tempo segnalavo, sufficientemente e visibilmente cauto.

Per di più, la visita di Laval a Mosca seguiva immediatamente quella analoga a Varsavia, i cui risultati si potevano considerare (vedansi telegrammi di

S. E. Bastianini) quasi altrettanto negativi dal punto di vista sovietico quanto positivi da quello polacco.

E' in questa atmosfera che si svolge la prima giornata di Laval a Mosca. Gli stessi brindisi -gli unici, veramente ufficiali, dell'incontro -scambiati alla fine del banchetto alla Spiridionowka, ne risentono all'evidenza. Mentre entrambi erano, più che altro, dei panegirici per gli autori viventi del trattato e dei necrologi per quelli morti, il primo -quello di Litvinov -era visibilmente contenuto in una cornice bilaterale, franco-sovietica, mentre il secondo, -quello di Laval -si allargava ostensivamente verso una direttrice generale Ginevra, Roma, Londra, Stresa... Non solo, ma un espresso accenno fatto da Litvinov agli sviluppi futuri della cooperazione franco-sovietica era, da Laval, fatto senz'altro cadere.

Questo il bilancio della prima giornata e dopo il primo, anzi l'unico colloquio politico Laval-Litvinov. Nessun calore; nessuna intimità; nessuna, quindi, promessa per l'avvenire. Il corrispondente speciale del Temps non trovava infatti di meglio, il 13 maggio, che telegrafare al proprio giornale che « l'impression dominante de l'arrivée à Moscou est peut-étre moins la véritable cordialité de l'accueil, qu'un sentiment d'ordre et d'organisation vraiment remarquàble dont on ne peut s'empécher d'étre frappè >>.

Da ciò il riserbo, che io stesso, pur convinto per quanto amaro, assertore degli sviluppi dell'amicizia franco-sovietica, mostravo, con mio intimo compiacimento, nei miei primi telegrammi alla E. V..

Diversa, invece, profondamente diversa la situazione alla fine della terza giornata, quando Laval diceva nel Consiglio dei Soviet di Mosca che «quel

\1) Non rinvenuto.

giorno più che mai, sentiva tutto il valore della cooperazione franco-sovietica in quanto base vitale della pace »; quando i due Ministri degli Esteri, nel cospicuo centro della ex Loggia imperiale, a simbolo della rinnovata unione fra i due paesi, si stringevano, in mezzo agli applausi scroscianti del pubblico, con effusione e ripetutamente la mano; quando Lavai partiva tra calorosi evviva alla amicizia franco-sovietica ...

Quale il fattore che ha determinato un siffatto cambiamento? L'incontro, e l'accordo, Stalin-Laval.

Anche per questo rinvio, naturalmente, all'apposito rapporto che ne dà i dettagli. Qui esamino quell'incontro nella sua sintesi. Esso era durato due ore, prolungandosi poi per più di altrettanto attraverso i lieti conversari di una colazione che immediatamente la seguiva e in seguito alla quale Lavai poteva dire alla sera, alla signora che gli sedeva accanto all'Ambasciata di Francia, di essersi separato dal padrone rosso come da un «vecchio amico ».

Ciò che aveva operato il miracolo non era stata la politica estera, bensì la politica interna francese, la prima facendo, ad ogni effetto, le spese della seconda.

Il trattato del 2 maggio era ancora, in Francia, fortemente attaccato da una larga corrente dell'opinione pubblica e specialmente dalle destre, che più delle altre frazioni risentivano «l'antinomie morale et l'équivoque tacite» di Paléo~oge, per quanto invertita, memoria; i due paesi erano ancora, e restavano, divisi da un diaframma di imprevedibile resistenza, quello della propaganda comunista. Senza la sua rimozione, sarebbe mancata all'avvenire delle relazioni franco-sovietiche ogni base sincera e sicura e quindi ogni effettiva possibilità di sviluppo ... Come fare?

Litvinov, aveva risposto, il giorno prima, di nulla potere. Ma Lavai preme f'cl insiste direttamente col Padrone, il quale, dopo il « no » categorico dovuto opporre in materia di debiti, avvertita -da grande psicologo -l'importanza della cosa, finisce col rispondere -da gran furbo -che ·anche egli -«per la distinzion che nol consente» -come Litvinov, nulla potrebbe, ma che, se Lavai veramente ci tenesse, sarebbe pronto a far pubblicamente constare del suo « pieno apprezzamento e della sua piena approvazione della politica di difesa nazionale della Francia... ». E Lavai accetta. La redazione del comunicato relativo è tutt'altro che facile: essa viene rimandata dal secondo al terzo giorno e dopo 24 ore di segrete negoziazioni, finalmente si concreta nella frase -dallo stesso Lavai riveduta e corretta e forse destinata a diventare storica -del comunicato del 15: «M. Stalin comprend et approuve pleinement la politique de défense nationale faite par la France pour maintenir sa force armée au niveau de sa sécurité ».

La Russia zarista non si sarebbe mai sognata di affermare, in tale guisa e fino a questo punto, il proprio patronato sopra la Francia alleata.

Comunque, e comunque cara sia o possa costare a Lavai questa vittoria, essa determina una situazionè di fatto che non vale ignorare. Come dicevo, è l'ultimo diaframma, quello della propaganda comunista, che fra la Francia e l'URSS è venuto meno. Non v'è quindi nessuna ragione per cui i due paesi non ritrovino, incontrandosi l'un l'altro nuovamente, quella alleanza che ha

resistito a due secoli di défaillances. È, ancora una volta, la storia che s1 ripete.

Certo, Lavai ha insistito anche con Stalin sulla necessità di dare al trattato franco-sovietico uno sfondo generale. Ma il Padrone che, fin dalla visita di Eden, aveva dato atto della propria comprensione -e persino della propria simpatia -per la situazione tedesca e che dopo la morte di Pilsudski ha meno che mai ragione di temere della Polonia, ha senz'altro -come già Litvinov -graziosamente accettato. Ma non bisogna illudersi. Il patto consultivo regionale, se anche si riuscirà a farlo, sarà, così per la Francia come per l'URSS, un vantaggio, in quanto a suo tempo suscettibile, se mai, di agevolare il funzionamento del trattato del 2 maggio, inficiato e menomato dalla riserva polacca. Questo è quello che Lavai per il momento vuole, oltre che per scopi immediati, anche per reverenza a quel convenzionalismo britannico che pur gli conviene rispettare. Senza contare che il precedente francosovietico, in un ambiente di necessaria concorrenza internazionale, getta le basi per un progressivo inquadramento dell'Europa, in tutto rispondente ai fini del pacifismo franco-sovietico.

Io non so se Lavai, arrivando a Mosca, avesse o vedesse, in cuor suo, prospettive siffatte. Forse no. Altrimenti non si spiegherebbero -o si spiegherebbero con un istrionismo certo superiore a quello effettivo dell'uomo -i « disparaitre » di Varsavia.

L'alleanza -difensiva -fra la Francia e l'URSS -è un fatto compiuto. Il battesimo che essa ha ricevuto -attraverso la visita di Lavai e l'impressione entusiastica, a torto o a ragione riportata dal giornalismo francese sulla efficienza bellica della Russia sovietica -depone e promette a favore della sua vitalità. Vi potranno essere degli alti e dei bassi, ma non delle «disparizioni ».

Sicché, Lavai, lasciando il suolo dell'URSS, ha potuto telegrafare a Litvinov di avere, durante la sua visita, potuto «valutare i motivi profondi e solidi che sono alla base dell'amicizia tra due paesi e sentire tutto l'ardore della naturale simpatia che, durante il corso della storia, unirà sempre la Francia all'URSS... » (l).

237

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1144/455. Varsavia, 16 maggio 1935 (per. il 20).

Seguito mio telegramma n. 66 del 12 corrente (2). La morte del Primo Maresciallo di Polonia, Giuseppe Pilsudski, avvenuta 1'11 corrente, ha gettato l'intiero Paese nella più profonda costernazione. Per

quanto si sapesse da tempo che la fibra del grande eroe nazion..tle era minata da gravissima malattia, pure la sua scomparsa dal posto di silenzioso condottiero della nazione ch'egli aveva potentemente contribuito a far rinascere, ha destato in ogni classe della popolazione l'impressione più dolorosa.

Raramente si è potuto assistere ad una così unanime e sentita manifestazione di cordoglio. La fortissima personalità del Maresciallo la cui prestigiosa figura veramente costituiva il simbolo della Polonia ricostituita, era sopratutto in questi ultimi anni circondata dalla profonda venerazione di tutti i Polacchi che in essa vedevano l'audace artefice della loro rinascita ed il tenacissimo sostenitore della riconquistata indipendenza.

Tutti gli ambienti politici e giornalistici, di ogni colore, si sono come fusi in questo profondo dolore nazionale. L'intiera stampa -compresa quella dell'opposizione -durante tutti questi ultimi giorni ha con numerose edizioni straordinarie esaltato le altissime virtù civili e militari di Giuseppe Pilsudski, esaltandone il glorioso passato e le chiarissime benemerenze patriottiche.

Il Presidente della Repubblica ha indirizzato all'indomani un proclama alla Nazione, in cui, dopo aver celebrato i meriti dell'Uomo che egli qualifica « il più grande fra quelli che la storia della Polonia ha conosciuto », invita tutti i Polacchi ad accogliere il testamento ch'Egli ha lasciato, assumendo coscientemente dinnanzi al Suo spirito il dovere di continuarne l'opera.

Certo, come telegrafavo a V. E. pochi momenti dopo la morte del Maresciallo, nessuno sconvolgimento è previsto nel Paese. Troppo profonda impronta di sé e troppo marcato senso di disciplina, direi militare, Giuseppe Pilsudski aveva saputo impo.rre alla Nazione che egli effettivamente dirigeva, perché ora, con la sua scomparsa, si abbiano a temere scosse improvvise.

Non è privo di significato il fatto che in questi ultimi tempi, certamente conscio della sua prossima fine, Egli aveva voluto affrettare l'applicazione di alcuni importanti provvedimenti, sopratutto in politica interna: fra questi la recente riforma costituzionale e il progetto di nuova legge elettorale.

Prima di morire, nelle ultime ore in cui mantenne una perfetta lucidità di mente, il Maresciallo ha parlato con i suoi principali collaboratori e dettato -se non un vero testamento politico -almeno alcune urgenti disposizioni sopratutto per quanto concerne la sua successione alla direzione del Ministero della Guerra ed all'Ispettorato dell'Armata. A questi posti egli ha designato il generale Kasprzycki, valorosa personalità militare che ha vissuto finora completamente estranea alla politica ed è circondata dall'unanime altissima stima, e il generale Rydz-Smigly uomo noto sopratutto per la sua disciplina e la sua preparazione. Queste designazioni del morente dittatore polacco contribuiscono a rassicurare pienamente sulla continuità delle sue direttive. D'altronde il presente Gabinetto, quale è costituito, non può che garantire il Paese da qualsiasi pericolo di eventuali sconvolgimenti. Il Presidente del Consiglio, colonnello Slawek, Presidente dell'Associazione dei Legionari Pilsudskiani, è forse la personalità che godeva della maggiore fiducia del Maresciano il quale gli aveva ultimamente affidato -forse, presentendo la prossima fine -la direzione del Governo. Si può prevedere che, superato il gravissimo accoramento che la morte del Maresciallo ha prodotto in tutti, il

governo di Slawek saprà coraggiosamente affrontare il peso del potere cui è venuto a mancare il sommo capo. Non si ritiene che le opposizioni avranno modo di affermare qualche loro considerevole ripresa. Mal ne incomberebbe comunque ad esse stesse. Se infatti il Maresciallo Pilsudski, per la sua statura medesima, poteva forse in qualche occasione essersi dimostrato longanime verso gesti o tendenze di oppositori che egli disprezzava dall'altissimo, chi oggi sostiene per intiero la responsabilità di governo non risponderebbe certo che con la più dura energia a qualsiasi ostilità di partiti opposti. Ciò che è soltanto da tener presente, è la possibilità di possibili crepe che potrebbero effettuarsi con l'andar del tempo a causa di divergenze personali fra le personalità politiche più in vista. Non si ignora, ad esempio, il divario di vedute e tendenze che esiste tra il ministro Beck e l'ex Presidente del Consiglio Prystor, persona che aveva continuato a godere della piena fiducia del Maresciallo. In ogni modo questi ha provveduto a dare all'Esercito un Capo nominandolo egli stesso prima di morire ed ha così sottratto alle possibili discussioni e scissioni la parte non certo meno importante della Nazione. Vi è chi dice che egli pure prima di morire abbia indirizzato delle lettere ad alcuni dei suoi collaboratori principali raccomandando loro la concordia degli sforzi e l'unione degli spiriti.

Circa le ripercussioni che la scomparsa del Maresciallo potrebbe avere nella politica interna ed estera della Polonia, ritengo di poter affermare che per il momento esse non sembra debbano essere d'importanza rilevante.

In politica interna, il programma di fermezza e decisione che era stato adottato sia nei confronti delle minoranze, come -mutatis mutandis -rispetto alle opposizioni, risponde ad una direttiva del regime alla quale non possono non essere fedeli uomini come Slawek e Beck provenienti dalla vecchia guardia e non certo noti come disposti a compromessi e transazioni. Slawek è l'uomo che divenne terrorista per l'indipendenza della Polonia e Legionario valorosissimo; è il principale inspiratore della riforma costituzionale testé approvata nonché l'autore della nuova legge elettorale con la quale si misconoscono ed in pratica si aboliscono i partiti politici. Poiché questa legge dovrà essere portata all'approvazione del Parlamento entro qualche settimana si vedrà qual'è la forza personale di cui dispone Slawek.

Egli è adesso Capo del Governo e Capo dell'Associazione dei Legionari. Fiancheggiato dal Rydz-Smigly, nomlnato dallo stesso Maresciallo Capo dell'Esercito, è uomo che tutto fa credere essere capace di valersi dell'autorità e della forza di cui dispone. Ma accanto a questa possiede egli le qualità intellettuali che si richiedono ad un Capo di Governo che succede ad un dittatore di enorme prestigio? E questo e un punto che attende di essere verificato.

In politica estera non va dimenticato che Beck era l'uomo del Maresciallo, il Ministro degli Esteri cioè, che rispondeva della sua opera soltanto a lui senza dare conto agli altri se non per quel tanto che fosse necessario a salvare le forme dinanzi agli altri colleghi del Governo. Ed anche se negli ultimi tempi il Maresciallo sempre più afflitto dal male aveva cessato dal seguire giornalmente gli affari di Stato e quelli della politica internazionale, non è men vero che l'attività di Beck appariva ancora a tutti. come quella

21 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. I

che il Maresciallo desiderava e voleva. È certo che con la scomparsa di Pilsudski la politica estera della Polonia cessa di costituire un affare a parte per rientrare anche essa nel dominio del Governo tutto insieme. Il Ministro degli Esteri dovrà tener conto di questo fatto che per lui ed il suo modo di lavoro, non è gradevole, ma io non credo che Beck sarà così poco abile da non adattarvisi mettendo in giuoco il suo avvenire per il quale -molti dicono -egli ha concepito grandissime speranze. È mia impressione tuttavia che Slawek, senza interferire troppo nel campo del suo collaboratore agli esteri, non se ne disinteresserà del tutto come fecero l suoi predecessori Jedrzejewicz e Kozlowski, uomini di assoluta fiducia di Beck, e vorrà tenersi al corrente degli affari e dire la sua opinione. Avrà questo delle conseguenze sensibili sulle direttive principali della Polonia? È troppo presto rispondere essendo Slawek persona di scarsa loquacità -del resto non parla lingue straniere -ed ignorandosi quindi il suo modo di vedere sulle questioni internazionali; mi limito perciò a far presente che questo Ambasciatore di Francia due o tre volte nei momenti difficili da lui attraversati nei mesi scorsi mi parlò di Slawek come di persona fedele all'amicizia franco-polacca che egli avrebbe desiderato in quei giorni amari vedere al Governo. Ma questo non basta e bisognerà attendere qualche tempo prima di precisare il suo ruolo e le sue idee.

Quanto alla posizione personale di Beck, va detto subito che la morte del Maresciallo è per lui un grave colpo se specialmente si tien conto delle avversioni che esistono contro di lui in seno all'esercito dove si critica alquanto un certo snobismo al quale egli non ha saputo sottrarsi, e nelle file dei Legionari dove certi suoi antichi compagni gli rimproverano ambizioni troppo spinte e manovre a suo vantaggio.

Beck mi è apparso abbattutissimo quando mi sono recato a presentargli le condoglianze di V. E. e mi ha confidato che il Maresciallo quando egli si recò a salutarlo prima di partire per Ginevra il mese scorso, dopo avergli date 1e direttive necessarie lo intrattenne ancora a parlare ed infine gli mormorò: «Sopratutto contenetevi in modo da non contare più sopra di me che sono un uomo finito '>.

Ho visto Beck piangere mentre mi raccontava -e lo ha fatto con me solo -quell'episodio e gli ultimi momenti del Maresciallo ed ho compreso, al di fuori di ogni meschina interpretazione di suoi personali interessi, lo strazio profondo del suo cuore.

Non credo che il ricordo del Capo scomparso e la sua ultima esortazione ai suoi fedeli di vegliare tutti uniti alle sorti della Polonia svaniscano presto dagli animi di coloro a cui spetta il compito di compiere l'opera di lui (1).

(l) -n presente documento reca il visto di Mussollni. (2) -Con T. 2535/66 R. del 13 maggio 1935, ore 2,05 Bastianini dava comunicazcione del decesso del Maresciallo Pilsudski e suggeriva l'opportunità della partecipazione di un MarescialJo d'Italia alla cerimonia funebre.

(l) Il presente documento reca 11 visto di Mussolini.

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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. (l). Washington, 16 maggio 1935 (per. il 1° giugno).

Mio telespresso n. 2200/761 del 12 aprile u.s. (2).

Ho chiesto stamane al Segretario di Stato quale fosse lo stato attuale dei lavori per la prevista nuova legislazione in materia di neutralità. I giornali avevano parlato recentemente di riunioni tenute alla Casa Bianca fra il Presidente, il Segretario di Stato ed alcuni parlamentari che si interessano in modo particolare alla questione, ma non appariva chiaro se erano già stati formulati progetti concreti da essere sottoposti al Congresso per discussione ed approvazione.

Il Segretario di Stato mi ha detto che il problema era ancora lontano dallo stadio dell'approvazione parlamentare e che esisteva sempre molta confusione ed incertezza circa le misure che avrebbero potuto venire presentate al Congresso. La confusione era stata provocata dal fatto che, mentre il Dipartimento di Stato si era assunto il compito di studiare a fondo la materia e di formulare le sue proposte, la Commissione Senatoriale d'inchiesta sulla fabbricazione ed il traffico delle munizioni, presieduta dal Senatore Nye, aveva preso l'iniziativa di preparare per conto proprio un certo numero di progetti di legge, e si mostrava impaziente di farli discutere ed apilovare dal Congresso. A sua volta poi, la Commissione degli Affari Esteri del Senato, presieduta dal Senatore Pittman, aveva rivendicato la propria competenza sulla materia, e la recente riunione alla Casa Bianca aveva avuto più che altro lo scopo di risolvere tale conflitto di competenza fra le due Commissioni Senatoriali.

I progetti preparati dalla Commissione Nye, in numero di tre, sono redatti sotto la forma di «risoluzioni» e toccherebbero i seguenti problemi: l) embargo sull'esportazione del materiale da guerra destinato a qualsiasi naz.ione belligerante. L'esportazione in genere del materiale considerato dai belligeranti come «contrabbando di guerra » non sarebbe vietata in modo assoluto, ma il Governo declinerebbe qualsiasi responsabilità per la protezione dei diritti dei fornitori americani, i quali agirebbero a proprio rischio e pericolo; 2) divieto di prestiti e di finanziamenti ad una nazione belligerante; 3) misure per tenere lontani i cittadini americani dalle zone controllate dalle potenze belligeranti, e ciò mediante restrizioni sul rilascio dei passaporti.

Di questi tre progetti, soltanto il primo avrebbe per ora qualche probabilità di venir discusso dalla Commissione Senatoriale degli Affari Esteri. II Segretario di Stato mi ha lasciato comprendere però che neppure esso potrà superare tale frase preliminare e venir presentato all'approvazione del Senato nel corso della presente sessione legislativa, e ciò per due ragioni: anzitutto perché l'ordine del giorno dei lavori è già molto carico e numerose importanti

altre questioni avranno la precedenza; in secondo luogo perché non si vede come il progetto Nye potrebbe venire approvato prima che il Dipartimento di Stato abbia presentato le sue conclusioni.

Circa quest'ultimo punto, il Segretario di Stato mi ha detto che gli studi sulla delicata e complessa materia della neutralità sono tuttora in corso, ed ha osservato che «più si approfondisce la materia -più numerosi sono gli ostacoli e più serie le difficoltà ». Da questa osservazione si può desumere che la fase conclusiva dei lavori del Dipartimento non è imminente.

(l) -Manca l'indicazione del numero di protocollo. (2) -Non rinvenuto.
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L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2628/120 R. Mosca, 17 maggio 1935, ore 1,45 (per. ore 10,35).

Ho veduto oggi Litvinov prima della sua partenza per Ginevra ave si reca presiedere Consiglio della Società delle Nazioni.

Nulla mi ha detto di nuovo circa visita Lavai all'infuori sua piena soddisfazione. Mi ha annunziato firma del Trattato assistenza mutua con Cecoslovacchia, in tdlo simile (salvo che per clausola locarniana che vi è omessa) al trattato franco-sovietico, al cui azionamento esso è espressamente legato.

Richiesto se ancora nulla altro «in vista » ha risposto, per il momento, di no. Non sono però da escludere, ritengo io, nuove «avances » da parte Titulescu e di Aras.

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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI

T. PER CORRIERE 877 R. Roma, 17 maggio 1935.

Prego V. E. di voler intrattenere signor La val al suo ritorno da Mosca sulla situazione che si è creata relativamente al Patto di non ingerenza.

Da parte nostra, ed anche da parte dell'Austria e dell'Ungheria, si è dimostrata la maggiore sollecitudine e la maggiore buona volontà. Siamo riusciti a far 1>ì che l'Ungheria assumesse un atteggiamento molto ragionevole e che non insistesse nel momento attuale su certi punti tradizionali della sua politica che però avrebbero potuto costituire un ostacolo nei negoziati attuali.

Devo, con mio rincresc1mento, constatare che da parte della Piccola Intesa non si è manifestato fino ad ora uno spirito di altrettanta buona volontà ed uno sforzo di comprensione.

Da notizie avute sull'atteggiamento dei Ministri responsabili dei tre Paesi della Piccola Intesa e sulle discussioni dell'Intesa Balcanica a Bucarest, ci risulta:

che si rimette in campo la questione della restaurazione absburgica in Austria e in Ungheria, che nel momento attuale non sono considerate e che comunque prima o poi bisognerà pure riconoscere che sono fatti interni dei due detti Paesi;

che nella questione della parità di diritti si fa della intransigenza fuori di luogo, mentre è chiaro che i due Paesi, l'Austria e l'Ungheria, devono essere messi in situazione da difendere, di fronte alla loro opinione pubblica, la posizione assunta di avere seguito la via degli accordi anziché quella degli atti arbitrari.

Se si dimostrasse che la via buona per ottenere quanto ragionevolmente si chiede è quella della violazione dei trattati, ciò sarebbe oltre che una immoralità, una grossa gaffe, perché si spingerebbero i due Paesi nelle braccia della Germania. Bisogna mettersi dal punto di vista della realtà. L'Austria non è considerata da nessuno un pericolo e l'Ungheria è un paese di 9 milioni di abitanti e, per quanto faccia, rimarrà sempre un paese di 9 milioni, di fronte ai quasi 50 milioni della Piccola Intesa. Ma la tendenza ·che più può disturbare l'andamento dei negoziati è quella che vorrebbe portare insieme nell'accordo anche altri Paesi legando tutti con patti di mutua assistenza Grandi Potenze, la Piccola Intesa e l'Intesa Balcanica.

In questo modo si allargherebbe la questione e si deformerebbe il concetto originale ad un punto tale che c'è da chiedersi se veramente ·Chi segue tale tendenza sia preoccupato della sorte dell'Austria o se non voglia approfittare dell'occasione per far valere interessi del tutto indipendenti e magari contrastanti o anche semplicemente ragioni di puntiglio o di prestigio personale.

Il Signor Lavai sa che in Italia non eravamo per niente favorevoli a questa gonfiatura del Patto di salvaguardia dell'Austria imposto attraverso la Francia dalla Piccola Intesa. Abbiamo aderito per un atto di cordialità verso la Francia e perché pensavamo che, facendosi la Francia mallevadore delle buone disposizioni di questi Paesi, si sarebbe potuto aiutare una détente della situazione dell'Europa Centrale con evidente beneficio della stabilità della situazione europea. Devo dire che sono profondamente deluso se le cose stanno come mi risultano dai sintomi che ho più sopra citato e mi chiedo, e chiedo al Signor Lavai, se in queste condizioni valga la pena di proseguire gli sforzi per portare in porto il Patto danubiano, con non grandi probabilità di successo e col pericolo, in caso di insuccesso, di indebolire la situazione dell'Austria e se non sia meglio ritornare all'idea primitiva di un Patto franco-italiano che potrà essere lasciato aperto a quelli dei vicini dell'Austria che vogliano aderirvi con sincerità di intenti e con l'animo diretto allo stesso fine che ispira la nostra politica.

La questione si impone in questo momento non solo per la sua importanza, ma anche per la sua urgenza, dato che fra giorni il signor Lavai si troverà a Ginevra con alcuni dei rappresentanti della Piccola Intesa (1).

(l} Per la risposta di Pignatti vedi D. 255.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2678/094 R. Londra, 17 maggio 1935 (per. il 20).

L'attenzione degli ambienti politici britannici si è rivolta in questi giorni con particolare interesse ai nuovi sviluppi delle relazioni diplomatiche francorusse che nel corso delle ultime settimane hanno offerto due importanti realizzazioni: la firma del patto di mutua assistenza ed il viaggio del Ministro Lavai nella capitale sovietica.

La crescente intimità fra Parigi e Mosca, che andava poco a poco avviandosi verso la fase delle attuazioni pratiche, era stata considerata a Londra fin dagli inizi con qualche inquietudine. Voci relative a talune clausole degli accordi che Lavai e Litvinov stavano negoziando; l'identità delle preoccupazioni verso la Germania esistenti a Parigi e a Mosca, avevano infatti determinato in questi circoli politici non soltanto il timore che Francia e Russia stessero per ricostituire l'antica alleanza con spiccato carattere anti-tedesco, ma anche che le clausole di questa intesa incidessero sul meccanismo della S.d.N. e fornissero un'altra arma agli «avversari della cooperazione in Europa».

Timori in tal senso avevano trovato la loro eco nella Camera dei Comuni e Simon aveva ritenuto dare ad essi una smentita che era al tempo stesso un monito alla Francia sulle modalità e sui limiti entro i quali era possibile ottenere la cooperazione della Gran Bretagna nelle questioni europee.

La redazione del patto firmato a Parigi il 2 corr., redazione che esclude la possibilità di un'azione automatica al disopra del patto societario, è stata pertanto salutata a Londra con particolare soddisfazione. Questi ambienti politici e parlamentari -lo ha ancora affermato oggi Eden nel suo discorso di Fulham -confidano che i timori esistenti a Berlino ed a Mosca sulle reciproche intenzioni aggressive non saranno giustificate dai fatti. Se il Patto di Parigi, si osserva, non è però destinato ad entrare un giorno in azione, esso tuttavia compie oggi funzioni politiche non meno importanti, e di carattere più generale. Esso, come scrivono taluni commentatori laburisti, costituisce « un elemento del procedimento diretto ad aumentare le forze destinate a fronteggiare gli eventuali aggressori » e secondo quanto sostengono organi conservatori vicini al Governo: «un importante complemento al Covenant il quale non può avere valore costante ed eguale efficacia in ogni settore del mondo ».

E' dunque opinione inglese che col patto di Parigi la Francia e la Russia hanno in sostanza reso un servizio alla causa della sicurezza orientale senza d'altra parte assumere quegli impegni automatici e contrastanti con la S.d.N. che l'Inghilterra nel passato temeva.

242.

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2711/053 R. Vienna, 17 maggio 1935 (per. il 22).

Sotto il vincolo del segreto, Starhemberg mi ha confidato che il Cancelliere, con cui si è lungamente intrattenuto iersera, non sa rendersi conto dei motivi per i quali, come avrebbe appreso ultimamente in Italia (1), noi si sia adesso favorevoli anche ad una non lontana restaurazione asburgica.

Starhemberg ha aggiunto che il Cancelliere gli aveva chiesto insistentemente la causa determinante di siffatto nostro modo di vedere, mostrandosi incline ad attribuirlo ad una qualche nostra fonte di informazione, del tutto pessimista sulle attuali condizioni interne dell'Austria e sul prestigio del Governo.

Starhemberg ha poi sostenuto:

l) che la situazione interna austriaca non sarebbe affatto giunta a quel punto di crisi o di debolezza che solo potrebbe giustificare, a suo avviso, l'estrema carta della restaurazione degli Asburgo;

2) che questa, anche se dovesse verificarsi solo con l'istituzione di un semplice Ducato, non potrebbe sortire alcun benefico effetto, qualora non venisse preceduta da misure economiche e finanziarie tali da provocare una situazione di fiducioso benessere, nonché da una completa riorganizzazione politica dell'Europa danubiana, in guisa che l'indipendenza dell'Austria ne risultasse completamente garantita;

3) che, nella situazione attuale, il ritorno degli Asburgo sarebbe un salto nel buio, tanto per le conseguenze che potrebbero derivarne nei rispetti internazionali, che in quelli stessi interni.

Col suo dire Starhemberg mi ha confermato quel senso di opposizione che, in questi ultimi tempi, ho talvolta sorpreso in lui nei riguardi d'una restaurazione, che dovesse avvenire prima d'un certo numero d'anni: e cioè prima che l'Austria, da lui ritenuta vitale e preservabile anche sotto l'attuale regime, non abbia raggiunto una matura coscienza patriottica ed un solido assetto economico, e non siasi attenuato il pericolo rappresentato dagli elementi giovanili, in massima parte in balia dell'idea nazista o comunista, pel fatto di essere stati educati nel periodo più triste della storia austriaca, allorquando la tradizione asburgica, lungi dall'essere tenuta in pregio, veniva immedesimata con i mali politici e sociali del Paese.

243.

IL VICE CAPO DI GABINETTO, JACOMONI, AL CAPO DI GABINETTO, ALOISI

APPUNTO. Roma, 17 maggio 1935.

L'On. Puppini ha avuto a Bagdad un colloquio col Presidente del Consiglio dell'Iraq.

Parlando dei rapporti tra Italia e Iraq, egli è uscito in questa frase: «il y a une chose qui nous gène ~; cioè la posizione presa dall'Italia nella controversia Iraq-Iran, che tende a risolvere una questione di navigazione sul fiume anziché affrontare in i)ieno la questione sostanziale che è quella dei confini. Fino a che questa non sarà risolta è inutile discutere del resto.

L'On. Puppini ha avuto l'impressione che il Presidente del Consiglio iracheno desse grande importanza alla cosa e che anzi fosse andato a fargli visita all'albergo espressamente per dirgli quanto sopra.

(l) Vedi D. 180.

244

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI

T. 896/335 R. Roma, 18 maggio 1935, ore 18.

Suo telegramma n. 979 (1).

Ove cotesto Governo Le richieda comunicazione scritta circa nazionalità membri Commissione, V. S. potrà confermare per iscritto, riservandosi di rispondere alla nota etiopica n. 35 (2) dopo ricevuto istruzioni questo Ministero (3), che noi interpretiamo il testo delle lettere 3-4 agosto 1928 nel senso che i membri della Commissione di conciliazione ed arbitrato devono essere due italiani e due abissini; nel caso che questi non raggiungessero un'intesa essi sceglierebbero d'accordo un quinto arbitro cittadino di un terzo Stato. In conseguenza, insistiamo perché Governo etiopico scelga, quali propri membri nella Commissione due sudditi etiopici.

245

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2667/58-59 R. Budapest, 18 maggio 1935, ore 20,15 (per. ore 22,40).

Presidente del Consiglio, che ho trovato ieri in uno stato euforia sotto impressione incontro con Maresciallo Mackensen ed annunzio visita Generale Goering, mi ha detto che Goering, il quale giungerà Budapest «in viaggio nozze» 24 corrente accompagnato Principe d'Assia e numeroso seguito e vi si tratterrà due o tre giorni prima proseguire Belgrado, sarebbe venuto a parlargli a nome Hitler; che, in relazione c<>n quanto avrebbe udito da lui, egli, Gtimbos, avrebbe preso decisione circa una sua visita ufficiale in Germania cui da tempo era stato invitato; che prima recarsi colà sarebbesi naturalmente abboccato Governo austriaco per concordare modalità « azione chiarificatrice » che proponevasi svolgere Berlino; che sarebbe suo desiderio recarsi infine Roma per riferire su tutto al Duce~.

Convinto precarietà avvicinamento itala-francese e persuaso Hitler circa questione austriaca fosse ormai venuto migliore consiglio, voleva tentare disperdere « malintesi» e adoperarsi per quanto poteva al servizio del « blocco RomaBudapest-Vienna-Varsavia-Berlino », che corrispondeva interessi Ungheria.

Chiaro discorso, che ho stimato necessario tenergli, mi è sembrato sia valso moderarne ardori ma non ricondurlo visione realistica situazione.

Ho parlato per ciò stamane al Ministro degli Affari Esteri.

Kanya mi ha pregato astenermi riferire V. E. idea viaggio Gombos Berlino «trattandosi di cosa ancora niente affatto decisa e che come tante altre avrebbe potuto finire col decidersi in senso negativo ». Ha tenuto quindi a ripetermi che oritntamento Ungheria rimaneva fissato collaborazione tripartita, che per altro Ungheria « per tenere in rispetto Cecoslovacchia » non .poteva « rompere filo » con Berlino. Nessun accordo, si è affrettato a chiarire, legava però suo paese alla Germania, la quale del resto era contraria ad impegnarsi con chicchessia.

Gli ho risposto che, oltre atti concreti, anche manifestazioni esteriori avevano loro peso, particolarmente per l'Italia e che dovevo fare perciò in proposito ogni riserva.

(l) -Con T. 2619/979 R. del 16 maggio 1935 Vinci informava di aver comunicato i nomi del delegati italiani della Commissione e di aver verbalmente ribadito la necessità che da parte etiopica non venissero indicati cittadini di altra nazionaUtà. (2) -Non pubblicata: era stata trasmessa a Roma con T. 2607/974 R. del 16 maggio 1935, ore 18. (3) -Vedi D. 312
246

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2669/139 R. Buenos Aires, 18 maggio 1935, ore 22,03 (per. ore 5 del 19).

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 83 (1).

Non ho mancato valorizzare presso questo Ministro degli Affari Esteri simpatia italiana per questione mediazione Chaco (come ho fatto d'altronde anche nelle conversazioni precedenti riferite) pur avendo cura mantenermi sulle generali in modo di evitare assolutamente implicare Italia in qualsiasi eventuale urto suscettibilità altre Potenze ovest. Tale pericolo rimane d'altra parte implicitamente eliminato dopo soddisfatto amor proprio Argentina con annunzio partenza dei due Ministri esteri belligeranti per Buenos Aires dove avrà luogo conferenza pacificatrice giusta mio telegramma n. 135 di ieri (2). Ciò ha pienamente rasserenato questi ambienti governativi e di opinione pubblica.

Per quanto concerne conflitto itala-etiopico, pur dovendo riconoscere che notizie alquanto contraddittorie diramate dalle varie agenzie telegrafiche circa atteggiamento britannico siano qui seguite con vivo interesse, posso confermare che Cantilo ha istruzioni continuare mantenere il più cordiale contatto con nostra Delegazione Ginevra e tenere informata minuziosamente questa Cancelleria per eventuali ulteriori particolari direttive.

Atteggiamento questa stampa (salvo tendenziosità solito foglio ultra estremista) è di abbastanza soddisfacente serenità equanimità anche nei commenti, pubblicandosi assai in vista dalla stessa «Prensa » ampie notizie telegrafiche intonate favorevolmente al buon diritto italiano.

(l) -Vedi D. 203. (2) -T. 2651/135 R. del 17 maggio 1935, ore 22,10, non pubblicato.
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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'ALTO COMMISSARIO PER LE COLONIE DELL'AFRICA ORIENTALE, DE BONO (l)

L. P. (2). Roma, 18 maggio 1935.

Avrai notato che io ti scrivo di rado e anche di rado, ti telegrafo. Lo faccio, perché una volta stabilite le direttive fondamentali, è inutile di insistere e in secondo luogo perché mi manca il tempo. Leggo tutto ciò che mandi attraverso l'unico canale che è il Ministero delle Colonie; mi rendo conto perfettamente delle difficoltà enormi che devi sormontare e così, spero, che ti renderai conto delle nostre difficoltà. Il camerata Lessona, ti ragguaglierà minutamente su tutto.

Forniture d'armi

Ho ordinato che si facessero dei passi molto energici presso i governi dei Paesi fornitori di armi all'Etiopia. I risultati sono soddisfacenti. Il ministro Benes mi ha mandato una nota diplomatica colla quale egli si impegna a impedire ogni ulteriore traffico di armi. Altrettanto dicasi della Svizzera. Il Belgio ha fatto qualche difficoltà per le forniture già ordinate. Al caso le compreremo noi. Ci sono alcune centinaia di fucili mitragliatori. La Germania ha dichiarato al nostro addetto aeronautico che non fornirà né aeroplani né altri materiali militari. Abbiamo « lavorato » Parigi per il traffico delle armi via Gibuti cosa che ha provocato una impressione grave nel popolo italiano. Hanno promesso di sorvegliare, etc. Anche ammettendo di ottenere soltanto una restrizione del 50 per cento delle forniture, il risultato è notevole.

Diplomazia

La Francia tiene un contegno corretto, per quanto molto riservato. L'Inghilterra si agita. I motivi sono evidenti. Si è parlato persino di un «passo». E' a questo punto che si spiega il mio discorso al Senato. Ho fatto intendere che non torneremo indietro a nessun costo: anche se il costo significasse una rottura con l'Inghilterra; anche nella ipotesi estrema di una guerra coll'Inghilterra.

Intanto colla nomina dei due arbitri di parte italiana, supereremo il prossimo Consiglio della Lega delle Nazioni, ma in settembre saremo da capo. Può darsi che, allora, sia necessario il nostro distacco da Ginevra.

Data fissata

E' appunto in vista di questa eventualità, che è assolutamente indispensabile non spostare la data di ottobre che abbiamo stabilito per l'inizio delle operazioni.

Quando dico ottobre, non voglio dire il 1° ottobre, ma deve essere entro ottobre, e tanto più presto, tanto meglio. Per quell'epoca è pregiudiziale che tu abbia sul posto aZ completo le 10 divisioni mct:·opolitane.

E poiché tutte le difficoltà sembrano essere di carattere baracchistico, io sono disposto a mandarti tutto il legname necessario, ma considero grave errore non approfittare appunto della stagione delle piogge (stagione di tutto riposo) per far giungere le divisioni predisposte nell'A.C.

Devi notare che le Divisioni CC.NN. ad esempio hanno effettivi minori: sono più leggere e forse di più razionale impiego, è quindi più facile baraccarle.

Tu devi predisporre viveri e munizioni per almeno tre anni e per quanto sembri assurdo, anche perché convenzioni formali esistono circa il passaggio del Canale di Suez in pace e in guerra, bisogna prevedere difficoltà di passaggio. Alla camera dei Comuni si è parlato persino di chiusura del Canale. Bisogna prepararsi sempre alle eventualità più pessimistiche e difficili.

Visite

Ora viene Lessona; alla fine di giugno desidera di venire Baistrocchi. Io non ci vedo difficoltà. Tu non hai nulla da nascondere ed è bene che si veda come effettivamente stanno le cose. In luglio -viceversa -verrai tu a Roma.

Concludendo: massima calma e massima decisione.

(l) -ACS, Carte De Bono, ed. in G. BIANCHI, Rivelazioni sul conflitto italo-etiopico, Milano, CEIS, 1967, pp. 164-165. (2) -Lettera autografa.
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IL MINISTRO A RIGA, MAMELI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2780-2787/31-32 R. (1). Riga, 19 maggio 1935 (per. il 21).

Mi riferisco al mio telegramma n. 26 (2).

Questo Segretario Generale degli Affari Esteri mi ha dato, del pari che ad altri colleghi tra cui quelli di Francia e Inghilterra, alcune precisazioni circa portata parte concernente politica internazionale comunicato ufficiale Conferenza Kaunas.

Tali precisazioni possono essere riassunte come segue:

l) frasi relative sicurezza Europa nord-orientale significano adattamento nuova situazione creatasi dopo decadimento progetto Patto Orientale e accordo franco-sovietico. Tale adattamento non significa per ora modificazione punti di vista componenti eventuale Patto generale, in quanto che tutte le successive indicazioni mantengono antica composizione comprendendo Germania e Polonia;

2) riaffermazione solidarietà baltica indica che è stata evitata decisione specifica e in attesa ulteriori sviluppi realistici è stato confermato impegno con

sultazione prima di eventuali decisioni. In questi due punti ha prevalso concetto Lettonia fra i due estremi Estonia e Lituania;

3) frase relativa decisione Consiglio Società delle Nazioni deve essere interpretata nel senso che tre Stati, approvando pienamente concetto rafforzamento Statuto in base principi articolo 3, banno deciso, qualora Comitato appositamente nominato ritardasse presentazione rapporto o vi fossero altri affari importanti dovuti alle ragioni procedura od altri, di applicare tra di loro e per conto loro principi stessi.

Segretario Generale mi ha detto che a Kaunas era stato parlato questione Memel, non in conferenza propriamente detta, ma in conversazione a fianco. Governo lituano ha fatto chiaramente intendere che non vi saranno esecuzioni condanne a morte per Memel.

Dopo recenti provvedimenti Governo lituano, che dimostrano sua buona volontà, giudica che situazione appare migliorata. Lituani pretendono ad ogni modo che questione Memel sia considerata prettamente interna e vorrebbero in pari tempo che solidarietà baltica valesse per essa. In realtà, secondo Segretario Generale, situazione Memel presenta quattro diversi aspetti: interuazionale, politico, legale e interno. Ultimi due sfuggono cognizione più che competenza altri Stati, legati da Patti baltici. Per quanto non menzionata fra questioni riservate Patti stessi, è evidente che solidarietà può essere invocata. Essa troverebbe limite in volontà altri due Stati concederla dipendentemente da quanto Lituania avrà seguito loro punto di vista. Eventualmente potrebbe praticamente manifestarsi in appoggio diplomatico a Ginevra o altrove.

Munters ha avuto in questa e in altre conversazioni parole amare circa giuoco pericoloso Polonia, che persiste atteggiamento agnostico in questione sicurezza Europa Orientale mentre è di vitale importanza che si decida. È evidente che mancanza decisione Polonia delude più ardenti speranze di quelli che aspettano da essa un accordo. Polacchi, dal canto loro, affermano che non comprendono che cosa Governo Iettane realmente desideri.

(l) -Spedito per corriere. · (2) -Con T. 2372/26 R. del 27 aprile 1935 Mameli aveva riferito su una conversazione con Munters sulle prospettive della conferenza di Kaunas.
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IL CONSIGLIERE DI STATO MONTAGNA AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 19 maggio 1935.

È stato chiesto il mio avviso sulle seguenti due questioni.

l. -Se l'Inghilterra, allo scopo di premere sull'Italia affinché desista dalla guerra all'Etiopia, possa impedire alle nostre navi di traversare il Canale di Suez.

2. -Nella negativa della prima questione, se il libero uso del Canale possa esserci interdetto dalla Società delle Nazioni.

Alla prima questione la risposta è decisamente negativa. In virtù della Convenzione firmata a Costantinopoli, anche dall'Inghilterra e dall'Italia, il 29 ottobre 1888. «le canal maritime de Suez sera toujours libre et ouvert en temps de guerre comme en temps de paix, à tout navire de commerce ou de guerre, sans distinction de pavillon. En consequence les H.p.c. conviennent de ne porter aucune atteinte au libre usage du canal en temps de guerre comme en temps dei paix. Le canal ne sera jamais assujetti à l'exercice du droit de blocus :..

Tale obbligo assunto dalle Potenze firmatarie è ancor meglio precisato nell'art. 4 della Convenzione.

L'Inghilterra commetterebbe quindi un atto contrario al diritto internazionale, se ostacolasse comunque il libero transito del Canale da parte delle nostre navi.

Senanché, le restrizioni potrebbero essere disposte dalla Società delle Nazioni. Per l'art. 10 del Patto, «i Membri della Società si impegnano a rispettare e a proteggere contro ogni aggressione esterna l'integrità territoriale e l'attuale indipendenza politica di tutti i membri della Società. In caso di aggressione, minaccia o paricolo di aggressione, il Consiglio avviserà ai modi nei quali quest'obbligo dovrà essere adempiuto ».

Secondo una interpretazione, che sembra corretta, di questo articolo, l'obbligo sociale di comune garanzia potrebbe esplicarsi anche nella forma di un intervento collettivo contro lo Stato reputato aggressore; onde parrebbero lecite la minaccia e, poi, l'attuazione di una misura coercitiva quale il blocco del Canale.

Beninteso la deliberazione con cui si decidesse di compiere un atto di tanta gravità dovrebbe essere presa all'unanimità. Basterebbe avere la Francia dalla parte nostra, per evitare che lo sconcio, cui ora accenna la stampa britannica, avvenisse per opera della Società delle Nazioni, in virtù dell'art. 10

suddetto.

Resta però da esaminare un'altra ipotesi. Potrebbe darsi che fosse chiesta l'applicazione dell'art. 15 del Patto. In tal caso, se noi avessimo favorevole la Francia il rapporto redatto dopo il mancato componimento della controversia itala-etiopica sarebbe tutt'al più adottato a semplice maggioranza di voti; e l'Inghilterra e gli altri Stati avrebbero il diritto di agire « comme ils le jugeront nécessaire pour le maintien du droit et de la justice ».

Potrebbe allora l'Inghilterra ritenersi svincolata dagLi obblighi della Convenzione circa il Canale di Suez?

Ad avviso dello scrivente, no. L'Inghilterra riprenderebbe soltanto la libertà di agire che le spettava e le spetta all'infuori del Patto della Società delle Nazioni, c.ioè una libertà limitata dagli Accordi internazionali. Sicché rimarrebbe intatto ed operante il divieto di intralciare il transito del Canale, secondo l'impegno che l'Inghilterra ha sottoscritto, anche in nostro confronto, con la ricordata convenzione di Costantinopoli (1).

(l) Il presente documento reca 11 visto di Mussolinl.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PERSONALE 2671/322 R. Londra, 21 maggio 1935, ore 0,48 (per. ore 4,20).

Come Tu avrai rilevato, stampa avantieri e oggi continua mantenere tono prudente e moderato che è stato adottato da mercoledì 15 corrente all'indomani Tuo discorso Senato.

Sintomatica, sotto tale riguardo, è stampa domenicale di oggi. Il maggiore giornale Observer ha inserito, facendoLi suoi, gli elementi forniti da questa Ambasciata d'Italia circa transito Canale di Suez (mio telegramma n. 315) (1).

Dopo seduta del Consiglio Gabinetto ieri e avant'ieri parola d'ordine è di « sdrammatizzare » controversia italo-abissina, in attesa della riunione Ginevra sui risultati della quale tuttavia nessuno si attende alcunché di straordinario. Al contrario, tendenza è ormai quella di considerare nomina Commissione conciliazione dtalo-abissina anche limitatamente incidente Ual-Ual come punto massimo al quale può giungere nelle circostanze attuali il Consiglio della S.d.N.

Queste sono le impressioni che ho tratto nei miei contatti di ieri e ogg<i con questi circoli politici i quali, pur mantenendo una attitudine di manifesta contrarietà alla nostra politica africana, fanno tuttavia indirettamente capire che preoccupazione britannica è per ora quella di «sbarcare » il meno peggio possibile attuale Sessione del Consiglio della S.d.N. evitando alla Gran Bretagna di prendere posizione contro l'Italia, ma evitando che prenda a Ginevra posizione contro S.d.N.; eventualità quest'ultima che, in ogni caso, verrebbe secondo ess:i qui considerata dalla opposizione laburista come scacco formidabile Governo britannico.

Quest'ultimo non domanda in una parola in questo momento se non di « salvare la faccia» e in ciò consistono in fondo le istruzioni abbastanza elastiche date a Eden nella seduta del Consiglio sabato scorso. Intorno a questa riunione del Consiglio di Gabinetto, alla quale anche Drummond ha partecipato è mantenuto stretto riserbo.

Da informazioni private e confidenziali avute sabato e controllate stamane ho potuto sapere che è stata da principio discussa opportunità di una attitudine di assoluta rigidezza nei riguardi Italia e che questa idea è stata alla fine unanimamente scartata. Istruzioni date a Eden sono di regolarsi secondo il suo giudizio e secondo le circostanze. Istruzioni date a Drummond sono assicurare Duce circa sentimenti amichevoli Inghilterra, di richiamare ancora una volta sua attenzione sulla gravità situazione, di domandare al Duce di rendersi conto delle difficoltà Governo britannico cercando ottenere che egli dia ordini nostra Delegazione Ginevra facilitare, per quanto possibile, delicato compito Eden.

Ho avuto oggi una delle mie solite lunghe conversazioni con Vansittart, il quale Vansittart, pur mantenendosi sulle. medesime linee riferite con mio rapporto n. 1451/465 3 corrente (1), ha trovato tuttavia modo di ripetermi ancora una volta che opposizione britannica alla nostra azione in Etiopia è dettata esclusivamente da ragioni politica societaria e non nasconde motivo o interessi di politica coloniale. Egli, da ultimo, ha insistito per conoscere quali sono i limiti e gli obiettivi concreti dell'azione italiana in Etiopia.

Insomma Tuo forte e tempestivo discorso di martedì ha già avuto degli effetti decisivi e cioè:

l) ha convinto, una volta per tutte, inglesi che i metodi intimidatori (fra cui quello infelicissimo di eventuali passi concordati franco-inglesi) sono destinati al fallimento più clamoroso;

2) ha posto Governo britannico davanti ad un chiaro dilemma: se l'Italia sarà costretta a uscire da S.d.N. per la questione abissina, non rischia di assumersi per questo fatto (che significa il colpo mortale per la Lega) una responsabilità molto maggiore di quella che sarebbe a lei imputata se si lasciasse la questione etiopica sostanzialmente fuori della giurisdizione ginevrina? Il Tuo discorso di [martedì] ha chiuso dunque, secondo il mio avviso, quello che si può definire la « prima fase » del conflitto italo-etiopico, e ne ha aperto la seconda.

Tu hai fissato una volta per sempre, ed il mondo ne ha preso atto, la posizione internazionale dell'Italia ne1 riguardi della questione etiopica. Il Tuo discorso è la «dichiarazione dei nostri diritti africani:.. La prima battaglia è stata vinta. Il resto verrà.

(l) Con T. 2683/315 R. del 20 maggio 1935, ore 18,45, Grandi aveva riferito che S!mon, rispondendo ad un'interrogazione parlamentare circa l'uso del canale d! Suez !n tempo d! guerra, aveva genericamente alluso agli obblighi dell'Inghiiterra come membro della S.d.N.

251

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2688/96 R. Ginevra, 21 maggio 1935, ore 3,10 (per. ore 5,45).

Pranzato da solo con Eden. Gli ho esposto esaurientemente tutti i nostri argomenti circa coerenza, dal punto di vista giuridico, nostra azione ginevrina, e per quanto riguarda misure militari, circa impossibilità ammettere altri pretenda comunque ingerirsene. Avendo egli accennato a eventualità proporre conclusione Patto di non aggressione, gli ho esposto impossibilità andare oltre esistenti impegni Trattato di amicizia del 1928.

Egli ha mostrato apprezzare tali argomentazioni, ma mi ha esposto stato opinione pubblica britannica, più che mai decisa nel momento attuale a non ammettere alcuna menomazione prestigio S.d.N. Del resto personalità quali Chamberlain e Churchill, notoriamente amiche dell'Italia, condividono generale

stato d'animo opinione pubblica britannica. Mi ha detto, Chamberlain avrebbe a questo proposito scritto all'E. V. Ha continuato che egli aveva avuto dal Gabinetto britannico recise istruzioni di adoperarsi in ogni modo per raggiungere una soluzione di carattere ginevrino che rassicurasse opinione pubblica britannica.

Ho replicato che se tale era opinione pubblica britannica non meno risolute ed imprescindibili erano rag.ioni che avevano inspirato all'E. V. le sue decisioni. A qualche diecina di anni da Adua non era certo il Governo fascista che, dopo aver preso misure precauzionali del genere di quelle adottate, e dopo aver posto il problema etiopico dinanzi al popolo italiano, che ne aveva assorbito l'essenza, potesse pensare di tornare indietro di un solo passo. Il problema era ormai giunto a maturazione e bisognava risolverlo, tanto più nella complessa situazione europea noi avevamo necessità salvaguardarci le spalle.

Eden è sembrato rendersi per la prima volta realmente conto irrevocabilità delle decisioni dell'E. V. Ho avuto impressione che egli, forse a causa nota malattia, non fosse al corrente conversazioni di Londra. Egli mi è parso ignorare anche nostre ripetute proposte addivenire esauriente intesa con Gran Bretagna circa Etiopia.

Di fronte alle esistenti dichiarazioni di preoccupazioni societarie, gli ho detto che noi non volevamo menomare prestigio della S.d.N., ma che non era pensabile che mi sarei prestato ad alcunché che avesse potuto essere in contrasto con le decisioni adottate dall'E. V. Egli è però stato irremovibile nel farmi notare che proprio alla sostanza mirava l'Inghilterra, la quale non avrebbe mai potuto ammettere una soluzione violenta della questione. La Gran Bretagna non poteva basare la sua politica, nei rispetti della Germania, sulla S.d.N. e negare poi il valore del Patto nei rispetti dell'Etiopia.

In base al telegramma di V. E. n. 38 (l) gli ho detto allora che lo stato dell'opinione pubblica inglese era da ritenersi fosse oggi più calmo. Mi ha subito opposto che questa maggiore calma era dovuta esclusivamente alle speranze suscitate dalla sua venuta a Ginevra e da quanto si riteneva che gli fosse qui possibile di concludere. Siamo rimasti intesi che ci saremmo ritrovati domani.

Aggiungo che in mattinata avevo visto Massigli, al quale avevo esposto punto di vista italiano circa questione etiopica. Per quanto incline a cercare una soluzione di compromesso mi è parso sia rimasto inquieto. So che egli ha poi visto Eden, ma fra i due sembra non vi sia stata una conversazione conclusiva. Riassumendo, ho avuto netta impressione che situazione europea influenzi in modo determinante atteggiamento britannico nella questione etiopica, e che Gabinetto inglese, e per esso Eden, tenderà in questa sessione del Consiglio a escogitare a qualunque prezzo una soluzione di carattere ginevrino che risponda ai fini della politica britannica.

Da quanto ho constatato, atteggiamento britannico influenza tutti membri Consiglio (2).

(l) Vedi D. 134.

(l) -Con T. 900/38 R. del 20 maggio 1935, ore 16, suvich aveva riferito essergli stato comunicato da Londra che la questione etiopica veniva «sdrammatizzata ». (2) -Per la risposta vedi D. 252.
252

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, A GINEVRA

T. 901/39 R. Roma, 21 maggio 1935, ore 13,30.

Rispondo Suo telegramma riferente conversazioni con Eden (1).

Invito V. E. a respingere qualsiasi proposta o suggerimento che oltrepassi i limiti dell'accettazione da parte del Consiglio della nomina Commissione per dirimere vertenza Ual-Ual. Respinga nella maniera più categorica l'idea di far controllare in qualsiasi guisa lavori tale Commissione e respinga altre proposte del genere di un patto di non-aggressione sia pure limitato nel tempo. Consiglio della Società delle Nazioni deve limitarsi a prendere atto che abbiamo nominato i due arbitri per la Commissione e che quindi abbiamo eseguito quanto è stabilito nel Trattato del 1928.

Consideri le presenti come istruzioni tassative e non modificabili.

253

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

VERBALE (2). Roma, 21 maggio 1935, [ore 16,30].

L'Ambasciatore Drummond è tornato ieri da Londra. Chiede al Capo del Governo se ha avuto il messaggio che egli era incaricato di portargli (3).

Il Capo del Governo ha letto tale messaggio. Non si rende bene conto della portata dello stesso; ritiene non ci siano precedenti del genere; d'altra parte in che cosa consiste questa forma d.i contatti?

L'Ambasciatore è certo che ci sono altri precedenti, ma in questo momento non li ha presenti. Per quanto riguarda il contatto si tratterebbe d'incaricare qualcuno del Consiglio di seguire il corso delle trattative.

Il Capo del Governo non vede la opportunità di tale procedura. L'Italia si era impegnata a regolare l'incidente di Ual-Ual secondo l'art. 5 del Trattato di amicizia italo-etiopico; aveva promesso già da un mese di nominare i propri conciliatori; ora 1i ha nominati ed attende che la cosa abbia il suo corso. I conciliatori nominati da noi sono italiani, mentre gli abissini ne hanno nominati due di nazionalità diverse: un francese ed un americano. La cosa è seccante

22 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. I

e limita la nostra libertà di scelta per l'eventuale quinto arbitro. Abbiamo poi sostenuto, ed a ragione, che oggetto del tentativo di conciliazione debba essere per ora solo l'incidente di Ual-Ual; gli abissini hanno accettato questo punto e quindi a tale riguardo non c'è più nulla da dire. Secondo la sua opinione la Società delle Nazioni non ha da fare altro che da prendere atto che la procedura di conciliazione è in corso.

L'Ambasciatore non può nascondere al Capo del Governo che l'incidente itala-etiopico costituisce una grave preoccupazione per il Governo britannico. Egli ha raccolto delle impressioni personali durante questo suo soggiorno a Londra: egli ha constatato che in Gran Bretagna tutti gli ambienti politici sono favorevoli al principio della sicurezza collettiva. È la prima volta che egli trova tale unanimità nei vari partiti. La sicurezza collettiva fa centro alla Società delle Nazioni. Anche quelli che in passato erano molto tiepidi per la Lega delle Nazioni, come Winston Churchill, sotto l'influenza di tali idee, si sono avvicinati alla stessa.

Ora è innegabile che l'incidente itala-etiopico come si presenta oggJ può implicare gravemente la responsabilità della S.d.N. Il Governo inglese confida che il Governo italiano vorrà rendersi conto della delicatezza della sua situauone ed aiutarlo a trovare una soluzione che salvaguardi il prestigio e i principi della Società delle Nazioni.

II Capo del Governo si rende conto della difficoltà della posizione inglese. Egli però non intende che l'organizzazione della pace in Europa debba essere turbata per riflesso dell'incidente itala-abissino. L'organizzazione politica dell'Europa è una cosa e l'episodio itala-etiopico, che ha carattere di un incidente coloniale, è una cosa del tutto diversa. D'altra parte noi nella questione etiopica abbiamo scelto la nostra via e nulla potrà farci arretrare. Siamo decisi ad andare fino in fondo per regolare definitivamente la posizione delle nostre colonie di fronte all'Abissinia. Egli non crede che il Governo ed il popolo inglese possano compromettere le relazioni con l'Italia per l'Abissinia.

L'Ambasciatore assicura che l'Inghilterra non è mossa in questo momento da alcun sentimento filo-etiopico. L'Inghilterra tiene enormemente all'amicizia dell'Italia, di cui misura tutto il valore. Ma non bisogna che tale amicizia la porti a mettersi in contrasto con i principi da essa sempre sostenuti nei riguardi della S.d.N. Tutti gli uomini politici inglesi, i più apertamente italofili, da Austin Chamberlain a Winston Churchill, non potrebbero in questo momento accettare una situazione che metta la Gran Bretagna contro i principi della

S.d.N. Ora la mancata conoscenza di quelli che sono gli scopi a cui l'azione italiana tende, lascia il dubbio se tale azione potrà essere conciliata con i principi della Società delle Nazioni.

II Capo del Governo osserva che evidentemente noi non possiamo accontentarci del riconoscimento della nostra proprietà sui pozzi di Ual-Ual. Ciò rappresenta per noi un interesse molto relativo.

L'Ambasciatore ha sempre pensato che l'Italia avesse pieno diritto a richiedere di avere delle concessioni per sfruttamenti, lavori pubblici, miniere, ecc. ecc. II Capo del Governo osserva che ciò non basta ormai più; ha mandato giù troppe truppe, materiali, ed ha fatto troppe spese per accontentarsi di

qualche concessione di carattere economico. Oggi si impone in pieno la questione della sicurezza delle nostre colonie; tale questione è stata aperta da quando belgi e svedesi sono andati ad istruire l'esercito abissino che oggi rappresenta una forza discreta. Egli ha già dichiarato che ha bisogno di risolvere radicalmente la nostra situazione di fronte all'Abissinia per avere la mano libera in Europa. Ogni qualvolta noi siamo stati impegnati sia in Libia, sia nella guerra mondiale. gli abissini hanno cercato di gettarci in mare perché -e del resto lo dichiarano -vogliono avere uno sbocco al mare. Noi abbiamo fatto il tentativo di una politica di pace: non ci è riuscito, bisogna riconoscerlo, anche I•er l'intervent·1 dei francesi che fino ad ora avevano agito in senso contrario agli interessi italiani. Il Capo del Governo stesso ha voluto il trattato di amicizia per venti anni, pensando che si sarebbe potuta fare un'opera proficua di collaborazione per l'incivilimento e lo sviluppo dell'Etiopia. Da quando esiste questo trattato non si è avuta che una realizzazione: la stazione radio di Addis Abeba che abbiamo pagato coi nostri mezzi, ed anche quella con quante difficoltà. La strada Dessié-Assab (noi eravamo disposti a mettere a disposizione degli abissini un nostro porto) non si è fatta perché forse essa turbava gli interessi francesi di Gibuti.

L'Ambasciatore osserva, a titolo personale, che se la questione dello sbocco al mare fosse una difficoltà, egli non esclude che la Gran Bretagna possa fare anche qualche sacrificio per accontentare gli abissini in questa loro richiesta. Ma egli sa che la questione non consiste in ciò; la questione è ben più vasta. Egli non sa bene in che forma l'Italia voglia ottenere la sicurezza delle sue colonie, ma pensa che si potrebbe, ad esempio, ottenere una riduzione dell'esercito abissino.

Il Capo del Governo risponde che promesse di questo genere non ci servono; non ci crediamo. L'Ambasciatore dice che vi è anche la possibilità di avere un controllo da parte di ufficiali di Potenze europee fra cui l'Italia.

Il Capo del Governo crede che ciò non sia praticamente effettuabile. La nostra sicurezza dobbiamo prendercela da noi. Egli è disposto a qualunque mezzo. Egli intende andare fino in fondo. Bisogna pur dire la parola chiara: questo mezzo può essere la guerra.

L'Ambasciatore ritiene che questa soluzione sia sommamente deprecabile perché sarebbe in aperto contrasto con la politica della S.d.N. e creerebbe un dissidio tra i nostr.i due paesi. Egli si è sempre reso conto della necessità per l'Italia di rinforzare la propria posizione nell'Africa Orientale ma ha sempre considerato che una guerra fosse da evitare.

Il Capo del Governo ripete che se non ci sono altri mezzi bisognerà ricorrere alla guerra.

L'Ambasciatore osserva che tuttavia rimane la speranza che si trovi un'altra soluzione. Egli pensa che un simile evento turberebbe profondamente tutti i rapporti europei.

Il Capo del Governo non è di questo avviso. Tuttavia anche nei riguardi dell'attuale organizzazione europea, compresa la S.d.N., egli è disposto di andare fino in fondo. Se le circostanze ce lo imporranno, usciremo ·anche dalla S.d.N. e può dirlo fin da ora che poi non sarà disposto a rientrare.

L'Ambasciatore è molto preoccupato per una simile eventualità. Vorrebbe dire sconvolgere tutta l'attuale base della politica europea. Cadrebbe anche Locarno. Bisognerebbe ricominciare tutto su nuove basi.

Il Capo del Governo non vede questa conseguenza come inevitabile. Egli è dell'opinione del Daily Express, che giorni fa ha scritto che se l'Italia si :prenderà l'Etiopia, vi saranno molti strilli specialmente da parte delle vecchie zitelle pacif;iste ma poi tutti si adatteranno al fatto compiuto .

L'Ambasciatore che conosce bene il proprio paese è persuaso che il Daily Express abbia torto.

Il Capo del Governo ritiene che la Gran Bretagna per volere rimanere troppo attaccata alla Società delle Nazioni, minaccia di farla naufragare. D'altra parte gli interessi del nostro paese sono prevalenti su qualsiasi altra considerazione; lo stesso hanno fatto gli altri paesi quando si sono trovati nella situazione in cui noi ci troviamo: la Francia nel Marocco, l'Inghilterra nell'Egitto.

L'Ambasciatore osserva che !in altri casi si è proceduto per tappe: la Francia ha impiegato moltissimi anni ad occupare il Marocco ed ha cominciato prima con avere dei consiglieri aumentando man mano sempre più la propria influenza. L'Ambasciatore si chiede -non occorre dire che è una domanda che fa a titolo puramente personale -se una situazione come quella dell'Egitto soddisferebbe l'Italia.

Suvich osserva che però la civiltà dell'Egitto è ben diversa da quella dell'Etiopia.

II Capo del Governo non trova priva d'interesse questa domanda dell'Ambasciatore. Egli si rende conto che l'Inghilterra in Egitto è praticamente la padrona pur avendo salvato certe forme. Osserva anche che se domani l'Inghilterra dovesse agire con più energia in Egitto per i propri interessi, egli sarebbe ben lungi dal darle torto.

L'Ambasciatore non ha per ora nessun elemento per esaminare più a fondo la questione, ma ripete che converrebbe fare ogni sforzo per evitare una soluzione catastrofica. Egli deve tuttavia constatare con una certa tristezza che l'atteggiamento dell'Italia può portare ad una crisi dei tradizionali rapporti di amicizia esistenti fra d. nostri paesi.

Il Capo del Governo riassume il proprio punto di vista:

-è deciso ad inviare tutti gli effettivi e il materiale necessario per la difesa delle nostre colonie;

-se è necessarii.o non rifuggere neanche di fronte ad un conflitto;

-ammette la possibilità di un'altra soluzione che però ora non vede, la quale dovrebbe darci la più assoluta garanzia per una sistemazione definitiva della nostra sicurezza in Africa.

Osserva infine che pure deprecando una crisi nei buoni rapporti fra i nostri due paesi, se ciò avvenisse non sarà colpa di nessuno, ma sarà un portato della fatalità delle circostanze.

(l) -Vedi D. 251. (2) -Questo verbale è stato redatto dal sottosegretario Suvich, presente al colloquio. (3) -Cfr. Documents on Britisn Foreign Policy, 1919-1939, Second Series, vol. XIV, London, Her Majesty's Stationery Office, 1976, D. 273.
254

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2709/107 R. Vienna, 21 maggio 1935, ore 20,45 (per. ore 1,55 del 22).

Impressione tratta da Berger-Waldenegg dal suo colloquio di ieri con Benes è assai buona.

l) Benes è di parere che lavori Conferenza di Roma debbano essere terminati al più tardi con la fine di giugno, giacché teme che di ogni indugio profitti propaganda nazista che è vivissima in Jugoslavia e presso talune sfere romene. Per quanto lo concerne, egli ha assicurato volersi recare Roma nella schietta disposizione a concludere «quanto più possibile» patti bilaterali, pur tenendo conto maggiore possibile delle suscettibilità di «altri Stati» onde evitare non spingerli a straniarsi verso Germania.

2) Benes ha esposto idea di un'unione tra Austria, Ungheria e Cecoslovacchia, in pieno accordo con l'Italia, e lasciando a Praga ufficio intermediario fra detta Unione e Piccola Intesa. Tale proposta di Benes può interpretarsi nel senso che egli si incammini ad abbandonare Piccola Intesa e ciò, sia perché non vuole assolutamente esser trascinato ad impegnarsi in alcuna guisa nei Balcani e sia per la sua preoccupazione di tenersi ben stretto alle Potenze ·Occidentali. Berger-Waldenegg e Cancelliere Federale si sono limitati a trovare «interessante » predetta proposta.

3) Benes non intende fare difficoltà per quanto riguarda parità di diritti. Anzi la sosterrà presso alleati suoi. Quindi egli chiede limitazione degli armamenti e controllo internazionale, in regime di reciprocità, sulla base della proporzione numerica fra le popolazioni di tutti gli Stati Europei.

4) Benes è allarmato per pessimo esito elezioni jugoslave. Ritiene non lontana caduta Jeftic (cui Principe Paolo intenderebbe ad ogni modo lasciare Portafoglio degli Esteri) ed avvento al potere del generale Zivkovic. Ha ammesso che maggior parte dell'elemento militare jugoslavo sia germanofilo ma ha escluso che Belgrado possa finire per orientarsi verso Berlino.

5) Circa elezioni cecoslovacche ha detto esser rimasto sorpreso grande successo nazionalisti sudeti, pur non essendo questione preoccupante stante eterogeneità nuovo gruppo parlamentare. Ha attribuito successo «inauditi» soccorsi finanziari venuti da Berlino.

In tutta il colloquio Benes non ha accennato in alcun modo alla questione asburgica.

255

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2701/282 R. Parigi, 21 maggio 1935, ore 21,15 (per. ore 22,45).

Telegramma di V. E. per corriere 877 (1).

Ho fatto a questo Ministro degli Affari Esteri comunicazione ordinata.

Lavai mi ha detto di non aver avuto ancora possibilità occuparsi del Patto Danubiano nei riguardi della P,iccola Intesa. Si riserva di farlo seriamente a Ginevra e di parlare chiaramente, lasciando intendere che, di fronte a una persistente intransigenza della Piccola Intesa, il Patto dovrebbe essere abbandonato. Ministro ha aggiunto che si propone caldeggiare a Ginevra conclusione da un Patto del Mediterraneo Orientale comprendente oltre l'Italia, la TUrchia, la Grecia e la Jugoslavia.

Ho osservato che non vedevo opportunità della partecipazione della Jugoslavia, che può e deve realizzare propria sicurezza col patto danubiano. La tendenza della Piccola Intesa e della Intesa Balcanica di allargare i patti era nociva e doveva essere evitata. Essa rispondeva a motivi di malinteso prestigio e contribuiva a complicare le situazioni, anziché facilitare soluzione de;i problemi presentemente sul tappeto. Se vi fosse stato bisogno di una prova del fondamento di tale asserto, la si aveva nelle deplorevoli conseguenze dei molteplici patti a catena, conosciuti e segreti, mediante i quali gli Stati della Piccola Intesa e dell'Intesa Balcanica tendevano a ricattare Grandi Potenze e specialmente la Francia. Lavai non mi ha risposto su questo punto. Mi ha ripetuto però che a Ginevra porrà esplicitamente la questione ai rappresentanti degli Stati centro-balcanici, dicendo loro che una ulteriore intransigenza metterebbe in giuoco riuscita del Patto Danubiano.

(l) Vedi D. 240.

256

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2706/81 R. Praga, 21 maggio 1935, ore 21,25 (per. ore 2,40 del 22).

Mio telegramma n. 80 di stamane (l).

Circa colloquio di ieri con Berger-Waldenegg Benes ha tenuto ad informarmene personalmente prima di partire per Ginevra. Incontro era stato progettato in massima a Ginevra subito dopo Stresa per momento opportuno.

Berger ha informato Benes circa risultati conferenza Venezia presso a poco negli stessi termini in cui lo avevo informato io in base alle istruzioni di cui al telegramma di V. E. n. 846/C. (2).

A sua volta Benes ha prospettato a Berger suo punto di vista conforme ad esposizione fattami giusta mio telespresso n. 822/496 del 14 corrente (3); salvo beninteso qualche punto che ha ritenuto più prudente non accennare come ad esempio pericolo di un Patto bilaterale tra Austria e Germania.

Come è stato annunziato nel comunicato trasmesso stamane, i due Ministri avrebbero constatato in generale notevole concordanza di vedute. Circa Ungheria Berger ha espresso speranza poterla indurre a Patto bilaterale con Austria; Benes ha dichiarato non aver nulla in contrario ma essere

scettico. Ha aggiunto che in tal caso occorre atteggiamento Ungheria sia chiaro.

Berger ha pure espresso speranza che Germania interverrà Conferenza di Roma, del che Benes ha preso atto, avvertendo però che secondo lui Germania interverrebbe sicuramente con proposito sabotare tutto per cui converrà stare in guardia.

Benes ha pure prospettato ragioni sua preferenza per Patto collettivo, anziché rete patti bilaterali, ma senza insistervi qualora addivengasi preferire quest'ultimo sistema.

Circa riarmo e controllo Benes ha esposto suo punto di vista conforme al mio citato telespresso 496. Benes ritiene Berger-Waldenegg sincero fautore indipendenza Austria, sul quale si può contare sicuramente.

I due Minìstri sono d'accordo sulla necessità accelerare preparazione conferenza di Roma e Benes si propone raccomandare a delegati italiano e francese, vedendoli in settimana a Ginevra, di mettere al più presto possibHe in piedi un progetto di testo sul quale possa incominciarsi a scambiare idee. Egli ritiene che tale lavoro sarà lungo e laborioso, per cui non crede che Conferenza di Roma potrà effettivamente riunirsi prima della fine di giugno. In tal caso non è escluso che Benes compia prima sua progettata visita Mosca.

(l) -Con T. 2694/80 R. del 21 maggio 1935, ore 14,15, Rocco aveva dato notizia dell'incontro di Bene§ con Berger-Waldenegg a Tabor. (2) -Vedi D. 172, nota l, p. 188. (3) -Non pubblicato, ma vedi D. 204.
257

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2702/284 R. Parigi, 21 maggio 1935, ore 22 (per. ore 23,35).

Ho avuto conversazione affrettata con Laval Cl) poche ore prima della sua partenza per Ginevra, che avrà luogo stasera.

Circa il suo colloquio con Goering, mi ha detto di aver esaminato col Ministro tedesco principali problemi di politica estera di attualità. Non è vero, come hanno pubblicato alcuni giornali, che la Francia abbia ricevuto comunicazione di un progetto tedesco di Patto Orientale di non aggressione e consultazione. Della questione si è parlato, beninteso, nel colloquio di Cracovia. Lavai ha esposto le sue idee già note e Goering ha dichiarato, per questo come per gli altri argomenti trattati, che ne avrebbe riferito a Hitler.

Goering ha informato d'altra parte che il Reich è disposto concludere un accordo con la Francia.

Lavai avrebbe replicato che la Francia non farebbe opposizione di massima a una intesa, allorché fosse convinta che la Germania nutre propositi pacifici verso tutti gli Stati.

Lavai avrebbe precisato ehe, infatti, nel pensiero della Francia, un conflitto che si dichiarasse in un punto qualsiasi dell'Europa non potrebbe essere circoscritto e determinerebbe una guerra generale.

Lavai mi ha detto infine, perché lo ripeta a V. E., che la sua conversazione con Goering ha avuto carattere privato e non avrà seguito di visite da una parte o dall'altra. Egli ha aggiunto che, in ogni caso, se dovessero avere luogo in avvenire conversazioni col Governo tedesco gli amici della Francia ne sarebbero tenuti al corrente. Il Ministro mi ha detto inoltre che si rende perfettamente conto degli scopi che può prefiggersi la Germania e che non si presterà al tentativo di dividerla dai suoi amici.

Non ho la pretesa di aver con questo telegramma informato esaurientemente sulla conversazione di Cracovia. Non ho avuto possibilità di sapere di più nel breve colloquio con Lavai. Mi propongo di ritornare sull'argomento al Quai d'Orsay fra qualche giorno.

(l) Vedi anche D. 255.

258

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A TIRANA, INDELLI

T. 905/58 R. Roma, 21 maggio 1935, ore 24.

Agenzia Reuter ha diramato 20 corrente telegramma da Tirana secondo cui trattative itala-albanesi sarebbero completamente fallite a causa richieste italiane incompatibili con indipendenza Albania, giiacché porrebbero detto Paese sotto controllo economico finanziario e militare dell'Italia. Vi è anche accenno a richiesta congedo ufficiaLi inglesi gendarmeria.

Circa fonte tale notizia non può dimenticarsi che secondo accordo a suo tempo stipulato tra Reuter e Agenzia telegrafica albanese nessuna notizia potrebbe essere pubblicata da una delle dette Agenzie senza preventivo accordo con consorella Paese interessato (telegramma per corriere di codesta Legazione 29 giugno 1932 n. 649) (1). Inoltre, qualora corrispondente Reuter Tirana sia tuttora Nebil Cika, sono ben noti di lui rapporti con codesto Ministero Interno.

Se nel passato Governo albanese non avesse fatto propalare esso stesso analoghe notizie, questo Ministero avrebbe tuttavia scartato dubbio circa possibilità che informazioni Reuter siano state ispirate o comunque provengano da Governo albanese. A parte inesistenza richiesta congedo ufficiali inglesi e infondatezza apprezzamenti su politica italiana, sta il fatto che dalle comunicazioni di V. S. non risulta mutamento contegno di Re Zog segnalato da V. S. in questi ultimi tempi per riprendere nei nostri riguardi atteggiamento ostilità, dopo recenti cospicui anticipi e impostazione negoziati concordata con S. V.

PregoLa comunque volermi ragguagliare in proposito e far subito presente Re Zog poco simpatica impressione suscitata a Roma da tendenziose notizie su colloqui che V. S. ha avuto solo con lui, invitandolo dare ordini recisa smentita Ufficio Stampa albanese nell'interesse del buon proseguimento negoziati in corso. Anticipi fatti a prescindere da ogni altra considerazione sono la miglior prova degli intendimenti che ci animano una volta di più verso codesto Paese (2).

(1) -Non pubblicato. (2) -Pe,r la risposta di La Tocza vedi D. 264.
259

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. 4705/119 P. R. Roma, 21 maggio 1935, ore 24.

Nel mio ultimo colloquio con von Hassell (l) si era convenuto sulla opportunità di una sospensione delle polemiche di stampa itala-germaniche (2). In tale senso sono state impartite direttive alla stampa italiana ma da un blocco di giornali tedeschi arrivati in Italia risulta che in Germania la polemica invece di attenuarsi si è aggravata. Per il momento la stampa italiana non replicherà ma ne terremo conto (3).

260

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO 216709/935. Roma, 21 maggio 1935.

Questa Ambasciata di Cina ha comunicato che il suo Governo ringrazia il R. Governo per il suggerimento datogli circa la via da seguire per ottenere un seggio nel Consiglio della Società delle Nazioni.

Seguendo tale suggerimento il Governo cinese ha incaricato il suo rappresentante a Ginevra di richiedere ufficialmente la nomina di un comitato che studi la questione e riferisca alla prossima assemblea.

Il Governo cinese ha pregato il R. Governo di appoggiare tale richiesta. Secondo le istruzioni a suo tempo impartite da V. E. (4) gli sono state date assicurazioni al riguardo.

261

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 1186/469. Varsavia, 21 maggio 1935 (per. il 28).

Come eravamo rimasti d'accordo il giorno in cui andai a presentargli le condoglianze (5), Beck mi ha fatto pregare ieri sera di andarlo a vedere stamattina ed ho potuto avere con lui una conversazione assai lunga.

(T. 4651/117 P.R. del 19 maggio 1935, ore 24).

Egli ha tenuto a mettermi al corrente, perché ne informassi v. E., degli ultimi avvenimenti.

Visita di Laval. Mi ha confermato parola per parola quanto mi disse Lavai (1), specificando in maniera molto netta che ormai tra Francia e Polonia ogni equivoco è scomparso, grazie alla comprensione del Ministro degli Esteri di Francia al quale egli non aveva fatto che ripetere quegli argomenti rimasti per troppo tempo volutamente oscuri a Parigi. Lavai gli ha dato prima e dopo la sua visita a Mosca la più leale assicurazione sull'efficacia piena che l'alleanza con la Polonia ha e deve avere, e sul valore che i patti polono-tedeschi e polono-russi devono conservl').re anche nel progetto che la Francia si propone di realizzare dn questa regione, di un più largo accordo.

Beck non ha opposto obiezioni di principio alla proposta di Lavai di realizzare al posto del patto orientale un accordo regionale di non aggressione e consultazione dal quale sia esclusa l'assistenza mutua, ma ha tenuto a precisare bene a tal proposito che egli non intende che la regione da prendere in considerazione venga definita in maniera artificiale con inclusioni ed esclusioni incomprensibili. La Cecoslovacchla non può essere considerata un Paese dell'Europa Orientale, e mentre la Polonia non fa obiezioni, anzi ritiene perfettamente giusta, la sua inclusione nel patto danubiano, non accetterebbe mai ch'essa entrasse a far parte di un accordo orientale. Lavai gli ha risposto che la Francia non ha nessun motivo speciale per includervi la Cecoslovacchia e per dichiararsi contraria a che, nel definire la regione, la Polonia abbia da dire la sua parola.

Ho chiesto allora a Beck se nella regione che mi pareva d'intravvedere da quanto mi diceva comprendente naturalmente Germania, Polonia, U.R.S.S. e Paesi Baltici, pensasse d'incorporare altri Paesi del Baltico come la Finlandia ed egli mi ha risposto che preferiva un allargamento in quella direzione piuttosto che in quella meridionale. Tale ammissione dopo la visita a Varsavia del Ministro degli Esteri di Finlandia avvenuta proprio in questi giorni e passata inosservata a causa delle cerimonie funebri, mi sembra un riferimento assai preciso anche perché l'eventuale inclusione della Finlandia in un patto di tale ampiezza non sembra contraddire alla politica di Helsinki volta ad evitare ogni compromissione unilaterale ed a conservare buoni rapporti con tutti i suoi vicini.

Beck mi ha ripetuto che è molto soddisfatto della visita di Lavai. Ha aggiunto che a Mosca il Ministro degli Esteri francese nulla ha fatto che compromettesse il benefico risultato della chiarificazione dei rapporti francopolacchi tenendo presente, e ben fermo anche là, che nessun legame esisteva né poteva esistere fra l'accordo franco-sovietico e l'alleanza polono-francese. Non mi ha nascosto di essere rimasto alquanto meravigliato dell'approvazione solenne data da Stalin agli armamenti francesi, ma -ha soggiunto -questa curiosa intromissione negli affari interni della Francia non mi riguarda.

Visita di Goering. Dopo avermi fatto rimarcare che la partecipazione della Germania al lutto della Polonia era stata fra le più apprezzate, Beck mi ha

detto che nella conversazione da lui avuta con Goering era stata riconfermata la volontà delle due parti di mantenere le relazioni sulla base che lo stesso Maresciallo Pilsudski aveva stabilito.

Gli ho domandato se aveva parlato con Goering dei due patti lin cui la Germania dovrebbe entrare: quello a cui mira Laval e quello intorno a cui sta lavorando l'Italia, e se aveva avuto l'impressione che la Germania pensi ad uscire in qualche modo dalla sua attitudine negativa dinanzi ai tentativi che si fanno per ristabilire una collaborazione europea.

Mi ha risposto essere sua impressione che a Berlino non si mostri alcuna speciale premura a rientare nella Società delle Nazioni, che il voto di Ginevra non aveva certo migliorato lo stato d'animo tedesco, così come l'accordo franco-russo non facilitava la détente. Per quanto si riferisce ai due patti egli aveva l'impressione che a Berlino si è nettamente ostili a qualunque combinazione nella quale debba entrare anche l'U.R.S.S. e che <invece, pur desiderando avere precisazioni sulla non ingerenza, non si sia in sostanza contrari al patto danubiano.

Gli ho allora fatto presente che la nostra attitudine nei confronti della Germania era sempre inspirata da quello che è il desiderio del Duce di giungere a stabilire la tranquillità e la collaborazione in Europa. Che da parte nostra non si era certo data l'impressione a Berlino di voler fare al difuori

o contro la Germania accordi particolari o altro. Abbiamo messo Berlino al corrente di quanto si stava facendo per giungere al patto danubiano e con tutta lealtà e chiarezza abbiamo precisato che cosa ognuno intende per non ingerenza negli affari di un altro Stato. Se i nostri rapporti oggi sono, a causa della .questione austriaca, meno cordiali di quanto lo furono in passato, non è per colpa dell'Italia e questo non modifica i principi di ordine morale per i quali il Duce sostenne sempre il diritto della Germania ad essere considerata sul piede d'uguaglianza con glii. altri Stati. In sostanza dipende dalla Germania di stabilire la sua amicizia tenendo conto che la conquista dell'Austria è parimenti alla riconquista della Pomerania da escludere come pericolosa.

Goering gli aveva detto che l'accordo franco-sovietico non sembrava a Berlino facilitare l'accessione della Germania a progetti di patti più larghi.

Colloqui Laval-Goering. Beck mi ha detto che l'iniziativa è stata di Goering, e che Szembek si è limitato a facilitare l'incontro tra i due nel Museo di Cracovia dov'egli doveva far loro da guida.

Circa gli argomenti trattati in quelle conversazioni Beck mi ha assicurato che, a quanto gli constava, i due uomini di Stato si erano fatti reciprocamente l'esposizione dei punti di vista dei rispettivi Governi sulla situazione senza entrare in dettagli e senza farsi delle proposte. Egli considera che questa presa di contatto sia stata utile a diminuire da una parte e dall'altra la rigidità delle relazioni.

Goering ha espresso a Laval il desiderio di r:iceverlo a Berlino, ma Laval ha risposto che allo stato delle cose una tale eventualità non gli appariva possibile, pur desiderandolo, perché non riusciva a vederne i risultati.

Fin qui le comunicazioni fattemi da Beck per le quali l'ho ringraziato. Sono quindi passato a fargli la comunicazione di cui al telegramma di V. E.

n. 856/C. (l) sulle conversazioni di Venezia.

Beck ha ascoltato con molta attenzione il mi.o esposto e mi ha pregato di fargli avere per suo uso personale una breve notizia in merito preparandosi egli a partire per Ginevra appunto per portare il suo concorso all'azione che si sta svolgendo per il patto danubiano. Mi ha detto che a Ginevra vedrà Aloisi e continuerà con lui ad avere quei contatti che gli permettono di trovare con l'Italia quella linea di franca e cordiale collaborazione alla quale tiene particolarmente.

Gli ho comunicato i ringraziamenti dell'E. V. per il pronto intervento del Governo polacco al fine di vietare forniture belliche all'Abissinia (2) e l'ho pregato di voler disporre che altri eventuali tentativi da parte di nuovi intermediari e sotto altre etichette non abbiano seguito.

Mi ha raccomandato di assicurare V. E. che dalla Polonia non partiranno armi che potrebbero essere impiegate contro l'Italia.

Ha tenuto infine a ripetermi quanto il Governo, il Paese e lui personalmente siano riconoscenti a V. E. per la parte presa dall'Italia al lutto della Polonia, per la partecipazione personale di V. E. così commovente e così profonda e per le parole con le quali V. E. ha voluto rendere onore dinanzi alla Camera ed al Senato al Capo della Polonia (3).

(l) -Vedi D. 190, (2) -Dell'argomento ne aveva già parlato con Hassell il sottosegretario Suvich il 19 maggio, dandone comunicazione a Cerruti con le istruzioni di «far sapere che se questa campagna non cesserà non sarà più possibi,1e evitare adeguata reazione stampa italiana» (3) -Per la risposta vedi D. 270. (4) -Vedi seTie settima, vol. XVI, D. 709. (5) -Vedi D. 237.

(l) Vedi D. 186.

262

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI SAUDIANO, HAMZA

VERBALE ( 4) . Roma, 22 maggio 1935, [ore 17].

II Signor Fuad Hamza entra direttamente in argomento. Non vuole ripetere quanto ha già detto nel colloquio passato avuto col Capo del Governo (5), ma tiene a mettere in rilievo che lo Hegiaz intende appoggiarsi all'Italia per realizzare alcune sue aspirazioni, dato che l'Italia, a differenza della Francia e dell'Inghilterra, non ha interessi da dover far valere in conflitto con quelli del suo Paese.

Fuad Hamza parla anzitutto della questione del dissidio Iraq-Iran. Lo Hegiaz non è in cattivi rapporti con la Persia, ma si sente strettamente legato all'Iraq che è abitato da gente della stessa razza. Egli sa che l'Italia ha dei notevoli interessi in Persia, ma r,itiene che ciò non debba influire sulla posizione che il Delegato italiano, relatore presso la Società delle Nazioni, dovrà prendere nel conflitto.

II Capo del Governo chiede esplicitamente quale sia la posizione dello Hegàaz nella vertenza.

Fuad Hamza afferma che lo Hegiaz parteggia per l'Iraq. Suvich afferma che v( è la speranza che a Ginevra si trovi una soluzione di soddisfazione comune. Fuad Hamza crede che bisogna andare in fondo e risolvere la questione radicalmente.

Il Capo del Governo terrà presente il desiderio dell'Iraq.

Fuad Hamza parla poi della questione della Siria. La popolazione siriana, tanto quella musulmana che i maroniti, è dello stesso sangue degli arabi dello Hegiaz. Sarebbe desiderio del mondo arabo che la questione del Mandato potesse essere definita, sia pure sostituendolo con un regime di Trattato, purché tuttavia l'indipendenza del Paese sia apertamente ed integralmente riconosciuta.

Il Ministro degli Esteri hegiazeno pensa che una soluzione potrebbe essere quella di affidare per qualche tempo il paese ad una Commissione di Governo (sul tipo di quello che si era fatto per la Sarre), fissando un periodo per tale regime, al termine del quale si farebbe il plebiscito e sarebbe riconosciuta senz'altro al Paese la sua indipendenza.

Fuad Hamza parla dell'aspirazione degli a:!'abi ad unirsi tutti fra loro; egli crede che questa idea abbia fatto un notevole progresso; l'unico Paese che forse vi potrebbe essere contrario, sarebbe lo Yemen dove quei Governanti vogliono far parte per se stessi.

Il Capo del Governo ritiene utile conoscere il punto di vista degli arabi per quanto riguarda la Siria; dà incarico al Sottosegretario Suvich dd seguire la cosa; la questione non è semplice, bisognerà esaminare che cosa sia possibile fare in questo momento.

A proposito della Palestina Fuad Hamza chiede al Capo del Governo se ritenga che si possa fare qualche cosa per ristabilire la situazione degli arabi.

Il Capo del Governo crede che la situazione degli ebrei sia molto forte. Questi continuano ad avviare gli emigrati e le Potenze europee non hanno nessun interesse a contrastare tale concentramento di ebrei fuori dell'Europa. D'altra parte la Gran Bretagna che sta munendo sempre più il porto di Caifa (che un giorno dovrà sostituire Malta) preferisce avere alle proprie spalle gli ebrei anziché gli arabi. Il Capo del Governo ha parlato con Weizmann (l) e con altri capi del mondo sionista ed ha avuto la conferma che le loro aspirazioni vadano oltr~ alla conquista della Palestina anche a quella della Transgiordania.

Fuad Hamza intrattiene poi il Capo del Governo sulla questione di Aqaba. Aqaba dovrebbe ritornare per ragioni storiche, geografiche ed economiche allo Hegiaz ed invece è inclusa nella Transgiordania e quindi sotto dominio inglese.

Gli inglesi sono molto interessati a tale località perché potrebbe formare lo sbocco sud di un canale che partendo da Caifa passerebbe per il Lago di Tiberiade, il Giordano e il Mar Morto. Secondo tale progetto Aqaba sarebbe destinata a sostituire Suez. Tuttavia può essere che un giorno lo Hegiaz sollevi la questione di Aqaba e per tale caso chiede l'appoggio del Governo italiano.

II Capo assicura che in tale eventualità l'Hegiaz potrà contare sulle simpatie del Governo italiano.

Fuad Hamza parla poi dei rapporti fra lo Hegiaz e lo Yemen. Ora vi è la pace assoluta, ma non è escluso che in un prossimo avvenire, se venisse a morire lo Imam, il figlio di questi, Ahmed, Principe Ereditario, possa attaccare lo Hegiaz.

II Principe Ereditario non dovrebbe avere simpatie per l'Italia.

Il Ministro degli Affari Esteri hegiazeno chiede se in caso di tale aggressione, lo Hegiaz potrà contare sull'appoggio dell'Italia: appoggio sopratutto morale.

Il Capo del Governo risponde in modo affermativo: non crede tuttavia che tale aggressione debba verificarsi.

Fuad Hamza solleva poi la questione dell'Emiro di Taiz e di una possibile manovra inglese per accaparrarsi il protettorato della parte importante della costa arabica. Già durante la guerra fra l'Imam e Ibn Saud, l'Inghilterra era pronta a svolgere questo suo viano; non è escluso che lo riprenda domani in occasione della morte dell'Imam. È possibile che alla morte dell'Imam, l'Emiro di Taiz si metta contro il Principe Ahmed.

Il Capo del Governo risponde che l'eventualità non è stata considerata in tutti i suoi sviluppi. Ad ogni modo è nostro interesse che l'Emirato di Taiz rimanga sotto il dominio arabo e non passi sotto il controllo di una grande potenza.

Il Ministro degli Ester.i hegiazeno chiede infine se in avvenire, risolto a favore dell'Italia il conflitto italo-etiopico sia con le armi, sia con l'arbitrato, lo Hegiaz potrà contare su un aiuto più concreto da parte italiana: qualche fornitura di armi, di prodotti industriali, aiuti di carattere finanziario.

n Capo del Governo risponde affermativamente. Saremo molto ben disposti a venire incontro alla richiesta dell'Hegiaz. Il Capo del Governo non dimentica l'atteggiamento amichevole per l'Italia assunto del Re Ibn Saud nella recente occasione dell'invio nell'Hegiaz di una missione etiopica.

Fuad Hamza prende nota con molta gratitudine di tale dichiarazione del Capo del Governo e confida che i rapporti dei nostri due paesi ne saranno benevolmente influenzati.

(l) -Vedi D. 172, nota l p. 18&. (2) -Vedi D. 177. (3) -Il pre~nte documento reca Il visto di Mussolini. (4) -Al colloquio era presente Suvlch, che ha redatto il presente verbale. (5) -Vedi se'l'le settima, vol. XV, D. 793.

(l) Vedi serie settima, vol. XIV, D. 712.

263

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2732-2739/147-148 R. Berlino, 22 maggio 1935, ore 18,50 (per. ore 22,20).

Nel discorso Hitler rilevo seguenti punti: a) Sforzo evidente non dire nulla che possa scontentare Francia. Infatti durante polemica per mancato disarmo Potenze armate Hitler evitò menzionare nota Barthou dell'aprile 1934 che praticamente seppellì Conferenza Disarmo.

b) Dispetto verso uomini di Stato inglesi, sopra tutto verso Eden, menzionato tre volte, perché non prestano fede dichiarazioni pacifiche della Germania e non credono al pericolo bolscevico.

c) Due punti indirettamente non simpatici per Italia: il primo quando disse che Germania non pensa a tedeschizzare i nomi stranieri; il secondo quando accennò agli Stati che polemizzano circa valore militare dei loro soldati. Italia non è stata menzionata altro che nel passo in cui Hitler manifestò rincrescimento per situazione con Austria, dato che questa disturba i rapporti con Italia, che precedentemente erano così buoni, non esistendo alcun altro conflitto d'interessi con essa.

d) Una inutile esposizione durata oltre venti minuti delle divergenze fra nazionalsocialisti e socialisti, inutile perché conclusa con dichiarazione che fino a che bolscevismo rimane sporadico Germania non ha nulla da obbiettare. Accennò successivamente alla propaganda bolscevica nel mondo, menzionando fra gli altri un complotto insurrezionale scoperto in Italia nel 1928. Ci si domanda se per avventura pericolo bolscevico non sia tuttora assai più forte in Germania di quanto generalmente si creda e se dichiarazioni d[ Hitler non abbiano tradito sue preoccupazioni.

e) Anche ammettendo errori commessi da Lituania, linguaggio violento adoperato contro un piccolo Stato produsse penosa impressione.

f) Esposizione fatta riguardo Patti in preparazione non mi sembra corrispondente a verità, perché tende a far credere al popolo tedesco che Germania sia stata posta dinanzi a fatti compiuti, mentre è vero il contrario. Scorgo in queste parole discorso, intenzione perseverare in politica isolamento.

g) Importante dichiarazione che Germania non ha né intenzione né volontà ingerirsi affari interni dell'Austria, oppure annettere o aggregarsi questo Stato. Ulteriori accenni all'Austria confermano però tesi Hitler, attestante che in quel paese non è lasciata al popolo libertà scegliersi Governo che rappresenti maggioranza. Appare quindi sempre più difficile che Germania possa accettare formula di non ingerenza redatta secondo nostro modo di vedere.

h) Accenno alla Svizzera, come del resto anche il secondo all'Austria, furono introdotti all'ultimo momento nel discorso e sono stati comunicati al D.N.B. quando resto del discorso era già stampato per essere diramato alla stampa, cosicché furono aggiunti in un foglietto staccato da intercalarsi nel testo. Svizzera fu menzionata in termini cosi lusinghieri per calmare eccitazione generale esistente in quello Stato per recente noto volgare discorso di Goering.

i) Importante la conferma che Germania intende avere soltanto 35 % delle forze navali dell'Inghilterra con il chlarimento che sue forze rimarranno sempre del 15 % al di sotto di quelle navali francesi e che queste cifre sono quelle definitive. Notevole pure che, in relazione alla flotta, Hitler parlò delle Colonie per dire che non è esatto che Germania la aumenterà quando possederà Colonie.

l) Degna di nota richiesta eli una interpretazione autentica delle ripercussioni e sviluppi dell'alleanza militare franco-sovietica sopra gli obblighi contrattuali dei singoli firmatari del Trattato di Locarno e dichiarazione che Germania considera una simile alleanza incompatibile con spirito e lettera del Trattato stesso.

m) Dichiarazioni circa Polonia furono quanto mai calorose e Hitler ripeté che le relazioni amichevoli si vanno sempre più approfondendo. Prima del discorso di Hitler, Goering commemorò Pilsudski, mentre non si era pensato a commemorare in passato i Sovrani del Belgio e di Jugoslavia.

n) Dichiarazioni di cui ai punti 3 e 4 (l) concernenti rispetto della zona demilitarizzata con alcune osservazioni propugnanti possibilità di revisione di talune disposizioni dei Trattati hanno suscitato dubbi e timori sopratutto nel Ministro del Belgio. ·

o) Dichiarazioni n. 8 (2), che la Germania non demorderà in nessun caso dalla misura annunziata per il riarmamento del Reich contraddice dichiarazione fatta da Hitler agli inglesi, secondo cui cifra di 550 mila uomini avrebbe potuto esser ridotta qualora altri Stati riducessero a loro volta propri contingenti.

p) Dichiarazioni circa nessuna intenzione del Relch di competere con Inghilterra, di intendersi con Inghilterra e di eliminare tutti i mezzi bellici che potessero uccidere donne e bambini, sono destinate a produrre grande impressione sopra parte del pubblico britannico e sono state certamente suggerite da von Ribbentrop.

q) Complesso delle dichiarazioni di Hitler mira a dimostrare alla Germania e possibilmente al mondo intero che politica seguita dalle altre Potenze a Roma, a Londra, a Stresa è errata e che soltanto se il mondo ricredutosi e fiducioso nei sentimenti di pace della Germania seguirà via da lui tracciata si potrà conseguire tranquillità.

Atteggiamento del Parlamento nazionalsocialista fu iersera per la prima volta piuttosto aggressivo, sia per applausi calorosi agli attacchi di Hitler contro taluni Stati o uomini politici esteri, che per scortesia usata verso diplomatici presenti nella tribuna centrale, essendosi numerosi deputati voltati ostentatamente verso di loro sghignazzando nei punti particolarmente polemici. Nessuno dei diplomatici vi ha fatto caso, ma la cosa è stata unanimemente rilevata.

Ho avuto impressione che Assemblea si aspettasse in alcuni punti dichiarazioni più energiche da parte Hitler.

Cancelliere ha parlato della pace, affermando che, siccome egli la vuole, tutto il Paese la vuole. È una frase a doppio taglio perché il giorno in cui egli volesse la guerra non c'è dubbio che tutto il suo Partito e la maggioranza della Germania Io seguirebbero. Questo è ciò che il mondo sente e per cui segue la politica che Hitler ritiene diretta contro la Germania, mentre, in realtà, mira solo ad impedirgli di osare il ricorso alla guerra.

(l) -Per il testo di questi punti, vedi Documents an German Foreign Policy, 1918-1945, Serles c, vol. IV, London, Her Majesty's stationery Office, 1962, pp. 175-176. (2) -Ibid., pp. 176-177.
264

L'INCARICATO D'AFFARI A TIRANA, LA TERZA, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. 2737/54 R. Tirana, 22 maggio 1935, ore 20,10 (per. ore 2,20 del 23).

Per Ministro Indelli.

Còn riferimento telegramma ministeriale n. 58 (l) dopo sua partenza, informo V. E. che colonnello Sereggi mi ha assicurato che Re Zog darà domani disposizioni per smentire notizia Agenzia Reuter circa fallimento trattative itala-albanesi.

Telegraferò ufficialmente R. Ministero non appena in possesso testo comunicato albanese (2).

265

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2738/109 R. Vienna, 22 maggio 1935, ore 20,50 (per. ore 22,20).

Discorso Hitler è qui severamente commentato. Si rimprovera al Cancelliere germanico di aver parlato come uomo di parte; di essersi indebitamente ingerito negli affari interni dell'Austria; di voler tuttora istigare popolo austriaco; di essersi sovente contraddetto; di aver dimostrato ancora una volta la sua perseveranza nelle sue inammissibili idee circa Austria.

Commenti g~ornali sono più aspri ancora. Anche pangermanista Wiener Neueste Nachrichten rileva che dichiarazioni Hitler non contribuiscono affatto ad una distensione dei rapporti austro-tedeschi.

Ministro degli Affari Esteri mi ha detto inoltre che questa volta Hitler «anziché sostenere annessione ha fatto propaganda per equiparazione»; d'altro canto impressione suscitata da elezioni cecoslovacche diventa sempre più profonda.

Tuttavia si rileva che esse potranno avere, se non altro, il merito di calmare lo zelo dei noti esponenti cristiano-sociali favorevoli ad un ritorno al sistema parlamentare.

23 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. I

(l) -Vedi D. 258. (2) -Il comunicato, trasmesso con T. 2778/56 R. del 24 maggio 1935, ore 18, diceva: «Contrariamente alle informazioni date da certa stampa straniera, l'Ufficio Stampa albanese è autorizzato a dichiarare che nel corso dello scambio di vedute,_ al quale è stato proceduto fra i Governi albanese e italiano per trovare una soluzione ad alcune questioni in sospeso fra i due Paesi, al Governo albanese non sono state fatte proposte italiane tendenti a creare una specie di controllo sui diversi rami delle amministrazioni albanesi».
266

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2736/150 R. Berlino, 22 maggio 1935, ore 22 (per. ore 0,24 del 23).

Ministro d'Ungheria rientrato dal congedo mi informa che Goering si recherà 24 oppure 27 corrente a Budapest restandovi un solo giorno.

Proseguirà per Sofia donde si recherà per prolungato soggiorno a Ragusa.

Goering ha detto al Ministro d'Ungheria che intende intrattenersi, persuaso della necessità di allentare relazioni troppo intime con Italia, dell'impossibilità per Ungheria di realizzare sue rivendicazioni territoriali sopra tre fronti e quindi della opportunità di valersi dell'intermediario della Germania (e sopra tutto della sua autorità personale) per intendersi con Jugoslavia, a scapito della Cecoslovacchia e della Romania.

Ministro d'Ungheria mi ha detto di essersi astenuto dal rilevare con Goering che ~n fondo la sua idea di una intesa fra Ungheria e Jugoslavia concorda pienamente con i propositi nutriti dal Capo del Governo jugoslavo.

Ho chiesto al Ministro d'Ungheria se non trovasse che vi è contraddizione tra quello che Goering gli ha detto ora circa Romania e linguaggio da ll.liÌ. tenuto al Re Carol durante funerale del Re Alessandro, ricevendo conferma che Goering si è propriamente espresso nei termini sopra esposti e che si è anzi informato circa regioni della Transilvania alle quali Ungheria annette maggiore importanza.

Ministro d'Ungheria aveva naturalmente detto che Ungheria aspira alla restituzione integrale della Transilvania.

Quanto alla Cecoslovacchia Goering aveva accennato alla possibilità di soddisfare in epoca non lontana le rivendicazioni ungheresi non appena questo Paese potesse essere spartito fra Germania, Polonia e Ungheria.

267

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2724/101 R. Ginevra, 22 maggio 1935, ore 23,50 (per. ore 2,20 del 23).

Miei frequenti contatti con Lavai Eden e altre personaUtà presenti Ginevra continuano svolgersi sulla linea prospettata a V. E. nel mio appunto in data 16 corrente (1), precedente immediatamente la mia partenza per Ginevra, che ha avuto ieri la riconferma definitiva dal telegramma di V. E. n. 39 (2).

Continuo cioè a cercare di avvalermi di tutte le possibilità per raggiungere scopo fare accreditare voce e diffondere convinzione possibile uscita Italia Lega delle Nazioni, cui mai nessuno ha finora realmente creduto.

Come prospettavo suddetto appunto, politica intimidazione e ricatto basata su minaccia uscita Italia è unica che possa metterei nella privilegiata condizione di mantenere tutta la nostra intransigenza nell'attesa che sia l'iniziativa altrui a cercare via di uscita, verso la quale conserviamo tutta nostra libertà di giudizio.

Necessaria accortezza e cautela impone naturalmente una certa lentezza e mi toglie possibilità riferire di volta in volta i particolari di ogni conversazione.

Stasera pranzerò ~con Lavai, Eden ed esperti francesi e inglesi (1).

(l) -Vedi D. 235. (2) -Vedi D. 252.
268

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 2741/105 R. Ginevra, 23 maggio 1935, ore 13,20 {per. ore 15,40).

Come riferito telefonicamente stanotte, durante pranzo iersera presso Laval cui hanno partecipato con me Eden e tre esperti, vi è stata discussione lunga ed aspra circa questione etiopica.

Da essa è risultato che Inglesi e Francesi intenderebbero fare adottare al Consiglio nella presente sessione una risoluzione nel senso di: l) constatare avvenuta costituzione Commissione di conciliazione ed arbitrato; 2) estendere competenza di detta Commissione a tutti gli incidenti svoltisi alla frontiera somalo-etiopica dal 23 novembre in poi; 3) stabilire un termine entro il quale dovrà essere resa sentenza arbitrale, a compimento procedura prevista da articolo 5.

Inglesi inoltre intenderebbero che nella risoluzione fosse richiamato impegno di non aggressione contenuto nell'articolo due del Trattato di Amicizia del 1928.

Circa il termine Inglesi e Francesi hanno accennato a sei settimane.

Durante la discussione Eden ha a varie riprese dichiarato che Gran Bretagna sarebbe pronta esercitare propria influenza in Etiopia per fare ottenere all'Italia concessione economica.

Da parte mia ho tenuto fermo su tutti i punti. Non mi sono però rifiutato di far conoscere a V. E. proposte anglo-francesi, pur dichiarando che esse non avevano nessuna probabilità di essere accolte, ed ho prospettato gravi conseguenze che potrebbe avere, nei rispetti della posizione dell'Italia verso la S.d.N., un irrigidimento anglo-francese sulle proposte avanzate.

Situazione si va sviluppando secondo quanto riferito nei precedenti telegrammi 96 e 101 (2).

Non ho l'impressione che Delegazione britannica miri soltanto a salvare la faccia della S.d.N., ma che contrasto itala-britannico sia più profondo, mirando l'Inghilterra a fermarci nella nostra azione verso l'Etiopia con i mezzi che le offre il Patto. Francesi, pur mostrandosi desiderosi di appoggiarci, qualora fossero posti nel bivio di scegliere fra Gran Bretagna e l'Italia, non sacrificherebbero certo amicizia inglese.

Atteggiamento delle due Potenze maggiori influisce su tutti gli altri Membri del Consiglio, alcuni dei quali, come il turco e, sembra, anche il cecoslovacco, avrebbero già dichiarato necessario che S.d.N. intervenga efficacemente nella vertenza.

In una eventuale votazione al Consiglio è quindi da prevedersi che l'Italia resterebbe isolata.

(l) -Vedi D. 268. (2) -Vedi DD. 251 e 267.
269

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2758/152 R. Berlino, 23 maggio 1935, ore 18,44 (per. ore 22,10).

Telegramma di V. E. n. 873 del 16 corrente (l).

Ho avuto lungo colloquio con barone von Neurath che aveva già avuto occasione di vedere von Hassell e di sentire da lui relazione verbale delle sue conversazioni con S. E. il Capo del Governo e con S. E. Suvich.

Ho cominciato col dire al Ministro degli Affari Esteri che ogni timore che la Germania potesse essere messa dinanzi a dei fatti compiuti mi sembrava dover essere scartato, dato il modo di procedere estremamente riguardoso e premuroso seguito dal R. Governo circa il Patto Danubiano.

Barone von Neurath mi ha risposto riconoscendolo interamente.

Mi sono poi studiato di portare il Ministro degli Affari Esteri ad esprimersi circa l'intenzione della Germania di partecipare ad una eventuale Conferenza Danubiana. Gli ho detto, in primo luogo, che parte del discorso, concernente Austria e Italia, di Hitler, aveva prodotto sopra di me ottima impressione perché il fatto di enunciare pubblicamente, e non solo in conversazioni diplomatiche, che il problema austriaco è il solo il quale turba i già cordialissimi rapporti itala-tedeschi, mi sembra implicare il desiderio di trovare una soluzione soddisfacente.

Barone von Neurath ha detto che così dovrebbe essere realmente, ma che purtroppo egli si rompeva inutilmente la testa per trovarla.

Ho poi colto l'occasione, dal testo del punto 13 del discorso di Hitler, per chiedere spiegazioni circa il significato pratico della frase: «Governo del Reich deve domandare che un simile regolamento internazionale (circa non ingerenza) abbia applicazione pratica e giovi a tutti gli Stati ».

Barone von Neurath mi ha risposto che la non ingerenza, quando si fosse trovata la formula per definirla esattamente, dovrebbe formare oggetto di un

accordo internazionale ed essere applicata nei riguardi di tutti gli Stati firmatari senza eccezione. Osservai che ciò implicava intenzione della Germania di prendere parte ai lavori di una Conferenza che dovrebbe discutere il Patto Danubiano.

Barone von Neurath mi ha risposto che Germania aveva nutrito tale intenzione sino dal primo momento. Subordinava però sua partecipazione ad una discussione circa il concetto di «non ingerenza » e alla possibilità di fare al riguardo grandi progressi escogitando una formula accetta a tutti. Doveva poi anche dichiararmi, a scanso di equivoci, che Governo germanico non avrebbe potuto fare, nei riguardi del Patto Danubiano, la concessione che aveva creduto fare relativamente a quello Orientale. Il Governo stesso «non accetterebbe nei riguardi del Patto Danubiano la possibilità di accordi singoli da concludersi fra taluni dei firmatari al di fuori del Patto generale i quali abbiano per oggetto mutua assistenza dei contraenti». Dopo di ciò Barone von Neurath mi ha detto che egli attendeva tuttora di conoscere il programma della Conferenza Danubiana ed eventuali nostre ulteriori proposte per formulare concetto di non ingerenza o, meglio ancora, quello di ingerenza.

Alla mia richiesta se egli non avesse proposte o suggerimenti da farci conoscere, rispose che esperto giuridico dell'Auswartiges Amt, da lui incaricato da vari mesi di studiare questione, non era stato finora in grado di escogitare una formula soddisfacente. Quando Simon fu a Berlino, egli lo aveva pregato, in una conversazione privata, di valersi dei suoi talenti di sommo giurista per trovare lui stesso la formula che soddisfacesse tutti. Simon gli aveva promesso di pensarci ma sino ad oggi non gli aveva fatto pervenire alcuna comunicazione al riguardo.

(l) Vedi D. 230.

270

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5080/153 P. R. Berlino, 23 maggio 1935, ore 20,55 (per. ore 22,10).

Telegramma di V.E. n. 117 e n. 119 (1). Ho intrattenuto della questione personalmente il barone von Neurath che mi disse di averne già parlato con ambasciatore von Hassell.

Ricordando affidamenti datimi da Hitler stesso il 16 marzo (2), mi assicurò che Cancelliere del Reich impartì in sua presenza categoriche istruzioni al Ministro della Propaganda. Riconosceva che, ancorché stampa fosse sottoposta al Governo, le istruzioni che venivano comunicate non trovavano sempre e per parte di tutti obbiettiva comprensione e esecuzione. Egli mi promise formalmente di riparlarne al Cancelliere e agli altri fattori competenti e di interessarsi in modo tutto speciale della stampa di Monaco di Baviera. Mi chiese al riguardo varie .indicazioni che gli fornii.

Ambasciatore von Hassell, che fece colazione all'Ambasciata, mi disse dal suo lato di aver parlato dell'argomento con barone von Neurath e con Ministro Hess e mi assicurò che avrebbe intrattenuto domani a riguardo Ministro Goebbels.

In attesa di constatare se affidamenti ricevuti sortiranno migliore effetto che promesse precedenti, prego V. E. far sì che direttive impartite alla stampa italiana siano pure rigidamente osservate (1).

(l) -Vedi D. 259. (2) -Vedi serle settima, vol. XVI, D. 745.
271

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2748/108 R. Ginevra, 23 maggio 1935, ore 21,32 (per. ore 23,45).

Ho avuto occasione esporre particolareggiatamente Litvinov molteplici motivi atteggiamento Italia nella questione etiopica, illustrandogli nostra impostazione problema.

Litvinov mi ha pregato far conoscere al Capo del Governo il sincero desiderio Governo sovietico di esplicare, pur entro limiti impostigli dall'attuale politica dell'URSS verso Ginevra, una azione che possa riuscira gradita al Governo italiano.

E' di speciale interesse il raffronto tra queste dichiarazioni ed il colloquio tra V. E. e Stein ultimamente avvenuto a Roma (2).

272

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, GEISSER CELESIA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2768-2785/99-100 R. Madrid, 23 maggio 1935, ore 22 (per. ore 2 del 24).

Discussione poLitica internazionale alla Cortes su cui segue rapporto dettagliato (3), si è chiusa iersera con dichiarazioni Ministro degli Affari Esteri inviate con Stefani Speciale (4). Oltre consueta esaltazione Spagna Ginevra ed a conferma .indiretta che Spagna non intende denunziare Statuto Tangeri ma solo intavolare conversazioni per migliorarne efficacia, Ministro ha particolarmente insistito su propositi Governo spagnuolo mantenere statu qua Mediterraneo ai cui problemi non intende rimanere estraneo. A tale proposito ha sottolineato simpatia con cui Spagna segue politica estera inglese ed intenzione procedere d'accordo oltre che con Francia con Italia« che non possiamo dimenticare in alcun modo essere fattori tanto importanti della politica mediterranea e senza il quale non potrebbe esistere questo statu qua che noi desideriamo l).

Tutte le dichiarazioni sono state abilmente generiche e non contengono nulla più di quanto era stato già preso nota in occasione e specie al tempo del patto di Roma. Merita però segnare insistenza con cui Ministro degli Affari Esteri (il Presidente Romanones non la citava nella sua replica al discorso ministeriale) insiste nel ripetere nome Italia aggiungendolo a quello di Inghilterra e Francia con le quali soltanto Romanones auspicava collaborazione.

Il fatto che stessi Ministri radicali non abbiano più potuto esimersi riconoscere ripetutamente e pubblicamente importanza internazionale Italia fascista e ·consenso con cui Cortes hanno accolto ammirevole, seppure non sempre esatta, citazione dirigenti monarchici a proposito nostra politica è conferma di quanto al di sopra ogni prevenzione partigiana anche opinione pubblica repubblicana spagnuola guardi oggi a Roma non solo con rispetto e ammirazione ma anche quale fattore decisivo nella politica internazionale.

Naturalmente, seppure signif.icative, queste affermazioni non rappresentano ancora, e specie durante questa fase di assestamento interno, una presa di posizione chiara nei nostri riguardi. Ma in questioni ove non siano dir~ttamente in gioco interessi economicJ o principi antibellici sanciti costituzionalmente ed indistintamente sentiti dal Paese, si potrà avvantaggiarsi di tale rasserenamento atmosferico per meglio affermare nostri interessi, in determinati, seppure limitati settori, e in essi ottenere vantaggi sia pure parziali.

A tale proposito stimerei opportuno che nella nostra stampa, la quale secondo odierna corrispondenza da Roma (vedi Stefani speciali) mette in rilievo insolitamente deputato monarchico Goicoechea e interesse con cui sono seguite manifestazioni del giovane Primo de Rivera, vengano altresl sottolineate le ripetute affermazioni del signor Rocha relative a statu quo mediterraneo e ai « rapporti di amicizia che legano Spagna agli altri paesi interessati ad esso ».

Opportuni accenni desideri Spagna « affermare quotidianamente sua personalità morale nell'interesse pace fra i popoli forti, rivelando sua razza e suo passato storico, che permetta confutare interpretazione dei monarchici che neutralità spagnuola rappresenta nostra castrazione come potenza :. non mancherebbero di avere qui favorevole ripercussione e dissipare alcune prevenzioni di qualche ambiente governativo circa asserite differenziazioni che in alcuni circoli italiani si farebbero nel considerare direttive di Governo in confronto azione partiti opposizione parlamentare e che naturalmente questi qui esagerano sfruttandole per i loro fini particolari.

(l) -Vedi D. 284. (2) -Vedi D. 228. (3) -R. 2027/1110 del 28 maggio 1935, non pubblicato. (4) -Non si pubbllca.
273

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2803/0153 R. Berlino, 23 maggio 1935 (per. il 25).

Telegramma per corriere di V. E. n. 886 R./C. del 17 maggio corrente (1).

Col telegramma suddetto V. E. mi ha comunicato un telegramma del R. Ambasciatore in Varsavia del 12 corrente circa una conversazione da lui avuta con il signor Laval ed un altro di pari data in cui S. E. Bastianini riferisce che il signor Léger gli ha detto che il progetto di patto generale di non aggressione e consultazione fatto pervenire dal barone von Neurath al Quai d'Orsay gli sembrava accettabile come base di discussione per il Patto Orientale a cui Lavai tende. L'Ambasciatore a Varsavia aggiunge che ignorava che il barone Neurath avesse a suo tempo fatto conoscere a Parigi un tale progetto.

Poiché io pure non ne avevo avuto conoscenza ed il mio collega di Francia mi dichiarò dal suo lato di non averne mai sentito parlare, interrogai stamane al riguardo il barone von Neurath.

Egli mi rispose che non aveva fatto pervenire a Parigi alcuna proposta al riguardo. L'accenno fatto dal signor Léger doveva riferirsi ad un appunto che era stato rJmesso, durante i colloqui di Berlino, agli uomini di Stato inglesi, in cui era detto che il Governo del Reich sarebbe stato disposto a sottoscrivere un patto orientale che contenesse la non aggressione, la consultazione, l'arbitrato e la non assistenza all'aggressore. Era possibile che il Quai d'Orsay avesse ricevuto comunicazione del modo di vedere del Governo del Reich sia da Londra, sia, pure in via non ufficiale, dall'Ambasciatore Koester a cui era stato comunicato l'appunto rimesso agli uomini di Stato inglesi.

Avendo poi accennato col barone von Neurath alle intenzioni manifestate dal signor Lavai di concludere un Patto Orientale di non aggressione e consultazione destinato a far sparire il recente accordo franco-sovietico, egli mi disse che ne aveva già avuto sentore, non ricordava se dal proprio Ambasciatore a Varsavia che si trovava in questi giorni a Berlino o da altra parte. Sebbene gli risultasse che Lavai si era lasciato indurre con difficoltà a firmare il Patto con i Soviet, soltanto perché non aveva potuto opporsi alle insistenze di Herriot e di qualche altro amico dell'U.R.S.S., egli nutriva i più seri dubbi che si potesse credere alla sua intenzione di «far sparire » l'accordo medesimo addivenendo invece ad un accordo onientale generale. Che cosa avrebbe pensato al riguardo Litvinov e che cosa avrebbero detto Herriot e consorti?

Il barone von Neurath aggiunse che la cosa era ad ogni modo assai interessante ed occorreva attenderne gli ulteriori sviluppi.

(l) Non pubblicato: rltrasmetteva a Berlino, Bruxelles e Parigi il D. 186.

274

IL VICE CAPO DI GABINETTO, JACOMONI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 23 maggio 1935.

Il Ministro d'Austria è venuto ad esprimere i ringraziamenti del Cancelliere Schuschnigg per i provvedimenti adottati in favore dell'Alto Adige con tanta celerità subito dopo i colloqui di Firenze (l).

Il Cancelliere 11itiene che la fedele attuazione dei provvedimenti suddetti da parte delle organizzazioni locali, sarà per lui un grande sostegno togliendo ai suoi nemici in Austria un'arma pct2nte per controbatteria. Le relazioni fra i due Paesi ne saranno sempre più rinsaldate Cl).

(l) Vedi D. 180.

275

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 5456/733. Budapest, 23 maggio 1935 (per. il 25).

Mio telespresso 5308/714 del 18 corrente (2).

Con i telegrammi Stefani nn. 4556, 4630, 5003, 5117, 5137, 5163, 5180, 5202, 5210, 5280, 5295 e 5411, che ad ogni buon fine allego in copia (3), ho avuto l'ononere di riferire sulle singole manifestazioni cui ha dato occasione la visita del Maresciallo Mackensen a Budapest e sull'eco da essa avuta in questa stampa.

Le impressioni che nel frattempo ho potuto raccogliere confermano che le accoglienze fatte al Maresciallo sono state veramente cordiali, soprattutto negli ambienti militari. Se è discutibile -ed è infatti molto discussa, anche in qualche circolo vicino al Governo -l'opportunità di sottolineare, in un momento così delicato, la solidarietà d'armi con la Germania nella grande guerra, è certo invece che attorno alla persona di Mackensen si concentrano ricordi gloriosi i quali, una volta rievocati, fanno vibrare l'anima di questo popolo tanto più intensamente in quanto gli fanno sentire il contrasto con la sua attuale situazione.

Ciò deve avere intuito il Reich inviando il vecchio Maresciallo a fare la sua passeggiata sul Danubio: giornali come il Magyarsag, dichiaratamente antitedesco, non sono stati da meno dei governativi nell'osannare a Mackensen.

Da parte governativa, del resto, se si è fatto di tutto per dare alla visita, cosiddetta privata, un aspetto marcatamente popolare, si è tenuto del pari a contenerla in manifestazioni di prevalente carattere militare, sottolineandone anche l'apoliticità, come se queste in fondo non fossero di per se stesse della più alta portata politica. Hanno contribuito ad avvalorare il «carattere apolitico» della visita alcuni discorsi di Mackensen, non certo ortodossi dal punto di vista nazionalsocialista (miei telegrammi Stefani sopracitati).

Che il momento fosse male scelto pare abbia compreso anche l'invitante, il Reggente de Horthy, il quale in ogni caso ha tenuto l'altro giorno a spiegarmi anch'esso, personalmente, come si è concretata la visita di Mackensen: l'invito risaliva a vari anni fa ed era stato declinato per motivi di età; il Ministro di Germania a Budapest, figlio del Maresciallo, gli comunicò inaspettatamente che il padre era ora disposto ad intraprendere il viaggio; il Reggente non poteva ormai opporvisi, dato anche l'affronto che a Mackensen era stato fatto dal Governo di Michele Karolyi.

Qualche preoccupazione sembra rispecchiarsi, del resto, anche nell'atteggiamento dei giornali che, dopo aver annunziato e seguito le prime fasi della visita con relativa misura di spazio se non di aggettivi, hanno finito col registrarne le ultime in poche e scarne righe di cronaca (1).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Non pubblicato: con esso Colonna aveva riferito le prime impressioni sulla visita a Budapest del Maresciallo Mackensen, secondo le specifiche istruzioni che Mussolini gli aveva inviato con T. 4085/63 del 4 maggio 1935, ore 24. (3) -Non si pubblicano.
276

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE MANDATI DELLA S.D.N., THEODOLI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. Ginevra, 23 maggio 1935.

Lavai avendo saputo da Rochat che io lasciavo ieri Ginevra diretto a Roma si è alzato dal suo seggio al Consiglio per chiamarmi in disparte e dirmi quanto segue:

« Vous avez toujours travaillé au rapprochement franco-italien, il s'agit aujourd'hui d'empecher une rupture entre l'Angleterre et l'Italie qui sont amies et unies depuis toujours. Ne me mettez pas dans le terrible embarras de choisir entre nos amis. Rochat vous aura dit toute la peine que je me donne pour calmer et diriger les Anglais vers une solution acceptable par Mussolini. Je ne discute pas si c'est bien ou mal que l'Abyssinie soit membre de la S.d.N. Elle y est, il s'agit maintenant de voir comment on peut arranger cet arbitrage entre deux Membres de la S.d.N.

Veuillez assurer Mussolini que je travaille à rapprocher le point de vue de Eden à celui d'Aloisi. Il faut gagner du temps, je vous prie de dire à M. Mussolini que je suis son avocat ici, et je travaille dans l'esprit de nos accords de Rome et de Stresa).

Avendogli io fatto un cenno alla possibilità per l'Italia di uscire dalla Lega nel caso il nostro prestigio e la nostra dignità potessero essere compromessi da una decisione del Consiglio, egli ha esclamato: «Mais l'Italie a besoin de Genève comme Genève a besoin de Rome. C'est l'Allemagne qui se rejouirait de voir ainsi l'Italie brouillée avec l'Angleterre, la Conférence de Rome compromise, tous les résultats de Stresa disparus et l'atmosphère européenne plus sombre que jamais ~.

Io ho replicato subito facendogli osservare che naturalmente il Duce avrà pesato il pro ed il contro di una mossa tale da sconvolgere tutta la situazione internazionale attuale, ma che egli Lavai amico di Mussolini doveva pur rendersi conto della situazione di fatto dell'Italia in Africa, e della necessità di difesa dell'onore italiano del prestigio e posizione del Fascismo misurando il risentimento generale di tutti gli Italiani sia per la nostra situazione di oggi e domani a Ginevra, sia dell'impossibilità per noi di uno sviluppo rapido e risolutivo della nostra impresa africana. La ritirata militare italiana equivarrebbe ad una disfatta...

Egli mi ha r,ipetuto rendersi perfettamente conto di tutte queste difficoltà ma che l'opinione pubblica inglese ed anche europea sono oggi talmente montate che nell'interesse generale egli doveva adoperarsi per trovare una via d'uscita «dans le cadre de la S.d.N. ~.

Avendogli osservato che egli non rispondeva alla mia domanda precisa: «Mais comment résoudre notre programme abyssin? Pouvons nous compter, M. le Ministre, sur le concours loyal de la France à réaliser nos aspirations territoriales en Afrique selOJ\ l'esprit et la lettre des accords du 71 Janvier? ~.

Egli mi ha risposto scandendo le parole: « Dites à M. Mussolini que comme Ministre des Affaires Etrangères et comme français je ferai aujourd'hui comme demain tout ce qui est nécessaire pour aider l'ltalie à résoudre les difficultés politiques à Génève et à Rome pour la réalisation de ses aspirations territoriales en Abyssinie, mais répétez à Rome qu'il faut suivre notre exmeple au Marco. Nous avons crée des desordres intérieurs. Nous au Maroc le Sultan et puis Lyautey a gnignolé le Maroc. C'est indispensable de créer des incidente entre Ethiopiens et non pas entre Italien et Abyssine. Je voudrais arriver à ce que l'Italie reçoive un mandat de l'Angleterre et de la France mais sans irriter l'opinion punlique européenne ~.

(l) D presente documento ·reca il visto di Musso!inl.

277

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2810/96 R. Bruxelles, 24 maggio 1935, ore 20,31 (per. ore 21,45).

Mio telegramma n. 93 Cl).

Questo Ministero degli Affari Esteri mi ha fatto confddenzialmente conoscere che trattative private fra noi e « Fabrique Nationale ~ per arresto invio forniture Etiopia contro acquisto da parte nostra di altri articoli di sua pro-· duzione, e con le garanzie indicate nel telegramma n. 82 di V. E. (2), potrebbero avere inizio fra qualche giorno.

Data la natura essenzialmente tecnica del negoziato e ritenendo lo assolutamente inopportuno incaricare questo addetto militare, occorre che Ministero della Guerra deleghi pertanto qui d'urgenza un suo fiduciario.

278

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2777/110 R. Ginevra, 24 maggio 1935, ore 22,30 (per. ore 0,45 del 25).

A scopo documentazione riassumo trattativa ulti:md due giorni circa vertenza itala-etiopica: durante giornata di ieri continuata ininterrottamente

discussione con Lavai, Eden per cercare di evitare fondamentali modificazloni alla formula di risoluzione indicatami telefonicamente da S. E. Suvich. Inglesi hanno insistito specialmente su seguenti modifiche: l) inserzione nella risoluzione di un impegno di non ricorrere alla forza delle armi; 2) determinazione di una data assai prossima quale termine della procedura di conciliazione e di arbitrato. Rigettate tali proposte secondo ordini telefonici pervenutimi ieri notte alle 24, stamane inglesi ne hanno presentato altre e precisamente: l) inserire testo articolo 5 Trattato 1928 nella risoluzione o quanto meno in calce alla risoluzione stessa; 2) determinare in apposito «considerando» un termine per nomma qumto arbitro, a difetto della quale nomina Consiglio si sarebbe dovuto riunire;

3) determinare, nella parte deliberativa della risoluzione, che nel caso di mancata sentenza alla data del 25 agosto, Consiglio si sarebbe riunito peresaminare situazione;

4) altra modificazione al paragrafo uno e tre per sostituire alle parote « procedura prevista all'articolo 5 » le parole « conformemente all'articolo 5 ».

In seguito alle istruzioni telefoniche pervenutemi verso mezzogiorno di stamane, mentre ho dichiarato che V. E. era disposto accettare le modifiche di cui al punto 4, ho nettamente rifiutato qualunque ulteriore discussione sugli altri tre punti.

Durante Consiglio del pomeriggio di oggi, Lavai e Eden di loro iniziativa mi hanno fatto le seguenti ulteriori proposte, che ho comunicato telefonicamente a S. E. Suvich per debito di ufficio e a titolo di informazione:

l) inglesi accettano di non citare, neppure in calce alla risoluzione testo articolo 5, che verrebbe però letto dal Presidente del Consiglio; 2) inglesi insistono nel mantenimento del «considerando » relativo al quinto arbitro;

3) inglesi consentono ad abolire nella parte deliberativa della risoluzione la decisione circa una eventuale riunione del Consiglio dopo H 25 agosto, ma intendono farne oggetto di una seconda risoluzione a parte.

Tale lo stato delle cose alle ore ventuno di stasera.

(l) -Con T. 2690/93 R. del 20 maggio 1935, ore 22,31, Vannutelli rifeTiva circa le trattative in corso tra il Governo belga e la «Fabrique Nationale » per la sospensione della spedizione di -armi e munizioni in Etiopia. (2) -Vedi D. 217.
279

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2816/111 R. Ginevra, 25 maggio 1935, ore 17,30 (per. ore 19,40).

Seguito telegramma n. 110 (1). Giusta istruzioni telefoniche di ieri sera (ore 22) ho comunicato Lavai e Eden che da parte nostra eravamo disposti consentire che, indipendentemente

da risoluzione limitata a punti da noi già accettati, Consiglio adottasse una seconda risoluzione sulle linee del testo indicatomi per telefono.

Eden dopo qualche resistenza ha alla fine aderito nostra proposta pur chiedendo, oltre a qualche trascurabile modificazione di forma, di sostituire alla frase «Consiglio si riserva riunirsi...» la frase «Consiglio decide riunirsi».

Non ho creduto da parte mia sollevare obbiezioni poiché modificazioni proposte nulla potevano cambiare a quanto praticamente avverrà dopo il 25 agosto, e non sembrandomi opportuno con un rifiuto mettere in forse tutto l'accordo faticosamente elaborato.

Dovendo Lavai partire necessariamente -per la prevista crisi del Gabinetto francese -al più tardi alle ore 9 di stamane, Consiglio è stato immediatamente convocato per le ore 23 della notte scorsa.

Seduta iniziatasi ore 24 si è svolta senza rilievi degni di particolare menzione.

Presidente del Consiglio, secondo quanto era stato concordato, ha letto all'inizio seduta nel corso di una breve dichiarazione testo articolo 5 Trattato 1928, senza dargli particolare rilievo, nonché testo due risoluzioni.

Ha preso indi la parola per l'Etiopia il Signor Jezè (i due Delegati etiopici Hawariat e Jezè si sono alternati alla tavola del Consiglio) il quale ha dichiarato accettare risoluzione subordinata a delle precisazioni che chiedeva a Delegazione Italiana:

l) se arbitri, pur non essendo incaricati delimitazione frontiera, avessero avuto libertà di considerare tutte le circostanze relative alla vertenza, ciò che comprende l'interpretazione Trattato e accordi circa frontiera;

2) se era inteso che, risolto incidente Ual-Ual si sarebbe immediatamente proceduto alla determinazione della frontiera;

3) se, sulla base degli impegni contenuti negli articoli 2 e 5 del Trattato 1928 l'Italia avrebbe non solo sospeso ulteriore invio truppe e materiali da guerra in Afrièa Orientale ma anche non impiegato quelli già inviativi;

4) se, nel lasciare il Consiglio alle due Parti tutta libertà risolvere divergenze secondo articolo 5, era inteso che S.d.N. non si sarebbe disinteressata della procedura di conciliazione ed arbitrato.

Presa la parola, ho fatto un breve discorso riassumendo in primo luogo aspetto giuridico della questione, esponendo ragioni per cui S.d.N. doveva limitarsi a lasciare che procedura conciliazione arbitrato avesse regolare corso; ho mostrato condiscendenza Italia nell'accettare sia che membri etiopici fossero di nazionalità straniera, sia che Commissione esaminasse anche incidenti svoltisi alla frontiera itala-etiopica dopo il 5 dicembre 1934; ho esposto ragioni per le quali Governo italiano, pur lasciando libertà ad arbitri di esaminare circostanze relative incidenti anzidetti, non poteva assoluta!llente ammettere che Commissione prendesse in esame problema delle frontiere, materia riservata esclusivamente ai lavori di altra commissione che, come già Governo italiano aveva comunicato a Governo etiopico, si sarebbe potuta riunire subito dopo risolto incidente Ual-Ual.

Ho poi nettamente rigettato qualsiasi interferenza nel diritto del Governo italiano di procedere a tutte le misure militari che ritenesse adottare nelle sue Colonie: a riguardo ho accennato a recenti dichiarazioni categoriche e definìtive dell'E. V. Concludendo ho creduto segnalare al Consiglio il pericolo di manovre che, mirando ad allarmare opinione pubblica, potessero turbare il corso della procedura in una vertenza la cui gravità non sembrava, anche in questo momento, essere apprezzata nella sua interezza.

Con le mie dichiarazioni ho implicitamente risposto alle prime tre domande del delo.~gato etiopico, mentre non ho creduto di rispondere alcunché circa la quarta.

Hanno preso poi successivamente la parola Lavai e Eden, i quali hanno formulato dichiarazioni generiche di carattere societario, accentuando il secondo le preoccupazioni del suo Governo, le responsabilità del Consiglio e gli impegni presi di demarcare la frontiera dopo risoluta la divergenza.

Dopo breve parola del Presidente e senza alcun altro intervento da parte de:i membri del Consiglio, le risoluzioni sono state adottate all'unanimità.

Delegato etiopico ha poi ringraziato Eden e Lavai, nonché Presidente del Consiglio ed ha aggiunto sperare che gli accordi adottati costituiranno un passo decisivo per l'avvenire delle relazioni amichevoli itala-etiopiche: l'Etiopia farà tutti i suoi sforzi perché lo spirito di amicizia del Trattato 1928 sia ancora rinforzato.

Naturalmente non ho affatto raccolto tali dichiarazioni Delegato etiopico.

Mentre farà seguire per corriere processi verbali con testo delle dichiarazioni, mi riservo riferire a Roma a V. E. gli elementi essenzialmente politici risultanti dalla difficile e talvolta aspra trattazione qui svoltasi, che ha messo nettamente in rilievo contrasto itala-britannico nei riguardi della nostra azione in Etiopia.

(l) Vedi D. 278.

280

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, GEISSER CELESIA

T. 932/56 R. Roma, 25 maggio 1935, ore 24.

Telegrammi di V. S. n. 91 e 92 (1). Approvo azione da Lei svolta circa questione forniture belliche all'Abissinia e mi compiaccio per risultati ottenuti.

PregoLa far conoscere a codesto Governo che attitudine della Spagna in tale questione viene favorevolmente apprezzata da R. Governo; e pregoLa altresì, in via riservata e confidenziale, espr,imersi in termini analoghi con deputato Goicochea per interpellanza di cui ha assunto iniziativa e per termini cordiali nei quali interpellanza stessa è stata redatta (2).

(l) -Con i TT. 2602/91 R. e 2646/92 R. rispettivamente del 15 maggio 1935, ore 21, e del 16 maggio 1935, ore 19, Celesia riferiva circa la decislone del Governo spagnolo di impedire la fornitura di armi all'Abissinia e circa la presentazione da parte del partito monarchico di una interrogazione sc,ritta al Ministro degli Esteri per sollecitare provvedimenti aJ riguardo. (2) -Per la risposta di Celesia vedi D. 304.
281

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 4827/86 P.R. Roma, 25 maggio 1935, ore 24.

Capo Governo desidera che V. S. trovi modo prospettare opportunità Cancelliere risponda parte discorso Hitler relativa Austria per dare sensazione che codesto Governo conduce politica attiva e non si rassegna subire imposizioni di Potenze straniere (1).

282

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2858/0154 R. Berlino, 25 maggio 1935 (per. il 28).

Il Ministro d'Ungheria mi ha detto di essere stato chiamato a Budapest, da un congedo che stava godendo in Italia, subito dopo l'incontro del Ministro degli Affari Esteri de Kanya e del Ministro degli Esteri austriaco con S. E. Suvich a Venezia (2). Era stato posto al corrente delle ·conversazioni italo-austro-ungheresi ed interrogato a sua volta circa la situazione internazionale della Germania.

Gli erano state rinnovate istruzioni di agire costantemente a Berlino in favore di un riavvicinamento italo-germanico dato che l'Ungheria, pur non potendo nutrire soverchie simpatie per il nazionalsocialismo, non intende né può fare una politica che la ponga in contrasto con la Germania. E' per tale ragione che l'Ungheria aveva fatto conoscere a Venezia che essa non parteciperebbe ad alcun accordo bilaterale che contenesse l'impegno della mutua assistenza fra i firmatari non potendo pensare a prendere le armi né contro la Germania né contro l'Italia.

Gli era pure stata !impartita l'istruzione di esprimersi in questo senso con Governo del Reich, ciò che aveva fatto in una conversazione avuta col barone von Neurath qualche giorno fa. Aveva tratto da essa l'impressione che la Germania, pur nutrendo molte apprensioni circa un accordo danubiano, si sarebbe rifiutata a partecipare alle discussioni relative ed eventualmente anche ad una conferenza. Il barone von Neurath nel prendere atto della dichiarazione fatta dal signor de Kanya che l'Ungheria non parteciperà ad atti bilaterali contenenti l'impegno della mutua assistenza, gli aveva lasciato intendere che n Governo del Reich propendeva dal suo lato per l'esclusione assoluta della possibilità che accordi bilaterali contenenti l'impegno suddetto fossero ammessi nel quadro di un eventuale Patto danubiano.

(l) -Con successivo telegramma (T. 936/87 R. del 26 maggio 1935, ore 23) Suvich precisava: «Occorre che dichiarazioni Schuschnigg costituiscano netta affermazione volontà Austria vivere sua vita indipendente e svolgere indisturbata sua missione e che vi sia espressa sicura fiducia nell'avvenire dell'Austria e respinte insinuazioni circa pretesa ingerenza italiana, che non esiste ». (2) -Vedi DD. 144, 145, 146, 150, 151 e 152.
283

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. 934/126 R. (1). Roma, 26 maggio 1935, ore 23.

Ho creduto opportuno rendere di pubblica ragione le dichiarazioni fatte ufficialmente dal Capo di Gabinetto dell'Aeronautica tedesca, circa le forniture alla Etiopia (2).

Faccia sapere a Neurath, e se del caso anche a Hitler, che tali comunicazioni saranno apprese con soddisfazione dal popolo italiano e in particolare dalla nostra a\èiazione.

Aggiunga che l'atteggiamento delle potenze europee nei nostri riguardi dinanzi al problema abissino sarà decisivo ai fini dell'amicizia o inimicizia dell'Italia (3).

284

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. 4874/127 P. R. Roma, 26 maggio 1935, ore 23.

Intonazione stampa tedesca, nonostante assicurazioni ripetutamente espresse (4), continua ad essere ostile e tendenziosa nei nostri riguardi. Quando se ne presenti occasione prego V. E. farlo nuovamente constatare e far sapere che se ·per ora non rispondiamo ne teniamo però dovuto conto (5).

285

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. [In treno, 26 maggio 1935].

QUESTIONE ITALO-TEDESCA (GINEVRA, CONSIGLIO DEL MAGGIO 1935)

Ho l'onore di riassumere per somme linee il faticoso negoziato itala-etiopico,

o più precisamente italo-britannico. Il metodo di lotta è stato quello della intransigenza contro intransigenza.

, Le tappe ael duro cammino sono state segnate dalla successiva demolizione di ognuna delle pretese britanniche: nomina di un comitato, nomina di un relatore, nuovo impegno scritto di non aggressione o, almeno, di non ricorso alla

forza, oltre la demolizione della pretesa espressa nel personale ricorso alla Lega dell'Imperatore di Etiopia, che l'Inghilterra appoggiava; impegno a sospendere ogni invio di armi in pendenza di negoziati.

In che modo ognuna di queste tappe sia stata superata, ho quotidianamente e particolareggiatamente telegrafato a V. E. (1). Reputo opportuno aggiungere ora poche considerazioni di carattere generale circa il momento politico internazionale quale è apparso sul terreno di Ginevra, le linee di forza rivelatesi e il significato delle posizioni prese dai vari gruppi.

Tanto l'Inghilterra quanto il Governo inglese, quanto personalmente Eden erano ingaggiati nella intrapresa di fermare l'Italia.

L'Inghilterra difende imprescindibili interessi imperiali e africani, che essa abilmente dissimula dietro il paravento della Lega delle Nazioni, allo scopo di aver dalla sua l'opinione pubblica mondiale. Oltre ciò, innegabilmente essa difende anche l'esistenza della Lega, che è un pilone della sua politica estera, e che minaccerebbe di crollare se essa lasciasse ora impunemente inghiottire un suo membro. Infine l'Inghilterra è risoluta a non lasciar menomare il suo prestigio permettendo che si turbi l'equilibrio mondiale senza che essa sia stata debitamente consultata e che abbia dato il suo assenso.

Accanto e subordinatamente a questi interessi ~mperiali e nazionali, vi sono poi i noti interessi di politica interna e personale, che assumono speciale importanza in questi momenti in cui corrono voci di crisi di Gabinetto non lontane.

Se a denti stretti Eden ha finito per cedere pressoché su tutto, è unicamente perché egli ha finito col temere il ricatto della nostra uscita, la quale in questo momento non gli è sembrata ancora matura, ossia non ancora tale da poter venire giustificata dinanzi all'opinione pubblica britannica. Pel momento ha creduto quindi conveniente cedere e rivalersi con un successo interno di stampa che, del resto, occorre confessarlo, è tutta per lui.

Assunta l'Inghilterra una posizione così decisa, s'è visto immediatamente la maggior parte degli Stati, anche dei cosidetti nostri amici, prendere prudentemente il largo. Unica eccezione: la Francia.

Lavai, sebbene anche lui visibilmente desideroso di impedire la rovina del Patto, è stato leale agli accordi di Roma e deferente nella forma e nella sostanza ai desideri di V. E. In verità si è prodigato. Ma non posso fare a meno di esprimere la ferma convinzione che egli è stato buon alleato in questa lotta unicamente perché anch'egli -come ho accennato poc'anzi -aveva l'impressione che l'Inghilterra questa volta non avrebbe tenuto duro f,ino al punto di consentire che l'Italia uscisse dalla Lega. Ma il giorno in cui la Francia fosse messa dinanzi all'« aut-aut» della scelta tra l'Inghilterra e noi, sono convinto che mollerebbe noi.

Debbo aggiungere che la Russia, se proprio non ci ha aiutati, per lo meno non ci ha voltato la faccia. Litvinov ha fatto il bel gesto di offrire il suo appoggio e, in quel che ha potuto, effettivamente qualche cosa ha fatto. Così nella lettura del testo dell'art. 5 dell'infausto trattato del 1928. Litvinov ha mo

24 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. I

strato una rara abilità nell'dnghiottire le parole a grande rapidità, sì da farle passare assolutamente inosservate. Gli altri sono rimasti al largo. L'Argentina esplicitamente, quasi a rappresentare idealmente tutti, è venuta a scusarsi con un «vous avez ... l'Angleterre...». Del resto l'opinione generale è al seguito della stampa inglese che, come

V. E. avrà potuto rilevare, salvo qualche rara e ben nota eccezione, è tutta contro di nod.

Riepilogando, per questa volta l'Inghilterra ha ripiegato e noi, da parte nostra, non abbiamo assunto nessun nuovo impegno. Abbiamo ceduto solo su due particolari di scarsa importanza: l) nazionalità degli arbitri -accettando quel che del resto è norma corrente nella pratica giurddica internazionale; 2) fissazione di date. Questa seconda concessione ci è stata però ripagata in quanto ci ha assicurato il beneficio di tirar diritto sino a quasi settembre, senza nuove intromissioni della Lega. Il nostro è stato quindi un impegno più formale che effettivo in quanto che in nessun caso si sarebbe potuto andare senza fastidio oltre quel termine. Giova del resto ricordare che, indipendentemente da ogni impegno, il Consiglio ha sempre facoltà di radunarsi quanto creda.

Ma l'importante è che non si è avuto né comitato, né relatore, né sospensione di invii di armi, né astensione della competenza della commissione ad altra materia che non sia quella degli incidenti né, sopratutto, alcun motivo nuovo impegno di non aggressdone o di non ricorso alle armi.

Sostanzialmente è stato raggiunto lo scopo di aver guadagnato un lungo periodo di mesi restando immuni da ogni limitazione, in ottemperanza con quanto ebbi l'onore di esporre, e di veder approvato da V. E. nel mio appunto in data 4 febbraio 1935 (1).

Il compromesso è stato per questa volta trovato, ma ho il dovere di esprimere francamente a V. E. la convinzione che l'Inghilterra non lascerà sfuggire la prossima occasione per riprendere in pieno la sua opposizione.

La questione è quindi semplicemente rinviata a più tardi, in tutto il suo complesso e in tutta la sua gravità.

La scorsa sessione è stata una significativa prova generale, che è servita a svelare il grado di intensità della opposizione inglese, il valore della presa che l'Inghilterra ha su gran parte dei paesi del mondo, e conseguentemente, l'atteggiamento facilmente prevedibile che questi assumeranno in un momento di crisi.

L'incidente di Ual-Ual è dunque oramai superato. Tutto quel che da esso si poteva spremere, è stato spremuto. Giuocando su di esso si sono potuti lasciar trascorrere ben otto mesi. dalla riunione del Consiglio di gennaio alla prossima riunione di settembre senza nemmeno scalfire a Ginevra il grosso della questione.

Ma oramai è tempo di passare a considerare l'atteggiamento verso questo grosso della questione che si impone. Gli ostacoli che si parano contro una nostra azione militare sono politici e giuridici.

L'ostacolo politico è rappresentato dalla opposizione inglese, che giuocherà con eguale potenza dentro e fuori Ginevra. L'ostacolo giuridico -che prima o poi si finirebbe per superare qualora si riuscisse ad eliminare l'ostacolo politico -è rappresentato da quello che potrà deliberare la Lega contro di noi. A questo proposito ho fatto preparare da S. E. Pilotti l'accluso appunto, nel quale sono prospettate le diverse conseguenze giuridiche derivanti dall'applicazione degli articoli del Patto.

Ripeto però che, sostanzialmente, l'aspetto della questione non è italaetiopico, e nemmeno italo-ginevrino, ma italo-inglese.

ALLEGATO

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA S.D.N., PILOTTI, AL CAPO DI GABINETTO, ALOISI

APPUNTO. Ginevra, 23 maggio 1935.

Rispondo ai quesiti ch'Ella mi ha posto.

l) L'articolo 11 del Patto prevede l'azione del Consiglio in relazione a qualunque minaccia di guerra o circostanza capace di turbare la pace o la buona intesa fra le nazioni. Tale azione non può essere esercitata dal Consiglio che in base ad un accordo di tutti i suoi membri, dovendo essa rivestire carattere essenzialmente amichevole e preventivo. Perciò ogni decisione che H Consiglio prenda in virtù dell'articolo 11 esige l'unanimità dei voti, compreso il voto delle parti interessate.

2) Anche nel caso di applicazione dell'articolo 15, quando cioè uno degli Stati memb11i ha fatto appello al Consiglio per la soluzione di una controversia capace di condurre alla rottura dei rapporti fra due paesi, la prima fase della procedura comporta un tentativo di conciliazione. Infatti, in base al paragrafo 3 dell'articolo 15, il Consiglio deve anzitutto cercare di assicurare la definizione della controversia, ed evidentemente non può pervenirvi che col consenso di entrambe le parti, comportandosi gli altri membri come mediatori.

3) Invece, se la definizione amichevole della controversia non è riuscita, il Consiglio, in base all'art. 15, esamina la controversia ai fini di formulare un rapporto, nel quale raccomanda la soluzione ch'egli ritiene la più equa. In tal caso, ii! Consiglio agisce come corpo decidente in una lite; pertanto le parti sono bensì ammesse a votare sul rappor,to che il relatore presenta, ma i loro due voti non contano per il calcolo della unanimità o della maggioranza con cui il rapporto stesso viene adotta,to. Il rapporto deve essere adottato entro sei mesi dalla data del ricorso.

4) Se il rapporto contenente le raccomandazioni è adottato all'unanimità dei voti dei membri del Consiglio diversi dalle parti, ogni Stato appartenente alla Lega e in special modo le Parti in causa sono obbligati a non fare la guerra contro quella delle due parti che si conformi alle raccomandazioni stesse. Se invece il rapporto è approvato a semplice maggioranza, tutti gli Stati appartenenti alla Lega si riservano il diritto di agire come credono più giusto. Tuttavia è ben inteso che, in base all'art. 12 del Patto, anche in tale ipotesi le parti non possono 11icorrere alla guerra che dopo tre mesi dalla data del rapporto.

5) Sempre restando nell'ipotesi suddetta, che è quella che viene chiamata la guerra lecita secondo il patto, cioè la guerra che abbia luogo tre mesi dopo il voto non unanime del Consiglio, debbo però osserva,re che non è mai successo finora che H Consiglio, investito in base all'articolo 15, si sia diviso in maggioranza e minoranza; esso ha sempre votato ad unanimità, senza le parti, sopra conCJlusioni che rappresentavano un tentativo del relatore o dei relatori per tener conto in un'equa misura degli interessi in conflitto delle due parti.

(l) -Minuta autografa. (2) -Vedi D. 223. (3) -Con T. 2867/161 R. del 28 maggio 1935, ore 19,37, Cerruti comunicava di aver fatto la comunicazione ordinatagli. (4) -Vedi D. 270. (5) -Con T. 5460/166 P.R. del 1° g,iugno 1935, ore 19,40, Cerruti comunicava di aver nuovamente affrontato l'argomento in una conversazione con von Btilow.

(l) Vedi DD. 12, 235, 251, 267, 268, 278 e 279.

(l) Vedi serie se.ttlma, vol. XVI, D. 543.

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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5180/112 P. R. Vienna, 27 maggio 1935, ore 1,50 (per. ore 5,15).

Telegramma di V. E. n. 86 (l).

Cancelliere risponderà mercoledì p.v. discorso Hitler.

A quanto mi ha ieri accennato Berger-Waldenegg, Schuschnìgg intenderebbe esporre anzitutto punto di vista austriaco e poscia commentare lungamente quanto Hitler ha detto od omesso di dire circa Austria. Schuschnigg si indugerebbe particolarmente su dichiarazioni Hitler relativamente .ingerenza, enumerando passate e presenti attività naziste in Austria.

Senonché Papen, venuto evidentemente a conoscenza prossimo discorso Cancelliere, ha chiesto stamane di esser ricevuto d'urgenza. Schuschnigg lo vedrà domani. Papen si propone di far desistere Cancelliere dal suo proposito.

Berger-Waldenegg svolgerà tutta la sua influenza affinché Schuschnigg tenga fermo suo proposito e già convenuto traccia di discorso (2}.

287

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2852/114 R. Vienna, 27 maggio 1935, ore 22,50 (per. ore 4 del 28).

Mio telegramma n. 112 (3).

Papen è vimasto oggi col Cancelliere per più di due ore. Dopo averlo intrattenuto di argomenti secondari su cui riferisco con rapporto (4), ha voluto dimostrare che il discorso di Hitler non conteneva alcuna punta contro l'Austria.

Cancelliere ha ribattuto in modo fermo.

Egli ha avuto sensazione che argomenti svolti dal Ministro di Germania, lungi corrispondere alla realtà delle cose, ad altro non miravano che a distoglierlo dal pronunciare. su menzionato discorso, ed, anche più, a poter dire a dichiarazioni fatte, che queste erano avvenute malgrado chiariment.i tedeschi precedentemente forniti.

Cancelliere nulla ha mutato circa sue precedenti decisioni..

(l) -Vedi D. 281. (2) -Con successivo telegramma (T. 2850/113 R. del 27 maggio 1935, ore 22,50) Preziosi assicurava di aver eseguito anche le istruzioni di cui al D. 281, nota l. (3) -Vedi D. 286. (4) -Vedi D. 288, che però è un T. per corriere.
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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2876/055 R. Vienna, 27 maggio 1935 (per. il 29).

Mio telegramma n. 114 Cl). Von Papen, nel suo odierno lunghissimo colloquio con Cancelliere ha svolto i seguenti punti: l) rincrescimento perché sua missione non abbia finora raggiunto, a malgrado suoi pretesi sforzi, alcun favorevole risultato;

2) preoccupazioni per i viaggi del Cancelliere e di Berger all'estero giacché essi dimostrerebbero l'ostile disposizione dell'Austria verso la Germania; 3) estrema desiderabilità di negoziati per un Trattato di Commercio, circa cui il von Papen si è riservato presentare uno speciale schema;

4) elucidazione dei passaggi del discorso di Hitler relativi all'Austria;

5) chiarimenti circa i contatti mantenuti da questa Legazione di Germania con elementi «nazionali :1>. Al mguardo von Papen ha sostenuto che detti elementi vogliono tutti il mantenimento dell'indipendenza del Paese; 6) lettura di un articolo di Lloyd George contenente favorevoli apprezzamenti su Hitler e la sua politica.

Cancelliere ha risposto adeguatamente. Si è soffermato con particolare vivacità sui rapporti mantenuti dal von Papen col noto Neubacher, contestandogli senz'altro che quest'ultimo si è recàto ripetutamente a questa Legazione di Germania camuffato in diversi modi.

Da parte mia rilevo la tendenziosità dell'offerta di von Papen per la rapida conclusione di un Trattato di Commercio. Evidentemente egli si propone raggiungere per questa via, apparentemente economica, un qualche fine politico. Berger ha chiesto al Cancelliere che ogni schema ed ogni negoziato del genere debba svolgersi non pel tramite del Ministero del Commercio, ma esclusivamente a mezzo della Cancelleria Federale. Cancelliere ha assentito.

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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 27 maggio 1935.

L'Ambasciatore Chambrun mi dice che intende andare per qualche giorno a Parigi: è stato consigliato da Léger di partire subito perché calcola che fra una settimana potranno iniziarsi le conversazioni per il Patto di non ingerenza.

L'Ambasciatore mi parla della questione etiopica e della resistenza che dimostrano gli inglesi: in questioni coloniali e imperiali gli inglesi sono lungimiranti e trovano tutta l'energia che manca a loro nelle questioni europee.

A proposito del discorso del Capo del Governo l'Ambasciatore ha l'impressione che esso sia stato poco gentile nei riguardi della Francia. Bastava una parola detta con calore che avrebbe fatto sorgere in piedi tutta la Francia.

Gli osservo che il discorso è nello stile secco e scheletnco che piace al Capo del Governo il quale rifugge da ogni forma di retorica; sostanzialmente il discorso contiene delle cose molto importanti per quanto riguarda la politica di amicizia itala-francese e la politica di Stresa.

L'Ambasciatore riconosce. L'Ambasciatore mi chiede se il Capo del Governo vuoi vederlo prima della sua partenza.

Gli rispondo che ne ho già parlato al Capo del Governo il quale ritiene di non aver nulla di speciale da dirgli ~n questo momento. Posso però informarlo su alcune osservazioni che mi ha fatto il Capo del Governo e che possono interessare la Francia:

l) II Capo conta in modo assoluto sulla mano libera che Lavai gli ha dato per l'Etiopia e ne approfitterà per liquidare la questione nei prossimi due o tre anni in modo da essere libero da questa preoccupazione per il momento in cui ci potrà essere serio bisogno di impegnarsi in Europa.

2) II Capo del Governo per l'Abissinia non si accontenta di concessioni territoriali. Posso aggiungergli, in via di indiscrezione e perché egli ne faccia uso riservato, che l'idea del Capo è quella di ottenere il dominio diretto sulla parte periferica, quella sopratutto che non appartiene alla vera e propria Abissinia, ma che ne è dominata, di ottenere il protettorato sul rimanente territorio e di avere per tal modo la comunicazione diretta tra le due colonie.

L'Ambasciatore prende nota di quanto dettogli e ne farà uso riservatissimo. L'Ambasciatore intende trattare a Parigi anche la questione del transito di armi attraverso Gibuti.

Gli dico che questo suo intervento sarà molto opportuno; ad ogni modo sarebbe bene che si facilitasse il compito del nostro Console a Gibuti perché egli possa controllare tutto il materiale sospetto che parte da quel porto.

L'Ambasciatore mi riafferma infine che tanto l'opera del signor Lavai a Parigi che quella sua a Roma è diretta a facilitare in tutti i modi il nostro compito.

(l) Vedi D. 287

290

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2886/170 R. Shanghai, 28 maggio 1935, ore 13,30 (per. ore 5,35 del 29).

Comando armata giapponese in Manciuria ha voluto far sentire peso delle armi sul punto più sensibile di contatto tra Cina e Giappone, penetrando nella zona demiLitarizzata a Sud Grande Muraglia con il pretesto di compiere spedizione punitiva contro un corpo di volontari comandato dal Generale SunYung-Chun, verso il quale Autorità locali cinesi avrebbero assunto atteggiamento di larvata protezione, consentendo a detto corpo di operare nella zona demilitarizzata.

Spedizione punitiva ha avuto rapida e severa esecuzione giungendo alla distruzione corpo volontari che sopra un migliaio di effettivi ha avuto 300 morti, tra cui suo stesso Capo.

In queste operazioni devesi scorgere reazione dei militari giapponesi alla ultima fase dei rapporti con Cina e la continua inevitabile alternativa delle due tattiche di allettamento e di forza di cui Giappone dispone nel suo gioco con la Cina (mio telegramma n. 58) (1).

Naturalmente questi colpi non giovano a consolidare sentimenti di fiducia e di avvicinamento e mostrano la trama rude delle imprese militari.

291.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5239/295 P.R. Parigi, 28 maggio 1935, ore 13,30 (per. ore 16,10).

A telegramma di V. E. n. 279 (2).

Farò in giornata comunicazione ordinatami. Rammento ad ogni buon fine che nelle mie conversazioni al Quai d'Orsay la questione della ratifica degli Accordi di Roma è stata trattata a varie riprese. In quella occasione, Segretario Generale espresse avviso che la ratifica dovesse essere preceduta dalla rinnovazione delle Convenzioni per Tunisi. Temo che il Quai d'Orsay si mantenga fermo su questo punto. Mi riferisco in proposito al mio telegramma

n. 70 del 18 febbraio scorso (3).

Per mia norma prego informarmi a che punto sono trattative per la innovazione in discorso.

292.

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI

T. 953/363 R. (4). Roma, 28 maggio 1935, ore 19,15.

È mia intenzione di dichiarare decaduto il trattato di amicizia itala-abissino. Prima di farlo comunicare a mezzo di V. S. al Governo etiopico, desidero conoscere il Suo avviso. Rispondere per telegrafo (5).

( 5) Vedi D. 321.

(l) -Vedi serie settima, vol. XVI, D. 652. (2) -Con T. 4905/279 P.R. del 27 maggio 1935, ore 24, Suvich aveva chiesto a PignB~tti di sollecitare lo scambio delle ratifiche degli accordi italo-francesi del 7 gennaio. (3) -Non pubblicato. (4) -Minuta autografa.
293

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 954/89 R. (1). Roma, 28 maggio 1935, ore 24.

Leggo sui giornali che è imminente unificazione mmzie volontarie. Dica a Starhemberg che considero questo avvenimento di importanza decisiva per l'avvenire dell'Austria indipendente (2).

294

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2906/032 R. Belgrado, 28 maggio 1935 (per. il 30).

Telegramma di v. E. 846/C (3).

Stante difficoltà vedere in questi giorni Jeftic, assorbito nella preparazione della imminente apertura della Scupcina, ho chiesto oggi a Puric se era in grado di farmi conoscere le osservazioni che Jeftic si era riservato di formulare in merito alla comunicazione da me fattagli per ordline di V. E. circa i punti precisati nel convegno di Venezia in vista della conferenza danubiana (4). Ho aggiunto constarmi che gli altri governi della Piccola Intesa avevano g,ià espresso in proposito, almeno in linea generale, il proprio pensiero (5).

Puric mi ha assicurato che Jeftic non aveva avuto la possibilità per sola mancanza di tempo di occuparsi della cosa ed egli Puric non credeva potersi prendere la responsabilità di parlare in proposito a nome del Governo. Mi pregava di non <interpretare il ritardo come mal volere a collaborare alla preparazione della conferenza di Roma. Dopo la sessione della Scupcina (che sarà brevissima) il Presidente riprenderà ad occuparsi attivamente della politica estera. Una riunione della Piccola Intesa avrà luogo a Belgrado (o a Bled) verso il 20 giugno allo scopo principale di concertare l'atteggiamento comune nei riguardi della Conferenza di Roma. Dopo di che Jeftic si ripromette di recarsi in Italia e a Parigi.

A titolo personale e senza pregiudizio delle osservazioni che Jeftic potrà formulare circa i punti da noi precisati a Venezia con l'Austria e l'Ungheria, Puric ha tenuto a dirmi che non sarà già la Jugoslavia a sollevare speciali difficoltà per la conclusione del patto danubiano: le disquisizioni sulla parità

( 4) Vedi D. 216.

e sulla sicurezza, le varie concezioni circa il modo migliore per raggiungere questa sicurezza, son tutte cose a cui la Jugoslavia non annette eccessivo valore; tuttavia essa verrà a Roma, e ci verrà animata dal desiderio di portare .il suo contributo a un risultato costruttivo, pur tenendo a conformarsi, naturalmente, all'azione dei suoi alleati. Ma la Jugoslavia guarda sopratutto alla sostanza delle cose e si rende conto che lo scopo ultimo da raggiungere è l'indipendenza dell'Austria e che a questo scopo i due maggiori interessati sono Italia e Jugoslavia. Un accordo di portata generale leale e duraturo fra i due paesi risolverebbe anche, per ciò c·he li concerne, il problema austriaco e metterebbe in secondo piano ogni altro sistema. Puric però si affretta a soggiungere che un accordo di tale natura non potrebbe verificarsi in un avvenire prossimo perché le difficoltà da superare sono molte, e sopratutto occorre lavorare in profondità nell'opinione pubblica dei due paesi.

Il pensiero di Puric merita di essere riferito perché proviene da persona che ci è stata costantemente ostile e probabilmente lo è tuttora, ma non può nascondersi la superiore utilità di una pratica e durevole intesa con .noi.

(l) -Minuta autografa. (2) -Riferendo sulla trasmissione del messaggio (T. 2940/120 R. del 31 maggio 1935, ore 22,20) Preziosi precisava che tale unificazione era per il momento avvenuta solo nel Voralberg e nel Burgenland. (3) -Vedi D. 172, nota l p. 188.

(5) Vedi DD. 200 e 204.

295

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRErnE 2960/059 R. Vienna, 28 maggio 1935 (per. il 1° giugno).

Cancelliere mi ha chiesto stamani se avevo notizie circa data probabile conferenza danubiana. Ho risposto richiamandomi a quanto ha detto al riguardo il Duce nel suo discorso al Senato.

Mi consta che domanda del Cancelliere è stata provocata dalle sue preoccupazioni per una nuova forma assunta dalla propaganda nazista, che consiste nel far apparire un progressivo disinteressamento delle grandi Potenze, e persino dell'Italia (l).

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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI D'AMERICA A ROMA, LONG

APPUNTO. Roma, 28 maggto 1935.

L'Ambasciatore Long va per qualche giorno in America. Parte col «Conte di Savoia».

Ha l'impressione che l'orizzonte si sia un po' rischiarato. Mi chiede delle impressioni.

Gli rispondo che effettivamente ci sono alcuni segni di détente. Rimangono tuttavia alcuni elementi molto incerti. Intanto la Germania continua diritta

per la propria via lasciando cadere di quando in quando qualche parola di pace che l'Inghilterra si affretta a raccogliere. Anche la questione degli armamenti della Germania rappresenta un punto incerto; oggi la Germania investe tutto il proprio capitale e tutte le proprie disponibilità negli armamenti e nella industria degli armamenti. Tutto ciò nuò durare fino ad un certo punto.

A proposito dei rapporti itala-etiopici, dico all'Ambasciatore che noi dobbiamo liquidare ora definitivamente tale questione. Per avere mano libera Lin Europa non dobbiamo avere preoccupazioni dalla parte dell'Africa. Tali preoccupazioni esistono effettivamente. Ogni qualvolta noi siamo stati impegnati, sia in Libia che nella grande guerra, gli abissini hanno cercato di attaccarci per toglierei le nostre colonie. Li abbiamo tenuti in freno relativamente con poche forze. Oggi però le cose sono cambiate. Gli abissini sono istruiti da ufficiali europei; sono armati di armi moderne e il loro spirito xenofobo e sopratutto antitaliano è notevolmente rafforzato. In queste condizioni noi, non solo non possiamo ritirare le truppe dall'Africa Orientale, ma dovremo mandarne delle altre.

L'Ambasciatore mi chiede in che cosa consiste questa. liquidazione di cui gli ho parlato. Gli rispondo che essa consiste nell'ottenere una situazione tale per cui in nessuna evenienza ci sia pericolo per le nostre colonie.

A sua richiesta sulla forma in cui questo principio potrebbe essere tradotto ,in pratica, gli dico come mia idea personale che ciò potrebbe avvenire quando noi ottenessimo il protettorato o il mandato sull'Abissinia unito a una rettifica di frontiera a nostro favore, che ci dia la possibilità di comunicazione diretta tra le nostre due colonie.

L'Ambasciatore chiede se la Gran Bretagna non sia disposta a cederci qualche parte delle sue colonie per farci desistere dall'azione di Africa. Gli rispondo che di ciò non si è mai parlato. Comunque questa eventualità non entra nei nostri calcoli.

(l) Per la risposta di Suvich vedi D. 341.

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IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

PROMEMORIA. Roma, 28 maggio 1935.

In relazione al mio recente Rapporto da Tirana sull'argomento dello stato presente del negoziato itala-albanese (1), ed a conferma di quanto ho avuto l'onore di esporre personalmente a V. E., ieri 27 corrente, le seguenti soluzioni possono venir prospettate per risolvere le difficoltà sorte per la conclusione favorevole del negoziato medesimo:

1°. Moratoria SVEA. Qualora non voglia accordarsi la totale moratoria quinquennale chiesta da Re Zog, potremmo concedere, in luogo di tale provvedi

mento, che, durante un analogo periodo di tempo, una somma -per esempio quella di 250 mila franchi oro imnostata nel corrente bilancio -venga mantenuta, a memoria, nel bilancio albanese, a marcare la persistenza del vigore delle convenzioni e dei pegni SVEA, a condizione che nel frattempo venga esaminata e conclusa, mediante un'intesa formale tra Governo albanese e SVEA, una definitiva sistemazione del servizio effettivo del prestito, a decorrere dalla scadenza del periodo in questione.

2°. Porto di Durazzo. Data la resistenza albanese a concederne la gestione ad una vera e propria Società italiana, potremmo concentrare la nostra richiesta nel noto progetto di concessione alla Società Anonima «Vincenzo Rocco», formalmente albanese, che presenta, per considerazioni locali già esposte, alcuni, non trascurabili, vantaggi.

3°. Credito agrario. Il progetto della creazione di un nostro Istituto di Credito Agrario può, senza inconvenienti -col vantaggio, anzi, di economizzare cinque milioni di franchi oro -essere, almeno per il momento, abbandonato, salvo a riprenderne l'esame quando fossimo nuovamente, e con nostra convenienza, sollecitati da parte albanese.

4°. Scambi. Dato che in Albania il principio di una organizzazione privata di scambi, indipendentemente da una revisione del vigente Trattato di commercio, era già stata accettata, debbo tornare ad insistere sopra i vantaggi di di un tale sistema che ci darebbe modo di valerci, senza vincoli ed in modo continuativo, del più efficace mezzo di pressione sopra eventuali orientamenti albanesi. Si tratterebbe di concedere delle licenze di importazione, extra contingente, con qualche integrazione di prezzo, o meglio valorizzazione, di alcuni prodotti albanesi, ad un apposito Ente. Per evitare che il sistema potesse avere per effetto la deviazione di normali correnti di traffico, si potrebbero sentire, ad un tempo, per la costituzione di detto Ente, gli esponenti delle principali destinazioni di tali normali correnti (Bari e Trieste). Eventualmente gli Enti potrebbero quindi, ove necessario, essere anche due specializzato ognuno per determinati prodotti. Qualche cosa di analogo, per quanto concerne l'integrazione di prezzo si riscontra nell'accordo italo-bul~Z:aro. colla differenza che tale integrazione, nel nostro caso, invece di essere corrisposta direttamente al Governo albanese, come nell'accordo per la Bulgaria, verrebbe versato all'Ente od agli Enti di cui sopra a misura dell'effettiva introduzione delle merci albanesi in Italia (l).

(l) Vedi D. 179.

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IL CONSIGLIERE DI STATO MONTAGNA AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 28 maggio 1935.

La maniera giuridicamente lecita di svincolarsi dal trattato itala-etiopico del 2 agosto 1928 sarebbe quella di dichiarare che, essendo esso rimasto lette

ra morta per tenace ostinazione etiopica, noi non ci riteniamo più vincolati alla sua osservanza. Dipenderebbe dalla nostra volontà e dalla relativa dichiarazione, di far caducare questa o quella norma ovvero tutto il trattato. Senonché questa, che è una facoltà indubbiamente spettanteci secondo i principi generali, parrebbe nel momento attuale esserci preclusa, per quanto rjguarda la procedura di conciliazione e di arbitrato, cui ci siamo obbligati posteriormente alla constatazione dell'inadempienza abissina.

Se noi volessimo considerarci sciolti, a partire dal 5 giugno prossimo, dall'osservanza dell'intero trattato, ci si potrebbe muovere l'appunto di invocare tardivamente un motivo che non abbiamo fatto valere a tempo e di invocarlo per sottrarci alla procedura di conciliazione che già abbiamo accettata a Ginevra. Ci si potrebbe far rimprovero di venir meno, senza alcun fatto nuovo imputabile all'Etiopia, ad una parola data e ad un impegno assunto verso la Società delle Nazioni.

Se poi la nostra iniziativa avesse il più limitato scopo di far cadere le altre norme del trattato esclusa quella dell'art. 5 che prevede la conciliazione e l'arhltrato non mancherebbero certamente gli appunti di carattere politico. Ve ne sarebbero probabilmente anche altri di carattere giuridico, ma non incontrovertibili.

(l) A fianco di ciascuno dei quattro punti c'è l'annotazione: « Sì.M. ».

299

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 956/90 R. (1). Roma, 29 maggio 1935, ore 14.

Comunichi al Cancelliere che mia prima impressione del suo discorso è ottima e ritengo che tale sarà j_mpressione in altri Paesi. Mi riservo di leggere il testo integrale non appena mi sarà giunto (2).

300

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO

T. 958/46 R. Roma, 29 maggio 1935, ore 16.

Attendo un rapporto anche telegrafico sulla visita di Goering. Qui si ha impressione che Governo bulgaro abbia oltrepassato quelli che dovevano essere i limiti dell'ospitalità. Trovi modo di farlo sapere (3).

(l) -Minuta autografa. (2) -Per la risposta di Preziosi vedi D. 303. (3) -Per la risposta vedi D. 311.
301

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA

T. 959/58 R. (1). Roma, 29 maggio 1935, ore 15,30.

Faccia sapere che io seguo e seguirò con particolare attenzione atteggiamento stampa jugoslava di fronte questione italo-etiopica.

302

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A STOCCOLMA, PATERNO'

T. 960/18 R. (1). Roma, 29 maggio 1935, ore 16,30.

Chieda urgentemente al Governo svedese se sia in corso un negoziato politico col Governo abissino e anzi imminente la firma di un trattato politico. Domandi anche di quale carattere sarebbe tale trattato. La notizia ci giunge da Addis Abeba ed è tale da gettare un'altra nube sui rapporti italo-svedesi (2).

303

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2902/118 R. Vienna, 29 maggio 1935, ore 21,30 (per. ore 3 del 30).

Telegramma di V. E. n. 90 (3).

Cancelliere, cui ho comunicato messaggio di V. E., mi ha pregato di rappresentarLe sua vd.vissima soddisfazione per lusinghiero apprezzamento, che lo riempiva di gioia.

Cancelliere si è poi dilungato, come già aveva fatto iersera, sui tentativi compiuti dal Papen per dissuaderlo dal tenere discorso o almeno per attenuare sue impressioni circa alcune dichiarazioni fatte da Hitler; fra l'altro ministro di Germania aveva sostenuto che i passaggi relativi «ai Governi arbitrari e di pura forza~ si riferivano non già all'Austria ma esclusivamente ai Sovlieti.

(l) -Minuta autografa. (2) -PeT la risposta vedi D. 309. (3) -Vedi D. 299.
304

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, GEISSER CELESIA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2901/106 R. Madrid, 29 maggio 1935, ore 22,15 (per. ore 3 del 30).

Ringrazio l'E. V. Suo telegramma n. 56 (1). Ho avuto occasione significare a questo Ministero degli Affari Esteri apprezzamento del R. Governo, che riuscì particolarmente gradito al signor Rocha.

Questi mi ha pregato riferire che, mentre Governo spagnuolo è alieno dal fare pubbliche dichiarazioni, voleva assicurare V. E. che, per accordo unanime Consiglio dei Ministri, esso impedirà nel modo più assoluto qualsiasi fornitura ad Abissinia.

A tale riguardo, oltre a misure già disposte, Ministro della Guerra Gil Robles, che avevo opportunamente fatto avvicinare da deputato amico, ha sottoposto Consiglio dei Ministri progetto d'indole generale per controllare più severamente vendita di armi e munizioni.

In via privata poi ho detto a Goicoechea ciò che ebbi ordine di far noto ed egli mi ha pregato di comunicare quanto fosse sensibile al gentile pensiero. In proposito mi ha detto che Ministro Rocha lo aveva fatto chiamare per pregarlo a nome del Governo di non insistere nella interpellanza in merito alla quale gli ripeterono le assicurazioni già a me antecedentemente fornite.

Deputato Goicoechea confermò l'impressione da me riportata che l'avversione a dare pubblicità all'interpellanza, era dovuta a timore che partito di sinistra potesse creare difficoltà in merito all'applicazione delle misure decise verso l'Abissinia e che questo Governo si era fermamente proposto appli.care con energia.

305

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRitRE 2962/021 R. Budapest, 29 maggio 1935 (per. il 1° giugno).

Mie Stefani nn. 5342, 5475, 5490, 5590 {2).

Mi onoro qui di seguito riiassumere a V. E. quanto riferitomi stamane da questo Presidente del Consiglio circa le sue conversazioni con il Generale Goering.

Goering ha mosso carico a Goemboes di subire troppo la influenza di Roma, Goemboes gli ha risposto che la sua devozione al Duce è confortata da benefici reali.

Goemboes ha detto a Goering che, dopo la dichiarazione del Duce nel discorso alla Camera in merito ai rapporti italo-germanici, egli, Goemboes, se fosse uomo di Stato tedesco, adopererebbesi a liquidare definitivamente la sola

questione che separa due Paesi mediante una dichiarazione più categorica, chiara ed esplicita in merito all'Austria che non quella di Hitler il quale, parlando del diritto di autodecisione, ha inficiato quanto affermato, nello stesso discorso, circa l'indipendenza dell'Austria.

Goering ha spezzato una lancia per un avvicinamento ungaro-jugoslavo; Goemboes gli ha risposto che non era alieno dal considerarne la possibilità, tanto più che avrebbe corrisposto anche alle intenzioni di Roma, sia pure per motivi del tutto diversi. Se la Jugoslavia fosse disposta a concedere una rettifica di frontiera (il noto triangolo tra Sava e Drava e il confine lungo il Danubio eccettuata la testa di ponte di Belgrado), egli, Goemboes, non avrebbe difficoltà alcuna ad accordarsi. La Germania, avrebbe detto Goemboes a Goering, sopravvaluta l'importanza militare della Jugoslavia in confronto all'Ungheria, al contrario di quanto fa il Duce: tenesse presente Goering che la Jugoslavia era un conglomerato di stirpi discordi, che il 51% dell'esercito ch'essa avrebbe potuto mobilitare sarebbe costituito di allogeni; considerasse che in realtà d. fronte a dodici milioni di ungheresi si trovano solo sei milioni di serbi.

Con la Bulgaria -ove si reca da qui -è intenzione di Goering di «ravvivare i rapporti di cameratismo militare ». Con la Romania, Goemboes esclude Goering pensi a svolgere una seria azione di riavvicinamento, soprattutto perché Goering considera di assai scarso valore l'efficienza militare romena.

Concludendo Goemboes mi dice «in gran confidenza » che, sebbene Goering «sia grande amico del Fiihrer », egli, Goemboes, non è riuscito a capire fino a che punto parli in suo nome e ne impegni la responsabilità.

Chiedo al Presidente se gli sia stato rinnovato l'invito a recarsi in Germania. Mi risponde che si: anche Goering lo ha invitato; invito seducente, perché in relazione ad una caccia alle alci nella proprietà di Goering. Ha risposto tuttavia non poter prendere impegni; chi può sapere quello che potrà fare e quello che gli converrà di fare a settembre?

Mi riserbo di tornare sull'argomento 0).

(l) -Vedi D. 280. (2) -Non si pubblicano.
306

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 29 maggio 1935.

L'Ambasciatore di Germania ha trovato a Berlino un ambiente migliore nei nostri riguardi. Ha visto anche con soddisfazione che il discorso del Ftihrer ha avuto una favorevole ripercussione in Italia. Egli deve fare due comunicazioni:

l) la Germania è stata invitata dalla Gran Bretagna a fare un progetto di patto aereo. Questo progetto è pronto e sarà comunicato agli inglesi i quali

poi lo trasmetteranno alle altre Potenze interessate. Secondo tale progetto si prevede un patto collettivo fra Gran Bretagna Francia, Italia, Germania e Belgio. A quanto egli sa non viene fatta menzione della situazione particolare esistente fra l'Italia e la Gran Bretagna.

2) Il Governo di Berlino ha molti dubbi sull'applicabilità secondo Locarno del nuovo patto franco-russo. A tale riguardo è stata redatta una memoria che l'Ambasciatore mi consegna e che viene allegata (1).

Il signor von Hassell aggiunge che non è nelle intenzioni della Germania di diminuire l'importanza di Locarno, anzi la Germania tiene in modo particolare che il patto di Locarno mantenga il suo pieno vigore.

L'Ambasciatore mi chiede poi se nelle conversazioni con Denain a Roma si sia studiato un patto bilaterale itala-francese.

Gli rispondo che non lo credo; che però non sapevo esattamente di che cosa si fosse discusso col Ministro Denain. Ad ogni modo oggi la tendenza inglese è quella di fare un patto collettivo di modo che la questione dei patti bilaterali verrebbe per il momento accantonata.

A proposito del patto di non ingerenza, l'Ambasciatore mi dice che la Germania non sarebbe disposta a ripetere la dichiarazione fatta a Stresa per il patto orientale. La Germania per ora non risponderà alle osservazioni fatte da parte italiana e francese (2). Ritiene la questione almeno per il momento superata. La Germania attende che dopo le conversazioni in corso la si metta al corrente del modo come si prospetta la situazione.

Informo il signor von Hassell che noi abbiamo fatto uno sforzo nei riguardi dell'Austria e dell'Ungheria; riteniamo che ci siano gli elementi per un accordo. Ora attendiamo informazioni da parte francese sulle conversazioni avute coi rappresentanti della Piccola Intesa.

Faccio all'Ambasciatore tutte le rimostranze per il contegno della stampa tedesca che continua ad attaccare l'Italia ad onta degli accordi presi temr~o addietro per un armistizio. Noi lo abbiamo mantenuto ma la Germania no. Questi attacchi si riferiscono in modo particolare alla nostra azione nell'Africa Orientale.

Documento tale mia affermazione con alcuni giornali che consegno all'Ambasciatore.

Il signor von Hassell si dichiara molto dispiacente di ciò. Se ne è preoccupato moltissimo durante la sua permanenza a Berlino; anzi può dirmi che venerdì scorso, 24 maggio, Goebbels ha chiamato tutti ì rappresentanti della stampa tedesca a Berlino e in sua presenza ha dato gli ordini più severi di cessare ogni campagna contro l'Italia e, in particolar modo, contro l'azione dell'Africa Orientale. Dato il tono di questi ordini precisi e categorici di Goebbels, l'Ambasciatore non dubita che gli attacchi abbiano a cessare completamente.

(l) Vedi DD. 479, 557 e 619.

(l) -Non pubblicata: è in Documents on German Foretgn Policy, 1918-1945, vol. IV, clt., D. 107. (2) -Vedi serle settima, vol. XVI, DD. 667 e 700.
307

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 29 maggio 1935.

Lo stato attuale della questione italo-etiopica è il seguente: colla deliberazione di Ginevra, mentre da un lato si è confermato il Trattato e ammessi i termini richiesti dal Consiglio della Società delle Nazioni, dall'altro si è sostanzialmente conseguita la possibilità di protrarre i lavori degli arbitri fò.no al 25 di agosto e si è guadagnato così altrettanto tempo per la preparazione militare.

Se tuttavia si ritenesse da parte nostra opportuno per altri motivi di dichiarare decaduto il Trattato italo-etiopico del 1928, sarebbe da tener presente che una tale dichiarazione, non avendo giustificazioni d'ordine giuridico, dovrebbe essere motivata da qualche nuova circostanza di fatto che, nel caso, occorrerebbe provocare.

Un atto unilaterale da parte nostra immediatamente dopo l'accettazione delle deliberazioni ginevrine, se non fosse così giustificato, oltre a determinare una forte reazione da parte degli altri Governi, provocherebbe senza dubbio una convocazione straordinaria del Consiglio della Società delle Nazioni. Sarebbe anche da considerare il grado di preparazione militare da noi raggiunto nelle Colonie.

Il fatto nuovo potrebbe essere determinato da un incidente di frontiera di un certo rilievo, incidente che d'altronde è indispensabile per mantenere lo stato di tensione che giustifichi l'intensificarsi dei preparativi militari da parte nostra.

308.

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2934/171 R. Shanghai, 30 maggio 1935, ore 10,30 (per. ore 1,45 del 31).

Mio telegramma n. 170 (1).

Situazione nella Cina del Nord continua a presentare elementi di incertezza giacché comando Giappone dopo avere annientato gli irregolari cinesi cerca pretesto per mantenere desta necessità di ulteriori azioni e di un allargamento della zona demilitarizzata.

Rappresentanti dell'Armata giapponese hanno formulato alle autorità di Pechino rimostranze ufficiali circa gli «intrighi » Cina contro Giappone, avvertendo che, se tali intrighi continueranno, Giappone sarà costretto a mante

25 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. I

nere truppe al Sud della Grande Muraglia e forse a includere Pechino e Tientsin nella zona demilitarizzata.

Tra i cosidetti intrighi protesta Giappone cita l'aiuto dato dalle Autorità cinesi agli irregolari e gli atti di violenza compiuti a Tientsin contro giornali fautori del riavvicinamento con Giappone, due dei quali videro un mese fa i loro direttori cadere nello stesso giorno sotto i colpi di presunte organizzazioni anti-giapponesi.

Armata giapponese ha diramato comunicato ufficiale che, dopo avere esposto quanto precede, avverte che responsabilità di ogni ulteriore azione che truppe giapponesi dovranno iniziare per garantire propria sicurezza cadrà sulle spalle delle autorità cinesi.

(l) Vedi D. 290.

309

IL MINISTRO A STOCCOLMA, PATERNÒ, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2918/40 R. Stoccolma, 30 maggio 1935, ore 15,05 (per. ore 18,30).

Telegramma di V. E. n. 18 (1). Nessun trattato politico è stato mai fino ad ora preso in considerazione fra la Svezia e l'Etiopia.

Esiste invece un progetto di convenzione commerciale identico per Persia, Iraq e Abissinia estensibile anche ad altri Paesi Oriente, offerto dalla Missione presieduta dal Principe Ereditario, compiutasi scorso anno e in occasione visite Missione stessa.

Tale convenzione, non ancora firmata, contempla regolamento doganale pochissime voci interessanti commercio fra Svezia e detti Paesi e clausola Nazione più favorita (2).

Nessun accenno politico, soltanto constatazione e desiderio pacifici rapporti nel preambolo, redatto nei consueti tradizionali termini.

Oltre confermarmi quanto precede mi è stato espressamente dichiarato che la Svezia non (dico non) considera neppure in linea di possibilità lo stabilimento di intese di natura politica con l'Etiopia.

Mi è stato aggiunto nella circostanza che si spera molto nel ritorno del Generale Virgin, la cui presenza in Abissinia è dal Governo svedese tutt'altro che desiderata.

Ho approfittato della circostanza per insistere nella incompatibilità delle funzioni del Virgin sopra tutto in caso ili conflitto. Segretario Generale Affari Esteri, col quale ho anche parlato, mi ha da parte sua aggiunto che spera sistemare pure le cose con gli ufficiali istruttori.

(l) -Vedi D. 302. (2) -Vedi D. 613.
310

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 957/171 R. Roma, 30 maggio 1935, ore 17,30.

Telegramma di V. E. n. 345 (l).

Le dichiarazioni fatte da Eden delegato dal Ministro degli Esteri ai Comuni circa le discussioni avvenutè al Consiglio della Società delle Nazioni il 27 corrente non corrispondono al significato della deliberazione resa secondo è stata ed è intesa dal Governo italiano.

Il Governo italiano non ammette e non ha mai ammesso che, come ha detto il signor Eden, gli arbitri «possano prendere in esame tutte le circostanze rilevanti rispetto alle divergenze fra l'Italia e l'Etiopia ». Gli arbitri possono prendere solamente in esame « le circostanze di fatto dell'avvenimento di Ual-Ual del 5 e 6 dicembre 1934 e le responsabilità che ne derivano», secondo è detto testualmente nella Nota etiopica indirizzata alla R. Legazione in Addis Abeba il 16 maggio, nonché gli incidenti, già verificatisi successivamente a quello di Ual-Ual, alla frontiera itala-etiopica. Il Governo italiano non accetta e non ha mai accettato che la questione della frontiera sia comunque portata dinanzi agli arbitri. Non si tratta, come ha detto il signor Eden, che «l'effettiva delimitazione della frontiera sul terreno non sarà compresa nel compito degli arbitri». Tutte le questioni relative alla frontiera e non la sola delimitazione di essa sul terreno esulano assolutamente dalla competenza degli arbitri.

Il Governo italiano solo in questi limiti, in conformità delle intenzioni da esso manifestate e della deliberazione presa, ha ammesso e ammette che i suoi arbitri partecipino alla Commissione di conciliazione. Senza questa precisazione, non vi sarà riunione di sorta.

Prego V. E. prospettare quanto sopra a codesto Governo invitandolo chiarire equivoco ingenerato dalle dichiarazioni di Eden (2).

311.

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2921/64-65 R. Sofia, 30 maggio 1935, ore 21,40 (per. ore 23).

Telegramma di V. E. n. 46 (3). Sulla visita di Goering mi riservavo di riferire col prossimo corriere anche per aver modo raccogliere maggiori elementi giudizio: fidato informatore mi

ha anche promesso per domani indiscrezioni di fonte vicina Legazione di Germania.

Ho intanto profittato stamane stessa di un colloquio, già fissato da due giorni, con Ministro degli Affari Esterj_ per metterlo al corrente della impressione suscitata a Roma se non altro dalle modalità esteriori in cui visita si è svolta.

Ministro ha reagito vivacemente ripetendo quanto da giorni lui fino alla sazietà solennemente ripetè a colleghi e giornalisti, sul carattere privato della visita, sulla assoluta assenza di colloqui politici, sull'impossibilità di trovare una cortese scusa per evitarla, protestando che non soltanto Governo ma anche Sua Maestà ne avrebbe fatto volentieri a meno.

Io ho l'impressione che elementi civili responsabili del Governo siano sinceri in questa affermazione e giudizio, ma che ambienti militari ed anche Sua Maestà non abbiano saputo evitare intimi sentimenti non affiorassero in questa occasione.

Sarebbe stato difficile in una visita ufficiale festeggiare maggiormente l'ospite che, a parte pranzi con discorsi, ha avuto tutto: due Ministri all'arrivo, Sua Maestà e tutta l'alta ufficialità bulgara alla partenza con scorta d'onore di aeroplani militari.

E nei due giorni di permanenza, contatto continuo con S. M., scusato dalla presenza nel seguito del Principe d'Assia, che ha fatto sì che Goering avrebbe profittato «indegnamente» di tutte le cortesie che il Sovrano ha voluto usare al cognato.

La stampa, che è severamente controllata, si è limitata a dare la cronaca della visita (e anche questa non completa perché ha taciuto di una gita di sei ore che nel pomeriggio del lunedì diede modo al Sovrano di appartarsi col cognato e Goering, uomini politici responsabili bulgari esclusi) salutando in Goering eroico aviatore di guerra.

Popolazione della Capitale piuttosto indifferente: a parte una scarsa ala di curiosi che ha stazionato davanti all'albergo nessuna manifestazione di giubilo o plauso. Mi si è fatto rilevare che ben diverso fu lo spettacolo di festa ed entusiasmo che provocò a Sofia visita di Goemboes e Kanya.

Tornerò a riferire più ampiamente col corriere di dopodomani (l) e se occorrerà telegraficamente (2).

Aggiungo che Ministro degli Affari Esteri mi ha pregato di cercare dissipare presso V. E. qualsiasi sfavorevole impressione: troppo tristi e recenti sono ricordi di quanto è costata alla Bulgaria l'avventura tedesca perché si possa anche lontanamente supporre che vi sia un Governo bulgaro che voglia preparare terreno per una ripetizione, ed ha anche fatto questa insinuazione: non è a Sofia che si debbono seguire i possibili maneggi di Goering ma piuttosto a Belgrado e a Budapest.

(l) -Con T. 2861/345 R. del 28 maggio 1935, ore 12,05, Grandi aveva riferito le dichiarazioni di Eden ai Comuni sulle discussioni e risoluzioni del Consiglio della S.d.N. in merito alla vertenza italo-etiopica. (2) -Con T. 3005/362 R. del 3 giugno 1935, ore 18,44, Grandi rispose: «A scanso possibll! equivoci da parte di questo Governo ho creduto opportuno comunicare per iscritto al Foreign Office contenuto telegramma n. 171 ». (3) -Vedi D. 300. (l) -Con il telespr. 2718/65 del 31 maggio 1935 Sapuppo riferiva in dettaglio circa la visita di Goering a Sofia confermando, da un lato, il carattere privato e propagandisticodella stessa e, dall'altro, l'atteggiamento di simpatia del Re e degli ambienti militari bulgari. (2) -Con successivo T. 3048/69 R. del 5 giugno 1935, ore 14, Sapuppo comunicava: «Durante il suo soggiorno a Sofia Goering avrebbe espresso in presenza diverse persone suo rammarico per attuale tensione italo-tedesca. Circola anche voce, meno precisa e difficilmente controllabile, che Goering avrebbe detto a Re Boris che presto si sarebbe verificato un notevole riavvicinamento italo-tedesco ».
312

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI

T. 975/371 R. Roma, 30 maggio 1935, ore 23.

Prego V. S. di voler rispondere alla nota etiopica n. 35 (l) nei seguenti termini, salvo osservazioni da parte della S. V.:

«l) Governo italiano, sia per dare una nuova prova del suo desiderio di giungere alla costituzione della Commissione di conciliazione e d'arbitrato, sia·per non creare al Governo etiopico l'imbarazzo di una scelta molto difficile, ha rinunciato all'eccezione sollevata circa la nazionalità degli arbitri scelti dal Governo etiopico, pur continuando a ritenere che in base alle note scambiate il 3-4 agosto 1928 i due arbitri di parte etiopica avrebbero dovuto essere sudditi etiopici.

2) Governo italiano conferma quanto ha già provveduto a far verbalmente comunicare al Governo etiopico il 16 maggio; che cioè i membri della Commissione scelti dal Governo italiano sono: l) S. E. il Conte Luigi Aldrovandi Marescotti, Ambasciatore di S. M.; 2) il Gr. Uff. Raffaele Montagna, Consigliere di Stato.

3) Governo italiano prende atto che il Governo etiopico ha espressamente dichiarato di accettare di sottomettere all'esame della Commissione "le circostanze di fatto dell'avvenimento di Ual-Ua~ del 5-6 dicembre 1934 e le responsabilità che ne derivano". Gli incidenti già verificatisi alla frontiera itala-etiopica dopo il 5 dicembre 1934 saranno esaminati dalla stessa Commissione.

4) Quanto è indicato al punto 3) definisce il mandato della Commissione (2). 5) I due Governi sono d'accordo perché sia lasciato ai quattro arbitri di determinare di comune intesa la sede ove svolgere i loro lavori. 6) I due Governi sono d'accordo perché sia lasciato ai quattro arbitri di determinare di comune intesa la procedura dei loro lavori» (3).

313.

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma, 30 maggio 1935.

Sir Eric Drummond mi intrattiene sulla questione del Patto aereo. La Germania ha presentato alla Gran Bretagna un progetto facendo sapere che

lo stesso potrebbe essere comunicato anche agli altri paesi interessati al patto in parola. La Gran Bretagna ha preso nota del progetto ma ha risposto alla Germania che preferiva che la comunicazione a Italia, Francia e Belgio, fosse fatta direttamente dal Governo tedesco. Si è ancora in' attesa di una risposta. Pare che il Governo tedesco faccia delle difficoltà perché non è stato edotto direttamente del progetto francese di patto aereo.

L'Ambasciatore mi chiede poi sullo stadio attuale del Patto di non ingerenza.

Lo metto al corrente della fase attuale, facendogli presente che noi siamo in attesa di una risposta da parte della Francia. Ad ogni modo è probabile che il patto non possa essere conchiuso così presto.

Sir Eric Drummond mi fa un accenno alla campagna di stampa tra i nostri Paesi. Dice che egli non può che deplorare che queste polemiche siano sorte, ma si rende conto come queste cose avvengano. Chiede soltanto se sia possibile evitare gli attacchi personali.

G1i rispondo che credevo di poter assicurare che attacchi personali nòn si sarebbero più fatti. Richiamo la sua attenzione sul tono provocatorio della stampa inglese che ha provocato nella nostra una legittima reazione.

Gli faccio presente che il trionfino decretato a Eden pareva molto fuori di luogo.

L'Ambasciatore pare consentire con queste mie osservazioni.

Richiamo anche l'attenzione di Sir Eric Drummond sulla interpretazione data da Eden alla deliberazione di Ginevra, interpretazione che noi non abbiamo potuto accettare, per cui abbiamo dovuto protestare a Londra (1).

L'Ambasciatore difende l'assoluta buonafede di Eden senza entrare nel merito della interpretazione da lui data, che tuttavia trova degli appigli nello svolgimento della discussione di Ginevra.

Osservo che, a parte l'interpretazione, deve essere ben chiaro questo: che noi vogliamo discutere soltanto l'incidente di Ual-Ual, e gli altri connessi, senza entrare nella discussione sui trattati di frontiera. In altre parole gli arbitri dovranno giudicare se noi siamo stati attaccati o no a Ual-Ual, ma non dovranno discutere se a Ual-Ual noi ci eravamo a ragione o a torto.

L'Ambasciatore, al momento di congedarsi, mi dice che egli assisteva con profonda tristezza a quanto sta avvenendo tra Italia e Gran Bretagna. Egli si rende conto anche delle nostre ragioni e sta pensando continuamente (mi ha detto che vi dedica un'ora al giorno) alla possibilità di una soluzione. Egli riflette anche alla possibilità che noi ottenessimo in Etiopia una posizione simile a quella che la Gran Bretagna ha in Egitto, ma non vede il modo come si possa arrivare pacificamente ad una tale soluzione. Dice pacificamente perché il Capo del Governo gli ha detto che egli preferirebbe ottenere quanto desidera in via pacifica (2).

Osservo all'Ambasciatore che la soluzione è certamente difficile. Come egli sa noi intendiamo andare fino in fondo e non accontentarci di mezze misure. Va rilevato però che una delle difficoltà, e nel momento attuale forse

la maggiore, è determinata dall'aiuto morale, almeno apparente, che l'Inghilterra dà all'Etiopia. Il Negus confida sull'aiuto della Gran Bretagna e, attraverso questa, su quello della Società delle Nazioni e quindi assume un atteggiamento di intransigenza senza rendersi conto delle conseguenze a cui andrà incontro.

Sir Eric Drummond mi chiede se io penso che la Gran Bretagna e la Francia (quando fosse ben chiaro che nessuna solidarietà la Gran Bretagna vuoi dare all'Etiopia) potrebbero riuscire a persuadere il Negus ad accettare una posizione di sottomissione all'Italia.

Gli rispondo che francamente non Io credo. Le armi della convinzione non sono sufficienti. Penso però che se la Gran Bretagna assumesse un atteggiamento decisamente favorevole all'Italia nella sua impresa nell'Africa Orientale; se l'azione sul Negus fatta da Francia e Gran Bretagna non turbasse per niente la nostra azione, che, ripeto, è destinata ad andare fino in fondo, il Negus potrebbe riflettere più seriamente alla sua posizione. Devo aggiungere però che non mi pare facile, ad onta di tutto, che il Negus possa indursi ad accettare una situazione che risponda alle effettive esigenze della nostra sicurezza.

(l) -Vedi D. 244. (2) -Con successivo T. 983/376 R. del 31 maggio 1935, ore 12, Suvich aggiungeva al punto 4 la seguente frase: «Resta pertanto escluso che la Commissione possa comunque trattare qualsiasi questione attinente alle frontiere, e che possa perciò interpretare i trattati e accordi relativi alle frontiere». (3) -Con T. 2950/1097 R. del 31 maggio 1935, ore 21, Vinci assicurava di aver presentatoin data 1o giugno una nota redatta secondo le istruzioni contenute nel presente telegramma. (l) -Vedi D. 310. (2) -Vedi D. 253.
314

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 3245/985. Parigi, 30 maggio 1935.

Mi riferisco alla comunicazione telefonica fatta stamane all'Ufficio Gabinetto di V. E.

Il Quai d'Orsay mi ha informato stamane che il Governo britannico desidera dare domani, in sede di discussione alla Camera dei Comuni, una risposta alla richiesta contenuta nell'ultimo discorso del Cancelliere Hitler circa la concordanza del Trattato franco-sovietico col Patto di Locarno. Il Governo britannico volendo concordare le sue dichiarazioni col parere del Governo francese sulla questione, ha chiesto a quest'ultimo le opportune precisazioni. Il Quai d'Orsay, aderendo, ha inviato stamane a Londra l'appunto qui allegato e contemporaneamente ha tenuto a comunicarlo a questa R. Ambasciata, con i chiarimenti di cui sopra, per conoscenza dell'E. V.

Il Quai d'Orsay ha fatto presente che il Governo britannico farà domani le sue dichiarazioni ai Comuni senza accennare alla precauzione presa di chiedere queste precisazioni a Parigi.

Nella conversazione avuta al Quai d'Orsay mentre veniva rimesso l'appunto unito, mi è stato detto che il Governo tedesco pare stia facendo preparare uno studio dai propri giuristi sulla questione relativa ai rapporti tra il Trattato franco-sovietico ed il Patto di Locarno. Si attende il seguito che avrà avrà tale faccenda.

Come ho fatto sapere per telefono stamane, la sostanza della motivazione contenuta nell'appunto francese di cui è parola, travasi prospettata nei miei telegrammi n. 233 del 1° maggio (l) e 241-242 del 3 corr. (2).

ALLEGATO

IL MINISTERO DEGLI ESTERI FRANCESE ALL'AMBASCIATA D'ITALIA A PARIGI

PROMEMORIA. Parigi, 29 maggio 1935.

Dans la négociation du Traité franco-soviétique d'assistance mutuelle, le Gouvernement français a apporté le plus grand soin à éviter toute contradiction entre cet Acte et !es accords de Locarno dont il est signataire. Il estime avoir à cet égard satisfait en tous points à une condition qu'il jugeait essentielle à la conclusion de ce traité.

Les cas dans lesquels la France, en vertu du traité franco-soviétique, pourrait etre tenue de préter assistance à l'U.R.S.S. contre l'Allemagne, rentrent tous dans !es cas où, aux termes de l'article 2, paragraphe 2, numéros 2 et 3 dudit Traité, il est expressément stipulé que l'engagement réciproque pris par la France et l'Allemagne de ne pas recourir à la guerre ne s'applique pas:

-action en application de l'article 16 du Pacte de la Société des Nations; -action en raison d'une décision prise par l'Assemblée ou par le Conseil de la Société des Nations; -ou en application de l'article 15, alinéa 7, du Pacte de la Société des Nations pourvu que dans ce dernier cas cette action soit dil'ligée contre un Etat qui, le premier, s'est livré à une attaque.

Le traité franco-soviétique n'est pas seulement agencé de manière à éviter que la France n'y assume des obligations en contradiction avec !es obligations découlant pour elle des accords de Loca;rno. Par une précaution supplémentaire d'ordre général, le protocole de signature qui, devant étre compris dans !'échange des ratifications, a la méme force que le trai,té lui-méme, énonce l'intention commune des deux Gouvemements de ne contredire en rien les engagements précédemment assumés envers des Etats tiers par la France et par l'U.R.S.S.

Les précisions comp!émentaires contenues dans ce Protocole ont nettement déterminé le champ d'application dudit Traité par mpport aux engagements antérieurs.

Le premier paragraphe précise que l'obligation d'assistance en application de l'article 16 consisterait seulement dans l'obligation de se conformer immédiatement aux recommandations du Conseil de la Société des Nations aussit6t qu'elles auront été énoncées e:n vertu de cet article.

Dans le cas où le Conseil ne parviendrait pas à énoncer de recommandation ou n'arriverait pas à une vote unanime, !es Gouvernements signataires ont encore tenu à préciser !es conditions dans lesquelles ils pourraient se préter assistance. En ce cas, pour bien assurer la stricte co:nformité du TraJ,té franco-soviétique avec le Traité de Locarno, le 2•me paragraphe du protocole -qui s'applique d'ailleurs au cas de l'article 15 comme à celui de l'article 16 -précise que !es dispositions du nouveau traité «ne pourront pas recevoir une application qui, étant incompatible avec des ob!igations conventionnelles assumées par une Partie Contractante, expo

serait celle-ci à des sanctions de caractére international ». Cette prec1S1on se xéfère au traité général de Locarno. Il en résulte que si, dans l'application et contre toute attente, une obligation découlant du traité franco-soviétique apparaissait comrne étant en contradiction avec une obligation découlant pour la France du traité de Locarno, le traité de Locarno devrait prévaloir. Ainsi, dans le cas envisagé, pour pouvoir preter légitirnernent son assistance à l'U.R.S.S. contre l'Allernagne, il ne suffirait pas que le Gouvernernent français eut satisfait à toutes ses obligations résultant du Pacte de la S.d.N. il lui faudraàt encore étre assuré de la conformité de ses conclusions avec celles des Etats garants du Traité de Looarno.

(1) -Con T. 2334/233 R. del 1° maggio 1935, ore 19,05, Plgnatt! aveva sottolineato la volontà francese di rispettare gli impegni di Locarno. (2) -T. 2373/241-242 R. del 3 maggio 1935, ore 12, con !l quale Pignattl, segnalandol'avvenuta firma del Trattato franco-sovietico e del protocollo aggiunto, ne aveva comunicato il contenuto.
315

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. 980/132 R. Roma, 31 maggio 1935, ore 1,30.

Telegramma [n. 121] del 23 maggio u.s. (1).

Prego V.E. di voler intrattenere circa quanto contenuto nel telegramma sopracitato codesto Ministero Esteri, rappresentando che il R. Governo confida che, in considerazione dell'attuale stato di tensione dei rapporti italaabissini, codesto Governo non permetterà che arruolamenti per l'Etiopia, sia di cittadini tedeschi, che di cittadini stranieri, siano effettuati in territorio, tedesco, sia pure presso il Consolato abissino (2).

316

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 2951-2974-2975/1092-1093-1094 R. Addis Abeba, 31 maggio 1935, ore 21 (per. ore 17,40 del 1° giugno).

Telegramma di V. E. n. 365 (3).

Con mio telegramma n. 1071 (4) ho già segnalato le prime ripercussioni delle decisioni di Ginevra, che rispecchiano la situazione anche nei riguardi dell'atteggiamento dell'Inghilterra e della Francia.

Circa l'Inghilterra mi richiamo ai miei precedenti telegrammi e segnatamente al mio telegramma n. 311 del 23 febbraio scorso (5) e 789 del 4 aprile (6):

mentre confermo quanto in gennaio ebbi occasione di esporre all'E. V. a voce al Ministero, che cioè avremmo trovato la decisa risoluta opposizione anche materiale dell'Inghilterra, qualora ci fossimo decisi ad una azione.

Sir Sidney Barton ha a più riprese assicurato l'Imperatore che mai l'Inghilterra potrà permettere che l'Italia attenti all'integrità territoriale dell'Etiopia. Persona della Legazione d'Inghilterra disse giorni or sono a Morobelli che piuttosto di giungere ad un conflitto, sarebbe da suggerire all'Imperatore di cederci il Tigré (e basta, naturalmente). Né si tratta, come poteva supporre in principio la R. Ambasciata a Londra, di atteggiamento personale di Sir Sidney Barton; oltre a quanto ho già telegrafato, mi risulta in modo assolutamente sicuro che egli ha agito fin dall'inizio degli incidenti del dicembre scorso dietro precisi ordini del Foreign Office. In principio vi fu appoggio pieno dell'Inghilterra: Governo etiopico agisce dietro consiglio degli inglesi.

Dopo gli accordi franco-italiani di Roma, palese dispetto britannico. In marzo e prima di Stresa, un certo affievolimento nella attività filoetiopica del Ministro d'Inghilterra, ciò che diede anche a far temere agli etiopici di averne perduto valido sostegno. Ultimamente, di nuovo aperto appoggio britannico. Ben profitta l'Inghilterra delle pastoie ginevrine: mi richiamo a questo proposito al mio promemoria del 7 gennaio scorso (1).

Queste mie impressioni sono dedotte da dati sicuri e incontestabili; ritengo opportuno riferire anche delle semplici magari fantastiche voci che sono corse, quale che sia il valore che è loro applicabile:

l) Con mio telegramma n. 311 ho riferito circa dicerie su mandato o protettorato inglese sull'Etiopia: mi è stato poi ripetuto che Imperatore avrebbe nel marzo scorso sondato Ministro d'Inghilterra per conoscere se Gran Bretagna avrebbe accettato mandato sull'Etiopia: e Sir Sidney Barton, senza respingere idea, [avrebbe] risposto soltanto che: «Il momento era male scelto~. Voci su intenzione estrema dell'Imperatore di ricorrere al protettorato aveva già riferito in un mio promemor.Ia consegnato a Roma nel dicembre scorso.

2) Con mio telegramma n. 358 del 4 marzo avevo segnalato contemporanea presenza di agenti inglesi e dell'Imperatore, durante un suo viaggio per costruzione strada e ponti sul Ghibié e sui fiumi vicini: si sarebbe fatta qui correre la voce che in quella occasione sarebbero corse intese in vista di un eventuale concorso di truppe inglesi che, provenienti dalle vicine colonie, avrebbero avuto, con la nuova strada, possibilità, in accordo con l'Imperatore, di raggiungere e proteggere la Capitale.

3) Malgrado le smentite ufficiali, esistono tuttavia preparativi militari britannici nel Sudan e nel Kenya: ciò è, da alcune voci, messo in relazione con missione militare che eventualmente l'Inghilterra prenderebbe a protezione della zona del lago Tzana.

4) Secondo mie informazioni depositi scaglionati da Cartum a Cambela: si dice che Inglesi potrebbero all'occorrenza profittare delle strade recentemente costruite per le miniere Prasso.

5) Si racconta ancora che Inghilterra avrebbe avuto concessioni importanti nella zona dello Tzana: e precisamente una zona di protezione di cinquanta chilometri per ciascun lato del Lago fino alla frontiera sudanese. Dal suo canto Inghilterra offrirebbe all'Etiopia proteggere ritiro diplomatico e il porto franco a Zeila. Si dice altresì che di notte materiale da guerra entrerebbe in Etiopia dal Sudan.

Ripeto. Confermo quanto è frutto di ponderato esame e di dati indubbi, riferisco queste voci a semplice titolo di segnalazione.

Circa la Francia, mi riferisco al rrUO telegramma n. 312 del 23 febbraio scorso (l) in cui esprimevo miei dubbi, dato speciale suo atteggiamento per aggressione Dichil e fatto che Imperatore, pochi giorni dopo gli accordi di Roma, chiamò col Ministro d'Inghilterra anche il Ministro di Francia Ghebi in seguito incidenti di Gherlogubi. Più tardi, le dichiarazioni di Lavai al Senato il 26 marzo sono state qui abilmente sfruttate. Il Courrier d'Ethiopie non ha perduto occasione di pubblicare notizie di ispirazione etiopica per cui non ho mancato di richiamare amichevolmente attenzione del signor Bodard che ha subito provveduto. Ho già nel mio telegramma n. 107 fatto notare il crescente riserbo del mio collega francese e la sua più stretta unione con l'inglese. La Francia sarà ben contenta di apparire ora a rimorchio dell'Inghilterra per tagliare la strada qui.

Per quelle deduzioni che V. E. potrà ricavarne, noto d'altra paPte che l'unica prova di collaborazione datami dal Ministro di Francia fu quella di segnalarmi (mio telegramma n. 790) (2) l'attività del nuovo Ministro di Germania.

(l) -Vedi D. 231, nota l. (2) -Poc la risposta vedi D. 320. (3) -Con il T.s. 955/365 R. del 28 maggio 1935, ore 24, Suvich forniva a Vinci notizie aggiornate sulla situazione dei rapporti italo-etiopici a seguito delle risoluzioni approvate dal Consiglio della S.d.N. il 25 ma-ggio 1935. Il testo delle istruzioni è ed. in Il conflitto itala-etiopico, Documenti, vol. l, cit., pp. 225-230. (4) -Con il T. 2897/1071 R. del 29 maggio 1935, ore 16, Vinci rifer.iva circa l'atteggiamen.to di soddisfazione ostentato negli ambienti etiopici ed inglesi per le risoluzioni adottate a Ginevra. (5) -Vedi serie settima, vol. XVI, D. 644. (6) -Non pubblicato.

(l) Vedi serie settima, vol. XVI, D. 404.

317

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'INCARICATO D'AFFARI A TIRANA, LA TERZA

T. 987/60 R. Roma, 31 maggio 1935, ore 24.

Suo 54 (3).

Sarebbe stata desiderabile smentita più comprensiva; ma non è il caso che EiJa faccia passi al riguardo. Presentandosene occasione, potrà lasciar tuttavia comprendere come comunicato non sia considerato soddisfacente. Esso non (dico non) sarà riportato da stampa italiana.

(l) -Vedi serle settima, vol. XVI, D. 645. (2) -T. 2258/790 R. del 24 a.prlle 1935, ore 21, non pubblicato. (3) -Vedi D. 264.
318

IL REGGENTE L'UFFICIO II DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI, COSMELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 31 maggio 1935.

Nel corso di una conversazione avuta con il Ministro d'Austria Signor Voll

gruber, egli ha fatto notare che la stampa italiana, pur dando rilievo al discorso , del Cancelliere, ha fatto un riassunto forse troppo sommario di tutta la parte del discorso concernente le relazioni con la Germania in polemica con la propa

ganda nazista e con il discorso del Cancelliere Hitler.

Egli ha rilevato tra l'altro che le affermazioni fatte dal Cancelliere Schu

schnigg circa la posizione dell'Austria e della Prussia nel '66 rispetto alla Con

federazione germanica e al Deutschtum sono di dmportanza fondamentale.

Nel corso della stessa conversazione il Ministro d'Austria ha poi fatto al

tre osservazioni circa la fase attuale dei rapporti dell'Italia con la Germania

ed ha insistito perché da parte italiana si perseveri nella politica di sostegno

dell'attuale situazione in Austria e si eviti qualsiasi atto che possa comunque

infirmare la posizione del Cancelliere Schuschnigg (1).

319

IL MINISTRO A KAUNAS, AMADORI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2963/51 R. Kaunas, 1° giugno 1935, ore 12,08 (per. ore 15,15).

Nel suo discorso di ieri sera al circolo Ufficiali questo Ministro degli Affari Esteri ha esposto seguenti punti fondamentali politica estera Lituania:

l) fedeltà a Lega delle Nazioni in cui risiede sicurezza per pace e giustizia. Assenza Germania e Giappone è compensata dai trattati regionali di sicurezza, tra cui Intesa baltica;

2) Lituania desidera buone relazioni anche con Germania e deplora che il Governo tedesco escluda Lituania dal futuro sistema di sicurezza. Ma Lituania non resterà isolata perchè pace è indivisibile e guerra non localizzabile. Tre Stati baltici del resto saranno contro l'esclusione di uno di essi dal sistema eventuale di sicurezza;

3) Germania non ha base reale per giustificare sue accuse contro Lituania per Memel. Nessuna istituzione internazionale ha infatti finora dichiarato illegale l'azione Lituania. Lituania non combatte germanesimo, ma si oppone ad azione sovversiva di chicchessia;

4) pressione ed azione internazionale Germania riguardo Lituania ispira alla Lituania inquietudini sui suoi obiettivi reali. All'uopo Cancelliere germanico ha espresso principi di pace e di non immistione che possono essere utili anche nei rapporti l:ituano-germanici;

5) obiettivi pace portano Lituania a desiderare anche la ricerca dei metodi di soluzione del suo conflitto con Polonia.

Discorso del Ministro degli Affari Esteri non aggiunge nulla di nuovo a nota posizione diplomatica lituana. Ma con precisione, misura e dignità per un piccolo Stato tiene ferme tutte le posizioni Lituania e risponde con onore e senza paura a Berlino.

Segue rapporto con testo discorso.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussollnl.

320

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2970/165 R. Berlino, 1° giugno 1935, ore 16 (per. ore 17,40).

Telegramma di V. E. n. 132 (1).

Ho intrattenuto von Bulow della questione degli arruolamenti per l'Etiopia da parte del Consolato dl Abissinia a Berlino. Egli mi ha detto risultare al Governo del Reich che domande di arruolamenti pervengono non soltanto da tedeschi e russi bianchi, ma anche da inglesi, francesi, belgi ecc. Si domandava anzi come mai domande stesse fossero inoltrate a Berlino, quando vi sono Legazioni di Abissinia a Londra e a Parigi. Console di Abissinia Steffen aveva dichiarato che non pensava menomamente ad arruolare militari per conto del Governo etiopico.

Von Bulow mi assicurò ad ogni modo che Governo del Reich non era disposto a tollerare che nel suo territorio venisse esercitato un ufficio di reclutamento per conto dell'Abissinia.

321

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 2985/1098 R. Addis Abeba, 1° giugno 1935, (per. ore 18,15 ore del 22 2). Decifri ella stessa. Telegramma di V. E. n. 363 (2).

Po,ichè v. E. me ne autorizza, mi permetto esporre seguenti considerazioni, con gli elementi in mio possesso.

l) Trattato del 1928 essendo registrato alla S.d.N., converrà esaminare se nostra dichiarazione unilaterale basata su inadempienze etiopiche, potrà essere portata dinanzi S.d.N. e quali conseguenze avere alla stregua delle norme del Patto.

2) È probabile che nostra dichiarazione provochi ricorso Etiopia a Ginevra, presumibilmente dietro consiglio e con appoggio inglese: almeno che V. E. non prevedesse altra possibilità.

3) Per evitare discussioni a Ginevra potrebbe forse convenire, a mio avvciso, di procedere alla dichiarazione poco prima di nostre misure estreme, che non so se sarebbero previste prima della fine della stagione delle piogge. In questa epoca sarebbe anche finita procedura arbitraggio che ha come termine 25 agosto.

4) Quanto alla portata internazionale del nostro atto e delle sue conseguenze, alla ripercussione politica specialmente nei riguardi Inghilterra e Francia, anche in relazione tripartito, V. E. potrà meglio giudicare nel quadro della situazione generale. Così pure agli effetti dell'opinione pubblica mondiale.

5) Riterrei dover escludere attacco etiopico come conseguenza nostra dichiarazione decadenza, pure occorrendo essere sempre pronti a qualsiasi eventualità.

Ove V. E. lo desiderasse sono pronto a fornire maggiori eventuali dettagli.

(l) -Vedi D. 315. (2) -Vedi D. 292.
322

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DEL BELGIO A ROMA, LIGNE

APPUNTO. Roma, to giugno 1935.

L'Ambasciatore de Ligne parte per congedo. Ha informazioni buone dal Belgio. Si segue l'opera di van Zeeland con fiducia. Si dice che sia un teorico, ma sta il fatto che ormai ha preso tutto in mano e che non si fa nulla senza la sua approvazione.

Parlandomi dell'Africa, mi dice che il Generale Pollet è rientrato e non sarà sostituito. Ripete che in caso di conflitto gli ufficiali belgi saranno ritirati.

323

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO D'UNGHERIA A ROMA, VILLANI

APPUNTO. Roma, 1° giugno 1935.

Il Ministro Villani viene dall'Albania. Ho trovato Re Zogu piuttosto male in salute. Ha parlato anche coi due medici viennesi che si trovano sul posto i quali considerano lo stato del Re piuttosto migliorato. Pare però si tratti di un carcinoma.

Nessuno gli ha parlato dell'Italia. Il nostro Ministro Indelli è però molto considerato. C'è poca simpatia per la Jugoslavia e invece una grande ammira~ zione per la Germania. Il Ministro tedesco è molto attivo e costituisce dappertutto dei nuclei fascisti chiamando a parteciparvi anche gli austriaci. Perciò l'Austria ha inviato in Albania il proprio Ministro ad Atene che vi è accreditato per cercare di fare la contromina a questa attività tedesca. Il Ministro di Francia gli ha detto che gli albanesi non avranno mai un soldo dalla Francia.

Il Barone Villani mi parla poi del viaggio di Goering, che gli pare finire piuttosto male. È stato a Budapest tre o quattro giorni senza essere stato per nulla invitato. Le accoglienze a Goering hanno mostrato un chiaro contrasto con quelle fatte a Mackensen, Mackensen è stato il liberatore della Transilvania ed è stato trattato molto male all'epoca del Ministero Karolyi che ha consegnato il Paese ai comunisti. Tanto Mackensen che suo figlio, l'attuale Ministro di Germania a Budapest, non dimostrano troppo entusiasmo per il nazionalsocialismo.

Il Ministro Villani si lagna poi dell'andamento delle trattative commerciali. I rappresentanti dell'Ungheria sono da dieci giorni a Roma e non hanno potuto ancora conoscere le proposte italiane.

Lo assicuro che mi occuperò della cosa per far marciare tali negoziati.

324

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

L. s. 4564. Roma, 1° giugno 1935.

Da fonte assolutamente sicura risulta che, durante l'ultima fase delle discussioni ginevrine sul conflitto italo-etiopico e successivamente, codesto Ambasciatore britannico ha espresso al suo Governo qualche preoccupazione sulle conseguenze che potrebbe avere per l'equilibrio delle forze in Europa un irrigidimento dell'Inghilterra nell'atteggiamento assunto di fronte alla politica italiana nell'Afnca Orientale.

Egli ha chiaramente accennato al desiderio del Ftihrer di migliorare i rapporti fra la Germania e l'Italia approfittando delle occasioni che possono essere offerte dagli sviluppi del conflitto italo-abissino, e al «rischio di un'intesa italo-tedesca conclusa alle spalle dell'Inghilterra» se questa ostacolerà troppo l'Italia.

Non è ancora possibile dire quale effetto abbia avuto sul Governo inglese questo avvertimento del suo Ambasciatore a Berlino. È certo però che non è andato perduto, perchè risulta che questo Ambasciatore d'Inghilterra, venutone a conoscenza, ne è rimasto impressionato ed ha manifestato le stesse preoccupazioni. C'è da attendersi quindi che l'argomento finisca con l'aver presa sul Governo di Londra e influire sul suo atteggiamento.

L' E. V. si è resa conto, dopo quanto Le ho detto, che, quale che possa essere lo sviluppo degli avvenimenti, è del maggiore interesse che le preoccupazioni espresse al riguardo dal signor Phipps vengano mantenute e possibilmente rafforzate.

Non sarà facile a V. E. entrare in argomento con lui, e certo non Le conviene prenderne l'iniziativa, ma se direttamente o indirettamente, approfittando delle occasioni che potessero presentarsi, pur con ogni cautela, Ella avesse modo di alimentare le sue preoccupazioni sulle possibili conseguenze di ordine europeo dell'opposizione inglese all'Italia nel problema abissino, o per lo meno non dargli motivo di rassicurare il suo Governo, ciò potrebbe essere di grande utilità ai nostri fini.

La prego di volermi accusare ricevuta della presente (l).

325.

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 1° giugno 1935.

A chiarimento del telegramma di S. E. l'Ambasciatore Pignatti n. 295 del 28 maggio u.s. (2), qui unito in copia, la Direzione Generale Affari Politici (Uff. !ID si onora di far presente all'E. V. che l'articolo l del Trattato italafrancese del 7 gennaio c.a. stabilisce, per quanto si riferisce alla Convenzione per la Tunisia, quanto segue: «Les situations et les droits d es Italiens et sujets coloniaux italiens en Tunisie et des Tunisiens en Italie seront réglés par une Convention spéciale, dont les bases sont fixées dans un Protocòle spécial en date de ce jour, et que les Hautes Parties Contractantes s'engagent à négocier dans le plus bref délai possible, de telle manière qu'elle entre en vigueur à la mème date que le présent Traité ».

È pertanto da considerarsi che lo scambio delle ratifiche degli accordi itala-francesi del 7 gennaio u.s. dovrà comprendere anche la Convenzione di stabilimento relativa alla Tunisia, Convenzione per la quale sono in corso studi; senza che però siano state ancora iniziati i relativi negoziati (3).

326.

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 991/77 R. (4). Roma, 2 giugno 1935, ore 23.

Per Sua conoscenza e perchè lo faccia sapere al Ministero Esteri, atteggiamento giornalisti magiari a Ginevra durante discussione vertenza italaetiopica è stato nettamente anti-fascista e anti-italiano (5).

(-3) Il presente documento reca il visto di Mussolini.
(l) -Per la risposta di Cerruti vedi D. 335. (2) -Vedi D. 291. (4) -M~nuta autografa. Lo stesso telegramma Mussolini fece inviare anche alla Legazione a Varsavia (T. 992/63 R.) per l'atteggiamento dei giornalisti polacchi. (5) -Per la risposta di Colonna vedi D. 333, per quella di Bastianini, D. 327.
327

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3012/79 R. Varsavia, 3 giugno 1935, ore 20,50 (per. ore 23,50).

Mio rapporto n. 469 del 21 maggio scorso (l) e mio telegramma odierno

n. 77 (2).

Beck stamane mi ha pregato di andare da lui e mi ha detto che dopo avere esaminato attentamente la notizia che a sua richiesta gli avevo fatto pervenire sulle conversazioni a tre di lunedì teneva a confermarmi che Polonia condivide punto di vista italiano e che pertanto non (dico non) aveva da fare nè osservazioni nè aggiunte. Mi ha quindi domandato a che punto fosse questione danubiana e a mia risposta che V. E. non (dico non) intendeva nè prestarsi a tentativi di sistemazioni affrettate che snaturerebbero progetto nè forzare i tempi, ha affermato essere d'accordo anche in questo e ritenere che dare impressione di non (dico non) avere troppa fretta può essere utile a smontare velleità di coloro che si ritengono indispensabili ad ogni progetto e pretendono far pagare alto prezzo loro condiscendenza.

Circa attitudine giornalisti polacchi a Ginevra di cui al telegramma di

V. E. n. 63 (2) Beck mi ha detto che nessun giornalista polacco degno di tale nome era a Ginevra per la riunione del mese passato e che perciò deve essersi trattato di corrispondenti senza alcuna autorità nè prestigio influenzati dall'ambiente locale che gli risulta essere poco favorevole all'Italia. Ha soggiunto che Polonia non (dico non) ha alcuna ragione per modificare sua attitudine amichevole verso l'Italia e che farà dare disposizioni alla stampa pur non (dico non) avendo rimarcato che questa sia orientata in senso a noi contrario e favorevole ad Etiopia.

L'ho messo allora succintamente al corrente della questione e del nostro desiderio di pace dal quale però non è disgiunta quella fermezza di cui un popolo civile deve dare prova dinanzi ostilità e provocazioni di un paese in istato di barbarie. Mi ha detto che nel caso in cui tale questione dovesse ritornare ancora a Ginevra gradirebbe che da parte nostra gli venissero forniti utili elementi (3).

328.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3039/0167 R. Berlino, 3 giugno 1935 (per. il 5).

Mi riferisco al telespresso n. 216911/C del 23 maggio u.s. (4) con il quale il R. Ministero ha trasmesso a questa R. Ambasciata il telespresso n. 1229/494, del 7 maggio u.s. (5), della R. Ambasciata in Angora.

26 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. I

Dato che il Ministro degli Affari Esteri di Turchia ha ritenuto utile attirare l'attenzione del nostro Ambasciatore sulla circostanza che l'opinione pubblica germanica dimostrava simpatia per il punto di vista turco nella questione degli Stretti, ho stimato opportuno chiedere ~n un primo tempo al barone von Neurath e successivamente al Segretario di Stato von BUlow nel corso delle mie ultime conversazioni, cosa effettivamente il Governo del Reich pensasse sull'argomento e se fossero già avvenuti scambi di idee in proposito tra Germania e Turchia.

Ambedue mi hanno dichiarato che l'importante questione non aveva fatto oggetto di alcuna conversazione a Berlino e tanto meno ad Angora. Mi è parso anzi di comprendere, nel mio colloquio con il barone von Neurath, che il Governo del Reich pur non essendosi presentato il quesito di assumere un preciso atteggiamento nella questione, non si sentirebbe di sostenere il punto di vista turco prima di aver compiuto un attento ed approfondito esame di tutti gli aspetti del problema. E ciò particolarmente per la circostanza che, dato lo stato attuale dei rapporti tra Germania ed U.R.S.S., il vivo interesse dimostrato dai Soviet per una soluzione della questione degli Stretti nel senso desiderato dalla Turchia è destinato a suscitare, senza dubbio, la diffidenza del Governo di Berlino.

329.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3041/0169 R. Berlino, 3 giugno 1935 (per. il 5).

Mio telegramma per corriere n. 160 del 28 maggio u.s. (l)

L'.Arnbasciatore d'Inghilterra mi ha informato che il barone von Neurath si era recato a Monaco, dove si trova il cancelliere del Reich, per riferirgli circa le domande di chiarimenti rivolte al Governo del Relch dal Governo britannico.

Da Monaco il Ministro degli Affari Esteri aveva telefonato al Segretario di Stato von Biìlow impartendogli istruzioni circa la risposta verbale da darsi a sir Bric Phipps relativamente ai quesiti posti.

Il signor von Biilow fece all'Ambasciatore d'Inghilterra una ddchiarazione pregiudiziale: gli disse cioè che le risposte tedesche avrebbero dovuto essere di natura generale dato che non si poteva chiedere al Governo del Reich di legarsi unilateralmente senza conoscere sino a quale punto gli altri Governi fossero disposti a farlo.

Entrando poi nel merito delle richieste, von Biilow dichiarò, riguardo alla prima domanda, che il ritorno della Germania nella Società delle Nazioni non può aver luogo sino a che il suo statuto internazionale implichi discriminazioni nei suoi riguardi. Queste dichiarazioni non verrebbero eliminate qualora lo Statuto della S.d.N. fosse separato dai Trattati di pace. Von Biilow

evitò di precisare in che cosa consistessero le discriminazioni suddette; accennò invece alla necessità di mutare lo spirito che si è creato a Ginevra e menzionò al riguardo la circostanza che, dal giorno in cui fu creata la S.d.N. sino ad oggi, i vari Stati che costituiscono la « clientela ~ della Francia hanno costantemente votato nel senso di quest'ultima Potenza, senza discutere.

Circa la seconda domanda la risposta fu che le dichiarazioni fatte da Hitler nel punto 2 del suo discorso (rispetto delle clausole territoriali del Trattato di Versailles) non si estendono alle altre parti del Trattato medesimo, alle quali non si riferiscono espressamente. Per quanto riguarda queste altre parti del Trattato Hitler dichiarò nel suo discorso, e faceva ripetere ora, che doveva essere mantenuta aperta la possibilità della loro revisione a mezzo di negoziati pacifici, qualora la revisione stessa apparisse necessaria in futuro.

Alla terza domanda (patto orientale) fu risposto ripetendo semplicemente quanto aveva detto a sir Eric Phipps il barone von Neurath, vale a dire che il Governo tedesco rimaneva in attesa delle comunicazioni che gli verrebbero fatte dai Governi francese e sovietico.

Sir ELic Phipps mi disse che, d'altra parte, il risentimento causato a Mosca dal discorso di Hitler non serviva certo a spingere il Governo sovietico a fare ulteriori proposte a Berlino circa il patto orientale. Egli riteneva peraltro utile influire sopra Litvinov perché, d'accordo con la Francia, compisse il passo che era stato annunciato alla vigilia del discorso del Cancelliere a questo Ministero degli Affari Esteri. Sarebbe infatti stato opportuno che i negoziati per il patto aereo procedessero di pari passo con quelli per il patto orientale, anche per dimostrare il junctim esistente fra i vari patti menzionati nel protocollo di Londra. (Osservo che mi sembra esservi contraddizione fra quanto mi ha detto Sir Eric Phipps, che dimostra tuttora interesse al mantenimento del junctim suddetto, e quanto mi disse due giorni fa von Btilow -mio telegramma ,per corriere n. 163 (l) -che cioè il Governo Britannico si era espresso in senso favorevole all'entrata in vigore immediata del patto aereo, senza metterlo in relazione con la conclusione degli altri patti previsti).

Alla quarta domanda era stato risposto che la dichiarazione di Hitler circa l'ammontare delle forze dell'Esercito tedesco era basata sul fatto che le discussioni circa gli armamenti avevano provato in passato l'impossibilità di raggiungere una loro limitazione sia qualitativa che quantitativa. Per rimanere ora nei limiti del possibile Hitler si era pronunciato in favore eli una limitazione qualitativa, indicando anche certe categorie di armi, von Btilow aveva aggiunto che il Cancelliere è però disposto a considerare una riduzione degli effettivi tedeschi, ammontanti a 550 mila uomini qualora gli altri Stati fossero disposti a ridurre proporzionalmente i rispettivi effettivi, prendendosi come base le cifre dei vari eserciti alla data del 16 marzo 1935. Phipps mi disse che von Btilow non aveva celato lo scetticismo di Hitler al riguardo.

Per quanto mi riguarda infine gli armamenti aerei il signor von Btilow aveva comunicato all'Ambasciatore d'Inghilterra che per Hitler era indifferente che la limitazione degli armamenti aerei fosse inclusa nel patto oppure in protocollo annesso.

Sir Eric Phipps osservò meco che le risposte erano state assai vaghe e non avevano quindi portato nuovi lumi che servissero a chiarire taluni punti del discorso di Hitler.

(l) -Vedi D. 261. (2) -Con T. 3012/77 R. del 3 giugno 1935, ore 14,20, Bast!anlni aveva fornito una prima risposta a'l T. 992/63 R., non pubblicato ma vedi D. 326, nota 4. (3) -Vedi D. 529. (4) -Non pubblicato. (5) -Vedi D. 156.

(l) Non pubblicato: con tale telegramma, Cerruti aveva riferito la richiesta britannica d! chiarimenti su alcun! punti del discorso di Hitler del 21 maggio.

(l) T. per corriere 2995/0163 R. del 1° giugno 1935, non pubblicato.

330

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3019/315 R. Parigi, 4 giugno 1935, ore 21,05 (per. ore 22,45).

Ministro degli Affari Esteri Lavai ha consegnato iersera a questo Ambasciatore tedesco pro-memoria relativo trattative per Patto Orientale. Signor Lavai ha ora rimesso a questa Ambasciata copia del pro-memoria che di seguito riassumo riservandomi rinviare testo per corriere:

In nota rimessa a Ministri britannici a Berlino e confermata da Neurath a Phipps 12 aprile u.s. Governo tedesco ha precisato elementi su cui potrebbe basarsi patto Europa Orientale. Potenze contraenti s'~mpegnerebbero:

l) Non aggredirsi reciprocamente né comunque, ricorrere alla forza. Medesime Potenze si impegnerebbero ad assicurare con i mezzi adeguati e qualora fosse necessario, un regolamento pacifico delle controversie che sorgessero.

2) Procedere consultazione per mantenimento pace in caso una Potenza contraente si credesse minacciata da aggressione o da ricorso alla forza da parte di altre Potenze contraenti. In caso si aprissero ostilità fra due Potenze contraenti, altre sarebbero tenute non prestare alcun aiuto aggressore.

Governo francese apprezza valore proposta tedesca e prende nota con soddisfazione dell'adesione di principio del Reich alla conclusione di un Trattato regionale di non aggressione e consultazione.

Fa sapere che, salvo alcune delucidazioni su determinaQ punti, che è pronto esaminare in comune col Governo, considera anzidette suggestioni come utile base per negoziati.

Chiede conoscere al più presto quale via Governo tedesco ritenga più pratica per procedere tale esame in comune.

331.

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI

T. 1000/297 R. Roma, 4 giugno 1935, ore 24.

Mio telegramma 877 (l) e Suo telegramma 282 del 21 maggio u.s. (2).

Voglia ricordare a codesto Ministero Esteri che siamo sempre in attesa conoscere esito conversazioni Lavai a Ginevra con rappresentanti Piccola Intesa in relazione ad atteggiamento di intransigenza assunto da alcuni di questi (3).

332.

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

T. PER CORRIERE 3145/066 R. Vienna, 4 giugno 1935 (per. l'B)

Mio telegramma n. 059 del 28 maggio (1).

Al Ballplatz si è assai soddisfatti di un odierno telegramma di Vollgruber, che segnala il perdurante vivo interessamento di V. E. per una rapida riunione della Conferenza Danubiana.

Tuttavia non mi sfugge una certa ansietà di queste sfere dirigenti per l'attività che codesto Ambasciatore di Germania svolge presso S. E. del Governo e l'E. V., e circa la quale questa stampa reca sempre sollecite notizie. Vollgruber ha segnalato che i colloqui del von Hassell concernono un modus vivendi, che vorrebbe concludersi circa il linguaggio cui dovrebbe d'ora innanzi attenersi la stampa italiana e tedesca; ma, ripeto, è qui evidente il desiderio di una nostra diffusa informazione al riguardo.

Tale desiderio è reso particolarmente vivo da diverse circostanze: 1) dalla nervosità dimostrata da qualche mio collega -come quello jugoslavo -circa la suindicata attività del von Hassell;

2) dalla grave crisi interna francese, di cui si teme la Germania possa avvalersi, stante anche la concomitanza della nostra vertenza con l'Abissinia e di pretese nostre frizioni con l'Inghilterra, per una qualche azione contro l'Austria;

3) della viva attività propagandistica dei nazisti, i quali non si lasciano naturalmente sfuggire la benché minima occasione per deprimere il morale de:i fiancheggiatori del Governo federale, giungendo persino ad affermare la fine del Fronte raggiunto a Stresa.

A tale ultimo riguardo io stesso posso riferire che von Papen, nell'annunziarmi iersera di aver ricevuto una lettera di von Hassell circa l'ultimo suo colloquio col Duce (2), tentava di dare ad essa un così largo sottinteso, ch'io l'invitai a precisarmene senz'altro il contenuto. Al che il mio interlocutore si affrettò a rispondere che trattavasi di una generica conversazione sulla situazione generale (3).

333.

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3147/022 R. Budapest, 4 giugno 1935 (per. l'B).

Mi sono espresso con questo Ministro Affari Esteri nei termini di cui al telegramma di V. E. n. 77 (4).

Il signor de Kanya mi ha risposto che la cosa gli riusciva completamente nuova; che a sua parere poteva trattarsi tutt'al più di infelici apprezzamenti personali manifestati in conversazioni con colleghi da qualche giornaUsta ungherese di secondo ordine, ché altri a Ginevra questa volta da Budapest non se ne erano recati; che avrebbe comunque incaricato subito il Capo dell'Ufficio Stampa di approfondire la faccenda. Conscio dell'importanza -ha aggiunto -che la questione dell'Africa Orientale rivestiva per il Governo italiano, si sarebbe adoperato per quanto era in lui affinché l'atteggiamento non soltanto di singoli giornalisti ma, quello che più contava, della stampa magiara potesse essere di nostra soddisfazione.

Come V. E. avrà rilevato dalle mie Stefani, dopo le isolate deviazioni, che ho segnalato due settimane or sono e sulle quali ho immediatamente richiamato a suo tempo l'attenzione di queste Autorità, i giornali ungheresi si sono in realtà limitati a pubblicare quotidianamente sull'argomento notiziarii di fonte prevalentemente italiana, con impaginazione discreta e titoli in massima intonati. È in corso l'utilizzazione del materiale illustrativo ànviato a questa R. Legazione dal Sottosegretario Stampa e Propaganda.

(l) -Vedi D. 240. (2) -Vedi D. 255. (3) -Con T. 3091/325 R. del 6 giugno 1935, ore 20,05, Pignattl comunicava d! aver Intrattenuto Léger sull'argomento. (l) -Vedi D. 295. (2) -Si riferisce al colloquio che Mussolini ebbe con von Hassell il 30 maggio alle 18,15, del quale non risulta sia stato redatto verbale da parte italiana. Il resoconto di von Hassell è l.n Documents on German Foreign Policy, 1918-1945, vol. IV, cit., D. 121. (3) -Per la risposta di Mussolini vedi D. 360. (4) -Vedi D. 326.
334

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DELL'UNIONE SOVIETICA A ROMA, STEIN

APPUNTO. Roma, 4 giugno 1935.

L'Ambasciatore Stein mi dice che nel recente colloquio (1), avendo parlato della situazione politica generale, io evidentemente ho dimenticato di informarlo che la Germania ci aveva presentato una nota per dichiarare l'incompatibilità del Patto franco-russo con Locarno. Litvinov lo ha incaricato poi espressamente di chiedermi quale atteggiamento l'Italiia intende prendere di fronte a questo passo tedesco.

Gli rispondo che la consegna della nota tedesca era nota perché pubblicata da tutti i giornali; che la nota stessa, che contiene argomenti sopratutto giuridici, è allo studio degli uffici; che per ora non intendiamo rispondervi.

L'Ambasciatore chiede di sapere qual'è l'impressione nostra nella questione dato che, a quanto il Capo del Governo gli ha detto, è stato egli stesso a consigliare Lavai a procedere alla conclusione del Patto, ciò che il Capo del Governo non avrebbe fatto se tale Patto fosse in contraddizione con Locarno.

Gli rispondo che il Capo del Governo non può essersi interessato che del lato politico generale della cosa, ma non è certamente entrato ad esaminare

i particolari del Patto. Ad ogni modo, salvo un più approfondito esame, si dovrebbe ritenere che l'art. 2 copra le preoccupazioni che dimostra avere la Germania per :il Patto di Locarno.

(l) Vedi D. 228.

335

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. s. 2092/867. Berlino, 4 giugno 1935 (per. il 12).

Ho l'onore di segnar ricevimento all'E. V. del dispaccio n. 4564 del l o giugno corrente (l).

Ho appreso con viva soddisfazione il linguaggio tenuto a Londra da Sir Eric Phipps circa le conseguenze che un irrà.gidimento dell'Inghilterra nell'atteggiamento assunto di fronte alla politica italiana nell'Africa Orientale potrebbe avere per l'equilibrio delle forze in Europa.

Sir Eric Phipps è molto ascoltato al Foreign Office. Egli ha in moglie una sorella di Lady Vansittart ed ha quindi in modo speciale l'orecchio del cognato, Segretario di Stato permanente.

Dato questo stato di cose e le eccellenti mie relazioni ufficiali e personali con Sir Eric Phipps non ho tralasciato occasione per intrattenerlo, durante gli ultimi due mesi, in via del tutto privata, delle preoccupazioni che destava in me l'ostilità britannica verso un'impresa italiana nell'Africa orientale, svolgendo gli argomenti che ritenevo approprà.ati ai nostri fini, primo fra tutti quello dell'occasione così offerta alla Germania di mostrarsi, a buonissimo mercato, amica dell'Italia e riuscire in questo modo a spezzare il fronte italo-franco-inglese.

Mi valsi poi opportunamente dà. altro mezzo di cui dispongo per esercitare un'azione egualmente forte sopra l'ufficio stampa dell'Ambasciata Britannica, con tutt'altra apparenza, quella cioè della soddisfazione che prova l'Auswartiges Amt nel constatare che l'Inghilterra si è messa ad ostacolare la politica italiana in Abissinia perché essa spera di avere così l'appoggio inglese in un eventuale rinnovato movimento nazista in Austria.

Non mi sarà quindi difficile di continuare a mantenere vive ed anzi ad accrescere le preoccupazioni che nutre Sir Eric Phipps. Lo avevo del resto fatto ancora ieri, pochi istanti prima di leggere il dà.spaccio di V. E.

Analoga azione sono naturalmente andato svolgendo nei riguardi del signor François-Poncet, sopratutto alla vigilia della sua partenza in congedo per Parigi, .perché egli dal suo lato facesse presente al suo Governo, anche per eventuale norma di linguaggio a Londra, a quali pericoli si andassero esponendo i Gabinetti di Francia e Gran Bretagna assumendo nei riguardi dell'Abissinia un atteggiamento inviso all'Italia (2).

336.

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 2600/1034. Mosca, 4 giugno 1935 (per. il 10).

Ho visto Litvinov al suo ritorno da Ginevra. La conversazione è naturalmente caduta sull'Abissinia. Egli aveva l'impressione che la condotta da lui serbata in materia, nella qualità di Presidente del Consiglio societario, fosse stata da noi apprezzata e se ne compiaceva. Teneva a confermare ancora una volta che il solo desiderio suo era che l'Italia potesse, in questo momento particolarmente gravido di minacce per la pace dell'Europa, conservare integra la sua libertà di movimenti nel Continente, ciò essendo essenziale per mantenere a freno la Germania, i cui [ntenti aggressivi egli non si stanca di denunciare.

Ho assicurato il Commissario sovietico che nessuno più di V. E. teneva a questa libertà, a mantenere intatta la quale l'E. V. aveva già preso tutte le misure necessarie.

Il discorso è quindi naturalmente caduto sul contegno delle altre potenze e, sopratutto, dell'Inghilterra. Ho domandato a Litvinov se Eden avesse messo, in tutto quanto aveva fatto a Ginevra, un tantino di zelo personale. Egli mi ha risposto recisamente di no e che anzi riteneva che Eden si fosse mostrato « più conciliante di quanto desiderasse il suo Governo ».

Portati, così, ad esaminare le ragioni di merito dell'atteggiamento inglese, io affacciavo l'idea (attinta a conversazioni con questo Incaricato di Affari !inglese, signor Charles) che il contegno britannico si riducesse, dopo tutto, ad un ignobile gioco elettoralistico. Al che Litvinov mi interrompeva, dicendomi: «Non vi illudete; il contegno dell'Inghilterra non muterà. È evidente che essa considera l'espansione italiana in Abissinia e nel Mar Rosso come contraria ai suoi interessi e la contrasterà in tutti i modi, prima e dopo le elezioni. Messa a dover scegliere -aggiungeva testualmente il Commissario sovietico -fra l'amicizia per l'Italia e la tutela di quelli che essa, a torto

o a ragione, crede suoi interessi, fra cui il cosidetto prestigio dell'Istituto societario, la Gran Bretagna non esiterà a sacrificare la sua amicizia per l'Italia».

Queste parole mi sono state dette da Litvinov con tale sicurezza che io credo mio obbligo ripeterle. A mia domanda se egli appoggiasse il suo giudizio su mere impressioni ginevrine, mi rispondeva di no, in quanto, non solo quelle che io avevo chiamato impressioni ginevrine erano basate su numerose, esaurienti conversazioni avute con i rappresentanti inglesi in condizioni tali da non far dubitare della loro sincerità, ma trovavano anche la loro piena conferma in informazioni raccolte « direttamente a Londra ».

Nell'ulteriore corso della conversazione non ho mancato di portare a conoscenza del signor Litvinov la informazione proveniente da Riga, di cui al telespresso ministeriale n. 217218 del 26 maggio (1), e ciò non tanto per

il suo valore intrinseco -invero nullo -, quanto per dimostrare lo scrupolo che ritenevo per me doveroso in materia di così grande interesse per il mio Paese. Analogamente, per l'articolo della Pravda, di cui a mio telegramma Stefani Speciale n. 84 (1).

(l) -Vedi D. 324. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini.

(l) Non rinvenuto.

337

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE MANDATI DELLA S.D.N., THEODOLI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. Ginevra, 4 giugno 1935.

In una conversazione avuta oggi con Avenol egli mi ha chiesto se potevo dirgli qualcosa di nuovo nei riguardi della questione abissina.

Gli ho risposto che non avevo molto da dire, ma che, avendo assistito alla Camera al discorso del Duce {2) avendo constatato l'entusiasmo delle masse e parlato con uomini politici e parlamentari italiani, credevo poter così rispondere alle sue domande:

Non è esatto che l'Italia sìa irritata contro la Società delle Nazioni; ma è irritata per il fatto che ci si serve della Lega per ostacolare la sua azione in Africa. L'Italia è scontenta di trovare l'Inghilterra, di cui credeva di poter contare sulla tradizionale amicizia, pronta a servirsi della Società delle Nazioni per i suoi scopi particolari. Se è vero che vi sono inglesi che non concepiscono la salvezza dell'Europa senza la Società delle Nazioni, ve ne sono molti che sono realisti, per non dire altro, e che si servono di quest'organismo come di un mezzo di difesa per i loro interessi locali e africani.

Avenol mi ha detto essere dispiacente che la stampa italiana abbia preso un atteggiamento che -secondo lui -non fa che accrescere le difficoltà, essendo nota la indipendenza della maggior parte dei giornali inglesi, mentre la stampa italiana è in genere ispirata. La sola sua preoccupazione --e vorrebbe che gli italiand ne fossero convinti -è di trovare una soluzione e cercare una via di uscita. Egli si sforzerà di far capire agli inglesi, sia attraverso il Quai d'Orsay, sia direttamente, che non si può continuare nella politica negativa di imporre limiti di azione, metodo che invece di dare buoni risultati urta profondamente l'Italia. Avenol è del parere che per ottenere soddisfazioni concrete per gli interessi italiani bisogna che Francia e Inghilterra pensino seriamente ad insistere in questo senso presso Addis Abeba.

Ho risposto ad Avenol che la sua idea era ottima, ma che l'Italia non avrebbe potuto accontentarsi di semplici promesse. Da oltre dodici anni tutte le vie pacifiche erano state adoperate {appoggio dell'Italia per l'ammissione dell'Etiopia nella S.d.N., facilitazioni commerciali e portuarie, trattato di stretta amicizia del 1928, accoglienze calorose a Ras Tafari a Roma) ma tutto questo non è valso a nulla. Riconoscevo che questi precedenti sono

forse poco noti all'estero, ma non credevo che soltanto le buone parole del Foreign Office avrebbero potuto produrre l'effetto desiderato.

Avenol mi ha detto che senza dubbio gli inglesi avevano avuto un torto enorme; quello cioè di arrivare a Ginevra senza preparazione e di fare gli scandalizzati. Pensava che avrebbero dovuto parlarne a Stresa col Capo del Governo italiano, poiché certamente da parte italiana ci si aspettava di avere uno scambio di idee . sulla vertenza etiopica. Ma probabilmente Sir John Simon preoccupato soltanto della pacificazione dell'Europa, di cui si attribuiva il merito, non dava allora gran peso all'incidente abissino. Del resto -secondo Avenol -Presidente del Consiglio e Ministro degl[ Affari Esteri in Gran Bretagna sono unicamente preoccupati delle vicende europee, per cui un affare come quello abissino viene trattato da funzionari del Foreign Office ignari della vera situazione e dominati dallo zelo unilaterale del Colonia! Office. In questo modo si spiega come Eden sia venuto a Ginevra con le istruzioni che aveva, come nessuno avesse pensato ad avvertirne Roma, come l'opinione pubblica britannica possa essere così inesattamente informata.

Perciò Avenol, forte dell'esperienza degli ultimi mesi crede suo dovere recarsi a Parigi ed a Londra e far presente che in questi tre mesi bisogna assolutamente trovare una via se si vuole evitare una crisi che potrebbe avere come risultato anche l'uscita dell'Italia dalla Società delle Nazioni.

In quanto all'incidente di Ual-Ual, Avenol ritiene che sia preferibile nell'interesse generale che esso sia liquidato dagli arbitri e possibilmente senza nemmeno far appello all'intervento del quinto che avrebbe voto decisivo perché ciò contribuirebbe a creare una atmosfera di détente a tutto favore dell'Italia.

Gli ho domandato quali idee egli aveva intenzione di prospettare a Parigi ed a Londra.

Mi ha detto che ancora non si poteva rispondere perché intendeva studiare la situazione sotto tutti i suoi aspetti e sondare il terreno in ogni senso, ma teneva a ripetere il consiglio che aveva avuto occasione di dare a più riprese, quello cioè di preparare l'opinione pubblica straniera. Secondo lui, occorrerebbe fare la storia delle nostre relazioni con l'Abissinia, esporre le ragioni del nostro scontento. L'opinione pubblica inglese ha bisogno di essere illuminata nei riguardi del conflitto etiopico ed occorre pertanto informarla obiettivamente.

A suo parere, l'Italia dovrebbe passare all'offensiva, perché gli inglesi si convincano della necessità di trovare una via d'uscita. Se ho ben capito, Avenol pensa che l'Italia, indipendentemente dalla procedura iniziata dall'Etiopia, dovrebbe essa stessa portare davanti al Consiglio della S.d.N., in base all'art. 11 del Patto, lo stato anormale caotico e pericoloso delle relazioni itala-abissine dovuto al comportamento del Governo abissino, perché ciò darebbe modo all'Inghilterra ed alla Francia di far sapere ad Addis Abeba che su questo campo non possa il Negus sperare appoggio da parte loro e che anzi debba rassegnarsi ad accettare una soluzione d'ordine pratico che dia soddisfazione all'Italia.

Gli ho obiettato che questa era tattica procedurale, ma che in questo momento l'Italia non può più accontentarsene: bisogna passare ai fatti. Se l'Inghilterra non si preoccupa di conservare la secolare tradizionale amicizia coll'Italia deve capire che con questo atteggiamento non fa che rafforzare la resistenza abissina, e mandare a monte gli accordi di Stresa.

D'altra parte quello che la Francia e l'Inghilterra non hanno saputo fare finora, la Germania l'ha subito capito, facendosi vedere ben disposta verso l'Italia nei riguardi della questione austriaca, !asciandole così maggior campo d'azione in Africa. Avenol ha esclamato: «Ma un riavvicinamento della Germania all'Italia non può certamente giovare alla Francia ed all'Inghilterra e turberebbe solo tutto l'edificio europeo ». Ho precisato che l'Italia non è affatto irritata contro la Francia, ma non trova in essa quell'appoggio che credeva di poter avere.

Avenol mi ha assicurato che tanto il suo Governo quanto egli personalmente tengono estremamente all'amicizia più stretta con noi e spera paterne dare la dimostrazione (1).

(l) -Non si pubblica. Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Si tratta del discorso pronunciato il 25 maggio 1935, ed. in B. MussoLIN), Opera omnia, vol. XXVII, Firenze, la Fenice, 1959, pp. 76-80.
338

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3049/96 R. Tokio, 5 giugno 1935, ore 1,50 (per. ore 14,50).

Commissione partecipanti riunione tenutasi ieri sotto auspici Associazione Nazionalista Drago Nero, composta un ex generale, un deputato, un direttore Associazione predetta e noto avvocato Sumioka (telespresso ministeriale 14 del 9 maggio 1934) (2) si è presentata R. Ambasciata per comunicare risoluzioni presevi e di cui mio telegramma odierno n. 438 al Sottosegretario di Stato Stampa Propaganda (3).

Essendo stato fatto loro presente, con riferimento terza risoluzione menzionata telegramma sopracitato, che azione aggressiva non è italiana come risulta anche dalle notizie stampa giapponese, membri commissione, esternata loro ammirazione per l'Italia fascista, hanno dichiarato desiderare soltanto, ai fini pace, raccomandarci longanimità propria dei forti verso popolo debole, perché in crisi di sviluppo di civiltà.

E' stato loro risposto che, come nazionalisti, potevano comprendere come nostro desiderio pace, ripetutamente affermato da Capo del Governo, non potesse andare disgiunto da dignità.

Hanno inoltre espresso timore che nella presente tesa situazione internazionale, ostilità Abissina possano originare più vasta conflagrazione. Si è replicato in conformità discorso Duce Senato.

(l) -Il pr~ente documento reca n visto di Mussolini. (2) -Non pubblicato. (3) -Il testo del .telegramma em 11 seguente: «In una pubblica adunanza tenutas,i ie~i sotto gli auspici della nota associazione nazionalista "Il Drago Nero", è stata approvata la risoluzione in cui si esprime: l) la profonda simpatia per il Governo ed il popolo abissino nelJ'attuale crdsi; 2) la speranza che l'Etiopia mostri il suo grande spirito nazionale e superi il pericolo dando prova di perseveranza e di ferma volontà e stabilisca ferme basi d~ progresso e prosperità; 3) la speranza che il Governo Italiano si astenga dall'intraprenderel'azione aggressiva e risolva amichevolmente le questioni pendenti con l'Abissinia dal punto di vista della giustizia internazionale e della pace mondiale >>.
339

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3047/369 R. Londra, 5 giugno 1935, ore 13,35 (per. ore 16,30).

Foreign Office ha sottoposto ad un accurato esame nota tedesca circa incompatibilità che esisterebbe fra Trattato franco-russo e Patto Locarno, ed è venuto alla conclusione che tale incompatibilità non (dico non) esiste.

Prima tuttavia di rispondere nota tedesca, esso si propone promuovere una consultazione con il Governo francese e con il Governo italiano per conoscere loro punto di vista, e per concordare eventualmente un atteggiamento comune.

Particolare importanza Governo britannico attribuisce alla opinione dell'Italia, data identica posizione che i due Paesi hanno nel Trattato di Locarno.

340

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3073/93 R. Praga, 5 giugno 1935, ore 19,50 (per. ore 22,05).

Alla vigilia sua partenza per Mosca, Benes invitatomi colloquio in cui assicuratomi che suo viaggio non aggiungerà nulla a quanto già concluso col Patto firmato Praga 16 maggio cui scambio ratifiche avverrà nella presente occasione. Mi ha smentito voci di particolare accordo militare o aeronautico in preparazione assicurandomi che, se ci fossero, me ne informerebbe.

Circa interpretazione clausole Patto (mio rapporto 524 del 17 maggio) (l) Benes precisatomi che:

l) impegni cecoslovacchi per eventualità conflitti extra-europei non sono (dico non sono) più estesi di quelli assunti dalla Francia e cioè accordi rimangono strettamente limitati ad eventuale conflitto europeo;

2) con le disposizioni Trattato si è voluto effettivamente escludere obbligo di assistenza reciproca fra U.R.S.S. e Cecoslovacchia in caso di aggressione della Polonia ad una delle parti. Tale procedura risulta indirettamente da obbligo di non assistenza ad aggressore previsto nel Trattato che nell'intenzione delle parti applicasi precisamente alla Polonia.

Nella conversazione generale, su cui riferisco a parte (2), Benes dettomi che patto con U.R.S.S. permetterebbe a Cecoslovacchia considerare pericolo germanico con maggior calma anche se assistenza da parte dell'Europa Occidentale avesse a risultare diminuita a causa delle eventuali complicazioni derivanti da politica africana dell'Italia.

(l) -Non pubblicato, ma vedi D. 169. (2) -Vedi D. 344.
341

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. PER CORRIERE 1005 R. Roma, 5 giugno 1935.

Suo telegramma 059 del 28 maggio u.s. (1).

Ella può rassicurare Cancelliere che nulla è mutato circa nostro programma per l'Austria e in genere patto danubiano. Attuale sosta è dovuta impegno preso da Lavai fin da prima del suo viaggio a Mosca di avere scambi approfonditi di idee a Ginevra con rappresentanti della Piccola Intesa e specialmente con Titulescu in relazione a difficoltà e ad inammissibili pretese da questi avanzate.

Abbiamo sollecitato Parigi a farci conoscere esito tali conversazioni. Ritardo è anche giustificato da situazione parlamentare e susseguente crisi. Comunque Cancelliere sa che nostro atteggiamento preso di fronte a Piccola Intesa dopo convegno Bucarest, e fatto conoscere a Parigi, non significa minore interessamento per Austria ma semplicemente che non intendiamo di subire imposizioni da parte di nessuno.

Se Romania o altri Stati pensassero irrigidirsi in atteggiamenti di intransigenza avviseremo a procedere oltre in modo autonomo con piena libertà di azione. Occorre dare la sensazione non fosse altro per ragioni tattiche che possiamo anche prescindere, se necessario, da Piccola Intesa e che non è essa l'arbitra della situazione. Intendimento ripetutamente confermato e attivato che nostra attività nell'Africa Orientale non deve né può distrarci dalla nostra attività altrove si applica non solo nel campo della preparazione militare ma anche a quello politico.

Mi riservo ad ogni modo tornare sull'argomento non appena in possesso di notizie da Parigi.

342

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3130/0171 R. Berlino, 5 giugno 1935 (per. l'B).

Mio telegramma per corriere n. 0153 (2).

Il Segretario di Stato von Biilow mi ha informato che l'Ambasciatore di Germania a Parigi aveva comunicato all'Auswartiges Amt d.i avere ricevuto ieri dal signor Lavai un breve documento nel quale questi invitava il Governo del Reich a riesaminare la conclusione del patto orientale, prendendo per base le proposte fatte da esso stesso a Sir John Simon durante il suo soggiorno berlinese. Il documento non era ancora giunto qui. Pareva peraltro, da quanto aveva comunicato l'Ambasciatore Koester, che la Francia abbia tenuto conto soltanto

della «non aggressione), della «consultazione» e della «non assistenza all'aggressore», ma non già della «conciliazione», mentre il Governo del Reich, per non far più parte della Società delle Nazioni e per non avere trattati di conciliazione con l'URSS e la Lettonia (sono anzi questi i soli Stati europei con i quali il Reich non ha simili accordi), ritiene che quest'ultimo punto sia di importanza capitale. Von BUlow aggiunse che il Governo del Reich avrebbe esaminato la questione con la dovuta ponderazione. Le imminenti feste di Pentecoste non avrebbero del resto permesso di fare altrimenti. Egli riteneva ad ogni modo che la risposta tedesca avrebbe potuto essere pronta fra tre settimane.

Rispondendo a mia domanda il signor von Btilow disse che nessuna comunicazione del genere era stata fatta al Governo del Reich dalla URSS.

L'Incaricato d'Affari di Francia, nel mostrarsi meco informato del passo compiuto ieri a Parigi dal signor Lavai presso l'Ambasciatore Koester, disse che a quanto gli constava il Governo dell'URSS non riteneva, dopo il discorso così ostile per il bolscevismo, pronunciato il 21 maggio dal Cancelliere Hitler, di dare seguito, almeno per il momento al passo che aveva preannunciato alla vigilia del discorso stesso a mezzo del proprio Ambasciatore a Berlino.

343.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3131/0172 R. Berlino, 5 giugno 1935 (per. l'8).

L'Incaricato d'Affari di Francia mi ha informato che, secondo notizie pervenutegli da Parigi, il memorandum tedesco circa la presunta incompatibilità fra il Trattato di Locarno ed il recente Patto di mutua assistenza franco-sovietico (l) era tuttora oggetto di studio per parte dei giuristi francesi. Poichè il signor Lavai aveva fatto esaminare dai giuristi stessi il Patto medesimo prima di firmarlo, appunto perché non voleva impegnarsi a qualcosa che non fosse compatibile con i trattati precedentemente conclusi dalla Francia, l'Incaricato d'Affari di Francia riteneva che la risposta del suo Governo sarebbe riuscita a dissipare i dubbi dell'Aswartiges Amt.

Dal suo lato il signor von Biilow mi ha detto che il signor Lavai ha promesso all'Ambasciatore Koester di rispondere sollecitamente al documento tedesco in cui sono esposti i fondati dubbi giuridici circa l'incompatibilità sopra menzionata. Finora però la risposta francese non era pervenuta al Governo del Reich. Questi ignorava egualmente il pensiero dei Governi britannico e belga.

Alla mia domanàa se fosse già noto all'Auswartiges Amt quello del Governo italiano, von Biilow rispose che S. E. il Capo del Governo, parlando coll'Ambasciatore von Hassell (2), aveva mostrato di rendersi conto delle ragioni che avevano motivato il documento redatto dall'Auswartiges Amt e comunicato agli altri Stati firmatari del Trattato di Locarno.

(l) -Vedi D. 295 (2) -Vedi D. 273 (l) -Vedi D. 306. (2) -Vedi D. 332, nota 2.
344

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3140/084 R. (1). Praga, 5 giugno 1935 (per l'B).

Benes ha voluto avvertirmi risultargli da sue informazioni che viaggio Goerlng marcherebbe deciso avviamento programma politico Germania basato su teoria detta del «Siid-Ost-Raum » vale a dire espansione e penetrazione con ogni mezzo nelle regioni danubiane e balcaniche.

Anche discorso Gombos appare a Benes molto grave.

Secondo Benes Hitler ha riportato innegabile successo accordandosi con Polonia ed evitando così guerra preventiva sotto direzione Francia che scorso anno rappresentava maggiore e più imminente pericolo per Germania. Morte Pilsudski e riserbo polacco sconsigliano però chiedere alla Polonia più di quanto ottenuto finora, che devesi invece conservare ad ogni costo.

Per quanto possa sembrare una facezia, hitleriani accortisi tardi che Reich, non confinando più con Russia, non può fare alla sola U.R.S.S. guerra che recenti accordi con Francia e Cecoslovacchia rendono ancora più sconsigliabile. Direttiva verso regioni danubiane e balcaniche rimane quindi per esclusione via più facile avente anche consenso Polonia che vede volentieri Germania distogliere occhi da Nord-Est Europa.

Secondo Benes Germania reputato momento particolarmente favorevole, vedendo Italia impegnarsi seriamente in Africa.

Compito Goering sarebbe indurre con larghe promesse Ungheresi accordarsi sollecitamente con Jugoslavia onde attrarre questa come elemento decisivo nell'orbita della Germania e far cadere tutto il sistema antigermanico. Romania seguirebbe certamente Jugoslavia e Cecoslovacchia cadrebbe per aggiramento e dovrebbe domandare grazia.

Appoggiata solidamente a forze militari Ungheria e Jugoslavia, Germania non negherebbe garantire indipendenza politica Cecoslovacchia e Stati balcanici che consentissero entrare nell'orbita germanica abbandonando legami con Potenze occidentali.

Momento è quindi secondo Benes estremamente grave e decisivo sopratutto per Italia essendo in giuoco sua influenza ed avvenire nel prossimo sud-est europeo. Per cui Benes, nel ripetermi che Cecoslovacchia sarà fino all'ultimo con Potenze occidentali, ha voluto unirsi anche lui agli zelatori della prudenza italiana, facendolo nella forma più riguardosa, rivolgendomi cioè domanda se all'Italia non convenisse garantire dapprima indipendenza Austria, assicurandosi sue posizioni in Europa, per poi rivolgere con maggiore libertà suo sforzo contro Etiopia.

Ho detto che non ero in grado rispondere sua domanda ma che argomento poteva perfettamente ritorcersi con domanda inversa. Ed a mia volta ho chiesto

brutalmente a Benes dirmi piuttosto che cosa farà Cecoslovacchia se missione Goering, da lui stesso segnalata come seriamente pericolosa, riuscisse a far passare Jugoslavia nel campo germanico.

Benes cercato evitare risposta dicendomi che a Belgrado Goering non riuscirà.

«Ma se riuscisse -ho insistito -voi abbandonerete Piccola Intesa?».

Benes ha risposto affermativamente ripetendo però che Belgrado resterà fedele ma che Italia deve tuttavia sorvegliare sue posizioni nel sud-est europeo per evitare di essere soppiantata dalla Germania.

(l) Vedi D. 340.

345

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI SVIZZERA A ROMA, WAGNIERE

APPUNTO. Roma, 5 giugno 1935.

Il signor Wagnière chiede una udienza al Capo del Governo per il delegato della Società Svizzera di Riassicurazioni, che, avendo lavorato in Italia, vuole fare un'offerta per un'opera di beneficenza italiana. Il Ministro accompagnerebbe il rappresentante della Società. Chiede anche se questa udienza potrebbe aver luogo tra il 10 e il 12 di questo mese.

Il Ministro di Svizzera richiama la mia attenzione sull'articolo della Tribuna del 24 maggio a firma «Italicus » che è di carattere nettamente irredentista.

Il signor Wagnière mi intrattiene inoltre sui licenziamenti dei cittadini svizzeri avvenuti da parte dell'Ansaldo; dice che tali licenziamenti sarebbero in contrasto coll'accordo italo-svizzero relativo all'impiego di nazionali dell'altro Stato: ricorda che in Italia ci sono 17 mila svizzeri mentre nella Svizzera ci sono 120 mila italiani. Il Ministro chiede almeno di conoscere il motivo di tali licenziamenti (nota allegata) (1).

Rispondo al Ministro che mi informerò e gli farò avere una risposta. Il signor Wagnière si interessa poi dell'andamento del Patto di non ingerenza: lo metto al corrente della situazione.

Richiamo infine l'attenzione del Ministro su una riunione annunziata dai partiti sovversivi, che dovrebbe aver luogo in !svizzera per protestare contro l'atteggiamento dell'Italia in Abissinia; lo avverto che se si vogliono mantenere buoni rapporti fra i due Paesi bisogna che questa riunione non abbia luogo.

Il Ministro si occuperà della cosa; aggiunge che non c'è ragione di dubitare delle buone disposizioni del Governo Confederale che ha già fatto sospendere una spedizione di munizioni per l'Abissinia e che si è occupato di fare avere all'Italia i quattro fokker già destinati all'Etiopia.

(l) Non pubbllcata.

346

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 2602/1036. Mosca, 5 giugno 1935 (per. il 10).

Si attendeva che, dopo la visita di Laval, e profittando di quelle che sembravano essere allora le disposizioni di Hitler, cosi la Francia come l'U.R.S.S. avanzassero, di concerto, alla Germania proposta concreta per un patto collettivo di non aggressione e consultazione, destinato a comprendere anche la Polonia e gli Stati Baltici. Allo scopo era stato fra i due Governi già concordato persino il testo di una nota comune al signor Neurath.

Senonché, il discorso di Hitler del 21 e la differenziazione in esso fatta fra

U.R.S.S. da una parte e altri paesi dall'altra hanno convinto della inutilità, e forse anche del danno, di una qualunque azione da parte sovietica. È stato dunque deciso di lasciare agire la Francia e solo la Francia. E ciò è stato da Laval, pur fra una .crisi e l'altra, già fatto.

Si attende ora la risposta tedesca. Le previsioni prevalenti qui sono peraltro pessimiste, l'impressione di Litvinov essendo che ormai Hitler, anche per rafforzare la sua posizione agli effetti del patto danubiano, non intenda più mantenere quella che a suo tempo apparve e fu chiamata «la concessione di Stresa». Il che praticamente significherebbe la morte del patto orientale anche nella innocua forma che da ultimo gli era stata data.

Degli sviluppi del patto si attendevano anche in direzione romena, sia sotto forma di un patto bilaterale romeno-sovietico, sia sotto quella di un patto collettivo U.R.S.S.-Intesa Balcanica. Né l'una né l'altra di queste ipotesi si è peraltro avverata.

Come V. E. sa dai miei precedenti rapporti Cl), l'U.R.S.S. non aveva in materia alcun interesse a farsi parte diligente. Era quindi la Romania, al caso, che avrebbe dovuto muoversi. Senonché, Titulescu sembra essersi trovato alquanto imbarazzato. Nei colloqui, lunghi e ripetuti da lui avuti a Ginevra con Litvinov, il Ministro romeno, mentre ha pazientemente quanto umilmente ascoltato le paternali somministrategli dal Commissario sovietico per le sue intemperanze ed i suoi eccessi in materia di patto danubiano (sulle quali ritornerò in rapporto a parte) (2), nulla, assolutamente nulla, ha detto di quelle «estensioni:. che pur sembravano essergli tanto a cuore e in vista delle quali egli si era reso cosi fanatico zelatore del patto franco-sovietico.

Lo stesso Litvinov si è meravigliato di questo suo silenzio. Richiesto a che cosa egli lo attribuisse, il Commissario sovietico mi ha dichiarato che le ragioni ne potrebbero essere due:

27 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. I

l) che l'« atout, bessarabica può -come accennavo in un mio precedente rapporto (l) -essere bensì fatta valere nei riguardi della Francia e della Cecoslovacchia, ma non dell'U.R.S.S.;

2) che Titulescu non può ormai avere nel patto Io stesso interesse che vi aveva prima, dato che esso a nulla gli servirebbe nei confronti -che son quelli che più gli premono -dell'Ungheria.

E qui il Commissario sovietico -ciò che è importante -mi confermò come in origine il patto franco-sovietico fosse effettivamente stato concepito come dovente aver efficacia e valore «erga omnes ,, e non, come invece avvenne all'ultimo momento, nei riguardi della sola Germania. (Vedansi pure le informazioni Benes di cui al mio telespresso del 29 maggio u.s. n. 2484/988) (2).

Comunque stiano le cose, Titulescu non si trova adesso in condizione, per la stessa insincerità che ha dettato la sua tortuosa azione diplomatica, di raccoglierne i frutti. Egli non verrà quindi per ora a Mosca: d'altronde -mi ha detto Io stesso Litvinov -egli non ammetterebbe mai di essere il quarto...

Nessuno sviluppo, quindi, di carattere estensivo, per così dire, è dato di intravedere -mentre scrivo -nel trattato franco-sovietico. Per converso, non mancano indici di un progressivo sviluppo del trattato stesso in profondità.

Uno dei primi quesiti che mi son posto a proposito di questo patto è stato quello di sapere se esso segnasse un punto di arrivo, oppure soltanto un punto di partenza della cooperazione diplomatica fra i due paesi. Ebbene, i fatti sembra continuino a dimostrare che esso è soltanto un punto di partenza. Le stesse notizie quotidiane dei giornali, le risposte attribuite a Lavai -e che Litvinov ha nelle sue conversazioni con me coonestato -dovere egli, così per questo come per quello, consultare Mosca, stanno a dimostrare che ormai la politica dei due paesi è solidamente legata e che nessuna delle due parti intende, per il momento almeno, diminuire il valore di siffatto legame.

Se questo costituisca un vantaggio ed una forza oppure in determinate circostanze possa risolversi in un impaccio ed un gravame, solo il futuro potrà dire. Una cosa soltanto è subito da registrare ed è che, con la conclusione del trattato franco-sovietico, così l'U.R.S.S. come la Francia -me Io ha confermato proprio oggi Litvinov -non (dico non) ritengono ancora adempiute nei loro confronti le condizioni di cui alla dichiarazione di Londra, la quale parla di un patto di assistenza mutua orientale cioè collettivo, e non soltanto franco-sovietico. Il patto collettivo non essendo ancora ottenuto, l'U.R.S.S. e Francia -forse più la prima della seconda -considerano come ancora insoddisfatta la propria parte del bargain londinese, il quale viene così, attraverso il gioco dell'alleanza franco-sovietica, trasformato e fatto valere, almeno negativamente, in vero e proprio, per quanto nuovo e sui generis, «patto a quattro, (3).

(l) -Si riferisce in particolare al rapporto del 21 maggio 1935, n. 2341/926, non pubbllcato. (2) -Vedi D. 352. (l) -Vedi nota l, p. 351. (2) -Non pubblicato. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussollni.
347

IL DOTTOR DUBBIOSI AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3083/112 R. Sanaa, 6 giugno 1935, ore 7 (per. ore 15,45).

Suo telegramma n. 50 (1).

In ripetuti contatti con Autorità locali ho avuto concordi dichiarazioni che conclusione Trattato di amicizia e commercio con Etiopia, cui trattative iniziali rimontano a cinque [anni] or sono, è stata dettata solamente dal piano del Governo yemenita di allacciare rapporti con Stati vicini, senza scopi reconditi di altra natura.

Data situazione, si ritiene che solo una Missione speciale, venendo qui con la relativa autorità e con adeguati mezzi, potrebbe avere successo nel tentare di evitare firma Trattato.

Comunico, come ho ripetutamente fatto noto, che occorre in proposito una adeguata preparazione della stampa per influenzare ambiente locale in senso a noi favorevole, dato che stampa straniera che qui è diffusa non presta opera a noi favorevole in attuale momento (2).

348

L'AMBASCIATORE ALDROVANDI AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 3087/1 R. Milano, 6 giugno 1935, ore 22 (per. ore 0,10 del 7).

Riunione odierna svoltasi molto pianamente.

De Lapradelle, che ha parlato quasi tutto il tempo, ha dichiarato non aver avuto istruzioni, né tollerarle, dal Governo etiopico. A suo avviso compito dei commissari o arbitri è di stabilire sulle conclusioni e documenti, che saranno loro presentati dagli agenti delle Parti.

Ha accennato anche a più riprese a compito di procurare o favorire eventuale intesa extra-commissione fra agenti delle Parti.

Non abbiamo raccolto allusione.

Nel primo esame della procedura e della latitudine del nostro mandato ha accennato fra i mezzi per raggiungere una equa transazione, come punto di vista suo personale, alla questione della appartenenza dei territori e alle frontiere. Abbiamo detto nettamente che escludiamo esaminare o trattare questioni. De Lapradelle non ha replicato.

Confermiamo che ci siamo riservati approvare nella seduta di domani, ore 15, il progetto di risoluzione communicato per telefono.

Nel corso della conversazione è rimasto inteso che incidenti, che saranno sottoposti alla Commissione, sono limitati a quelli verificatisi fra il 5 dicembre 1934 e il 25 maggio 1935 (1).

(l) -Con T. 680/50 R. del 13 aprile 1935, ore 2, Suvich aveva invitato il dottor Dubbiosi, capo della Missione sanitaria italiana a Sanaa, a chiarire se 11 Trattato di amicizia tra Yemen ed Etiopia fosse già stato f.trmato e, in caso contrario, se egli ritenesse ancora possibile svolgere un'azione per evitarne la firma. (2) -Per la risposta vedi D. 502.
349

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AGLI INCARICATI D'AFFARI A BAGHDAD, PORTA, E A TEHERAN, TELESIO

T. R. PER CORRIERE 1003 R. Roma, 6 giugno 1935.

(Per tutti) Durante recente sessione Consiglio S.d.N. relatore vertenza Iran Iraq ha continuato opera conciliazione tra le Parti proponendo due soluziom di carattere transattivo.

Non è stato possibile raggiungere accordo e Consiglio ha approvato rinvio a sessione settembre; ma posizioni sono state ulteriormente chiarite e, sebbene formalmente Parti abbiano creduto dover ribadire rispettivi punti di vista, sembra si siano delineate possibilità accordo, tanto che Parti stesse hanno manifestato intenzione continuare mantenere contatti diretti per facilitare compito relatore trovare terreno intesa.

Calma lungo frontiera, consenso dato da ambo le parti a proposta rinvio e ringraziamenti da esse rivolti al relatore per opera conciliazione iniziata sono indici migliorata atmosfera la quale potrebbe dare frutti concreti dopo che Delegati avranno ripreso contatto 'con loro Governi e prospettato vantaggi soluzioni discusse a Ginevra.

Va rilevato che Delegazione britannica tenuta al corrente delle trattative ha fatto conoscere essere in massima favorevole soluzione compromesso.

Trasmetto a parte a V. S. appunti riassuntivi circa trattative svoltesi Ginevra (2), nei quali sono anche indicate soluzioni prospettate, affinché Ella possa avere chiara visione stato questione, seguire eventuali negoziati diretti (del cui andamento le Parti si sono impegnate tenere informato relatore e riferire) (3).

(Solo per Teheran) Nell'interesse ulteriore sviluppo rapporti italo-iraniani, conviene tener presente che rinvio coincide con tattica codesto Governo le cui unità navigano senza inconvenienti sullo Shatt (dichiarazioni di S. E. Kazemi a v. S. di cui al telespresso di codesta R. Legazione n. 158 del 14 marzo u.s. (4).

(l) -Il presente documento reca 11 visto di Mussollni. (2) -Non pubblicati. (3) -Vedi DD. 816 e 848. (4) -Non pubblicato.
350

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A TIRANA, INDELLI

T. PER CORRIERE 5379 P.R. Roma, 6 giugno 1935.

Col telespresso n. 208661/151 del 18 marzo (l) e col telegramma per corriere

n. 3620 del 22 aprile u.s. (2) furono impartite alla S. V. le istruzioni relative al negoziato in corso con codesto Governo. Ho esaminato le proposte contenute nell'appunto da Lei presentato il 28 maggio u.s. (3) relativamente a tali istruzioni. Approvo le proposte presentate confermando gli impegni finanziari e per la parte rimanente le precedenti istruzioni a cui le sue proposte si riferiscono, istruzioni le quali costituiscono un tutto organico e che comportano un aiuto finanziario al Governo albanese di 15-18 milioni di franchi oro per il 1936 ed impegni continuativi per gli anni successivi secondo il prospetto allegato (4).

Faccio seguire alcune osservazioni.

Per la SVEA dovrà tenersi presente che sarebbe desiderabile che il pagamento annuale fosse reale. Tuttavia, senza che Ella dia alcun affidamento al Governo albanese al quale dovrebbe semplicemente chiedere la relativa iscrizione in Bilancio, potrebbe essere fin d'ora da noi inteso che ci riserviamo di insistere più o meno per il pagamento in relazione alla situazione. Sarà poi da stabilire un limite di tempo che potrebbe essere di due anni per l'esame e la conclusione definitiva della sistemazione del servizio effettivo del prestito.

È indispensabile in ogni caso che non si precostituisca uno stato di fatto che venga a svuotare praticamente e progressivamente di contenuto questo nostro credito e di riflesso i pegni che lo garantiscono.

Per quanto riguarda gli scambi commerciali sono disposto in linea di massima ad accordare per date merci albanesi delle licenze di importazione, extra contingente, con eventuali adeguate integrazioni di prezzo. Mi riservo tuttavia di farLe conoscere le modalità di tali concessioni e l'Ente o gli Enti prescelti per effettuarle dopo che i dettagli del progetto siano stati di comune accordo esaminati con gli altri Dicasteri interessati, il che avverrà nei prossimi giorni.

Per la questione militare mi riferisco ad un promemoria che Le invio a parte, redatto da S. E. il Sottosegretario alla Guerra e da me approvato (5).

351.

IL CAPO DEL SERVIZIO ISTITUTI INTERNAZIONALI, BIANCHERI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 7 giugno 1935.

CONVENZIONE DI SUEZ E ART. 20 DEL PATTO

L'articolo 1° della Convenzione del 22 ottobre 1888, destinata a garantire il libero uso del Canale marittimo di Suez dispone quanto segue:

«Le Canal Maritime de Suez sera toujours libre et ouvert, en temps de guerre camme en temps de paix, à tout navire de commerce ou de guerre, sans distinction de pavillon.

En conséquence, les H. P. C. conviennent de ne porter aucune atteinte au libre usage du Canal, en temps de guerre camme en temps de paix.

Le Canal ne sera jamais assujetti à l'exercice du droit de blocus ».

L'art. 20 del Patto della S.d.N. dispone quanto appresso:

« Les Membres de la Société reconnaissent, chacun en ce qui le concerne, que le présent Pacte abroge toutes obligations ou ententes inter se incompatibles avec ses termes et s'engagent solennellement a n'en pas contracter à l'a venir de semblables ,_

Si tratta di precisare con quale articolo del Patto la Convenzione del 22 ottobre 1888 sarebbe incompatibile. Evidentemente l'incompatibilità si è voluta vedere con l'art. 16 del Patto che prevede l'applicabilità di sanzioni contro uno Stato Membro in rottura del Patto e, tra le sanzioni, contempla la possibilità del blocco.

Due questioni si pongono:

a) chi può decidere dell'incompatibilità tra un Trattato e il Patto? Sembra che l'Autorità competente al riguardo debba considerarsi il Consiglio. Naturalmente la sua decisione dovrebbe essere presa all'unanimità, quindi compreso il voto dell'Italia. Non è escluso tuttavia che la questione possa essere sottoposta alla Corte Internazionale dell'Aja;

b) per quali motivi la Convenzione del 1888 dovrebbe ritenersi incompatibile con l'art. 16 del Patto?

Quale sia l'esatta portata dell'art. 16, la Società delle Nazioni negli studi compiuti al riguardo dai suoi organi tecnici non ha mai precisato. Regna su tale articolo, sulla modalità della sua applicazione e sui suoi effetti giuridici la più grande incertezza.

Aderendo a una proposta del Consiglio, la prima assemblea nominò una Commissione del blocco per lo studio della questione. Ma i risultati di tale studio hanno fatto ben poca luce sull'argomento.

Una delle questioni da determinare era se il blocco al quale si riferiva l'art. 16 fosse o no una misura militare. Ma il punto di vista espresso dalla Commissione predetta fu che l'art. 16 prevedeva «una pressione economica destinata a evitare la guerra e non il blocco navale tradizionale». Vale a dire che come prima misura il Consiglio dovrebbe limitarsi a delle pressioni economiche.

Non v'è dubbio tuttavia che ogni Stato Membro deve, a tenore dell'art. 16,

procedere senz'altro a delle misure militari contro l'aggressore. Queste misure

militari però devono sempre rispettare le norme di diritto internazionale sulla

neutralità anteriori al Patto della Società delle Nazioni? Il Patto in altri ter

mini ha o no abrogato come incompatibili con le sue clausole le norme sulla

neutralità?

Qualche Membro della Commissione del blocco suggerì che dato il nuovo

sistema creato dal Patto e date le sue ripercussioni sui principi tradizionali

del diritto internazionale occorreva procedere a «un nuovo studio delle regole del blocco e del diritto di visita ». Ma il Delegato inglese, per ragioni ben comprensibili, chiese che tale proposta fosse lasciata cadere. La questione pertanto è rimasta, come gli inglesi desideravano, soggetta a discussione.

Allo stato attuale delle cose può osservarsi: a) che il Consiglio non può decidere della incompatibilità della Convenzione del 1888 col Patto se non all'unanimità; b) che è tutt'altro che pacifico che l'art. 16 del Patto sia incompatibile col disposto dell'art. l della Convenzione predetta. Si fa riserva di ulteriori precisioni (1).

(l) -Vedi D. 6. nota 5. (2) -Vedi D. 65. (3) -Vedi D. 297. (4) -Non si pubbllca. (5) -con 11 Telespr. 218811 del 7 giugno 1935 Suvlch trasmetteva ad IndeHl un promemoria del Ministro della Guerra contenente gli argomenti di cui al DD. 669 e 707.
352

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 2649/1057. Mosca, 7 giugno 1935 (per. il 13).

Nella conversazione avuta con lui dopo il suo ritorno e di cui ho già parzialmente riferito in comunicazioni separate (2), Litvinov non ha mancato, fra l'altro, di sottolineare anche che egli aveva attentamente letto e ponderato il discorso tenuto da V. E. il 25 maggio.

Ho potuto rendermi conto, attraverso le più o meno chiare allusioni da lui fattemi, che Litvinov era nel suo intimo preoccupato, oltrechè della posizione, per così dire strategica, assunta dalla E. V. in quel discorso nei confronti della Germania, anche dello spirito relativamente più detaché con cui il Capo del Governo italiano sembrava in esso considerare la questione austriaca.

Che l'Italia imperniasse la sua politica estera specialmente, se non esclusivamente, sulla questione austriaca era una cosa in fondo non mal vista da Mosca, che vi vedeva una garanzia di sicura persistenza in quella politica antitedesca ed oltranzista, costituente la dorsale dell'attività diplomatica sovietica. Ciò posto, il sentir parlare della Conferenza danubiana come se essa potesse non essere per l'Italia la soluzione unica del problema austriaco, doveva, in fondo, riuscire al Commissario sovietico non troppo rassicurante e... un po' ostico.

Ciò mi apparve chiaro dalla reazione di Litvinov ad una mia invettiva contro Titulescu e contro Aras, provocata da un suo accenno alle « difficoltà » della Conferenza danubiana.

Premesso ch'io parlavo a titolo esclusivamente personale, ignorando assolutamente quali fossero in materia i più recenti orientamenti del mio Governo, io stigmatizzavo la condotta di quei signori che, interpretando gli accordi fra l'Italia e la Francia, come una incondizionata accessione nostra al « sistema » francese, e ritenendo che l'Italia si fosse in esso senz'altro irretita; credevano di poterla per questo impunemente ricattare.

Le successive e sempre maggiori esigenze accampate per certe adesioni al

Patto Danubiano mi sembravano, dissi, ridicole e rivoltanti, ed escludevo che l'Italia potesse o volesse accettarle. Mi scagliai, in particolare, contro la pretesa della Romania a tirarsi addietro, uno dopo l'altro, i membri di tutte le Intese più

o meno piccole e più o meno balcaniche, fra cui paesi aventi titolo a entrare in un patto per l'indipendenza dell'Austria certo minore di quello che potessero vantare per partecipare, ad esempio, al Patto Orientale.

Insistevo, in questa direzione sia per intimo convincimento, sia perché lo stimavo non inopportuno alla vigilia della visita di Benes, la quale avrebbe probabilmente offerto il destro ad un esame, fra le altre questioni, anche della questione danubiana.

Io non mi attendevo da Litvinov una resistenza, ma neanche una aperta adesione al mio ragionamento. Ebbi invece la gradita sorpresa di constatare che Litvinov dava sostanzialmente, a quanto io avevo detto, il suo pieno consentimento.

Premesso che, quanto al Patto Orientale, non era certo la buona volontà della Romania e della Turchia ad entrarvi che era mancata e che, anzi, pressioni in questo senso e fortissime erano a suo tempo state esercitate specialmente da parte rumena, le quali si erano infrante solo contro la netta resistenza sia dell'U.R.S.S. sia della Francia, Litvinov cercava poi, preliminarmente, di mettere fuori causa la Turchia, affermandosi «sicuro» (effetto di raccomandazioni sue?) « ch'essa non insisterebbe ulteriormente per partecipare al Patto Danubiano, solo che fosse poi certa di poter entrare in quello Mediterraneo».

Ciò premesso, Litvinov arrivava quindi alla Romania ed a Titulescu dichiarando che, proprio a proposito di Patto Danubiano, egli aveva somministrato al Ministro romeno, a Ginevra, una vera doccia fredda, apertamente rimproverandogli le sue intemperanze ed i suoi eccessi.

Il Commissario sovietico aveva spiegato a Tltulescu come e perché egli non avesse titolo a domandare, per la sua adesione al Patto Danubiano, contropartite di sorta. L'indipendenza dell'Austria era un problema che interessava tutti i Paesi della Piccola Intesa più e in ogni caso non meno, della Francia e della stessa Italia. Perché -allora -accampare delle pretensioni?

Litvinov contrapponeva quindi il contegno irragionevole e poco serio di Titulescu con quello giudizioso e moderato di Benes, il quale ultimo, avendo saputo della paternale fatta al collega romeno dal nuovo patrono sovietico, esprimeva a questi-Litvinov me lo ripeteva due volte -la sua personale «gratitudine».

Ritornando poi sul merito della questione, Litvinov mi diceva testualmente: <<La questione austriaca va considerata in funzione della situazione tedesca. L'Unione Sovietica è quindi vivamente interessata alla sua soluzione. Potete assicurare il vostro Governo che io personalmente farò di tutto per agevolarla. E' bene che questo si sappia, tanto più che a Roma si crede invece che, dietro certe resistenze al Patto Danubiano, possa celarsi l'U.R.S.S. Non ho avuto occasione di dire questo al barone Aloisi. L'ho detto però a Stein e lo ripeto a voi perché lo ripetiate a Roma».

Nel corso della conversazione, Litvinov non mancava di accennare pure alla richiesta che sembrerebbe esser stata avanzata da qualche parte perché ai patti di assistenza mutua -eventualmente destinati ad integrare il Patto Danubiano -partecipi anche l'U.R.S.S., aggiungendo peraltro che la richiesta stessa (per quanto comprensibile nel caso di piccoli paesi che, messi alle prese con la Germania, sentivano naturalmente il bisogno anche del sostegno russo) era stata fatta assolutamente «all'insaputa di Mosca:..

Questo accenno non fu da me neanche rilevato. Ho sempre tenuto, in materia di questione austriaca, a dare l'impressione a Litvinov che io mi attendessi da lui niente più di una generica e leale simpatia alla nostra politica, ma non un vero e proprio concorso attivo e soprattutto una eventuale, diretta partecipazione sovietica alle soluzioni da noi giudicate necessarie.

E' questo un punto sul quale io mi permetto, rimessamente, di insistere. Io sono quanto mai contrario ad estendere la sfera di ingerenza russa nell'Europa occidentale. Qualunque incoraggiamento in questo senso mi sembrerebbe dover essere evitato e non sarebbe male che di questa necessità si rendesse conto la stessa Francia, frenando la sua tendenza, ora che essa ne è divenuta l'alleata, a voler fare entrare l'U.R.S.S. un po' dappertutto.

Con buona pace del signor Lavai, che non si stanca dal consigliare anche a noi un trattato di assistenza mutua con l'U.R.S.S., io ritengo che questa debba bensì essere da noi considerata come un fattore necessario di equilibrio europeo, ma debba, allo stesso tempo, esser sempre mantenuta a... rispettosa distanza (1).

(l) -Il presente documento reca il visto dl Mussollnl. (2) -Vedi DD. 336 e 346.
353

IL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA A LONDRA, VITETTI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

L. P. Londra, 7 giugno 1935.

Ti mando qui acclusa una copia del pro-memoria (2) che mi è stato dato stamane da Craigie sulle conversazioni anglo-tedesche.

Come vedrai, l'Inghilterra è pronta ad accettare il 35 per cento come proporzione della flotta tedesca. Il ragionamento che Craigie mi ha fatto è che dal momento che i tedeschi sono decisi a costruire una flotta di tali proporzioni il meglio che si possa fare è di accettare senz'altro perché l'anno venturo c'è il rischio che la Germania avanzi delle richieste maggiori.

L'Inghilterra per conto suo accetta dunque l'offerta tedesca e spera che essa venga accettata da noi e dagli altri, o che per lo meno non venga data una risposta negativa. Il Foreign Office si accontenterebbe che noi dicessimo che abbiamo bisogno di riservare il nostro atteggiamento in intesa di poter meglio studiare la questione. Intanto la precipitazione colla quale il Foreign Office ha accettato l'offerta tedesca è un altro segno che la politica inglese verso la Germania sta subendo degli aggiustamenti.

Ho visto ieri Leeper, col quale ho avuto una lunga discussione sugli affari di

stampa. Egli mi ha fatto naturalmente tutti i lamenti possibile sull'atteggiamento

della stampa italiana, al che ho risposto esibendogli quelle caricature che tu co

nosci e l'articolo di fondo del Manchester Guardian. La sola cosa interessante che

egli mi abbia detto è che coll'andata via di Sir John Simon sarà dato alla politica estera inglese un impulso più societario e che dobbiamo perciò attenderci una maggiore intransigenza in materia di Società delle Nazioni. Egli mi ha detto che il conflitto politico tra Italia e Inghilterra è tutto sull'atteggiamento da tenersi di fronte alla Società delle Nazioni e non sul fondo del problema abissino, per il quale i due Paesi possono anche mettersi d'accordo. Ha poi precisato questo spunto dicendomi, a conclusione del colloquio, che se l'Italia si rende conto che il Governo britannico non può in nessun modo abbandonare la Società delle Nazioni e permettere che le si diano dei colpi mortali, il Governo britannico dovrebbe certamente aiutare in tutte le maniere l'Italia ad avere quelle soddisfazioni e quelle garanzie che essa desidera in Abissinia.

Come capirai, ho lasciato semplicemente cadere questa parte del ragionamento.

Oggi c'è stato alla Camera dei Comuni il dibattito sull'Abissinia. I deputati presenti erano pochi, neanche una sessantina, e Casardi che è stato alla seduta mi ha detto che regnava un'atmosfera di assoluta indifferenza. Eden ha fatto un discorso non violento, ma certamente sfavorevole ai nostri interessi e anche al nostro punto di vista.

Del mio colloquio con Leeper non ho riferito al Ministero degli Esteri nulla. Ti mando qui un telespresso sopra uno strano colloquio telefonico con Sutton, il quale voleva mettersi in comunicazione con Gayda (l).

ALLEGATO

CRAIGIE A VITETTI

PRoMEMORIA s. Londra, 7 giugno 1935.

1. -At the outset of the Anglo-German naval conversations the German Government announced their decision to build in the future a fleet which would be in the proportion of 100 % for the British fleet and 35 % for the German fleet. 2. -The German Government would also be prepared to agree: (a) -That this should be a permanent relationship between the two fleets, te., that the strength of the German fleet should never exceed 35% of the British fleet; (b) -that they would adhere to this limitation in an circumstances, e.g.: it would not be affected by the construction of third Powers; (c) -that this ratio need not be incorporated in any future international treaty pro1.1ided that the alternative method eventually adopted for the future limitation of naval armaments were to give Germany full guarantees that this relationship between the British and German fleets will be maintained; (d) -that the ratio should, in principle, be calculated on the basis of the tonnage in the separate categories (i.e., not merely on the «global » tonnage). Before, however, giving an undertaking in the sense of paragraph 2 above, they asked whether His Majesty's Government were prepared to accept this arrangement.

The German offer has been carefully considered by His Majesty's Government, who bave reached the conclusion that it should be accepted. They regard it as a contribution of great importance to the cause of future naval limitation and consider that it furnishes an important assurance for the future secumty of this and other countrles. Before, however, giving their formai reply to the German representatives His Majesty's Government would be glad to learn whether the Italian Government desire to offer any observations. In view of the urgency of the matter they trust that they may receive any such observations in the course of the next few days.

(l) -Il presente documento reca !l v.isto di Mussollni. (2) -Vedi Allegato: il promemoria fu trasmesso a Roma con Telespr. 193.1/607 del 7 giugno 1935.

(l) Non pubblicato.

354

IL MINISTRO A RIGA, MAMELI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3253/0108 R. Riga, 8 giugno 1935 (per. il 14).

Faccio seguito al mio telegramma per corriere n. 0101 del 25 maggio (1).

Nel discorso recentemente tenuto dal Ministro degli Affari Esteri di Estonia, è stato rilevato con molto interesse l'accenno che egli ha fatto ad un progetto degli Stati legati dal Patto Baltico diretto a «continuare la loro politica di neutralità» (rapporto n. 621/331 del 1° corr.) (2).

E' noto da tempo che gli Stati Baltici hanno un loro progetto di tale genere, ed io stesso ho avuto l'onore di riferirne a V. E. le grandi linee nel mio telegramma-posta n. 411/21, in data 14 aprile u.s. (2). Ma è la prima volta che tale progetto viene pubblicamente menzionato. Gli accenni fatti dal signor Laretei corrispondono alle linee già esposte. Dopo avere ricordato come ritiene che debba essere inteso oggi, in base al Patto della S.d.N., il concetto di neutralità (con evidente riferimento al Trattato franco-russo), ha dichiarato che gli Stati Baltici produrranno, se necessario, a tempo opportuno il loro progetto e che in ogni caso è prima opportuno risolvere le questioni di Memel e di Vilno.

Ha seguito a breve distanza il discorso del Ministro degli Affari Esteri lituano (3), e qui alcuni interpretano la moderazione che egli ha dimostrato, parlando delle due questioni suddette e rispondendo alle taglienti frasi di Hitler pur riaffermando i punti cardinali della politica lituana, come desiderio di continuare nella linea iniziata dal suo collega estone, appunto in relazione al progetto accennato. Benché, commentando tale discorso, il Segretario Generale di questo Ministero degli Affari Esteri mi abbia detto che sarebbe stato difficile per il signor Lozoraitis non mostrarsi moderato a proposito di Memel, quando il Ministro degli Affari Esteri britannico aveva appena dichiarato alla Camera dei Comuni che la risposta data dal Governo lituano all'ultimo passo delle Potenze garanti non poteva essere considerata soddisfacente (4).

Tra i due discorsi, quello del Nord e quello del Sud, non vi è stata sinora alcuna dichiarazione al centro. La Lettonia continua la sua politica cauta, anche se ama rimproverare spesso e volentieri agli altri di non prendere in tempo le iniziative necessarie.

Le conversazioni private confermano tuttavia anche qui le basi del progetto. I due grandi antagonisti attuali nell'Europa centrale, U.R.S.S. e Germania non hanno frontiera comune. In caso di conflitto gli eserciti dell'uno o dell'altro Stato

-o di tutti e due dovranno attraversare una zona che, quasi esattamente da Nord a Sud, com~rende i seguenti Stati: Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Cecoslovacchia e Romania. Ciò spiega l'interesse lettone più volte accennato alle cose cecoslovacche e romene, il disappunto per il Patto sovieto-cecoslovacco, la cri

tica per la politica di Titulescu, e il diniego di questo Ministero degli Affari Esteri -in ciò perfettamente d'accordo con Io stesso Ministro di Romania che vi sia alcunché di vero in ciò che Titulescu fa pubblicare senza mai dichiararlo ufficialmente, essere cioè il Governo romeno pronto a consentire il passaggio dell'esercito sovietico nel suo territorio, ottenendo in compenso il riconoscimento dell'annessione della Bessarabia da parte dell'U.R.S.S.

Degli Stati della zona la Polonia è il più forte, oltre che confinante con Lettonia e Lituania. Una recente dichiarazione polacca, anche se non del tutto ufficiale, che la Polonia non permetterà mai il passaggio di eserciti stranieri non solo nel suo territorio, ma neanche su quello dei suoi vicini, ha destato qui molto entusiasmo. Se la politica estera Iettane si affanna a fare apparire che mantiene una linea equidistante tra U.R.S.S., Polonia e Germania, i suoi orientamenti in questo senso verso la Polonia non sono meno chiari, mentre chiarissimi sono quelli dello Stato Maggiore Iettane.

II progetto consiste appunto nel trarre partito dalla situazione geografica, chiudendo la catena dei patti di non aggressione, e «con qualche cosa di più», per garantire la zona in questione, o almeno, per ciò che maggiormente interessa questi Stati, la zona Stati Baltici-Polonia. Giustamente il signor Laretei ha premesso che sarà prima opportuno risolvere le questioni di Vilno e di Memel, perché è evidente che nessun progetto di tal genere è possibile con le attuali relazioni polacco-lituane e lituano-tedesce. Sull'ottimismo di tutto ciò è inutile insistere.

,La parola ora qui adoperata per definire la situazione in cui la zona dovrebbe venire a trovarsi è quella di «inviolabile». Sarebbe evidentemente prematuro quanto assurdo fare la critica di un progetto che non è stato sinora enunciato se non in termini così vaghi. Ma credo che si possa sin d'ora osservare che se il concetto di inviolabilità risponde al maggiore pericolo, e perciò al più grande desiderio degli Stati Baltici, esso non ha rispondenza nella pratica. Dal punto di vista politico, una zona come uno Stato potranno essere più o meno garantiti da un certo numero di accordi, anche se i meno ottimisti sostengono che ogni accordo che si aggiunge indebolisce i precedenti. Ma quanto ad inviolabile una zona come uno Stato Io sono sinché non siano violati. Militarmente parlando si potrebbe dire la stessa cosa, ma è forse più esatto, per quanto ovvio, dire che la inviolabilltà è in ragione diretta della efficienza difensiva. In altri termini, in questa parte di Europa la possibilità di interdizione al passaggio dell'esercito sovietico, o dell'esercito tedesco, è in funzione diretta di una intesa baltico-polacca.

Sin dove è la Lituania oggi disposta ad arrivare in questo senso? E' opinione piuttosto diffusa che il discorso Lozoraitis mirava appunto a socchiudere la porta. A parte ciò il Ministro di Lituania in Riga, parlando con quello di Romania, si è lasciato sfuggire che l'Intesa Baltica stava considerando un allargamento del Patto. Una notizia simile era già apparsa come è noto, tempo fa nella stampa, e fu smentita nel senso che di ciò non si sarebbe trattato a Kaunas. Potevo dunque parlarne senza fare neppure lontanamente sospettare la nuova fonte.

Alle mie domande il Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri ha risposto con il seguente esame negativo degli Stati cui l'allargamento potrebbe essere rivolta. II miglior antitodo contro il pericolo sovietico è l'antagonismo tedesco. Concetto di pretta marca Iettane, che certo non è egualmente apprezzato da Estonia e Lituania. In ogni caso Germania e U.R.S.S. sono escluse. La Polonia è esclusa parimenti perché non è mai convenuto ad un gruppo di Stati darsi in braccio a una nazione sei volte più grande. Quanto alla Finlandia, l'Intesa non ha alcun interesse a includere nel suo seno un elemento «indifferente». Il signor Munters era certamente da un punto di vista formale esattamente sincero. Il giorno in cui il progetto accennato potesse avverarsi, non sarà un allargamento sarà una trasformazione. Non saranno gli Stati Baltici ad ammettere la Polonia, ma saranno essi, caso mai, che dovranno andare alla Polonia. E l'Intesa Baltica potrà anche sussistere nella sua forma attuale, ma i suoi membri saranno vincolati da un nuovo e imperioso legame che sovrasterà il precedente. Ecco come è probabile che tanto il Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri, come il Ministro di Lituania, dicessero non soltanto la verità, ma la stessa cosa.

Estoni e lettoni dichiarano del resto concordemente, come ho già detto, che proporranno il patto, se lo proporranno, a tempo opportuno. E' stato anche precisato che lo proporranno qualora le altre trattative più o meno in corso per la «sicurezza » di questa parte di Europa dovessero fallire. Perché qui si spera sempre in un sistema collettivo.

Va in ultimo registrato che perdura la costante attitudine del Governo Iettane, a dispetto di ogni evidente realtà, di pretendere che in questo settore tutto va bene, che non vi sono pericoli né minacce, e che se ve ne sono, sono in ogni caso minori che altrove. Qui si è sensibilissimi, da questo lato, alle pubblicazioni della stampa estera -sono di ogni giorno -che sottolineano le complicazioni della situazione. Non si tratta di cieco ottimismo, ma di partito preso. Il R. Ambasciatore a Mosca ha scritto recentemente, con frase pittoresca, che gli Stati Baltici sono destinati prima o poi a « fare da Belgio ». È esatto. Ma il Belgio una volta si è salvato dalla tempesta, e gli Stati Baltici difficilmente potranno, se la tempesta scoppia, e lo sanno anche troppo bene. Non vogliono quindi complicare e peggiorare col panico la situazione già difficile.

Non potranno far nulla per evitare il cimento. Meglio quindi vedere le cose dal lato migliore, e ignorare i pericoli che verranno forse, ma che non sono ancora di oggi. Vi è in questa strana attitudine il carattere di questo popolo composto di mille elementi diversi: fatalismo, caparbietà, rassegnazione, sfida all'inevitabile. Ecco perchè si ostinano a dire che tutto va bene.

(l) -Con T. 2932/0101 R. del 25 maggio 1935, Mamel! aveva riferito sulle reazioni negative prodotte !n Lettonia dal patto franco-sovietico. (2) -Non pubblicato. (3) -Vedi D. 319. (4) -Vedi DD. 49 e 122.
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IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 2542/806. Belgrado, 8 giugno 1935 (per. il 10).

Il Generale Goering, arrivato avant'ieri sera per via aerea da Ragusa, colla moglie e col seguito, tra cui S.A.R. il Principe Filippo d'Assia, è ripartito stamani, sempre per via aerea, alla volta di Berlino.

In suo onore fu dato un pranzo dal Ministro di Germania von Heeren la sera del 6, seguito da un ricevimento. Nella giornata di ieri Goering visitò nella mattinata il Presidente Jeftic e il Ministro della Guerra Generale Zivcovic; fu quindi ricevuto in udienza da S. M. la Regina Madre e dal Principe Paolo che lo trattenne a una colazione di carattere intimo. La sera gli fu offerto da Jeftic un pranzo al Circolo degli Ufficiali della Guardia con l'intervento di tutti i membri del Governo e delle più alte cariche. Tutte queste manifestazioni hanno avuto carattere esclusivamente tedesco-jugoslavo con assoluta esclusione del corpo diplomatico e degli stranieri in generale.

Negli ambienti governativi si smentisce che la visita di Goering abbia avuto significato politico; molte personalità anzi (cito ad esempio il Maresciallo della Corte Gruic e il Segretario agli Esteri Puric coi quali ho avuto occasione di parlare in argomento) non nascondono un certo senso di disagio prodotto negli ambienti ufficiali da questa visita; senso di disagio al quale hanno anche -e forse in primo luogo -contribuito l'atteggiamento teatrale assunto in questa come nelle precedenti occasioni dal Primo Ministro di Prussia, ed i vari improvvisi mutamenti da lui continuamente apportati al programma del suo soggiorno in Jugoslavia, i quali hanno arrecato non poco incomodo alle autorità militari civili e di polizia.

Comunque, è molto commentata l'anomalia di una visita privata, anzi di un «viaggio di nozze», che viene accolta con onori e con festeggiamenti quali si riservano, per lo meno, a un Capo di Governo. Che Goering non abbia condotte qui delle trattative nel vero senso della parola parmi doversi ritenere verosimile, per quanto non saranno mancate da parte sua frasi ed espressioni auspicanti una stretta amicizia tedesco-jugoslava con i soliti complimenti a questo esercito e al suo valore (in occasione della sua venuta qui per i funerali del Re Alessandro Goering ha recato una corona con una scritta in cui il Fiihrer portava il suo omaggio alla memoria dell'« unico leale fra i suoi nemici di un tempo»; e nella stessa occasione Goering avrebbe proposto senz'altro l'alleanza militare). Ciò che si può abbastanza sicuramente stabilire è che, in ogni modo, la visita di Goering fa parte del programma di approccio e di penetrazione della Germania in Jugoslavia e nei Balcani in generale, e che la Jugoslavia non intende rinunciare ad avere in mano la carta tedesca; se non per servirsene, certo per agitarla, particolarmente nei confronti della Francia.

Quello che non si può disconoscere, è stata una certa spontaneità nelle manifestazioni del pubblico all'indirizzo di Goering; ciò è stato notato e messo a raffronto colla freddezza che ha segnato, in generale, da parte del pubblico, la presenza qui degli Ufficiali della squadra francese alcuni giorni or sono.

A proposito delle note dichiarazioni che Goering avrebbe fatte a Budapest al corrispondente del Daily Telegraph da quella città, questa Legazione di Germania ha dato oggi alla stampa il seguente comunicato:

«Il Presidente del Consiglio di Prussia, Generale Goering, durante il suo viaggio che ha avuto carattere strettamente privato, non ha ricevuto alcun rappresentante della stampa né a Budapest né a Sofia né durante il suo soggiorno in Dalmazia. La notizia pubblicata dal Daily Telegraph è dunque fantastica» (1).

(l) Il presente documento reca !l visto di Mussollnl.

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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 2024/1271. Vienna, 8 giugno 1935 (per. il 12).

Mio odierno telegramma riservato n. 128 (1).

Il Capo di Gabinetto del Vice-Cancelliere Starhemberg, il Ministro Plenipoten~iario Alexich, è venuto iersera a leggermi, a nome del suo Capo, il riassunto del lungo colloquio che Starhemberg ha avuto il giorno 5 col von Papen.

Invero, la prima idea di Starhemberg è stata quella di consegnarmi una copia del predetto riassunto da lui personalmente redatto (2): sicché è stato solo un secondo pensiero quello che l'ha indotto alla prescelta forma di informazione verbale. Inoltre Alexich mi ha parlato di questioni, che sarebbero state toccate nel colloquio, ma che non sarebbero state registrate dallo Starhemberg nel suo appunto. Fra di esse, un accenno del von Papen alla nota intervista dello Starhemberg circa l'Alto Adige, di cui l'Alexich mi ha tenuto separata parola, nel senso riportato nell'ultima parte del presente rapporto.

Ciò premesso, riferisco qui appresso un largo riassunto di quanto mi è stato comunicato dall'Alexich, attirando l'attenzione di V. E.

l) sull'insistenza con la quale il von Papen ha sottolineato il fatto che l'indipendenza dell'Austria, qualora Vienna non addivenisse ad un accordo diretto con Berlino, resterebbe garantita e protetta dal blocco franco-ceco-russo, e particolarmente della «tenaglia panslava »;

2) sui reiterati accenni di Starhemberg al Deutschtum ed alla difesa del Deutschtum da parte dell'Austria, accenni che vengono giudicati alquanto eccessivi financo da qualche elemento del Ballplatz;

3) sulla dubbia opportunità che lo Starhemberg accordi al von Papen quell'ascolto che a questi è stato finora negato dal Berger e, benché in minor misura, dallo stesso Cancelliere; e ciò tanto più in quanto appare ovvio che trattasi d'un ulteriore espediente del von Papen -desideroso di farsi un successo, dopo i suoi falliti sforzi per impedire l'ultimo discorso di Schuschnigg, per compromettere lo Starhemberg, o quanto meno per seminare zizzanie nel Gabinetto austriaco.

Il colloquio, durato un'ora e mezza, è principiato con la solita dichiarazione del von Papen: che egli ha sempre condannato, come condanna, la politica che è stata seguita dal governo nazionalsocialista di Berlino nei riguardi dell'Austria fino al luglio 1934; che tale sua condanna è così schietta e sincera che egli non ha esitato a subordinare l'accettazione del suo posto di Ministro a Vienna alla espressa condizione che Berlino rinunciasse interamente alla previa errata politica; che questa condizione da lui posta, e che venne accettata da Hitler,

è stata pienamente rispettata durante gli otto mesi di sua missione a Vienna: donde il suo vlvissimo rammarico che, a malgrado tale sua importante azione, la sua attuale missione sia rimasta finora senza alcun risultato positivo.

Starhemberg ha risposto con una lunga rievocazione storica. Ha poi osservato che in Austria non vi è patriota il quale non creda che un'Austria indipendente raggiungerebbe scopi del tutto rientranti nel quadro del Deutschtum; che appunto per questo motivo le relazioni intercorse, prima dell'avvento di Hitler, fra i circoli nazionalisti tedeschi e quelli patriottici austriaci, sono state sempre buone; che tali buoni rapporti sono infatti esistiti, fino al luglio 1930, tra la direzione delle Heimwehren e quella del partito nazista, e che egli stesso nel 1929 fu in dirette relazioni con Hitler; che le divergenze sono cominciate nel 1930, in occasione delle elezioni; che da tale epoca i nazisti hanno sempre respinto tutto quanto emanava dal patriottismo austriaco, giungendo fino al punto di affermare, nell'autunno 1931, per bocca di Habicht, che la denominazione Austria -e l'esistenza di un pensiero austriaco -sono già di per sé stesse un tradimento di quello tedesco. Da allora, l'allontanamento fra i due Paesi non aveva fatto che aumentare; e ciò anche perché i nazisti hanno sempr,e insistito per ottenere delle elezioni, e ciò per insinuarsi come minoranze nei corpi legislativi, e raggiungere quindi a poco a poco la maggioranza: tattica questa che l'Heimatschutz ha respinto, perché la preoccupazione per un progrediente nazismo in Austria avrebbe condotto i vecchi partiti parlamentari austriaci ad una coalizione, impedendo cosi la desiderata rinnovazione dell'Austria.

Papen ha risposto che le circostanze espostegli dallo Starhemberg gli erano già note, e che egli stesso ammette che gravi errori sono stati commessi da parte di Berlino. Ha ammesso anche la bontà delle relazioni austro-tedesche prima del nazionalsocialismo, ad eccezione del temporaneo raffreddamento alla epoca degli accordi di Losanna del 1932. Si tratta ora di vedere come possasi ritornare a tale intimità di relazioni, e ciò appunto egli domanda allo Starhemberg, pregandolo di indicargli la base da cui partire per una distensione nei tesi rapporti fra Austria e Germania.

Starhemberg risponde che un miglioramento delle relazioni è possibile a condizione che il Governo tedesco garantisca l'indipendenza permanente e la piena libertà presente ed avvenire dell'Austria; che il governo germanico garantisca di non immischiarsi mai più in qualsiasi forma nella politica interna austriaca, e dichiari che il pensiero nazionale dell'Austria non è affatto rappresentato da quei malcontenti che credono di poter spiegare la loro attitudine antiaustriaca con argomenti nazionali. In conseguenza di questo cambiamento nell'atteggiamento del governo tedesco, questi, analogamente a tutti gli altri gruppi che costituiscono la vita politica germanica, dovrebbe in futuro discutere soltanto col governo austriaco le questioni attualmente pendenti. E' necessario evitare l'errore sino ad ora commesso di mantenere relazioni con persone o gruppi dell'opposizione antiaustriaca, di sostenerìi, e di trattare con essi su questioni d'interesse interno austriaco.

Papen risponde che il governo tedesco riconosce l'indipendenza austriaca, e che pertanto la condizione posta dal suo interlocutore è già riempita.

Starhemberg oppone che tale riconoscimento è del tutto teorico, e, a suo avviso, neppure del tutto onesto.

Papen cerca allora di dimostrare, giusta le ultime affermazioni di Hitler, che il governo tedesco è sempre stato leale nelle sue affermazioni, in maniera particolare tentando di sminuire il senso e la portata del passaggio dell'ultimo discorso del Cancelliere germanico, relativo alla fiducia che il popolo austriaco ha verso il governo del Paese.

Starhemberg replica che la circostanza che il discorso non conteneva nessuna dichiarazione a proposito dell'indipendenza austriaca è assai più degna di rilievo che non la frase cui allude il suo interlocutore.

Von Papen osserva che tale riconoscimento esiste nel contesto stesso del discorso.

Starhemberg risponde essere increscioso che il sig. Hitler abbia l'abitudine di esprimersi sempre con parole e frasi così congegnate da poter essere spiegate in modi diversi.

Von Papen, cambiando di tema, afferma che lo sviluppo generale della politica europea impone la pacificazione tra l'Austria e la Germania, perchè altrimenti l'intero Deutschtum verrebbe compromesso. Fa poi delle poco chiare allusioni all'alleanza franco-ceco-russo, alla tenaglia panslava che può stroncare l'intero germanesimo; e si estende sull'idea che è necessario procedere ad una conferenza onde far scomparire tutte le cause di conflitto fra i due paesi.

Starhemberg ripete che condizione primordiale ed assoluta di tale conferenza è la previa accettazione da parte tedesca dei tre punti su innanzi esposti.

Von Papen risponde che se da parte austriaca non si accettano come sufficienti le dichiarazioni e le parole del Cancelliere e se si dubita della buona volontà dci fautori responsabili della politica germanica, all'Austria non rimane che affidare la garanzia della sua indipendenza al sistema di alleanza franco-ceco-russo.

Starhemberg replica che l'Austria, Stato tedesco, sarebbe addolorata se dovesse realmente farsi garantire da tale sistema di alleanze. Egli crede che per la Germania sia un preciso d•JVere di garantire essa stessa l'indipendenza dell'Austria; è perciò con dolore che egli constata che in questo momento l'unico pericolo per l'indipendenza della sua Patria sia proprio rappresentato dai tentativi di sincronizzazione da parte della Germania; tentativi che porrebbero l'Austria nella necessità di dover eventualmente contribuire a sostenere l'accerchiamento della Germania: eventualità questa che non si produrrebbe certo mai più, al momento stesso in cui l'Austria cessasse dal vedersi attaccata dalla Germania. Purtroppo oggi non si può negare che il più grande rpericolo 'per l'Austria è costituito dalla politica tedesca; a tal punto, che dichiarazioni e pubblicazioni ufficiali avrebbero soltanto risultati momentanei, più che altro consistenti nell'evitare un aggravamento della situazione estera germanica. La gravità della situazione è data dal fatto che i principi fondamentali di Hitler e del partito nazista non hanno nessuna comprensione per l'Austria, e, reciprocamente, dei doveri che l'Austria ha nei riguardi, in generale, del germanesimo. Le dichiarazioni di Hitler, che il suo interlocutore ha commentato, sono in flagrante contraddizione con i principi contenuti nel suo libro Mein Kampf, ed a cui si ispira il partito nazionalsocialista. Le personalità responsabili in Austria sono quasi nell'impossibilità di credere

zs -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. I

alla franchezza delle dichiarazioni di Hitler o del suo governo. Perciò egli tiene a ripetere che le dichiarazioni pubbliche, solenni ed impegnative che il Cancelliere dovrebbe fare sono le seguenti: l) che egli, Hitler, è giunto alla convinzione che un'Austria indipendente e sovrano per tutti i tempi è d'interesse assoluto dell'intero germanesimo; 2) che egli condanna espressamente tutti i tentativi diretti contro l'indipendenza dell'Austria ed anzitutto quelli sostenuti con pretesi argomenti nazionali, e guidati dal partito nazionalsocialista proprio contro tale indipendenza; 3) che egli dovrà cessare una volta per sempre non solo da ogni intervento nella situazione interna dell'Austria, ma anche con ogni legame con gruppi od elementi anschlussisti. Simile dichiarazione del Cancelliere pronunciata solennemente ed in pubblico, toglierebbe alla cosiddetta opposiziOne nazionale in Austria ogni base morale e la ridurrebbe cosi ad un gruppo assolutamente trascurabile di oppositori incorreggibili (1).

Von Papen risponde che eventuali conversazioni potrebbero lasciar adito alla possibilità di simili dichiarazioni da parte di Hitler; ma egli è certo che mai troverebbe nel sig. Berger la comprensione necessaria per poter discutere, prima della Conferenza danubiana, di questioni direttamente relative all'Austria ed alla Germania; egli chiede quindi ora a Starhemberg se egli non crede alla possibilità e convenienza di iniziare adesso negoziati a tal uopo.

Starhemberg risponde di ritenere assolutamente impossibile per l'Austria di procedere a qualsiasi conversazione diretta con la Germania, prima della Conferenza danubiana e ancora meno senza previa intesa con l'Italia. Sarebbe solo possibile di esaminare la maniera di ridurre ad un minimo le cause di

« Starhemberg osserva che per l'Austria, in quanto Stato tedesco, è molto umiliante veder garantita la sua indipendenza da un sistema di alleanze come quello suaccennato e che sarebbe piuttosto un dovere della Germania di garantire da parte sua questa indipendenza. Giacché, parlando con sincerità, <ioveva osservare che momentaneamente il solo vero grande pericolo esistente per l'indipendenza dell'Austria sta negli sforzi da parte della Germania per conseguire la "Gleichschaltung ". Pertanto l'Austria, per istinto di conservazione, si trova nella situazione obbligata, del tutto Innaturale, di dover perfino favorire, in determinate circostanze, un accerchiamento della Germania per vedere diminuiti i pericoliche minacciano la sua esistenza.

Ciò non sarà piu necessario nel momento in cui l'Austria non si veda e non si senta direttamente attaccata dalla Germania. Che inoltre la politica della Germania attuale rappresenti per l'Austria l.J. piu grande pericolo, è un dato di fatto che non può essere negato.Circa il problema dell'atteggiamento della Germania e del Governo del Reich di fronte all'Austria, non è questione di dichiarazioni e di pubblicazioni di natura ufficiale che tengono conto delle condizioni del momento e che avvengono allo scopo di evitare un ulteriore inasprimento della tensione delle relazioni di politlica estera. Questo pToblema riguarda in primo luogo l'impostazione sostanziale: ora, l'atteggiamento fondamentale di Hit.Jer e del partito nazionalsocialista manca di ogni comprensione per l'Austria e per ·~l compito pall'ticolare austro-tedesco. Le dichiarazioni del Cancelliere del Reich, come le interpreta il signor von Papen, stanno in assoluto contrasto coi principi che Hitler ha pubblicato nel suo libro Mein 'Kampj e colle massime che sono state continuamente sostenute e propugnate da tutti i compagni di partito di Hitler. Quindi persone che in Austria occupano cariche di responsabilità, non possono credere alla sincerità delle dichiarazioni di Hitler o del Governo del Reich. Almeno una volta Hitler dovrebbe fare una dichiarazione chiara, univoca, pubblica e impegnativa, approssimativamente del seguente contenuto: che egli, Hitler, era giunto alla persuasione che un'Austria libera e indipendente per tutti i tempi, è asso!utamente nell'interesse di tutti i tedeschi; che egli Hitler condanna nel modo piu severo tutti i movimenti e gli sforzi contro l'indipendenza dell'Austria; che egli condanna specialmente nel modo piu deciso tutti quei movimenti e quegli sforzi che, ammantati da argomenti nazionalistici o sotto la bandiera nazionalsocialista, vengono rivolti contro l'tndipendenza dell'Austria; che egli proibisce una volta per tutte non solo qualsiasi ingerenza negli affari austriaci, ma che vieta qualunque rapporto con gruppi ed elementi, il cui scopo politico sia l'incorporamentodell'Austria in uno Stato unitario tedesco centralistico.

Starhemberg aggiunge che tali dichiarazioni de·! Cancelliere del Reich formulate pubblicamente e in modo che non lascino .luogo a dubbi, toglierebbero alla cosiddetta "opposizionenazionale" in Austria le sue basi e Ia ridurrebbero ad un minimo di persone irremovibili ed ostinate».

conflitto tra Austria e Germania, ma escludendo però in modo assoluto ché simili conversazioni anticipino i risultati della Conferenza danubiana. Egli ritiene che da parte italiana nulla osterebbe a conversazioni di tal genere, poichè egli crede essere anche interesse italiano che esistano quanto meno è possibile cause di conflitto o di attrito fra la Germania e l'Austria: ciò naturalmente alla condizione che non venga in alcun modo diminuita l'indipendenza austriaca e le basi di essa, e che rimanga intatta la libertà di decisione e di azione dell'Austria nei rispetti di tutte le questioni politiche e di fronte a tutti i terzi Stati.

Papen afferma di essere soddisfattissimo di tali condizioni.

Starhemberg replica che prima ancora di iniziare queste conversazioni egli dovrà ottenere il previo assenso del Cancelliere e di Berger. E poiché il von Papen insiste a dire che egli preferirebbe continuare a trattare con lo Starhemberg e ad affermare di essere soddisfatto di questa presa di contatto. Starhemberg torna a ripetere essere necessario, prima di riprendere qualsiasi conversazione, l'assenso del Cancelliere e del Ministro degli Esteri, ed approfitta dell'occasione per far intendere al von Papen l'opportunità che egli cessi dal frequentare in Austria il gruppo dei cosidetti oppositori nazionali, perchè ne soffre la sua stessa posizione personale.

Von Papen nel congedarsi afferma di avere la speranza che due soldati possano trovare insieme la diritta via onde uscire da questa complicata situazione.

Nel corso del colloquio il von Papen ha anche accennato allo Starhemberg che la sua intervista di Innsbruck relativa all'Alto Adige ha mortalmente ferito l'opinione in Germania, e che il contenuto di essa non corrispondeva alla realtà delle cose in quanto egli stesso può dare la sua parola che nessun marco tedesco è entrato in Alto Adige e che Berlino si astiene da ogni intromissione nella politica interna italiana.

Starhemberg ha risposto che questa dichiarazione non gli sembrava completamente rispondente alla verità. È possibile che Hitler non abbia Jllandat::J direttamente del denaro in Italia; ma non v'ha dubbio che ciò malgrado centinaia di migliaia di marchi provenienti da Monaco sono stati distribuiti da agitatori tedeschi nell'Alto Adige.

(l) -Con T. 3149/128 R. dell'B giugno 1935, ore 15, Preziosi aveva dato succinta notizia del colloquio qui riferito. (2) -Questo verbale fu tuttavia fatto pervenire a Roma, trovandosene copia tra le carte di Gabinetto (11/12 Austria) senza però che ne risulti il modo di trasmissione. Più avanti se ne cita in nota un brano.

(l) Nel verbale redatto da Starhemberg questo capovm-so suona così:

357

IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5810/59 P. R. Tirana, 9 giugno 1935, ore 13,35 (per. ore 17,10).

Telegramma per corriere di V. E. n. 5379 (1). Per questione S.V.E.A., è desiderabile che io sia fin da ora autorizzato, ove risulti indispensabile, in conformità direttive verbalmente datemi al mo

mento della mia partenza da Roma, a dare affidamenti che somma inscritta in bilancio per assicurare efficienza nostro credito non verrà praticamente richiesta perdurando attuali ristrettezze bilancio albanese, che, come ho personalmente esposto, nostra proposta aiuti finanziari non possono giungere a modificare radicalmente subito.

Tali affidamenti costituiscono punto essenziale transazione da noi proposta nei confronti richiesta albanese per una moratoria formale e totale.

Debbo far presente che situazione qui non si presenta molto favorevole dato che, secondo mi viene riferito per altre questioni da concordare per conclusione accordo, cioè gestione porto di Durazzo il Re, evidentemente in seguito a forti pressioni che gli rimproverano di cederci per qualche milione anche il porto di casa, comincerebbe a dimostrarsi ostile persino alla soluzione della Società.

Chiedo a V. E. risposta urgente dato che certamente avrò col Sovrano colloquio conclusivo mercoledl 12 corrente (l).

(l) Vedi D. 350.

358

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3171/384 R. Londra, 9 giugno 1935, ore 20,28 (per. ore 1,40).

Con mio telegramma n. 383 (2) ho comunicato a V. E. composizione del nuovo Gabinetto.

Esso corrisponde esattamente a quanto da tempo si sapeva negli ambienti politici (vedere telegramma del R. Ambasciatore n. 371 (3) e non ha destato perciò che scarso interesse. In realtà, come V. E. avrà notato, si tratta soltanto di una distribuzione di portafogli con la quale conservatori hanno assunto per sé i soli due posti politicamente importanti che nel Gabinetto MacDonald non avevano: quello di Primo Ministro e quello di Ministro degli Affari Esteri. Carattere conservatore del Gabinetto è così rafforzato e precisato.

A MacDonald è stato attribuito un ufficio di natura più che altro onoraria, a Simon un Dicastero che nell'ordinamento politico-amministrativo britannico ha scarsa importanza. Tuttavia essi restano nel Governo a mantenere al Gabinetto il suo carattere di coalizione nazionale.

Questo fatto ha un valore prevalentemente elettorale. Conservatori vogliono presentarsi prossime elezioni con la stessa base e nella stessa veste con la quale si presentarono alle elezioni del 1931, abbandonando così carattere di un partito politico per assumere quello di un regime stabile e permanente di Unione Nazionale. Essi pensano di potere così affrontare più vantaggiosamente i laburisti e di assorbire o distruggere a loro vantaggio le ultime superstiti forze liberali.

Per quanto riguarda direzione della politica estera a Eden è stato preferito Sir Samuel Hoare. Eden tuttavia, che come Lord del Sigillo Privato non faceva parte del Gabinett'J, è stato nominato senza portafoglio, Incaricato degli Affari della Lega delle Nazioni. È stato così mantenuto ed anzi formalmente consacrato quello sdoppiamento dell'Inghilterra nella condotta degli Affari Esteri, che si era venuto a creare con Simon.

Quanto questo sdoppiamento sia esatto è difficile dirsi, ma anche esso ha un certo valore elettorale, poiché il Governo si prepara alla campagna elettorale con un programma societario e ha voluto con la nomina di un Ministro espressamente incaricato degli Affari della Lega delle Nazioni dare rilievo a questo fatto. La data delle elezioni non è ancora fissata ma è opinione prevalente che esse avranno luogo entro ottobre.

(l) -Per la risposta vedi D. 364. (2) -T. 3167/383 R. del 9 giugno 1935 ore 13,48, non pubbli<!ato. (3) -T. 3058/371 R. del 5 giugno 1935, ore 22,22, non pubblicato.
359

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

PROMEMORIA. [Roma, 9 giugno 1935] (1).

Il taglio dell'istmo di Suez, iniziatosi nel 1857 e compiuto nel 1869, trova la sua base in due atti di concessione del Viceré d'Egitto alla Compagnia del Canale emanati negli anni 1854-56, e confermati da un firmano del Sultano del 1866.

Già nel secondo dei detti atti di concessione si dichiara, all'art. 14, che i'l Canale sarà aperto per sempre come passaggio neutro a tutte le navi di commercio senza distinzione, esclusione o preferenza di persona o nazionalità, mediante il pagamento dei diritti, pur di attenersi ai regolamenti stabiliti dalla Compagnia del Canale.

Tali atti di concessione riguardavano solo il Vicerea<me d'Egitto, nonché lo Stato «suzerain » cioè l'Impero ottomano da un lato, e la Compagnia del Canale dall'altro; ma non potevano avere portata internazionale.

Ma il Canale rappresentava e rappresenta una opera di tale importanza per la navigazione mondiale sia dal punto di vista commerciale che dal punto di vista strategico, e quindi politico, che le Potenze non potevano disinteressarsene.

La Gran Bretagna si oppose inizialmente a che l'opera fosse compiuta, ma quando s'accorse che non riusciva a impedirne il compimento curò di intaccare da prima ed eliminare poi la preponderante posizione assunta dagli interessi francesi nella Compagnia del Canale, come in Egitto.

Un primo passo britannico, fu l'acquisto compiuto in segreto nel 1876 da parte del Governo inglese delle 176 mila azioni della Compagnia del Canale

poste in vendita dal Kedivé per bisogno di danaro. Questo blocco di azioni fu man mano aumentato tanto che oggi dalle 800 mila azioni ordinarie della Compagnia oltre 300 mila sono in mano del Governo britannico; ma altre delle rimanenti si trovano in mani private britanniche.

Attualmente nel Consiglio di amministrazione della Compagnia, composta di trentadue Consiglieri, vi sono dieci consiglieri di nazionalità britannica, dei quali solo tre nominati direttamente dal Governo di Londra, ventuno Consiglieri francesi ed uno olandese.

Lunghe furono le vicissitudini politiche e le trattative diplomatiche dirette a flssare la situazione internazionale del Canale di Suez, particolarmente per quanto riguarda il libero transito e l'uguaglianza del trattamento alle navi di tutte le bandiere. Tali trattative furono connesse con lo svolgimento della azione politica, particolarmente dei Governi di Londra e di Parigi, in relazione a la situazione dei territori ottomani del Mediterraneo Orientale e specialmente dell'Egitto.

Nel 1882 la Gran Bretagna occupava l'Egitto. Nel 1883 il Governo britannico diramava una circolare a tutti i Governi nella quale si poneva come condizione base della situazione internazionale del Canale il libero passaggio di tutte le navi.

Dal marzo al giugno 1885 si riunì a Parigi una Commissione Internazionale che formulò il progetto base della Convenzione che, dopo lunghe trattative diplomatiche, fu firmata a Costantinopoli nel 1888 dall'Italia, Gran Bretagna, Francia, Germania, Austria-Ungheria, Spagna, Olanda, Russia, Impero ottomano, e che costituisce a tutt'oggi lo Statuto internazionale del Canale di Suez.

La Convenzione del 1888 stabilisce i seguenti principi:

a) libero uso del Canale tanto in tempo di pace come in tempo di guerra alle navi di commercio e alle navi da guerra; b) divieto di compiere operazioni di guerra nel Canale; c) uguale trattamento per tutte le bandiere; d) particolari poteri del Governo egiziano o ottomano, anche in ecce

zione alle norme anzidette, per assicurare la difesa dell'Egitto, il mantenimento dell'ordine pubblico e le disposizioni della Convenzione del 1888;

e) divieto di elevare fortificazioni permanenti lungo il Canale;

O costituzione di una Commissione di vigilanza composta dei rappresentanti in Egitto delle Potenze firmatarie per constatare l'esecuzione delle disposizioni della Convenzione e segnalarne le eventuali violazioni.

Al momento della chiusura dei lavori di Parigi del 1885 come pure all'atto della firma della Convenzione del 1888, la Gran Bretagna espresse però una dichiarazione nel senso che essa «aveva il dovere, relativamente alle disposizioni del presente Trattato, di formulare una riserva generale nei riguardi dell'applicazione di tali disposizioni, nel caso che queste non dovessero essere conciliabili con la situazione provvisoria e con lo stato di transitorietà nel quale si trovava l'Egitto e in quanto tali disposizioni del Trattato potessero limitare la libertà d'azione delle forze inglesi durante il periodo dell'occupazione dell'Egitto,.

Tale riserva inglese, che intaccava notevolmente il valore della firma apposta dalla Gran Bretagna alla Convenzione, deve oggi considerarsi decaduta, sia per le disposizioni dell'art. 6 della Convenzione anglo-francese dell'8 aprile 1904, che ribadisce il principio del lipero passaggio del Canale, sia perché è da tempo cessato lo stato di transitorietà e d'incertezza determinato dall'occupazione britannica dell'Egitto. La situazione giuridica del quale Stato è oggi precisata dalla dichiarazione unilaterale britannica di indipendenza egiziana.

Quanto precede, in linea di diritto.

In linea di fatto, è da considerare che la Gran Bretagna è praticamente padrona dell'Egitto, che essa occupa con proprie truppe, dislocate specialmente lungo la zona del Canale.

Non è quindi del tutto da escludersi che essa, sia a seguito di deliberazioni ginevrine, sia, ove lo ritenga necessario, per la difesa di suoi fondamentali interessi politici, possa, escogitando cavilli giuridici, violare sostanzialmente le disposizioni della Convenzione del 1888, ostacolando o vietando il transito del Canale a navi di un determina;to Stato (1).

(l) La data è stata desunta da un appunto di trasmissione del promemoria all'ammiraglio Cavagnari.

360

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 1038/103 R. Roma, 10 giugno 1935, ore 24.

Suo telegramma 066 (2).

Onorevole Suvich avuto già occasione spiegare a Vollgruber portata colloqui coll'Ambasciatore von Hassell. Non posso che confermare quanto detto da Sottosegretario. Non c'è stato neanche da parte germanica alcun accenno a trattativ·e dirette fra Italia e Germania per quanto riguarda Austria. Negli incontri avuti a Roma con me e a Palazzo Chigi Ambasciatore Hassel si è limitato a riportare sua impressione di una migliore atmosfera in Germania nei riguardi Italia. Si è convenuto opportunità temperare atteggiamento polemico stampa dei due Paesi che durava da molti mesi. Da parte nostra si è avuto principalmente di vista opportunità temperare campagna ostile stampa tedesca nei riguardi azione italiana in Africa Orientale.

Per quanto riguarda il Patto di non ingerenza Ambasciatore tedesco ha fatto sapere che Governo germanico non ha mutato sue disposizioni di esaminare la questione; attende da parte nostra comunicazione dettagliata su risultato conversazioni in corso; non risponderà a osservazioni italiane e francesi considerandole avvenute in fase ormai superata;_ non potrà ripetere a favore Patto di non ingerenza dichiarazioni fatte a favore Patto Orientale durante riunione di Stresa. Ricordo che secondo tali dichiarazioni Germania, caso in

tervento Patto orientale non aggressione, non si sarebbe opposta a conclusione accordi particolari mutua assistenza fra alcuni partecipanti detto Patto purché ciò avvenisse con atto separato. Quindi per Patto non ingerenza Germania non accetterebbe accordi particolari mutua assistenza anche se fatti al di fuori patto stesso.

V. S. vorrà spiegare a Cancelliere che se pure atteggiamento singole Potenze nei riguardi azione Africa Orientale ha potuto portare qualche turbamento nei rapporti dell'Italia con dette Potenze, è nostra ferma intenzione che nulla sia mutato per quanto riguarda accordi in favore indipendenza e integrità Austria. Parlare perciò in tale riguardo di rottura del fronte di Stresa è assolutamente fuori luogo.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Vedi D. 332.
361

COLLOQUIO DEL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, CON IL MINISTRO DI ROMANIA A ROMA, LUGOSIANU

APPUNTO. Roma, 10 giugno 1935.

Mi ha chiesto informazioni sulle nostre intenzioni circa la Conferenza danubiana. Gli ho fornito ragguagli sullo stato attuale dei negoziati nel quadro della situazione politica europea.

Lugosianu ha mostrato di tenere a mettere in mostra lo spirito di moderazione di cui finora ha dato prova Titulescu ed il rammarico che non sia stata presa in considerazione la sua idea di una conferenza preliminare in Italia.

Mi è parso opportuno chiarirgli che nella perdurante attesa di una risposta all'ultima nota inviata a Lavai, il R. Governo non poteva allontanarsi dalla linea di condotta seguita finora, tanto più che dopo il discorso di Herriot e dopo le prime battute della conferenza navale anglo-tedesca di Londra è da presumere che la Germania sarà chiamata ad assumere nella questione danubiana una parte differente da quella prevista in principio. Nell'attesa che Lavai abbia la possibilità di conferire con la Piccola Intesa, il R. Governo non poteva fare altro che procedere, da parte sua, nelle conversazioni di Venezia con l'Austria e l'Ungheria, dove sono stati raggiunti, come è noto risultati di una certa importanza.

Ho voluto profittare dell'occasione della sua visita per mettere bene in chiaro col signor Lugosianu che la politica del R. Governo non ha subito in questa questione alcuna alterazione, dato che da varie fonti m'è stato possibile assodare che egli non ha sempre finora esattamente riferito a Titulescu quanto gli avevamo detto Suvich ed io in precedenti colloqui (1).

(l) Il presente documento reca il visto d! Mussol!n!.

362

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 10 giugno 1935.

L'Ambasciatore di Cina comunica che il suo Governo ringrazia il R. Governo per l'appoggio dato a Ginevra dal Delegato italiano alla richiesta cinese diretta ad cttenere un seggio nel Consiglio della Società delle N azioni (l).

Il Governo cinese sarà vivamente grato al R. Governo se il Delegato italiano, durante la prossima sessione, vorrà continuare ad appoggiare la richiesta di cui sopra e se, al fine di assicurarne il successo, vorrà anche intrattenerne i Delegati polacco e argentino, i quali sembrano essere i soli non del tutto favorevoli (2).

363

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BERNA, MARCHI

T. 5611/52 P. R. Roma, 11 giugno 1935, ore 1.

Suo telegramma n. 38 (3).

Mentre questo Ministero dispone opportune indagini, sarà bene V.S. segnali codesto Governo informazione pervenutale, interessandolo accertare sua esattezza; aggiungendo che, in caso informazione sia confermata, R. Governo non potrebbe non manifestare il proprio disappunto, in considerazione delle assicurazioni date a V. S. dal signor Motta (v. telespresso di codesta R. Legazione n. 2066/530) (4).

Sarà opportuno che V. S. agisca tempestivamente in tal senso ogni qual volta le pervengano informazioni di simile natura, onde cercare di impedire esportazioni dalla Svizzera di materiale bellico destinato all'Etiopia.

364

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A TIRANA, INDELLI

T. 5627/64 P. R. Roma, 11 giugno 1935, ore 18.

Suo telegramma n. 59 (5).

In relazione a considerazioni e a Sua proposta per SVEA, sta bene occorrendo che Ella dia a Re Zog anche affidamento che nei prossimi cinque anni

somme iscritte in bilancio per servizio prestito SVEA non saranno praticamente richieste ove perdurino attuali ristrettezze bilancio albanese, aggiungendo che questa come altre concessioni si intendano subordinate alla leale e cordiale collaborazione politica fra i due Governi che si mira a ripristinare coi negoziati in corso.

365.

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3312/023 R. Ankara, 11 giugno 1935 (per. il 17).

Mio rapporto n. 1482/617 del 10 corrente (1).

Ho tenuto a Tewfik Rustu Aras il seguente discorso:

«Ho seguito con la massima attenzione tutta la propaganda che voi fate per l'incremento della vostra flotta aerea. Ne apprezzo e condivido pienamente le ragioni. Ho ammirato la pronta spontaneità con la quale il paese ha subito e generosissimamente corrisposto al vostro appello. Anche ai fini di una accennata eventuale possibilità di alleanza militare italo-turca un vostro rafforzamento aerea è utile anche a noi e non possiamo che compiacercene.

Perciò nella maniera più seria e precisa pongo a vostra disposizione la vasta e grande esperienza italiana in questa materia. Non avete che a dirmi quello che desiderate dall'Italia. Enumero quanto potremmo fare: visita di una vostra missione ai nostri stabilimenti industriali dell'industria aviatoria, alla nostra organizzazione e centri militari aerei, invio di specialisti in Turchia, acquisti presso nostre fabbriche, ecc. Dite voi quello che desiderate.

Nei primi tempi del mio arrivo in Turchia mi diceste che la profonda amicizia con l'U.R.S.S. derivava in primo luogo dal fatto che i Sovieti vi avevano dato armi e denaro, che armi e denaro si danno ai popoli amici. Io sono sicuro che l'Italia è pronta ad aiutarvi in questo armamento. Non avete che precisare quanto volete. Ma insisto tanto in questa offerta in quanto in qualche corrente della vostra opinione pubblica si ripete con insistenza che i vostri nuovi armamenti aerei sono diretti a difendervi dall'Italia, e si ripetono curiose frasi attribuendole a qualche vostro alto personaggio. E' proprio perché non cl credo affatto che vi ripeto nel modo più fermo e preciso l'offerta. Ma poiché tali voci certamente circolano e si ripetono, non vi è migliore mezzo di smentirle che offrirvi noi stessi le armi di cui avete bisogno :..

Tewfik Rustu Aras ha negato l'esistenza di simili dicerie (ma non certo con netta energia), mi ha ringraziato dell'offerta che egli avrebbe subito portato a conoscenza del Governo e specialmente del Ministro della Difesa Nazionale. Mi avrebbe dato al più presto risposta.

Dalla risposta definitiva trarro quelle più chiare deduzioni che saranno possibili. Confido che v. E. vorrà non disapprovare questo mio gesto (2).

366.

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3313/024 R. Ankara, 11 giugno 1935 (per. il 17).

Seguito mio telespresso n. 1483/618 dell'H corrente (1).

Tewfik Rustu Aras mi ha detto che aveva avuto insistente richiesta di invio di ufficiali turchi in Abissinia. Egli aveva fermamente declinato la richiesta, dichiarando che ciò gli era vietato dai suoi rappocti di amicizia con l'Italia. Il giorno in cui il conflitto con l'Abissinia fosse composto egli non sarebbe stato alieno dal riprendere in esame la domanda se gli fosse ripetuta, ma non prima di tal momento. Ha poi recisamente affermato che nessun genere di armamento potrebbe mai partire dalla Turchia per l'Abissinia.

Lo ho ringraziato di tali dichiarazioni, che non avrei mancato recare subito a conoscenza di S. E. il Capo del Governo. Giudichi S. E. il Capo del Governo se incaricarmi fargli pervenire una parola di cortesia.

Mi ha poi detto che di qui a poco invierebbe in Abissinia un Incaricato d'Affari. L'abissino è ad Ankara ormai da un paio di mesi e gli è difficile tardare il ricambio col turco. Aveva chiesto allo Stato Maggiore l'invio temporaneo di un Addetto Militare «per essere informato della realtà della situazione militare abissina» che egli ignora totalmente così come ignora alcunché dello Stato abissino.

Circa il generale Vahib Pascià mi ha detto che questi fa parte di quei centocinquanta ai quali col Trattato di Losanna fu tolta la cittadinanza turca, che questi con la Turchia non ha nulla a che vedere, che è un acerrimo nemico di Ataturk.

Gli ho risposto che tutto ciò sarebbe bene fosse chiaramente spiegato nella stampa, poiché l'opinione pubblica non può conoscere chi sia Vahib Pascià, e può facilmente collegare questo nome con la supposizione di un appoggio turco all'esercito abissino. Tewfik Rustu Aras ha assentito e promesso di fare.

367.

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1485/620. Ankara, 11 giugno 1935 (per. il 17).

Il recente viaggio del Ministro Goering nell'Europa Centrale e nei Balcani non ha mancato di suscitare sulla stampa ed in questi ambienti un partico

(l} Non pubblicato.

lare interesse. Il loro ragionamento è il seguente: Budapest e Sofia rappresentano i due principali poli di opposizione al mantenimento dello statu qua nell'Europa Danubiana e Balcanica ma il Reich, essendo egualmente interessato a por fine alla situazione di fatto esistente, non può non avere sia con l'Ungheria sia con la Bulgaria una comunità di vedute, integrandola logicamente con una minaccia di dislocazione della Piccola Intesa nei riguardi della prima, e dell'Intesa Balcanica nei confronti della seconda.

Circa la Jugoslavia, alleata della Francia e membro della Intesa Balcanica e della Piccola Intesa, il gioco tedesco è di conseguenza più complesso ma non mancano d'alt:~a parte alla Germania delle circostanze di fatto da avvalorare, in certo qual modo, delle speranze concrete.

È innegabile il riconoscere che il Reich goda nell'Europa Centrale di una preponderanza economica che costituisce, per il fatto stesso dell'essere la Germania uno sbocco assai importante per la Jugoslavia e la Romania e per l'obbligo che hanno questi paesi di acquistare prodotti germanici, una forza politica non indifferente. Altro coefficiente favorevole alla Germania risiederebbe nell'antagonismo itala-jugoslavo circa il problema dell'Europa Centrale.

Fintanto che l'Italia e la Germania avevano una linea politica in comune, la Jugoslavia trovava facile opporsi ad entrambe, ma dal giorno in cui le relazioni itala-germaniche si sono tese, appunto per il problema dell'Austria, la Jugoslavia si sarebbe assegnata una politica che consiste ad evitare sia la preponderanza ge-rmanica sia quella italiana in Austria, con la subordinata, dice Esmer nella Turquie, che se una delle due dovesse prevalere, la Jugoslavia preferirebbe scegliere quella germanica.

Tale certezza costituisce il punctum saliens nel gioco d'interferenza germanica, e dovrebbe tendere, nel pensiero di Berlino, all'ingresso della Jugoslavia nell'orbita tedesca. Tale avvicinamento tra Belgrado e Berlino costituirebbe per quest'ultima un fatto non meno importante di quello rappresentato dalla Polonia. Ma la cosa non sembra possibile perché la Jugoslavia sarebbe costretta, in precedenza, a rompere l'alleanza francese, uscire dalla Piccola Intesa, ritirarsi dall'Intesa Balcanica; d'altra parte non sarebbe facile alla Germania di conciliare, ad esempio, le divergenze che separano l'Ungheria dalla Jugoslavia. Né va dimenticato che la Francia si adopera a conciliare gl'interessi italiani e jugoslavi per far comprendere che l'Italia non ha alcuna pretesa sull'Austria e che la migliore garanzia di sicurezza dell'Austria, in funzione antigermanica, non si può trovare che in una collaborazione internazionale appunto per la salvaguardia della sua indipendenza.

Di conseguenza, essendo queste le impressioni politiche prevalenti nei circoli turchi, il viaggio di Goering ha, in certo qual modo, scosso quell'atteggiamento tendenzialmente contrario ad ogni politica di isolamento della Germania che la Turchia aveva finora mirato a salvaguardare, ed è da prevedere che, se l'azione germanica nei Balcani si intensificasse, anche questo Paese finirebbe con l'essere attratto palesemente nell'orbita delle Potenze anti-germaniche per la difesa dei propri interessi minacciati da un rinato Drang nach Osten.

37~

(l) -Vedi D. 260. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (3) -Con T. 5667/38 P.R. del 6 giugno 1935, ore 11,40, Marchi informava dell'acquisto da parte di un Consorzio tedesco di arm~ presumlbilmente destinate all'Etiopia. (4) -Non pubblicato. (5) -Vedi D. 357. (l) -Non pubbllcato. (2) -Una annotazione a margine dice: «D'ordine non rispondere».
368

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 2722/1074. Mosca, 11 giugno 1935 (per. il 17).

Appena qualche settimana, se non addirittura qualche giorno prima del suo arrivo a Mosca, Benes aveva concluso e firmato con l'U.R.S.S. un trattato di assistenza mutua, e cioè una alleanza, una convenzione aerea, un accordo -importante -commerciale e finanziario, una convenzione sulla proprietà industriale, etc. etc.

Tutto ciò quindi che, così nel campo politico come in quello economico, era possibile in un primo momento di fare fra i due paesi era già praticamente stato fatto. Era pertanto difficile che la visita potesse segnare tappe veramente nuove sul cammino dell'amicizia ceco-sovietica. Essa poteva soltanto registrare tappe già compiute, al tempo stesso stabilendo, a favore della Cecoslovacchia, una certa priorità nelle precedenze fra le nuove amicizie del

U.R.S.S.

Era la prima volta, tuttavia, che un rappresentante cecoslovacco si presentava sulla soglia della Russia sovietica. L'avvenimento aveva quindi perciò stesso non certo l'importanza «storica» che, nella sua modestia ed attraverso un evidente trucco di date, Benes ha voluto attribuirle, bensì il valore di una diretta e solenne presa di contatto fra rappresentanti di due paesi, cui la comunanza di postulati in politica estera, appoggiata ad una comunanza di razza, necessariamente assegnano un lungo percorso di comune cammino.

In tutte le manifestazioni esteriori e verbali dell'incontro non si è naturalmente parlato mai di slavismo: Benes ne ha parlato una volta sola -prima di partire -ma per... escluderlo. Pure, è proprio quella la pietra sulla quale i due pontefici della pace europea edificheranno fatalmente la loro Chiesa... Nel suo discorso ufficiale Benes ha senz'altro sacrificato, a favore di quella russa, la stessa lingua propria e parlato in russo. «E' già, siamo slavi», diceva semplicemente la signora Benes.

La cronaca della visita, che è raccolta in telespresso a parte (1), non presenta speciale interesse. La visita è stata lunga e ha compreso mezza Unione: Mosca-Leningrado-Karkov-Kiew. Un vero tour de propriétaire. Accoglienze festose e -si può dire -sinceramente cordiali dovunque.

Quanto alle conversazioni politiche, esse si sono praticamente esaurite nella stessa giornata dell'arrivo.

Tanto per mostrare che, non astante tutto, due persone di buona volontà potevano sempre trovare qualche cosa di nuovo da fare, i due Ministri hanno nientemeno che firmato -per il resto non facendo che ratificare il già firmato -un accordo sui pacchi postali. Hanno inoltre buttato le basi di una estesa cooperazione culturale. Data la comunanza di razza, ciò ha un certo valore sia perché dà lo sfondo a tutto il quadro delle relazioni ceco-sovietiche sia perché punto di partenza di sicuri· sviluppi.

Quanto alla politica estera, il solito giro d'orizzonte, giro ed orizzonte che, però, dati gli uomini a colloquio, non potevano essere che... sconfinati.

Oggetto principale: sicurezza europea e, specialmente, patto orientale.

Risultati, come già detto, nulli e ciò per la materiale impossibilità di raggiungerne a così poca distanza da quelli già conseguiti. Anche il colloquio Stalin -naturalmente meno lungo di quello con Lavai, sia perché tenuto senza interpreti, sia per doverosa osservanza di distanze -nulla ha aggiunto perché nulla poteva aggiungere: «Che cosa volete che potessimo dire ~ -mi rispondeva Litvinov -«si è parlato un po' di tutto. Quello che c'era da fare è ormai

fatto~.

Le conclusioni, se tali si possono chiamare delle conversazioni sono pertanto rappresentate oltreché dalla constatazione generica della comune via da percorrere -quella naturalmente della pace -anche dal vaglio dei mezzi allo scopo ritenuti necessari nel momento dato. Interessante da questo punto di vista, come indice della mentalità che si va sempre più affermando nei sostenitori professionali della pace europea, la seguente annunciazione del comunicato:

« I rappresentanti dei due stati hanno dovuto constatare che il senso di inquietudine per la sorte della pace universale, che si è impossessato delle nazioni di Europa durante questi ultimi anni, non solo non si è calmato, ma, al contrario, è divenuto più intenso, in seguito alla opposizione manifestatasi contro le misure tendenti a garantire la sicurezza dei paesi europei mediante sforzi collettivi progettate in varie conferenze internazionali e durante le riunioni di uomini di Stato a Ginevra~.

La puntata è naturalmente diretta contro la Germania. Interessa, peraltro, rilevare che, secondo la nozione Benès-Litvinov (comune naturalmente a quella dei pentarchi delle due Intese e dello stesso Lava!) chiunque ormai rifiuti di partecipare a quel qualunque patto di assistenza mutua che gli venga proposto da altri diventa, per ciò stesso, un nemico pubblico ed un pericolo per la pace... Ragionamento che viene applicato oggi alla Germania, ma che domani potrebbe essere applicato a noi per il patto mediterraneo.

Rlaffermato, quindi, per la ennesima volta il nuovo ma già immortale principio della « indivisibilità della pace~. il comunicato conclude:

«Riconoscendo che i patti di mutua assistenza, recentemente conclusi tra l'U.R.S.S. e la Francia e tra l'U.R.S.S. e la Cecoslovacchia, sono una parziale realizzazione di queste misure, i partecipanti alle conversazioni hanno confermato la determinazione dei loro governi di continuare i loro sforzi per rimuovere gli ostacoli sorgenti sulla via di una più vasta organizzazione collettiva della sicurezza ~.•

Ho sottolineato la parola « parziale ~ perché essa mi sembra racchiudere il succo di tutte le conversazioni politiche dell'incontro. Essa ha una doppia portata.

Come ho già rilevato anche in rapporti precedenti, la posizione tattica adottata dal gruppo franco-sovietico è che, con la conclusione dei due patti di assistenza mutua non può ancora ritenersi compl-etamente rea:lizzato il «sistema di sicurezza orientale ~ previsto dagli accordi di Londra. Fin quando ciò non sia, e data la priorità (prior intempore potior in iure) del sistema di sicurezza orientale su quelli similari proposti dopo, il gruppo si «riserva :. la facoltà {potrà o non potrà usarne a seconda del caso) di contestare che altri possa far luogo ad altre misure di sicurezza, come potrebbe essere -in primo luogo il patto aereo. Si tende con ciò ad obbligare l'Inghilterra, se vuole il patto aereo, a premere su Berlino per farle pregiudizialmente accettare quel famoso patto orientale collettivo che è considerato indispensabile a sanare le lacune degli

attuali trattati di assistenza mutua, nonché ad inquadrare paesi baltici e Polonia.

L'estensione, peraltro, del sistema di assistenza mutua dipende, in parte, dagli stessi partecipanti al gruppo. Come predicar agli altri la religione della assistenza mutua, senza che i predicatori la pratichino essi stessi e per intero? Ecco, quindi, profilarsi il problema della Romania, e della necessità di aggiungere l'anello romeno alla catena di patti già esistenti, il cui funzionamento, anche se soltanto... aereo, non può prescindere dall'uso del passaggio bessarabico.

Benes ha certamente quindi, e nello stesso interesse suo, spezzato qui una lancia a favore del collega Titulescu. E' sintomatico che la pubblicazione del comunicato sulla visita di Benes coincide {si potrebbe anche dire -dato che la visita finisce ufficialmente solo il 13 mentre il comunicato è stato pubblicato il 10, ed il riconoscimento romeno-sovietico è del 9 giugno 1934 -è stata fatta coincidere esattamente) con un cordialissimo scambio di telegrammi fra il signor Titulescu ed il signor Litvinov, rievocanti il primo annuale delle relazioni diplomatiche fra la Romania e l'U.R.S.S.

Il che, naturalmente, non vuol dire che Romania e U.R.S.S. addiverranno senz'altro ad un patto di assistenza mutua. Data l'attitudine, che ritengo su questo punto recisamente ostile, di Varsavia, un patto simile non potrebbe esser compiuto senza previa « liquidazione » dell'alleanza romeno-polacca, ciò che però potrebbe anche costare a Titulescu la sua vita ministeriale... Ma significa però che -intercedente Benes -Litvinov sarà forse indotto a modificare alquanto l'atteggiamento puramente passivo che aveva egoisticamente assunto in materia {mio rapporto del 5 corrente n. 1036) {1).

Come ho anche telegrafato a V. E. (2) sono state rilevate delle lunghe conv•ersazioni Benes-Voroscilov. A me che gli domandavo, durante il ricevimento alla Spiridonovka, dove fosse Benes Litvinov rispondeva ridendo ed additando in un angolo il Ministro cecoslovacco in una conversazione serrata col Commissario Sovietico della Difesa: « You cannot see him now, he is discussing a military conv·ention with Voroscilov :~> ••• In questo c'era del joke ma c'era anche della verità. Ora che il trattato di assistenza mutua c'è e c'è una convenzione aerea, sarebbe assurdo pensare che le parti non se ne servano agli scopi per cui quei patti furono conclusi e cioè quelli di una comune difesa da un possibile attacco tedesco.

Nel giro di orizzonte compiuto dai due Ministri è naturalmente stato compreso anche il patto danubiano. Me lo ha confermato lo stesso Benes aggiung;mdo pure che, in materia, «le idee di Litvinov coincidono su per giù con quelle italiane... :~>. Segno che il Commissario sovietico aveva dovuto esprimersi nello

stesso senso della conversazione avuta con me e che io ho riferito nel rapporto del 7 corrente n. 1057 (1). All'infuori di quelli indicati, non so, alla visita di Benes, assegnare altri compiti e altri risultati (2).

(l) Non pubblicato.

(l) -Vedi D. 346. (2) -Con T. 3187/126 R. dell'll giugno 1935, ore 5,13, non pubbl1ca.to.
369

L'AMBASCIATORE IN CINA, WJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3227/187 R. Shanghai, 12 giugno 1935, ore 10 (per. ore 3,30 del 13).

Situazione nella Cina settentrionale (3), migliorata dal punto di vista del pericolo di una azione militare con eventuale conseguente occupazione territoriale più o meno temporanea, deve invece considerarsi aggravata dal punto di vista della soluzione di inevitabile acquiescenza, che Governo cinese ha dovuto adottare di fronte alle domande delle Autorità militari giapponesi.

Queste domande comprenderebbero, a quanto si dice, ritiro del cinquantunesimo corpo d'armata e delle divisioni seconda e venticinquesima dalla Provincia di Hopei, nonché scioglimento delle organizzazioni del partito nazionale e delle camicie azzurre a Pechino e Tientsin.

Comandanti giapponesi continuano a accusare senza riguardo Generalissimo di azione subdola intesa a perpetuare sentimenti antigiapponesi nella popolazione cinese.

Questa pretesa dei comandanti militari dell'armata giapponese di imporre con la pistola al petto della vittima la cessazione dei sentimenti di avversione di questa contro proprio aggressore, costituisce gesto del tutto privo di psicologia che riconduce molto indietro rapporti cino-giapponesi.

Governo e popolo della Cina non possono che trarre da una maggiore rassegnazione maggiore resistenza, secondo definizione data a me dallo stesso Wang Ching Wei.

Colpo portato dal Giappone alla sovranità della Cina sulla grande e illustre provincia dello Hopei, ove siede antica città imperiale e importante centro di Tientsin, è grave giacché praticamente è stato imposto da una parte e ammesso dall'altra un controllo sopra attività di pura politica interna.

Tale controllo, in principio eccezionale, può finire con avere sviluppi normali e continuativi, giacché nulla esclude che con pretesti di infrazione e con ragioni di sicurezza autorità militari giapponesi giungano gradatamente a stabilire propri organi permanenti di sorveglianza e di guida accanto alle autorità territoriali cinesi nella provincia suddetta.

Polij;lca Giappone di cogliere foglia per foglia nell'Asia Orienta:l:e cinese e russa le fronde della grande corona imperiale viene attuandosi e proseguirà fino a quando per troppa estensione perderà suo attuale privilegio in questo Stato,

che è quello della irraggiungibilità, e si arresterà -almeno per quello che riguarda la Cina -di fronte ad una massa più concentrata e più modernamente organizzata che un giorno non sarà più disposta a cedere il passo indefinitivamente.

Se dietro la Cina si troverà mondo occidentale, tanto più presto si verificherà punto di equilibrio e di arresto.

Intanto questa spinta giapponese sembra abbia formalmente facilitato rapporti tra Nanchino e Canton verso una finalità collegata alla necessità di [fare] fronte a nemico esterno.

Si annunzia che noto capo Canton Hu-Han-Min si è imbarcato su «Conte Verde ~ attualmente in viaggio verso Europa con apparente motivo di prendere riposo, ma forse con proposito di sgomberare terreno per un eventuale avvicinamento di Canton verso Nanchino.

(l) -Vedi D. 352. (2) -Il presente documento reca 11 visto d! MussoHnl. (3) -Vedi D. 290 e 308.
370

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3217/130 R. Vienna, 12 giugno 1935, ore 14,20 (per. ore 18).

In assenza del Cancelliere mi sono intrattenuto col Ministro degli Affari Esteri nel senso di cui al telegramma di V. E. n. 103 ed al telegramma per corriere n. 1005 (l).

Berger-Waldenegg ringrazia vivamente V. E. per cortesi informazioni, che comunicherà a Cancelliere non appena di ritorno.

Egli ha osservato che «mentre, come sempre, tutto è chiaro e preciso fra l'Italia e Vienna », non possono non rilevarsi alcune perplessità sorte altrove a seguito intensissima propaganda tedesca, la quale cerca insinuare pretesi turbamenti sopraggiunti nel fronte di Stresa. Ha aggiunto che ciò si noterebbe sopratutto a Belgrado ed a Bucarest, mentre Praga resterebbe assai ferma.

Al riguardo Waldenegg ha ricevuto una lunga comunicazione da Benes, che farà pervenire a V. E. a mezzo Ministro di Austria.

371

L'AMBASCIATORE GUARIGLIA, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

.APPUNTO. Roma, 12 giugno 1935.

La situazione politica italo-inglese per quanto riguarda la faccenda etiopica è attualmente stagnante. L'arbitrato è in corso. Ma gli abissini continuano a sostenere che gli arbitri dovranno esaminare i trattati delle frontiere, ciò che praticamente equivale

29 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. I

a spostare l'incidente di Ual-Ual da uno stato di fatto a uno stato di diritto che ci sarebbe sfavorevole non soltanto ai fini della sentenza arbitrale, ma -ciò che più importa -ai fini della impostazione di tutto il nostro conflitto con l'Abissinia. È evidente infatti che le accuse al Governo etiopico e le finalità con cui noi giustifichiamo ora la nostra politica e poi dovremo motivare la nostra azione militare contro l'Etiopia perderebbero qualche valore quando fosse constatata ufficialmente l'usurpazione da parte nostra di territorio abissino nella Somalia. I nostri agenti ed arbitri dovranno mantenere quindi la posizione da noi assunta che la questione delle frontiere è e deve restare esclusa dal compromesso arbitrale. Se gli abissini non cederanno, è da prevedersi che l'arbitrato si arenerà e non si potrà procedere alla nomina del quinto arbitro, poichè i nostri vi si dovranno rifiutare per non incorrere nel tranello che sia questi a decidere se debba o no trattarsi della questione deUe frontiere.

È verosimile quindi che le discussioni da iniziarsi a Scheveningen il 25 giugno non porteranno a nessun risultato pratico, a meno che noi non cl dimostreremo condiscendenti per motivi completamente estranei, anzi contrari alla nostra convenienza politica, e cioè al solo scopo di guadagnare tempo per ragioni di nostra convenienza militare. Con tutta probabilità il 25 luglio entrerà dunque in giuoco il deliberato di Ginevra, e quindi il Consiglio della

S.d.N. si riunirà per esaminare la situazione salvo che i quattro arbitri d'accordo domandino una proroga. La crisi italiana nella S.d.N. sembra dunque vicina, ed è forse il caso di decidere fin da ora la nostra linea di condotta almeno in linea di massima.

Inutile illudersi di convincere l'Inghilterra a rinunziare a far intervenire la S.d.N. nella questione. Altrettanto inutile illudersi che la Francia rimanga fino in fondo al fianco nostro e non collabori invece con l'Inghilterra per salvare il prestigio ginevrino.

Noi dovremo quindi seguire soli la via che ci è indicata dai nostri supremi inderogabili interessi.

Occorre tuttavia considerare se piuttosto di giungere improvvisamente al «colpo di scena )) che verosimilmente saremo costretti ad effettuare intorno alla data del 25 luglio, non sia opportuno farlo pr~cedere fra qualche settimana da una comunicazione al Governo francese presso a poco nei termini seguenti. Tale comunicazione, di cui naturalmente Parigi si affretterebbe ad informare Londra, avrebbe lo scopo di fare un tentativo per far prevalere quanto più possibile a Parigi un'interpretazione conforme ai nostri interessi degli Accordi del 7 gennaio scorso.

l) Se arbitri non si metteranno d'accordo, o se comunque Consiglio S.d.N. intendesse intervenire nel conflitto italo-etiopico, erigendosi a giudice della vertenza e mettendo sullo stesso piede Italia ed Etiopia, Italia è assolutamente decisa a non prendere parte alle riunioni del Consiglio in cui si volesse trattare la questione. Non invierà quindi a Ginevra la propria delegazione tanto alla riunione del 25 luglio, se si terrà, quanto a qualsiasi altra riunione che fosse eventualmente provocata dall'Etiopia o da qualsiasi altro membro della

S.d.N. per discutere dell'argomento.

2) Nel notificare a Ginevra il rifiuto dell'invio della propria delegazione malgrado gli impegni assunti il 25 maggio, motivando tale rifiuto col contegno equivoco tenuto dall'Etiopia nella procedura arbitrale, Italia aggiungerà che non ritiene degna Etiopia partecipare alla S.d.N. e che pertanto, fin quando questa continuerà a farne parte, non interverrà alle discussioni societarie. Chiederà quindi formalmente l'estromissione dell'Etiopia dalla S.d.N.

3) Quale accoglienza farà la Francia a tale domanda? Se vi sarà favorevole, potrà contare sulla collaborazione italiana in tutte le altre questioni sottoposte alla S.d.N. sulla linea politica di Stresa. Altrimenti l'Italia si vedrà costretta in un primo tempo a non intervenire più praticamente a Ginevra per le faccende etiopiche e in un secondo tempo anche ad uscire completamente dalla S.d.N., non essendo compatibile con il proprio prestigio di Grande Potenza l'eventuale mancato accoglimento della sua domanda di estromissione dell'Etiopia dalla S.d.N.

4) Avvertendo finora la Francia della linea di condotta che l'Italia ha fermamente deciso di seguire, crediamo praticare verso Governo francese quella linea di lealtà e di franchezza ispirata ai nostri rapporti cordialmente amichevoli che intendiamo mantenere nell'interesse della collaborazione fra i due· paesi per quanto riguarda le grandi questioni politiche europee.

(l) Vedi DD. 360 e 341.

372

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI (l)

T. 1064/416 R. Roma, 13 giugno 1935, ore 1.

Suo telegramma n. 1108 (2). Prego rispondere Nota etiopica n. 38 nei termini seguenti, salvo osservazioni da parte della S.V.:

«Governo italiano non è d'accordo con quello che è detto ai punti 3) e 4) della Nota etiopica n. 38 e si richiama alle Note precedentemente scambiate e da ultimo a quella del 1° giugno (3).

Esso conferma una volta di più che -come risulta chiaramente dalle anzidette Note -la Commissione itala-etiopica, costituita per l'applicazione della procedura prevista dall'articolo 5 del Trattato del 2 agosto 1928 e Note esplicative del 3-4 agosto 1928, ha per preciso compito di esaminare «le circostanze di fatto nell'avvenimento di Ual-Ual del 5-6 dicembre 1934 e le responsabilità che ne derivano».

E' su tale formula che è intervenuto l'accordo fra i Governi italiano ed etiopico. Con la Nota del 16 maggio il Governo etiopico ha indicato altresì che «avrebbe continuato i suoi passi per assicurare una soluzione arbitrale completa di tutte le questioni relative alla frontiera somalo-etiopica compresavi principalmente !?interpretazione del Trattato del 16 maggio 1908 ». Ma

tale indicazione non forma oggetto del «compromesso , stabilito. Posteriormente i due Governi, secondo appare dalla Risoluzione del Consiglio della

S.d.N. in data 25 maggio u.s., hanno concordato soltanto di fare esaminare dalla stessa Commissione gli altri incidenti intervenuti nel frattempo alla frontiera italo-etiopica: non le questioni di frontiera.

L'accordo fra i due Governi nei precisi termini su indicati costituisce il « compromesso , che determina l'oggetto e i limiti dei lavori della Commissione; né essa potrebbe in alcun modo modificarlo. La Commissione, di cui si sono testé iniziati i lavori, non avrà pertanto da occuparsi come che sia di questioni attinenti alle frontiere (l).

(l) La nota contenuta nel presente documento è ed. in Il conflitto itala-etiopico, Docu· menti, vol. I, cit., p. 241, dal secondo capoverso a-lla fine.

(2) -Non pubblicato: Trasmetteva la nota etiopica n. 38 del 3 glugno 1935, parzialmente ed. ibidem. (3) -Vedi D. 312, nota 3.
373

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3244/131 R. Vienna, 13 giugno 1935, ore 13,50 (per. ore 22,30).

Mio telegramma n. 128 (2).

Von Papen, avendo realizzato che Starhemberg non voleva continuare nelle sue conversazioni con lui se non attraverso Ministro degli Affari Esteri, si è rivolto ieri a quest'ultimo.

Papen ha ripetuto sua volontà procedere a « gentlemen agreement, per quanto concerne stampa, fuoriusciti, altre questioni minori.

Berger-Waldenegg ha risposto che nulla a ciò ostava: ma che doveva restare bene inteso che «dette conversazioni non avrebbero dovuto toccare in nulla attuale sistema politico dell'Austria, essendo questa decisa a non lasciare ai suoi alleati alcuna ombra di dubbio sulla sua assoluta lealtà'>.

Papen ha annuito. Ha chiesto poi, relativamente a Patto danubiano, se è vero « che si vogliano fare lasciare cadere i Patti bilaterali :.. Berger -Waldenegg ha risposto che l'Austria teneva invece tuttora in particolare modo a detti Patti.

Papen ha inoltre chiesto se Germania sarebbe stata invitata a Roma.

Berger-Waldenegg ha risposto affermativamente.

Ministro degli Affari Esteri è particolarmente lieto che conversazioni desiderate da Papen passino adesso per suo tramite, e ciò è sicuramente un bene.

374

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3239/79 R. Belgrado, 13 giugno 1935, ore 18,30 (per. ore 21,15).

Jeftic ha chiesto oggi di vedermi e mi ha pregato di far sapere all'E. V. che sarebbe lieto di potersi incontrare con S. E. Suvich possibilmente a Venezia nei giorni 23-24 oppure 29-30 del corrente mese (3).

Il giorno 20 avrà luogo Belgrado riunione Piccola Intesa in sessione ordinaria, che durerà al massimo due giorni e sarà presieduta, come d'uso, da Jeftic il quale conserverà presidenza fino alla prossima sessione ordinaria.

Jeftic partirà subito dopo per Parigi e dovrà essere ritorno qui 1° luglio riaprendosi Scupcina per discussione bilancio.

Secondo pensiero di Jeftic incontro Venezia, pur offrendo opportunità eventuale scambio idee in relazione preparazione Conferenza Danubiana (il che sembra tanto più naturale in quanto incontro seguirebbe immediatamente riunione Piccola Intesa) dovrebbe però avere sopratutto scopo e valore di un primo diretto contatto itala-jugoslavo in vista di ulteriore riavvicinamento dei due Paesi. In considerazione di ciò Jeftic ha mostrato preferire che incontro avvenga durante suo viaggio di andata Parigi e cioè nei giorni 23-24.

Ho creduto comprendere suo desiderio evitare che incontro, qualora avvenga nel viaggio di ritorno, possa apparire ispirazione francese. Jeftic prega V. E. di voler fargli avere appena possibile una conferma per le necessarie istruzioni (l).

(l) -Con T. 3284/1211 R. del 15 giugno 1935, ore 20, Vinci comunicava d! aver risposto alla nota etiopica secondo le istruzioni contenute nel presente telegramma. (2) -Non pubblicato, ma vedi DD. 356 e 288. (3) -Ved.! D. 216.
375

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 13 giugno 1935.

• D'ordine del suo Governo, l'Ambasciatore di Cina comunica verbalmente quanto segue:

l. Il 29 maggio u.s. l'addetto militare aggiunto giapponese in Cina ha domandato alle autorità cinesi: l'estensione della zona demilitarizzata tra Manciuria e Cina fino ad includere le zone di Pechino e Tientsin e quindi ritiro delle truppe da dette zone.

2. Il giorno 9 corrente l'addetto militare predetto ha domandato: lo scioglimento delle sezioni del Partito Kuomintang e di tutte le organizzazioni anti-giapponesi nella zona demilitarizzata; l'interdizione della propaganda antigiapponese in tutta la Cina.

Prima del termine fissato per la risposta -mezzogiorno del 12 c.m. -le autorità cinesi hanno accettato le domande suddette, anzi hanno subito cominciato l'attuazione dei provvedimenti relativi.

In seguito a ciò, il Governo cinese considerava la questione chiusa, quando, 1'11 c.m., l'addetto militare aggiunto giapponese ha rimesso alle autorità cinesi un memorandum con il quale si chiedono: garanzie per il mantenimento dei provvedimenti presi e, in particolare; la revoca di tutti i funzionari antigiapponesi nelle zone di Pechino e Tientsin; la nomina di nuovi funzionari incaricati di assecondare i desideri del Giappone.

Il Governo cinese, dopo aver fatto tutto il possibile per evitare un conflitto, ha creduto di dover rifiutare, per ragioni di dignità nazionale, l'accettazione delle ultime due domande giapponesi.

Il Governo cinese informa il R. Governo che, di conseguenza, è da prevedersi un conflitto armato e si riserva ulteriori comunicazioni (l).

(l) Con T. 5830/66 P.R. del 15 giugno 1935, OTe 2, Suvich si dichiarava d'accordo per la data del 23-24 giugno e chiedeva a Viola di sondare 11 Governo jugoslavo sull'opportunità di dare comunicazione dell'incontro alla stampa. Il presente documento reca il visto di Mussol!nl.

376

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, A LONDRA, GRANDI, A MOSCA ATTOLICO, A PARIGI, PIGNATTI, A TOKIO, AURITI, A WASHINGTON, ROSSO, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, GEISSER CELESIA

T. 1083/C. R. Roma, 14 giugno 1935, ore 23.

(Per tutti meno Londra) Ho telegrafato alla R. Ambasciata a Londra quanto segue:

« (Per tutti) Telespresso di V. E. del 7 giugno n. 607 (2).

Prego presentare codesto Governo seguente Memorandum:

Il Governo italiano ha l'onore di riferirsi al Memorandum britannico del 7 giugno. Esso si richiama alle ripetute comunicazioni e dichiarazioni da cui

.

risulta il proprio punto di vista sugli aspetti generali del problema della limitazione degli armamenti e in particolare di quelli navali; comunicazioni e dichiarazioni fatte nel corso o a proposito della Conferenza di Washington, della Conferenza navale di Londra del 1930, della Conferenza Generale del Disarmo ecc.

Per quanto riguarda la proporzione che sarebbe da stabllire fra la flotta tedesca e la flotta britannica, le proporzioni adottate dal Trattato di Washington essendo state stabilite in relazione alla situazione generale allora esistente, sembra al Governo italiano che non sia possibile di prescindere, nella valutazione del problema, dalla situazione che da allora si è venuta determinando. Un giudizio sul rapporto da stabilire tra la flotta britannica e quella germanica potrebbe quindi difficilmente formularsi indipendentemente dalla considerazione della situazione delle varie flotte e dalle ripercussioni che esso ha o può avere sulle proporzioni delle flotte medesime tra di loro. Ad avviso del Governo italiano il problema degli armamenti navali tedeschi dovrebbe pertanto essere esaminato in relazione al problema generale degli armamenti dei singoli Stati.

Il Governo italiano è pronto a partecipare alle conversazioni che all'uopo

potranno aver luogo, desideroso di contribuire anche in tale occasione quanto

più efficacemente possibile ad una soddisfacente intesa su tale importante

problema~.

(l) -Una sintesi d1 questo appunto, che è vlstato da Mussolinl, fu trasmesso alle ambasciate a Londra, Mosca, Parigi e Wash!ngton con T. 1092/C. R. del 16 giugno 1935, ore l. (2) -Vedi D. 353, Allegato.
377

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 14 giugno 1935.

LA QUESTIONE ETIOPICA E LA SOCIETÀ DELLE NAZIONI

Ho l'onore di sottoporre all'esame di V. E. le seguenti considerazioni relative alla nostra politica africana impostata sul triangolo Etiopia-InghilterraSocietà delle Nazioni:

Etiopia. È l'elemento più semplice del triangolo. Nei suoi riguardi la linea da seguire è scevra di dubbi.

V. E. a Cagliari (l) ha proclamato che contraddittori diretti fra l'Italia e l'Etiopia non dovranno esservi. In conseguenza non ve ne saranno. Se la Lega pretendesse un giorno averci entrambi a disputare in sua presenza, la Delegazione italiana non andrebbe a Ginevra. E potrebbe essere questo il momento adatto alla denuncia del Trattato del 1928.

Fino ad allora, la Commissione arbitrale di recente nomina assolverà il suo compito dilatorio e defatigatorio, che riterrei opportuno lasciar svolgere nei termini concordati per concedere tutto il tempo necessario alla preparazione militare.

Inghilterra. Nell'appunto in data 26 maggio (2), ebbi l'onore di esprimere la convinzione che la politica inglese ci è ostile anche per ragioni ginevrinoelettorali e per ragioni di prestigio, ma che il nocciolo della opposizione è formato dalle ragioni coloniali, dalle quali è tenacissimo custode l'anonimo «Intelligence Service ». In altri termini la Lega delle Nazioni, più che fine, è per l'Inghilterra un mezzo per perseguire scopi egoistici che attraverso di essa vengono ammantati di universalismo.

Or son due giorni Baldwin ha riconfermato l'intenzione del nuovo Governo di intensificare l'azione britannica a Ginevra, facendo più che mai della Lega il perno delle manovre politiche britanniche.

In queste condizioni a prima vista potrebbe sembrare conveniente non prestarsi al giuoco dell'avversario, e quindi non lasciarsi trascinare sul terreno da lui prescelto. In altri termini non accettare battaglie sul terreno della Lega, ma incontrarsi, o meglio scontrarsi, con l'Inghilterra fuori della Lega.

Esaminiamo le due ipotesi. Scontrarsi fuori della Lega significherebbe avere da fare da soli a soli con l'Inghilterra, con tutto quel che di incognite, di asprezza, di pericoli e, nella migliore ipotesi, di maggior spreco di energia una tale situazione comporterebbe.

Incontrarsi invece nell'ambito della Lega significherebbe obbedire al precetto politico che vuole che i nemici -specialmente se grossi -si mettono fuori combattimento più facilmente attaccandoli dal di dentro che dal di fuori. E' il millenario mito del cavallo di Troia. Secondo questa massima, si tratterebbe di spuntarla impigliando l'Inghilterra nelle sue stesse reti.

B. -MussoLINI, Opera omnia, vol. XXVII, cit., pp. 84-85.

Appare ciò possibile? In che modo? L'esame di queste possibilità porta a discutere sul terzo lato del triangolo: la Società delle Nazioni.

Il non presentarsi a Ginevra nel caso che la Lega pretendesse un contraddittorio itala-etiopico nella sua sede non implicherebbe affatto l'uscita dalla Lega. Lo dimostrò la Polonia in circostanze analoghe allorché denunciò unilateralmente i trattati per le minoranze.

Non presentandoci, ma continuando a rimanere nella Lega, noi avremmo il vantaggio di non rinunziare a riprendere in pieno, in qualunque momento lo credessimo opportuno, l'azione societaria che offre appigli sufficienti per un'opera di sgretolamento della macchina che si volesse montare contro di noi (in un allegato al presente appunto esamino più particolareggiatamente gli appigli che si presterebbero a un buon giuco); avremmo il vantaggio di rendere più sentita la minaccia dell'uscita dalla Lega, ed avremmo infine il vantaggio di lasciare agli altri di assumersi eventualmente la grave responsabilità di mettere in moto contro di noi la macchina procedurale e, con questo, di dare anche il colpo di grazia al fronte di Stresa.

Intanto però, nel caso che si volesse essere assenti ma presenti, occorrerebbe provvedere con urgenza a fare approcci presso qualche Stato amico che potesse in qualche modo rappresentare! nella nostra temporanea assenza. Se si pensa che basta un solo voto per rompere l'unanimità e rendere impotente il Consiglio, appare evidente la importanza, anzi la necessità, di procurarsi questi alleati.

La cosa è da tentare. Come ebbi l'onore di riferire a V. E. (l) il Ministro Beck ebbe a farmi qualche accenno del genere. Del resto la Polonia è fra gli Stati presenti a Ginevra quello che più decisamente ha finora osato assumere atteggiamenti di fronda ed è probabile che ritenga conveniente prestarci un servizio che essa può facilmente essere in condizione di doverci richiedere in ricambio. Riuscita che fosse l'intesa con la Polonia su questo punto, il ghiaccio sarebbe rotto e vi sarebbero probabilmente altri Stati, fra cui la Francia, che riterrebbero opportuno non lasciare alla sola Polonia il merito di averci reso un servizio.

Nè questa degli approcci con la Polonia è l'unica azione che sia consigliabile iniziare al più presto per avere pronto al momento del bisogno chi saboti il Consiglio a nostro vantaggio. C'è ancora il tentativo di minare addirittura l'organo fondamentale della Lega, che l'Inghilterra ha tanto amorevolmente curato e che è il perno dell'azione politica inglese in seno alla Lega: il Segretariato.

Il Segretariato è composto di gente che ormai, più che francese e inglese, è leghista. La Lega significa la loro personale ricchezza e sicurezza. Data la natura degli uomini, non è da meravigliare se la stessa maggioranza dei funzionari inglesi sia oggi preoccupata e stizzita contro l'Inghilterra che, facendo della Lega scudo ai suoi interessi, rischia di esporre quest'ultima ai colpi che sarebbero diretti contro di lei. E se l'Italia si ritirasse da Ginevra e la Lega dovesse non riuscire a superare la crisi?

Una prova di questa preoccupazione si ha nell'annunziato viaggio del Segretario Generale Avenol a Parigi e Londra, dove egli va a cercare di scongiurare il nericolo di una nostra uscita. Potrebbe essere opportuno sfruttare la sua apprensione, che è l'apprensione di tutto il Segretariato. Mi permetto a tale scopo prospettare a V. E. l'opportunità che l'Ambasciatore Attolico, gran conoscitore della Lega e vecchio amico di Avenol, sul quale ha molto ascendente, che si reca ora direttamente da Mosca a Ginevra per presiedere un comitato, riceva istruzioni di fare i necessari approcci con Avenol allorchè sarà da questo interrogato -e certo lo sarà -per assicurarci l'interessato appoggio del Segretario nelle nostre future manovre ginevrine (1). Attolico, da privato, può avere in questo tentativo una libertà di azione che io, in veste ufficiale, non avrei.

Infine, nel caso che la mossa con la Polonia riuscisse, che quella con Avenol riuscisse, e che la Francia, un po' a rimorchio della Polonia e un po' in forza del nostro ricatto, si inducesse a fare anche lei tutto il suo possibile per salvare insieme Stresa e la Lega e si rivolgesse a noi per concertare un'azione ginevrina comune, sarebbe opportuno aver pronto qualche spunto da suggerirle, riservando a lei la libertà di lanciarlo nel modo e nella forma migliore.

Di tali spunti mi permetterò di fare oggetto di un appunto da sottoporre a suo tempo all'approvazione di V. E.

Per quanto superfluo, mi permetto concludere facendo presente ancora una volta a V. E. che in ognuno dei nostri tentativi noi troveremo ancora sul nostro cammino, più o meno mascherata ma ancora più tenace che non ai tempi di MacDonald, l'ostilità inglese, la quale forse potrà deflettere solo dolo le elezioni.

ALLEGATO

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 17 giugno 1935 (2).

Brani del Covenant che potrebbero giocare a nostro favore: l) Il• preambolo che fa obbligo a.i Governi «di mantenere delle relazioni internazionali basate sulla giustizia e sull'onore e di osservare rigorosamente le prescrizioni del diritto internazionale riconosciuto come regola di condotta effettiva dei Governi». Ora il Governo etiopico ha dimostrato di non essere in grado, per l'inferiore stato di civiltà, per la debolezza stessa della sua compagine interna, di osservare quelle fondamentali obbligazioni di diritto senza delle quali la comunità internazionale non può esistere. 2) Art. 11 (alinea 2) per cui il Consiglio o l'Assemblea sono chiamati a esaminare ogni situazione che turbi i rapporti internazionali e minacci il mantenimento della pace. Lo stesso Signor Avenol ha segnalato l'opportunità di basarci su tale articolo per far presente la minaccia che un'Abissinia aggressiva e barbara costituisce per la sicurezza dei possedimenti europei confinanti.

3) Art. 19 <Revisionismo). Esso prevede il riesame di «situazioni internazionall il cui mantenimento potrebbe mettere in pericolo .la pace del mondo ».

4) Art. 22 sui mandati. L'alinea 4 prevede che siano messe sotto mandato alcune comunità che appartenevwno prima della guerra all'Impero ottomano e che, pur avendo raggiunto un grado di sviluppo che permetta di riconoscerle provvisoriamente come nazioni indipendenti, hanno tuttavia bisogno dei consigli e dell'aiuto di un mandatario che guidi la loro amministrazione fino al momento di una loro maggiore maturità.

L'alinea 5 dello stesso articolo considera altresì il gmdo di sviluppo nel quale si trovano altri popoli, specialente quelli dell'Africa Centrale. Tale situazione esige che il mandatario vi assuma l'amministrazione del territorio in condizioni tali da garantire la proibizione di abusi come la tratta degli schiavi, il traffico delle armi e dell'alcool etc.

Infine l'alinea 6 prevede una forma di mandato che più si avvicina all'amministrastrazione coloniale vera e propria. Essa riguarda i territori del sud ovest africano e le isole del Pacifico, di scarsa densità di popolazione.

L',istituto del mandato nei suoi tre gradi diversi ha avuto applicazione solo nei rigUardi dei possedimenti coloniali che prima della guerra appartenevano agli stati vinti. Ma dato che i principi del mandato, a differenza di quelli che regolano la protezione delle minoranze, sono inclusi nel Patto, sembra doversene logicamente dedurre che ulteriori applicazioni dell'Istituto mandatario sono sempre possibili, e cioè che il mandato non è una istituzione contingente limitata a certi determinati territori, ma un Istituto di carattere permanente suscettibile di maggiore sviluppo.

Nel discorso di Cagliari v. E. ha chiaramente lasciato intendere che un contradittorio tra noi e l'Etiopia non è ammissibile. Ognuno ha compreso le ragioni che lo vietano. Una Potenza civile come l'Italia non può abbassarsi al livello di uno Stato barbaro. È questo un motivo che trova particolare risonanza in quanti hanno a cuore :il prestigio delle Nazioni bianche di fronte alle razze di colore. Questo stesso argomento potrà essere fatto valere a Ginevra ove prendesse maggior consistenza l'atteggiamento di quanti vedrebbero volentieri la Lega rimanere estranea da una questione di tal genere. Lo stesso Patto come si è visto, offre lo spunto a sostenere la necessità di una netta discriminazione nei riguardi delle comunità che non hanno ancora raggiunto un grado sufficiente di civiltà.

(l) -Si riferisce al discorso pronunciato da Mussol!nl a Cagliari 1'8 giugno 1935, ed. in (2) -Vedi D. 285.

(l) Vedi D. 43.

(l) -Vedd D. 382. (2) -Questa è la data segnata sull'allegato, che è stato evidentemente presentato a Mussolin.i, separa.tamente, in un momento successivo.
378

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE ALDROVANDI, A BOLOGNA

L. P. 219725/68. Roma, 14 giugno 1935.

È giunta a questo Ministero una Nota abissina nella quale si cerca di rimettere in discussione ancora una volta il « compromesso » arbitrale per farvi comprendere anche la quistione delle «frontiere». Ho ritenuto opportuno di rispondere precisando la quistione con una Nota di cui Le darò comunicazione appena ritornerà a Roma, e che si richiama e riproduce il contenuto delle precedenti Note scambiate con Addis Abeba {1).

Tenuto anche conto di quello che Ella ebbe a riferire sulle discussioni di Milano (2), appare chiaro che il Governo etiopico, e per esso l'avv. Jèze per

sistono nel tentativo di spostare i termini del «compromesso» e di precostituirsi un'interpretazione «etiopica» della deliberazione di Ginevra. Bisogna aspettarsi che la Memoria, che l'avv. Jéze presenterà pel Governo di Addis Abeba, non tenga dunque conto del «compromesso» e tratti in pieno la quistione delle « frontiere »: insomma che egli cerchi di avviare la Commissione sulla discussione della sua stessa Memoria per portare gradualmente, non più i due Governi, ma la Commissione stessa, e per essa il quinto Arbitro, a giudicare oltre che degli «avvenimenti del 5 e 6 dicembre», anche degli antefatti; principalmente della circostanza se o meno vi sia stata usurpazione di territorio etiopico da parte italiana, e pertanto di tutto il problema dei rapporti tra i due Paesi (vedi discorso di Eden etc.) (1).

(l) -Si tratta della nota etiopica del 3 giugno e di quella italiana del 15 successivo, per le qual! vedi D. 372. (2) -Vedi D. 348.
379

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3314/069 R. Parigi, 15 giugno 1935 (per. il 17).

Mi riferisco alle mie precedenti comunicazioni (2).

Il Segretario Generale del Quai d'Orsay mi ha telefonato per informarmi che non aveva avuto la possibilità di prendere gli ordini del suo Ministro il quale, ieri [partito] per assistere ai funerali del Ministro dell'Educazione Nazionale a Clermont Ferrand, non sarà di ritorno a Parigi prima di lunedì 17. Léger ha aggiunto che avrebbe potuto, ciononostante, darmi qualche utile notizia, senza tuttavia impegnare l'azione del Quai d'Orsay, non avendo il signor Lavai definito il suo atteggiamento.

Le informazioni che il Segretario Generale del Quai d'Orsay mi ha comunicato nel colloquio odierno, sono state raccolte a Ginevra dal Direttore Generale degli Affari Politici, Bargeton, nei colloqui avuti colà durante l'ultima sessione· del Consiglio della S.d.N. con i rappresentanti della Piccola Intesa.

Cecoslovacchia. Benes ha dimostrato buone disposizioni generiche di assecondare la preparazione di un Patto danubiano. Il Ministro cecoslovacco stima che il riarmo deU'Austria, dell'Ungheria e della Bulgaria è legato alla questione della sicurezza. Benes ha precisato che la sicurezza potrebbe dirsi conseguita soltanto mediante accordi di mutua assistenza. Per la definizione della non ingerenza può essere accettato per base il processo verbale di Roma, da completare opportunamente con disposizioni d'ordine diplomatico ed economico. In altre parole, Benes è d'avviso che se l'Anchluss si verificasse per movimento interno dell'Austria, non si potrebbe prendersela direttamente con la Germania. Si dovrebbe perciò escogitare fin d'ora opportuni provvedimenti per la temuta eventualità. Si potrebbero ad esempio rompere le relazioni diploma

tiche con l'Austria, sospendere la concessione degli aiuti finanziari accordati a quel Paese e adottare altre analoghe misure. Secondo Benes le infrazioni al Patto di non aggressione e non ingrenza non potrebbero dare luogo soltanto a una consultazione. Dovrebbe essere contemplato, da ultimo, il ricorso alla

S.d.N. Lo stesso dicasi per i Patti di mutua assistenza. Circa gli accordi di mutua assistenza il Ministro cecoslovacco ha osservato, inoltre, che l'assistenza non potrebbe essere limitata a due Stati. Essa dovrebbe, in determinati casi, involgere l'obbligo di assistenza anche fra Stati che ne avessero garantito un terzo. Benes ha spiegato come segue il suo pensiero. Se la Cecoslovacchia fosse aggredita dalla Germania per il fatto di avere prestato assistenza all'Austria, essa (Cecoslovacchia) dovrebbe a sua volta aver diritto all'assistenza dell'Italia, ad esempio, contro la Germania per il fatto che l'Italia fosse essa stessa legata all'Austria da un Patto di assistenza.

Jugoslavia. Il signor Bargeton ha constatato che negli ambienti governativi jugoslavi sussiste tuttora una certa diffidenza verso l'Italia. Si afferma che gli agitatori croati non sono relegati tutti nelle Isole. Le popolazioni slovene sottoposte all'Italia sarebbero più duramente trattate dei tedeschi dell'Alto Adige. La Jugoslavia desidera inoltre essere assicurata che l'Italia non manometterà l'indipendenza dell'Albania. A Belgrado dispiace, infine, che non sia data la possibilità di un incontro di Jeftic col Duce. In linea politica, la Jugoslavia chiede che l'Italia rinunci formalmente ad esercitare opera di disgregazione fra i Paesi Balcanici. Si avrebbe una garanzia in tal senso, se l'Italia consentisse a stringere un Patto di non aggressione coi quattro Paesi dell'Unione Balcanica (Jugoslavia, Grecia, Romania, Turchia). Per il riarmo dei piccoli Stati disarmati per Trattato (Austria, Bulgaria, Ungheria), la Jugoslavia condivide il punto di vista cecoslovacco, suesposto. Essa domanda insomma garanzie di sicurezza o, in altri termini, considererebbe la propria sicurezza sufficientemente garantita dalla conclusione di Patti di mutua assistenza. In modo speciale chiede garanzie verso l'Ungheria.

Romania. Come la Jugoslavia, anche la Romania domanda la partecipazione se l'Italia acconsentisse a stringere un Patto di non aggressione con i quattro Stati dell'Unione Balcanica (Grecia, Jugoslavia, Romania, Turchia). Titulesco ha avanzato, pure, la proposta della partecipazione dell'U.R.S.S. all'Accordo danubiano. Gli è stato risposto che la pretesa non è giustificata. La Francia non è disposta di sostenerla.

Il Segretario Generale del Quai d'Orsay mi ha ripetuto, alla fine dalla conversazione, di avermi date le surriferite notizie a titolo informativo. Il Ministro degli Esteri, al suo ritorno, definirà l'atteggiamento del Governo francese.

Ho detto a Léger che prendevo nota della sua comunicazione. Osservavo che gli Stati Balcanici persistono a rendere difficile l'accordo. Non avremmo potuto seguirli nel sistema degli accordi concatenati. Il punto di vista italiano è semplice, chiaro e preciso. la Piccola Intesa e l'Intesa Balcanica desiderano raggiungere, per via d'accordi, la sicurezza. Noi l'offriamo alla Piccola Intesa con l'Accordo danubiano e all'Intesa Balcanica con l'Accordo Mediterraneo. Non consideriamo in nessun modo giustificato il proposito dimostrato dai due gruppi di complicare le cose, incastrando un accordo nell'altro.

(l) -Per la risposta vedi b. 385. (2) -Vedi DD. 229 e 255.
380

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3317/015 R. Sofia, 15 giugno 1935 (per. il 17).

Mio telegramma n. 69 e precedenti (l).

Questo Ministro di Cecoslovacchia è venuto stamani a trovarmi. Era stato per un mese assente da Sofia in congedo e, appena ritornato, per circa due settimane ammalato di influenza. Ii signor Maxa è da quattro anni in Bulgaria, è persona corretta e ponderata, e a dire anche del mio predecessore si è sempre tenuto in rapporti amichevoli e di cordiale collaborazione con la

R. Legazione.

Mi ha parlato quasi esclusivamente della visita di Goering a Sofia mettendomi a parte di confidenze di questo Ministro di Germania, suo vecchio amico e collega, che fra breve sarà trasferito da Sofia a Praga. Ha cominciato col dirmi che per caso un mese fa tornò dal suo congedo con lo stesso treno sul quale viaggiava Rumelin, anche lui di ritorno da un congedo di due mesi. Viaggiarono insieme da Belgrado a Sofia.

Rumelin gli disse subito di aver visto Neurath a Berlino e che questi gli aveva solo parlato del suo trasferimento a Praga. Nessun accenno al viaggio di Goering. Alla stazione di confine serbo-bulgara venne incontro al Ministro di Germania il segretario Principe Schaumburg-Lippe e gli consegnò un telegramma di Goering giunto nella mattinata con il quale questi gli annunziava la sua intenzione di venire a Sofia, e lo pregava di prevenire il Governo bulgaro e il Sovrano che il viaggio aveva un carattere privato e che si rimetteva a loro per le modalità del ricevimento. Il telegramma però finiva con l'avvertimento di tenere presente che Dimitrov (il presunto incendiario del Reichstag) era bulgaro e che lui Ministro era responsabile della sua personale incolumità. Questo confermerebbe per lo meno che il viaggio di Goering non è stato né preparato né desiderato dal Ministero degli Esteri tedesco.

Maxa ha poi aggiunto che data la sua malattia solo ieri aveva rivisto Rumelin e che ne aveva avuto altre confidenze. Durante la sua presenza a Sofia Goering non aveva avuto nessun colloquio politico col Presidente del Consiglio bulgaro e con il Ministro degli Esteri. Egli aveva invece patrocinato presso il Re ed il Ministro della Guerra la formazione di un blocco economico bulgaro-jugoslavo-polacco-rumeno-ungherese sotto .l'egida della Germania. A dire del Rumelin (che non deve aver soverchie simpatie né per Goering né per il nazionalsocialismo) Sua Maestà Re Boris avrebbe subito detto al Goering che non era possibile entrare nel suo ordine di idee ripetendogli il ragionamento a me fatto dal Ministro degli Esteri (vedi ultima parte del mio telegramma n. 65) (2). Ed è stato appunto per addolcire questo netto rifiuto che Sua Maestà si sarebbe, alla maniera orientale, prodigato in cortesie per l'ospite.

Sempre dalla stessa fonte il Maxa avrebbe anche appreso che identica proposta venne poi fatta dal Goering a Jeftic e che il rifiuto di quest'ultimo

{l) Vedi D. 311, nota 2 p. 322. {2) Vedi D. 311.

di prenderla in considerazione sarebbe stato ancora più categorico e meno cortese (Jeftic sarebbe persino arrivato a dirgli che avrebbe preferito che non fosse venuto a Belgrado) e che in seguito a questo colloquio Goering accorciò di un giorno la sua permanenza nella capitale jugoslava provocando da Berlino un telegramma di richiamo immediato.

Maxa mi ha confermato quanto avevo appreso da altri e che effettivamente durante la lunga gita fatta con Re nel pomeriggio e nella notte del 27 maggio Goering aveva cacciato galli cedroni e che aveva avuto la sorte di ucciderne due, cosa che lo aveva riempito di gioia e fierezza compensandolo in parte dell'insuccesso politico.

Queste informazioni confidenziali confermano in complesso quelle da me precedentemente date e quelle pervenute a V. E. da altre fonti.

381

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, GEISSER CELESIA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3568/125 R. (1). Madrid, 15 giugno 1935 (per. il 29).

Corrispondenti romani dell'ABC e Debate segnalano e commentano favorevolmente articolo Giornale Italia su Spagna mettendo rilievo inatteso interessamento.

Mi adopero perché anche da parte altri quotidiani -e specialmente da quelli che per riflettere idee partiti marcatamente repubblicani non possono essere accusati di favorevole prevenzione verso di noi -sia commentato apprezzamento italiano del modificato linguaggio di questa stampa. Ciò anche ad evitare che alcuni dei giornali aventi Roma corrispondenti speciali profittino degli opportuni commenti da noi rivolti a Nazione e stampa spagnuola per valersi di essi a scopi di politica interna attribuendone merito loro atteggiamento.

Articolo Giornale Italia ha prodotto favorevole impressione anche negli ambienti di questo Ministero Affari Esteri: di ciò ho avuto conferma stamane dallo stesso Ministro signor Rocha e dal Sottosegretario di Stato. Quest'ultimo anzi mi ha chiaramente espresso il suo compiacimento !asciandomi intendere aver a suo tempo notato il silenzio con cui nostra stampa aveva accolto dichiarazioni di amicizia verso l'Italia fatte dal Ministro degli Affari Esteri (vedansi miei telegrammi 99 e 100, su dichiarazioni Ministro Esteri al Parlamento del 23 maggio) (2).

Interpretando volutamente male la sua allusione gli ho risposto che nostra stampa non aveva potuto parlare del gradito atteggiamento spagnuolo circa la fornitura d'armi all'Abissinia in quanto stessi dirigenti Ministero di Stato avevano insistito nel tenere riservata la cosa. Ho aggiunto che presen

tandosi una favorevole occasione non dubitavo si sarebbe rilevata ogni espressione rivoltaci pubblicamente.

Poiché il Sottosegretario mi confidò che, pur mantenendo le misure repressive circa spedizioni armi e anzi cercando perfezionarle, sul parere dell'ufficio contenzioso Governo spagnuolo aveva rinunciato ad una dichiarazione pubblica in proposito, ritenendola incompatibile con la sua posizione societaria, di fronte all'Abissinia membro della Lega, tentai di ottenere qual cosa almeno in altro campo.

Gli suggerii infatti di valersi della prossima discussione del bilancio dell'Istruzione per una deliberazione governativa sul ristabilimento dall'insegnamento dell'italiano in modo da fornire in tal modo ai nostri giornali una buona occasione per mettere in rilievo le modificate disposizioni del Governo spagnuolo verso l'Italia. Il signor Aguinaga mi assicurò che avrebbe col maggiore favore appoggiato detta richiesta presso il suo Ministro affinché ne trattasse in sede di Consiglio tanto più che gli risultava essere sia il sig. Rocha, sia il Ministro dell'Istruzione -da me ripetutamente interessati -personalmente ben disposti in proposito.

Dato l'effettivo miglioramento della sensibilità dell'opinione pubblica spagnuola verso i nostri problemi e le nostre attuazioni ottenuta sulla base delle direttive impartite da V. E. all'Ambasciatore Guariglia -direttive che ho cercato nel limite delle mie forze di perseguire -sarebbe opportuno concentrare ora la nostra azione su questi ambienti ufficiali che purtroppo ancora, per complicate leggi di alchimia parlamentare, non hanno potuto vincere alcune pregiudiziali che li separano da una netta e franca comprensione dell'Italia mussoliniana e delle necessità della sua politica.

È appunto in questo ordine di idee che mi permetto far riferimento ad alcune iniziative in corso e che stimerei subordinatamente potrebbero oggi essere effettuate:

l) Nel campo giornalistico: fare accogliere da stampa italiana altre segnalazioni di articoli a noi favorevoli ed anche segnalazioni di sforzi ed opera legislativa di questo Governo per normalizzare il Paese dimostrando in tal modo nostro interessamento per Spagna al di fuori sue variazioni di politica interna.

2) Nel campo culturale: dare forma alle progettate celebrazioni di Lope de Vega di cui al dispaccio di V. E. n. 848087/51 del 17 maggio u.s. (l) comunicandone a questo Governo definitivo programma che non dovrebbe essere secondo a ciclo manifestazioni francesi ieri concluse solennemente alla Sorbona e riuscite qui graditissime.

3) Nel campo degli accordi commerciali in corso: fare apparire qualsiasi nostra eventuale adesione a richieste spagnuole come gesto cordiale in risposta atteggiamento generale questo Governo verso Italia indipendentemente da danni causati da provvedimenti discriminatori spagnuoli e da nostre misure di ritorsione conseguenze logiche della situazione a noi creata.

(l) -Spedito per corriere. (2) -Vedi D. 272.

(l) Non pubblicato.

382

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, ALL'AMBASCIATORE ATTOLICO, A GINEVRA

L. s. RR. 4966. Roma, 15 giugno 1935.

Sarebbe interessante che tu potessi avere dal signor Avenol qualche informazione su quelle che sono le sue idee nei riguardi del conflitto itala-abissino. Come sai egli si accinge ad un viaggio a Pl:!rigi e a Londra con l'intenzione dichiarata di indurre quei due Governi ad una maggiore comprensione del punto di vista italiano.

Per tua conoscenza e per tua norma di linguaggio conviene che tu sappia che il nostro programma è radicale: dominio sulla zona periferica conquistata negli ultimi quarant'anni, protettorato sulle antiche provincie abissine (Tigré, Goggiam, Scioa) disposti naturalmente ad accordi con gli Inglesi per salvaguardia dei loro diritti basati sul Tripartito e sugli altri accordi.

Non vogliamo neanche !asciarci trascinare in una discussione sulla questione etiopica dinanzi alla Società delle Nazioni.

D'altra parte non abbiamo nessun interesse ad uscire dalla Società. Non ci nascondiamo la difficoltà della cosa, ma chissà che nella mente fervida di compromessi dei «leghisti » non sorga qualche idea al riguardo?

Ti unisco alcuni appunti preparati dagli Uffici (l), che potranno chiarirti maggiormente i singoli aspetti della questione.

383

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 685/635. Ginevra, 15 giugno 1935 (per. il 17).

S. E. Pilotti comunica quanto segue: «Avenol ha avuto un altro colloquio col Senatore Theodoli di cui questi ha informato S. E. l'On. Suvich, con lettera in data 14 giugno (2). A seguito di tale colloquio, Avenol ha tenuto a precisarmi di nuovo il suo pensiero. Il Governo francese agisce fin d'ora fortemente a [Londra] ma per metterlo in condizione di esercitare un'azione [efficace] è indispensabile, secondo Avenol, operare un mutamento dell'opinione pubblica inglese. Occorre a questo fine:

l) che l'incidente di Ual-Ual sia liquidato moralmente con soddisfazione dell'Italia, dalla Commissione di Conciliazione;

2) che, appena pubblicate le decisioni della Commissione, l'Italia ponga avanti la Società delle Nazioni la questione dell'inadempienza costante dell'Abissinia al trattato di amicizia del 1928, del quale l'Abissinia rispetta ed invoca soltanto l'articolo 5 relativo alle controversie;

3) che l'Italia enunci, non solo tutte le violazioni alla lettera e allo spirito del trattato finora perpetrate, bensì ancora tutti i fatti verificatisi negli ultimi anni, i quali dimostrano come l'Abissinia sia incapace di osservare obblighi di buon vicinato secondo gli usi dei popoli civili, appunto perché i suoi metodi di amministrazione, la sua incapacità di esercitare un potere statale effettivo, le sue abitudini di sfruttamento degli indigeni di altra razza sono in assoluto contrasto con gli usi dei popoli civili.

Questo passo dell'Italia dovrebbe avere lo scopo di portare ufficialmente a conoscenza degli Stati membri della Società delle Nazioni la vera situazione, e di mostrare all'Inghilterra che sul terreno del Patto la sola questione importante è l'indegnità attuale dell'Abissinia a prevalersi della qualità di membro della Lega. Poiché il Governo di Londra basa tutta la sua politica, soprattutto per ragioni interne e in quanto sa che tutti i partiti condividono tale pensiero, sul funzionamento della Società delle Nazioni gli sforzi di Lavai presso Londra avranno successo soltanto se l'atteggiamento italiano gli permetterà di sostenere che il rispetto al Patto è salvo e che è proprio l'Abissinia a non potersi fondare su di esso.

D'altronde, quando la verità sulle iniquità etiopiche sarà proclamata e documentata, la maschera d'agnello del Negus cadrà, e gli stessi elementi che in Inghilterra e altrove avversano oggi il Governo italiano dovranno, se di buona fede, farsi difensori del suo punto di vista che è quello della civiltà.

Non solo l'azione della Francia a Londra sarà facilitata dal formale atto di accusa italiano; ma il Governo etiopico si sentirà isolato e in una posizione insostenibile.

L'accusare l'Etiopia davanti la Società delle Nazioni è un atto che non rappresenta menomamente una concessione da parte dell'Italia rispetto al proprio buon diritto; è invece l'esercizio del potere che le deriva dalla sua qualità di membro permanente dè1 Consiglio interessato anche dal punto di vista generale della Società a porre questa in presenza delle situazioni torbide ed ingiuste create da un membro incivile.

Occorre chiarire che non si tratta, secondo Avenol, di introdurre con l'att::> di accusa italiano contro l'Abissinia una procedura societaria lenta ed incerta: si tratta soltanto di dare alla Francia il mezzo per superare gli ostacoli e scrupoli societari dell'Inghilterra e ricercare d'accordo, mediante un'energica pressione su Addis Abeba, una soluzione atta ad assicurare direttamente quella soddisfazione degli interessi italiani che da noi sia ritenuta la più adeguata.

Ho chiesto ad Avenol s'egli avesse per avventura una sua idea concreta circa la «soddisfazione degli interessi italiani» da attenersi nel modo ch'egli proponeva.

Ha risposto che ancora gli mancavano in proposito precisi elementi di giudizio ed ha vagamente accennato ad una soluzione che possa comunque assicurare all'Italia un «effettivo controllo sul:l'Etiopia ».

30 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. I

(l) -Non rinvenuti, ma vedi D. 377. (2) -Non rinvenuta.
384

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3298/392 R. Londra, 16 giugno 1935, ore 14,45 (per. ore 18,15).

Telegramma di V. E. n. 1083/C (l).

Ho presentato ieri stesso al Foreign Office il promemoria trasmessomi con telegramma sopracitato.

Dopo averne presa conoscenza Craigie mi ha detto che egli si rendeva perfettamente conto delle nostre riserve e delle nostre osservazioni, che gli parevano assai giuste.

Riferendosi all'ultimo paragrafo del nostro promemoria mi ha detto che era desiderio e intenzione del Governo britannico di promuovere delle conversazioni con l'Italia e con la Francia --le due Potenze più direttamente interessate sulla questione degli armamenti navali tedeschi.

Quando le conversazioni anglo-tedesche saranno [concluse] in questi giorni, Governo britannico si propone di invitare Governo italiano e Governo francese ad inviare dei rappresentanti a Londra per uno scambio di idee.

Sarà da esaminare -mi ha detto Craigie -fra i tre Governi interessati quale sia la migliore procedura per queste conversazioni, ma Governo britannico sarebbe desideroso di iniziarle il più presto possibile. Craigie mi ha detto anche che la risposta francese al promemoria britannico è attesa per domani.

385

L'AMBASCIATORE ALDROVANDI AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. Bologna, 16 giugno 1935.

Ricevo la lettera n. 219725/68 in data 14 corr. (2). Non mi par dubbio che l'Agente etiopico persisterà nel tentativo di trattare in pieno dinnanzi agli arbitri la questione delle frontiere.

Come non mi par dubbio, dagli assaggi di Milano, che gli arbitri francese ed americano propenderanno per l'interpretazione etiopica della deliberazione di Ginevra.

Per parte mia sono risoluto a respingere nettissimamente tale interpretazione. Potremmo perciò arrivare subito ad un dissenso insanabile fra i quattro arbitri. È il caso di ricorrere al quinto arbitro per questo punto pregiudiziale? A me non pare.

Io mi propongo pertanto di respingere nettissimamente l'intervento del quinto arbitro su questo punto.

Se altre considerazioni prevalessero occorrerebbe dare istruzioni all'Agente del Governo italiano per ulteriori eventuali deliberati dilatori che si potesse cercare di far concordare fra i quattro arbitri.

(l) -Vedi D. 376. (2) -Vedi D. 378.
386

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 3318/1204 R. Addis Abeba, 17 giugno 1935, ore 4,30 (per. ore 10,10).

Mio telegramma n. 623 per Roma e 565 per Asmara ( 1). In questi ultimi giorni Ministro Germania ha avut'J lunghe conversazioni di carattere personale con me e con funzionario R. Legazione. Da esse riassumo:

1) Dichiara aver provato vivo rammarico quando apprese essere stato annunziato da « certa stampa straniera » come agente della industria pesante tedesca e fabbricante armi.

2) Pensare come in certi ambienti che Germania apertamente o nascostamente appoggi materialmente e moralmente Etiopia contro l'Italia è falso ed assurdo. Falso perché istruzioni suo Governo sono di osservare più rigorosa neutralità; assurdo perché Germania apprezza e conosce meglio di qualsiasi altro Paese buon diritto dell'Italia. Anche Germania un giorno o l'altro dovrà far valere sue ragioni sul continente nero. Quindi interesse Germania è di non urtare Italia, né frapporre ostacoli alla sua azione in Etiopia per evitare che in avvenire Italia la ripaghi della stessa moneta, quando sarà venuto per la Germania momento chiedere restituzione colonie o ottenere mandato coloniale.

3) Si è [scagliato] violentemente contro egoismo ed ingordigia Francia ed Inghilterra.

4) Gli interessi francesi in Etiopia sono molto relativi: ferrovia non rappresenta assolutamente somma degli interessi che i francesi vorrebbero far credere; così gli interessi britannici, salvo quelli per lo Tzana.

5) Grandi Potenze dovrebbero sentire maggiore spirito solidarietà [fra loro] nei riguardi gente di colore: ciò che sente profondamente Germania. 6) Amicizia itala-tedesca non potrà che rinascere vigorosa e fiorente quando saranno comprese in Italia vere intenzioni Germania nei riguardi Austria.

7) Tedeschi fanno sempre grande assegnamento sull'amicizia italiana; nostri regimi sono gemelli, abbiamo stesse aspirazioni e bisogni. Da qualche tempo rapporti itala-tedeschi hanno subito una détente: «ora vi è più che una détente, secondo notizie che mi sono pervenute; forse sarà precisamente Etiopia che fornirà all'Italia e alla Germania occasione rinsaldare loro definitiva amicizia. Etiopia darà modo all'Italia conoscere suoi veri e falsi amici».

8) Per interesse comune razza bianca, per interesse queste popolazioni semi-selvagge, tesi italiana è favorita in Germania.

9) Nelle mani dell'Italia e del fascismo, malgrado congiure e intrighi internazionali, vi è qualche cosa di provvidenziale, inevitabile. Oggi è l'Italia. Domani sarà la Germania che ora ha un forte esercito sulle spalle.

Mentre riferisco questi cardinali punti di diverse conversazioni, sarà grato aver eventualmente qualche elemento circa specialmente dichiarazioni di cui al paragrafo 7 (1).

Confermo ancora, tuttavia, che persiste impressione negli etiopici di aver appoggio tedesco e continua ed aumenta sempre più attività della Legazione Germania su cui ho ampiamente riferito.

(l) Non pubblicato.

387

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 3322/352 R. Parigi, 17 giugno 1935, ore 13,30 (per. ore 16,30).

Nella conversazione avuta sabato 15 col Segretario Generale del Quai d'Orsay (2) ho constatato un notevole miglioramento di disposizione nei riguardi della questione abissina.

Mi sono recato da Léger per parlargli del Patto Danubiano e ho fatto poi in modo che il discorso cadesse sull'Etiopia. Ho lasciato da parte la questione specifica del transito delle armi da Gibuti, parlando piuttosto dell'atteggiamento della Francia e di quello dell'Inghilterra verso di noi.

Léger mi ha detto che il Quai d'Orsay ha fatto sapere al Foreign Office, e lui stesso nelle sue conversazioni a Parigi con gli esponenti ufficiali e ufficiosi inglesi, che la Francia intende in ogni caso tenere fede agli obblighi convenzionali (armi) e osservare le forme per riguardo a opinione pubblica.

Però, nel considerare il fondo del problema abissino, Governo francese è d'avviso che debba essere lasciata libera l'Italia di seguire la sua strada procurando però di evitare a qualunque costo la guerra.

Punto di vista esposto da Léger agli inglesi risente della perplessità dell'atteggiamento francese per il fatto dell'intransigenza inglese. Mi sembra tuttavia che due punti debbano essere notati: l) Quai d'Orsay esercita un'azione in nostro favore sul Foreign Office e non teme di affermarlo; 2) il funzionarismo del Quai d'Orsay, rappresentato dal Segretario Generale, si dimostra meno arcigno.

Quest'ultima circostanza è corroborata dal fatto che Saint Quentin, Capo Ufficio Africa, si è espresso lo stesso giorno di sabato in termini analoghi con Comm. Fransoni che era andato a parlargll di questioni speciali concernenti traffico di armi da Gibuti.

Non intendo dare soverchio peso alla cosa. Segnalo il fatto con riserva di ritornarvi sopra dopo che avrò visto Lavai.

(l) -Per la risposta di suvich vedi D. 447. (2) -Vedi D. 379.
388

IL MINISTRO A RIGA, MAMELI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3331-3332/37-38 R. Riga, 17 giugno 1935, ore 17,25 (per. ore 21,15).

Questo Governo ha convocato per 28 corrente in Riga tutti propri ministri accreditati in Europa.

Secondo informazioni domandate a questo Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri, e da lui datemi in via strettamente confidenziale per riservate informazioni R. Governo, riunione ha scopo esaminare situazione determinatasi con recente sviluppo questione nord-orientale della Russia e più precisamente vagliare elementi per decidere se la Lettonia debba o meno aderire al sistema Trattati franco-sovietico e sovietico-cecoslovacco.

Munters ha ripetutamente insistito che nessuna previsione è ancora possibile circa decisione, ma fatto stesso convocazione e argomenti espostimi stanno a dimostrare che eventualità è seriamente considerata.

Inoltre di fronte tali informazioni assume particolare rilievo passaggio recente discorso Ulmanis, segnalato con mio rapporto n. 424 del 5 corr. (1).

Segretario Generale ha ammesso che decisione simile costituirebbe netto e grave cambiamento di rotta politica estera Lettonia -sino ad oggi così evidentemente ansiosa mantenere cauto equilibrio tra grandi Potenze nord-orientali con puntate filo-polacche -ma, pur dichiarando che Governo lettone si rende pienamente conto pericolo e conseguenti incognite che accostamento verso Sovieti potrebbe rappresentare, ha detto che esso Governo non può non considerare:

l) trattati franco-sovietico e sovietico-cecoslovacco hanno rotto equilibrio in questa zona, nonostante riserve e interpretazione che possano essere fatte circa loro valore e portata. Potrebbe riuscire estremamente pericoloso rimanere assenti e quindi, sub mutata situazione, impotenti;

2) attuali negoziati e ultimi atteggiamenti tedeschi in questione nordorientale dimostrano che Germania ha receduto persino punti accettati Stresa, non è disposta accedere alcun patto collettivo, e cerca soltanto guadagnare tempo.

Circa Polonia Munters ha riassunto delusione e risentimento Lettonia per mancanza ogni indicazione e iniziativa ansiosamente attesa, dichiarando che ormai Lettonia deve pensare casi suoi.

Nei riguardi Intesa baltica Segretario Generale ha sottolineato che poiché Lituania accoglierebbe certamente molto volentieri eventuale decisione politica Lettonia, contro probabile resistenza Estonia, proporzione sarebbe in ogni caso due contro uno.

Munters ha infine espresso che deve essere considerato possibile che conseguenze eventuale decisione facciano finalmente riflettere Germania e Polonia necessità accedere sistema collettivo.

A mia domanda ha negato che vi sia stata alcuna nuova proposta alla Lettonia per concludere Patto con sovieti. Mi ha soggiunto non dubitare che U.R.S.S sarebbe ben lieta accogliere primo cenno.

Va notato come caratteristica che Munters ha costantemente parlato dell'U.R.S.S. e mai della Francia.

In attesa che questo Governo decida questione, che è senza dubbio di vitale importanza per Lettonia, credo che possa sin d'ora essere rilevato che eventuale decisione positiva sorpasserebbe di gran lunga quella che può essere relativa importanza politica estera Lettonia.

Se Patto collettivo orientale non si realizza e sin che non si realizzi, è infatti ovvio che nella striscia di Stati che dal nord a sud separa i due grandi antagonisti nord-orientali -Germania e Polonia -dal punto di vista politico verrebbe a definirsi altra zona influenza sovietica: Lituania completata da Lettonia, con isolamento eventuale, se non vi si sarà adesione, dell'Estonia. Dal puntQ di vista militare verrebbe aperto ai sovieti nuovo diretto varco nella striscia che, parallelamente a quella cecoslovacca più a sud, muterebbe radicalmente carattere coibente zona, già compromessa da trattato sovietico-cecoslovacco. Stato anti-sovietico militare più efficiente nella striscia e cioè Polonia rimarebbe scoperto su tutti e due fianchi, in punti caratteristicamente vulnerabili.

Qualunque sia interpretazione limitazioni d'ordine politico che Patto S.d.N. può porre Trattato franco-sovietico e sovietico-cecoslovacco, sta di fatto che nuovo Patto, unito ad esso, salderebbe in Europa nord-orientale sistemazione in netto favore sovietico.

389.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3330/353 R. Parigi, 17 giugno 1935, ore 20,57 (per. ore 1,05 del 18).

Mio telegramma per corriere n. 069 (l). Ho veduto questo Ministro degli Affari Esteri. L'ho trovato da principio mal disposto, e disposto a sposare il punto di vista degli [Stati] Balcanici.

Gli ho riconfermato quali sono le nostre idee. Gli ho dichiarato che non potevamo seguire i Balcanici nella loro pretesa di concatenare Patto Danubiano col Patto Mediterraneo. Lavai ha finito per dichiararmi che non [vede] difficoltà di dare precedena al Patto Danubiano.

Ministro degli Affari Esteri mi ha posto poi due domande che riferisco di seguito con le mie risposte e osservazioni.

Prima domanda. L'Italia è disposta a consentire che la Cecoslovacchia, Jugoslavia e la Romania soccorrano militarmente l'Austria se questa fosse attaccata dalla Germania?

Ho osservato in via preliminare che se vi sarà accordo fra gli Stati sopra nominati, la Francia e l'Italia per la garanzia effettiva dell'indipendenza dell'Austria, si potrà escludere quasi in modo assoluto che il Reich aggredisca

l'Austria. Comunque alcuni degli Stati suddetti sarebbero esposti ad essere immediatamente schiacciati se col loro atteggiamento dessero pretesto alla Germania di attaccarli. Ho precisato che intendevo alludere alla Cecoslovacchia. Ho soggiunto che, senza ·impegnare il mio Governo, a titolo conversazione personale, pensavo che il quesito da lui posto potesse essere risolto al momento stesso dell'aggressione in via di rapida consultazione. Infatti, non si poteva ammettere, nell'interesse stesso della causa che si voleva far trionfare, che la difesa <lell'Austria di fronte ad un attacco tedesco potesse avvenire in modo tumultuario. Una rapida consultazione avrebbe permesso di concordare, e seconda delle circostanze, un piano di azione adeguato. Lavai non ha aderito ma non ha neppure respinto in linea di pricipio; ha osservato soltanto che una eventuale aggressione tedesca verso l'Austria, avrebbe assunto un carattere di tale violenza da doversi prevedere fin da ora che, per respingerlo, sarebbe occorso lo sforzo combinato di vari Stati.

Seconda domanda: L'Italia è disposta ad accordare assistenza a uno o più Stati in rapporto del Patto danubiano, qualora esso od essi siano attaccati dal Reich per il fatto di aver soccorso l'Austria aggredita dalla Germania?

Il Ministro degli Affari Esteri ha soggiunto a guisa di spiegazione che Benes era preoccupato della situazione in cui verrebbe a trovarsi il suo Paese se fosse [attaccato] dal Reich per aver soccorso l'Austria contro una aggressione tedesca. Benes non sa se nella prospettiva di una tale eventualità avrebbe potuto contare sull'assistenza dell'Italia.

Ho osservato che la risposta data al primo quesito valeva in certo modo anche per il secondo. Il piano di azione contro aggressione tedesca dell'Austria dòvrebbe essere messo in piedi a momento venuto, tenendo conto delle circostanze di fatto peculiari a quel determinato momento. Cecoslovacchia avrebbe potuto verosimilmente essere ivi obbligata a relazioni di assistenza verso l'Austria, appunto perché un intervento dell'esercito cecoslovacco avrebbe dato più noie che vantaggi.

Ho ripetuto al Ministro degli Affari Esteri che, parlando a titolo personale coi solo scopo di preparare un terreno di intesa, le mie osservazioni non avevano in alcun modo carattere impegnativo.

Riferendomi infine all'intransigenza della Piccola Intesa, ho rammentato a Laval che V. E. non era alieno dal lasciar cadere il Patto danubiano e di ritornare alla Sua primitiva idea di ricercare la garanzia dell'indipendenza dell'Austria in un accordo italo-francese.

Il Presidente del Consiglio non ha dimostrato disposizione a seguirei su questo punto. Egli sembra intenzionato di impegnarsi solo a lato della Piccola Intesa.

(l) Non pubblicato, ma vedi D. 132.

(l) Vedi D. 379.

390

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma, 17 giugno 1935.

Sir Eric Drummond mi intrattiene sull'incidente cino-giapponese.

Mi dice che a Londra è stata fatta al governo cinese una comunicazione analoga a quella fatta a Roma (1). Pare invece che a Parigi non sia stato fatto niente.

L'Ambasciatore mi chiede cosa noi intendiamo fare.

Gli rispondo che le informazioni date dal governo cinese fanno riserva di ulteriori comunicazioni. Poiché quanto è stato comunicato fino ad ora non ha altro che scopo informativo, attendiamo tali ulteriori comunicazioni.

L'Ambasciatore aggiunge che d'altra parte una protesta puramente accademica non raggiungerebbe lo scopo. Forse è meglio non farne niente per il momento.

Sir Eric Drummond mi riferisce poi una conversazione avuta con Reichmann, Capo dell'Ufficio Igiene della Società delle Nazioni, che è stato già suo dipendente quando egli -l'Ambasciatore -era Segretario Generale della S.d.N. Il Reichmann è stato molto tempo in Cina ed ha avuto anche funzioni molto importanti in quanto era il Consigliere più ascoltato di Chiang-Kai-Schek e di

T. V. Soong. È vero che allora il Reichmann ha dato dei consigli sbagliati, ma ciò non toglie che egli conosce molto bene la situazione cinese e tutte le circostanze del conflitto cino-giapponese. Il Reichmann afferma che i giapponesi preparano la guerra alla Russia, che potrà scoppiare entro un anno. Tutto l'ambiente militare giapponese è profondamente compreso di tale necessità. I movimenti attuali non costituiscono altro che lo svolgimento di un programma per impossessarsi della Mongolia il che, secondo i militari giapponesi, rappresenta una condizione indispensabile per l'attacco all'U.R.S.S.

L'Ambasciatore è d'opinione che l'America non interverrà nella guerra contro il Giappone. La Cina farà invece del suo meglio per dare delle noie al Giappone.

Il signor Reichmann è persuaso che la guerra sarà vinta dai russi se i russi avranno la possibilità di resistere per un anno e se non avranno troppe complicazioni in Europa. I giapponesi si esauriranno molto presto.

Il signor Reichmann ritiene che la Germania cercherà di attaccare la Russia. Invece la Polonia non si muoverebbe.

391

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. Belgrado, 17 giugno 1935.

Profitto della venuta a Roma del nostro Addetto Commerciale Cav. Benedetti per indirizzarTi questa personale, ad illustrazione del mio telegramma odierno (2) relativo al Tuo incontro col Signor Jeftic a Venezia.

Come ho riferito con mio telegramma n. 79 del 13 corr. (1), l'iniziativa dell'incontro è stata completamente presa da Jeftic appena ha vista la possibilità di aver libera la settimana dal 23 al 30 di questo mese, per un viaggio in Francia attraverso l'Italia. E poiché egli teneva a che l'incontro di Venezia avesse carattere di assoluta indipendenza dalla sua visita a Laval mi aveva pregato di far in modo che esso potesse avvenire nei giorni 23 o 24, per poi essere a Parigi il 26, secondo gli impegni presi.

Ieri l'altro sera, sabato, a tarda ora, mi ha avvertito che la riunione della Piccola Intesa che doveva aver luogo qui il 20 veniva rimandata di qualche giorno per sopraggiunti impedimenti, credo, di Benes. Tutta la giornata di ieri è passata tra uno scambio di messaggi fra qui, Praga e Bucarest, e alla fine hanno stabilito di riunirsi il 22. La riunione finirà il 23 sera e Jeftic partirà da qui il 24 alle 14 per essere a Venezia il 25 alle 8.22. Naturalmente, dato il ritardo in partenza, la sosta a Venezia non potrà durare che dalla mattina al pomeriggio, cioè all'ora di partenza del Simplon per Parigi. Ma Jeftic non ha voluto rinunciare a incontrarsi con Te prima che con Laval anche se un incontro al ritorno da Parigi poteva forse consentire una più lunga fermata a Venezia. Mi permetto osservare che non possiamo che essere d'accordo con lui nel desiderare che l'incontro sia ed appaia come un contatto esclusivamente italaiugoslavo e per le cose nostre. Del resto, la sua importanza è tutta nel suo significato apparente, ed in tal senso poco importa si tratti di un giorno o di due.

Ho avuto la precisa sensazione (anche da discorsi fattimi da Dampierre) che da parte di Parigi, e fors'anche della Piccola Intesa (sopratutto Romania) si sia cercato di premere su Jeftic perché venga a Venezia dopo Parigi. E Jeftic deve essersi tenuto sulle generali, senza dar precisioni circa il suo itinerario. Con ciò mi spiego il fatto ch'egli non abbia voluto ritardare la data del suo arrivo a Parigi (come gli avevo suggerito) onde non dare spiegazioni. Anche il suo desiderio che la pubblicazione del comunicato sull'incontro di Venezia non avvenga prima del giorno 23 -vigilia della sua partenza -mi pare confermi la mia impressione. E questo modo di fare sornione nei riguardi dei suoi amici è proprio di lui.

Grazie per l'autorizzazione datami di essere presente all'incontro. Vedrò se mi convenza partire con Jeftic, o precederlo aspettandolo a Trieste. E cosa che va valutata all'ultimo momento {2).

392.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3339/354 R. Parigi, 18 giugno 1935, ore 13,09 (per. ore 15,30).

Mio telegramma n. 352 (3). Avevo appena spedito telegramma suddetto quando questo Ministro degli Affari Esteri mi ha chiamato al Quai d'Orsay.

Dopo avere parlato a lungo del Patto Danubiano, come ho riferito con altro telegramma di ieri (1), discorso è caduto sull'Abissinia.

Ministro degli Affari Esteri mi ha dichiarato che egli terrà fede all'accordo firmato a Roma. La1•al ha marcato che la sua dichiarazione si referiva all'accordo scritto, quasi intendesse passare una spugna sugli affidamenti verbali che credo esistano ma che non conosco con precisione.

Si è parlato poi dell'ostilità inglese ai nostri progetti.

Lavai mi ha domandato che cosa volesse V. E. Gli ho risposto che Chambrun avrebbe dovuto averlo messo al corrente di una comunicazione confidenziale fattagli prima della sua partenza da Roma da S. E. Suvich (2). Presidente del Consiglio ha detto di non avere ancora avuto possibilità di ricevere Ambasciatore di Francia a Roma. Mi sono allora espresso con Lavai a norma dell'allegato al telespresso segreto del 31 maggio scorso n. 186 (3).

Il Ministro si è riferito poi a una pubblicazione apparsa sui giornali circa una ferrovia trasversale che dovrebbe unire le nostre due colonie e non si è mostrato entusiasta della cosa.

Ho osservato che non mi risultava nulla di questa ferrovia. Quello che noi domandavamo in questo momento era il dominio diretto sulla parte periferica dell'Abissinia ed il protettorato sul rimanente territorio in modo da realizzare congiunzione fra le nostre due colonie.

Riguardo protettorato sull'Abissinia vero e proprio, Lavai ha osservato che gli inglesi non ci permetterebbero di mettere le mani sul Lago Tsana. Ho replicato che non passava per la mente all'Italia di ostacolare afflusso al Nilo delle acque che lo alimentano.

Dopo questa schermaglia ho domandato al Presidente del Consiglio se sapeva chiarirmi intenzioni degli inglesi. Ho soggiunto che gli facevo la domanda di mia iniziativa, preoccupato dell'andamento delle cose che mi sembravano avviate a culminare con uscita dell'Italia dalla S.d.N. Ho detto al Ministro che V. E. non ricercava la guerra per la guerra ma che non avrebbe rifuggito dal farla se, per regolare in modo definitivo i nostri rapporti con Etiopia, fosse rimasta questa unica alternativa.

Lavai mi ha detto che avrebbe ricevuto dopo di me Ambasciatore d'Inghilterra; nei prossimi giorni avrebbe ripreso conversazioni con me. Ho detto al Ministro che mi sarei recato a Roma prossimamente ma non prima di averlo rivisto.

Le nuove delicate incombenze inerenti alla carica di Presidente del Consiglio hanno senza dubibo distolto un poco Lavai dalla trattazione degli affari del suo Ministero.

Mentro ero da lui ho assistito a un seguito di telefonate in materia finanziaria. Egli mi ha poi dichiarato con vigore che metterà con le spalle a terra gli speculatori. Sembra che le Camere saranno mandate in vacanze il 23 corr. È sperabile che il Presidente del Consiglio possa dopo dedicare maggiore tempo agli affari esteri.

(l) -Vedi D. 375. (2) -Con T. 3332(80 R. del 17 giugno 1935, ore 14,15, Viola aveva anticipato l! contenuto di questa lettera che giunse a Roma la sera del 18. (l) -Vedi D. 374. (2) -Annotazione marginale: «Visto da S. E. il capo del Governo». (3) -Vedi D. 387. (l) -Vedi D. 389. (2) -Ved1i D. 289. (3) -Non r.invenuto, deve trattarsi della ritrasmissione del colloquw Suvich-Chambrun de! 27 maggio.
393

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 3341/355 R. Parigi, 18 giugno 1935, ore 13,45 (per. ore 15,20).

Stamane ho fatto colazione alla Legazione di Grecia. Il signor Politis ha condotto di proposito discorso sull'Abissinia. L'ho seguito senza dimostrare interesse. Il mio interlocutore ha insistito; egli desiderava evidentemente farmi delle dichiarazioni da lui giudicate importanti. Ad un certo punto gli ho detto che a Ginevra si parla di lui come di un P<:ladino degli Abissini. Ho avuto queste notizie da ottima fonte.

Politis mi ha replicato che infatti Negus ha fiducia in lui, lo consulta ed ha soggiunto sorridendo: «Monsieur Mussolini n'a pas voulu de moi ». Non vi è dubbio che egli ha voluto darmi impressione che sarebbe stato un arbitro accomodante.

A questo punto ho lasciato intendere al mio interlocutore che non vedevo altra uscita che la guerra. Politis ha protestato vigorosamente dicendosi persuaso che le cose possono essere ancora accomodate. Ho replicato che mi sembra difficile che il Negus fosse così saggiamente ispirato da fare diritto spontaneamente alle domande dell'Italia. Politis, che doveva essere informato, probabilmente dal Quai d'Orsay, delle domande di V. E. mi ha parlato poi apertamente, senza precisare però, dell'abbandono a noi di territorio di tribù non abissine. Non ho creduto opportuno spingere oltre colloquio senza istruzioni.

Crede V. E. del caso che la conversazione abbia seguito? Eventualmente non ho nessuna difficoltà di riprendere il discorso col Ministro di Grecia. Potrebbe anche essere opportuno in seguito, se la cosa prendesse una buona piega, di fare entrare in scena un agente ufficioso che avesse a disposizione argomenti di maggiore peso per il greco. Credo di essermi spiegato (l).

394

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3360/263 R. Washington, 18 giugno 1935, ore 18,42 (per. ore 7 del 19). Telegramma di V. E. n. 1083/C (2).

Alla comunicazione che il Governo britannico ha fatto anche a Washington circa risultati delle conversazioni anglo-tedesche per armamenti navali della Germania Dipartimento di Stato ha risposto prendendo atto ma facendo rile

vare che il Governo Stati Uniti è direttamente interessato alla questione navale, in quanto concerne flotte americane inglese e giapponese, mentre è interessato soltanto indirettamente al lato europeo del problema. Esso vedrà con favore qualunque accordo possa essere raggiunto fra Potenze ma non credeva poter esprimere, né approvazione, né disapprovazione dell'accordo intervenuto fra Inghilterra e Germania.

Commentando tale comunicazione Capo Ufficio competente ha osservato che il Governo britannico aveva certo ragione di essere soddisfatto per avere fatto accettare alla Germania principio della rigida limitazione per categoria. Mio interlocutore era però scettico sulla possibilità di accordo generale fra le princtpali Potenze europee, tanto più che il Governo sovietico avrebbe certamente reclamato intervento nelle trattative, rendendo anche più problematico successo di una conferenza cui partecipassero altre due Delegazioni.

Circa eventuale convocazione di una Conferenza egli mi ha ripetuto (mio telegramma n. 236 del 1° giugno) (l) che se un Governo ne prenda iniziativa Governo Stati Uniti non potrà fare a meno di parteciparvi. Esso è tuttavia restio a partecipare ad una conferenza che venga convocata senza che lavoro preparatorio abbia aperto qualche prospettiva di accordo. Nessuna prospettiva del genere esiste oggi nei riguardi delle tre Potenze del Pacifico. Mio interlocutore riteneva che Inghilterra rendendosi conto dell'attitudine rigida tanto della Francia e Germania che degli Stati Uniti d'America concentrasse per ora propri sforzi sull' [aspetto] europeo del problema.

395.

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3355/264 R. Washington, 18 giugno 1935, ore 19,45 (per. ore 3,30 del 19).

Telegramma di v. E. n. 1092/C (2). Stamane mi sono intrattenuto a lung0 al Dipartimento di Stato sulla situazione cinese ed ho ottenuto dal Sottosegretario di Stato le seguenti informazioni.

Questo Ministro di Cina ha fatto giorni or sono al Governo americano analoga comunicazione a quella fatta a Roma (3). Comunicazione aveva carattere semplicemente informativo e non conteneva alcuna richiesta diretta. Dipartimento di Stato venne informato poi da questo Ambasciatore d'Inghilterra che Foreign Office britannico, dopo avere ricevuta analoga comunicazione da Ministro di Cina a Londra, aveva mandato istruzioni al suo Ambasciatore a Tokio di chiedere chiarimenti al Governo giapponese circa domande avanzate dal Giappone 1'11 corr. Qualora risposta Giappone avesse confermato tenore di dette domande nel senso delle informazioni fornite dal Governo cinese, Ambasciatòre d'Inghilterra avrebbe dovuto dichiarare al Governo giapponese che il Governo

britannico considerava azione come violazione del Trattato delle nove Potenze. Sembra che Ambasciatore d'Inghilterra a Tokio non abbia dato corso subito alle istruzioni del Foreign Office e si sia limitato in un primo tempo a mandare al Ministero Affari Esteri giapponese Consigliere dell'Ambasciata per chiedere le semplici informazioni. Ufficio competente del Ministero Affari Esteri giapponese avrebe dichiarato al Consigliere dell'Ambasciata britannica che richieste dell'll corr. erano state presentate alle Autorità cinesi dalle Autorità militari giapponesi all'insaputa e previ accordi col Ministero Affari Esteri. Trasmettendo a Londra questa informazione Ambasciatore Inghilterra a Tokio avrebbe consigliato di procedere con calma e non affrettare i movimenti. Consigliere Ambasciata del Giappone a Washington si era recato al Dipartimento di Stato ed aveva ugualmente dichiarato che richieste delle Autorità militari giapponese erano state presentate all'insaputa e senza consenso del Governo. Contemporaneamente Ambasciatore degli Stati Uniti a Tokio telegrafava a Washington esprimendogli pure avviso che convenisse procedere con estrema cautela per non precipitare crisi acuta che poteva forse essere ancora evitata.

Nel fornirmi questi dettagli Sottosegretario di Stato mi ba detto che in questo momento Dipartimento di Stato sta ancora cercando di ottenere informazioni precise sulla portata delle domande giapponesi dell'll e non ha quindi preso finora alcuna decisione definitiva circa eventuali passi da fare a Tokio. Egli mi ha lasciato intendere che il Governo degli Stati Uniti è d'accordo col suo Ambasciatore a Tokio sulla opportunità di usare «pazienza e prudenza » tanto più che il Presidente della Repubblica cinese Chiang-Kai-Schek non si è ancora pronunciato sulle domande giapponesi, mentre si ha qui ragione di credere non sia in massima disposto ad accoglierle.

Conversazione odierna mi ha confermato impressione già riferita . col mio telegramma n. 250 del 12 corr. (l) nel senso che il Governo degli Stati Uniti non solo non voglia prendere iniziativa per opporsi alla politica giapponese in Cina ma sia ormai rassegnato ad accettare i fatti compiuti specialmente se la Cina si mostra essa stessa disposta a sottoporsi alle imposizioni giapponesi.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Vedi D. 376. (l) -Con T. 2972/236 R. del l" giugno 1935, ore 13,15, Rosso riferiva che il Governo americano, sondato in vista della convocazione della Conferenza navale, aveva espresso le proprie perplessità circa la possibilità di accordo con il Giappone e fra le Potenze europee. (2) -Vedi D. 375, nota l p, 388. (3) -Vedi D. 375.
396

IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3350/63 R. Tirana, 18 giugno 1935, ore 21,45 (per. ore 3,30 del 19).

Ho conferito oggi col Re per le questioni SVEA e Porto di Durazzo. Per la prima, il Sovrano si è mostrato grato delle facilitazioni concessegli di cui al telegramma di V. E. n. 64 (2).

Per la seconda, pur dichiarandomi di condividere le varie considerazioni che gli ho lungamente svolto per dimostrare tutta la opportunità di una nostra partecipazione alla gestione di quel porto, che costituisce la principale base

delle nostre comunicazioni in regime di collaborazione, ha finito col riservar~i una risposta precisa a breve termine.

Mi è apparso favorevole ma imbarazzato. Ho l'impressione che egli possa avere assunto in passato con altri qualche impegno per il Porto di Durazzo, quanto meno negftivo nei nostri confronti.

Non appena; concluso nei prossimi giorni questo punto, si inizieranno le pratiche occorrenti per la redazione dei vari documenti destinati a fissare in dettagli i vari punti dell'accordo raggiunti in linea di massima. È prevedibile che tali pratiche esigeranno, data la cavillosa mentalità dei contraenti, qual-· che tempo che ad ogni modo farà il possibile per abbreviare.

Il Sovrano mi ha vivamente raccomandato riservatezza su attuale stato negoziati.

(l) -T. 3230/250 R. del 12 giugno 1935, ore 20,02, non pubblicato. (2) -Vedi D. 364.
397

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. PER CORRIERE 3430/0182 R. Berlino, 18 giugno 1935 (per. il 22).

Ieri è venuto a vedermi il Ministro di Cecoslovacchia. Sotto l'apparenza di conoscere in che cosa consistesse l'accordo intervenuto fra l'Italia e la Germania per porre fine alla campagna ostile della stampa di ciascun paese nei riguardi dell'altro, dato che la Cecoslovacchia aspirerebbe a fare dal proprio Iato qualcosa di analogo con il Reich, lo scopo della visita del signor Mastny fu in realtà quello di indagare se e quali accordi fossero intervenuti fra Roma e Berlino circa il problema austriaco. Lungi dallo stupirmi, la constatazione fatta ha confermato in me l'impressione che i circoli diplomatici di Berlino tendono a ritenere che l'Italia abbia nelle ultime settimane rinunciato al proprio atteggiamento intransigente nei riguardi dell'Austria e che si sia accontentata di un affidamento del Cancelliere che il problema austriaco non verrà sollevato nei prossimi anni.

Ho detto al signor Mastny che la cessazione della campagna di stampa risponde alla constatazione dell'inutilità di polemiche. Avevamo cessato in Italia dal criticare la Germania ed avevamo chiesto che non si pubblicassero articoli ostili all'Italia sulla stampa tedesca. Ciò non poteva che giovare alle reciproche buone relazioni. Non si. doveva però scorgere in un provvedimento di questa natura più di quanto realmente esso contenesse e si doveva sopratutto astenersi dal trarre da esso deduzioni che facessero credere ad un mutamento della politica italiana nei riguardi dell'Austria.

Il signor Mastny mi ha detto di aver ripetutamente fatto presente all'Auswartiges Amt l'opportunità che vi sarebbe di smettere la propaganda ostile a mezzo della stampa e della radio fra Cecoslovacchia e Germania. Gli erano state date risposte evasive in proposito e recentemente, di fronte a nuove sue insistenze presso il barone von Neurath, questi gli aveva risposto che la questione avrebbe potuto essere risolta soltanto in sede di conferenza danubiana, dato che uno dei punti da trattarsi sarebbe stato precisamente quello della non immistione negli affari interni degli Stati firmatari. Il signor Mastny si mostrò meco poco soddisfatto della risposta ricevuta, perché essa dimostrava che il Governo del Reich usava due pesi e due misure non volendo assumere con la Cecoslovacchia lo stesso impegno assunto con l'Italia.

Ho fatto osservare al Ministro cet:oslovacco che la situazione era fondamentalmente diversa perché il Governo cecoslovacco permette ai fuorusciti tedeschi di pubblicare sul proprio territorio giornali ostili al nazionalsocialismo, mentre in Italia non ne esiste alcuno. Egli dovette riconoscere la verità di questa osservazione. Aggiunse che sperava ad ogni modo ancora di poter ottenere che venisse permessa la libera entrata e vendita in Germania di alcuni giornali cecoslovacchi, redatti in ceco ed in tedesco, in cambio di analogo trattamento ad ugual numero di giornali tedeschi.

Il Ministro cecoslovacco mi parlò quindi di altri argomenti e precisamente dei seguenti:

Accordo sovietico-cecoslovacco. Il barone von Neurath ed il signor von Btilow si erano espressi con lui al riguardo in termini di grande malcontento, scorgendo nell'accordo stesso una minaccia diretta contro il Reich e l'intenzione dell'U.R.S.S. e della Francia di attaccare la Germania. Gli erano state comunicate al riguardo le obbiezioni portate a conoscenza dei Governi di Parigi, Londra e Brusselle circa la presunta incompatibilità fra il Trattato di Locarno ed il recente patto di mutua assistenza franco-sovietico. Gli era stato fatto rilevare che le obbiezioni medesime erano state contenute espressamente nel campo giuridico, non avendo voluto il Governo del Reich ~ dato che 1'11 ottobre prossimo, esso uscirà anche di diritto dalla S.d.N. -menzionare le obbiezioni che gli sarebbero suggerite anche dagli obblighi derivanti alla Francia ed all'U.R.S.S. (e naturalmente pure alla Cecoslovacchia) dall'appartenenza al Consesso ginevrino, e ciò per dimostrare il suo disinteressamento a tutto quanto concerne la S.d.N.

Visita del Generale Goering a Budapest, Sofia e Belgrad.o. Egli aveva informato il suo Governo delle notizie pervenutegli secondo le quali il Presidente del Consiglio prussiano si sarebbe proposto di indurre l'Ungheria ad intendersi con la Jugoslavia per poi procedere insieme alla Germania ed alla Polonia ad una spartizione della Cecoslovacchia. Aveva creduto aggiungere che non aveva modo di dichiarare se tali notizie corrispondessero a verità. Egli credeva che a Berlino ci si illudesse circa la facilità di porre uno Stato della Piccola Intesa contro l'altro. Lungi dal negare l'esistem:a di interessi discordanti fra gli Stati della Piccola Intesa, il signor Mastny osservò che nelle questioni capitali ~ e tale era indubbiamente quella della esistenza degli stessi Stati -non potevano però esservi divergenze di vedute fra la Cecoslovacchia, la Jugoslavia e la Romania. Dalle notizie pervenute a Praga, il Generale Goering avrebbe esaltato durante il suo soggiorno a Belgrado il valore dei soldati jugoslavi e magnificato i grandi progressi elle aveva avuto occasione di constatare durante questo suo viaggio e quello precedente. Egli avrebbe insistito sulla necessità che le relazioni politiche, economiche e turistiche germano-jugoslave si sviluppassero e che le prime diventassero intime. Il signor Jeftic si sarebbe limitato a rispondergli che la Jugoslavia annetteva, dal suo lato la maggiore importanza all'incremento delle relazioni commerciali con la Germania e che essa avrebbe salutato con gioia l'accrescersi dell'interesse turistico germanico per u suo paese. Egli avrebbe con taie atteggiamento negativo nei riguardi dell'invito di Goering a stringere vieppiil le relazioni politiche con la Germania, dimostrato che la Jugoslavia intende mantenersi fedele alla linea di condotta finora seguita.

Accordo danubiano. Se ne sentiva parlare poco in genere nelle ultime settimane e per niente a Berlino. Questo corrisponde evidentemente ai desiderata del Governo del Reich il quale, pur dichiarando di essere disposto ad aderire, sotto certe condizioni, ad un patto danubiano, si augura che non si possa addivenire alla conclusione dell'accordo stesso. La Wilhelmstrasse ha posto in opera tutti i suoi sforzi per rendere vani gli accordi di Stresa e bisogna riconoscere che ha trovato un appoggio altrettanto valido quanto incomprensibile da parte dell'Inghilterra. La pregiudiziale posta dal Governo del Reich contro ogni e qualsiasi patto di mutua assistenza fra gli Stati firmatari dell'eventuale patto danubiano è stata pure un colpo diritto portato a questo accordo. Tutto ciò causa un sincero rincrescimento a Praga dove si annette grande importanza alla conclusione del patto danubiano e dove si desidera sinceramente di poter aiutare l'Austria a salvaguardare la propria indipendenza. Ci si rende infatti conto che l'annessione dell'Austria al Reich avrebbe come conseguenza immediata un analogo provvedimento nei riguardi dei tedeschi dei Sudeti. Su questo punto i sentimenti di Praga e Belgrado non concordano intieramente, perché mentre la Jugoslavia vedrebbe senza soverchia preoccupazione l'anneE:sione dell'Austria al Reich e penserebbe anzi di poterne trarre qualche guadagno, la Cecoslovacchia sa che un simile avvenimento sarebbe letale per la sua esistenza stessa. I due Stati erano però concordi sopra il punto di non poter ammettere la restaurazione degli Absburgo a Vienna né a Budapest.

398

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3464/016 R. Sofia, 18 giugno 1935 (per. il 24).

Mio telegramma per corriere n. 015 del 15 giugno (1).

Ho avuto occasione di intrattenermi con questo Ministro di Germania sulla visita di Goering a Sofia. Parlare con Rtimelin non è cosa facile: vive appartato da tutti, non riceve né lo si incontra in casa di altri, è spesso assente per congedo o invisibile per malanni più o meno opportuni. Malgrado che ci incon·trassimo solo per la seconda volta (restituiva la visita che gli feci arrivando a Sofia) egli volle subito marcare con me una cordiale franchezza, col tono dell'uomo che ha già compiuto la sua missione e che parla di cose presenti e attuali col distacco che si ha per cose passate: è alla vigilia di lasciare il Paese dopo dodici anni di permanenza.

Da quanto egli mi ha detto vengono, con minori dettagli, confermate le confidenze di Maxa di cui al precedente telegramma. In più Rtimelin ha voluto escludere nella maniera più assoluta che il viaggio abbia avuto, nelle inten-·

zioni del Governo tedesco, un determinato scopo politico. A suo dire la Germania vuole solo avere e mantenere nei Balcani una posizione di primo piano e di prestigio. Con soddisfazione all'occasione del viaggio di Goering egli aveva potuto constatare che i tempi nei quali il popolo bulgaro vedeva nella Germania la causa prima delle sue attuali difficoltà eran passati. La Bulgaria attraversa un periodo di raccoglimento e di diffidenza; nessuno (né la Germania né noi, egli volle specificare) può elaborare piani a lunga scadenza. I futuri atteggiamenti di questa più ancora che di altre Nazioni dipendono da imponderabili che non si possono né predisporre né prevedere. In questo momento la cosa di cui la Bulgaria ha più bisogno ed alla quale è più sensibile è l'aiuto economico: in questo campo la Germania, che 'è il suo miglior cliente assorbendo da quattro mesi in qua l'BO% delle esportazioni, ha una posizione privilegiata, e per questo stato di fatto non si posson muovere addebiti né alla Germania né alla Bulgaria.

Il signor Rtimelin che ha fatto durante il suo ultimo congedo una lunga crociera lungo le coste italiane toccando anche Tripoli, ha avuto parole di elogio e di ammirazione per quanto ha avuto agio di vedere.

(l) Vedi D. 380.

399

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 18 giugno 1935.

Da parte di stranieri favorevolmente disposti verso il nostro Paese ci viene fatta osservazione che noi, mentre abbiamo polemizzato in modo molto violento con l'Inghilterra e mentre abbiamo fatto una campagna contro l'Etiopia per dimostrarne l'inciviltà, non abbiamo invece portato a conoscenza (almeno non in modo sufficiente) dell'opinione pubblica mondiale i nostri sforzi per fare una politica di collaborazione con l'Etiopia. Converrebbe, secondo le dette persone, documentare:

a) la politica di conciliazione fatta dall'Italia verso l'Etiopia;

b) il sabotamento di tale politica fatto dall'Etiopia;

c) il pericolo costituito dalla tendenza xenofoba e sopraffattrice dell'Etiopia per l'Italia e per le altre Potenze coloniali europee.

Effettivamente una nostra polemica in questo campo potrebbe avere degli sviluppi, molto più ampi; d'altra parte non è escluso che in un determinato momento a noi convenga presentare in qualche forma, sia pure alla Società delle Nazioni, un atto pubblico di accusa relativo ai punti sopra riferiti.

Ho disposto perciò che sia raccolto ed ordinato tutto questo materiale di cui i nostri archivi sono ricchi, lavoro che sarà fatto in collaborazione con le Colonie per i dati complementari in possesso di quel Dicastero.

31 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. I

400

IL MINISTRO AD ATENE, DE ROSSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 5714/964. Atene, 18 giugno 1935 (per. il 21).

Mio telegramma 163 (1).

La presidenza dell'Associazione dei nostri Volontari di Guerra nel nominare, a suo tempo, S. E. il Gen. Condylis, Ministro della Guerra e Vice Presidente del Consiglio, membro d'onore dell'Associazione, lo invitò a fare un viaggio nel Regno per partecipare a speciali festeggiamenti volontaristici.

S. E. il Gen. Condylis accettò in via di massima tale invito, ma non potè darvi seguito a causa dei recenti movimenti rivoluzionari. Non appena però si addivenne dopo le recenti elezioni ad una provvisoria sistemazione degli affari politici interni ellenici, la nostra Associazione rinnovò tale invito che S. E. il Generale Condylis, presi accordi col Presidente del Consiglio, è stato ben lieto di accogliere promettendo di giungere a Roma verso 1'8 luglio prossimo, se non vi saranno nuovi impedimenti politici locali.

Mi sono sinora astenuto dal dare notizia di queste trattative direttamente intercorse fra la nostra Associazione di Volontari di Guerra e S. E. il Gen. Condylis in attesa che si concretassero. Solo ieri infatti il Ministro della Guerra ebbe a dichiarare che intendeva dar seguito all'invito ricèvuto e partire prossimamente per Roma.

Il viaggio del Vice Presidente del Consiglio in Italia, per quanto fatto in forma semi privata e attraverso l'invito dell'Associazione dei Volontari di Guerra, risponde ad un vivo desiderio del Gen. Condylis che, profondo estimatore del nostro Regime, da lungo tempo attendeva una occasione per documentarsi personalmente sui risultati ottenuti dal fascismo e per presentare l'espressione di tutta la sua devota ammirazione al Duce. Ma oggi esso corri.sponde altresì ai disegni del Presidente del Consiglio che anche egli da tempo, e specialmente dopo gli accordi di Roma che situavano il Patto Balcanico in posizione ben diversa di quella iniziale, attenuandone in gran parte, almeno per quello che riguarda la Grecia, i più evidenti caratteri antagonistici alla politica italiana in Levante, [aspettava] l'occasione di mostrare tutta la sua simpatia e l'amicizia che il Governo greco intende mantenere e consolidare verso l'Italia. Variazione d'indirizzo della politica ellenica, questa, originata più dai fatti contingenti estranei a quelle direttive della politica ellenica volute a suo tempo da S. E. Maximos e da S. E. Tsaldaris per ragioni di antagonismi partitari o per dar lustro al loro partito a traverso facili successi di politica estera, ma che tuttavia non manca, per quello che oggi possa ancora contare la Grecia nel suo costante disordine interno e nella debolezza dei suoi armamenti, di aver un certo valore per la nostra politica in Levante; dovrebbe venire per lo meno a segnare l'inizio di una politica greca nei nostri riguardi scevra di quelle animosità e di quella larvata ostilità che ci ha dimostrato in questi ultimi due anni in molteplici occasioni.

Il Gen. Condylis, cui è stato affidato questo incarico, è persona che a traverso la sua profonda ammirazione per il fascismo e per il Duce ci è sempre stata favorevole, per quanto egli, per la sua viva amicizia con Re Alessandro e la conoscenza della debolezza delle difese militari dei confini terrestri ellenici, fosse stato uno dei più favorevoli sostenitori di speciali accordi con la Jugoslavia.

Il Gen. Condylis viene dai ranghi ed è stato anche un valoroso comitagi. Di questa sua origine egli conserva una certa rudezza scontrosa resa più accentuata dalla sua scarsa conoscenza delle lingue straniere e della difficoltà di potersi speditamente far comprendere. Ma del soldato egli conserva la rude franchezza e dell'antico comitagi una sacra fedeltà nelle amicizie e nella parola data.

Re Alessandro, che degli uomini balcanici era un profondo conoscitore, fu appunto a traverso il Gen. Condylis che fece breccia nel Governo ellenico per portarlo verso il Patto Balcanico; e a tale uopo ricevé a Belgrado con straordinari onori il vecchio Gen. Condylis, che è in special modo sensibile a tali dimostrazioni, impressionandolo altresì sulla efficienza dell'armamento jugoslavo col farlo partecipe ad esercitazioni e a vaste riviste militari.

A traverso il Gen. Condylis e a questa sua visita in Italia è, pertanto, possibile dar inizio da parte greca ad un indirizzo politico verso il nostro Paese tale da neutralizzare quelle finalità antitaliane del Patto Balcanico che potranno eventualmente manifestarsi specialmente per indirizzo straniero e tale da riportare a un maggior senso di responsabilità e di serenità la politica interna ellenica dopo le innumeri agitazioni che si sono avute qua in questi ultimi mesi per le note questioni religiose dodecannesine.

Nel segnalare, pertanto, in special modo all'E. V. il viaggio del Gen. Condylis in Italia, mi permetto di raccomandare alla E. V. affinché sia fatto il possibile perché tale viaggio possa lasciare in lui il migliore e il più convincente ricordo delle realizzazioni del nostro Regime e della perfezione e della efficienza degli ordinamenti militari del nostro Paese.

n Gen. Condylis si recherà nel Regno accompagnato dal capitano Carauthis Basilio, dal capitano Curuclis Giorgio, dall'an. Stamatis Mercuris, suo ufficiale di ordinanza, dal tenente Christo Lukidis, del suo Gabinetto, nonché dal sig. Giovanni Ceresole in qualità di interprete. A sua richiesta e ad ogni buon fine sarà accompagnato altresì dal colonello Ceresole, che è stato il tramite per il quale fu concretata questa visita del Gen. Condylis in Italia.

n Ministro della Guerra ha avuto l'incarico di consegnare le croci di guerra alle bandiere dei reggimenti italiani che si batterono in Macedonia a fianco dei reggimenti greci e la più alta decorazione militare a S. E. il Capo del Go

verno.

Mi si riferisce che S. E. il G-en. Condylis terrebbe che la rimessa di queste

onorificenze avesse luogo con una speciale cerimonia militare.

Egli ha manifestato altresì il desiderio di poter essere ricevuto in udienza

da S. M. il Re.

Poiché la visita del Gen. Condylis a Roma è sicuramente destinata ad aver

l'eco la più profonda in Grecia, sarò ben grato alla E. V. se vorrà compiacersi

di accordarle il Suo alto patrocinio e se vorrà con ogni mezzo facilitarla.

Mi onoro di allegare, ad ogni buon fine, alcuni accenni sul Gen. Condylis e sulle persone del suo seguito, nonché copia della lettera che egli ha inviato alla Presidenza dell'Associazione dei Volontari di Guerra (1).

(l) Con T. 3342/163 R. del 18 giugno 1935, ore 21, de Rossi annunciava il prossimo arrivo del gen. Kondylis a Roma.

401

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE MANDATI DELLA S.D.N., THEODOLI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. Roma, 18 giugno 1935.

Come ti dissi ier sera ho accolto stamane l'invito dell'Ambasciatore d'In-· ghilterra di parlargli dopo il mio soggiorno a Ginevra. Fui stamane da Drummond dove rimasi un'ora. L'ho trovato al corrente della sostanza della lettera di Avenol che ti consegnai ieri (2).

A sua richiesta gli ho confermato che quanto egli conosceva era esatto.. Ciò che lo interessava sopratuttto era di conoscere come si fosse arrivati a Ginevra a tale progetto. Io gli hu spiegato che i Francesi, desiderosi di mostrare in ogni maniera la loro fedeltà alla politica di Stresa e sopratutto agli accordo del 7 gennaio, vogliono assolutamente trovare una soluzione la quale permetta di soddisfare l'Italia, salvare la faccia di Ginevra ed aiutare gli Inglesi ad uscire dal pasticcio in cui loro stessi si sono messi. Oltre ciò Avenol, come Segretario Generale della S.d.N., si preoccupa che l'Italia, spinta dall'atteggiamento inglese, finisca per uscire dalla S.d.N. Lui che vede le cose dal punto pratico di Ginevra e non teoricamente da Londra si rende conto che l'uscita da Ginevra sarebbe un colpo fatale. Lavai, il quale condivide perfettamente le sue idee, è non solo desideroso, ma ansioso di funzionare da intermediario favorevole all'Italia. Gli ho aggiunto che il modo di agire dell'Inghilterra in occasione dell'ultimo accordo navale aveva certamente contribuito a rafforzare i sentimenti di Parigi verso Roma.

Drummond mi ha chiesto quale reazione aveva avuto la proposta Avenol a Palazzo Chigi. Gli ho risposto che, il Duce essendo assente, non avevo potuto parlare che con Suvich il quale mi aveva subito obiettato che la proposta gli sembrava un'insidia, giacché ll giorno che l'Italia si fosse messa nell'ingranaggio di Ginevra, questo gli avrebbe tolto qualunque possibilità di fare la guerra. Io gli avevo fatto presente che questa stessa obiezione io avevo fatto ad Avenol che mi rispose presente Pilotti: «S'intende che questa procedura voi non la comincerete se non il giorno in cui Francia ed Inghilterra si fossero senza equivoci impegnate a !asciarvi agire contemporaneamente all'azione di Ginevra ed alle loro pressioni sul Negus l>. Drummond, pur dichiarandosi d'accordo, mi ha chiesto: «Ma allora volete fare la guerra per la guerra? l>

ed io: «Niente affatto, il popolo italiano non ritiene Adua una disfatta, ma siccome gli abissini la considerano come tale, deve dar loro una buona lezione per chiarire le loro idee ed assicurare il prestigio futuro. Oltre a ciò è inutile farsi delle illusioni. Questo Negus che non ha mai sparato un colpo di fucile non può cedere di fronte a sole pressioni diplomatiche, ma deve mostrare di non aver potuto resistere alla nostra forza militare».

Allora Drummond mi ha chiesto: «Ma fin dove volete arrivare, ossia vi ripeto ciò che vi domandai tre mesi fa: -che cosa vuole l'Italia? -».

«Caro Drummond, io credevo che a quest'ora lo aveste capito. Se volete che vi dica la mia impressione vi dirò che l'Italia vuole il dominio diretto su tutti i Paesi conquistati da Menelik negli ultimi cinquant'anni. Per quanto riguarda la corona di Salomone od impero etiopico propriamente detto, credo, che saremmo disposti anche a !asciarlo sussistere formalmente con una formula la quale ce ne assicuri il pieno ed effettivo controllo. Quanto a questa formula, come mi ha giustamente detto Avenol, ritengo che saremmo disposti a seguire il vostro esempio e a non !asciarci cioè suggestionare dalle parole, ma tenere conto esclusivamente della realtà dei nostri bisogni e dei nostri interessi.

Drummond, con mia sorpresa e soddisfazione, ha incassato senza reagire, limitandosi a dirmi: «Non dubito che terrete conto dei nostri interessi sullo Tsana ». Al che risposi: «Se voi, ne.i nostri riguardi, vi atterrete al tair play, credo, che potrete essere sicuri che noi faremo altrettanto. Ci sono le Lettere di Graham del '25 che a mio avviso sono tali da lasciare piena soddisfazione quanto a voi e quanto a noi».

Esaurita questa prima parte che lo lasciava pensoso, l'Ambasciatore si è voluto sincerare sino a che punto Avenol agisse di concerto con Laval. La mia risposta, precisa a questo riguardo, visibilmente non gli ha fatto piacere e mi ha chiesto perché noi volevamo trattare attraverso Parigi. Gli ho risposto che noi andiamo avanti per la nostra strada, dentro o fuori i binari di Ginevra, ma che non potevamo certamente impedire ai Francesi di agire per loro conto, tanto più che gli Inglesi non hanno sinora fatto il benché minimo accenno a parlarne con noi.

Drummond, sempre più agitato, mi ha pregato di !asciargli due giorni di tempo, perché domani mercoledi si riunisce a Londra un Consiglio di Ministri per il solo scopo di studiare le relazioni itala-britanniche, ed egli attende impazientemente istruzioni da Londra perché mi ha ripetuto: «Hoare non è Simon ».

Mi pregò quindi di trovare il modo per evitare che Palazzo Chigi non si affrettasse a decidere sulla proposta Avenol, sicuro che venerdì quando egli mi aspetta potrà dirmi qualche cosa, poiché a lui consta che Londra vuol trattare direttamente con Roma senza passare per terze persone.

Egli Drummond, ha sempre insistito coi suoi perché della questione abissinia si parli a Roma. Roma, come sede delle trattative ha tanti vantaggi, primo tra gli altri di permettere il contatto diretto col Duce. Contatto che come si è dimostrato il 7 gennaio e poi a Stresa, è sempre costruttivo e risolutivo (1).

(l) -Non si pubbldcano. (2) -Non rinvenuta, ma vedi D. 383.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

402

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3384/202 R. Shanghai, 19 giugno 1935, ore 12 (per. ore 1,15 del 20).

Nella comunicazione fatta da codesto Ambasciatore cinese (l) mi ha sor·preso accenno relativo all'eventualità di un vero e proprio conflitto armato tra Cina Giappone.

Una occupazione giapponese dell'Hopei e forse dl altre zone al nord del fiume giallo è sempre da considerarsi non solo possibile ma anche probabile nella fase in cui ancora si trova questione locale e non è neppure escluso che dei corpi cinesi abbiano a fare una resistenza più o meno seria. Ma, secondo la mentalità cinese e secondo precedenti ormai costituiti, queste eventualità non conducono qui necessariamente a quello che suoi definirsi conflitto armato e cioè stato di guerra totalitario tra i due Paesi, né credo che Cina abbia in-· teresse di cacciarcisi.

Intonazione generale dei commenti e delle previsioni è in questo senso. Al Ministero degli Affari Esteri di Nanchino confermano che passi sono stati. fatti per ordine centrale da vari ambasciatori cinesi all'estero con l'intendimento di richiamare l'attenzione delle Potenze sopra situazione e tastare terreno sopra possibile reazione occidentale.

A mio modo di vedere qualche Ambasciatore può avere parlato di conflitto armato quasi per salvare decoro del suo paese in questo momento di inevitabile soffice atteggiamento, che nessuno però, che conosca situazione e gravità degli equilibri di forza, può condannare.

403

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND (2)

APPUNTO. Roma, 19 giugno 1935 [ore 19 circa].

L'Ambasciatore Drummond mi informa che il Signor Eden sarà nei prossimi giorni -probabilmente giovedì, venerdì, sabato -a Parigi per trattare le questioni dell'accordo navale e della procedura per il Patto aereo (3).

Sarebbe nel desiderio del Governo inglese che il Signor Eden proseguisse poi a Roma con il pretesto di trattare le stesse due questioni. Effettivamente il Ministro Eden verrebbe invece a discutere della questione etiopica portando delle proposte che spera possano essere prese in considerazione dal Governo italiano. È vivo desiderio del Governo inglese che si possa evitare una guerra

e che si possa trovare una soluzione della questione che si concili con i principi

della S.d.N.

L'Ambasciatore Drummond doveva chiedere personalmente il consenso del Capo del Governo per questa visita, ma data la sua assenza, prega me di informare il Capo e di fargli avere possibilmente entro domani una risposta poiché in giornata il Signor Eden partirà per Parigi.

Assicuro l'Ambasciatore che farò il possibile per fargli avere una risposta entro domattina.

Sir Eric Drummond aggiunge che egli personalmente è molto lieto di questa iniziativa del Governo inglese ed è persuaso che la stessa potrà rappresentare l'avviamento verso una soluzione di gradimento dei due governi.

Gli osservo che l'iniziativa è indubbiamente interessante. Tuttavia bisognerebbe evitare di creare dei nuovi equivoci. Non mi pare probabile che il Ministro Eden possa portare delle proposte che possano essere di gradimento del Governo italiano, ma bisognerebbe almeno che il Governo inglese fosse ben persuaso che noi non possiamo accontentarci di una transazione. Oggi non si tratta né dell'incidente di Ual-Ual, che non rappresenta più nessun interesse, né dell'Ogaden, né di una comunicazione ferroviaria fra le nostre due colonie. La questione itala-abissina oggi è posta in pieno: essa si dibatte da alcuni decenni. L'Italia ha potuto fino ad ora rinviarne la soluzione, ma oggi non è più possibile. Gli abissini si sono armati ed ormai la partita è ingaggiata. Noi non possiamo né recedere né rimanere fermi, ma dobbiamo andare avanti. La soluzione non è che una: la liquidazione definitiva una volta per sempre della questione abissina. Ora perché la visita abbia una qualsiasi chance di successo bisognerebbe che a Londra si sia almeno persuasi di questa irremovibile determinazione del Capo dello Governo. Una soluzione societaria che ci metta nelle pastoie di Ginevra e ci tolga la nostra libertà di azione, non è neanche da prendere in considerazione.

L'Ambasciatore può dirmi che egli ha fatto del suo meglio per far capire a Londra la determinazione italiana di andare avanti contro tutti gli ostacoli. Egli ha riferito a Londra quanto in mia presenza gli ha detto il Capo del Governo nell'ultimo colloquio (l): le parole del Capo del Governo non lasciano adito a dubbi. Si è parlato allora di un regime per l'Etiopia, simile a quello dell'Egitto. Sir Eric Drummond non può nascondersi che ci sarebbero delle gravi difficoltà se il nostro programma fosse quello di avere in mano tutta l'Abissinia. Egli non vuole illudersi che le proposte che porterà Eden possano essere di piena soddisfazione del Governo italiano, anzi a tale proposito può dirmi che egli ebbe occasione di esprimere la sua opinione che queste potrebbero rappresentare il 50 % dei desiderata italiani. Tuttavia esse possono rap

presentare l'inizio di una presa di contatto che potrà poi avere maggiori sviluppi.

Ripeto all'Ambasciatore che non ho la più lontana idea sulle proposte che porterà il Signor Eden e quindi non po::;so esprimere neanche una impressione al riguardo. Tuttavia non posso che insistere sulla necessità che si parta dalla realtà che è quella dell'azione italiana disposta ad andare fino in fondo con qualsiasi mezzo.

L'Ambasciatore Drummond mi assicura che a Londra si sono modificate le idee primitive e che la cosa viene presentata su un piano diverso da quello su cui il Governo inglese si era posto in un primo momento.

(l) Vedi D. 375.

(2) -Ed. !n M. ToscANo, Pagine di storia diplomatica contemporanea, vol. II, Milano, Giuffrè. 1963, pp. 136-137. (3) -Vedi D. 253.

(l) In vista di ciò, Mussollni aveva dettato da Riccione, dove si trovava, la seguente «nota per i giornali»: <<Nei circoli responsabili italiani si seguono con attenzione ed anche con una certa sorpresa le comunicazioni che provengono da Londra sugli accordi navali anglogermanici. Si trova curioso che la GTam Bretagna, che si è f!lltta paladina in questi u!Mmi ';;empi del cosldettl sistemi collettiv•i, abbia voluto trattare separatamente un accordo colla Germania in una materia così delicata come quella navale dove sono implicati importantissimi interessi degli altri Stati e che ha formato sempre fino ad ora ogge,tto di conversazioni e di accordi internazionali. L'Italia né è stata informata preventivamente né ancora O!!gi è a conoscenza de1le basi delle trattative. Questa iniziativa della Gran Bretagna può determinare un nuovo sviluppo nel sistema della politica internazionale>>. Un'annotazione a marg,ine, datata 20 giugno, avverte: <<E' stato poi deciso di non pubbllcarla in segui,to all'annuncio della visita di Eden».

404

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. PER CORRIERE 3465/068 R. Vienna, 19 giugno 1935 (per. il 24).

Starhemberg mi ha dato iersera ampia notizia del colloquio da lui avuto la settimana scorsa con Goemboes in Budapest.

Mi ha detto di aver trovato Goemboes tuttora in preda « all'ossessione del revisionismo », specie nei riguardi della Cecoslovacchia, circa la cui sorte non avrebbe anzi fatto che esporre i più svariati piani di spartizione, in solidarietà con la Polonia.

In replica, Starhemberg aveva creduto esporre i seguenti concetti:

l) l'impossibilità che l'Europa Centrale continui a sussistere senza che tutti gli Stati che la compongono non addivengano ad una profonda cooperazione politica ed economica;

2) la probabilità che essa, permanendo l'attuale situazione, divenga ben presto la facile preda delle due riformantisi forze: il pangermanismo ed il panslavismo;

3) la pericolosa situazione in cui si troverebbe l'Ungheria qualora la Germania, avvalendosi del presente stato di cose, riuscisse ad occupare l'Austria ed i Paesi tedeschi della Cecoslovacchia, e s'incamminasse verso le regioni della Romania, abitate da elementi sassoni.

Goemboes aveva accolto detti avvertimenti con orecchio distratto. Aveva poi insistito sul punto che la sola politica dell'Ungheria non può essere che quella d'una piena e sincera amicizia per l'Austria, l'Italia, la Germania e la Polonia, accennando anche ad un progetto, che avrebbe in animo di sottoporre a V. E.: ossia la riunione, a breve scadenza, d'una conferenza fra l'Italia, l'Austria, l'Ungheria e la Polonia.

Relativamente al suo recente colloquio con Goering (1), il Presidente del Consiglio ungherese aveva detto che in esso non era stato toccato alcun problema essenziale, tranne quello dell'Austria, circa il quale Goering aveva asserito l'assoluta necessità di un plebiscito.

(l) Vedi D. 305.

405

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 19 giugno 1935.

Dopo le ultime conversazioni del R. Ambasciatore a Parigi col Signor La val e col Signor Léger, di cui ai telegrammi del 15 e del 17 corrente (l), in relazione agli scambi di vedute avuti con i rappresentanti della Piccola Intesa a Ginevra, la situazione nei riguardi della preparazione della Conferenza danubiana si presenta come segue:

Austria e Ungheria

Dopo l'incontro di Venezia con SLgnori Kanya e Berger (2), si sono raggiunte le seguenti conclusioni:

A) L'Austria è pronta a concludere un accordo generale di non agg~·essione, di non ingerenza, di consultazione semplice, tutto su base di reciprocità. È anche pronta a concludere accordi bilaterali di assistenza mutua, a cominciare dall'Italia e anzi subordinando la conclusione di accordi suoi con membri della Piccola Intesa alla conclusione di accordi di assistenza tra Italia e questi Paesi.

Per quanto riguarda il riarmo, l'Austria chiede che sia incondizionato e formalmente almeno non legato alla conclusione di accordi di non ingerenza, non aggressione e assistenza. Si sarebbe peraltro d'accordo nel senso di far procedere le due questioni separtamente anche se parallelamente. Si è anche pensato a una dichiarazione unilaterale programmatica di riarmo che potrebbe essere indicativa per i Paesi della Piccola Intesa e consentire loro, in caso di inosservanza, anche una qualche forma di reclamo. Non si rifiuta una eventuale limitazione di armamenti, magari con controllo, purché tanto per la limitazione quanto per il controllo vi sia reciprocità.

L'Austria è disposta a procedere anche senza la Germania, come pure ad entrare in un sistema a quattro: Italia, Austria, Ungheria, Jugoslavia. In complesso l'Austria dà l'impressione di molto tenere alla conclusione del progettato accordo per un triplice ordine di considerazioni:

a) il timore che, dopo l'annuncio dato della Conferenza e dei progetti di accordo implicanti una solidarietà di fronte tra le Potenze, la mancata riunione della Conferenza stessa possa dare la sensazione di una rottura di fronte, di un minore interessamento verso la Germania alla questione austriaca;

b) la preoccupazione che in mancanza di accordo, a causa della intransigenza sopratutto della Piccola Intesa, questa possa in caso di necessità ostacolare l'eventuale azione dell'Italia a favore dell'Austria, indebolendo così la difesa di questa e creando complicazioni;

c) il grande valore attribuito dall'Austria ad un sistema di garanzia italafranco-jugoslavo dando al fattore jugoslavo una funzione decisiva.

B) Ungheria. Pur dando prova di molta buona volontà, è inutile nascondersi che l'Ungheria non è entusiasta né della Conferenza né dei progettati accordi. Ad ogni modo, a Venezia e successivamente, l'Ungheria dà la sua adesione sia a partecipare alla Conferenza, sia a concludere degli accordi generali, giungendo fino alla consultazione semplice ed escludendo accordi di assistenza con chiunque e sotto qualsiasi forma.

Per il riarmo sarebbe d'accordo sulle medesime linee accennate sopra per l'Austria.

Quanto al contenuto e alla redazione degli accordi, desidera che siano salvaguardate varie questioni di suo particolare interesse e principalmente i diritti di revisione che le possano provenire sulla base dell'art. 19 del Patto della S.d.N., nonché i diritti sanciti dai trattati minoritari a favore delle minoranze ungheresi passate sotto le sovranità dei paesi circonvicini.

Germania

Dopo il discorso di Hitler e la conversazione Cerruti-Neurath del 23 maggio (l), la posizione germanica si può precisare così:

a) la Germania non risponderà ai chiarimenti comunicati dalla Francia e dall'Italia, considerandoli come appartenenti ad una fase di negoziati ormai superata;

b) dichiara difficile, per non dire impossibile, trovare una formula di non ingerenza che la soddisfi;

c) non consente che, sia pure sussidiariamente, vi siano nel quadro di un patto danubiano accordi di assistenza mutua, a differenza di quanto ammetterebbe per il Patto Orientale.

Ad ogni modo in principio la Germania si dichiara sempre disposta a partecipare alla Conferenza ed esprime il desiderio di essere consultata e tenuta al corrente dei negoziati preparatori, per non essere posta dinJanzi al fatto compiuto.

Polonia

Data la sua particolare situazione, vi è stato soltanto un contatto iniziale. Salvo che l'Ungheria non intervenisse, è da ritenere come acquisita la partecipazione della Polonia alla conferenza e agli accordi, esclusi però gli accordi di assistenza. In questo ha una posizione che si avvicina a quella ungherese e a quella germanica.

Piccola Intesa

Dall'insieme dei contatti avuti da noi, dagli austriaci e dalla Francia con i rappresentanti della Piccola Intesa, la posizione di questa è all'incirca la seguente:

a) pronti a concludere un accordo di non ingerenza, di non aggressione, di consultazione, nonché di mutua assistenza;

b) preoccupazione -andatasi accentuando -cecoslovacca, di farsi coprire dall'Italia dal rischio che potrebbe correre ove per il fatto dell'aiuto che essa prestasse all'Austria. venisse aggredita dalla Germania;

c) premessa agli accordi deve essere una chiarificazione di rapporti tra Italia e Jugoslavia;

d) la conclusione degli accordi danubiani deve essere accompagnata dalla conclusione di accordi di almeno non aggressione tra Italia e i paesi della Intesa balcanica.

Francia

In attesa delle eventuali comunicazioni che potrà fare l'Ambasciatore Chambrun (1), di cui si annunzia prossimo il ritorno a Roma, dagli ultimi telegrammi di Parigi (2), risulterebbe:

a) la Francia è sostanzialmente solidale con le richieste della Piccola Intesa e anche dell'Intesa balcanica per quanto riguarda gli accordi di queste con noi. Non è invece favorevole ad una partecipazione della Russia;

b) non sembra disposta a raccogliere l'accenno da noi fatto sulla possibilità di sviluppare isolatamente senza la Piccola Intesa sulla base del Protocollo di Roma del gennaio, l'intesa itala-francese per garantire l'Austria;

c) chiede se l'Italia sarebbe disposta a consentire che i tre componenti la Piccola Intesa soccorrano mllitarmente l'Austria in caso di attacco della Germania;

d) chiede se l'Italia sarebbe disposta ad accordare assistenza ad uno o più Stati in rapporto al Patto danubiano, ove questo e questi fossero attaccati dalla Germania per il fatto di aver prestato soccorso all'Austria aggredita dalla Germania.

Quest'ultimo quesito concerne una preoccupazione di Benes, manifestata insistentemente circa le conseguenze per la Cecoslovacchia nei confronti germanici della sua partecipazione nell'accordo di garanzia ed assistenza per l'Austria.

Sulla base di quanto precede, e salvo le eventuali precisazioni che potesse eventualmente portare l'Ambasciatore Chambrun, ho l'onore di sottoporre all'approvazione di V. E. la proposta dl. rispondere al Signor Laval, anche in relazione ai quesiti da lui posti, sulle linee che seguono:

a) Non possiamo prendere impegni per la conclusione del Patto Mediterraneo né di accordi di non aggressione con i Paesi della Unione balcanica. Non escludiamo di discutere questo problema dopo la conclusione del patto danubiano.

b) Siamo favorevolmente disposti a concludere accordi militari specialmente con la Francia, con l'Austria e la Jugoslavia, eventualmente anche con l'Ungheria, per garantire in modo effettivo l'Austria in caso di attacco della Germania.

c) Riteniamo preferibile che la Cecoslovacchia non partecipi a tali accordi militari. Da parte nostra non potremmo infatti dare alla Cecoslovacchia delle garanzie efficaci; tuttavia l'aiuto nostro le deriverebbe indirettamente quando fosse messa in pericolo l'indipendenza dell'Austria.

Poiché gli accordi militari di cui alla lettera b) precedente sembrano sufficienti a garantire l'Austria, al problema posto da Benes: sarebbe l'Italia disposta

a soccorrere la Piccola Intesa ove la Germania l'attaccasse in conseguenza dell'aiuto cecoslovacco all'Austria?, con ciò è già risposto.

Non si vede poi quale aiuto all'Austria potrebbe portare la Romania che d'altra parte noi non saremmo disposti a garantire. Perciò essa dovrebbe rimanere fuori degli accordi militari.

Sembra ad ogni modo conveniente non prendere posizioni troppo recise dato che si è tuttora in piena manovra ed è opportuno continuare a mantenere i contatti, lasciando aperte tutte le possibilità, guadagnano tempo.

(l) -Vedi DD. 379, 387 e 389. (2) -Vedi D. 172.

(l) Vedi D. 269.

(l) -Vedi D. 504. (2) -Vedi D. 389.
406

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3382/408 R. Londra, 20 giugno 1935, ore 0,49 (per. ore 5,15).

Accordo anglo-tedesco è stato accolto dall'opinione pubblica con manifesto compiacimento.

Questo può anche rilevarsi dall'unanime favore col quale accordo è stato commentato dalla stampa la quale ha tenuto stamane a mettere in rilievo particolarmente che la politica navale tedesca è ormai interamente determinata da quella britannica.

Le critiche che si rivolgono all'accordo concernono sopratutto concessioni fatte ai tedeschi per il tonnellaggio sottomarini. Nessuno qui si attendeva che sarebbe stato possibile fare accettare ai tedeschi rigidamente la proporzione del 35 % anche per i sommergibili, ma concessione di quello che virtualmente significa parità nel tonnellaggio sottomarini sembra un grave passo, se si considerano le esperienze che Inghilterra ha fatto durante la guerra mondiale.

Ammiragliato difende questa concessione mettendo in rilievo che per difesa contro i sottomarini si impiegano non altri sottomarini ma navi di superficie e che quindi la potenza offensiva del naviglio sommergibile tedesco è in realtà gravemente indebolita dalla decisa superiorità che tanto Inghilterra quanto Francia e Italia avranno nelle altre categorie di navi. Scarsa importanza è attribuita alla riserva che tedeschi hanno fatto circa possibilità alterare proporzione del 35 % in caso di costruzione anormale e eccessiva da parte di terzi Stati.

Tale riserva, secondo Foreign Office, ha in realtà un valore pratico molto limitato se si considera che la Germania non può modificare proporzione stabilita se non dopo che l'Inghilterra vi abbia formalmente acconsentito.

Quello che attualmente preoccupa Governo britannico è di evitare che all'accordo venga attribuito un significato politico diverso da quello che esso vi attribuisce. In vista, perciò, della reazione che accordo ha suscitato in Francia, esso ha ieri stesso deciso inviare Eden a Parigi con l'incarico di spiegare al Governo francese ragioni che hanno indotto Governo britannico a concludere accordo con la Germania.

Missione di Eden -mi è stato spiegato al Foreign Office -ha un valore politico. Eden non ha incarico di entrare in negoziati navali con la Francia

ma di tranquillare Governo francese e sopratutto di ottenere che Governo francese non risponda all'accordo anglo-tedesco annunziando di colpo un improvvi!io aumento nei suoi programmi costruzioni.

Argomenti che dovrà esporre al Governo francese sono quelli che al Foreign Office mi sono stati già esposti e che ho riferito nel mio rapporto n. 2064/643 del 17 corr. (1). Egli dovrà sopratutto mettere in luce:

l) che l'accettazione da parte della Germania di uno stato di permanente inferiorità navale rispetto alla Francia rappresenta per la Francia un rafforzamento della sicurezza;

2) che le direttive generali della politica britannica non sono state in nulla modificate dalla conclusione del Patto navale con la Germania.

E' probabile che Eden intrattenga anche Laval sul patto aereo. Tuttavia, da quanto mi è stato detto al Foreign Office, ho inteso che Governo britannico non intende in questo momento fare pressioni sulla Francia per affrettare negoziati.

407

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3391/116 R. Ginevra, 20 giugno 1935, ore 18,42 (per. ore 21).

Il Segretario Generale, signor Avenol, mi ha pregato di dire a V. E. che, per quanto l'odierna nota etiopica (2) non richieda la convocazione straordinaria del Consiglio, tuttavia pel fatto stesso che essa formula una proposta, che non può essere discussa e decisa che dal Consiglio, sembra costituire il preludio ad una richiesta di convocazione straordinaria di esso.

Con ogni probabilità il Governo etiopico si è astenuto dal richiedere esplicitamente ora tale convocazione in attesa di conoscere la reazione italiana alla sua proposta.

Avenol comunque mi ha pregato di assicurare V. E. che egli farà di tutto per impedire una eventuale convocazione.

La nota ha destato qui della sorpresa e dell'imbarazzo. Si giudica la sua presentazione inopportuna nel momento in cui sta per riunirsi di nuovo la Commissione di Conciliazione.

n Sottosegretario inglese Walters mi ha chiesto se Governo italiano avrebbe risposto a tale nota ed ha aggiunto, a titolo di commento, che la proposta etiopica era tanto più inopportuna in quanto sarebbe stata considerata come ragionevole da una certa stampa (evidentemente inglese) e con ciò si sarebbe dato esca a un riaccendersi delle polemiche che erano andate calmandosi in questi ultimi giorni.

n Segretario Generale si limita a dare conoscenza della nota ai membri del Consiglio.

(l) -Non rinvenuto. (2) -Nota etiopica !lilla .S.d.N. del 19 giugno 1935, ed. in Il conflitto itala-etiopico, Documenti. vol. I, clt., pp. 246-247.
408

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3394/409 R. Londra, 20 giugno 1935, ore 20,50 (per. ore 3,40 del 21).

Mio telegramma n. 408 ( 1). Notizia che V. E. consentirà a ricevere Eden è stata accolta con viva soddisfazione.

Eden ha avuto subito un colloquio con Baldwin, e poi è partito per Parigi da dove proseguirà direttamente per l'Italia. Istruzioni che Baldwin gli ha impartite sono nei termini che ho telegrafati ieri.

Mi è stato di nuovo oggi confermato al Foreign Office che, mentre Inghilterra desidera procedere al più presto alla conclusione del Patto Aereo, non vuole in questo momento esercitare una pressione sulla Francia che possa complicare la situazione già difficile dei negoziati navali.

Intanto sono continuate oggi le conversazioni navali anglo-tedesche. Tutto lo sforzo degli inglesi è ora diretto ottenere che i tedeschi adottino dei programmi di costruzione che non alterino troppo rapidamente e radicalmente situazione presente, e si possa evitare così che la Francia e l'Italia provvedano d'urgenza ad aumentare i loro programmi e intensifichino le loro costruzioni. Questo è, al momento. come già ho detto, la maggiore preoccupazione inglese.

Subito dopo viaggio di Eden Foreign Office vorrebbe iniziare le conversazioni navali con la Francia e con l'Italia. Il suo programma è di cominciare con un primo scambio di idee tra esperti inglesi e esperti francesi.

Per le conversazioni con noi Foreign Office si riserva di suggerire alternativamente due metodi o delle conversazioni bilaterali anglo-italiane o delle conversazioni a tre fra esperti italiani, inglesi e francesi.

Foreign Office suggerirà al Governo francese che le conversazioni anglofrancesi abbiano inizio il primo luglio.

409

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 6036/85 P. R. Roma, 20 giugno 1935, ore 21.

Dica a mio nome a Gombos che è sommamente spiacevole il fatto che ogni qualvolta si discute dell'Italia al Parlamento magiaro si lasci ampia {acoltà di insultare l'Italia ed il Fascismo, di annunciare menzogne come quella dei 5 mila morti in Africa per malaria e tutto ciò fra la molto benevola tolleranza del Presidente e dell'Assemblea (2).

(l) -Vedi D. 406. (2) -Per la risposta di Colonna vedi D. 413.
410

IL MAGGIORE RENZETTI AL VICE CAPO DI GABINETTO, JACOMONI (l)

L. P. Berlino, 20 giugno 1935.

In allegato, Le invio una relazione nella quale ho riassunto brevemente un colloquio avuto con Goring. Mi sono attenuto scrupolosamente a quanto Ella mi disse a Roma ed io credo di avere fatto una certa impressione su Goring sul quale mi pare ancora di poter esercitare, se non tutta, una parte della vecchia influenza.

Qualora Ella ritenesse utile continuare le conversazioni, Ella potrebbe inviarmi degli appunti. Io non ho naturalmente compromesso od impegnato nulla: ho solo detto che Lei vede la Germania con simpatia.

Non ho ricevuto il passaporto e il resto: la mia partenza (2) deve quindi posticiparsi al mese di luglio, come Le ho detto nella mia del 17 corrente.

ALLEGATO

IL MAGGIORE RENZETTI

AL VICE CAPO DI GABINETTO, JACOMONI

RELAZIONE. Berlino, 19 giugno 1935.

Oggi ho fatto colazione con Goring, con il quale sono rimasto, senza testimoni, dalle 14 alle 17,30. Il Ministro si trova in ottime condizioni di salute e di spirito ed è stato con me aperto e cordiale come in passato.

Dopo avermi parlato del suo viaggio, delle calorose accoglienze ricevute ovunque, egli mi ha chiesto: a) se l'ItaUa si rendeva conto che l'Inghilterra avrebbe fatto di tutto per togliel'le in seguito le conquiste che essa avrebbe potuto fare in Abissinia; b) se l'Italia aveva delle mire su territori inglesi.

Ho risposto: a) che l'Inghilterra, a mio parere, aveva commesso un passo falso opponendosi all'Italia, il cui contegno fermo e risoluto le ha procurato una perdita di prestigio presso i Dominions, fatto questo rilevato da elementi di altre nazionalità (me ne ha parlato recentemente un forte banchiere di Amsterdam che è a contatto con personalità politiche e finanziarie inglesi, belghe, francesi e olandesi). Che l'Inghilterra non ha mezzi per opporsi all'Italia poiché essa non è più la nazione del 1800. Ho fatto rilev.are -ed ho trovato Goring consenziente -che l'Inghilterra non è riuscita a vincere la Germania nel 1918 e che oggi essa non è neppure in grado di opporsi all'Italia; b) che l'Italia non ha fini impel'ialistici e che si contenta di cercare la sicurezza per le due colonie sue e di avere una zona di influenza in Abissinia e non su terr.itori inglesi. Come si può pensare, ho aggiunto, che l'Italia voglia ogg.i l'Abissinia e poi altri territori insieme? Il boccone sarebbe troppo grosso!

L'Italia, ho continuato, ha posto in giusto rilievo le dichiarazioni tedesche sulle forniture delle armi. Del resto, ho aggiunto, la Germania dovrebbe vedere con sim

patia l'azione italiana. La Germania, che ha bisogno di spazio e di colonie, un giorno dovrà pure iniziarne una consimile ed allora essa potrà contare l'.nche sulla simpatia nostra.

Goring ha dichiarato che egli, «con àl cuore pesante», ha fatto la dichiarazione ed ha proibito a Steffen di venire a cercare armi in Germania, dato il contegno italiano verso i tedeschi, data l'iniziativa presa dall'Italia di rinserrare in una morsa la Germania. Noi però, ha aggiunto, manterremo la parola data per quanto sia difficile se non impossibile impedire il tranico delle armi.

Ho replicato facendo osservare a Goring che i tedeschi non dovevano farsi illusioni sulla pretesa «amicizia dnglese ». Colà -e ciò lo ha colpito -si è voluto addivenire ad un accordo' nella tema del blocco italo-franco-Tusso. Modificandosi la situazione, l'Inghilterra tornerà a dare addosso alla Germania della cui forza di espansione teme la intera C~ty. Del resto i tedeschi dovrebbero tenere presente che l'Inghilterra è una Nazione statica, saz;ia: Germania e Italia invece sono due Paesi senza spazio, senza o quasi senza colonie, senza oro, senza ricchezre. È logico che essa cerchi di metterli l'un contro l'altro nel timore che, collegandosi, essi avanzino delle richieste.

Siamo allora entrati a parlare dei rapporti italo-tedeschi. Ripetutomi quanto mi aveva detto varie volte in passato sui fatti del 25 lugLio non desiderati né da Hitler né dagli altri capi (cosa che egli sarebbe venuto a dichiarare al Duce partendo il 26 da Bayreuth se non ci fossero stati i movimenti di truppe nostre), mi ha confermato che Hitler è più che mai addolorato della tensione ancora esistente tra Italia e Germania a causa della questione austriaca. Al riguardo io ho cercato di indurre Goring a riflettere ai tanti gravi problemi esistenti in Europa e nel mondo e a porli in confronto con la piccola questione austriaca. Se Hitler vuole, ho concluso la mia lunga disamina, un accordo in tale quistione non dovrebbe essere difficile a raggiungersi in quanto l'Italia non vuole né annettere l'Austria, né impedirle di essere uno Stato a fondo tedesco e in cordiali relazioni con la Germania. Goring mi ha risposto che nessuno più di lui si augura di poter addivenire ad un accordo (quanto non potrebbero fare Italia e Germania insieme! ha detto); che la Germania non intende fare annessioni che in fondo la indeboiirebbero. Però, mi ha osservato, la Germania non può permettere che si perseguitino nella maniera attuale (un austriaco avrebbe avuto tre mesi di carcere perché teneva un ritratto di Hitler, alla sorella di Goring avrebbero quasi proibito di tenere dl ritratto del fratello) coloro i quali hanno simpatia per il Deutschtum e il nazion:aJ.socialismo. Tra la Germania e la Polonia si è rimasti in ottimi rapporti e malgrado che a Danzica vi sia un governo nazi. Continuando, ha poi affermato di non ritenere che attraverso la conferenza danub.iana si possa addivenire ad una soluzione del problema: un accordo dovrebbe essere conchiuso solo fra l'Italia e la Germa,nia.

Dopo una lunga discussione, durante la quale ho evitato di parlare della conferenza danubiana, si è concluso che l'accordo potrebbe stipularsi sulle seguenti basi: a) Italia e Germania si impegnano a non mescolarsi nelle quistioni interne

austriache; b) i due Capi di Stato si impegnano solennemente ad impedire che elementi fanatici non austriaci, direttamente o indirettamente, provochino o favoriscano torbidi

o movimenti in Austria; c) l'Italia e la Germania lascerebbero libertà all'Austria di scegliersi il regime che più le aggrada.

Ho insistito sul punto secondo per ovvie ragioni. Ho detto che certo si crederebbe a Hitler se egli si impegnasse volontariamente. Un Hitler, ho aggiunto, non compie azioni sleali, azioni che farebbero diminuire la stima di cui egli gode nel mondo. Più dei paragrafi di un accordo, ho aggiunto, basterebbe la parola d'onore del Capo dello Stato tedesco. E poiché Goring osservava che si potevano porre degli elementi italiani di sorveglianza, ho risposto che ciò non avrebbe servito, perché è la buona volontà che occorre in questo caso, la sincerità e 1a energia con cui si pongono in esecuzione gli accordi.

Nel corso della discussione, a mezzo della quale ritengo di avere scosso qualche convinzione di Goring, questi mi ha dichiarato che tutte le voci di intenzioni bellicose verso l'Italia sono false. Se la Germania, ha aggiunto, non può permettersi d1 f!lirsi rispettare dalla Lituania (a proposito di questa egli mi ha detto che dopo il noto passo delle potenze signatarie (l) H nostro rappresentante aveva consigliato al ministro degli esteri lituano di cercare di agire in maniera di mettere la Germania dalla parte del torto), come potrebbe essa pensare ad una guerra contro l'Italia? Per quale ragione poi? «Noi cerchiamo altrove i nostri sviluppi », ha aggiunto. Mi ha dichiarato poi di essere in ogni momento pronto a recarsi dal Duce, se occorresse, per gettare le basi di nn accordo sulla questione austriaca.

Nel colloquio ho evitato di parlare della Francia e Goring ha compreso il perché. Io ho parlato di intese continentali, cioè a dire con la Francia. Ho fatto anche intendere che con l'accordo delle grandi potenze finirebbero ~ ricatti degli Stati della Piccola Intesa.

Gli inglesi hanno lavorato bene in Germania. Parlando con varie personalità sono venuto a risapere ad esempio che il Generale Fritsch, comandante dell'esercito, avrebbe dichiarato che l'Abissinia non vuole saperne della civiltà europea... (2) convenientemente; che si prospetta la rivolta del continente nero contro il bianco qualora l'Italia penetri in Abissinia (i tedeschi temono per le colonie che desiderano). Mi sembrerebbe opportuno quindi qui, subordinatamente al parere delle Superiori Autorità, lavorare per opporsi a tale campagna che viene condotta abUmente, sfruttando opportunamente le tendenze esistenti e la situazione.

La notizia della nomina di von Neurath ad Ambasciatore a Roma manca di ogni fondamento. Non vi sono movimenti ln vista e malgrado che esista una corrente sfavorevole verso von Neurath ed altri fra cui von Hassell al quale si rimprovera di non essersi reso conto della mentalità italiana.

Nei prossimi giorni conferirò con Hitler e riferirò (3).

(l) -In ACS, Ministero della Cultura Popolare, Carte Renzettl. L'allegato è invece nell'Archivio Storico del Ministero degli Esteri ed è vistato da MussoUni. (2) -Renzetti era stato nominato console generale a San Francisco.
411

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3393/81 R. Belgrado, 21 giugno 1935, ore 2,40 (per. ore 6).

Situazione politica interna già molto tesa in questi ultimi giorni, come segnalata, si è improvvisamente aggravata oggi, determinando dimissioni del Ministero J eftic.

Macek, Koroscez e Spaho sono stati chiamati Belgrado consultazioni che cominciano in questo momento (mezzanotte).

Principe Reggente, con cui ho parlato un'ora fa alla Legazione di Francia, vuole tentare composizione Governo coalizione appoggiato su tutte nazionalità e partiti. Prevedesi presidenza Zivkovic o Stojadinovic. Nessuna probabilità previsioni per portafoglio esteri.

Assicurasi in ogni modo esclusione di Jeftic da qualsiasi combinazione perché tale sarebbe condizione posta da croati e sloveni. Riunione Piccola Intesa è rimandata sine die. Naturalmente è anche sospeso viaggio Jeftic a Venezia e Parigi. Riservomi riferire circa sviluppo crisi (4).

32 -Documenti diplomatici -serie VIII -Vol. I

(l) -Vedi D. 49. (2) -Parola illeggibile per il deterlru"amento del documento. (3) -Vedi D. 426, ma anche D. 419. (4) -con T. 6474/84 P. R. del 24 giugno 1935, ore 20,35, Viola dava comunicazione della nomina di Stojadinovic a Presidente del Consiglio dei Ministri.
412

lL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI (l)

T. 8177/339 P. G. Roma, 21 giugno 1935, ore 11,30.

PregoLa seguire conversazioni Eden e possibilmente appurare, senza mostrare troppo interesse da parte nostra, quali siano proposte che Eden intende fare a Roma circa Etiopia. Per Sua norma siamo d'accordo anche col Governo inglese nel dichiarare che a Roma non si parlerà Etiopia.

413

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3419/73 R. Budapest, 21 giugno 1935, ore 12,48 (per. ore 24).

Ho parlato al Presidente Gombos a nome V. E. nei termini di cui al telegramma di V. E. n. 85 (2).

Visibilmente turbe~to mi ha risposto che riconosceva pienamente essere stata insufficiente la reazione manifestata in sua assenza dal Ministro Istruzione Pubblica all'atteggiamento intollerabile deputati socialisti: questi, diffamando Italia fascista, avevano sopratutto inteso attaccare indirizzo e creare imbarazzi al Governo ungherese, quello, non agguerrito ai dibattiti politici, aveva mancato di iniziativa e di energia. Deplorava sommamente inerzia Presidente della Camera cui avrebbe fatto subito rimostranze e che avrebbe invitato reprimere immediatamente incidenti del genere in avvenire. Avrebbe infine trovato modo più efficace per riparazione offesa a prossima seduta Parlamento.

Desiderava intanto rivolgere all'E. V. viva preghiera non voler dubitare, a cagione di tale increscioso episodio, dei sentimenti popolo e deputati ungheresi, in cui anche opposizione democratica e legittimista concordavano oggi orientamento italiano suo Governo.

414

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (3)

T. 3408/118 R. Ginevra, 21 giugno 1935, ore 14,30 (per. ore 17,30).

Secondo informazioni di Avenol ad Attolico, Eden nell'intento di venire incontro ai desideri dell'Italia si proporrebbe: l) per quanto riguarda il « modus procedendi ~ di ottenere l'assenso di

S. E. il Capo del Governo ad una procedura che, escludendo praticamente l'ulte

riore esame della questione da parte della S.d.N., la rimetterebbe esclusivamente nelle mani delle potenze del patto tripartito;

2) per quanto riguarda il fondo della questione e cioè il contenuto e l'estensione delle concessioni da ottenere dall'Abissinia, negoziare coll'Italia per il meglio dei suoi desideri, purché compatibile col rispetto della sovranità abissina.

La fonte delle informazioni è attendibile ma non ufficiale.

(l) Ed. dn M. ToscANO, Pagine di storia diplomatica contemporanea, cit., p. 138.

(2) -Vedi D. 409. (3) -Ed. in M. ToscANo, Pagine di storia diplomatica contemporanea, c~t., pp. 138-139.
415

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO

T. RR. 6052/165 P. R. Roma, 21 giugno 1935, ore 20.

Telegramma di V. E. n. 197 {1).

Nel chiedere gradimento Generalissimo nomina Scaroni, V. E. vorrà metterla in relazione condizioni salute Lordi ed esprimersi nel senso da Lei suggerito, cioè qualificare Scaroni coadiutore Lordi incaricato sostituirlo durante congedo che Lordi ha bisogno passare in Patria per ragioni salute e sopratutto per riferire circa condizioni Missione.

Conto su patriottismo e disciplina Lordi per facilitare compito Scaroni.

Scaroni partirà in volo entro giugno corrente recando apparecchio che

R. Governo ha destinato in dono al Generalissimo, quale pegno dell'amicizia dell'Italia per la Cina nelle presenti traversie politiche, augurio per il compimento opera ricostruzione· iniziata dal Generalissimo e segno tangibile miei sentimenti amicizia verso di lui.

416

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3414/412 R. Londra, 21 giugno 1935, ore 20,37 (per. ore 0,30 del 22).

Vansittart mi ha messo al corrente stamane delle istruzioni che sono state date a Eden per spiegare a Parigi e a Homa le ragioni che hanno indotto Governo britannico a concludere accordo navale con la Germania.

Per quanto queste ragioni siano già perfettamente note a V. E. riassumo tuttavia qui quelli che sono stati i suoi principali argomenti:

1° -delegazione tedesca ebbe a porre accettazione della sua offerta come condizione preliminare di qualunque negoziato. Respingere queste offerte avrebbe perciò significato abbandonare ogni tentativo di limitare nell'avvenire sviluppo della potenza navale tedesca;

2° -impegni assunti dalla Germania assicurano alla Francia già nelle attuali condizioni una superiorità del trenta per cento sulla flotta tedesca. il che è un notevole vantaggio se si considera che prima della guerra Germania possedeva una flotta del quaranta per cento superiore a quella francese;

3o -respingendo offerta tedesca Governo britannico si sarebbe assunta una grande responsabilità davanti opinione pubblica inglese la quale avrebbe attribuito tale intransigenza negativa alle pressioni della Francia, e con questo avrebbe in definitiva danneggiato gli stessi rapporti franco-britannici;

4° -proporzione del 35 % è stata rigorosamente combattuta da tecnici navali tedeschi i quali, ove l'Inghilterra avesse esitato, avrebbe ripreso il sopravvento, e Hitler sarebbe stato verosimilmente obbligato a aumentare le sue pretese;

5° -Germania era decisa seguire per gli armamenti navali gli stessi metodi di azione unilaterale con i quali ha proceduto per gli armamenti terrestri ed era urgente e necessario circoscrivere subito gli effetti di una tale decisione.

(l) T. 6159/197 P.R. del 15 giugno 1935, ore 13, conteneva osservazioni di Lojacono circa la sostituzione del capo della missione aeronautica italiana in Cina, generale Lordi.

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L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3466/035 R. Bruxelles, 21 giugno 1935 (per. il 24).

V. E. avrà rilevato dai quotidiani bollettini stampa della R. Ambasciata come l'opinione pubblica belga abbia diversamente reagito di fronte all'accordo navale anglo-tedesco dividendosi in due campi, corrispondenti quasi esattamente ai due settori etnici del Paese. Mentre infatti i giornali valloni hanno condiviso pressoché tutti la sgradevole sorpresa e le previsioni pessimistiche dei loro confratelli parigini, quelli fiamminghi hanno ostentato calma e ottimismo.

Debbo ora aggiungere che le sfere governative partecipano anche esse a tale ottimismo ritenendo che il Governo britannico abbia agito saggiamente fissando al 35% le quote del riarmo navale tedesco, perché altrimenti la Germania avrebbe potuto avanzare pretese anche maggiori in un prossimo avvenire, come è accaduto per gli armamenti terrestri che un anno fa avrebbero potuto arrestarsi alla cifra di 300 mila uomini se si fosse stati tutti concordi nell'accettarla. Questa considerazione sembra far passare in seconda linea le stesse preoccupazioni alle quali il Belgio (la cui politica estera è tutta imperniata sul Patto di Locarno) non può sottrarsi in seguito alle voci allarmistiche che s'insinuano da ogni parte su di una rottura del fronte di Stresa.

La realtà, è -come segnalavo a V. E. sin da tre mesi fa col mio telegramma per corriere n. 019 (l) -che in fondo il Belgio stima la stabilizzazione dei rapporti fra Londra e Berlino essere per esso una garanzia dl salvaguardia più pratica e più efficace di ogni istrumento internazionale.

(l) T. per corriere 1725/019 R. del 29 marzo 1935, non pubblicato.

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L'ADDETTO NAVALE A LONDRA, CAPPONI, AL MINISTERO DELLA MARINA (l)

R. R. 574. Londra, 21 giugno 1935.

Questa R. Ambasciata ha informato il Ministero degli Esteri il 7 glugno circa le conversazioni navali anglo-tedesche ed ha rimesso il relativo promemoria compilato dal Foreign Office (2) di cui ebbi a informare V. E. con mio telegramma 95 in pari data. Il 17 giugno questa Ambasciata comunicava al Ministero degli Esteri il risultato di una conversazione fra questo R. Incaricato di Affari ed il signor Craigie del Foreign Office funzionario che, come noto, è incaricato delle conversazioni navali. In questa occasione il Comm. Vitetti ha consegnato al Foreign Office il promemoria in data 15 giugno in risposta a quello britannico del 7 corrente esprimente il punto di vista del governo italiano circa la questione (3).

Durante questo colloquio il signor Craigie ha, fra l'altro, esaminato le previsioni circa le probabili future conversazioni bilaterali con la Francia e l'Italia. Ha anche sottolineato l'importanza di non lasciar cadere la opportunità che si presentava di concludere un accordo navale con la Germania data la arrendevolezza e la ragionevolezza delle proposte tedesche. L'Inghilterra non desidera con questo accordo -ha detto il signor Craigie -indebolire la sicurezza di altri Stati e allarmare particolarmente la Francia in modo da pregiudicare la favorevole conclusione dei negoziati generali. Il signor Craigie ha fatto rilevare in quell'occasione come la Germania si fosse impegnata ad accettare lo stato di permanente inferiorità navale rispetto alla Francia. Tale impegno avrebbe lasciato alla Francia e all'Italia una piena libertà di proteggere 1 loro interessi navali mentre legava in modo assai preciso la Germania.

Il 18 giugno è stato definitivamente formulato l'accordo navale anglo-tedesco con uno scambio di lettere fra il Ministero degli Esteri britannico e von Ribbentrop, lettere nelle quali gli impegni assunti sono stati definitivamente fissati. Questo scambio di lettere è contenuto in una White Paper che accludo alla presente, in duplice copia (4).

In merito, questa Ambasciata ha inviato al Ministero degli Esteri il giorno stesso un lungo telegramma in cifra mettendo in luce, fra l'altro, le variazioni esistenti fra gli impegni definitivi, come elencati nel White Paper, ed il promemoria britannico del 7 giugno.

Queste variazioni, come noto, riguardano in modo speciale le costruzioni navali di terzi stati e la proporzione del tonnellaggio dei sommergibili. Il Foreign Office non attribuirebbe molta importanza alla riserva fatta dalla Germania di invitare la Gran Bretagna a riesaminare la situazione che si verrebbe a creare nel caso che l'equilibrio navale esistente fosse violentemente modificato da costruzioni anormali ed eccezionali da parte di altri Stati, poiché per mo

dificare la proporzione stabilita del 35 % la Germania dovrebbe ottenere il formale consenso della Gran Bretagna.

Inoltre la proporzione assegnata ai sommergibili è del 45 % anziché del 35 % con facoltà di raggiungere la parità completa di tonnellaggio sottomarino se le circostanze obbligheranno la Germania a far ciò. Questa rappresenta la seconda delle importanti concessioni che la Gran Bretagna ha dovuto fare alla Germania, concessioni di cui la form2. del testo non modifica la sostanza.

Il 19 corr, questa R. Ambasciata ha rimesso al Ministero degli Esteri un altro lungo telegramma in cifra relativo alle accoglienze che sono state fatte fin ora a questo accordo navale (1). A questo proposito rimetto col foglio odierno n. 572 un riassunto della stampa quotidiana che tratta dell'argomento. Le critiche rivolte all'accordo riguardano sopratutto le concessioni fatte in materia di navigllo sommergibile. Nessuno si attendeva che la Germania si sarebbe contentata del 35 per cento di naviglio sottomarino ma addirittura la parità viene considerata una cosa assai grave. L'Ammiragliato difende la concessione fatta col dire che oramai è meglio aver posto un freno anziché fare recriminazioni e proteste per poi dover subire in seguito da parte germanica delle imposizioni molto più gravose. Esso inoltre dice che in tal modo la Francia potrà dormire fra due guanciali perché a tener entro determinati limiti la flotta germanica ci penserà d'ora in poi la Gran Bretagna. Analogo commento mi ha fatto questo Addetto Navale francese il quale ha soggiunto che tutti i denari spesi nella flotta tedesca erano sottratti ai reggimenti di fanteria e questo non poteva, in certo qual modo, che rallegrarlo. Si fa inoltre rilevare in questi circoli navali che per la difesa contro i sommergibili oggigiorno i mezzi sono notevolmente accresciuti rispetto a quelli della passata guerra e che il naviglio sottile preponderante in possesso degli ex alleati ha più che buon gi,1co contro la parità concessa alla Germania in fatto di sommergibili. Come regola generale i commenti dei giornali sono assai favorevoli all'accordo. Si mette in rilievo, fra l'altro, come questo sia il primo tentativo coronato da successo per una effettiva limitazione degli armamenti e per contrapposto che il Mare del Nord ritorna ad assumere quella importanza strategica di primo ordine che aveva perduto sin dal 1918: si riparla di rimettere in efficienza le basi di Rosyth e di Scapa Flow.

In accordo con le istruzioni ricevute da questo R. Incaricato di Affari mi sono recato ieri all'Ammiragliato ed ho parlato con il Sottocapo di Stato Maggiore -Vice Ammiraglio Little --che è anche uno dei membri della commissione britannica incaricato delle conversazioni anglo-tedesche.

L'Amm. Little mi ha detto che ancora nulla si sapeva circa i futuri programmi di costruzione tedeschi poiché proprio in questi giorni le delegazioni si stanno scambiando le idee su questo argomento. Egli sperava poter essere in condizioni di conoscere questo programma fra pochi giorni.

Anche nei riguardi del numero di anni entro il quale il futuro programma tedesco sarebbe distribuito, l'Amm. Little nulla ha saputo dirmi se non che la Gran Bretagna cerca di fare il possibile per indurre i Tedeschi a stabilire che il programma sia completato negli anni susseguenti al 1942.

(l} Vedi D. 406.

La reazione del programma navale tedesco su quello inglese, date le incertezze di cui sopra, non è nota ma sarebbe intendimento dell'Ammiragliato di cercare di combinare le cose in modo che alla scadenza dei Trattati di Washington e di Londra alla fine del 1936, il graduale programma di rimpiazzo delle navi da battaglia e delle altre navi, che esso ha in animo di attuare, non venga compromesso da ragioni straordinarie quali per esempio il riarmo navale germanico. Queste considerazioni possono applicarsi anche alla libertà di azione in fatto di costruzioni navali recentemente annunziata dalla Francia. A questo proposito l'Amm. Little ha soggiunto che nGl memorandum francese di risposta al promemoria britannico del 7 giugno, non era contenuto nulla che non fosse già noto e che la protesta francese doveva considerarsi piuttosto una protesta formale, giuridica e politica più che una esposizione di dubbi tecnici, poiché gli risultava anche che lo Stato Maggiore della Marina francese era di massima in accordo colle risultanze del patto navale anglo-tedesco.

I Tedeschi per la elaborazione delle cifre relative ai tonnellaggi si erano serviti, durante le conversazioni in corso, delle cifre stabilite dai trattati di Washington e di Londra. Il tonnellaggio den·Impero britannico che doveva servire di base per calcolare la proporzione di tonnellaggio tedesco era il tonnellaggio del naviglio entro i limiti di età. Sarebbe stato escluso dal computo il naviglio che aveva passato i limiti di età e il naviglio esente da limitazioni secondo i trattati.

Nei riguardi del massimo tonnellaggio individuale delle navi per ogni categoria, le due delegazioni non erano ancora addivenute ad un accordo, ma si sapeva che di massima i tedeschi erano favorevoli alla accettazione di un limite per le navi da battaglia uguale a quello favorito dalla Gran Bretagna se non addirittura più basso.

Sembra che i Tedeschi siano assai soddisfatti dei loro incrociatori da 6 mila tonnellate che essi continueranno a riprodurre. Le navi da battaglia tedesche saranno incluse nel tonnellaggio delle navi da battaglia, ma non si sa ancora di quale tonnellaggio saranno le due << Ersatz '> D ed E menzionate nella pubblicazione ufficiale Fleets a pag. 9.

Nulla è precisato ancora da quale categoria di navi la Germania vorrà trarre il 10% in più rispetto al 35 e, eventualmente in seguito il resto fino al 100 %. per il tonnellaggio dei sommergibili, onde non superare il 35 % del tonnellaggio globale dell'Impero britannico. L'Amm. Little ha dichiarato ad ogni modo che questa questione non era molto preoccupante.

Circa i limiti dei trasferimenti da una categoria all'altra (lettera g del paragrafo 2 della White Paper) per consentire alla Germania la piena utilizzazione del tonnellaggio assegnatole, non era stato ancora convenuto nulla di preciso ma l'Ammiragliato sta cercando di far sì che non venga superato il 35 % di ogni categoria con un lasco che si aggira sul lO %.

Venendo ad una delle clausole più importanti, come l'ha definita anche l'Amm. Little, dell'accordo e che può essere definita quale una clausola di salvaguardia vera e propria, l'Amm. Little ha preso lo spunto per ripetere il punto di vista già noto dell'Ammiragliato che cioè il trattato di Versailles era già stato ucciso, che se la Gran Bretagna non avesse colto al volo la occasione · che le si presentava di venire ad un accordo con la Germania nel campo navale

la Germania avrebbe costruito una flotta ben più potente di quella che non poteva costruire adesso in seguito all'accordo avvenuto; che occorreva partire dal punto di vista che la Germania avrebbe ottemperato agli impegni assunti di sua spontanea volontà e non impostile e che egli non vedeva alcuna ragione di dubitare che il Trattato, ed in modo particolare la detta clausola, non sarebbero stati osservati.

Circa l'aumento oltre il 45 % del tonnellaggio di sommergibili l'Amm. Little ha detto che, secondo lui, soltanto un aumento del tonnellaggio di superficie francese e russo avrebbe potuto giustificare un aumento del tonnellaggio dei sommergibili tedeschi.

Egli mi ha spiegato la genesi del paragrafo 3 della White Paper che è stata inserita di proposito dall'Ammiragliato per essere sicuri che la situazione prospettata dal comma c) del paragrafo 2, al quale si riferisce, fosse ben inquadrata senza alcun dubbio. A questo proposito l'Amm. Little ha detto che il suddetto comma c) par. 2 era stato presentato dai tedeschi dietro precise istruzioni del Cancelliere Hitler per dimostrare la buona volontà e la lealtà del governo tedesco pur tutelando il proprio diritto di difesa di fronte a circostanze straordinarie e anormali.

L'Amm. Little mi ha quindi accennato alla visita che dovrebbe compiere fra breve il Ministro Eden a Roma. Fra le altre comunicazioni che Eden farà al nostro Governo vi sarà l'invito ad inviare a Londra una delegazione per discutere circa i programmi costruttivi che verranno adottati in avvenire dalle varie Potenze.

L'Amm. Little ha soggiunto che le delegazioni avrebbero potuto essere simili alle delegazioni americana e giapponese che vennero a Londra durante lo scorso autunno, ossia un paio di esperti aventi a capo un uomo politico.

Avendo chiesto all'Amm. Little quando presumeva che queste conversazioni avrebbero potuto aver luogo, egli mi ha risposto essere desiderio dell'Ammiragliato di affrettare al più presto la questione e che egli presumeva che le riunioni avrebbero potuto iniziarsi entro il mese di luglio prossimo poiché entro l'anno avrebbe dovuto aver luogo la Conferenza Navale prevista dai trattati navali di Washington e di Londra.

(l) -In Archivio deH'Uffdcio Storico della Ma·rina Militare. (2) -Vedi D. 353, Allegato. (3) -Vedi D. 376. (4) -Non pubblicato.
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IL MAGGIORE RENZETTI AL SOTTOSEGRETARIO PER LA STAMPA E LA PROPAGANDA, CIANO

L. P. Berlino, 21 giugruo 1935.

In allegato Le invio la relazione del colloquio avuto con Hitler. Non ne ho inviato una copia a Jacomoni (2), come sarebbe pur mio dovere, in quanto Hitler ha posto la questione del nostro Ambasciatore in primo piano ed ic nutro timore che si possa giungere a deduzioni false.

Io ho riferito con la massima esattezza quanto mi ha detto il Capo del Nazionalsocialismo (al quale ho parlato di Lei come di chi ha verso la Germania simpatia e comprensione). Ho ritenuto dovere assoluto di uomo e di fascista farlo. Altrimenti avrei agito contro gli interessi del mio Paese e contro quelli del Fascismo.

Mi sono astenuto dal riferire tutto quanto Hitler e gli altri mi hanno detto e pensano di me. Le ragioni sono ovvie. Ma V. E. sa che se io avessi preciso mandato e relative direttive, potrei --qualora lo si volesse -arrivare a far concludere un accordo o a provocare una détente o arrivare ad una comprensione, senza che con questo fosse necessario conferirmi dei titoli o delle nomine, cosa della quale, più che degli interessi dell'Italia, alcuni sono stati e sono preoccupati.

P. S. -Non ho ricevuto né disposizioni, né i passaporti circa la mia partenza per San Francisco.

ALLEGATO

IL MAGGIORE RENZETTI AL SOTTOSEGRETARIO PER LA STAMPA E LA PROPAGANDA, CIANO

RELAZIONE. Berlino, 21 giugno 1935.

Il Cancelliere mi ha oggi ricevuto e intrattenuto a colloquio per circa un'ora.

Hitler si trova in ottime condizioni di salute. Mi ha detto che il lavoro intenso degli anni scorsi lo ha stancato, che quest'anno però intende prendersi sei o sette settimane per curarsi la gola.

Siamo entrati poi a parlare dei rapporti itala-tedeschi. Ritengo mio preciso e sacro dovere di italiano e di fascista riferire con sc·rupolosa esattezza quanto mi è stato dichiarato a tale riguardo, per quanto s~a dolente che debba essere proprio io a farlo.

Hitler mi ha detto che uno dei fattori più importanti, concernente essi rapporti, è quello riguardante il nostro rappresentante. «QUi bisogna che io mi spieghi chiaramente», ha detto. «Ogni Nazione è in diritto di inviare quale proprio rappresentante in Germania 1a persona che si ritiene più opportuna. Io però ho il diritto di parlare con fiducia solo a quei rappresentanti che, pur difendendo strenuamente -e debbono farlo -gli interessi della loro patria, siano corretti e leali, che riferiscano cioè esattamente ai propri Governi quanto io dico loro. I rappresentanti possono essere antitedeschi, antinazi: i loro sentimenti non mi riguardal!'lo. Mi interessa invece che le dichiarazioni che io fo loro siano riportate senza modificazioni. Ogni rappresentante può aggiungere alle mie dichiarazioni le sue impressioni, le sue proposte: ciò è ben naturale, ma deve riferirle integralmente. Gli Ambasciatori della Francia, dell'Inghilterra, della Polonia, ad esempio, sono fanatici patrioti: i primi due specialmente sono contrari al regime nazi. Però essi sono correttissimi e leali: essi hanno fatto constantemente risapere ai propri Governi, con la massima precisione, quanto io dico loro. Non è così purtroppo per l'Ambasciatore d'Italia».

Ad un mio tentativo di difesa, Hitler ha dichiarato che egli parlava solo in base a delle prove inconfutabili ( « Lieber Renzetti », ha detto, « wenn ich so spreche, so habe ich Beweise daftir »). Ed ha soggiunto: «Io non intendo certo entrare minimamente nelle vostre cose. So solo però che se per caso Mussolini mi dichiarasse di non essere contento di von Hassell e di volere a Roma la personalità X o Y, in ventiquattro ore io richiamerei von Hassell e invierei a Roma la persona desiderata, ad eccezione

di von Ribbentrop che io da semplice privato ho nominato ambasciatore perché ml serve ad altri scopi. Io, allora, non penserei affatto che il Duce voglia entrare nelle cose tedesche e cosi, credo, Egli potrebbe e dovrebbe regolarsi com me, al fine di facilitare più che ostacolare un'intesa».

« Senza un mutamento, Le dichiaro», ha continuato Hitler, «che un mutamento nei rapporti italo-tedeschi non può avvenire. E Le assicuro -ha soggiunto che se io dovessi ricevere il Vostro attuale rappresentante, che in passato ho colmato di cortesie e verso il quale ho mostrato un'arrendevolezza che non ho avuto con altri, lo farei solo contornato dal Ministro degli Esteri e almeno da un altro testimone».

Io l'ho pregato, a questo punto, di non voler vedere i rapporti italo-tedeschd sotto tale punto di vista. Mi ha risposto che lui è più che mai dolente che si sia giunti alla nota tensione. «Io non ho colpa dei fatti del 25 luglio>>, ha detto. «Appena avvenuti tali fatti (se il putsch fosse stato appoggiato dai tedeschi, esso avrebbe avuto successo e non si sarebbe svolto nella maniera nota), io ho dato degli ordini precisi ai nazi. Gi:iring sarebbe venuto subito in Italia latore di una mia lettera per il Duce, nella quale avrei spiegato i fatti pregando di vederli quali essi erano ln raltà: un'azione di disperati (io son ben dolente dell'uccisione di Dollfuss), conseguenza dei preparativi di Ri:ihm >>.

«La violenta campagna di stampa condotta contro di me e contro la Germania mi ha stupito e addolorato >> -(non cito qui le numerose mie interruzioni per spiegare le ragioni del nostro contegno) -« perché io non ho affatto pensato ad annettermi l'Austria ad inviare divisioni -e lo avrei potuto fare agevolmente -colà. Perché lo allora più che mai ero persuaso che la Germania e l'Italia, legate da problemi comuni, da situazioni quasi identiche, da regimi consimili, avrebbero dovuto procedere insieme. La politica fatta è quella desiderata dai francesi e dagli inglesi, dalle nazioni insomma che hanno da perdere >>.

Ho detto che una politica di collaborazione italo-tedesca avrebbe potuto ancora iniziarsi a malgrado del passato ed ho ripetuto gli argomenti esposti due giorni fa a Gi:iring. L'Austria ci divide: due grandi uomini possono risolvere tale quistione con una parola leale. Non deve essere la presenza di un rappresentante sgradito ad impedirlo. Hitler mi ha risposto che egli è pronto a rivedere la questione. Non ho ritenuto né opportuno né necessario insistere in particolari a malgrado che egli sia stato verso di me cordiale, dirò anzi affettuoso come in passato. Io gli ho spiegato,

per rispondere ad una sua osservazione fatta due o tre volte nel corso del colloquio, che nessuno in Italia lo ritiene per « dumm >> (stupido), g!A ho fatto presente che la Germania in Italia è stimata e rispettata. Ho insomma, affermando calorosamente quanto dicevo, voluto sgombrare il terreno da ogni preconcetto, da ogni risentimento. Ho detto anche che io ero tornato dall'Italia prima ancora che si iniziasse la campagna contro l'Inghilterra e che del resto si è sempre pensato giusto nei riguardi di Hitler. «In Italia, come altrove, si è dubitato degli " Unterfiihrer" non di Voi>>, ho aggiunto. « Ora si sa che la situazione si è qui sensibilmente migliorata nel senso che la Autorità legale ha preso definitivamente il sopravvento; che la Vostra parola ha valore reale e decisivo e non può venire infirmata da alcuno >>. « L'Italia>>, ho aggiunto, «non vuole andare in Austria né vuole esercitarvi influenze poLitiche. Desidera come Voi che l'Austria rimanga uno Stato indipendente, a fondo tedesco, fra i nostri due Paesi: desidera che colà dei mestatori non provochino rivoluzàoni>>.

Hitler ha dichiarato, sempre nel corso del colloquio, che non gli si può domandare di sconfessare coloro che si sentono attaccati al nazionalsocialismo. « Si lasci che anche i nazi -se l'Austria lo vorrà -partecipino al potere>>, ha detto, «il loro numero non importa>>. «Del resto », ha soggiunto, « io non penso affatto ad annessioni. La Germania non ha i mezzi per mantenere l'Austr,ia. Noi abbiamo, come

Voi Italiani, del resto, altri scopi: quelli di cercare sbocchi per la popolazione crescente e per il rifornimento di materie prime. Non sperate di trovare eccessivi appoggi da parte della Francia e dell'Inghilterra che vorrebbero inchiodarvi al Brennero>>.

Gli ho fatto notare che il Duce si era opportunamente liberato dalla parte del guardiano; che l'Inghilterra non avrebbe potuto più opporsi alla nostra azione in Abissinia (sull'Inghilterra gli ho ripetuto del resto quanto ho detto a Goring). Ho anche prospettate le varie considerazioni su un blocco europeo e via di seguito. Hitler mi ha detto infine: «Io non sono pazzo o stupido come qualcuno mi ritiene. Lavoro per eliminare la disoccupazione che spero far discendere prossimamente a un milione e mezzo, cifra questa molto inferiore di quella inglese; non mi porrò in un'avventura per annettere l'Austria. Ho interesse che una guerra in Europa non avvenga. Sono veramente dolente che non mi si comprenda». «Noi possiamo addivenire ad una comprensione, però occorre che il Vostro rappresentante non vi entri».

Ho risposto che se a questa comprensione si dovesse giungere, sarebbero necessari incontri fra uomini politici, e del tempo. Io, quale privato, ho cercato di sgombrare il terreno da equivoci e malintesi.

Il Cancelliere ha aggiunto frasi e parole che non riferisco perché riguardano la mia persona.

Hitler è stato reciso nelle sue affermazioni Ho la precisa impressione che egli sia stato sincero e che sia pronto a dare il suo appoggio per addivenire ad una politica leale e sincera di collaborazione. OCcorre però che si tenga conto dei suoi sentimenti e risentimenti sui quali eglti non cambierà avviso. Hitler è un uomo pratico ma nello stesso tempo possiede una profonda sensibilità: come egli non dimentica coloro che gli sono stati amici e fedeli o simpatizzanti, cosi non dimentica coloro che lo hanno combattuto o che sono stati sleali. Di tale fatto debbono tenere conto tutti coloro che vogliono oggi trattare con la Germania. Nei riguardi del nostro Paese, egli so -e l'ho sentito -che è offeso: occorrerà un'azione lunga, fatta con gran tatto, per condurre in porto una comprensione verso la nostra azione. Però Hitler rimane ancora della profonda opinione che Germania e Italia riunite potrebbero forse ottenere tutto quanto desiderano.

(l) -In ACS, Ministero della Cultura Popolare, Carte Renzetti. (2) -Si veda invece l'allegato al D. 426.
420

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

T. 3437/119 R. Ginevra, 22 giugno 1935, ore 20 (per. ore 21,30).

S. E. Pilotti comunica quanto segue:

«Avenol mi ha detto che Eden nel viaggio a Parigi non ha espresso al Governo francese nessuna idea circa il conflitto itala-etiopico. Si è limitato a dire a Laval che egli partirebbe per Roma e che a Roma intendeva di parlare della questione col Governo italiano.

Avenol attribuisce questo contegno all'atteggiamento sempre più marcatamente favorevole all'Italia preso da stampa francese. Secondo lui Eden ha voluto riservarsi piena libertà di conversazioni col Governo italiano senza anticipare le possibili reazioni francesi.

Avenol crede che Eden porterà la discussione sopra un terreno concreto; deduce ciò da una lettera personale che Eden gli ha scritto e nella quale questi dichiara semplicemente di avere molto lavorato per la questione negLi ultimi giorni».

(l) Ed. in M. ToscANo, Pagine di storia diplomatica contemporanea, cit., p. 139.

421

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

T. 3442-3441/372-373 R. Parigi, 22 giugno 1935, ore 22,40 (per. ore 1,25 del 23).

Segretario Generale Affari Esteri mi ha letto telegramma, che sarà spedito stasera a codesta Ambasciata Francia, con l'ordine di mettere al corrente immediatamente V. E. dello svolgimento delle conversazioni parigine [Eden-Lavai] (2).

l) Accordo navale anglo-tedesco. Lavai ha mantenuto riserva di fondo e di forma. Francia non intende inviare né ricevere per ora Delegati tecnici. Eden ha osservato che, l'accordo di Washington essendo prossimo alla fine, converrà pure discutere problema navale con Stati interessati. È stato risposto che il Governo francese non crede opportuno in questo momento prestarsi a trattative che darebbero impressione che la Francia si adatta al fatto compiuto del 18 giugno.

2) Patto aereo. Quai d'Orsay ha mantenuto il suo punto di vista, ossia è disposto negoziare accordo a condizione che sia inteso che l'accordo attuale è subordinato a una intesa generale su tutti i punti oggetto comunicato francoinglese di Londra del 3 febbraio u.s. Ministro inglese, dopo chieste istruzioni a Londra, ha dichiarato che il Governo britannico s'impegna non avviare trattative bilaterali con la Germania per un patto aereo bilaterale.

Non mi pare però che questo punto sia stato chiaramente definito. Sarà ripreso al passaggio di Eden da Parigi di ritorno da Roma. Egli sarà allora in possesso di istruzioni scritte da Londra e potrà impegnare definitivamente il suo Governo.

Léger mi ha dichiarato spontaneamente che Eden non aveva detto una parola sulla questione abissina. Ambasciatore di Francia a Londra aveva informato che Eden avrebbe schivato problema etiopico.

Segretario Generale Affari Esteri attribuisce silenzio del Ministro inglese al fatto che il Foreign Office ha avuto occasione anche negli ultimissimi giorni di rendersi conto che Quai d'Orsay non è disposto seguirlo nella sua intransigenza.

Segretario Generale Affari Esteri, richiamandosi alla nostra ultima conversazione (mio telegramma n. 352) (3), ha aggiunto di avere nuovamente manifestato la sua opposizione al punto di vista britannico in conversazione avuta con questo Ambasciatore d'Inghilterra.

Ho riferito quello che mi è stato detto.

Aggiungo che non sono del tutto convinto che Lèger mi abbia detto la verità. La mia incertezza è corroborata dal fatto che il mio interlocutore, sottoposto a stringenti domande, mi ha dichiarato recisamente di non conoscere nep

pure approssimativamente quello che Eden potrebbe chiederci. Invano ho osservato che Ambasciata di Francia a Londra aveva probabilmente fornito qualche indicazione. Ho citato le ipotesi che fanno i giornali di cessione di territori senza riuscire a fare uscire il Segretario Generale dal suo riserbo.

Egli mi ha detto soltanto ad un certo punto che, a parere suo, l'Italia avrebbe dovuto mirare ad assicurarsi il dominio sul Negus piuttosto che a ottenere dei territori.

Questo spunto mi porta a riferire a V. E. la confidenza fattami da un collega rappresentante di un Paese che, anche per ragioni di lingua e di razza, ha intimi legami con la Francia. Il collega, che mi ha chiesto di non essere nominato, mi ha comunicato che il Governo francese avrebbe fatto fare dei cauti sondaggi ad Addis Abeba per sapere se Negus avrebbe accettato il protettorato dell'Italia. Il Negus avrebbe risposto negativamente, dicendo che se egli avesse accondisceso i Ras si sarebbero ribellati a lui. Sempre lo stesso collega mi ha detto inoltre che, prima che si parlasse del viaggio di Eden a Parigi e a Roma, questo Ambasciatore britannico aveva accennato con lui alla possibilità di darci soddisfazione mediante una striscia di territorio di circa 300 chilometri di profondità sia dal lato della Somalia che dell'Eritrea. Ho domandato al mio interlocutore se gli era stato accennato alla congiunzione delle nostre due colonie. Non ha saputo precisarmero. Mi ha detto invece di [avere] ·avuto l'impressione cne il Governo britannico non voglia il nostro insediamento nella Abissinia vera e propria per la diminuzione che ne deriverebbe alla sua posizione nel Mar Rosso e nel Sudan.

Appena finite le conversazioni Lavai è partito stasera per la campagna.

(1) -Ed. in M. ToscANO, Pagine di storia diplomatica contemporanea, clt., pp. 139-140, dal quinto capoverso. (2) -Vedi D. 429. (3) -Vedi D. 387.
422

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3538/0186 R. Berlino, 22 giugno 1935 (per. tl 28).

La rapida conclusione dell'accordo navale anglo-germanico ha causato in Germania una gioia profonda. Esso fu un grande successo per Hitler e, occorre riconoscerlo, anche per il signor von Ribbentrop. Esso causò, ancorché ciò possa apparire strano, una certa sorpresa in taluni ambienti diplomatici, i quali si llludevano che le conversazioni navali fra la Germania e l'Inghilterra conservassero il carattere puramente informativo che avevano avuto quelle precedenti con i tecnici navali giapponesi, americani, italiani e francesi.

V. E. ricorderà le ragioni in base alle quali dedussi che lo scopo principale della conversazione navale anglo-tedesca era, per la Germania, quello di addivtmlre alla redazione di un documento che sancisse il principio caro a Hitler che i soli patti aventi reale valore sono quelli hitleriani.

Ho già fatto conoscere all'E. V., col mio telegramma per corriere n. 0183 ae1 19 corr. (1), come io scorga nel paragrafo 2, lettera c) dell'accordo il mezzo,

per la Germania, di estendere fra qualche anno i suoi armamenti navali molto

al di là del 35 % di quelli britannici. Chi ci avrebbe dunque in definitiva rimesso

nel concludere l'affare sarebbe l'Inghilterra.

Dal linguaggio tenuto meco da Sir Eric Phipps ed in genere dall'esame della ;rtuazione, non vi è dubbio che gli uomini di Stato inglesi, rimasti spaventati dall'enunciazione fatta loro a Berlino da Hitler della sua decisione di possedere una flotta ragguagliata al 35% di quella britannica, meditando sopra quanto ~ra stato loro comunicato e sopra quanto era avvenuto circa gli armamenti terrestri tedeschi, credettero di agire prudentemente e nell'interesse inglese vincolando i tedeschi con un accordo che li impegnasse a non costruire più della percentuale enunciata.

Mi permetto peraltro di nutrire dei dubbi circa la chiaroveggenza britannica, perchè l'accordo concluso la scorsa settimana a Londra avrà con ogni probabilità conseguenze tali da condurre fra qualche anno ad ulteriori conversazloni anglo-tedesche per un aumento degli armamenti navali tedeschi. Come è infatti possibile immaginare che la Francia e l'U.R.S.S. non si preoccupino delle 43U mila tonnellate di naviglio modernissimo di cui disporrà la Germania fra sette anni o poco più? La difesa costiera tedesca non richiedeva nemmeno la metà di tale tonnellaggio, cosicchè la ricostruzione della flotta del Reich ha, cne lo si voglia o non ammettere, scopi offensivi. E poichè non vi è dubbio che si pensa a Berlino ad una espansione verso Oriente (ormai si comincia a partarne come di una cosa ovvia), la flotta tedesca dovrebbe operare nel Baltico contro i soviet e nel Mar del Nord contro la Francia loro eventuale alleata.

L'U.R.S.S. ha nel Baltico una marina da guerra scadente e talmente antiIJ.Uata che non può essere presa in considerazione. Dovrà quindi affrontare il problema della ricostruzione di una flotta moderna e procurare di lavorare con ritmo tanto più celere in quanto dovra temere un attacco preventivo tedesco.

La Francia dovrà pure pensare ad avere nell'4tlantico una flotta tale da puter far fronte a quella tedesca. Essa dovrebbe, per farlo senza eccessiva spesa, Intendersi con l'Italia in modo da ridurre al minimo le proprie forze navali nel Mediterraneo. Ove un simile accordo non fosse peraltro realizzabile e la Francia dovesse aumentare sensibilmente i propri armamenti navali, in modo da avere potenti flotte in entrambi i suoi mari, dovrebbe l'Italia aumentare a tiua volta la propria marina da guerra, tenendo presente l'eventualità che le due flotte francesi possano riunirsi contro di essa nel Mediterraneo.

E tralascio di accennare alla ripercussione che il riarmo navale tedesco potrà avere sugli Stati scandinavi, sull'Olanda e sulla Polonia.

Che si osi dunque parlare di «garanzia di pace», come conseguenza dell'accordo navale anglo-tedesco, è semplicemente assurdo, così come è assurdo mre che la decisione della Germania di avere un esercito di 550 mila uomini è pure la maggiore sicurezza per la pace dell'Europa.

In talune conversm>.ioni da me avute negli ultimi giorni con elementi tedeschi uun accecati dalla passione politica ho potuto riscontrare una perplessità che deriva precisamente da un esame della situazione che si potrebbe creare in ~;uHseguenza dell'accordo navale di Londra.

Anche le riserve italiane e francesi, di cui si è avuto sentore, hanno moderato i primitivi entusiasmi. Il che non toglie che qui si continui ad essere soddisfatti ed orgogliosi di possedere di nuovo una flotta potente e che se ne renda tutto il merito, che indubbiamente gli spetta, ad Hitler.

Dove mi sembra che si dovrebbe essere assai meno soddisfatti è a Londra, ed infatti l'opposizione già si vale dell'affrettata conclusione dell'accordo navale unglo-tedesco per muovere al Governo del signor Baldwin le critiche che esso merita e sopratutto quella di avere irrigidito la posizione dell'Italia e della Francia nei riguardi dell'Inghilterra, reso ancora più arduo il già difficilissimo compito della conferenza navale prossima e compromesso forse l'accordo aereo.

Come V. E. ha appreso dalla mia precedente corrispondenza l'Auswartiges Amt ostentò sempre di volersi tenere al di fuori dei negoziati navali anglotedeschi. La frase del signor von Btilow (mio telegramma per corriere n. 0174 del 5 corr.) (1), relativa alle categoriche istruzioni impartite al signor von Ribbentrop di non ingerirsi in alcun modo durante il suo soggiorno a Londra, del patto aereo, dato che si riteneva all'Auswartiges Amt che i negoziati navali :n sarebbero trascinati per chissà quanto tempo, mentre il patto aereo doveva essere concluso con la maggiore sollecitudine, è stata sintomatica e prova l'ostilità che la diplomazia ufficiale del Reich nutre tuttora verso l'uomo di fiducia del Fuhrer, al quale egli affida i più gelosi negoziati impartendogli istruzioni dirette.

Ho appreso ieri, da un giovane funzionario che accompagnò la delegazione navale tedesca a Londra, che lo stesso signor von Ribbentrop riteneva che i negoziati si sarebbero trascinati per molto tempo, tanto che la delegazione si rifornì delle valute necessarie per soggiornare in Inghilterra un intiero mese. Egli aggiunse che l'arrendevolezza che gli inglesi mostrarono sino dal primo giorno e la premura che ebbero di concludere l'accordo aveva stupito, ancorchè molto gradevolmente, i delegati tedeschi i quali avevano così potuto conseguire un successo quale non avevano osato sperare.

(l) T. per corriere 3431/0183 R. del 19 giugno 1935, non pubblicato.

423

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 22 giugno 1935.

A seguito della precedente comunicazione in data del 13 giugno corrente (2), l'Ambasciatore di Cina ha fatto conoscere verbalmente quanto segue: La vertenza tra Cina e Giappone relativa alle pretese giapponesi nelle provincie del Hopei e dello Chahar è stata risolta pacificamente. In sostanza è stato concordato:

-per quanto riguarda l'Hopei: estensione della zona demilitarizzata in modo da comprendere Pechino e Tientsin; trasferimento della sede del Governo

provinciale del Hopei da Tientsin a Paotlngfu; la polizia nella zona demilitarizzata continuerà ad esser fatta dalla Cina; il Governo cinese non assume l'impegno formale di sostituire i funzionari del Hopei; se mai, vi procederà più tardi di sua iniziativa; chiusura delle sessioni delle <<camicie blù » nel Hopei;

-per quanto riguarda lo Chahar: sostituzione del Governatore militare con un Governatore civile; ritiro di una divisione (le altre truppe rimangono). Inoltre il Governo cinese ha assuoLo l'impegno di sospendere Ia propaganaa

antigiapponese in Cina, in quanto attività governativa.

Secondo l'Ambasciata di Cina, in seguito all'accordo di cui sopra, è scongiurato il pericolo, che sembrava imminente, di una occupazione militare giapponese di Pechino e Tientsin (l).

(l) -T. per corriere 3133/0174 R. del 5 giugno 1935, non pubblicato. (2) -Vedi D. 375.
424

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 710/659. Ginevra, 22 giugno 1935 (2).

A seguito del mio telegramma n. 119 d'oggi (3), S. E. Pilotti comunica quanto segue:

«Parlandomi ancora del conflitto itala-etiopico e del viaggio di Eden, Avenol mi ha detto credere che sia ispirata da buona fonte l'osservazione fatta dalla signora Geneviève Tabouis, nipote di Jules Cambon e redattrice diplomatica dell'Oeuvre, che un avviamento alla soluzione del conflitto potrebbe essere cercato in una specie di disinteressamento della Società delle Nazioni a favore delle tre Potenze confinanti con l'Abissinia (Italia, Francia, Inghilterra), ovvero in una specie di affidamento da parte della Società delle Nazioni a queste Potenze del compito di trattare con l'Abissinia.

Avendogli io accennato all'opportunità che il nuovo Ministro degli Affari Esteri inglese prenda posizione nella questione, come dicesi abbia fatto per il problema navale tra Inghilterra e Germania, Avenol mi ha risposto che Eden essendo ormai membro del Gabinetto, allo stesso titolo degli altri, è evidentemente investito da una missione ufficiale da parte di tutto il Gabinetto e che finora il nuovo Ministro Hoare non ha preso posizione in nessun campo, perchè, a quanto risulterebbe, l'accordo navale con la Germania è stato trattato direttamente da Ribbentrop e l'Ammiragliato, con l'intervento attivo di Craigie, che è l'esperto del Foreign Office in materia navale».

(l} Il presente documento reca il visto di Mussol!ni.

(2) -Manca l'indicazione della data d'arrivo. (3) -Vedi D. 420.
425

L'ADDETTO NAVALE A PARIGI, PARONA, AL MINISTERO DELLA MARINA (l)

R. S. U. 151 G. 22. Parigi, 22 giugno 1935.

Ho avuto questa mattina un colloquio col V. A. Durand-Viel Capo di Stato Maggiore Generale della Marina. Ritengo opportuno riferire subito a V. E. la parte di tale colloquio relativa agli importanti negoziati in corso.

Dopo avermi espresso il vivo malcontento francese per l'avvenuto accordo navale anglo-tedesco, l'Ammiraglio mi ha accennato ai capisaldi delle proteste che il Ministro Pietri ha presentato al Presidente Laval perché costituiscano base delle discussioni dei colloqui in corso col Ministro britannico Eden:

a) La marina francese considera l'accordo una violazione del Trattato di Versailles ed una infrazione al trattato delle cinque Potenze di Washington.

b) La marina francese prospetta il pericolo che la Germania possa realizzare una percentuale superiore al 35 % di flotta nuova rispetto alla flotta inglese qualora non siano fissati in modo rigoroso ed opportuno i termini del ritmo di realizzazione delle nuove costruzioni tedesche. Ciò in considerazione del considerevole ritardo delle costruzioni inglesi di rinnovamento concesse dai Trattati in vigore. L'accordo anglo-tedesco circa il ritmo delle costruzioni germaniche non è ancora raggiunto.

c) La marina francese ritiene che l'accordo anglo-tedesco sia causa di decadenza dei trattati di Washington e di Londra perché le proporzioni delle varie flotte vengono spostate dalle concessioni fatte alla Germania.

d) La marina francese ritiene che l'invito alle Potenze interessate per partecipare ad una conferenza anglo-franco-itala-russa a Londra, debba essere esaminato con molt::t cautela ed accettato soltanto dopo che tutti gli argomenti che dovranno essere trattati a detta conferenza siano stati preventivamente ed accuratamente discussi e fissati fra le Alte Parti interessate. Il Capo dello Stato Maggiore ha espresso il desiderio e la convinzione che in questa occasione la Francia procederà in perfetto accordo coll'Italia poiché ritiene che ciò sia non solo utile ma necessario nell'interesse comune dei due Paesi.

e) Parlando quindi delle possibilità della futura conferenza l'Ammiraglio ha insistito nel farmi rilevare che la Marina francese non ritiene opportuno accettare come base di una futura conferenza il principio di un accordo per una limitazione quantitativa ed ha detto testualmente: «... il est désormais indispensable que chacun pense à sauvegarder la sureté de so.n Pays selon ses propres moyens, ses idées et ses possibilités parce qu' il n'est plus possible d'accepter une hiérarchie proportionnelle des différentes puissances: un accord de ce type ne pourrait que renouveler des discussions pénibles et dangereuses pour la bonne entente entre les Nations comme a été le cas pour celui de Washington entre la France et l'Italie. On pourrait envisager une conférence pour un accord

33 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. I

qualitatif, c'est-à-dire sur les caractéristiques de certains types de navires comme le tonnage maximum des cuirassés et des sous-marins ~.

f) Parlando in seguito delle future conversazioni del Ministro Eden a Roma l'Ammiraglio ha detto : «Je ne suis pas dans les sécrets du Gouvernement, mais je crois que la France sera certainement à vos còtés aussi dans la question de l'Ethiopie qui tien tant au coeur de Mr. Mussolini et de toute l'Italie ~.

Tale conversazione si è verificata in occasione di una mia visita all'Amm. Durand-Viel per altro argomento di scarsa importanza sul quale riferisco a parte: ritengo perciò che l'Ammiraglio Durand-Viel nel parlarmi tanto diffusamente e con tanta precisione di argomento di così importante attualità, avesse lo scopo ben preciso di far giungere le informazioni sopra riportate a V. E.

(l) In Archivio dell'Ufficio Storico della Marina Militare.

426

IL MAGGIORE RENZETTI AL VICE CAPO DI GABINETTO, JACOMONI

L. P. Berlino, 22 giugno 1935.

Come da promessa Cl), Le invio in aUegato alcune pagine dove ho riassunto un colloquio avuto con Hitler. Vi manca qualche considerazione che non spetta a me di riferire (2).

Io partirò il 25 corrente da qui. S. E. l'Ambasciatore, che ha oggi ricevuto un telegramma da Roma, mi ha dichiarato che una mia richiesta di spostamento della data della partenza avrebbe potuto essere considerata quale ... un atto di indisciplina. Di fronte a tale minaccia, che davvero non immaginavo, ho deciso di partire come posso (non ho neppur ricevuto i passaporti), lasciando molte cose in sospeso e convinto non solo di avere sempre obbedito, ma di avere fino all'ultimo giorno compiuto onestamente e lealmente il mio dovere (3).

ALLEGATO

IL MAGGIORE RENZETI'I, AL VICE CAPO DI GABINETTO, JACOMONI

RELAZIONE. Berlino, 22 giugno 1935.

Il Cancelliere mi ha oggi ricevuto ed intrattenuto a colloquio dalle 11,45 alle 13. Egli si trova dn buone condizioni di salute: soffre ancora un po' alla gola, indisposizione che però passerà presto. Mi ha detto che il lavoro intenso degli scorsi anni., la tensione nervosa conseguente alle importantissime decisioni da prendere, lo hanno stancato molto e che pertanto ora si sarebbe preso sei settimane di ·assoluto mposo.

Entrati a parlare dei rapporti itala-tedeschi, Hitler ha dichiarato di essere stupito e dolente dell'andamento che essi avevano preso e che era quello che maggiormente desideravano e desiderano le Potenze interessate allo statu quo in Europa. « Io non ho colpa dei fatti del 25 luglio, per quanto di essi, logicamente, abbia dovuto assumermene la responsabilità. Io non credevo ad insurrezioni ln Austria che mi

venivano date ogni tre o quattro settimane per certe: sono stato poi male informato. Deploro la uccisione di Dolfuss: sono metodi questi che rifuggono dal mio spirito. Se noi avessimo organizzato il putsch, questo sarebbe stato condotto in ben diversa maniera».

« Appena avute le notizie, lo stesso 25, ordinai alle legioni austriache di non muoversi: minacciai Habicht che avrebbe fatto la stessa fine di Rohm se tedeschi avessero passato la frontiera. Avevo poi ordinato a Goring di tenersi pronto per partJi.re per Roma, latore di una mia lettera a Mussolini nella quale gli avrei spiegati gli avvenimenti, conseguenza della organizzazione preparata da Rohm. Sono rimasto e stupito della campagna di stampa italiana e delle misure militari italiane. Io ero lontano dal pensare ad una nostra azione in Austria, dall'idea di fare la guerra all'Itahla. (io ho spiegato le ragioni del nostro comportamento). Avrei potuto inviare anch'io delle divisioni -anche allora ne avevo più di sette -ma non lo feci appunto per dimostrare le mie intenzioni pacifiche. Stupito quindi ed addolorato perché persuaso di non essere in mala fede, perché conv.into che l'Italia e la Germania legate da problemi e da scopi comuni, da situazioni quasi identiche, da regimi consimili, avevano e avrebbero avuto pari interesse di battere la medesima strada. Temo che aJi Vostri Capi siano giunte informazioni o mie dichiarazioni modificate ecc. ».

Ho pregato allora Hitler di non volersi arrestare su questo punto che in fondo è il più facile ad essere eliminato e di volermi dire se credeva ancora alla possibilità di una collaborazione italo-tedesca. Mi ha risposto Hitler dii essere sempre della medesima convinzione. «Non mi si ritenga « dumm » (ciò me lo ha ripetuto due o tre volte nel corso della conversazione: gli ho allora recisamente affermato che in Italia nessuno pensa ciò neppur lontanamente e che colà la Germania ed il suo caoo sono profondamenté stimati) «e capace quindi di provocare un conflitto in Europa per l'Austria. Io che ne farei? Non ho certo soldi p~r poterla mantenere. In passato ero disposto di sorreggerla insieme all'Italia: oggi non so ~e sarei oiù disposto a farlo. Senza entrare ·in particolari», ha continuato, « le dichiaro di essere pronto a riesarrunai'I'I la situazione».

Intanto -rispondendo a mie osservazioni o facendo delle parentesi -Hitler mi ha anche detto di aver apprezzato molto la opera leale ed avveduta del barone Aloisi con cui anzi avrebbe desiderato intrattenersi molto più a lungo di quanto non ha fatto; che Egli, qualora Mussolini lo desiderasse, sarebbe pronto in ventiquattr'OTe a cambiare l'Ambasciatore a Roma che pure è animato dalle migliori volontà di raggiungere una intesa con l'Italia in quanto ciò fa parte delle proprie convinzioni, e a mandarvi la perSOI!la designata da Mussolini stesso. «Solo non vi manderei Von Ribbentrop che da privato ho nominato Ambasciatore, poiché egli mi serve altrove. Io non considererei ciò che come un atto cordiale preso allo scopo di addivenire meglio ad una com· prensione reciproca».

Hitler ha detto poi che Francia ed Inghilterra (ha espresso qualche lieve timOI"€ per l'Abissinia ed .io gli ho ripetuto quanto a.vevo dichiarato a Goring) avevano l'interesse di impegnare l'Italia al Brennero. Gli ho fatto osservare che Mussolini con le sue recenti dichiarazioni, si era magnificamente disimpegnato. L'Italia non ha mire territoriali al nord, non vuole esercitare influenze politico-militari in Austria: considera tale Nazione come a sfondo tedesco, idonea a fare da cuscinetto ed insieme da ponte tra Italia e Germania. Vuole solo la Sua indipendenza. « Ora, ho soggiunto, « se anche Voi la desiderate, in quanto non pensate alla possibilità di una annessione, non dovrebbe essere difficile giungere ad un componimento amichevole. Ora è più facile, in quanto si sa che la forza degl·i « Unterfiihrer » è diminuita e non è quella dello scorso anno. Di essi si temeva e non già della Vostra parola. Se voi darete ordini precisi, si sa che nessuno disobbedirà o che quelli che disobbediranno, pagheranno».

Hitler ha dichiarato che prendeva nota di ciò; che non gli si doveva chiedere però di sconfessare coloro che lo amano e che si sentono nazionalsocialisti; che si doveva permettere, a tempo opportuno, la eventuale partecipazione dei nazi al governo austriaco. Ripeteva inoltre che egli non pensava affatto all'Anschluss. «Io non voglio disturbare la pace europea, non voglio guerre. La Germania ha altri problemi da risolvere. La disoccupazione deve scendere da due ad un milione e mezzo; deve pensare alle colonie rifornitrici di materie prime di cui è priva». Ha concluso infine

dichiarando di vedere con molta simpatia tutti coloro che si occupavano di far tornare una atmosfera di cordialità e di fiducia tra l'Italia e la Germania.

Ho avuto la precisa impressione che Hitler, che con me è stato cordiale, affettuoso anzi come in passato, abbia parlato con molta sincerità e che abbia preso buona nota delle considerazioni che gli ho esposto. Nei riguardi dell'Italia, Egli si sente «verschnupf » (offeso e risentito) ma nello stesso tempo mostra di tenere molto ad essa, alla Sua sincera amicizia. Dimostra sempre molta deferenza per il Duce. Hitler è un pratico, un realista. Ma è anche dotato di molto cuore e di molto sentimentO e perciò tiene in maniera particolare alla fedeltà, alla amicizia. Occorre parlare a Lui realisticamente, ma nello stesso tempo con il cuore; accostarglisi insomma, per farsa intendere meglio. Hitler è un rivoluzionario, che parla con il proprio io, che quindi sente le voci che gli provengono dall'animo e dal cuore. Poiché sono in procinto di partire -non si può avere quindi motivo di sospettare che parli per me -, mi si consenta di affermare che, qualora si volesse giungere ad una collaborazione, ad un componimento, occorrerebbe prima di tutto eliminare dall'animo di Hitle;r il risentimento ed il sospetto che nutre verso di noi; che questo e poi i preparativi per trattative, le varie conversazioni ecc. ecc., dovrebbero essere condotte da chi, essendo con Lui in familiarità e godendone stima e fiducia, potrebbe fargli osservazioni delicate, proposte di vario genere, certo di non venire frainteso e di non offendere, certo at essere sentito e considerato da Hitler come un leale, un onesto r.hP difende gli mteresst di un altro Paese.

(l) -Vedi D. 410. (2) -Vedi D. 419. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussollni.
427

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3496/070 R. Vienna, 23 giugno 1935 (per. il 26).

A malgrado l'impressione destata dall'accordo navale anglo-tedesco, Berger ed il Ballplatz considerano wn calma la situazione internazionale, mostrandosi anzi convinti, contrariamente a quanto essi ritenevano in un'epoca tutt'altro che lontana, della necessità e dell'opportunità di lasciare tempo al tempo per quanto riguarda la questione danubiana.

Circa l'accordo navale anglo-tedesco, essi ritengono che il nazionalsocialismo non mancherà di sfruttarlo, a fini interni di propaganda, come una segnalata vittoria tedesca: ed all'popo, più ancora che l'esaltato linguaggio della stampa di Berlino, sono da segnalarsi gli sforzi che questa Legazione di Germania svolge presso giornali compiacenti (Reichspost) per allargare il più possibile il senso e la portata dei recenti negoziati intercorsi fra Berlino e Londra.

Tuttavia il Ballplatz ritiene che se è indubbio il successo del Reich tanto nell'essere pervenuto ad un regolamento unilaterale, in deroga al diverso sistema patrocinato dalle Potenze occidentali, quanto nell'essere riuscito a dare allo stesso tempo una prova della pretesa volontà di pace della Germania, pure alla suaccennata propaganda nazista potrà sempre contrapporsi che il convenuto accordo significa al postutto, a malgrado l'asserita volontà del Reich di volere giungere a qualunque costo ad una perfetta parità di diritto, una definitiva rinuncia ad un maggior armamento navale; e che lo strappo portato, con l'accordo in parola, al Fronte di Stresa sta per essere in certo modo risarcito con la visita di Eden a Parigi ed a Roma.

Circa il Patto danubiano, Berger mi ha esposto ampiamente avant'ieri le ragioni per le quali egli ritiene che esso non possa verificarsi prima dell'autunno prossimo, ossia:

l) le scarse e vaghe notizie che Lavai continuerebbe a dare sugli umori e le disposizioni degli Stati danubiani e balcanici; 2) l'asserita disposizione di Lavai a voler tuttora una perfetta correlazione fra un patto mediterraneo ed il divisato assetto danubiano;

3) le aumentate tendenze germanofile in Jugoslavia, tanto che questo mio collega di Francia avrebbe financo ammesso che Belgrado sarebbe in oggi divisa, a forze uguali, fra Parigi e Berlino;

4) la crisi ministeriale jugoslava ed il probabile carattere transitorio del Ministero in formazione; 5) l'astrazione di Titulescu da ogni questione che non sia strettamente attinente a quella dei rapporti russo-romeni; 6) il rigido atteggiamento di Gombos, confermato anche nel suo recente colloquio con Starhemberg (mio telegramma per corriere n. 068) (l); 7) lo stato d'animo delle sfere dirigenti tedesche, inorgoglite dal raggiunto accordo navale con l'Inghilterra.

Berger ha rilevato che in questo stato di cose il solo uomo di Stato dell'Europa centrale, che gli appaia consapevole delle esigenze dell'ora, e sinceramente disposto ad un pratico avviamento della questione danubiana, è il Benes. Ha concluso che sebhene la situazione internazionale non sia per nulla tale da predisporre all'ottimismo, pure l'Austria intende rimanere fermissima sulla strada tracciatasi, e ciò anche se il Reich dovesse mietere altri allori o tentare ogni mezzo, sia pure il più violento, di distogliernela.

Il Direttore degli Affari Politici è stato poi meco anche più esplicito, prospettandomi le ragioni per le quali sarebbe opportuno di astenersi adesso da ogni iniziativa nei riguardi del problema danubiano; e ciò sia per impedire che i piccoli Stati si affrettino, per reazione, a contrapporre nuove loro proposte od insopportabili pretese; sia per spingere la stessa Francia ad agire finalmente con forza e determinazione sui suoi alleati danubiani; sia per rendersi ben conto delle direzioni che saranno per prevalere a Belgrado in fatto di politica estera, dovendosi in ciò tenere presente non solo la circostanza che il Ministero in formazione è di mera transizione, ma anche la probabilità di nuove elezioni politiche, dalle quali i croati potrebbero riuscire grandemente avvantaggiati e sia per attendere che l'Inghilterra (tenuto anche presenti le disposizioni che il nuovo Ministro degli Esteri ha dichiarato nutrire per l'Austria, e circa le quali riferisco a parte) (2) chiarisca meglio il suo atteggiamento; donde l'opportunità di una attesa vigilante, ma fidente e calma.

Tuttavia, se queste sono le disposizioni delle sfere ufficiali, non posso passare sotto silenzio la mia impressione circa il perdurante disorientamento nel grosso dell'opinione, il quale viene, come è naturale, accortamente sfruttato dall'attività propagandista nazista.

Ad ogni modo, alle parole surriferite del Berger, circa la volontà dell'Austria a restare ferma sulla via tracciatasi. fanno riscontro quelle pronunciate oggi dal Cancelliere, in un pubblico discorso: «Noi vogliamo conseguire la pace nel paese e fuori di esso, ma non vogliamo mendicarla; vogliamo anzi ottenerla col pugno chiuso. Bisogna resistere e restare fermi».

(l) -Vedi D. 404. (2) -Nel T. per corriere 3495/069 R. del 24 giugno 1935, Preziosi riferiva avere S!r Samuel Hoare detto al barone Franckenste!n «che l'indipendenza dell'Austria non formerà ma! oggetto d! bargain da parte del governo d! Londra, per un eventuale aooordo su altre questioni, tra Germania e Inghilterra».
428

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3543/0188 R. Berlino, 23 giugno 1935 (per. il 28).

Parlandomi dell'accordo navale anglo-tedesco il signor von Biilow mi ha detto che esso rappresenta un grande successo per la Germania e dimostra come si possano raggiungere risultati positivi soltanto mediante accordi a due, sopratutto se i due sono Stati di primo ordine.

Egli mi ha detto poi che occorrerà attendere i risultati delle conversazioni di Eden a Parigi e Roma per sapere se vi sia o meno il modo di discutere altri argomenti, primo di tutti il patto aereo.

Circa il patto orientale, von Biilow mi ha detto che il Governo del Reich attende la risposta della Francia alle obiezioni mosse dalla Germania al patto franco-sovietico che è qui considerato incompatibile col Trattato di Locarno, Sapeva che François-Poncet, rientrato stamane da Parigi, aveva chiesto di vedere il barone von Neurath e pensava che forse gli avrebbe rimesso la risposta francese. Dal tenore di essa si sarebbe potuto trarre norma per discutere

o meno il patto orientale. Doveva dirmi che più lo si studiava e più si scorgeva la difficoltà di concluderlo. Fra gli Stati dell'Europa orientale era stata infatti intessuta negli scorsi anni una tale rete di patti di non aggressione, di consultazione, ecc. che il concluderne uno generale come dovrebbe essere quello orientale avrebbe dato indubbiamente luogo a delle contraddizioni e a degli inconvenienti che sarebbe stato meglio evitare. È chiaro, da questo linguaggio del Segretario di Stato, che il Governo del Reich è intenzionato di far macchina indietro nei riguardi del patto orientale.

Quanto al patto danubiano von Biilow mi ha detto che S. E. Suvich, in una recente conversazione con l'Ambasciatore von Hassell (1), si sarebbe espresso nel senso che era meglio lasciar trascorrere qualche tempo per vedere se certe difficoltà sorte da parte dei piccoli Stati potessero venir eliminate.

S. E. Suvich aveva pure detto all'Ambasciatore di Germania che il Governo italiano non annetteva poi una cosl grande importanza alla conclusione del patto danubiano, tanto più che l'idea di esso non era italiana ma francese.

Durante lo scambio di idee in proposito venne osservato come le molte obbiezioni sollevate da Benes, 'I'itulescu, 'I'ewfik Aras, ecc. dimostrarono in abbondanza che non si può riescire a concludere nulla di buono se si consente agli uomini di Stato degli Stati minori di ingerirsi nelle grandi questioni europee.

Avendo io avanzato l'idea che si dovrebbe ritornare al «patto a quattro:., di cui si era avuto il torto di non voler comprendere la grande portata, il signor von Biilow mi disse che egli condivideva pienamente il mio modo di vedere e considerava anzi che si dovrebbe cercare, senza scalpore, di riprendere in esame i maggiori problemi politici fra le quattro grandi Potenze, sia a mezzo di conversazioni diplomatiche normali, sia a mezzo di un convegno da convocarsi discretamente. Questa apertura del signor von Biilow mi è parsa assai interessante e gli ho detto che l'apprezzavo assai.

(l) SI riferisce al colloquio che Suvich ebbe con von Hassell il 21 giugno del quale non risulta sia stato redatto verbale da parte ital!ana. Il resoconto d! von Hassell è In Documents on German Foreign Policy, 1918-1945, vol. IV, cit., D. 162.

429

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN (l)

APPUNTO. Roma, 23 giugno 1935.

Il Signor Chambrun è ritornato ieri da Parigi dopo una permanenza che si è prolungata per la sopravvenuta crisi ministeriale.

L'Ambasciatore ha la coscienza di aver lavorato bene in favore dell'amicizia italo-francese. Ha cercato di chiarire, per quanto gli è stato possibile, il punto di vista italiano nella questione etiopica. Ha parlato a tale riguardo con i principali rappresentanti della stampa francese; ha l'impressione che noi si debba essere contenti del contegno della stampa francese.

Rispondo all'Ambasciatore che noi apprezziamo la sua opera diretta ad un rafforzamento dell'amicizia italo-francese.

Il Presidente Laval lo ha incaricato espressamente di far sapere al Capo del Governo che egli si mantiene fedele alla linea politica fissata negli accordi di Roma. Né Inghilterra, né alcun altro paese, potrà turbare l'amicizia italo-francese.

Gli chiedo se neanche Ginevra potrà turbarla.

L'Ambasciatore mi risponde che il Mmistro Lavai confida che la questione etiopica si possa risolvere senza provocare dei guai a Ginevra. Laval è già molto imbarazzato per le continue richieste che gli vengono fatte nelle Commissioni parlamentari; è chiaro che la Francia non potrebbe mettersi contro Ginevra. Laval spera anche che le richieste italiane possano essere accolte senza che ci sia bisogno di un ricorso alle armi. Egli farà quanto sta in lui per vemrci incontro e per aiutarci ad ottenere in via pacifica i risultati che desideriamo. Laval non si nasconde che una guerra fatta dall'Italia contro l'Abissinia sarebbe sommamente impopolare.

Rispondo all'Ambasciatore che non ritengo verosimile che il Negus possa accogliere pacificamente le nostre richieste. L'Ambasciatore, a conclusione, comunque mi riafferma che la Francia, nella questione etiopica, è con noi.

Il Signor Chambrun ha avuto poi incarico di portare a conoscenza del Capo del Governo le seguenti notizie che gli sono state comunicate per telegramma da Parigi.

1° -Accordo Navale. Il signor Lavai ha fatto delle riserve di sostanza, di metodo e di forma; ha scartato le avances fatte dal signor Eden per riunire i tecnici francesi e inglesi al fine di discutere i risultati dell'accordo anglogermanico e ciò per due ragioni: a) perché la Francia non vuole dare una consacrazione ufficiale a tale accordo; b) perché il detto accordo ha carattere definitivo e quindi non si vede l'urgenza della proposta inglese. Ciò non toglie che sarà utile discutere la questione navale prima della fine dell'anno in previsione della scadenza dell'accordo di Washington. Sarà anche opportuno che tra Francia e Inghilterra si arrivi ad un accordo su un programma di costruzioni. Ma tutto ciò è normale e sarebbe avvenuto anche indipendentemente dall'accordo anglo-tedesco. Il signor Lavai esprime la speranza che l'Italia assuma un atteggiamento analogo.

2° -Il programma di Stresa è minacciato dall'atteggiamento inglese essendo aumentate le difficoltà di un regolamento generale.

Il signor Lavai ha messo in guardia Eden delle manovre tedesche che tendono a fare degli accordi bilaterali sulle questioni di armamenti per disgregare il fronte comune. La Francia oppone l'indivisibilità e la pace europea. La Gran Bretagna si è dichiarata disposta a discutere subito il Patto aereo con la limitazione delle forze aeree. Da parte francese si è risposto che tale Patto è desiderato dalla Germania. Bisogna tenerlo in sospeso per esercitare un mezzo di pressione sulla questione degli armamenti terrestri a cui sono particolarmente interessate Francia e Italia, senza contare che un patto multilaterale sarebbe senza efficacia quando non fosse completato da Patti bilaterali per la sua applicazione. Lavai ritiene anche che l'atteggiamento inglese renda più difficile la conclusione dell'accordo danubiano ridotto anche alla semplice questione dell'Austria (l'Ambasciatore mi intratterrà in altra occasione, con maggiori particolari, su tale questione) e del Patto Orientale di non aggressione. A questo punto le conversazioni di Parigi hanno avuto una interruzione perché il signor Eden ha sentito la necessità di telefonare a Londra. La risposta è stata che Baldwin accetta di esaminare questi problemi come un insieme e rinunzia alla conclusione separata del Patto aereo, però soltanto dopo Roma e dopo le decisioni che nel frattempo prenderà il Governo britannico e il signor Eden potrà riferire come nel suo paese si veda la possibilità di queste trattative complessive di tutti i problemi.

Il telegramma da Parigi aggiunge che le conversazoni si sono svolte in

una atmosfera di molta franchezza e che il signor Eden è stato colpito dalla

vivacità della reazione francese. Il signor Eden ha aggiunto che l'opinione

pubblica britannica non si sarebbe resa conto che si fosse lasciata passare la

presente occasione senza accettare una proposta che limita notevolmente gli

armamenti navali tedeschi.

Nelle conversazioni di Parigi non si è parlato di Etiopia.

Il signor Lavai si rivolge direttamente al Capo del Governo facendogli presente come sia molto importante che il signor Eden a Roma possa constatare che fra Italia e Francia c'è una effettiva comunità di vedute.

(l) Ed. in M. ToscANo, Pagine di storia diplomatica contemporanea, cit., p. 141, fino all'ottavo capoverso.

430

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON IL MINISTRO PER GLI AFFARI DELLA S.D.N. BRITANNICO, EDEN

VERBALE (l). Roma, 24 giugno 1935, [ore 10].

Il Signor Eden informa sulle ragioni che hanno determinato il Governo inglese ad accettare la proposta germanica per il Patto navale. Da principio la Gran Bretagna aveva invitato la Germania a discutere senza pensare a concludere dei Patti. Quando però il Signor Ribbentrop si è presentato, ha messo come condizione prima di ogni altra cosa, che fosse conchiuso un Patto fra Gran Bretagna e Germania sulla base del riconoscimento alla Germania di una flotta marittima pari al 35 % di quella inglese. La Gran Bretagna ha chiesto se tale proporzione sarebbe mantenuta indipendentemente da quello che avrebbero fatto le altre Potenze; si attendeva una risposta negativa, invece, con sorpresa, la Germania ha risposto che tale proporzione sarebbe mantenuta indipendentemente da quello che avrebbero fatto gli altri. La Gran Bretagna ha ritenuto, in queste condizioni di non poter rifiutare la proposta tedesca. Ciò anche in considerazione che l'esperienza precedente ha insegnato che più si aspetta e più aumentano le pretese della Germania. Risulterebbe anche alla Gran Bretagna che la proposta parte da Hitler stesso e che i circoli marittimi tedeschi non vi sono favorevoli. Aggiunge ancora il Signor Eden che, per informazioni pervenute a Londra, la flotta germanica non sarebbe molto lontana già oggi da tale rapporto. Secondo il Governo inglese avrebbe molto interesse l'impegno preso dalla Germania di non aumentare la flotta in proporzione a quello che potrebbero fare le altre Potenze: c'è una vaga clausola a salvaguardia, ma anche per applicare questa ci vuole il consenso della Gran Bretagna.

Il Ministro Eden riferisce poi che il Signor Lavai ha fatto delle riserve. Gli inglesi ritengono utile uno scambio di vedute fra i tecnici; i francesi sono disposti a questo scambio anche in vista della scadenza del Trattato di Washington ma non vogliono farlo subito per riguardo alla loro opinione pubblica. Potrà avvenire tra qualche settimana. Sarebbe desiderabile anche uno scambio di vedute coi tecnici italiani.

Il Capo del Governo chiede che cosa si sia deciso nei riguardi qualitativi.

Il Signor Eden risponde che si è stabilito che per ogni categoria la Germania potrebbe avere il 35 %. Si è fatta una eccezione solo per i sottomarini dove la Germania potrà raggiungere anche la parità. Ciò però a scapito delle altre categorie, in quanto nel totale deve rimanere il 35 %. La parità coi sottomarini è stata concessa, sia perché essa è stata riconosciuta per tutte le Grandi Potenze firmatarie di Washington, sia perché le armi di difesa contro i sottomarini non sono i sottomarini, ma altri mezzi bellici. D'altra parte anche in questo campo oggi la Francia ha una superiorità in quanto possiede un numero maggiore di tonnellate nella categoria sottomarini in confronto alla Gran Bretagna.

Il Signor Eden ricorda ancora che l'Inghilterra sostiene il principio della proporzione dei programmi navali per i futuri esercizi. Anche in ciò potrà in qualche modo giocare il 35 %. Comunque è inteso che la Germania non avrà subito questa proporzione ma solo tra qualche tempo.

Il Capo del Governo osserva che gli Inglesi avrebbero potuto prendere accordi per tale trattato con la Francia e con l'Italia. Si sarebbe probabilmente arrivati allo stesso risultato. Oggi però non è più il tempo di recriminare ma di vedere che cosa si vuole fare. C'è la questione del Patto Navale, c'è quella del Patto Aereo, la questione del Patto Orientale e la questione degli armamenti terrestri.

L'Italia e la Francia sono in primo luogo interessate a sapere quali siano le intenzioni della Gran Bretagna nei riguardi del Patto Aereo; se essa sia disposta a negoziare un Patto a cinque o se essa voglia conchiudere anche in questo campo un accordo bilaterale con la Germania.

Il Signor Eden risponde che la Gran Bretagna è ferma nell'idea del Patto collettivo tra le Potenze di Locarno. Il Signor Lavai è disposto ad accettare tale Patto a due condizioni: l) che questo Patto non entri in vigore separatamente, ma contemporaneamente con gli altri punti del comunicato del 3 febbraio; 2) il Patto cumulativo deve essere completato da Patti bilaterali, nella specie da un patto bilaterale franco-inglese.

Il Capo del Governo osserva che, secondo sue notizie, il Governo inglese avrebbe accettato la richiesta francese di trattare come un tutto unico.

Il Signor Eden dice che egli si è riservato una risposta definitiva sul modo come si potrebbero trattare queste questioni. Egli deve confessare che in Gran Bretagna c'è la preoccupazione che a volerle risolvere tutte in una sola volta non si riesca a risolverne nessuna.

Il Capo del Governo ritiene che bisognerebbe trattare le questioni con una certa tranquillità secondo la loro importanza: alcune potrebbero essere risolte subito, altre, senza che con ciò siano compromesse, potrebbero essere rimandate ad un secondo momento. La questione è che ogni Paese fa la propria gradualità. Anche nella questione degli armamenti, in Gran Bretagna, ad esempio, si considera più importante la questione navale, poi la questione

aerea, poi quella terrestre. In Francia invece si considera più importante l'armamento terrestre, poi quello aereo, poi quello navale. Se si volesse discutere della importanza graduale dei problemi oggetto del Comunicato del 3 febbraio, il Capo del Governo indicherebbe la seguente gradualità: Patto Aereo, problema danubiano, Patto Orientale, senza parlare del Patto terrestre, la cui soluzione è straordinariamente complessa e che potrebbe essere accantonata per un secondo tempo.

Attira l'attenzione sull'importanza del Patto Danubiano. La difesa dell'Austria è essenziale per la politica europea. Quando l'Austria cadesse, la Boemia diventerebbe probabilmente tedesca, circondata come è da tedeschi da tutte le parti, e la Germania avrebbe la strada aperta per il Danubio, i Balcani ed il Bosforo. Già oggi in Turchia, ad onta della sua alleanza con la Russia e degli Accordi con la Francia e con l'Italia, ci sono duecento consiglieri ed organizzatori tedeschi che occupano posti di primissima importanza.

Il Signor Eden è d'accordo con questa considerazione del Capo del Governo.

La difficoltà è costituita dalla intransigenza della Francia.

Il Capo del Governo ritiene che il signor Laval si renderà conto della ne

cessità di una certa graduazione del problemi; è certo però che la Francia, di

fronte alla Gran Bretagna, ha una posizione facile, potendo richiamarla agli

obblighi assunti col Comunicato del 3 febbraio.

Il Capo del Governo pensa che la Francia potrebbe essere meno intransi

gente se nel Patto Aereo la Germania accettasse una discriminazione.

Il Signor Eden non ritiene che la Germania possa accettare ad avere una

flotta aerea inferiore a quella francese. Anche per stabilire la parità con la

Francia ci sono delle difficoltà, in quanto la Germania vuol prendere a base

le forze francesi metropolitane e quelle del Nord Africa.

(l) Sono anche presenti l'ambasciatore Drummond, Mr. Strang del Forelgn Offlce, 11 capo di gabinetto, Aloisi, ed Il sottosegretario Suvich, che ha redatto Il presente verbale.

431

SECONDO COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON IL MINISTRO PER GLI AFFARI DELLA S.D.N. BRITANNICO, EDEN (l)

VERBALE (2). Roma, 24 giugno 1935, [ore 11].

Il Signor Eden dice come in Inghilterra ci si preoccupi del conflitto italaabissino per la sua ripercussione sulla Società delle Nazioni. La politica della

S.d.N. è politica approvata e seguita non solo dai partiti di sinistra, ma anche dai partiti di destra. Winston Churchill ed Austin Chamherlain ad esempio, grandi amici dell'Italia, sono assolutamente fermi sul principio della S.d.N. Il Governo inglese in quest'ultimo tempo ha fatto tutti gli sforzi per cercare di venire incontro alle aspirazioni italiane senza arrivare a dei profondi turbamenti a Ginevra. È certo che un'uscita dell'Italia oggi, per Ginevra sarebbe fatale. Caduta Ginevra, l'Inghilterra probabilmente si ritirerebbe dall'Europa e dalla politica continentale. Ora in Gran Bretagna, seppure ci sono delle saldissime tradizioni di amicizia per l'Italia, non c'è dubbio che una presa di posizione dell'Italia contro Ginevra provocherebbe una forte reazione che turberebbe i buoni rapporti tra i due Paesi con conseguenze molto spiacevoli.

Nell'intento di trovare il modo di uscire da tale situazione, l'ultimo Consiglio dei Ministri ha esaminato la cosa ed ha incaricato il Signor Eden di fare le seguenti proposte al Governo italiano.

La Gran Bretagna, conscia che l'Abissinia tiene enormemente ad avere uno sbocco al mare, è decisa di cedere all'Abissinia la piccola baja di Zeila ed un tratto di territorio che costituisca un corridoio tra Zeila ed il retroterra abissino per indurre l'Abissinia a fare delle notevoli concessioni all'Italia. Tali concessioni potrebbero essere: la cessione della provincia dell'Ogaden, concessioni di carattere economico ed altri vantaggi da determinare.

Il Governo inglese vuole che sia ben chiaro al Capo del Governo italiano éhe l'Inghilterra non persegue suoi propri scopi particolari, ma si preoccupa

m primo luogo della situazione politica generale che può derivare dall'atteggiamento dell'Italia.

Il Capo del Governo ritiene la proposta inaccettabile: in primo luogo perché questo vuo.l dire far diventare l'Abissinia una Potenza marittima e quindi aumentarne il prestigio; in secondo luogo perché l'Inghilterra apparirebbe la protettrice dell'Abissinia; ed in terzo luogo perché l'Italia, per ragioni di prestigio, non può accettare questa cessione attraverso l'intermediario di terze Potenze. Ci pesa ancora oggi qualche caso del genere che abbiamo nella storia della costituzione del Regno d'Italia. D'altra parte queste concessioni sono molto lontane da quelle che sono le aspirazioni dell'Italia. Oggi abbiamo speso già un miliardo ed abbiamo fatto uno sforzo notevole per cui vogliamo esigere una liquidazione definitiva della questione etiopica. Noi non intendiamo rimanere più a lungo sotto la minaccia di un'aggressione alle nostre colonie, ogni qualvolta noi siamo impegnati altrove. Ciò è avvenuto negli ultimi decenni e non deve più ripetersi in avvenire, tanto più che oggi gli abissini sono ben più diversamente armati e ben più pericolosi. Essi ci detestano e non si fidano di noi e noi non ci fidiamo di loro.

Il Signor Eden è molto spiacente che questa proposta non sia neanche considerata. L'Inghilterra l'ha fatta nella più assoluta buonafede pensando di venire incontro ai desideri italiani. La difficoltà della situazione è data dal fatto che l'Abissinia è nella Società delle Nazioni. L'Inghilterra non ne ha nessuna colpa (il Capo del Governo lo sa e gliene dà atto). D'altra parte nell'interesse di tutti, la Gran Bretagna cerca il possibile per evitare che si venga ad un conflitto. Il Signor Eden ammira il coraggio e la determinazione degli italiani, ma depreca una soluzione che possa mettere i nostri paesi l'uno contro l'altro.

Suvich osserva che anche la Francia tiene alla S.d.N. e tuttavia ha un diverso contegno nei riguardi della questione abissina.

Eden dice che anche Lavai cerca una soluzione ed è preoccupato. Gli ha detto che la sua concessione di mano libera all'Italia si riferisce al campo economico.

Suvich osserva che non è cosi; Lavai ha fatto riserva per alcuni interessi economici a cui non intende rinunciare.

Il Capo del Governo ricorda che nelle ultime conversazioni di Roma (l) Lavai gli ha detto più volte che gli lasciava mano libera in Etiopia, e ciò alla presenza di Suvich e di Chambrun. Lavai ha detto di non poter scrivere ciò perché il documento, per quanto riservato, avrebbe potuto essere rivelato ed egli 'avrebbe potuto avere delle seccature; ma non c'è nessun dubbio che questa dell'assoluta mano libera è l'interpretazione del documento scritto.

Il Capo del Governo dice che egli ha messo nelle sue previsioni due crisi: una crisi della S.d.N. ed una crisi con la Gran Bretagna, per quanto di un caso simile egli profondamente si dispiacerebbe. Egli vuole parlare col Ministro Eden molto francamente. Deve fare due ipotesi: soluzione pacifica o soluzione con la guerra. Una soluzione pacifica vorrebbe dire la cessione in nostro diretto dominio di tutti i paesi che non sono di razza etiopica e che sono stati conquistati per l'Abissinia da Menelik e dai suoi successori, più il controllo

sul nucleo centrale. Una soluzione con la guerra vorrebbe dire eventualmente la cancellazione dell'Etiopia dalla carta geografica. Oggi la questione diventa una nostra necessità di difesa, necessità di difesa che ci impone di essere tranquilli in queste colonie per cui va tenuto conto che esse sono a quattromila o rispettivamente ad ottomila chilometri dalla madre patria. La necessità di difesa richiede anche che attraverso i territori di nostro dominio diretto sia costituita una congiunzione territoriale tra l'Eritrea e la Somalia.

Il Signor Eden non può che prender nota di questa decisione del Capo del Governo. Egli spera tuttavia che il Capo del Governo vorrà riesaminare la cosa per vedere se tale proposta possa costituire la base di una discussione.

Il Capo del Governo deve dirgli nettamente che su tale base non c'è niente da fare. La linea da noi scelta, e che egli ha sopra prospettato, costituisce una decisione irrevocabile.

Il Signor Eden si dice molto addolorato se ciò porterà ad una crisi tra la Gran Bretagna e l'Italia e crede che nessuna Etiopia valga questa dolorosa conseguenza.

(l) -Ed. in M. ToSCANo, Pa.qine di storia diplomatica contemporanea, clt., pp. 142-144. (2) -Era presente al colloquio li sottosegretario suvich, che ha redatto questo verbale.

(l) Vedi serie settima, vol. XVI, D. 391.

432

L'AMBASCIATORE GUARIGLIA AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 24 giugno 1935.

La soluzione del conflitto itala-etiopico prospettata oggi dal Signor Eden (dare all'Abissinia il desiderato sbocco a mare in territorio britannico a Zeila in cambio della cessione dell'Ogaden all'Italia) è di una mala fede così trasparente che fa passare in second'ordine quel tanto che essa contiene di offensivo per l'intelligenza italiana.

Conviene ricordare che nell'ottobre-novembre 1931 (1), l'Imperatore Hailé Selassiè in alcuni colloqui segreti col nostro Ministro ad Addis Abeba lo incaricò di proporre al Governo Italiano la cessione dell'Ogaden contro quella di una parte di .territorio eritreo che assicurasse all'Etiopia uno sbocco al mare.

A tali aperture noi non demmo mai seguito alcuno. Non degnammo nemmeno di rispondere. Dare uno sbocco al mare in sovranità all'Etiopia significa rafforzare definitivamente l'Impero Abissino, significa abbandonare qualsiasi possibilità di avvenire per le nostre colonie, contro un compenso -quale quello dell'Ogaden -di infinitesimale entità: questa semplice verità ci indusse nel 1931 a non prendere nella benché minima considerazione la proposta abissina.

Ed allora si trattava di sbocco a mare in Eritrea, cioè in territorio che sarebbe stato stretto da due parti dalla nostra sovranità e non tanto difficilmente reso inutilizzabile dalla nostra Marina in caso di guerra.

Oggi gli inglesi propongono di dare tale sbocco in territorio loro, cioè incanalare il commercio abissino verso il Somaliland Britannico per tenere nelle proprie mani la vita economica e politica etiopica. In altri termini l'Etiopia

dalla parte di Zeila sarebbe tenuta dagli inglesi e da quella di Gibuti dai fran

cesi. L'accordo tripartito sarebbe sepolto, e noi resteremmo... con l'Ogaden!

È proprio possibile che non si debba, per insussistenti cautele diplomatiche, dire al Signor Eden che non è lecito venire a farsi beffa di noi a Roma, servendoci su di un piatto l'accordo navale anglo-tedesco e su di un altro questa ineffabile proposta?

(l) Vedi serie settima, vol. XI, p, 36, nota 2.

433

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON IL MINISTRO PER GLI AFFARI DELLA S.D.N. BRITANNICO, EDEN (l)

VERBALE (2). Roma, 25 giugno 1935, [ore 17].

Il Capo del Governo riassume la conversazione di ieri; si è stabilito di mantenere il principio della interdipendenza dei vari argomenti trattati nel comunicato di Londra del 3 febbraio. Tuttavia fra tali argomenti si potrà stabilire una certa gradualità per importanza e per urgenza.

Il Capo del Governo per conto proprio ritiene molto importante il patto danubiano.

Suvich rileva la difficoltà della soluzione dell'armamento terrestre.

Il Capo del Governo ritiene che la miglior cosa sarebbe lasciar cadere la conferenza del disarmo: bisognerà avere il coraggio di riconoscere che la stessa è fallita.

Per quanto riguarda l'armamento terrestre, il signor Eden crede che le tre Potenze continentali occidentali (Italia, Francia, Germania) potrebbero fare un accordo sulla parità degli effettivi. Ciò potrebbe consentire una reale limitazione.

Il Capo del Governo osserva che per ora noi abbiamo sotto le armi 610 mila uomini e che prossimamente li aumenteremo portandoli fino ad un milione. Per il momento da parte nostra non si può parlare di limitazione.

Il Signor Eden ritorna poi sulla questione dell'Abissinia. Egli si rende conto che la sua proposta di ieri non può avere seguito. Tuttavia egli insiste nello sperare che si trovi una soluzione per evitare la guerra. Siamo legate tanto Italia che Inghilterra, sia dal Covenant che dal patto del 1906 che garantisce l'integrità territoriale dell'Abissinia.

Il Capo del Governo ripete che per noi si tratta di provvedimenti di sicurezza. Data la distanza e la configurazione delle nostre colonie siamo noi che siamo i minacciati: non possiamo avere questa spina nel fianco e dobbiamo liquidare la situazione una volta per sempre.

n Signor Eden chiede se possiamo indicargli sulla carte quali sarebbero le richieste italiane.

Si indicano sulla carta le regioni periferiche conquistate negli ultimi decenni <tutto il territorio dell'Etiopia meno le regioni dell'antica Abissinia, cioè il Tigré, il Goggian e lo Scioa).

Il Signor Eden si fa ripetere dal Capo del Governo che intenzione dell'Italia è di avere il diretto dominio sulle zone periferiche e il controllo sul nucleo centrale.

Il Capo del Governo aggiunge un regime tipo Egitto o Marocco.

Il Capo del Goveno [dice che], se può dare un consiglio alla Gran Bretagna, è quello di !asciarci fare. In pochi anni noi trasformeremo il paese e sarà con vantaggio di tutti. La Libia l'abbiamo già sfruttata circa il massimo. L'Abissinia nelle regioni alte può dare da vivere a parecchie centinaia di migliaia di italiani. Noi non prenderemo l'iniziativa di uscire dalla Società. delle Nazioni. Bisogna che non ci mettano nella condizione di doverne uscire. Ad ogni modo il Signor Eden deve sapere che la decisione di seguire la nostra strada è netta e irrevocabile. Il paese è tranquillo come mai e il regime è fortissimo. Tutte le cose che si possano raccontare su malumori o opposizioni sono delle pure fandonie.

Il Signor Eden, nella sua lealtà, deve dare nettamente questa impressione ritornando a Londra.

Il Signor Eden non mancherà di farlo. Egli però deve insistere sulla difficoltà che il Negus possa accettare una tale soluzione, sebbene, a quanto egli sappia, in Abissinia si sia spaventatissimi.

Il Capo del Governo crede che soltanto il Negus si preoccupi della situazione, ma quelli che gli stanno in giro lo spingono alla resistenza. Anche da questo lato l'ammassamento di forze italiane è opportuno in quanto farà riflettere gli abissini. Sull'esito di un conflitto non ci può essere nessun dubbio.

Il Signor Eden ringrazia il Capo del Governo per le informazioni che gli ha date, che permettono di stabilire nettamente la reciproca posizione. Purtroppo il punto di vista italiano non è condiviso dalla Gran Bretagna ma tuttavia abbiamo ancora tempo avanti a noi ed è sperabile che possa intervenire qualche fatto nuovo che renda possibile una soluzione pacifica (1).

(1) -Ed. in M. ToscANo, Pagine di storia diplomatica contemporanea, c!t., pp. 147-148, dal settimo capoverso. (2) -Al colloquio erano presenti Mr. Strang del Foreign Offlce ed 11 sottosegretario Suvich, che ha redatto il presente verbale.
434

IL MINISTRO AL CAIRO, PAGLIANO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3490/274 R. Cairo, 25 giugno 1935, ore 22,18 (per. ore 22,40).

Presidente del Consiglio stamane mi ha intrattenuto lungamente su notizie infondate pubblicate stampa locale e riprodotte anche dalla stampa estera circa attività svolta dal suo Governo in contatto con Residente in ordine questione Lago Tzana e transito Canale di Suez.

Presidente del Consiglio mi ha confermato (mio rapporto n. 483 del 18 corrente) (l) che questione Lazo Tzana è stata finora considerata soltanto dal lato tecnico degli esperti, sia per reparto idrico, sia per reparto onere finanziario; che questione sarebbe venuta in esame ora anche se tensione itala-etiopica non si fosse verificata; che questione Lago Tzana in connessione eventuale azione italiana in Etiopia non è stata mai oggetto sua trattazione con Alto Commis sario britannico; che l'invito del Governo .abissino a Conferenza in Addis Abeba~ annunziato dalla stampa, non era finora giunto. A questo punto mi disse che suo Governo, ricevendo invito, l'avrebbe attentamente esaminato lasciando comprendere non aver fretta per riunione della Conferenza.

Circa questione transito nel Canale di Suez Presidente del Consiglio mi ha detto nel modo più esplitito non avere mai abbordato questione con Alto Commissario britannico. Inoltre mi ha espresso convincimento che Canale di Suez debba rimanere aperto a tutte le navi, comprese quelle dei belligeranti; che Canale di Suez, essendo ora soltanto egiziano, in caso di violazione norme di convenzione Costantinopoli dovrà suo Governo iniziare procedura in esse prevista (concordando così opinione espressami, sia da questo Residente, sia da Compagnia secondo quanto nell'ultima parte mio riassunto su Canale di Suez). Ha aggiunto che deplora che la stampa continui mescolare questione etiopica ad ogni problema, compreso quello ripristino vita costituzionale Egitto, ma che aveva notato da qualche giorno con soddisfazione miglioramento atteggiamento questi giornali nei riguardi italiani.

(l) Mussolini informò De Bono circa i risu·ltati della visita di Eden: la lettera autografa. in data 26 giugno, è pubblicata in G. BrANcm, Rivelazioni sul conflitto itala-etiopico, cit., pp. 172-173.

435

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO PER GLI AFFARI DELLA S.D.N. BRITANNICO, EDEN (2)

APPUNTO. Roma, 26 giugno 1935, mattina.

Oggi, prima della partenza, il Signor Eden, mi ha preso in disparte per ringraziarmi ancora dell'ospitalità avuta e per dirmi nello stesso tempo le vive preoccupazioni del suo Governo in seguito alle conversazioni di questi giorni a Roma.

Se il Negus non accetta il punto di vista italiano fra l'Italia e l'Inghilterra si creerà una situazione molto tesa e difficile.

Rispondo al Ministro Eden che nello stato d'animo attuale non ritengo verosimile che il Negus possa accettare le nostre richieste. E ciò tanto più in quanto il Negus ha l'impressione di essere sostenuto dalla Gran Bretagna. Noi abbiamo delle informazioni molto precise dalle quali ogg,i risulta che il Negus si esprime come se la Gran Bretagna fosse la sua protettrice. Il Negus è ancora nell'idea della rettifica di frontiera nell'Ogaden; tutte cose che noi non prendiamo più neanche in considerazione.

Il Ministro Eden riparte molto dispiacente che le proposte inglesi non siano state neanche prese in considerazione come una base di negoziati; la buona

volontà dell'Inghilterra è scoraggiata. Egli depreca nel modo più assoluto le conseguenze che ne potrebbero derivare.

Io osservo che è troppo presto per arrivare a delle conclusioni estreme: noi non faremo certamente nulla per aggravare la crisi della S.d.N., ma bisogna che il nostro compito sia facilitato. È chiaro che oggi i punti di vista italiano e inglese sono talmente divergenti che non si può parlare di un accordo. La miglior cosa da fare nel momento attuale è che la Gran Bretagna cessi dal dare all'Etiopia l'impressione che essa possa trovare in lei un aiuto. Tale sensazione nel Negus e l'aumento della nostra pressione militare potrà indurlo a considerare in modo diverso le cose.

Il Ministro Eden si augura che nel tempo che abbiamo ancora a disposizione si possa trovare una soluzione che concili il punto di vista italiano e quello inglese.

(l) Non pubbl!cato.

(2) Ed. in M. ToscANO, Pagine dt storia diplomatica contemporanea, cit., pp. 150-151.

436

IL MINISTRO A L'AJA, TALIANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6587/53 P.R. L'Aja, 26 giugno 1935, ore 13,37 (per. ore 15).

Mio telegramma n. 38 del 17 maggio u.s. (l).

Prendendo motivo da interrogazione circa eventualità invio di armi in Etiopia o meno da parte di navi olandesi avevo insistito per severa inchiesta e severe misure da parte di questo Governo.

Questo Presidente del Consiglio da me fatto presentire circa ritardo della sua risposta interrogazione suddetta mi faceva conoscere essere dovuto alla serietà delle indagini in corso.

Ieri signor Colijn ha dichiarato alla prima Camera che da inchiesta da lui ordinata non è risultato che bastimenti di Società olandesi abbiano trasportato armi e munizioni per l'Abissinia.

Ha aggiunto che a parte possibilità o meno intervento del Governo quando bastimenti non tocchino porti olandesi, risultati dell'inchiesta tolgono ogni motivo alla seconda parte dell'interrogazd.one.

437

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GRANDI, E A PARIGI, PIGNATTI

T. 1146/208 (Londra) 353 (Parigi) R. Roma, 26 giugno 1935, ore 16.

(Per Londra): Ho telegrafato Parigi quanto segue: (Per Parigi): Prego V. E. volere informare personalmente Lavai prima dell'arrivo di Eden del contenuto dei colloqui da questi avuti con S. E. il Capo

34 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. I

del Governo circa questione etiopica riservandomi trasmettere per corriere più dettagliato sunto.

Nel primo colloquio Eden dichiarò Inghilterra sarebbe stata disposta cedere

all'Etiopia in sovranità baja di Zeila e corridoio collegamento con territorio

abissino chiedendo in compenso all'Etiopia cessione all'Italia del territorio

Ogaden.

Offerta fu ritenuta inaccettabile da S. E. Capo Governo: 1°) perché essa

farebbe diventare Etiopia Potenza marittima aumentandone forza e prestigio;

2°) perché Inghilterra apparirebbe come protettrice Etiopia o Italia non potreb

be ricevere territori abiss~ni da terze Potenze perché dal presente conflitto Etio

pia uscirebbe così più avvantaggiata che Italia.

*V. E. vorrà aggiungere a Lavai come a noi sembri che oltre queste ottime ragioni esposte a Eden, proposta inglese avrebbe disastrose conseguenze economiche per nostre colonie giacché commercio abissino si sposterebbe in massima parte verso Zeila togliendo all'Eritrea e alla Somalia unica reale loro risorsa commerciale cioè retroterra etiopico. Proposta inglese danneggerebbe evidentemente anche porto Gibuti, ferrovia Gibuti -Addis Abeba e Somalia francese. Spirito accordo Tripartito 1906 verrebbe in realtà cambiato. V. E. dirà pure a Lavai che nel 1931 Negus ci propose segretamente cessione da parte Etiopia territorio Ogaden contro cessione da parte nostra in sovranità sbocco al mare in territorio eritreo in prossimità Somalia francese. Proposta venne lasciata da noi cadere per stessa suddetta ragione cioè convenienza impedire aumento forza Etiopia !asciandola diventare Potenza marittima, oltre che per riluttanza cederle parte nostro territorio coloniale e irrisorietà compenso rappresentato da Ogaden di quasi nullo valore economico. Certamente però proposta Negus presentava per noi vantaggio maggiore di quella inglese perché sbocco economico marittimo Etiopia avrebbe allora gravitato verso nostra colonia.

Nel seguito conversazioni S. E. Capo Governo, dopo aver fatto notare al Signor Eden come ben diverso da quello inglese sia atteggiamento francese verso di noi nella questione etiopica, dichiarò esplicitamente aver messo nelle sue previsioni due crisi: una con S.d.N. ed altra con Gran Bretagna. Quest'ultima gli era poco gradita ma l'avrebbe affrontata egualmente per necessità tutelare supremi interessi italiani* (1).

Nel secondo colloquio Eden volle tornare su affare etiopico e chiese indicazione specifica sulla carta delle richieste italiane. Gli fu risposto che Italia vuole diretto dominio su tutte regioni non abissine incorporate nell'Impero etiopico cioè su tutto territorio etiopico attuale meno Tigrè, Goggiam e Scioa. Su questi ultimi paesi Italia vuole controllo e quindi un regime tipo Egitto

o Marocco.

Tutto ciò quando si possa avere soluzione pacif.ica. Se saremo costretti ricorrere armi allora dobbiamo mettere in previsione anche eventuale scomparsa Abissinia come entità statale.

S. E. il Capo del Governo aggiunse che vero interesse Gran Bretagna è di !asciarci fare. Quanto a S.d.N. noi non intendiamo prendere alcuna iniziativa che possa provocare nostra uscita, salvo che altri ci costringa a farlo.

(l) Con T. 4847/38 R. del 17 maggio 1935, ore 14,26, Tallani riferiva circa i commenti della. stampa. relativamente a.i rapporti ita.lo-abissini e circa una interpellanza al Presidente del Consigllo in merito all'invio di armi in Abissinia.

(l) Il brano fra asterischi è ed. in M. ToscANo, Pagine di storia diplomatica contemporanea, cit., p. 152.

438

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3604/027 R. Terapia, 26 giugno 1935 (per. il 1° luglio).

Ieri Tewfik Rustu Aras, dopo fattomi quadro attuale situazione internazionale, ha concluso che patto itala-balcanico era addormentato ed eg1i temeva non si risveglierebbe mai più. Aggiunto che, dopo ultimo mutamento Governo jugoslavo, riteneva non vi sarebbe alcuna deviazione dalla politica di Jeftic e che Stojvadinovic seguirebbe stesso identico cammino ed attuerebbe uguale programma. Il quale conduceva anche a sua imminente visita a Roma con incontro con S. E. il Capo del Governo. Egli aveva già fatto sapere ad Jeftic ed ora ripetuto a Stojadinovic che lasciava libera la Jugoslavia di prendere con l'Italia qualsiasi impegno anche nei riguardi della indipendenza austriaca. Spettava alla Jugoslavia giudicare se ciò le convenivà e se e quali ripercussioni ciò avrebbe potuto produrre sulla sua situazione interna e sulla politica estera, ripercussioni che a suo giudizio sarebbero state assai gravi. Ma non voleva in nessun caso in questo momento (in cui anche Francia faceva grandi sforzi per un riavvicinamento itala-jugoslavo in senso antitedesco) mostrarsi difficile ed ingeneroso e richiamare precisi antecedenti impegni presi. La Jugoslavia era migliore giudice di quello che le sarebbe meglio convenuto fare. Tanto meglio per la Turchia se egli non fosse chiamato ad assumere alcun nuovo impegno, ma potesse conservare la libertà.

Il tono del suo discorso era di mal celata dispettosa ira, di sicura inquietudine e di minaccia. Partiva dal non enunciato ma chiaro presupposto che vi fossero da nostra parte o da parte francese inviti alla Jugoslavia ad accordarsi con l'Italia sul piano della difesa della indipendenza austriaca anche all'infuori della Intesa Balcanica, e che la Francia facesse ogni sforzo per saldare all'anello itala-francese anche lo jugoslavo come il più propenso ad unirsi in un disegno di difesa dal germanesimo.

Poiché io ignori alcunché di qualsiasi nostro disegno oppure di disegno francese di tal fatta, mi sono limitato ad ascoltare con assentimenti generici, solo sufficienti ad indurlo ad esporre intero il suo pensiero.

Certo se vi sia pericolo per la Turchia che la Jugoslavia prenda un cammino indipendente e più conforme ai suoi diretti interessi e perciò si distacchi magart anche soltanto in fatto, se non per la forma, dalla Intesa Balcanica e di conseguenza dalla Turchia, manca alla Turchia quel massimo congegno diplomatico sul quale essa ha contato positivamente per una difesa dall'Italia e negativamente per ostaco;are la unione slavo-balcanica.

Perciò il quadro catastrofico per la Jugoslavia se questa voglia perseguire un diverso orientamento politico (pur col formale consenso turco) si spiega chiaramente con questa frase di Aras: «L'Italia non può trovare un suo assetto di sicuro equilibrio e di sicurezza europea che, d'accordo con la Francia, stringendo un patto di garanzia con la Jugoslavia, ma anche con la Turchia~.

A determinare l'attuale stato d'animo del Ministro turco, e la Stimmung presente della politica estera turca stanno anche un vivo risentimento verso la Francia per l'accordo con noi che ha fatto mancare una carta sulla quale la Turchia era usa giocare, e che facilita i nostri disegni abissini i quali suscitano qui le reazioni che ho spesso segnalate e continuo a segnalare a V. E.

Io non intendo menomamente sopravalutare questo settore, di gran lunga meno importante per la nostra politica generale di quello jugoslavo. Ma poiché sono a questo posto, debbo pure (sfrondando la verbosità di Aras e cercando una reale commisurazione nel parallelogramma delle forze politiche) ricordarne la sua relativa importanza e perciò attirare la attenzione di V. E. sulla quotidiana necessità di adoperarsi per attutirne diffidenza ed ostilità, anche se per avventura qualche nostro secondario e trascurabile interesse (nel quadro ed in una visione assai larga e per finalità più lontane) possa essere temporaneamente messo in disparte o sacrificato.

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IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 2799/913. Belgrado, 26 giugno 1935 (per. il 2 luglio).

Telespresso di V. E. n. 220526/C del 21 corr. (1).

Mi riferisco al telegramma n. 069 del 15 corrente del R. Ambasciatore a Parigi, favoritomi dall'E. V. per notizia col Suo telespresso sopracitato; e, a proposito delle notizie concernenti la Jugoslavia raccolte a Ginevra dal signor Bargeton e riferite dal sig. Léger a S. E. il Conte PignatU, mi permetto osservare:

Per quanto riguarda la constatazione di una persistente diffidenza jugoslava verso di noi e il richiamo ai motivi principaLi onde sarebbe alimentata (fuorusciti croati in Italia, trattamento delle minoranze slovene, timori per l'indipendenza albanese) ricordo che identica segnalazione mi è stata fatta in termini identici, a titolo di amichevole avvertimento, prima dall'ex-Ministro di Francia a Belgrado, sig. Naggiar, all'indomani del mio arrivo qui, e poi, recentemente, dal nuovo Ministro francese Conte Dampierre. In entrambi i casi, e specialmente nei discorsi del Conte Dampierre, appena arrivato da Parigi, era evidente l'imbeccata ricevuta al Quai d'Orsay.

Non escludo che le questioni sopraccennate stiano a cuore della Jugoslavia, ma negli ormai numerosi colloqui da me avuti coi fattori responsabili della politica estera jugoslava non ho mai incontrato particolari insistenze per il regolamento di quelle questioni; ho incontrato invece costantemente il desiderio di giungere a una larga diretta e definitiva intesa con noi, intesa nella quale dette questioni sarebbero sottoposte, insieme alle molte altre, al necessario esame per una soluzione.

Da parte francese invece si ritorna sempre sul tema di una pretesa diffidenza jugoslava a rimuovere la quale bisognerebbe, secondo il pensiero francese, che noi prendessimo l'iniziativa unilaterale di risolvere preliminarmente le questioni stesse in modo soddisfacente per la Jugoslavia. Per conto mio, rimango

nella netta sensazione che le «notizie raccolte a Ginevra » dal sig. Bargeton

siano di pretta marca del Quai d'Orsay, ed ispirate dalla permanente preoccu

pazione francese che vorrebbe: l) affrettare e concretare il riavvicinamento

italo-jugoslavo; 2) che esso avvenga sotto gli auspici francesi per averne titolo

di merito e di riconoscenza presso la sua alleata; 3) che n prezzo dell'accordo sia

in parte anticipato fin d'ora da noi.

Del resto è anche possibile, anzi probabile, che il Governo jugoslavo il quale non mi ha mai nascosto il suo desiderio di regolare direttamente e senza terzi interventi le sue questioni con noi, tenga di fronte ai francesi, in tema di relazioni italo-jugoslave, un atteggiamento e un linguagg.io diverso da quelli adottati verso di noi. Senza dubbio, dunque, da parte francese si esagera, per lo meno, l'attitudine diffidente della Jugoslavia verso di noi, per motivi tattici; mentre -sempre per motivi tattici ·-i jugoslavi assumono di fronte ai francesi un atteggiamento di freddezza e di riservata attesa, in tema di rapporti italajugoslavi.

Per quanto trattisi di cosa ormai sorpassata, merita anche di essere osservato che non è esatto che Jeftic si sia dispiaciuto di non potersi incontrare con S. E.' il Capo del Governo. Tale poteva essere il desiderio di Jeftic nel caso ch'egli fosse venuto a Roma in occasione della Conferenza danubiana o per la firma del Concordato colla Santa Sede; una volta dimessa· l'idea di un viaggio a Roma egli non ha più pensato alla possibilità di un incontro col Duce ed anzi mi espresse apertamente la sua convinzione che, trattandosi di un primo contatto, fosse preferibile che esso avvenisse con il «mandatario qualificato del Duce per la politica estera».

Circa la richiesta jugoslava « che l'Italia rinunci formalmente ad esercitare opera di disgregazione fra i paesi balcanici », questo non è altro che il tema preferito di Aras, il quale già da tempo lo ha abbondantemente svolto ed illustrato a Belgrado, non meno che a Ginevra, a Bucarest a Mosca, e un po' da per tutto, per il suo timore di un'intesa a due, direttamente fra l'Italia e la Jugoslavia, la quale potrebbe mettere in secondo piano la Turchia relegandola al margine di una combinazione politica centro europea-balcanica. Mi sento in grado di assicurare quanto ho già avuto occasione di ripetere in precedenza, e cioè che non soltanto è lungi dal pensiero jugoslavo di chiedere una dichiarazione dell'Italia nel senso rtferito dal signor Bargeton, ma che altresì la Jugoslavia non vede alcuna incompatibilità a trovare un terreno d'intesa coll'Italia indipendentemente dai sistemi politici (Inte~a Balcanica compresa) dei quali fa parte (l).

(l) Non pubblicato: conteneva la ritrasmlssione del T. 069 da Parigi, per 11 quale vedi D. 379.

440

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN (2)

APPUNTO. Roma, 26 giugno 1935.

L'Ambasciatore Chambrun ha avuto un colloquio con Eden presente anche Drummond.

Eden era molto spiacente per l'esito dei colloqui di Roma sull'Etiopia. Chambrun gli ha detto che gli Italiani non potevano accettare quelle proposte e che bisogna fare un ulteriore sforzo. Anche Drummond ha insistito nello stesso senso.

Informo poi l'Ambasciatore sui colloqui fra il Capo del Governo ed Eden (1).

441.

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DELL'UNIONE SOVIETICA A ROMA, STEIN

APPUNTO. Roma, 26 giugno 1935.

L'Ambasciatore Stein si informa sui colloqui di Eden (2). Gli do qualche

ragguaglio.

Chiede in modo particolare che cosa si sia detto sul Patto Orientale.

Gli rispondo che il Patto Orientale è uno dei punti che devono essere affron

tati per una soluzione contemporanea secondo il Comunicato di Londra del 3 febbraio. Chiedo all'Ambasciatore se la Russia tiene ancora tanto a questo Patto Orientale. Mi risponde di si: un Patto che contempli la non-aggressione, la non-assistenza all'aggressore e la consultazione. L'Ambasciatore mi assicura poi che Litvinov sta lavorando per il Patto danubiano nel senso del programma italiano. Per quanto riguarda l'Eritrea, la Russia non intende ingerirsene; evidentemente ha l'interesse generale, come tutti, che si possa evitare una guerra.

L'Ambasciatore mi chiede poi che impressioni abbiamo del nuovo Ministero jugoslavo; egli pensa che lo stesso possa avere una tendenza piuttosto germanofila.

Gli dico che ci sarebbe qualche segno esteriore che può dare adito ad una tale supposizione, ma sostanzialmente non vi è nulla che la giustifichi.

(l) Il presente documento rec·a il visto di Mussollni.

(2) Ed. in M. ToscANo, Pagine di storia diplomatica contemporanea, cit., p. 151.

442

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3524/383 R. Parigi, 27 giugno 1935, ore 12,40 (per. ore 14,35).

Telegrammi di V. E. nn. 352 (3) e 353 (4).

Avevo preso fin da ieri appuntamento al Quai d'Orsay per fare comunicazioni relative conversazioni di costà con Eden. Ho fatto questa mattina di buon'ora al Segretario Generale del Quai d'Orsay, prima della visita di Eden a Lava!, le comunicazioni ordinatemi.

Léger le ha accolte con soddisfazione. Aveva sul tavolo un brevissimo telegramma di de Chambrun che informava della proposta inglese della cessione della baia di Zeila all'Abissinia. Egli ne era indignato. Ha detto che si tratta di una proposta « mostruosa~ che vàola l'accordo tripartito. Laval reagirà vigorosamente.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussol!ni. (2) -Vedi DD. 430, 431 e 433. (3) -T. 1145/352 R. del 26 giugno 1935, ore 2, con il quale Suvich aveva comunicato a Pignatt! un sunto del primo colloquio Mussolini-Eden del 24 giugno. Vedi D. 430. (4) -Vedi D. 437.
443

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI

T. 1153/211 R. Roma, 27 giugno 1935, ore 13,30.

Quanto telegrafato ieri con mio 208 (l) è per Sua personale conoscenza. Intendiamo da parte nostra mantenere assoluto segreto su conversazioni con Eden pur essendo già apparse sulla stampa numerose indiscrezioni evidentemente di fonte inglese. V. E. vorrà quindi mostrarsi a conoscenza conversazioni e valersi quanto telegrafatoLe soltanto se venisse intrattenuto sull'argomento da codesto Governo (2).

444

IL MINISTRO A L'AJA, TALIANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3544/56 R. L'Aja, 27 giugno 1935, ore 21,03 (per. ore 23,15).

Aldrovandi comunica quanto segue:

«Mio telegramma in data di ieri (3).

Nella seduta di oggi La Pradelle non ha più sollevato questione nostre adunanze al Palazzo della Pace.

Poiché sono già presenti e nell'intento di fare risu~are ad ogni buon fine nostra maggiore diligenza in confronto a quella del Governo etiopico, ho fatto intervenire alla riunione odierna in qualità di agenti e periti del Governo italiano i Professori Pacch[oni e Grassetti. Commissione ha preso atto.

Per poter permettere a Guarnaschelli e a Rulli intervenire a tutte le riunioni commissione, ho fatto loro riconoscere carattere di aggregati alla segreteria. Per impegni presi precedentemente, La Pradelle parte per Parigi e Potter per Londra. ffi prevede loro ritorno per lunedì o martedì. Appena di ritorno sotto Commissione composta di La Pradelle e Montagna procederà redigere in forma analitica quadro comparato dell'esposizione dei fatti,

quali risultano dalla documentazione fin qui presentata da parte italiana e da parte etiopica e ciò per continuare nell'ordinata assunzione delle prove. Si prevede che Jèze, agente del Governo etiopico, giungerà Scheveningen 1° luglio. Invio per corriere processo verbale delle riunioni delle Commissioni in data di oggi e di avantieri » (1).

(l) -Vedi D. 437. (2) -Telegramma analogo venne contemporaneamente inviato anche a Pignatti (T. 1154/359 R. del 27 giugno 1935, ore 13,30, non pubbl!cato). (3) -T. 3521/55 R. del 26 giugno 1935, ore 21,48, con il quale Aldrovandi aveva riferito avere La Pradelle chiesto di tenere la riunione della commissione in una sala del Palazzo della Pace.
445

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (2)

r. 3528/421 R. Londra, 27 giugno 1935, ore 21,25 (per. ore 1,45 del 28).

Col mio fonostampa n. 199 ho trasmesso stamane a v. E. commenti della stampa britannica sul viaggio di Eden a Roma.

Questi commenti -a parte espressioni rincrescimento che contengono per quello che è considerato da molti fallimento della missione di Eden a Roma tutti mettono in rilievo seguenti punti:

1°) assoluta decisione di V. E. di regolare definitivamente e non attraverso soluzioni parziali o laterali la questione abissina; 2°) preoccupazioni che si nutrono in Inghilterra per le ripercussioni che azione italiana in Abissinia potrà avere sulla Società delle Nazioni; 3°) mancanza da parte Inghilterra di interessi propri che possano indurla a ostacolare espansione coloniale italiana nell'Africa Orientale; 4°) il fatto che interessi essenziali britannici in Abissinia sono solamente quelli relativi all'utilizzazione delle acque del Lago Tzana.

Daily Express, Evening Standard e altrt giornali di Lord Beaverbrook continuano una campagna diretta a sostenere che Inghilterra non (dico non) deve \ngerirsi nella controversia itala-etiopica e che interessi inglesi nel Lago Tzana non (dico non) sarebbero comunque in nessun modo messi in pericolo da una occupazione italiana.

446

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. 1155/154 R. Roma, 27 giugno 1935, ore 24.

Telegrammi di V. E. nn. 170 e 0180 (3). Notizie relative a transito cittadini tedeschi diretti in Etiopia (aviatori, ex-ufficiali, ingegneri, rappresentanti Ditte fornitrici armi) sono state segna

(l} Non pubblicato.

late e confermate a questo R. Ministero da varie parti e da fonti attendibili e sono pertanto da ritenersi veritiere. Dichiarazione che nominativi segnalati non risultano negli elenchi ufficiali Reichswer non costituisce garanzia sufficiente, non fosse altro perché persone di cui trattasi potrebbero viaggiare sotto falso nome.

Né d'altra parte possono essere da noi considerate come soddisfacenti assicurazioni date a V. E. da von Bulov; infatti, pure apprezzando impegno preso da codesto Governo di non consentire nel territorio nel Reich organizzazione centri arruolamenti per invio di uomini e materiali in Etiopia, R. Governo non può non rilevare come dette assicurazioni verrebbero in pratica annullate, ove codesto Governo non prendesse provvedimenti anche per impedire partenza per Abi:ssinia di singoli mercanti di armi ed ex ufficiali o comunque di cittadini tedeschi che vanno a porsi al servizio del Negus contro di noi.

A tale riguardo informo V. E. che altri Governi hanno già provveduto ad impartire disposizioni per impedire che ex militari possano arruolarsi esercito abissino.

V. E. vorrà pertanto insistere presso codesto Governo facendogli presente che R. Governo si attende che assicurazioni dategli di amichevole neutralità da parte Germania nel conflitto itala-etiopico, vengano positivamente tradotte in atto, se esse devono avere un pratico significato (1).

(2) Ed. in M. ToscANO, Pagine di storta diplomatica contemporanea, cit., p. 156.

(3) Con T. 3268/170 R. del 14 giugno 1935, ore 20,22, e T. per corriere 3323/0180 R. del 15 giugno 1935, cerruti aveva riferito avergli Btilow dato assicurazioni sull'infondatezza delle notizie relative all'Invio di missioni tedesche in Etiopia.

447

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI

T. 1156/467 R. Roma, 27 giugno 1935, ore 24.

Suoi telegrammi 1204 (2) e 1220 (3).

Germania, sia per quanto riguarda forniture belliche ad Etiopia sia per quanto si riferisce stampa, sembra avere assunto da qualche tempo, in relazione conflitto italo-etiopico, atteggiamento amichevole neutralità nei nostri riguardi. Questione rapporti italo-tedeschi tuttavia è da considerarsi, come ovvio, non soltanto in relazione tale attegg:iamento, ma anche in relazione atteggiamento che Germania verrà assumendo nella trattazione delle varie note questioni di interesse europeo. Tanto per sua informazione in relazione richiesta di cui all'ultima parte del telegramma di V. S. n. 1204.

Nel conversare con Suo collega tedesco, V. S. potrà fargli comunque notare che evidentemente si terrà conto, da parte nostra, dell'apporto che all'Etiopia danno ufficiali ed industriali tedeschi, il cui arrivo costì è ormai confermato da varie fonti.

(l) -Con T. per corriere 3599/0191 R. del 28 giugno 1935, Cerruti rispondeva di aver nuovamente intrattenuto von BU!ow sull'argomento e di aver ricevuto nuove assicurazioni che sarebbe stato fatto tutto 11 possibile per impedire aiuti tedeschi all'Abissinia. (2) -Vedi D. 386. (3) -Con T. 3366/1220 R. del 18 giugno 1935, ore 18, Vinci aveva riferito di aver avuto una nuova conversazione con 11 collega tedesco sulla posizione della Germania nei confronti dell'Abissinia.
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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 27 giugno 1935.

Il Signor von Hassell viene ad informarsi dell'esito delle conversazioni con Eden (l). Lo metto al corrente.

Mi chiede se è vero che Eden ha ìatto delle proposte concrete contenenti una cessione territoriale della Gran Bretagna all'Etiopia, verso contemporanea cessione territoriale dell'Etiopia all'Italia.

Gli rispondo che non vi è stato nulla di preciso; che nella discussione Eden ha fatto sapere che la Gran Bretagna sarebbe disposta a fare dei sacrifìci a favore dell'Abissinia verso vantaggi che questa darebbe all'Italia, ma che il Capo ha dichiarato di non poter prendere in considerazione una simile proposta.

Riguardo al Patto orientale l'Ambasciatore von Hassell ammette che, secondo le dichiarazioni fatte all'epoca di Stresa, la conclusione ne era molto facilitata.

Lo informo, su sua richiesta, che da parte russa e francese si insiste ancora su questo Patto.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 27 giugno 1935.

Anche il Signor Strang, col quale ho avuto l'opportunità di un colloquio, ha tenuto a r:lpetere che unica preoccupazione del Governo di Londra nell'affare etiopico è quella della salvaguardia del prestigio della Società delle Nazioni e del mantenimento dei normali rapporti itala-inglesi. Esula dagli intendimenti inglesi qualsiasi mira di carattere coloniale.

Ho risposto a Strang: Vogliamo esser convinti della verità di quanto dite. Ma in tal caso non potrete fare a meno di riconoscere accettabile qualunque soluzione che assicuri questi due unici obiettiw che voi dichiarate di proporvi. In termini più precisi, allorché sarà comunque esaurito Ual-Ual, che del resto anche Eden considera oramai sorpassato, la Lega riceverà quasi certamente dall'Etiopia una nuova protesta contro le nostre minacce alla sua integrità. Se allora l'Italia contrattaccasse l'Abissinia dinanzi alla Lega, la Gran Bretagna avrebbe una eccellente opportunità di carattere strettamente ginevrino per rimettere nei migliori termini i rapporti itala-inglesi. Ho precisato anche i punti del Covenant (preambolo -art. 19 -art. 22) che servirebbero di sostegno alla

nostra tesi, secondo quanto ebbi l'ono::.: :Ji esporre a V. E. nell'appunto in data 14 giugno u.s. (1).

L'Inghilterra e la Francia, dinanzi ad un attacco italiano pienamente !egalitario avrebbero l'occasione di dimostrare la loro sincerità nei nostri riguardi propugnando una soluzione già adottata dalla Lega in caso analogo. E cioè il deferimento della vertenza al giudizio delle Potenze interessate, in analogia con la decisione che il Consiglio ha preso per il Chaco.

Ho chiesto a Strang quale ragione egli credeva potesse opporsi ad un simile programma che mentre rispondeva pienamente ai due unici desiderata inglesi in materia offre a noi la prova decisiva del disinteresse inglese.

Strang ha ascoltato con interesse; ha detto che avrebbe riferito e si è scusato di non poter rispondere dicendo di non averne l'autorità.

(l) Vedi DD. 430, 431, 433 e 435.

450

L'INCARICATO D'AFFARI PRESSO LA SANTA SEDE, TALAMO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. S.N. Roma, 27 giugno 1935.

In Segreteria di Stato, presso cui mi sono riservatamente informato, non si ha notizia di progetti di missione del clero copto, di cui riferisce il R. Console in Porto Said (2). Mi si è peraltro confidenzialmente fatto notare che un simile passo servirebbe solo a creare dei deprecabili imbarazzi alla Santa Sede che d'altra parte non ha rapporti con quel clero scismatico.

Confermo del resto all'E. V. quanto già ebbi a riferirLe in merito agli atteggiamenti della Santa Sede rispetto alla situazione etiopica, che vengono anche meglio sottolineati in questi giorni dalle pubblicazioni dell'autorevole organo cattolico, l'Avvenire d'Italia di passi delle memorie del Card. Massaia, destinati a mettere in luce lo stato di inciviltà, di paganesimo e di barbarie delle popolazioni etiopiche.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3556/384 R. Parigi, 28 giugno 1935, ore 20,10 (per. ore 21,30).

Secondo incontro Lavai-Eden a Parigi.

l) Accordo navale anglo-tedesco. Mi è stato confermato che il Governo francese non intende prestarsi per ora, ed almeno fino agosto, ad :incontri di tecnici francesi coi colleghi britannici.

2) Patto aereo. Quai d'Orsay ha mantenuto il suo punto di vista ossia: a) interdipendenza dei problemi oggetto comunicato ili Londra del 3 febbraio scorso; b) necessità che il patto aereo collettivo sia completato con accordi bilaterali. Quai d'Orsay ha confermato di non aver nulla in contrario a che siano iniziate trattative per il patto aereo purché da parte inglese si defalchino i due punti suddetti. Eden che aveva, nel primo incontro di Parigi, dopo di essersi messo in comunicazione telefonica col Ministro degli Affarà Esteri inglese, date buone speranze per l'accettazione del punto di vista francese, ha trovato qui al suo ritorno da Roma delle istruzioni non concordanti con quelle dapprima ricevute da Sir Samuel Hoare. Infatti Consiglio dei Ministri britannico, tenutosi in questi giorni a Londra, non si è mostrato d"accordo con le domande francesi. Gabinetto inglese ha riconosciuto urgenza di portare a compimento in primo luogo l'accordo aereo collettivo. A Londra si pensa che se si sottoponessero al Reich, in via preliminare, le domande francesi surriferite, esse verrebbero respinte immediatamente. Il componimento finale tra le due tendenze, la francese e la inglese, è stato il seguente, che Eden sottoporrà per approvazione a Londra. Qual d'Orsay non intende fare una questione di modo di agire ma di fondo. In altre parole, domanda al Governo inglese di dichiarargli che comunque il patto collettivo aereo, che potrà essere negoziato senz'altro, entrerà :in vigore solo in quanto siano rispettate le esigenze poste accordo, che per chiarezza ripeto, ossia: a) interdipendenza del patto aereo con gli altri problemi oggetto comunicato di Londra del 3 febbraio u.s.; b) patti aerei bilaterali. Eden si è dichiarato personalmente d'accordo, ma ha riservato approvazione del suo Governo (1).

(l) -Vedi D. 377. (2) -Con Telespr. 220766 del 24 giugno 1935, Guarnaschelli aveva comunicato a Talamo la notizia ricevuta da Porto Said dell'imminente invio di una missione del clero copto avente lo scopo di sollecitare l'intervento della Santa Sede per la risoluzione del conflitto italaetiopico.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (2)

T. 3552-3559/385-386 R. Parigi, 28 giugno 1935, ore 21,30 (per. ore 3,15 del 29).

Miei telegrammi n. 372 e 373 <:n. Eden nella sua conversazione al Quai d'Orsay (4) ha parlato per tre quarti del tempo dell'Abissinia. Egli ha riferito per esteso i colloqui avuti con V. E. Léger mi ha detto che le notizie date da Eden corrispondono a quelle recate da me a questo Ministero degli Affari Esteri conforme alle istruzioni della

E. V. (5) ieri mattina prima della visita del Ministro d'Inghilterra.

Léger mi ha confermato che da parte francese non si è accennato menomamente alla comunicazione da me fatta poco prima.

Eden ha concluso affermando di essersi reso conto che non resta più nulla da fare per parte dell'Inghilterra. Ha domandato poi se la Francia fosse disposta· di sostituirsi al Governo britannico nell'azione mediatrice. Lavai ha risposto negativamente insistendo.

Léger mi ha informato, in via riservata, che l'atteggiamento del Governo britannico è determinato prevalentemente da considerazioni di ordine interno. Non vi è dubbio che la nostra espansione nell'Africa Orientale dà molta noia agli inglesi. Però qui si ritiene che gli inglesi tuteleranno i loro interessi occupando al momento opportuno quei punti del territorio etiopico che ambiscono. Le autorità francesi hanno conoscenza dei preparativi militari britannici che si fanno per l'accennata eventualità. La preoccupazione maggiore di questo momento è, come si è detto, in ordine interno. Il partito conservatore teme venga attribuito a sua imperizia di non aver saputo manovrare con sufficiente abilità la Società delle Nazioni per porla a traverso delle ambizioni italiane. L'argomento potrebbe essere sfruttato con successo nella campagna elettorale suscitando un movimento di opinione pubblica contraria al partito conservatore, analogamente a quanto è stato fatto per il Manciukuo. Ad evitare che la guerra abissina preceda le elezioni inglesi si sarebbe persino pensato di anticipare queste ultime. Ma secondo Eden tale soluzione sarebbe stata alla fine scartata.

Léger mi ha detto di avere ad un certo punto preso parola per osservare che a suo avviso soluzioni finora escogitate a Londra erano insufficienti. Egli vedeva una possibilità di soluzione in una intesa diretta fra l'Italia e il Negus che desse alla prima un'ingerenza nel paese foriera dello stabilimento di un protettorato. Segretario Generale Affari Esteri ha soggiunto che il suo Ministro l'ha lasciato parlare senza smentirlo né durante, né dopo riunione.

Eden, da parte sua, non ha reagito; al contrario ha domandato in qual modo si sarebbe dovuto procedere. Segretario Generale degli Affari Esteri ha spiegato che, a suo avviso, accordo dovrebbe stabilirsi all'infuori dell'ingerenza di qualsiasi Potenza perché non si potesse dire che era stata esercitata una coazione sul Negus.

Ho osservato da parte mia che, per determinare nel Negus stato d'animo adatto in modo da indurlo a venire a seri accordi con l'Italia, bisognerebbe per prima cosa che alcune grandi Potenze cessassero dall'incoraggiarlo e dal sostenerlo moralmente e materialmente. Ma finora, ho concluso, siamo ben lontani da questo.

Lavai si è lagnato con Eden per l'offerta della baia di Zeila senza preventiva intesa con la Francia. Se Italia avesse accettato proposta baratto, quale imbrogliata situazione ne sarebbe derivata!

Eden ha detto che a Londra non si era pensato alla consultazione preventiva mentre era stato deciso informare Parigi dopo conosciuta reazione di Roma alla proposta britannica.

Léger mi ha informato in fine in via confidenziale di una apertura fatta presso di lui da questo Ministro di Grecia. Sembra veramente, ha dichiarato Segretario Generale degli Affari Esteri, che Politis abbia certa influenza sul Negus. A mia volta ho accennato ai di

scorsi tenutimi da Politis, precisando che egli mi aveva lasciato intendere che il Negus avrebbe potuto indursi a cessione di territori (mio telegramma n. 355) (1). Segretario Generale Ministero Affari Esteri mi ha interrotto per dirmi che Politis aveva parlato con lui della cessione dell'Ogaden e del territorio d'Adua.

Ho osservato che la vertenza era grave e complessa e non poteva essere risolta con dei palliativi.

453.

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. PER CORRIERE 3646/072 R. Vienna, 28 giugno 1935 (per. il 3 luglio).

Ho già riferito a V. E. nei miei recenti rapporti sulla situazione politica interna, come alcuni cristiano-sociali, ostilissimi a qualunque forma di fascismo ed all'attuale governo e regime austriaco, vanno assiduamente svolgendo una subdola opera di opposizione a Schuschnigg ed a Starhemberg. Ho anche accennato al fatto che essi intendevano altresì avvaiersi, nella loro opposizione, della carta legittimista.

Ogg~ sono in grado di precisare che il piano, cui detti elementi (segretamente capeggiati dallo Schmitz) attualmente attendono, è quello di provocare nelle masse agrarie (a mezzo del Ministro Reither, capo del Bauenbund) ed in quelle operaie socialistoidi (a mezzo del noto vice-borgomastro Winter) un atteggiamento decisamente monarchico. Essi assumono che l'Arciduca Otto non sarebbe favorevole all'attuale regime autoritario austriaco, e sarebbe anzi deciso ad attuare, in caso di restaura~;ione, un regime assolutamente parlamentare e democratico, strettamente basato sull'appoggio delle masse ed in piena collaborazione con le medesime. Sono in grado ài aggiungere che lo Schmitz, e compagni, per meglio impressionare gli elementi cattolici-democratici e socialisti, invieranno nella settimana prossima un certo numero di contadini ed operai a Strasburgo, ai fini di un diretto e personale contatto con l'Arciduca Otto, che si recherebbe espressamente colà dal Belg.io.

Per quanto riguarda l'atteggiamento del locale movimento legittimista, parmi ormai evidente una divergenza d'atteggiamento tra il Duca di Hohenberg -che rimane fedele alle direttive di Schuschnigg, e di Starhemberg -ed il noto Ministro Wiesner, che si mostra più incline a contatti con i dissidenti cristiano-sociali, e specialmente col sig. Reither.

Starhemberg e Berger mi hanno entrambi accennato alla questione di cui sopra, mostrandosene entrambi preoccupati.

Starhemberg mi ha confidato ehe l'Arciduca Otto gli ha fatto di questi giorni pervenire un messaggio di simpatia, ma non mi è sfuggita la sua preoccupazione per gli alterni atteggiamenti clel giovane principe, e sopratutto per i contatti che egli non sdegnerebbe di avere con una categoria di persone che dovrebbe invece ignorare.

Starhemberg mi ha poi annunciato -e Berger me lo ha iersera confermato -un imminente provvedimento, che dovrebbe, a comune loro avviso, neutralizzare il piano dello Schmitz e compagni, o se non altro, ritardarne lo sviluppo.

Il provvedimento consisterà nella restituzione all'ex Famiglia Imperiale del beni immobili sequestrati subito dopo la guerra, nonché nella concessione di una sovvenzione annua.

D'altra fonte ho però saputo che si penserebbe anche ad autorizzare il ritorno in Austria di essa Famiglia sotto la condizione di una espressa rinuncia a qualsiasi attività politica o propagandista. D'altra parte, alcuni heimweheristi vorrebbero indurre Starhemberg ad ottenere segretamente dall'Arciduca Otto, in cambio della restituzione dei beni e della sovvenzione annua, il formale obbligo di astenersi da ora innanzi da ogni azione se non dietro la specifica autorizzazione del Capo delle Heimwehren, rappresentando queste il solo movimento che potrebbe determinare in Austria, in modo effettivo, la restaurazione absburgica.

Come V. E. l'osserverà, la questione legittimista è entrata in uno stato delicato, e ciò per il fatto degli oppositori cristiano-sociali, i quali appaiono disposti a tentare ogni accordo, tanto con i rossi che con i bruni, pur di evitare che la pretesa debolezza di Schuschnigg faciliti o provochi un avvento diretto ed autonomo delle Heimwehren e quindi l'instaurazione di un Governo che non permetterebbe :in alcuna guisa il ritorno dei cristiano-sociali alle loro antiche privilegiate situazioni (l).

(l) -Con successivo telegramma del 29 giugno 1935, ore 12,30 (n. 3563/388 R.), Pignattiaggiungeva: «A complemento mio telegramma n. 384 di ieri informo che, rispondendo ad una mia domanda, il Segretario Generale del Qua! d'Orsay mi ha detto che nella sua seconda visita a Pardgi Eden non ha fatto parola né del patto danubiano né dell'Austria. Per parte mia avevo segnalato a Eden importanza del patto danubiano e messo in rilievo necessità della difesa dell'Austria per la tranquillità dell'Europa». (2) -Ed. in M. ToscANO, Pagine di storia diplomatica contemporanea, cit., pp. 153-154. (3) -Vedi D. 421. (4) -Vedi D. 451. (5) -Vedi D. 437.

(l) Non rinvenuto.

454

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, UMILTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA RR. 3503/377. Zagabria, 28 giugno 1935 (per. il 2 luglio).

Dopo la caduta del Gabinetto jugoslavo e la conseguente convocazione a Belgrado del Capo della opposizione croata dott. Macek, furono pubblicate sui giornali jugoslavi ed esteri tante versioni e corsero tante inverosimili notizie sull'avvenire politico e sulla futura azione della opposizione croata, che mi indussero a far interrogare lo stesso dott. Macek da un mio fiduciario di assoluta attendibilità.

Il tributo di buon grado corrispose alla mia richiesta ed alle varie domande direttegli, rispose come riassumo qui di seguito:

«Ritengo che la mia chiamata a Belgrado sia stata più che altro un gesto di cortesia verso i croati o, se vogliamo, verso l'opposizione, invece di essere stata mossa dalla vera volontà di collaborare con noi.

dei ministri austriaco aveva approvato il disegno di legge per l'abrogazione delle disposizioni antlasburgiche.

La mia udienza presso il Principe Pavle si svolse a quattro occhi, dunque in assenza degli altri due Reggenti o di uomini politici in genere.

Ebbi subito l'impressione che il Principe fosse alquanto imbarazzato nel discutere di politica. Espressi i miei noti punti di vista, cioè " riforma della legge elettorale, convocazione della Costituente, libertà di stampa, di adunanze, autonomia della amministrazione, delle finanze e delle trazioni nazionali dell'esercito" e così via.

Il Principe mi lasciò parlare, non disse né no né si ed infine mi rivolse la domanda se fossi disposto ad esporre tutto ciò al Generale zivkovié, in cui sembra di avere la massima fiducia. La mia risposta affermativa gli fece un vivo piacere. Il Principe stesso dispose telefonicamente il necessario per il mio colloquio col Generale zivkovié, mi mise a disposizione una automobile di Corte, fece venire caffè e sigarette e di politica non se ne parlò più.

La ulteriore conversazione privata durò altri tre quarti d'ora. Parlò della Russia, di Tolstoj, della cultura inglese ed altro ed infine mi congedò molto affabilmente.

Al Generale zivkovié esposi nuovamente le mie note tesi, cui egli prestò molta attenzione, esprimendo infine le solite frasi d'occasione.

Sin dal principio mi resi ben conto che il mio viaggio a Belgrado non era destinato ad apportare alcuna modificazione al sistema in genere ed alle decisioni prese già in precedenza riguardo ai cambiamenti del personale del Ministero.

L'attuale governo non ha altro scopo che quello di trattare con più umanità i croati, per riguadagnare i loro animi. Non è dubbio che ciò è bene ma non dà alcun motivo alla opposizione croata dl cambiare minimamente il suo atteggiamento.

Tutto il resto rimane invariato.

Non è escluso che Stojadinovié riceva un giorno il mandato di rivedere la legge elettorale e di aderire, almeno in parte, alle mie richieste. Anzi, ritengo ciò probabile, ma finora non è il caso».

Circa l'Italia il dott. Macek riferì essergli noto che l'atteggiamento del nostro Governo è rimasto invariabilmente benevolo verso i croati, e da ciò egli spera favorevoli risultati per l'avvenire. Egli assicurò infine che i suoi sentimenti continuano ad essere improntati a leale deferenza verso il Governo e la persona di V. E.

Avrebbe espresso anche frasi di cortesia verso di me.

Come l'E. V. potrà concludere dalla presente intervista, la politica interna jugoslava dovrebbe assumere un carattere m tolleranza verso i croati, semprE! però nell'intento di rendere meno aspra la opposizione per agevolare la vita politica ai governanti di Belgrado, che poco su, poco giù anche in avvenire si recluteranno in genere dalla nota oligarchia di quella capitale, mentre le serie riforme rimarranno probabilmente teoriche, per placare, a parole, i croati, ogni qualvolta questi si scuotessero dal loro torpore.

Per il momento non si dovrebbe attendere dunque nessun cambiamento degno di speciale rilievo (l).

(l) Con T. 3667/140 bis del 3 luglio 1935, ore 20, Preziosi informava che il Consiglio

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

455

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND (l)

APPUNTO. Roma, 28 giugno 1935.

L'Ambasciatore Drummond premette di essere molto seccato della richiesta che mi deve fare. Il Ministro Hoare sarà interrogato neà. prossimi giorni, e probabilmente lunedì, alla Camera dei Comuni sull'esito delle conversazioni tra Eden e il Capo del Governo. Il Ministro non potrà non parlare della offerta di Zeila che ormai è trapelata attraverso indiscrezioni nella stampa e che comunque non potrebbe essere tenuta nascosta alla Camera dei Comuni. Sarà poi anche certamente interrogato sui desiderata del Signor Mussolini. Il Ministro anche su questo punto dovrà fare delle dichiarazioni ai Comuni.

L'Ambasciatore aveva l'incarico di vedere immediatamente il Capo del Governo per informarlo di questa situazione e dell'imbarazzo nel quale si trova il Ministro.

Riferisco all'Ambasciatore che data l'assenza del Capo non posso fargli avere così presto una risposta.

Chiede anche :il mio parere sulla questione.

Gli dico che in primo luogo mi meraviglio che il Governo non trovi modo di non rispondere a delle interrogazioni quando queste tocchino delle situazioni molto delicate. Siccome però questa è questione che riguarda gli inglesi e non noi, se loro ritengono di dover esporre la proposta di Zeila noi non sappiamo che farci. Se dovessi suggerire il modo come potrà motivare il nostro rifiuto, gli direi di dire: in primo luogo che l'Italia non gradisce concessioni attraverso terze potenze; in secondo luogo che le offerte fatte dall'Inghilterra erano comunque insuffd.cienti per la sicurezza che l'Italia vuole per le proprie colonie per ogni eventualità. Se chiedessero sui desiderata del Governo Italiano, io ritengo che il Governo Inglese potrebbe dire qualcosa di molto vago, battendo soprattutto sulle ragioni di sicurezza.

L'Ambasciatore su questo punto proporrà anzi che non si risponda dicendo che l'Italia, se crede, farà delle dichiarazioni, ma che il Governo Inglese non ha da fare il portavoce di richieste italiane.

Egli ritiene che questa risposta non sarà di gradimento del suo Governo; aggiunge pure che il Signor Hoare ha una vita molto difficile perché la Camera voleva a quel posto Eden e quindi lo tiene sotto un fuoco di fila di interrogazioni le une più imbarazzanti delle altre (2).

35 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. I

(l) -Ed. in M. ToscANo, Pagine di storia diplomatica contemporanea, cit., p. 157. (2) -A quest'appunto suvich aggiunse la seguente richiesta: «Prego V. E. di farmi sapere se devo fare altre comunicazioni all'Ambasciata inglese in merito alla richiesta da Londra». Mussolini si limitò ad apporre il suo visto.
456

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 2253/1409. Vienrta, 28 giugno 1935 (per. il 1° luglio).

Mio telegramma per corriere n. 071 in data di ieri (l).

Berger mi ha fatto pervenire l'accluso appunto, che riassume il suo ultimo colloquio col von Papen. Esso è stato anche rimesso al Cancelliere ed al ViceCancelliere.

Le notizie contenute nell'appunto corrispondono sostanzialmente a quelle che Berger ebbe a riassumermi oralmente.

Da esse resta confermato che lo scambio di idee intercorso fra il Berger ed il von Papen è avvenuto in forma del tutto personale. Ciò malgrado, è per la prima volta che il von Papen ha messo da parte le sue solite tergiversazioni, stabilendo, sia pure a titolo personale, alcunché di pratico e di preciso. Al riguardo, Berger mi ha confidato essere suo fermo proposito di tirare le cose più a lungo che sia possibile, aggiungendo che se il Cancelliere volesse scegliere altra via, egli non esiterebbe a dare immediatamente le sue dimissioni.

Da parte sua, almeno fino ad oggi, il Cancelliere dichiara voler restare in fidente attesa. Lo ha detto a me, pur non nascondendo la sua preoccupazione per l'avvenuto diretto accordo anglo-tedesco; e lo ha ripetuto oggi al mio collega di Francia, Puaux, recatosi a salutarlo, prima di partire in congedo. Anzi Puaux mi ha precisato che in detta occasione egli aveva creduto informarlo che Lavai, nel suo ultimo colloquio con Eden aveva messo ben in chiaro che il programma stabilito con la dichiarazione del febbraio, e confermato a Stresa, restava inviolabile: di talché la Francia non avrebbe mai consentito accordi che non rientrassero nell'indivisibile insieme di tutte le note questioni, fra cui trovavasi, com'era noto, quella inerente al desiderato assetto danubiano. In replica, Schuschnigg aveva mostrato tutto il suo compiacimento, ribadendo che l'Austria avrebbe atteso con fiducia lo svolgersi degli avvenimenti.

Intanto von Papen intensif.ica i suoi sforzi per raggiungere, prima della Conferenza danubiana, un accordo diretto con questo Paese. Egli cerca contatti un pò dapertutto. Qualche giorno fa ha avuto un lungo colloquio col Direttore della Reichspost, Consigliere di Stato Funder, col quale egli già da tempo travasi in rapporto; ed è sintomatico, a tale proposito, la crescente disposizione della Reichspost ad esporre in brevi articoli, sebbene nella forma più discreta, tesi e punti di vista prettamente tedeschi. Ciò è stato pure rilevato da Starhemberg, che mi ha confidato aver nell'odierno Consiglio dei Ministri attirato l'attenzione del Cancelliere sull'opportunità che la Reichspost cessi dall'avvalersi della circostanza di essere un organo delle sfere cristiano-sociali per svolgere un'attività non del tutto in armonia con quella degli altri giornaU e delle sfere dirigenti, proponendo quindi che fosse chiamato a far parte della redazione di detto gior

nale una qualche persona che potesse fedelmente rispecchiare le direttive del governo. Senonché il Cancelliere ha invocato gli antichi servigi resi dalla Reichspost, impegnandosi ad intervenire personalmente presso il signor Funder.

Circa l'azione dei cristiano-sociali dissidenti, con i quali, come ho già segnalato, simpatizzano il Funder e l'Adam, mi riferisco all'odierno mio telegramma per corriere sulla situazione . interna (l).

ALLEGATO

COLLOQUIO CON L'INVIATO GERMANICO VON PAPEN

APPUNTO. Vienna, 26 giugno 1935.

Papen incominciò il colloquio fissato con me, per oggi nel pomeriggio, coll'aprire un voluminoso involto, contenente ritagli di giornali e stampati.

Io gli dichiarai che lo dovevo pregare, prima che cominc1asse colla lettura del materiale che aveva portato, di voler differire di alcuni giorni questo tema di conversazione, affinché potessi affrontarlo con una raccolta altrettanto imponente di articoli.

Papen replicò che voleva parlare con me soltanto dei casi più evidenti e innanzi tutto doveva premettere che da Berlino gli erano stati fatti seri rimproveri per la sua partecipazione alle feste di Marco d'Aviano, perché il discorso pronunziato in questa occasione dal Presidente Federale Miklas conteneva una punta chiaramente vivolta contro la Germania e cioè un'osservazione sul paganesimo che irrompe dal Noro; inoltre Papen accennò ai fogli di propaganda sul Si.idtirol, presumibilmente editi dal Fronte Patriottico, nei quali ogni colpa viene ascritta alla Germania rispettivamente al nazionalsocialismo. Poi mostrò alcuni proclami e foglietti volantA, verosimilmente diffusi dal Fronte Patriottico, relativamente ad uno dei quali potei dimostrargli subito che doveva risalire al mese di luglio o di agosto dello scorso anno perché alludeva chiaramente all'assassinio, avvenuto poco prima, del Cancelliere Federale dottor Dollfuss.

Dopo queste parole di introduzione sulla stampa locale, Papen dichiarò che è urgente di addivenire ad un « gentlemen agreement » sulla stampa e, possibilmente, anche sulla questione dell'ammissione di giornali germanici in Austria.

Io replicai che noi avevamo cercato di arrivare a ciò già alcuni mesi fa, ma che questo tentativo aveva avuto come solo risultato che il Governo austriaco aveva dovuto continuare a lasciarsi insultare dalla stampa germanica, mentre quella austriaca si era astenuta per qualche tempo da ogni attacco. Quindi che io sono dell'opinione che il problema deve essere considerato in modo diverso e che anzitutto dovrebbe essere risolto il problema di come scaricare, senza pericolo, l'atmosfera satura di elettricità esistente tra i due Stati.

Papen non insisté ulteriormente su questo argomento.

Papen fece poi delle lamentele per il presunto arresto di cittadini germanici, che avrebbero abitato in una pensione davanti alla quale era passata la processione del Corpus Domini.

Io gli risposi che, molto probabilmente, la polizia avrà avuto dei motivi per prendere questa misura; si sarà trattato certo di arresto per misure di sicurezza perché le persone in questione saranno state messe nuovamente a piede libero. Gli rivolsi allora la domànda se anche in Germania non si mettano in arresto per misure di sicurezza delle persone per ragioni analoghe.

Papen accennò allora al caso seguente: dei soldati germanici che scortavano un convoglio <;li cavalli nel viaggio di l'itorno in Germania, sarebbero stati arrestati senza motivo dalla polizia nelle vicinanze di Vienna.

Ho replicato che la nostra polizia non arresta mai, mai senza motivo e che mi procurerà un particolare piacere di informarlo sul vero motivo che ha causato l'arresto.

(A c:iò si provvede con lettera privata diretta dal signor Ministro Federale all'Inviato von Papen, dalla quale emerge che si trattava di soldati ub11iachi, che gridavano «viva Hitler»).

Papen parlò poi dell'ultimo numero dello Sturm nel quale effettivamente è contenuto un articolo che bolla come alto tradimento una politica pangermanista. Egli osservò a questo proposito, che se le espressioni del giornale corrispondono alle convimli.ont politiche del Cancelliere Federale del Governo Austriaco, è esclusa ogni possibilità di un accordo tra Austria e Germania.

Ho risposto richiamandomi al fatto che J'importanza di questo piccolo giornale, non doveva essere sopravalutata.

Ho detto quindi che questo genere di conversazione non poteva condurre assolutamente ad un risultato positivo e che non facevamo che perdere tempo tutt'e due, se volevamo occuparci di esaminare articoli reciprocamente insultanti. Coll'occasione ho l'ichiamato la sua attenzione sul fatto che un solo numero del Brennessel o del Volkischer Beobachter controbilancia certo largamente tutti gli articoli dei giornali austriaci sfavorevoli alla Germania. Ma che sono volentieri disposto a tirare definiMvamente una riga su tutte queste recriminazioni se da parte ,tedesca, e precisamente dal Capo supremo, sarà fatta una precisa dichiarazione che possa infonderei fiducia nella politica del Governo del Reich. Perché, infatti, noi sentiamo continuamente da fonte ufficiale tedesca (von Papen) che Hitler pratica una politica obiettiva e che le idee svolte nel suo libro Der Kampf hanno compiuto un'evoluzione di 180 gradi, ma d'altro canto, dalla politica che gli uffici del Partito nazionalsocialista conducono nel Reich contro di noi, dovremmo giungere alla conclusione che i suoni di pace, che provengono dalla zampogna di Hitler, sono destinati soltanto ad appoggiare la politica estera della Germania. Che noi non potevamo impegnarci in alcun colloquio politico colla Germania, pl1ima che il Fiihrer abbia fatto una dichiarazione che informi anche i suoi partigiani e l'opinione pubblica germanica che la politica della Germania di fronte all'Austria si è effettivamente cambiata. La politica del signor Hitler è responsabile del· fatto che il Governo austriaco sia obbligato a fare una politica di sicurezza e che 1a colpa che il signor von Papen ci rimprovera, cioè che siamo noi la causa dell'accordo russo-franco-cecoslovacco, dovremmo registrarla assolutamente a debito del signor Hitler.

Papen replicò che egli credeva che Hitler si sarebbe prestato per una simile dichiarazione.

Io dissi che prendevo atto con grande soddisfazione di questa sua Iisposta e che mi attendevo che mi farebbe pervenire, in breve tempo, il progetto di una dichiarazione che corrisponda ai legittimi desideri dell'Austria. Anch'io, per parte mia, preparerò il testo di una dichiarazione nel modo come la concepisco e potremo qUindi raffrontare i nostri due .testi.

Ho aggiunto che si sarebbe dovuto essere certi che poi in Germania si sarebb~ messo veramente fine al giuochetto della Legione e dei Comitati di Soccorso. La dichiarazione di Hitler dovrebbe essere tanto chiara da far intendere ai profittatori di queste iniziative l'inanità delle loro azioni. ,

Papen promise di voler discutere nuovamente insieme con me, nel corso della prossima settimana, le sue idee.

Giungemmo qUindi a parlare del caso Neubacher.

Ho detto a Papen che la sua posizione non si avvantaggia davvero dal fatto che, in un certo modo, ha assunto la parte del protettore a cui ricorrono tutti i cattivi austriaci. Papen replicò vivacemente che egli sa, che gli si rimprovera di essere protettore di tutti coloro che stanno all'opposizione ma che, quanto a Neubacher, desiderava assicurare che quest'uomo era assolutamente contro l'Anschluss e nient'altro che un austriaco nazionale di opposizione. Disse che proprio in seguito all'arresto di Neubacher, che sempre si era opposto ai radicali e ai terroristi, si era rafforzata l'idea dell'ala radicale.

Così ebbe termine la nostra conversazione e rimanemmo d'accordo di trovarci assieme per un nuovo colloquio nella prossima settimana (1).

(l) Con T. per corriere 3571/071 R. del ~7 giugno 1935 Preziosi aveva inviato un primo resoconto sommario del colloquio Berger-Papen.

(l) Ved'i D. 453.

(l) Il presente aocumento reca n visto d1 Mussollnl.

457

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

T. 3567/389 R. Parigi, 29 giugno 1935, ore 13,50 (per. ore 16,30).

Mio telegramma n. 386 (2).

A conclusione del mio telegramma suddetto, aggiungo che il Segretario Generale del Quai d'Orsay mi disse di aver lasciato intendere a Politis che non vedeva l'interesse di continuare con lui una conversazione che non aveva scopo.

Léger vede in questo momento il problema etiopico in modo che io giudico assai vicino al punto di vista di V. E. Egli ammette infatti il trapasso di territorio etiopico all'Italia in piena sovranità purché questo avvenga per un accordo tra noi e il Negus. Segretario Generale del Quai d'Orsay considera, però, che la soluzione base del problema debba essere ricercata in una combinazione che dia all'Italia ingerenza preponderante negli affari abissini, preparando protettorato dell'Italia su quel paese. Segretario Generale del Quai d'Orsay si augura infine, pur non nascondendosi l'enorme difficoltà, che l'Italia riesca a realizzare il piano anzidetto senza ricorrere alle armi.

458

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (3)

T. R. 3585/428 R. Londra, 29 giugno 1935, ore 19,56 (per. ore 0,55 del 30).

Per quanto Governo britannico mantenga maggior segreto circa conversazioni che Eden ha avuto a Roma sulla questione abissina, il progetto che egli ha esposto a V.E. è ormai conosciuto anche nei suoi particolari in questi ambienti politici.

Da quanto ho potuto accertare, giudizio che se ne dà è assai severo. Si mette particolarmente in rilievo assurdità idea cessione Zeila all'Abissinia, per tutte le precise considerazioni esposte nel telegramma di V. E. n. 208 (4). Si aggiunge che cessione riuscirebbe dannosa anche agLi interessi dell'Inghilterra, perché essa aprirebbe Etiopia all'influenza di altre Potenze, oltre quelle attualmente confinanti, e minerebbe situazione di privilegio di queste tre Potenze.

Uno dei principi fondamentali della politica inglese è che la Germania non deve rimettere piede in Africa, e concedendo all'Abissinia uno sbocco al mare si aprirebbe una eventuale possibilità che essa attualmente non ha.

Lo stesso dicasi del Giappone per quello che riguarda la sua espansione commerciale in Africa, oggetto di così viva preoccupazione per gli inglesi.

Segnalo a V. E. lettera che Lord Beaverbrook ha pubblicata stamane nel Daily Express e nella quale si protesta energicamente contro idea che Zeila possa essere ceduta all'Abissinia per evitare una guerra nella quale l'Inghilterra non è affatto interessat a.

(l) -Ed. in M. ToscANo, Pagine di storia diplomatica contemporanea, cit., pp. 154-155. (2) -Vedi D. 452. (3) -Ed. in M. ToscANO, Pagtne di storta atptornatlca contemporanea, cit., p. 158. (4) -Vedi D. 437.
459

IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6718/68 P.R. Durazzo, 29 giugno 1935, ore 22 (per. ore 23,40).

Mio telegramma n. 63 (1).

Re Zog, pur continuando a dimostrare favorevoli disposizioni per questione porto di Durazzo, esita ancora a entrare nel nostro ordine di idee di una cessione della gestione ad un ente da noi controllato.

Da sondaggi fatti compiere presso di me per interposta persona risulta che egli ha richiesto di girare difficoltà con altre soluzioni (controllo del posto da affidare a nostre organizzazioni di una ricostituenda marina militare o della locale capitaneria di porto) che non offre garanzie desiderate e che pertanto sono state da me scartate. Mi consta che il Re ha in questi giorni conferito ripetutamente con Ministro d'Inghilterra.

Nostra fermezza per porto Durazzo è quindi di tanto più opportuna in quanto tale questione sembra diventata nell'attuale momento politico pietra di paragone degli orientamenti ed intendimenti futuri della politica albanese nei nostri riguardi.

460

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO AL CAIRO, PAGLIANO

T. 1170/164 R. Roma, 30 giugno 1935, ore 20.

Suo telegramma n. 274 (2).

Ella potrà dire codesto Presidente del Consiglio che R. Governo confida che miglioramento recentemente verificatosi da parte codesta stampa nei confronti italiani sia duraturo e rcispecchi reali sentimenti codesto Governo. V.S. vorrà chiarire a codesto Presidente del Consiglio che Egitto, verso cui abbiamo sempre mantenuto e manteniamo non soltanto a parole ma anche coi fatti attitudine amichevole, nulla ha da temere dell'azione che l'Italia si propone di svolgere nell'Africa Orientale. Tale azione tende all'instaurazione di un regime di ordine che garantisca sicurezza e tranquillità ai paesi confinanti con Abissinia e che favorisca progresso di quelle popolazioni tuttora segregate dal ·mondo civile, ciò che riuscirà di vantaggio anche agli interessi egiziani politici ed economici in quel settore (3).

(l) -Vedi D. 396. (2) -Vedi D. 434. (3) -Non è stato rinvenuto il telegramma di risposta, ma vedi D. 661.
461

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, ALL'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY

T. 1174/111 R. Roma, 1° luglio 1935, ore 24.

Telegramma di V.E. n. 118 (1).

Prego interessare codesto Governo, in relazione recenti affidamenti datili (2), al fine di accertare reale destinazione delle partite di materiale bellico di cui a sopraindicato telegramma, per le quali v'é sospetto che destinazione dichiarata mascheri la destinazione Etiopica ( 3).

462

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 1° luglio 1935.

L'Ambasciatore deve chiedermi qualche chiarimento sulle conversazioni tra il Capo del Governo ed Eden. Quello che lo interessa principalmente è sapere che cosa sia stato risposto da parte nostra alla richiesta inglese di inviare degli esperti a Londra per discutere il patto anglo-germanico.

Gli rispondo che su questo punto abbiamo avuto due versioni un pò diverse: da Parigi ci è stato fatto sapere che Lavai aveva respinto la proposta e non intendeva inviare dei tecnici che verso la fine dell'anno, per discutere la rinnovazione del Trattato di Washington (4). Il signor Eden invece ha detto che Lavai non poteva mandare subito i tecnici per riguardo alla sua opinione pubblica ma li avrebbe inviati tra un paio di settimane (5). Da parte nostra si è data una risposta precisa intendendo che la cosa dovesse essere prima regolata tra la Francia e la Gran Bretagna.

A proposito della gradualità insisto sul fatto che non si é abbandonato il principio della interdipendenza degli argomenti trattati a Londra il 3 febbraio. Da un punto di vista realistico però bisogna rendersi conto che alcuni di questi problemi, come per esempio quello degli armamenti terrestri, offrono notevoli difficoltà e quindi a un determinato punto bisognerà vedere se non si possono risolvere per il momento gli altri, lasciando questi da parte per la soluzione in un tempo successivo. Naturalmente sempre sotto la premessa che gli accordi che entrano in vigore rappresentino un giusto equilibrio tra quanto interessi la Germania e quanto interessi gli altri.

L'Ambasciatore Chambrun ritiene che tale punto di vista debba essere attentamente considerato.

Faccio poi all'Ambasciatore le mie rimostranze per l'articolo del Matin sulla visita di Gamelin che, per la forma in cui è fatto, darà adito a molte deduzioni e a molti sospetti.

Il Signor Chiambrun è d'accordo con me e non può che deplorare la detta corrispondenza.

(l) -Con T. 3493/118 R. del 25 giugno 1935, ore 20,55, Vannutelli segnalava la partenza da Anversa di un piroscafo olandese e di uno inglese trasportanti materiale bellico. (2) -Con T. per corriere 6170/032 P.R. del 13 gmgno l~J5, vannutelli aveva comunicato: «Mi è stato formalmente comunicato che le licenze al esponazwne a1 armi e munizioni tanto di fabbricazione belga quanto di fabbricazione estera (inruspensao!l!, a norma di regolamento per la destinazione ai vari paesi africani ed orientali) sono s1>aoe sospese nel riguardi dell'Etiopia». (3) -Per la risposta di vannutelli vedi D. 4'17. (4) -Vedi DD. 421 e 429. (5) -Vedi D. 430.
463

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DEL GIAPPONE A ROMA, SUGIMURA

APPUNTO. Roma, 1° luglio 1935.

Il signor Sugimura mi chiede alcune informazioni sulle recenti fasi della politica europea.

Gli dò dei ragguagli sommari.

A proposito dell'armamento terrestre egli è di opmwne che la Germania sia disposta a liquidare i propri effettivi se gli altri faranno altrettanto. Mi intrattiene poi su questioni economiche come da appunti separati (l).

464

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI POLONIA A ROMA, WYSOCKI

APPUNTO. Roma, 1° luglio 1935.

Il signor Wysocki viene ad informarmi in forma confidenziale dalla visita di Beck a Berlino. La signora Beck, che è affetta da una malattia di petto, deve andare a fare una cura a Reickenhall in Baviera ed il Ministro l'accompagna. Beck ha chiesto se, passando per Berlino, potrà vedere il Cancelliere Hitler in udienza e l'incontro è stato fissato. Come si vede è più che altro una visita di cortesia. Durante l'incontro non si parlerà di nuovi Patti, né si discuterà della questione di Danzica. Il Patto attuale tra la Germania e la Polonia è per quest'ultima sufficiente. Si farà naturalmente una scorsa sui problemi politici del momento.

Il Governo polacco teneva che l'Italia fosse informata di tale visita prima che la notizia venisse fuori attraverso la stampa.

L'Ambasciatore si rende conto che la visita darà luogo a molte chiacchiere, ma egli può assicurare che la stessa non avrà altra portata che quella sur.. riferita.

(l) Non rinvenuti.

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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI SPAGNA A ROMA, GOMEZ OCERIN

APPUNTO. Roma, 1° luglio 1935.

Il signor Gomez Ocerin viene a chiedermi notizie sui colloqui di Eden specialmente con riguardo alla questione etiopica. La Spagna fa una politica societaria e, dati i suoi buoni rapporti con l'Italia, le dispiacerebbe moltissimo che quest'ultima dovesse uscire dalla Lega.

Rispondo all'Ambasciatore che il Capo del Governo ha dichiarato ad Eden che non farà nulla per uscire dalla S.d.N. Bisogna però che l'Italia non sia messa in una situazione tale da essere costretta ad uscirne.

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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI ROMANIA A ROMA, LUGOSIANU

APPUNTO. Roma, 1° luglio 1935

Il signor Lugosianu s'interessa alle discussioni tra il Capo del Governo ed Eden e specialmente al Patto Danubiano.

A proposito di quest'ultimo dice che il Capo del Governo avrebbe detto a Chambrun di essere disposto a conchiudere un patto generale di non aggressione e di consultazione. Avrebbe poi soggiunto di essere d'accordo di conchiudere un patto di mutua assistenza con la Jugoslavia e forse con altri Paesi.

Il Ministro domanda se a riguardo del Patto sono cambiate le nostre direttive.

Gli rispondo di no: noi siamo favorevoli al Patto. Cerchiamo di arrivare al più presto alla conclusione, ma non intendiamo sottoporci a pretese che col Patto stesso non hanno a che vedere. L'unica via è quella di sfrondare il Patto da ogni soprastruttura venuta poi e renderlo alla forma più semplice di protezione -sia pure mascherata -dell'Austria.

Per quanto riguarda i Patti di mutua assistenza, la questione può rimanere in un primo tempo aperta. D'altra parte ci potranno essere anche degli accordi militari che sostituiscano i Patti stessi.

Il Ministro ritiene che la Romania potrebbe accettare la consultazione «en vue des mesures à prendre » come contenuto degli accordi particolari.

A proposito dell'Etiopia il Ministro mi dice che, secondo sue impressioni, gli Inglesi oramai si persuadono che noi intendiamo fare sul serio: fino ad ora pensavano che il nostro fosse un bluff.

Gli osservo che ce n'è voluto, ma che ora gli Inglesi cominciano ad accostarsi alla realtà. Il Ministro Lugosianu non vede la possibilità di una soluzione giuridica di una controversia sulla base dei paragrafi 10, 19 e 22 ecc. del Covenant,

sebbene egli sappia che in alcuni ambienti si pensa a tale possibilità. Egli crede che la guerra sia inevitabile e pensa che dopo lo scoppio delle ostilità la S.d.N. potrà intervenire dandosi l'aria di fare qualche cosa per ottenere la pace e sanzionando così il fatto compiuto. In tal modo l'Italia non sarebbe forse costretta ad abbandonare la S.d.N.

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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO D'UNGHERIA A ROMA, VILLANI

APPUNTO. Roma, 1° luglio 1935.

Il barone Villani ha avuto notizie confidenziali sui colloqui di Goering a Belgrado.

Goering avrebbe detto a suoi amici jugoslavi che non ritiene ancora H momento per staccare completamente la Jugoslavia dai suoi alleati e farla passare con armi e bagagli nel campo germanico. Questo però sarebbe il suo scopo. Come è noto in passato già Goering aveva fatto dei tentativi per avvicinare l'Ungheria alla Jugoslavia. Questa volta non avrebbe insistito su tale argomento.

Il Governo di Budapest gli conferma le notizie relative ad un altro attacco della Jugoslavia contro l'Ungheria in occasione del processo di Marsiglia. Prega di informare di ciò il Governo francese perché agisca in senso moderatore [su] Belgrado.

Il Ministro, parlando dell'Abissinia, dice che a Budapest si paventa un'uscita dell'Italia della S.d.N., eiò che costituirebbe l'isolamento dell'Ungheria. Informo sommariamente il Ministro di Ungheria sulla visita di Gamelin (1).

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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO

T. RR. 1180/174 R. Roma, 2 luglio 1935, ore 4.

R. Ministero delle Finanze nel rilevare importanza progettati investimenti in Cina per fabbrica aeroplani, forniture aeronautiche nonché forniture sommergibili e piroscafi mercantili chiede -in relazione situazione politica più recentemente determinatasi nel Nord Cina e crollo alcuni importanti istituti bancari cinesi -se convenga persistere nel dar corso investimenti predetti o se piuttosto non convenga sospenderli in attesa che situazione si chiarifichi.

Prego V. E. esprimere Suo avviso su problema posto dal R. Ministero delle Finanze, mettendolo in relazione agli scopi che persegue politica italiana in Estremo ODiente. Al riguardo vorrà tener presenti seguenti direttive di massima che con l'occasione le indico e che tengono conto considerazioni esposte

nel telegramma di V. E. n. 91 (l) e nei telegrammi nn. 34 e 35 del R. Ambasciatore in Tokio (2):

l) Importa continuare curare ottimi rapporti tra Italia e Cina e sviluppare posizioni politiche esistenti (missioni aeronautica e navale e proposta missione educativa fascista ecc.), nonché quelle economiche nell'ambito nostre possibilità finanziarie e tenute presenti garanzie ottenibili.

2) Quanto precede non esclude affatto miglioramento rapporti itala-giapponesi. A mano a mano che se ne presenti opportunità, sarà interessante mostrare anzi che Italia non intende dare carattere antinipponico sua azione in Cina. In tale ordine di idee ci proponiamo di venire intanto incontro proposte fatteci da Sugimura su terreno culturale ed economico.

3) Occorre non andare oltre tali limiti. Infatti addivenire a un vero e proprio accordo col Giappone non sarebbe possibile senza accettare rinunzie su terreno nostre posizioni politico-militari in Cina. Ora, allo stato delle cose, queste posizioni sono più importanti di quelle economiche. Non sacrificare posizione politica che deteniamo dovrebbe !asciarci aperte possibilità per più vasti futuri interessi economici. È proprio per svolgere questo lavoro che (per quanto riguarda Giappone, per impedire cioè che esso non ci sbarri strada) interessa particolarmente miglioramento rapporti itala-giapponesi nel senso indicato al n. 2.

4) Per quel che concerne attività giapponese in Abissinia, R. Ambasciatore in Tokio, interpellato circa fondamento voce di un attegg1amento giapponese favorevole Abissinia, ha risposto in senso negativo rilevando che Giappone, mentre estende sua azione economica tutti mercati, concentra suoi sforzi politici in Estremo Oriente. Anche Sugimura, mediante nota dichiarazione « Reuter », ha smentito voce interessamento politico giapponese Abissinia. Sarà interessante seguire questione.

5) Per quanto riguarda Cina e Società delle Nazioni, R. Governo continua appoggiare .richiesta Cina di un seggio nel Consiglio (in tal senso ha agito delegato italiano Ginevra durante recente sessione) poiché Società Nazioni, non astante debole difesa Manciuria, rappresenta tendenza contraria ulteriore aumento predominio Giappone in Estremo Oriente (3).

Prego v. E. comunicare presente telegramma anche Tokio col n. 72.

(l) Il presen te documento reca il visto di Mussolini.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AI MINISTRI A BUDAPEST, COLONNA, E A VIENNA, PREZIOSI

T. RR. 1181/94 (Budapest) 120 (Vienna) R. Roma, 2 luglio 1935, ore 16,15.

(Solo per Vienna) Voglia comunicare confidenzialmente al Cancelliere e al Principe Starhemberg quanto segue a proposito visita Gamelin a Roma (4).

(Solo per Budapest) Voglia comunicare confidenzialmente a Goemboes quanto segue a proposito visita Gamelin a Roma. (Per tutti) Visita svoltasi in forma privata ma con carattere cordialità anche in vista rapporti personali fra due Capi di Stato Maggiore.

Generale Gamelin ha avuto colloqui, oltre che con Capo di Stato Maggiore, con Sottosegretari militari ed ha fatto visita di cortesia al Capo del Governo.

Sono stati esaminati dal punto di vista [militare], sulla base dei Trattati esistenti, i problemi che interessano i due paesi e che si riattaccano alla fase attuale della politica europea: ciò con speciale riguardo alla difesa dell'Austria.

(Solo per Vienna) Aggiungo per informazione segreta del Cancelliere e di Starhemberg che è stata considerata una collaborazione militare itala-francese in caso di un attacco contro l'Austria in conformità e per l'applicazione pratica degli impegni assunti con l'ultima parte del processo verbale del 7 gennaio (1).

(l) -Vedi serie settima. vol. XVI, D. 782. (2) -Non sono stati rinvenuti, mancando il volume del Giappone nella raccolta dei telegrammi in arrivo del 1935. (3) -Per la risposta da Shanghai vedi D. 506. (4) -Suvich fece analoga comunicazione, lo stesso 2 luglio, al ministro d'Austria Vollgruber.
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IL MINISTRO A L'AJA, TALIANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3636/59 R. L'Aja, 2 luglio 1935, ore 19,52 (per. ore 22,30).

Aldrovandi comunica quanto segue:

« 7. Mio telegramma in data del 27 giugno (2).

Montagna ha proceduto stamane con La Pradelle quadro comparativo circa esposizione dei fatti quale risulta da documenti fin qui presentati da parte italiana e da parte etiopica, e secondo era indicato nel mio telegramma predetto. Nel corso della comparazione e nel far valere elementi comprovanti nostra tesi, Montagna ha riscontrato in La Pradelle notevole disposizione di consenso su singoli punti, e ha avuto impressione che La Pradelle possa eventualmente essere «rimorchiato» in senso a no~ favorevole, pur con qualche temperamento conciliativo.

Colloqui Montagna-La Pradelle per il fine anzidetto proseguiranno e saranno forse conclusi stasera o domani mattina dopo di che riprenderanno sedute Commissione.

Pur non escludendo evidente interesse eventuale accordo di nostra soddisfazione al quale potessero giungere i quattro, senza toccare questione quinto arbitro, ho raccomandato Montagna massima prudenza in questo pur utile sondaggio preparatorio.

Potter ritorna domani. Jéze è arrivato ieri, ma non l'abbiamo ancora veduto. Fin qui nelle conversazioni Scheveningen non è stata mai menzionata questione frontiera» (3).

n. -120. Cancelllere è stato assai. sensiblle alla notizia di cui all'ultima parte predetto telegramma, dimostrando suo profondo compiacimento». Per la risposta di Colonna vedi D. 479.

471.

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3639/433 R. Londra, 2 luglio 1935, ore 23,46 (per. ore 3,35 del 3).

Con mio telegramma in chiaro n. 432 (l) trasmetto ampio riassunto del dibattito che ha avuto luogo ieri alla Camera dei Comuni sulla questione etiopica e sul viaggio di Eden a Roma.

Il dibattito è stato breve e sommario ma non privo di. un evidente significato politico.

La Camera dei Comuni ha accolto dichiarazioni di Eden con segni di malcontento così generale quali sono rari alla Camera dei Comuni. Particolare ostilità Camera dei Comuni ha mostrato all'idea che il Governo abbia offerto di cedere un territorio coloniale britannico all'Abissinia. Tale offerta, non astante che il Governo l'avesse mantenuta segreta, era diventata, come V. E. sa, ormai di dominio pubblico e era apertamente discussa nella stampa. Essa è stata criticata nella Camera dei Comuni e fuori: sia perché è stata fatta senza consultazione previa in Parlamento e sia perché, come lo stesso Eden ha di:. chiarato, essa è stata fatta non per difendere degli interessi specifici britannici in Africa, ma per gli interessi generici della Società delle Nazioni.

Messa la questione sul terreno costituzionale, il Governo si è trovato in difficoltà per replicare, ed è dubbio che la Camera dei Comuni si accontenti spiegazioni date ieri. Vi è infatti già chi si domanda che cosa sarebbe avvenuto se V. E. avesse accettata offerta britannica. Sarebbe stato allora Governo britannico impegnato senza consenso del Parlamento ad effettuare cessione di Zeila?

Si aggiunga a questo la ripugnanza che si è manifestata all'idea di fare passare delle popolazioni britanniche sotto la sovranità di un paese schiavista. È questo un motivo che Lord Beaverbrook sta facendo battere in pieno dai suoi giornali. Altri giornali come Daily Mail contestano vivamente affermazione di Eden che il popolo inglese sia particolarmente sensibile alle ripercussioni che disputa italo-abissina può avere sulla Società delle Nazioni.

(l) -Preziosi rispose con il seguente telegramma (T. 3658/140 R. del 3 luglio 1935, ore 20,10): «cancelllere e Starhemberg ringraziano per informazioni di cui al telegramma (2) -Vedi D. 444. (3) -Il presente documento reca il visto di MussoUnl.
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 1187/219 R. Roma, 2 luglio 1935, ore 24.

Prego V. E. telegrafare se codesto Governo intende rispondere a Memorandum del Governo germanico circa compatibilità accordo franco-sovietico del 2 maggio con Patto di Locarno (2) e quale sarà eventualmente tenore sua risposta (3).

(l) -T. 3621/432 R. del 2 luglio 1935, ore 4, non pubblicato. (2) -Cfr. Akten zur Deutschen Auswiirttgen Politik, 1918-1945, Serie C: 1933-1937, vol. IV, l, Gottingen, Vandenhoeck und Ruprecht, 1975, D. 107, Allegato. (3) -Il 4 luglio 1935 Grandi telegrafò (T. 3679/442 R.): «Governo britannico risponderà domani al Governo tedesco che esso condivide punto di vedute francesi circa patto francosovietico ».
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. PER CORRIERE 3711/0194 R. Berlino, 2 luglio 1935 (per. il 6).

Ho avuto ieri occasione di scambiare idee con François-Poncet. Egli mi disse innanzi tutto che a Parigi aveva notato un crescente malumore verso l'Inghilterra. Il suo modo di agire nei riguardi del patto navale anglo-tedesco aveva mostrato che i mediocri uomini di Stato britannici stanno cercando il modo di disinteressarsi quanto più è possibile dai problemi continentali europei, illudendosi forse di potere, in un conflitto che si ritiene a Londra inevitabile, rimanere neutrali. Si r,ipeteva dunque dall'altro lato della Manica la stessa politica funesta del periodo di ante-guerra che aveva fatto credere alla Germania ài poter contare sopra un'astensione dell'Inghilterra· in una guerra sul continente europeo.

Il mio collega di Francia aggiunse che i tedeschi, inebriati dal recente successo di Londra, cercano ora naturalmente di attirare verso di loro la Francia, secondo l'antico progetto di Hitler. «Ils nous font tout le temps des avances et il ne faut pas croire que M. Lavai, de son còté, ne leur tende pas la main».

Ho osservato che la Germania sta conducendo un gioco diplomatico serratissimo, con tutti i mezzi. Mentre von Ribbentrop agiva a Londra, il Gen. Goening sparava le sue cartucce a Budapest, Belgrado e Sofia. Perché era venuto in assoluto segreto a Berlino il Capo dello Stato Maggiore ungherese? Vi sarebbe giunto entro due giorni il Ministro degli Affari Esteri di Polonia. La volontà di spartirsi la Cecoslovacchia fra Germania, Ungheria e Polonia era grande. D'altra parte Goering aveva certamente consigliato a Budapest ed a Sofia di fare, per il riarmo, quanto aveva fatto la Germania e di non seguire consigli di moderazione. SimiU consigli potevano essere pericolosi ma riuscivano certamente graditi a nazioni guerriere come l'Ungheria e la Bulgaria. La Piccola Intesa aveva avuto torto di non comprendere il suo interesse di non opporsi al riarmo di quei due paesi e dell'Austria. La Germania aveva incominciato collo staccare la Polonia dalla Francia. Cercava ora di dividere la Piccola Intesa e l'Intesa Balcanica e nello stesso tempo faceva ogni sorta di cortesie alla Francia perché questa Potenza scorgesse in un'intesa con la Germania l'indennizzo per il predominio perduto sulla Piccola Intesa. Se tutto ciò fosse riuscito alla Germania essa avrebbe veramente potuto essere pacifica, dato che sarebbe bastato in avvenire l'enunciazione di una sua aspirazione perché tutti quanti nutrissero tali timori da essere disposti a cedere al volere teutonico.

François-Poncet mi rispose che egli preferiva vedere pure le cose quali sono e non si faceva quindi alcuna illusione. Poteva aggiungere che dalle notizie pervenute a Parigi il nuovo Presidente del Consiglio jugoslavo, Stojadinovic, sarebbe molto germanofilo e le simpatie per la Germania stavano facendo progressi continui in Jugoslavia dove l'idea dell'Anschluss dell'Austria al Reich non spaventava ed anzi la si trovava preferibile all'idea di un'Austria vassana dell'Italia. Il solo ostacolo, non previsto, incontrato dalla Germania nell'Europa sud-orientale era costituito dalla Romania, il cui atteggiamento fermo aveva causato non poca sorpresa anche in Francia, dove si aveva sempre avuto un'opinione assai modesta di quello Stato corrotto e dei suoi uomini. di Governo. Titulescu sembrava deciso di seguire la direttiva politica di Mosca ed era riuscito ad ottenere l'approvazione del suo Sovrano a tale politica. Gli sforzi della diplomazia tedesca erano, in definitiva, rivolti contro l'Italia, e checché si dicesse in contrario, la conquista dell'Austria rimaneva sempre l'obbiettivo di Hitler. François-Poncet si domanda quindi perché l'Italia non facesse ogni sforzo per trovare un terreno d'intesa con la Piccola Intesa, in modo da intralciare l'avanzata tedesca nei Balcani.

Mi sono permesso di osservare, a titolo strettamente personale, che se l'amicizia italo-francese si rinserrasse e facesse dei due Stati un blocco compatto, la loro forza di attrazione sopra la Piccola Intesa aumenterebbe. A me pareva che fosse compito della Francia, più che dell'Italia, di non lasciare la Jugoslavia (era essa la sola che realmente contava nella Piccola Intesa) entrare nel novero dei satelliti della Germania.

François-Poncet mi fece allora uno sfogo contro la politica della Francia che non può essere diversa da quella· che è, data la situazione interna del paese. Egli considera che si trovino di fronte in Francia due correnti: la prima, che rappresenta il sessanta per cento della popolazione, di tendenza verso sinistra, la seconda, che rappresenta il residuo quaranta per cento, di tendenza fascista. Il cozzo sarà, secondo il mio collega, inevitabile a breve scadenza, cosicché egLi mi ha preconizzato una rivoluzione non incruenta a Parigi poco dopo il mio arrivo colà.

Ho chiesto a François-Poncet se egli scorge l'uomo che potrebbe guidare la minoranza all'assalto per la conquista del. potere. Mi rispose negativamente, per il momento, pur ritenendo che l'uomo predestinato si avanzerà al momento opportuno. La grande differenza che esiste, secondo il mio collega, tra l'Italia e la Germania e la Francia è che nei primi due paesi i comunisti avevano mostrato, con l'occupazione delle fabbriche in Italia e con la potente loro organizzazione in Germania, quale pericolo essi rappresentassero, cosicché i movimenti fascista e nazionalsocialista avevano trionfato non soltanto per la loro ideologia nuova e sana quanto anche per H sentimento di;reazione anticomunista dei popoli italiano e tedesco. In Francia i comunisti non avevano sino a questo momento commesso eccessi; essi avevano sovente fatto alleanza con i socialisti, ed ottenuto quindi il loro appoggio. Mancava pertanto colà quel senso di riscossa che si era manifestato altrove e non era detto che un movimento che portasse al potere un nuovo partito autoritario, partito che egli per conto suo considerava indispensabile per la salute della Francia, potesse affermarsi e durare. Bastava pensare a quanto era accaduto in Spagna.

Con i Governi che si succedono, a scadenza di pochi mesi, in Francia la politica estera restava più o meno fondamentalmente la stessa, ma si verifica-. vano tali sfumature da farla talvolta appar~re diversa e da ingenerare deplorevoli confusioni. Non diversamente accadeva del resto in Inghilterra e se ne erano viste recentemente le conseguenze funeste.

Secondo François-Poncet la ragione dell'accordo anglo-tedesco per gli armamenti marittimi risiede non soltanto nel timore che si nutriva in Inghilterra che la Germania aspirasse ad avere una flotta ancora maggiore, ,quanto nella paura per la ricostituzione del pericolo panslavo. È questo un sentimento che si nutre anche in Italia ed egli non riesce a comprendere come non si veda da noi che il pericolo del pangermanismo è infinitamente maggiore ed immanente.

Ho risposto al mio collega che non bisognava supervalutare i pericoli che noi scorgevamo nel risorgere del panslavismo. Bastava d'altra parte guardare una carta di Europa per rendersi conto che mentre per la Francia l'unica grande minaccia poteva venire dai tedeschi, l'Italia si trovava a dover fronteggiare popoli germanici e slavi, entrambi finitimi. Mi pareva dunque logico che noi non potessimo essere entusiasti di una politica la quale faceva partecipare l'U.R.S.S. ai problemi sud-europei, mentre a nostro giudizio sarebbe stato più conveniente !asciarla là dove si mantenne dalla guerra in poi, più prossima all'Asia che all'Europa.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3710/0195 R. Berlino, 2 Zuglio 1935 (per. il 6).

L'Ambasciatore di Franc~a. che trascorse cinque settimane di congedo a Parigi, rientrò a Berlino il 23 giugno ed ebbe subito un colloquio col Cancelliere del Reich. Non potei vedere François-Poncet che ieri, perché il giorno in cui vide Hitler era già ammalato e dovette poi stare una settimana in Ietto, senza ricevere alcuno.

Il mio collega di Francia mi disse che non aveva avuto nulla di speciale da dire al Cancelliere del Reich. Poiché il Governo della Repubblica aveva, con procedura inusitata, creduto di consegnare la sua risposta alle obiezioru del Governo del Reich circa il patto franco-sovietico all'Ambasciatore di Germania a Parigi, egli, François-Poncet, aveva creduto di spiegare verbalmente a Hitler à. motivi per i quali il Quai d'Orsay riteneva che il patto di cui si tratta non fosse per nullf '• incompatibile col Trattato di Locarno. Il Cancelliere non aveva mostrato di interessarsi soverchiamente alla cosa, talchè egli aveva creduto che le spiegazioni fornite fossero state trovate soddisfacenti. Gli constava invece che il signor von Btilow aveva sollevato le maggior.i obiezioni, dichiarando che se le spiegazioni date circa l'art. 16 del Covenant erano accettabili, quelle relative all'art. 17 non avevano affatto convinto il Governo del Reich. L'Ambasciatore di Francia aveva tratto l'impressione che si trattasse di una manovra dell'Auswartiges Amt per trovare una ragione qualsiasi la quale gli consenta di non partecipare al patto orientale.

Da quanto riferii a V. E. col mio telegramma per corriere n. 0188 del 23 giugno (1), Ella avrà visto che io pure ebbi la medesima impressione dopo il colloquio avuto quello stesso giorno con von Biilow.

François-Poncet mi disse che Hitler gli parlò nel senso che era persuaso che si avrebbe avuto un'estate tranquilla. Menzionò, come suole fare sovente, le

ansie avute lo scorso anno insistendo specialmente sopra gli avvenimenti del 25 luglio per dichiarare ancora una volta la sua assoluta innocenza in quanto era occorso a Vienna in quel giorno funesto. Disse che contava trascorrere due buoni mesi in Baviera, riposando delle fatiche che gli imponeva la sua carica. Sperava che nulla sarebbe sopraggiunto a disturbare le sue vacanze.

L'Ambasciatore di Francia gli aveva risposto che non era dal suo lato persuaso che i mesi prossimi sarebbero stati molto tranquilli. Occorreva tener presente che la vita del Ministero Lavai sarebbe stata breve, avrebbe durato al massimo sino a novembre. Ora Lavai era uomo determinato ad eseguire, almeno in parte, il programma politico che si era prefisso ed avrebbe quindi lavorato anche durante i calori estivi. La serie degli accordi prevista dal protocollo di Londra avrebbe senza alcun dubbio richiesto il lavoro delle Cancellerie dei vari Stati interessati, se si voleva giungere realmente a discorrere del disarmo terrestre.

A detta di François-Poncet, sia perché egli stesso si era recato dal Cancelliere del Reich con una forte febbre, sia perché Hitler, soddisfattissimo del successo riportato a Londra con il patto navale anglo-germanico, e fiducioso di ulteriori accordi a due con l'Inghilterra, non ha alcun interesse né desiderio di discorrere dei vari patti plurimi di cui si parlò a Londra ed a Stresa, la conversazione da lui avuta con Hitler non ebbe particolare portata politica.

(l) Vedi D. 428.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. P. Londra, 2 luglio 1935.

Sono tornato ieri, ed ho già ripreso il mio lavoro. Ti sono molto grato per l'interessamento che Tu sei stato così buono di prendere alla mia salute. È stata una cosa noiosa e seccante sopratutto perché mi ha obbligato jd assentarmi per una ventina di giorni dal mio posto di combattimento. Adesso ogni disturbo è scomparso, sono rimesso a nuovo e mi sento assolutamente in gamba.

Domani vedrò Sir Samuel Hoare e Vansittart (1). Mi terrò con loro sulle generali. Dobbiamo lasciare per ora questi « politicanti » britannici cuocersi nel loro brodo; essi finiranno col lessarsi. La bastonata che Tu hai dato nell'incontro di Roma a questo ambizioncello del Signor Eden ha già indotto alle più amare e serie riflessioni. La giornata di ieri alla Camera dei Comuni è stata inaspettatamente istruttiva: il Governo ha perduto le staffe, ed il debutto di Sir Samuel Hoare è stato singolarmente infelice.

I giornali di stamane non hanno potuto a meno di sottolineare l'insuccesso del Governo, e la reazione dei Comuni. Ti allego i giornali della sera usciti ora ora. Sono molto interessanti, e sopratutto i salaci ironici commenti personali su Hoare e su Eden.

36 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. I

Da ventiquattro ore, ossia dal momento del mio ritorno, sto fiutando attorno; ho già visto molte persone, e debbo dire che ho trovato una situazione completamente diversa da queila che ho lasciato una ventina di giorni fa. Predomina la più assoluta confusione, ma a nostro vantaggio questa volta. Ti manderò fra qualche giorno delle impressioni più dettagliate e ponderate, ma non posso fare a meno di buttar" giù questa sera stessa qualche cartella, per dirTi che sento cose nuove nell'arht. Non abbiamo ancora «voltato» l'angolo anzi, è probabile che la stretta grossa dovremo ancora passarla, però è certo che il discorso di Cagliari (1), il Tuo dignitoso e fermo «no» a Eden, e la violenta intelligente reazione del popolo italiano contro l'Inghilterra hanno fatto vacillare di molto quella che era la burbanzosa credenza dei zelatori della tattica intimitadoria ... i quali dopo il fallimento cominciano a spostare adesso l'azione invocando la solidarietà di Parigi, e fingendo di non credere che la Francia verrà meno ai suoi cosidetti obblighi di membro della Lega delle Nazioni, nell'eventualità che questi obblighi dovessero portarla ad agire contro l'Italia. Insomma il gioco, sia pure giudicandolo soltanto nelle mie impressioni delle prime ventiquattro ore, si è allargato notevolmente a nostro favore, e diventerà nelle prossime settimane interessante. Tu hai giocato, Duce, le Tue carte -come sempre -da giocatore fantastico. E se Parigi continuerà a mantenersi leale e risoluto come sembra si sia mantenuto sin'ora, oso dire che fra non molto tempo Tu avrai dato scacco matto a questi mediocri politicanti d'Oltre Manica.

Intanto va preso ancora una volta atto delle dichiarazioni fatte ieri. dal Governo alla Camera dei Comuni. Obbligato dai soliti falsi calcoli elettorali di mantenere la questione etiopica sulle sabbie mobili ginevrine, si è lasciato andare alla dichiarazione, preziosa per noi, che non vi è contrasto fra gli interessi coloniali britannici e la nostra azione in Abissinia. Ciò ha reso naturalmente agli occhi di molti inglesi assolutamente incomprensibili l'attitudine del Governo. I nostri potenziali nemici non potevano essere infatti che due: l) gli imperialisti inglesi che avrebbero potuto considerare con preoccupazione un rafforzamento della potenza italiana nell'Africa Orientale; 2) la banda democratica e socialista sempre pronta a gettarsi alla denuncia di ogni impresa imperiale e alla difesa di ogni teoria pacifista. Di questi due il più pericoloso di gran lunga era il primo perché è quello che fa più appello al realismo tradizionale britannico. Inoltre la banda socialista democratica l'avremmo avuta e l'avremo comunque contro ad ogni modo. La p~sizione presa da Eden a nome del Governo britannico ha spinto gli imperialisti inglesi a guardare la nostra politica africana dal punto di vista che è meno dannoso ai loro diretti interessi. Essa ha inoltre urtato contro quella che è una delle idee essenziali dell'imperialismo conservatore e isolazionista e cioè che l'Inghilterra non deve assumere impegni di carattere internazionale suscettibili di coinvolgerla in una disputa nella quale non sono in gioco diretti interessi britannici. Quando ha cominciato a diffondersi la voce che l'Inghilterra, pur di evitare il conflitto itala-abissino, era pronta a cedere all'Abissinia la Baia di Zeila e una striscia di territorio che congiungesse l'Abissinia al mare, l'elemento conservatore e imperialista è addirittura insorto, e in questi ultimi due o tre giorni esso ha preso di petto direttamente la politica del Governo.

Nella seduta di ieri alla Camera dei Comuni Eden ha trovato contro di sé la sorda ostilità di una maggioranza la quale non riesce a vedere per quale ragione l'Inghilterra dovrebbe fare dei sacrifici per evitare un conflitto che danneggerà certo la Società delle Nazioni ma che nessuno vede in che modo possa danneggiare gli interessi coloniali brdtannici.

Riduco in uno schema sommario l'atteggiamento dei conservatori imperialisti inglesi: l) l'Inghilterra non ha alcun interesse ad impedire che l'Italia si impadronisca dell'Etiopia e distrugga l'indipendenza e l'integrità dell'Abissinia; 2) l'Inghilterra ha alcuni suoi interessi locali da difendere, dei quali i più importanti sono connessi al regime delle acque del Lago Tsana e questi interessi devono essere preservati, il che è evidentemente più facile se si segue una politica più realistica e si cerca di venire ad un accordo coll'Italia; 3) l'Inghilterra non può rischiare un conflitto coll'Italia solo per difendere il principio della Società delle Nazioni; 4) non è possibile pensare a cessioni territoriali britanniche per compensare l'Abissinia di cessioni che essa dovrebbe fare all'Italia. Poi vi è la massa grigia della maggioranza parlamentare la quale è perduta in un confusionismo di idee e di direttive. Ma intanto nella seduta di ieri il sentimento prevalente era che Eden è andato troppo oltre e che le posizioni da lui prese devono essere rettificate. Eden stesso è uscito personalmente molto male dalla discussione e la sua popolarità ha subito un grave colpo. Non Ti ripeto le voci che corrono. In questo momento tutti se la prendono qui con Eden che accusano di avere esagerato a Ginevra e a Londra l'atteggiamento del Governo britannico e di averlo quindi esposto a un insuccesso. Eden è giovane e ambizioso -si dice -ed egli ha voluto fare della questione abissina una base personale che rendesse popolare il suo nome e la sua politica negli ambienti pacifisti inglesi, e così ha rischiato di perdere il contatto cogli elementi conservatori. Ora egli tenterà la carta di Parigi. E sarà forse l'ultima, perché ad una soluzione societaria della questione abissina si comincia a non credere più. Vi

è chi dice anzi che il Governo inglese non vi abbia mai creduto e che di fronte alla certezza del conflitto itala-abissino esso abbia voluto far vedere che prima di rassegnarsi a questo conflitto esso ha tentato tutte le vie possibili a Ginevra e fuori di Ginevra, e che se il conflitto non è stato evitato ciò non può essere imputato in nessun modo ad una sua deficienza di iniziativa e di azione. Questo è il vecchio metodo inglese e ci riconduce alla tattica di Simon che Tu ben conosc:i.

Come il Governo riuscirà a cavarsela da questo pasticcio nel quale si è cacciato?

Il Foreign Office (a parte Vansittart il quale, prigioniero della sua lotta personale contro Simon a favore di Eden, non ci è stato affatto favorevole nella questione abissina e si è affiancato in sostanza alla politica anti-italiana elettoralistica, societaria e intimidatrice del Gabinetto) ha certamente una visione più realistica, anche se talvolta forse troppo piattamente burocratica della situazione, e spingerà il Gabinetto a delle soluzioni più consone agli interessi permanenti britannici e implicitamente più favorevoli a noi. Questo del resto lo ha fatto semp1·e, sebbene sinora senza successo. Resta a vedere se il Gabinetto, accecato dalla paura di dare ai laburisti un punto di vantaggio, non farà delle altre sciocchezze...

Tu darai, Duce, scacco matto alla diplomazia britannica. Di questo ne sono stato sempre certo. Ma Tu darai anche, sul terreno della questione abissina, scacco matto anche al liberalismo e alla democrazia inglese, come classe politica dirigente. E questa sarà la doppia vittoria Tua ossia la doppia vittoria della Rivoluzione Fascista.

(l) Vedi DD. 485 e 497.

(l) Vedi D. 377, nota l.

476

IL MINISTRO AD ATENE, DE ROSSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3654/177 P.R. Atene, 3 luglio 1935, ore 12,15 (per. ore 16,30).

Sono informato che essendosi l'Etiopia nvolta ad alcune ditte elleniche per ottenere fornitura tre milioni cartucce e vari equipaggiamenti militari, generale Condylis, Ministro della Guerra, ha posto veto tali forniture.

477

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3659/125 R. Bruxelles, 3 Zuglio 1935, ore 16,25 (per. ore 18,45).

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 111 (1).

Affidamenti datimi da questo Governo e che io sono anche riuscito ultimamente a fare confermare per iscritto in una nota verbale segreta di cui trasmetto testo con prossimo corriere, contemplano soltanto sospensione licenza esportazione per Eritrea e Stati arabi come da telegramma per corriere n. 032 del 13 giugno (2).

Tale sospensione costituisce già una grave deroga agli interessi dell'industria pesante belga fatta in nostro favore da questo Governo, il quale comincia ad essere assai violentemente attaccato su questo punto dalla stampa socialista e democratica cristiana, cioè dalla maggioranza della opinione pubblica. Si annunzia inoltre in proposito una interpellanza alla Camera.

Esso Governo pertanto, pur conservando la migliore volontà di farci cosa gradita, non ha il potere di ostacolare anche spedizioni dirette regolari in Estremo Oriente sulla base del semplice per quanto fondato sospetto della falsa destinazione.

Una nostra pressione potrebbe comunque venire tentata quando fossi in grado

produrre la prova irrefutabile di tale falso in modo fornirgli il mezzo di giusti

ficare una eventuale estensione del divieto ai suddetti paesi. Occorrerebbe quindi

poter ottenere tale prova dalle autorità territoriali dei porti d'arrivo mediante

controllo sullo scarico dei piroscafi.

478.

IL MINISTRO A L'AJA, TALIANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3660/60 R. L'Aja, 3 luglio 1935, ore 21,11 (per. ore 23,55).

Aldrovandi comunica quanto segue:

«8. Nel proseguire con La Pradelle lavori di raffronto accennati nel mio telegramma del 27 giugno (l) Montagna si è confermato nelle impressioni riferite nel mio telegramma di ieri n. 7 (2).

La Pradelle, in corrispondenza a quanto aveva accennato fino da Milano, e cioè non aver avuto istruzioni né tollerarle dal Governo etiopico, ha ripetuto essere animato dall'unico intento accertare verità e giudicare in conformità essa in piena indipendenza.

Ha poi egli medesimo alluso «alla possibilità di una decisione unanime dei quattro arbitri favorevole all'Italia. Si è dichiarato personalmente lieto di collaborare eventualmente a una tale decisione, solo che fosse possibile motivarla con considerazioni precise e atte imporre alla opinione pubblica ».

Invio per posta aerea particolareggiato resoconto Montagna suoi colloqui con La Pradelle durati complessivamente sei ore» (3).

(l) -Vedi D. 461. (2) -Vedi D. 461, nota. 2.
479

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3704/028 R. Budapest, 3 luglio 1935 (per. il 6).

Ho informato confidenzialmene questo Presidente del Consiglio di quanto al telegramma riservatissimo di V. E. n. 94 circa la visita del Gen. Gamelin a Roma (4).

Dopo avermi pregato di far pervenire all'E. V. il suo vivo ringraziamento per la comunicazione, il Gen. Goemboes ha osservato che la difesa dell'Austria, particolare oggetto delle conversazioni militari itala-francesi, a suo parere «non era più necessaria ». I tedeschi -si è affrettato a spiegare -non riconoscono apertamente di aver mutato indirizzo circa il problema austriaco, ma in realtà Io hanno mutato e sanno pure che non potevano e non possono regolarsi diversamente. Il Capo di Stato Maggiore della Honvéd ritornato in questi giorni da Berlino -ove ha intrattenuto i dirigenti della Reichswehr (mio telespresso

n. 6606/888 del 24 giugno u.s.) (5) anche sulla questione austriaca e sulla politica estera ungherese nei precisi termini dettatigli da lui, Goemboes, confermando in ispecie ~he base della politica magiara è sempre l'accordo tripartito di Roma e che l'indipedenza dell'Austria deve essere fuori discussione -ha trovato in quegli ambienti militari comprensione e rispondenza.

Ai miei sondaggi circa gli altri argomenti trattati colà dal Gen. Somkuthy, il Presidente si schermisce col pretesto di non aver ancora conferito con quest'ultimo dopo il suo ritorno, che so aver avuto luogo il 28 giugno.

Riprende invece il tema dell'Austria, osservando che, a vero dire, nessuno in Germania osa dare suggerimenti e sottoporre decise osservazioni al « profeta Hitler». Egli Goemboes, ritiene perciò assai utile conferire di nuovo con lui, per fargli intendere pienamente ragione. Accettando l'invito di Goering (mio telecorriere n. 021 del 29 maggio u.s.) (1), ha deciso pertanto di recarsi a cacciare gli alci nella sua tenuta dal 1° al 10 settembre, ed avrà così l'occasione d'incontrarsi con il Fiihrer e parlare apertamente con lui.

Ove il Duce -mi ripete -ritenga utile vedere lui, Goemboes, prima o dopo il suo viaggio in Germania, a Roma od altrove, egli è « a sua completa disposizione». Anche a distanza «sente di cooperare all'unisono con lui»: ma se il Duce lo stimerà opportuno egli sarà molto lieto -ha insistito -di poter fargli una nuova visita, « senza pompa ufficiale ».

Nell'evidente intento di attenuare l'impressione che suppone susciterà la conferma dei suoi propositi di viaggio in Germania, il Gen. Goemboes mi confida quindi che prevede serie difficoltà con i tedeschi a proposito della questione minoritaria. Egli in questa materia -mi dichiara -è assolutamnete intransigente. I tedeschi vorrebbero speculare sulla situazione delle minoranze ungheresi nei riguardi delle minoranze tedesche degli Stati successori per estorcere concessioni pericolose in favore delle minoranze tedesche in Ungheria. Mostrano anche di impensierirsi, ed in ogni caso si lamentano, per le larghe concessioni culturali che il suo Governo fa a noi: chiedono che alle loro minoranze siano qui accordate scuole medie e scuole magistrali. Non le accorderà. Il Capo della sezione estera della Gioventù hitleriana ha sospeso la visita che doveva effettuare prossimamente a Budapest alla testa di un gruppo di ragazzi germanici, in segno di protesta per la condanna dell'agitatore Basch (mio telespresso

n. 6335/848 del 16 giugno u.s.) (2). Egli, Goemboes, ha messo agli atti la pratica, con la postilla « che se ne infischia».

Nell'attesa di parlare con Kanya, che trovasi in congedo, mi sono limitato ad ascoltare ( 3) .

480.

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO S. Roma, 3 luglio 1935.

Ho avuto conoscenza dell'accordo Badoglio-Gamelin (4).

Mi permetto di fare le seguenti osservazioni:

Per quanto concerne il punto 2 a) occorre osservare che l'accordo, se conosciuto in Germania, potrebbe essere impugnato come in contraddizione con

(3 Vedi D. 557.

gli accordi di Locarno. Data la nostra posizione di garanti degli accordi di Locarno, dovremmo stricto jure concludere degli accordi corrispondenti con la Germania. È quindi indispensabile che, a suo riguardo, sia mantenuto il più stretto segreto. Si intende particolarmente con questo che della cosa non dovrebbe essere informata né la Piccola Intesa né l'Ungheria, ambedue suscettibili di indiscrezioni a Berlino. Un'intesa con Parigi su questo punto potrebbe essere utile.

Per quanto riguarda il punto 2 b) sorge il dubbio se esso copra anche l'eventualità di un attacco tedesco contro di noi, attraverso l'Austria, come reazione tedesca ad una nostra azione diretta a sostenere l'indipendenza austriaca; altrimenti l'accordo avrebbe per noi scarso valore. Si intende riferirsi ad un'eventualità del seguente genere. Si ripete il caso Dollfuss. Noi entriamo in Austria. Entra anche la Germania. Italiani e tedeschi vengono in conflitto. Il caso è coperto?

Par quanto concerne il punto 2 d) parrebbe opportuno che sia decisa la questione del comando. Si potrebbe decidere che sul Reno il comando spetta alla Francia e che nel settore austriaco il comando spetti all'Italia.

Per quanto riguarda il punto 3 va tenuto conto dei Patti in preparazione per l'Europa danubiana e dei nostri accordi di carattere militare con l'Ungheria.

Occorrerebbe che l'intervento francese non ci tolga la libertà d'azione né ci privi dell'iniziativa che può tendere a riunire a noi con un unico patto militare Jugoslavia, Austria e Ungheria.

Su questo punto sarebbe forse opportuno qualche chiarimento con lo Stato Maggiore francese (1).

ALLEGATO

RIASSUNTO DELL'ACCORDO GAMELIN-BADOGLIO (2)

l) In caso di conflitto: sguamimento frontiere italo-francesi.

2a) Germania attacca Francia o Belgio. Italia invia su fronte francese tre corpi di armata (su due divisioni) con gli elementi corrispondenti di armata e dei servizi (aviazione ecc.). In primo tempo invio un corpo di armata. Caso avvenimenti lo richiedessero altre uniltà potrebbero essere inviate in Austria.

b) Germania attacca Italia attraverso Austria. Francia inV'i.a un corpo di armata con elementi complementari.

c) Nei due casi la Francia invia un corpo d'armata sul fronte italiano in Austria.

d) Le truppe italiane in Francia alla destra del fronte ma in settore di combattimento; le truppe francesi in Austria alla destra del fronte italiano, fornendo collegamento eventuale con le forze jugoslave.

3) Il Comando francese «s'efforcera d'aider à réaliser la coopération, en Europe Centrale, contre l'Allemagne, des forces jougoslaves et, dans la mesure nécessaire, tchécoslovaques, avec les forces italiennes, en vue de leur action commune et de la couverture du flanc droit des forces italo-françaises ».

I due comandi si accingono agli studi preliminari.

Per l'aria accordi Denain.

Per la marina si procederà a un accordo.

(l) -Vedi D. 444. (2) -Vedi D. 470. (3) -Il presente documento reca 11 visto di Mussollnl. (4) -Vedi D. 469. (5) -Non pubblicato. (l) -Vedi D. 305. (2) -Non pubblicato. (4) -Mussolinl dette conoscenza .a Suvlch d~ quest'accordo con lettera autografa del 29 giugno 1935 (non più esistente In ASDMAE) corredata da «un allegato dattilografato» (secondo l'indi~zlone del Registro dell'U.C.), che era probabilmente Il testo dell'accordo stesso. Suvich se ne fece un «riassunto autografo», che si pubbl!ca in allegato. (l) -Sull'originale dell'appunto, v!stato da Mussolinl, Suvlch ha annotato: «Il Capo approva. Sarà provveduto ~. (2) -In cima al foglio è sc;rltto: «Strettamente riservato,.,
481

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3684/187 R. Berlino, 4 luglio 1935, ore 20,35 (per. ore 24).

Barone von Neurath mi ha detto che le conversazioni con Beck hanno avu:._ to carattere generale, essendosi esaminata la situazione politica nel suo complesso e non già alcuna questione specifica.

Gli ho chiesto se si fosse parlato del patto orientale ricevendo risposta affermativa.

Ministro degli Affari Esteri aggiunse che è stato riconfermato scarso interesse che Germania e Polonia hanno di partecipare a tale patto, senza che per altro questi due paesi rifiutino di intavolare eventuali conversazioni. In questo ultimo caso dovrebbero per altro avanzare alcune pregiudiziali. Una di esse era quella che doveva stabilire esattamente a quale zona geografica patto si sarebbe riferito. Se questa zona fosse stata quella nord orientale di Europa la Francia non aveva alcuna veste per parteciparvi. Se invece il patto doveva estendersi a quasi tutta Europa, allora dovevano parteciparvi pure, oltre ad altri Stati, Italia e Inghilterra.

Ciò conferma mia impressione che Germania non intenda affatto partecipare al patto orientale. Essa può inoltre contare sopra atteggiamento fiancheggiante della Polonia.

Mi sono limitato a ricordare al barone von Neurath che il pensiero del Governo italiano era sempre stato quello che gli Stati chiamati a partecipare al patto erano arbitri dell'atteggiamento da assumere al riguardo.

482

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI DANIMARCA A ROMA, KRUSE

APPUNTO. Roma, 4 luglio 1935.

Il Signor Kruse ha incarico dal proprio governo di riferire quanto risulta dall'unito Memorandum (1).

Si tratta di questo: l'antico segretario della commissione per il plebiscito dello Slesvig del Nord, l'inglese Brudenell Bruce, ha fatto una pubblicazione attaccando l'operato della commissione per giungere alla conclusione che lo Slesvig del nord doveva essere costituito in stato autonomo. Naturalmente queste dichiarazioni sono state molto sfruttate dalla stampa tedesca. I due membri della commissione ancora viventi, e precisamente lo svedese Oscar von Sydow e il francese Ambasciatore Claudel hanno protestato rimettendo le cose a posto. Il governo danese non ha voluto dare troppa pubblicità alla

cosa ma ha deciso di informare gli stati firmatari dell'accordo di cessione dello Slesvig, tra cui l'Italia. Ho dichiarato al Ministro di Danimarca che il governo italiano prende nota di queste dichiarazioni. Il Ministro mi ha poi chiesto alcune informazioni sugli altri problemi trattati negli ultimi tempi.

Gli ho dato qualche indicazione sommaria.

A proposito del conflitto itala-abissino mi ha confermato che la Dani

' che fa parte del Consiglio, è tenuta fare politica societaria.marca, ora a una

Ho chiarito il punto di vista italiano (fallimento della politica di amicizia, attacchi abissini, minaccie per l'avvenire, necessità di difesa italiana) facendogli rilevare l'opportunità che la Lega non ostacolasse la nostra azione che tende ad ottenere, oltre vantaggi territoriali, il protettorato sull'Abissinia.

Il Ministro si dimostra perplesso sulla possibilità di accordare tutto ciò colla politica della S.d.N. Vorrebbe sapere se abbiamo già un piano preciso.

Gli rispondo di no: conviene non anticipare i tempi. Ad ogni modo lo avverto che noi non intendiamo discutere alla Società delle Nazioni a parità di condizioni coll'Abissinia.

Il Ministro si rende conto di tale nostro punto di vista. È di opinione che ora la Gran Bretagna dovrà prendere posizione dopo il rifiuto della sua proposta.

Gli dico che anche in questo riguardo non c'è niente di definitivo. La Gran Bretagna ha fatto una proposta, che era assurda e precipitata, e noi l'abbiamo respinta. Questo non esclude che si possano avere degli altri contatti tra i due Paesi (1).

(l) Non si pubblica.

483

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, A ... (2)

APPUNTO (3). Roma, ... luglio 1935 (4).

[Se] l'arbitrato per Ual-Ual dà ragione a noi. Sfruttamento della sentenza favorevole che giustifica le denuncie fatte dall'Italia. Presentazione a Ginevra d'un esposto motivato sull'indegnità dell'Abissinia. Alla prima occasione dichiarazione da parte nostra che non intendiamo discutere a Ginevra su piede di parità con l'Abissinia.

Eventuale inizio da parte della S.d.N. di una procedura contro l'Abissinia, sulla base della nostra denuncia, procedura di cui noi dovremo prendere nota.

Agli appelli che l'Abissinia continuerà a fare a Ginevra in base agli articoli 10, 11, 15 del Covenant, dovrà essere risposto in un primo tempo che è in corso la procedura di arbitrato, in un secondo tempo che è in corso la procedura di indegnità.

Contemporaneamente:

Trattative con gli inglesi e i francesi sulle seguenti basi: a) l'Italia ha diritto di avere assicurata la sicurezza e lo sviluppo dei propri possessi nell'A. 0.; b) l'Abissinia ha dimostrato di non poter reggersi e progredire da sé e quindi ha bisogno di una tutela.

Per quanto riguarda la lettera a) l'Italia ha bisogno di un'ampia rettifica di frontiera che le dia fra l'altro la comunicazione tra le sue due colonie; -ha bisogno inoltre che l'Abissinia sia disarmata e che il disarmo sia mantenuto.

Per quanto riguarda la lettera b) la zona periferica (in quanto ne rimanga dopo la rettifica delle frontiere) deve essere sottratta al diretto controllo dell'Abissinia, che l'ha sfruttata e spopolata, e affidata all'amministrazione di una delle Potenze confinanti;

-l'Abissinia propriamente detta deve essere sottoposta al controllo di uno degli Stati confinanti. L'Italia sarà il Paese incaricato di disarmare l'Abissinia e di controllare il mantenimento del disarmo; -sarà inoltre incaricata del controllo generale sulla Abissinia stessa (compresa anche la rappresentanza all'Estero alla Società delle Nazioni).

All'Italia (ed eventualmente per qualche parte alla Gran Bretagna) sarà affidata l'amministrazione della zona periferica (residuante dopo le rettifiche di frontiera di cui più sopra).

Fra l'Italia e la Gran Bretagna si prenderanno accordi per la tutela degli interessi inglesi sulla base degli accordi esistenti. Gran Bretagna e Francia faranno pressioni sul Negus perché accetti la sistemazione di cui sopra.

Se no l'Italia avrà mano libera, sempre per arrivare alla soluzione di cui sopra (sarà tenuto conto nel riconoscere i diritti agli inglesi dei maggiori sacrifici fatti dall'Italia).

Se per ipotesi inconcessa il Negus accettasse una simile sistemazione troveremo sempre modo di provocare un incidente per giustificare una nostra azione militare che ci porti per lo meno nel Tigrè.

Se il Negus, com'è probabile, non accetterà, l'azione militare verrà da sé. n Ministero degli Esteri, d'accordo con quellb delle Colonie, dovrà preparare al più presto: 1) l'esposto sui motivi di indegnità dell'Abissinia; 2) accordo con gli inglesi per assicurare i loro diritti: a) nel caso di soluzione pacifica; b) nel caso di soluzione con le armi.

ALLEGATO (l)

PREPARAZIONE DIPLOMATICA NEI RIGUARDI DELLA GRAN BRETAGNA (2)

La Gran Bretagna non è certamente ben disposta a favorire la nostra espansione, e tanto meno la nostra occupazione, in Etiopia.

La costituzione di un Impero italiano tra la linea longitudinale dell'Africa, CairoCapetown, e la via delle Indie, non può essere scevra di preoccupazioni per la politica inglese.

D'altra parte l'Inghilterra, che sente rallentarsi sempre più i vincoli coi suoi domini e possedimenti nelle altre parti del mondo, si attacca con sempre maggiore energia all'Africa.

C'è poi tutto i,l Bacino del Nilo che occupa alcune delle regioni più importanti dell'Etiopia dove gli interessi inglesi sono diretti ed evidenti. Per queste ragioni non è da attendersà un disinteressamento dell'Inghilterra per l'Abissinia, come invece è avvenuto da parte della Francia. D'altra parte la questione dell'espansione italiana in Abissinia è impostata da tempo e la Gran Bretagna deve averne tenuto conto nei suoi calcoli. Gli argomenti che abbiamo ragione di far valere e che non possono lasciare indifferente la Gran Bretagna, sono riassuntivamente i seguenti: -situazione di inferiorità fatta all'Italia nella spartizione delle colonie dopo la guerra; -necessità per l'Italia di avere uno sbocco per la sua espansione demografica ed economica; -esempio dell'Inghilterra che ha conquistato quanto serviva alla sua espansione imperiale; -precedenti relativi a un predominio italiano in Etiopia (Patto di Ucc,i,alli); -principio già ammesso di un'eventuale spartizione dell'Etiopia (accordo tripartito); -esistenza della schiavitù in Etiopia, disorganizzazione del Paese, mancanza di controllo sui capi, mancata delimitazione dei confini, ecc.; -esistenza nell'Impero abissino di altre razze sottomesse di recente e tuttora tenute in freno colla forza delle armi.

Ragioni queste che potrebbero servire a superare le opposizioni dell'Inghilterra ad un'azione italiana in Abissinia. Ci sono però due elementi che rendono difficile e delicata la situazione:

l) il fatto dell'appartenenza dell'Etiopia alla S.d.N.; 2) l'eventuale pretesa della Gran Bretagna a una partecipazione nel dominio dell'Etiopia.

Per quanto riguarda il punto l) va tenuto conto del fatto che l'Inghilterra potrà dare dei fastidi alla Società delle Nazioni anche non intervenendo direttamente ma facendo agire altre Potenze che non mancheranno di prendere a Ginevra un atteggiamento favorevole all'Etiopia.

Ora qui si presentano due vie:

-o regolare l'azione in modo da poterei mantenere sempre -almeno relativamente -entro le regole di Ginevra;

-o trascurare del tutto Ginevra, decisi ad abbandonarla quando si verificherà l'immancabile reazione.

~a tenuto presente che anche nel caso di uscita dalla S.d.N., gli altri Paesi possono applicare i provvedimenti previsti dal Covenant.

Ci sarebbe anche una terza eventualità, ma non pare possa avere nel momento attuale prospettive di riuscita: quella di ottenere l'espulsione dell'Etiopia dalla S.d.N. valendoc•i del fatto che esiste la schiavitù, della mancata organizzazione statale, ecc.

Per seguire la via d'intesa con Ginevra bisognerà evitare una dichiarazione di guerra (va tenuto presente anche il Patto Kellogg) ed apparire aggrediti. Fin qui la cosa può non presentare soverchie difficoltà. La fase più difficile sarà quella di evitare l'intervento di Ginevra con le procedure di conciliazione, con le commissioni di inchiesta e coi rapporti, intervento che ci togLierebbe qualunque libertà di azione.

Il Giappone si è trovato 'in tale situazione, per cui in un determinato momento ha dovuto abbandonare la Lega. Ciò che potrà facmtare moltissimo il nostro compito a Ginevra sarebbe un accordo chiaro e preciso con la Francia e con la Gran Bretagna. Ad ogni modo per il momento pare che si debba seguire la linea di: -trovare un accordo con la Gran Bretagna oltre che con la Francia per avere, per quanto possibile, mano libera; -mettere in rilievo tutti gli elementi che possano far apparire le insufficienze ed i torti abissini; -evitare che la nostra azione possa avere il carattere di aggressione o di sopraffazione; -continuare a Ginevra a mantenere la questione sul tema delle trattative dirette evitando però per quanto possibile di venire all'arbitrato.

Veniamo ora al secondo punto: quello relativo agli d.nteressi diretti della Gran Bretagna in Etiopi,a.

Non c'è dubbio che la questione in tale riguardo è per noi compromessa: abbiamo una serie di tmttati con la Gran Bretagna -il più importllinte il tripartito -che fissano le rispettive zone di influenza e che garantiscono dei diritti, anche territoriali alla Gran Bretagna in caso di una disintegrazione dell'Abissinia. Si presenta ora il problema: in caso di una conquista dell'Abissinia con una nostra azione e con nostri sacrifici le disposizioni dei trattati a favore della Gran Bretagna rimangono valide? La risposta dovrebbe essere affermativa. Gli inglesi potrebbero opporsi ·a che noi si entri nel territorio riconosciuto come di loro interesse. (Per quanto riguarda tale territorio, va rilevato che oltre la parte fuori contestazione, a sud del 6° parallelo e a ovest del del 35° meridiano è in contestazione la regione del Nilo e del Lago Tsana. Tale opposizione dell'Inghilterra potrebbe limitarsi a una protesta verbale salvo poi a discutere la cosa di fronte al fatto compiuto, o potrebbe anche essere tradotta [n atto con l'occupazione di tutto o parte del territorio a lei riservato dai trattati (si parla già di un certo concentramento nel Sudan). Per ciò sarà conveniente trattare questo punto con la Gran Bretagna. Le trattative potrebbero prendere un duplice aspetto:

-o trattare sulla base di una occupazione esclusiva da parte nostra di tutto il territorio abissino sia pure in forma di protettorato, garantendo all'Inghilterra i suoi diritti economici;

-o concordare una azione comune con la Gran Bretagna lasciando alla stessa una parte del territorio abissino nei limiti più ristretti possibilL

Sulla convenienza dell'uno e dell'altro sistema bisognerà decidere in corso di trattative sulla base degli elementi che da queste risulteranno. E' evidente per noi l'interesse alla prima soluzione. Per quanto riguarda la seconda, va tenuto conto che una partecipazione inglese potrà facilitare molto il nostro compito e il raggiung[mento dei nostri obiettivi sulla massima parte del territorio etiopico.

(1) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -n destinatario manca perché non risulta che il documento sia stato trasmesso a Mu8solini, clata la sua forma ancora schematica. (3) -L'appunto è intitolato «Progetto di azione». (4) -Questo documento, datato «luglio», fa parte de!Ja serie di «Appunti di S. E. Suvich... sul conflitto itala-etiopico » e nel relativo elenco (in Gab. 14) figura al n. 3, precedendoquello del 9 luglio. La sua data è pertanto collocabile nei primi giorni di luglio. Dal contesto (si veda la prima frase) si desume che è stato scritto quando si prevedeva che la Commissione di conciliazione e arbitrato, allora riunita a Scheveningen, dovesse dare ragioneall'Italia (DD. 470 e 478). Il fatto che tale ipotesi cominciasse a declinare secondo le informazioni ricevute il 5 luglio (D. 489) per crollare definitivamente Il giorno dopo (D. 501) portaad attribuirlo ai giorni 3 o 4 luglio (con maggiore probabilità per quest'ultima data) e spiegherebbe anche il motivo per cui l'appunto è rimasto ad uno stadio schematico senza assumere una forma definitiva.

(l) Questo dooumento si trova !n Gab. 14 legato al preeedente appunto d! Suv!ch. Non è datato: è probabile che sia di poco anteriore al documento eu! è unito e che sia stato redatto da Guariglia, 11 quale si oocupava della preparazione di questo tipo di documenti, in particolare se relativi ai rapporti con la Gran Bretagna.

(2) Ed. in R. DE FELICE, Mussolini il duce, vol. I, Gll anni del consenso, 1929-1936, Torino, l!:maua!, 1983', pp. 644-646.

484

IL MINISTRO A L'AJA, TALIANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3687/61 R. L'Aja, 5 luglio 1935, ore 0,30 (per. ore 6,20).

Aldrovandi comunica quanto segue:

« 9. Ieri nel pomeriggio (l) tenutasi riunione Commissione a cui intervenne avvocato Jéze qualificandosi agente del Governo etiopico. È stato deciso che in seduta odierna prenderebbe per primo parola agente del Governo italiano.

In via non ufficiale fu toccato argomento audizione testi, e Jéze affermò non aver Ginevra disponibile che un solo teste, colonnello Clifford, e che Commissione dovrebbe assumere responsabilità udirlo oppure no, tenendo conto riguardi d'indole internazionale. Montagna ed io abbiamo fatto osservare che noi abbiamo già disponibile nostro testimonio. Per quanto riguarda Clifford non ci siamo espressi.

Salvo contrario avviso di V. E., se Clifford sarà proposto da Jéze e Governo inglese crederà consentirgli comparsa innanzi a noi, non crediamo opporci sua audizione. Sarà eventualmente compito nostro far rilevare suo contegno parziale e inconsulto.

A parte ciò nulla altro di notevole in apparenza, se non evidente deferenza La Pradelle verso Jéze. Nella seduta di oggi Lessona ha esposto lucidamente ed efficacemente tesi italiana.

Jéze ha fatto riserva circa documenti etiopici rinvenuti nel campo nemico, riprodotti nella memoria italiana, e comprovanti evidente preparazione etiopica all'aggressione. Egli non ha sollevato questione loro autenticità, ma ha constatato che di essi hanno avuto conoscenza solamente in questi giorni, e che accorrerebbero almeno quaranta giorni per poterli comunicare al Governo etiopico ad Addis Abeba e attenerne risposta. Questa dilazione non ci concerne, e se mai può contribuire comprovare a suo tempo insufficienza termini contemplati nella deliberazione della S.d.N.

A proposito audizione testimoni richiesti dal nostro agente, e che a Milano era stato espressamente convenuto [effettuarla a] Venezia, Jéze ha affermato non aver avuto sino ad oggi notizia di tale determinazione di luogo. La Pradelle ha osservato che tale deliberazione non figura nel verbale, ciò che è esatto, ma non la negò: Potter obbiettò non ricordare. Ciò comprova che anche con Potter ci troviamo su terreno estremo.

Nelle sue conclusioni Lessona ad ogni modo chiese specificatamente che Commissione determinasse data e luogo audizione testimoni suggerendo come sede Venezia.

Per mio conto e mentre insisterò per eventuale sede italiana non ritengo indispensabile insistere su Venezia, ma sarei disposto accettare sede neutrale purché meno lontano da Roma che non sia Scheveningen.

Avverto ad ogni buon fine che La Pradelle si è lamentato Milano di indiscrezioni apparse sulla stampa a suo carico dopo convegno Milano, per parte, egli ha detto, evidentemente italiana. Egli si riferisce a quanto venne pubblicato dall'lndipendent e fu poi riprodotto dalla stampa italiana circa suo tentativo allargare competenze Commissione, ciò che venne da me ribattuto. Avverto che, come allora, così attualmente è stato stabilito che tutte nostre deliberazioni e conversazioni debbono restare assolutamente segrete.

Domani procederemo audizione Jéze.

Manderò appena possibile resoconti stenografici delle sedute».

(l) Il 3 luglio.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3686/443 R. Londra, 5 luglio 1935, ore 1,25 (per. ore 5,20).

Come V. E. avrà rilevato dai miei fonostampa, nei giornali ieri e oggi sono apparsi vari accenni ad un passo che Governo britannico avrebbe fatto o farebbe in questi giorni a Governo francese relativo questione abissina.

Sembra risultare da questa informazione che Governo britannico domanderà conoscere quale preciso atteggiamento assumerà Francia di fronte ripercussioni che conflitto itala-abissino avrebbe sulla Società delle Nazioni, poiché, dicono giornali, disputa non minaccia interessi inglesi diretti in Africa ma interessi generali della Società delle Nazioni, è naturale che Governo britannico si consulti con quello francese. Dall'atteggiamento Francia dipenderà pure giudizio del Governo britannico su quello che sarà possibile fare a Ginevra.

Disorientato dalla reazione ostile che Camera dei Comuni ha fatto alla proposta portata da Eden a Roma e a fallimento della missione di quest'ultimo, Governo britannico cercherebbe rovesciare sulla Francia la responsabilità di una mancata àzione da parte della Società delle Nazioni.

In un colloquio avuto oggi con Vansittart, gli ho posto domande precise circa passi che Governo britannico ha fatto o proponesi fare a Parigi. Vansittart mi ha risposto profondamente imbarazzato dicendo che una decisione definitiva non è stata ancora presa, ma senza tuttavia opporre a quanto pubblicavano giornali precisa smentita.

Ho ribattuto che mi rifiutavo credere come verosimile tale ipotesi e cioè che Inghilterra possa prendere iniziativa di una qualunque azione diplomatica contro l'Italia. Conseguenze consimile iniziativa non potrebbero essere più disastrose per Europa. Governo britannico nella illusione salvare Società delle Nazioni, minaccia scuotere fondamenta vere e reali sulle quali si basa pace europea. Prima di queste fondamenta è l'amicizia Italia Inghilterra e loro cooperazione diplomatica e militare. Già politica britannica ha molto danneggiato rapporti itala-inglesi con grandissimo danno per l'Inghilterra. Se Governo britannico fa ancora un passo innanzi e crea in Europa impressione che esso si faccia iniziatore di una azione societaria a danno dell'Italia, essa deve rendersi conto che con questo rinunzia per sempre all'amicizia italiana e fa saltare la posizione di tranquillità che essa gode nel Mediterraneo e l'equilibio politico sul quale il Trattato di Locarno è fondato. Essa scuote quindi alle sue fondamenta la sicurezza dell'Europa. Se poi, oltre questo, Governo britannico cercasse effettivamente attirare la Francia all'idea di una azione societaria contro l'Italia, attraverso solite lusinghe di una adesione britannica alla tesi francese della sicurezza o la minaccia di una intesa diretta anglo-tedesca, esso spezzerebbe fatalmente Europa in due campi perché obbligherebbe Italia a cercare in un sistema di alleanze militari la sua sicurezza e la sua garanzia in Europa. Politica inglese quindi è o votata all'insuccesso o destinata provocare una violenta crisi in Europa.

Vansittart, più imbarazzato che mai, mi ha replicato che Governo inglese non poteva agire che sulle direttive della opinione pubblica inglese e che questa era ostile alla nostra azione in Abissinia.

Ho replicato che ciò non è vero e che questa è una valutazione inesatta o arretrata della situazione. Ho anzi notato in questi ultimi tempi un progressivo orientamento della opinione pubblica britannica, sopra tutto nei circoli conservatori, verso una concezione più realistica del problema abissino. Quello che mi stupisce, gli ho detto, è che a tale evoluzione non corrisponda un pari movimento da parte del Governo il quale, mentre oramai ha pubblicamente riconosciuto che gli interessi imperiali britannici non sono affatto in contrasto con gli interessi italiani, si fa poi dal canto suo dominare da uno spregevole e grottesco spauracchio elettorale.

Domani mattina vedrò Hoare e telegraferò (1).

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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3732-3770-3727/291-292-293 R. Washington, 5 luglio 1935, ore 5,08 (per. ore 5,35 del 6).

Ho controllato oggi presso Dipartimento di Stato svariate notizie pubblicate dai giornali circa reazioni del Governo americano in proposito passo fatto da Imperatore etiopico per sollecitare interessamento degli S.U.A. alla osservanza del Patto di Parigi (vedi telegramma questo corrispondente Stefani 495 e 96) (2).

Mi è stato precisato che comunicazione telegrafica dell'Incaricato di Affari degli S.U.A. ad Addis Abeba è giunta solo nel pomeriggio di ieri che era festa nazionale per cui appello abissino poté essere esaminato soltanto stamane.

Conclusione di questo esame è stata redazione delle istruzioni all'Incaricato di Affari in Addis Abeba per una risposta a Sellassié. Ho potuto ottenere testo di tale risposta la quale nella sua parte sostanziale è così concepita:

T. -3782-3783/1392-1394 R. del 6 luglio 1935, ore 16.

«Governo degli Stati Uniti essendo interessato al mantenimento della pace in tutte parti del mondo è lieto sapere che Società delle Nazioni nell'intento facilitare pacifico regolamento abbia dedicato sua attenzione alla controversia sfortunata sorta fra Vostro Governo e Governo italiano e che controversia si trovi attualmente sottoposta ad arbitrato.

Indipendentemente dai fatti o da merito della controversia Governo degli Stati Uniti confida che procedura arbitrato potrà giungere a soluzione soddisfacente per entrambi Governi direttamente interessati. Inoltre (e ciò è di grande importanza in vista delle disposizioni del Patto di Parigi del quale Italia e Abissinia sono firmatarie insieme ad altri sessantuno Paesi) Governo degli Stati Uniti si rifiuta di pensare che alcuno dei due Paesi intenda ricorrere a mezzi non pacifici nel trattare controversia oppure !Jermettere che si crei situazione non conforme agli impegni con particolare riguardo al Patto» (1).

Dal testo che precede V. E. rileverà come Dipartimento di Stato metta innanzi competenza della S.d.N. e procedura arbitrale in corso per astenersi dal rispondere al diretto appello di Sellassié. Al tempo stesso Dipartimento di Stato ha voluto riaffermare valore morale del patto di Parigi.

In realtà ha ragione di ritenere che il Governo degli S.U., pur non potendo formalmente disinteressarsi del conflitto per ragioni di opinione pubblica, non ha alcuna intenzione di prendere posizione in favore dell'uno o dell'altra parte. È stata sintomatica frase dettami dal funzionario competente del Dipartimento di Stato, il quale ha concluso nota conversazione odierna con esclamazione «Abissinia è molto lontana da S.U.A. ». Stesso funzionario mi ha smentito in modo categorico che vi sia stata conversazione fra Londra e Washington sul conflitto itala-abissino.

Dipartimento di Stato mi fa conoscere in questo momento che testo della risposta americana verrà comunicato stasera alla stampa per pubblicazione nei giornali di domani mattina.

Corrispondente Stefani ne trasmetterà in chiaro testo completo (2).

(l) -Vedi D. 497. (2) -Non si pubblicano. Il testo della nota etiopica fu trasmesso a Roma da Vinci con
487

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3691/124 R. Ginevra, 5 luglio 1935, ore 14,35 (per. ore 16,05).

S. E. Pilotti comunica quanto segue:

«Avenol mi ha informato che partirà domenica per Londra attuando così il suo proposito -come da miei rapporti precedenti -di parlare personalmente al Forei_gn Office della situazione. Il viaggio era stato finora rinviato su domanda degli inglesi i quali aveva fatto comprendere di voler trattare direttamente.

Già lunedì scorso, prima che si conoscessero le dichiarazioni di Eden ai Comuni (11), Avenol mi aveva espresso il convincimento che l'insuccesso di Eden a Roma fosse dovuto fra l'altro alla circostanza che l'offerta da parte britannica di un porto all'Abissinia non potesse ricevere altra interpretazione che quella di voler sostanzialmente rafforzare l'Abissinia stessa e assicurare determinati interessi britannici sul territorio etiopico. Ora Avenol si mostra stupito e preoccupato della piega presa da avvenimenti e dall'atteggiamento degli inglesi li quali -egli mi ha detto -gli danno l'impressione di «avere inferma la testa ». Egli desidera andare a Londra per vedere esattamente come stanno le cose e cercare di agire per il meglio.

Egli teneva che il Governo italiano fosse preventivamente informato del suo viaggio e degli intenti che lo animano ».

(l) -Il testo ufficiale di questa nota non fu consegnato a Buti dall'incaricato d'affari degli Stati Uniti d'America nella giornata del 6 luglio. (2) -Non si pubblica.
488

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3695/399 R. Parigi, 5 Zuglio 1935, ore 21,10 (per. ore 22,35).

Stampa francese ha accennato con una certa insistenza negli ultimi giorni a degli scambi di vedute che sarebbero in corso tra Parigi e Londra nell'intento di fissare linee comuni riguardo questione etiopica. Si è voluto anche avvalorare tali voci mettendole in relazione con una visita che questo mio collega inglese ha fatto a Laval pochi giorni fa.

Ho domandato al Segretario Generale del Quai d'Orsay quanto ci fosse di vero.

Mi ha risposto che tutto era rimasto al punto in cui erano le cose al momento della seconda visita di Eden a Parigi. Nella sua recente conversazione con Laval, Ambasciatore di Inghilterra aveva chiesto con qualche insistenza se Governo francese potesse formulare idee o progetti nell'intento rinnovare tentativo di risolvere vertenza itala-etiopica. Presidente dl Consiglio ha risposto negativamente.

Ho osservato che Laval avrebbe potuto rispondere che la migliore soluzione era quella di lasciare l'Italia libera di regolare a modo suo la contesa. Léger ha replicato che praticamente la negativa del Ministro degli Affari

Esteri aveva lo stesso significato.

489

IL MINISTRO A L'AJA, TALIANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3696/63 R. L'Aja, 5 luglio 1935, ore 23,20 (per. ore 2,30 del 6).

Aldrovandi comunica quanto segue:

« 10. Nella riunione di questa mattina Jéze ha iniziato sua esposizione la quale, a proposito dei singoli punti e ragionamenti esposti ieri da Lessona, è

(l} Vedi D. 471.

37 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. I

apparsa ordita di deformazioni della verità e di argomenti capziosi che sono tutti facilmente e vittoriosamente ribattibili. Egli poi intendeva iniziare, come argomento principe, esame questione dell'appartenenza di Ual-Ual.

Lessona ha subito obbiettato a questo esame che contraddice punto di vista tenacemente affermato dal R. Governo il quale accettò deliberazione del 25 maggio a Ginevra, sotto precisa riserva di tale soggetto.

Jéze contraddisse Lessona, il quale mantenne fermamente sue enunciazioni.

Jéze riprendendo sua esposizione accennò nuovamente ritornare esame « appartenenza Ual-Ual ». Obbiettammo nuovamente. Non restava che sciogliere seduta.

Ritiratisi agenti dei Governi, e rimasta in sessione Commissione, La Fradelle e Potter appoggiarono fortemente tesi opposta a quella di Lessona, affermando essere indubbio, secondo la pratica costante degli ultimi dieci anni, competenza delle commissioni arbitrali a giudicare della propria competenza, e affermando che in caso di disaccordo non rimaneva che ricorrere al quinto arbitro.

Montagna ed io dichiarammo che a nostro avviso dissenso fra agenti del Governo italiano ed etiopico su questo punto fondamentale non può essere risolto che dai due Governi e non dal quinto arbitro.

Contestazione facendosi vivace sembrò opportuno soprassedere discussione e decisione, che avrebbe portato necessariamente a immediato abbandono nostra attività. Ci rivedremo domani mattina in sede di commissione.

Se non si giunge a migliorare accordo, Montagna ed io ci proponiamo far dichiarazione seguente: (come telefonato) (1). Richiamandomi però ad ultimo paragrafo mia lettera da Bologna a S. E. Suvich (2), prego V. E. comunicarmi, con la necessaria urgenza, se agente del

R. Governo possa consentire e noi possiamo cercare qualche temperamento che permetta comunque continuare lavori e audizione testimoni. In tal caso ultimo paragrafo della dichiarazione telefonata sarebbe modi

ficata nel modo seguente: «rimangono tuttavia disposti a proseguire nei lavori nei limiti sopra indicati ».

490

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. PER CORRIERE 3747/0202 R. Berlino, 5 luglio 1935 (per. il 7).

Continuo a riferire circa la visita a Berlino del Ministro degli, Affari Esteri polacco (3).

Il Segretario di Stato von Biilow mi ha detto che, nonostante la fama di uomo molto chiuso e taciturno che lo aveva preceduto, Beck era stato estremamente aperto e loquace durante il suo soggiorno, lasciando in tutti i suoi interlocutori la migliore impressione. La sua visita aveva però servito a provare la bontà nei metodi ordinari della diplomazia, perché dalle sue conversazioni con

gli uomini di Stato tedeschi non era uscito nulla che già non fosse conosciuto attraverso le conversazioni fra i due Governi e gli Ambasciatori di Germania a Varsavia e di Polonia a Berlino. Si era ad ogni modo parlato di tutti i problemi politici ed economici interessanti i due Paesi e fatto un «tour d'horizon » europeo.

Avevo avuto, poco prima di recarmi dal signor von Billow la notizia interessante, proveniente da fonte della Reichswehr, che durante le conversazioni con Beck da parte di Goering e con Ribbentrop era stata avanzata l'idea di intendersi fra Germania, Polonia ed Ungheria per la spartizione della Cecoslovacchia. Beck sarebbe stato molto riservato al riguardo dimostrando col suo contegno di voler conservare piena ed intiera libertà d'azione e di non voler assumere impegni cosi arrischiati.

Ho quindi, parlando con il signor von Btilow, accennato alle preoccupazioni non infondate che aveva destato la visita di Beck, a brevissima distanza da quella circondata di tanto mistero del Capo dello Stato Maggiore ungherese a Berlino ed ai timori che nutriva specialmente la Cecoslovacchia. Egli mi rispose di avere sentito' recentemente una buona definizione di questo piccolo Stato; la nave porta-aerei sovietica in mezzo all'Europa. Dato che la Cecoslovacchia si era venduta all'U.R.S.S. per servirle da campo di aviazione per meglio poter attaccare la Germania, si comprendeva come temesse di essere oggetto di una punizione non immeritata. La visita a Berlino del Capo dello Stato Maggiore ungherese era avvenuta ad insaputa dell'Auswartiges Amt. Simili visite avvenivano regolarmente ogni due anni, essendo norma costante che ufficiali dello Stato Maggiore tedesco ed ungherese si rechino, a turno, annualmente in una o nell'altra capitale.

Come V. E. vede, il signor von Btilow non smentì meco che si sia parlato della Cecoslovacchia in relazione anche colla politica da fare unitamente all'Ungheria.

Questa Legazione di Romania è stata informata che in un primo tempo si era voluto far venire a Berlino contemporaneamente Beck e GombOs, che le trattative al riguardo si prolungarono parecchio, ma fallirono sopratutto per opposizione di von Kanya alla venuta di GOmbos. Fu in seguito a ciò che fu decisa d'urgenza almeno la venuta di Beck, dopo però che era stato qui il Capo dello Stato Maggiore ungherese.

L'Ambasciatore di Polonia ha riferito dal canto suo a François-Poncet che la visita di Beck ebbe luogo in seguito ad espresso desid·erio del Governo tedesco. Si era pensato in un primo tempo a rimetterla all'autunno, a causa del recente lutto polacco per la morte del Maresciallo Pilsudski ed alle vacanze estive che il Cancelliere del Reich ed il Ministro degli Affari Esteri intendevano prendere a datare dal 1° luglio. Egli aveva però notato un grande desiderio da parte dei Tedeschi che la restituzione delle visite fatte in Polonia dai Ministri Goebbels e Goering avvenisse sollecitamente ed aveva quindi insistito presso

.Eleck perché si recasse subito in Germania, anche per dimostrare in tal modo la gratitudine della Polonia per le solenni onoranze tributate al Maresciallo Pilsudski. L'Ambasciatore di Polonia menzionò pure che la morte del Maresciallo aveva subitamente troncato trattative in corso per un incontro fra Hitler e Pilsudski. Circa gli argomenti trattati nelle conversazioni dei giorni scorsi il signor Lipski fu molto riservato dicendo che egli non aveva partecipato a tutti i colloqui, sopratutto a quelli lunghi cordialissimi ed intimi fra Hitler e Beck, con esclusione di ogni altra persona. Era però certo che Beck, rientrando a Varsavia, avrebbe posto al corrente delle conversazioni medesime l'Ambasciatore di Francia.

Secondo informazioni che provengono dai circoli prossimi a Ribbentrop m1 risulta infine che la visita fu desiderata dal Fiihrer per constatare in primo luogo se la morte del Maresciallo Pilsudski avesse influito sulla politica estera della Polonia, come taluni volevano far credere. Si era stati soddisfattissimi a Berlino di accertare che Beck è convinto fautore di un'amicizia strettissima con la Germania e di una politica basata sopra degli accordi a due e non già sopra accordi collettivi. La Germania e la Polonia hanno convenuto di continuare a fare opposizione al patto orientale e ad ogni modo di concertarsi circa l'attitudine da seguire al riguardo. Dai colloqui dei giorni scorsi era pure risultato che l'atteggiamento della Polonia nei riguardi della Lituania rimaneva immutato e che Varsavia era disposta ad appoggiare Berlino nella questione di Memel.

Tutte queste notizie sono tuttora alquanto vaghe e devono quindi essere ulteriormente controllate. È certo però che talune di esse combinano cosicché l'incontro fra Hitler e Beck, !ungi dall'essere un elemento di pacificazione nell'Europa orientale, darà luogo a molte supposizioni e timori.

(l) -Per la risposta a quanto telefonato vedi D. 49. (2) -Vedi D. 385. (3) -Vedi D. 481.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3748/0203 R. Berlino, 5 luglio 1935 (per. il 7 ).

Mlo telegramma di ieri n. 188 (1).

Siccome il Cancelliere del Reich sta per lasciare Berlino per trascorrere due mesi e forse anche più tempo in Baviera ho, d'accordo coll'Auswartiges Amt chiesto di fargli subito la mia visita di congedo.

Il Cancelliere mi ricevette ieri in presenza del barone von Neurath. Questi mi aveva precedentemente informato che essendo Hitler assai stanco era preferibile non parlare con lui di politica.

Trovai effettivamente il Cancelliere depresso e colla voce molto bassa. Mi disse che aveva assoluto bisogno di riposo e che sperava di ristabilirsi subito in mezzo ai pini delle Alpi bavaresi.

Mi domandò quindi che cosa contava fare l'Italia nell'Africa orientale. Gli ho spiegata la situazione che si è andata creando colà, e poiché egli mi parlò dell'atteggiamento inglese e mi chiese per quali ragioni la proposta di costruire una ferrovia che congiungesse l'Etiopia con un porto della Somalia britannica era stata respinta da S. E. il Capo del Governo, gli esposi le trattative che erano intercorse fra l'Italia e l'Abissinia per la camionabile che avrebbe dovuto terminare ad Assab e gli dimostrai che la proposta di Eden mirava a mettere le mani sopra territori che devono invece essere nostri. Ho fatto presente al Cancelliere le molteplici ragioni storiche, politiche e demografiche che impongono all'Italia di risolvere il problema abissino.

Hitler mi ha ascoltato attentamente e si è limitato a dichiarare che problemi di questo genere si impongono in determinati momenti ai popoli che sono in pieno sviluppo, che essi sono di importanza capitale per le Nazioni ma sono molto difficili da risolvere.

Ho aggiunto che quando uno Stato ini.zia con tutta la propria anima una politica come quella che l'Italia sta in questo momento facendo in Africa, esso ha il diritto di pretendere di essere compreso dalle altre Nazioni civili, sopratutto da quelle che avevano già risolto o avrebbero avuto da risolvere in seguito problemi analoghi. Per tale ragione in Italia si prestava la massima attenzione alratteggiamento delle varie Potenze perché esso ci sarebbe servito di norma per giudicare chi ci era amico e chi no e ci avrebbe guidato nella nostra politica futura.

Hitler mi domandò se l'Inghilterra avrebbe realmente proposto il boicottaggio economico dell'Italia, invocando l'art. 16 dello Statuto della S.d.N. Ho risposto che avevo letto tale notizia solamente sui giornali e che ero convinto che il Governo britannico avrebbe riflettuto bene prima di fare una simile assurda proposta. Del resto, quale che fosse l'atteggiamento inglese al riguardo, la serietà della S.d.N. ne avrebbe scapitato, tranne nel caso in cui fosse stato deciso l'espulsione dell'Etiopia.

Hitler mi rispose che non sarebbe certo stato lui a deplorare che la Società delle Nazioni mostrasse un'altra volta di essere inetta a risolvere un problema importante.

Egli mi chiese poi se avessi avuto sentore della intenzione dell'Italia di acquistare al Norddeutscher Lloyd due vapori della classe «Sierra» per adibirli al trasporto di truppe. Alla mia risposta negativa aggiunse che la cosa gli era stata riferita e gli aveva fatto piacere perché la marina mercantile germanica conta molti bastimenti in disarmo di cui non sapeva che cosa fare. A parte questa considerazione l'affare in sé sarebbe stato di poco conto.

Dopo di ciò il Cancelliere del Reich mi congedò con parole cortesi.

(l) Con T. 3681/188 R. del 4 luglio 1935. ore 20,35, Cerruti aveva preannunciato di essere stato ricevuto da Hitler in visita di congedo.

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IL MINISTRO A RIGA, MAMELI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3896/0110 R. Riga, 5 luglio 1935 (per. il 12).

Faccio seguito al mio telegramma per corriere n. 0109 in data 23 giugno u.s. (l).

La riunione dei Ministri lettoni accreditati in Europa ha avuto inizio presso questo Ministero degli Affari Esteri il 28 giugno ed è terminata ieri 4 luglio. È stata presieduta dal Primo Ministro e Ministro degli Esteri sig. Ulmanis. La stampa Iettane, che ha dato ad essa una risonanza assai vasta, l'ha costantemente chiamata «conferenza». Non vi è dubbio che la « conferenza», oltre che ad avere lo scopo di esaminare la situazione internazionale, aveva fini immediati di politica interna. Quelli di porre a contatto i Ministri lettoni, molti dei quali non erano tornati in Patria dopo il 15 maggio dell'anno scorso, con la trasformazione avvenuta sotto il regime Ulmanis. Il programma della riunione comprendeva infatti anche un lungo giro nelle provincie, con il Primo Ministro, ed una particolareggiata esposizione, fatta dallo stesso signor Ulmanis, dell'attuale situazione in Lettonia. Per sottolineare poi quella che il sig. Ulmanis ha definito « la collaborazione diplomatica » egli ha offerto una colazione ai Capi delle Missioni estere accreditati in Riga ed ai partecipanti alla riunione.

Per ciò che concerne la politica estera è confermato che il Governo lettone ha raccolto dalla viva voce dei suoi rappresentanti tutti i possibili elementi sulla situazione allo scopo preciso di giudicare sulla opportunità o meno di una adesione lettone al sistema franco-sovietico-cecoslovacco.

Il Segretario Generale del Ministero degli Esteri e Segretario della conferenza mi ha oggi dichiarato che il Governo lettone non aveva ancora preso alcuna decisione. Ogni sua parola tuttavia conferma il concetto che ho già segnalato: o vi sarà la possibilità di un patto collettivo, o la Lettonia dovrà seriamente considerare l'opportunità di aderire al sistema predetto. Sempre secondo il sig. Munters, l'adesione lettone non andrebbe al massimo oltre l'impegno dell'assistenza mutua; massimo da cui tuttavia rifugge. La speranza lettone è oggi ancora di ottenere attraverso riserve e garanzie opportune, od in altro modo, la creazione della zona « inviolabile ~.

Osservo che sembra difficile conciliare i due concetti visto che, se non vi fosse patto collettivo e la Lettonia entrasse a far parte del sistema franco-sovietico-cecoslovacco, non si vede come potrebbe trovarsi in condizioni di contribuire alla formazione della zona inviolabile.

Indicazioni interessanti del sig. Munters sono state: «La situazione si presenta oggi nel nord est europeo sotto certi aspetti analoga a quella dell'estate scorsa. Ma allora il trattato franco-sovietico doveva ancora essere concluso, vale a dire che avevamo un periodo di tempo innanzi a noi. Oggi non l'ab

biamo più». Ha aggiunto che i Ministri lettoni a Parigi e Londra avevano

espresso opinioni ottimistiche circa la probabilità di una partecipazion~ alla

fine della Germania ad un patto collettivo, mentre il Ministro a Berlino è di

parere opposto. Secondo lo stesso sig. Munters, tuttavia, ora alcuni elementi

lascerebbero sperare una soluzione positiva.

Confermo l'impressione che nella nuova attitudine del Governo lettone vi è una larga parte di manovra e di speranza di pressione sugli Stati contrari o riluttanti ad un patto collettivo nell'Europa nord orientale. Fin dove il Governo lettone spingerà tale manovra, è ciò che oggi non è possibile prevedere. Secondo una notizia datami da questa Legazione britannica, il Governo estone avrebbe già espresso la sua categorica disapprovazione per tale manovra e posto in guardia quello lettone dello spingerla troppo oltre. Secondo la stessa Legazione ciò è esatto nonostante che questo Ministero degli Esteri categoricamente lo neghi.

Va rilevato infine che nei giorni scorsi la rivista sovietica Komitern, prendendo appunto le mosse dal patto franco-sovietico, ha detto senza veli, ed anzi prospettando la possibilità di rappresaglie, che gli Stati Baltici devono sciogliere la loro attuale organizzazione «fascista~. che il loro destino ed interesse è di diventare organizzazioni affini ai sovieti, s'intende «indipendenti». Tale pubblicazione ha qui prodotto una impressione ben comprensibile. La stampa ha tuttavia concordemente taciuto. Se si ricorda che essa è di solito di una caratteristica di ipersensibilità a tal genere di cose e se si tengono presenti le sue recentissime violente reazioni a pubblicazioni molto meno esplicite tedesche e polacche, il silenzio in questa occasione non può non dare da pensare.

(l) Con T. 3542/0109 R. del 23 giugno 1935, non pubblicato, Mamell aveva riferito una sua ulteriore conversazione con Munters sull'argomento del D. 388.

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IL CAPO DEL SERVIZIO ISTITUTI INTERNAZIONALI, BIANCHERI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 5 luglio 1935.

l. L'art. 16, che contempla l'attuazione delle sanzioni contro uno Stato membro che commetta un'aggressione contro un altro Stato membro, non ha mai avuto applicazione da quando la Lega esiste. Manca perciò ogni precedente sulle modalità pratiche della sua applicazione.

2. -Abbondano invece gli studi teorici di numerosi Comitati tecnici della Lega, sull'interpretazione e la portata dell'articolo. Sulla base di tali studi, oltreché dal chiaro disposto dell'articolo stesso risulta tuttavia indubbio che quando uno Stato Membro ricorre alla guerra senza esser passato attraverso la procedura arbitrale o giudiziaria o senza aver sottoposto la vertenza al regolamento da parte del Consiglio, ogni altro Stato si troverà ipso facto in istato di guerra con lui e potrà procedere per suo conto all'applicazione delle sanzioni. 3. -Per ritardare l'applicazione di esse potrà praticamente giovare di esperire la lunga procedura dell'art. 15 giacché è evidente che, anche se nel corso di tale procedura cominciano le ostilità, non potrà passarsi all'applicazione delle sanzioni finché non sia stata definita la responsabilità del conflitto e cioè finché non sia stata esaurita la procedura dell'art. 15. È per ritardare l'eventuale applicazione delle sanzioni che i Giapponesi si sono sobbarcati a sottostare alla procedura davanti al Consiglio con la relativa inchiesta nel Manciukuo. 4. -In base agli studi interpretativi dell'art. 16 è stata messa in rilievo la convenienza di procedere gradualmente, nell'applicazione delle sanzioni, cominciando da quelle economiche per finire eventualmente a quelle militari. La stampa inglese accenna che le misure che il Gabinetto di Londra starebbe considerando sono appunto di carattere economico. Ora è evidente che le sanzioni economiche per ottenere l'effetto voluto e cioè impedire il rifornimento dello Stato aggressore, devono essere prese dall'universalità degli Stati, altrimenti si ritorcono a danno esclusivo di colui che le applica.

Occorre cioè che intervenga una «raccomandazione» da parte del Consiglio. Tale raccomandazione deve essere presa all'unanimità. L'Italia perciò ha il diritto di opporsi. Per evitare la possibilità che Io Stato aggressore blocchi col suo voto, se è membro del Consiglio, l'adozione di sanzioni contro di sé, la II Assemblea della S.d.N. propose un emendamento nel senso che il voto della parte in causa non entri nel computo dell'unanimità. Ma l'emendamento non è entrato in vigore e perciò la norma è rimasta immutata.

5. Per superare l'ostacolo costituito dal veto dell'aggressore il Consiglio dovrebbe in base all'alinea 4 dell'art. 16 cominciare dall'espellerlo dalla S.d.N. col voto di tutti gli altri membri del Consiglio stesso.

494

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 2874/549. Bruxelles, 5 luglio 1935 (1).

Come V. E. avrà rilevato dai telegrammi e bollettini di questa R. Ambasciata, la battaglia di stampa circa il nostro conflitto con l'Etiopia ha qui cominciato, in queste ultime settimane, a divampare su tutta la linea.

Di fronte ai vari e preponderanti fattori negativi (interessi lesi dei mercanti di cannoni e dei relativi operai e mediatori, irreducibile opposizione antifascista dei partiti socialista e democristiano oggi in maggioranza al potere, anglofilia innata delle sfere dirigenti, debolezza estrema del governo verso ogni pressione interna) quest'Ambasciata ha organizzato del suo meglio una controffensiva valendosi esclusivamente di influenze personali, giacché essa, come è noto, non dispone di alcun fondo allo scopo.

Il primo successo è stato l'articolo del signor Magnette sull'Indépendance

Belge, che sono profondamente lieto abbia riscontrato tanta soddisfazione pres

so l'E. V. (1). Il colpo inferto dal Magnette ai nostri avversari ha portato vera

mente in pieno, in quanto, essendo egli un vecchio liberale fino alla midolla

delle ossa ed un ex grande oriente della massoneria belga, è l'ultima persona

che possa venir qui sospettata di parzialità in favore del Regime Fascista.

Mi onoro adesso di richiamare l'attenzione dell'E. V. sopra una seconda azio

ne, che mi sembra ben riuscita.

Il Colonnello Requette, noto scrittore di cose militari, aveva pubblicato sulla Nation Belge del 20 giugno l'unito articolo (2) a difesa della missione militare belga in Etiopia, che mi sembrò convenisse non lasciar passare senza una replica. E mi è riuscito di far accettare dal Direttore di quel giornale la pubblicazione di una risposta, redatta in Ambasciata e che feci figurare firmata dal conte Ruffo di. Calabria, fratello della Medaglia d'Oro ed ex Segretario di questo Fascio. Per la serenità e la equanimità dei concetti ai quali è ispirata, tale risposta, parimenti qui allegata (2), ha fatto molta impressione, specialmente negli ambienti dell'Esercito, né al suo effetto ha nuociuto la controreplica obbligata del Colonnello Requette.

Mi propongo di continuare per tutte le vie possibili e mi riservo di riferire all'E. V.

(l) Manca l'lndlcazlone della data di arrivo.

495

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 2992/987. Belgrado, 5 luglio 1935 (per. l'8).

Il nuovo Ministro d'Austria signor Schmitt, venuto oggi a presentarsi, mi ha espressa la sua preoccupazione per non aver trovato, presso questo Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri e negli ambienti politici in generale, nessun interesse per la questione dell'indipendenza austriaca e per la preparazione della conferenza danubiana. L'atteggiamento qui incontrato lo confermava nelle sue previsioni di una diffidenza jugoslava originata dal timore della restaurazione asburgica e dalla convinzione che un'Austria indipendente, e conservante il prestigio della sua fisionomia storica, sia pur sempre un elemento di attrazione per i Croati e, in certa misura, anche per gli Sloveni. Quanto al nuovo Capo del Governo signor Stojadinovic, egli aveva avuta l'impressione ch'egli fosse sensibilmente orientato verso la Germania.

Pur convenendo in parte sulle sue apprensioni, ho spiegato al collega austriaco che diffidenza e riservatezza sono normative nel carattere e nell'atteg

giamento jugoslavi e che non è il caso di trarne induzioni affrettate, mentre per altre dimostrazioni dalla Jugoslavia fornite anche recentemente nei riguardi del problema dell'indipendenza austriaca e della sistemazione dell'Europa danubiana (per esempio i contatti avuti dallo Stato Maggiore jugoslavo con quello francese in rapporto alla difesa dell'Austria) potevasi concludere che, almeno sino ad ora, le sue intenzioni non erano mutate. Quanto poi al sig. Stojadinovic, bisognava tener conto ch'egli non era in grado di fare delle aperte dichiarazioni sia perché non ancora completamente al corrente delle questioni in materia di politica estera, sia perché prevalentemente occupato della situazione interna: il suo gabinetto di concentrazione nazionale non è che un esperimento, esso non ha ancora affrontato il voto della Scupcina composta dalla maggioranza eterogenea messa insieme da Jeftic in circostanze anormali, mentre l'opposizione croata, sempre assente e sempre compatta, rimane in attesa di vederlo alla prova. Ricordavo infatti al Sig. Schmitt quanto scialbe e banali fossero state le dichiarazioni fatte ieri alla Scupcina dal Presidente del Consiglio in tema di politica estera: fedeltà alle alleanze esistenti, desiderio dl collaborare alla pace con tutti, difesa dell'integrità del paese; luoghi comuni, che erano sembrati, a tutti, troppo poca cosa per un paese che vuoi essere alla testa del mondo slavo e un fattore di primaria importanza nel settore balcanico.

Comunque, per ciò che riguarda i rapporti austro-jugoslavi non possono in questo momento essere passati in silenzio due fatti che in diversa misura sono tali da alimentare le diffidenze di Belgrado verso Vienna: l) la reintegrazione degli Absburgo nei loro possessi privati, in cui si vuoi qui vedere, a malgrado di ogni smentita, un primo passo verso la restaurazione; 2) il recente provvedimento adottato dall'Austria nei riguardi dei viaggiatori diretti in Jugoslavia, provvedimento che si considera specialmente diretto contro questo Stato, e inteso a deviare le correnti turistiche verso l'Italia.

Di entrambi gli argomenti la stampa jugoslava si occupa in modo cosi unanime, cosi diffuso e con tanta abbondanza di affrettate e tendenziose illazioni, che la campagna appare sproporzionata all'entità dei fatti, quali son noti sino ad ora. Onde non è forse da escludere l'ispirazione ufficiale tendente a predisporre l'opinione pubblica nel senso di un diverso orientamento nei riguardi della questione austriaca (l).

(l) -Con T. 6245/105 P.R. del 24 giugno 1935, ore 23, Mussolini aveva inviato le seguentiistruzioni: «Voglia personalmente esprimere al Ministro di Stato Magnette mio più vivo compiacimento pe,r l'articolo da lui pubblicato sull'Indépendence Belge e che produrrà una eccellente impressione in Italia». (2) -Non pubblicato.
496

L'ADDETTO NAVALE A LONDRA, CAPPONI, AL MINISTERO DELLA MARINA (2)

R. R. u. 633. Londra, 5 luglio 1935.

Riferimento e prosecuzione mio foglio n. 574 del 21 giugno (3). Ho avuto oggi un colloquio col Sottocapo di Stato Maggiore Vice-Ammiraglio Little, all'Ammiragliato.

Prendendo lo spunto da quanto il predetto Ammiraglio aveva dichiarato nel

l'ultimo colloquio avuto col sottoscritto il 21 giugno e durante il quale egli non

aveva potuto dirmi nulla circa il programma navale tedesco né come sarebbe

stato distribuito nel tempo, l'Ammiraglio mi ha precisato oggi che a quell'epoca

non aveva ancora dati positivi ma che ora i programmi sia tedesco che inglese

erano stati preparati: tuttavia la Gran Bretagna era rimasta d'accordo con la

Germania che detti programmi non sarebbero stati rivelati se non in condizioni

di reciprocità. Pertanto l'Ammiragliato proponeva che, durante la prossima riu

nione a Londra (che si spera abbia luogo «fra breve») dei delegati francesi ed

italiani, avvenisse uno scambio di idee circa questi futuri programmi navali da

ripartirsi su un periodo di sei o dodici anni. L'Ammiraglio Little ha soggiunto

che la Gran Bretagna non desiderava fare da intermediaria nel comunicare i

dati del programma navale tedesco e che pertanto gli risultava che il Governo

tedesco aveva, pochi giorni fa, comunicato agli addetti navali francese ed ita

liano a Berlino il programma di costruzione navale (extra trattato di Versailles)

di navi già impostate o da impostare entro l'anno.

L'Ammiraglio Little mi ha detto che i francesi avevano dichiarato di non potere inviare i propri delegati a Londra per le suddette conversazioni bilaterali, come mi aveva annunciato l'altra volta, prima di sei settimane ossia ai primi di agosto. Tuttavia, egli ritiene che, in seguito alla comunicazione del programma navale tedesco fatta all'Addetto Navale francese a Berlino, il Governo francese avrebbe acconsentito ad inviare a Londra i propri delegati entro luglio. L'Ammiraglio ha soggiunto che qualora tardassero i delegati francesi egli non vedeva difficoltà acciocché avvenissero prima le conversazioni coi delegati italiani.

Queste conversazioni bilaterali coi delegati francesi ed italiani dovrebbero, secondo l'Ammiragliato, vertere su uno scambio di idee, come già accennato, relative ai programmi navali costruendi. Dopo queste conversazioni dovrebbe aver luogo la Conferenza plenaria delle cinque Potenze di Washington per la definizione di un trattato di limitazione degli armamenti che rimpiazzasse i due trattati che scadranno nel 1936. L'Amm. Little mi ha detto che la Germania non prenderà parte alla suddetta conferenza plenaria ed ha soggiunto che non saranno, per il momento, invitati delegati russi per conversazioni bilaterali. Parlando del Giappone mi ha detto che il punto di vista giapponese in fatto di limitazioni navali era rimasto fino ad ora inalterato. Nei riguardi dell'America l'Amm. Little ha espresso l'opinione, da me non sollecitata, che gli Stati Uniti siano ormai favorevoli a non costruire ulteriormente navi mastodontiche del tipo da 35 mila tonnellate.

Alle mie domande di sapere su quale base era impostato il futuro programma navale tedesco e alla mia domanda se sarebbero comprese anche navi portaerei

..-/"

l'Amm. Little non.ha voluto rispondere o ha dato risposte evasive riferendosi a quanto ho riportato al paragrafo 3°, secondo periodo della presente.

Il predetto Amm. ha espresso timore che non si possa venire ad un accordo quantitativo fra le cinque Potenze ma ha espresso la speranza che si possa raggiungere un accordo qualitativo nel senso di accordarsi sui vari tipi di nave da costruire nel futuro. Ha colto l'occasione per insistere sulla importanza della questione della limitazione per categoria facendo allusione al passato quando

le gare di armamenti si erano polarizzate intorno alla creazione di un nuovo tipo di nave che aveva svalutato le precedenti.

Ritornando all'accordo navale anglo-tedesco ed in seguito a mia domanda, l'Amm. Little mi ha detto che non erano stati fissati definitivamente alcuni dei punti del recente accordo, come per esempio, i limiti di trasferimento da una categoria all'altra e a scapito di quale categoria sarebbe stata presa l'eccedenza di tonnellaggio, rispetto al 35 %. per i sommergibili tedeschi. Per definire questi punti egli riteneva che sarebbero ritornati a Londra i delegati tedeschi.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussol!n!. (2) -In Archivio dell'Ufficio Stordco della Marina M!li!Jare. (3) -Vedi D. 418.
497

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3700/447 R. Londra, 6 luglio 1935, ore 1,18 (per. ore 7,05).

Ho avuto stamane con Hoare lungo colloquio interamente dedicato alla questione etiopica. Ho trovato Hoare non meno disorientato e non meno preoccupato di Vansittart (l) .

Egli ha cominciato col dirmi che il Governo britannico considerava situazione come molto seria. È opinione generale del Gabinetto che il conflitto armato itala-abissino metterebbe in pericolo non prestigio ma esistenza stessa della Lega delle Nazioni e potrebbe portare a conseguenze disastrose e perciò qualunque via dovrebbe essere tentata prima giungere a questo. Governo britannico ha offerto una soluzione, la cessione di Zeila. «Voi stesso potete constatare, dalla opposizione che si è scatenata contro tale proposta nel nostro Paese, quanto rischio noi ci siamo assunti nel farla. Il Capo del Governo italiano non ne ha voluto sentire parlare ».

Ho interrotto a questo punto Hoare replicandogli che l'offerta di cedere Zeila alla Etiopia era stata respinta in base a delle [ragioni] specifiche che V. E. aveva anche esposto a Eden. Tali ragioni sono tanto valide che esse sono state fatte proprie dagli stessi giornali inglesi ed in discorsi di deputati alla Camera dei Comuni. II progetto di Eden era dannoso non solo ai nostri interessi ma anche a quelli della Francia e della stessa Inghilterra. Governo britannico deve essere [grato] a V. E. per avere dimostrato rifiutare progetto di Eden che ha incontrato in Inghilterra la riprovazione unanime e che, ove V. E, lo avesse accettato, avrebbe messo il Governo nei più seri e più gravi imbarazzi.

Hoare ha ripreso dicendo: «Comunque il nostro primo tentativo di risolvere questione fuori della Lega delle Nazioni è fallito. Noi ci troviamo dunque dl nuovo davanti al problema di Ginevra. Governo britannico ha posto come fondamento della sua politica estera la Società delle Nazioni e ha preso pubblicamente e apertamente degli impegni in questo senso. Non possiamo senz'altro contravvenire questo impegno poiché tale abbandono avrebbe delle gravi ripercussioni sulla nostra posizione politica nel paese. Dobbiamo perciò esaminare

posizione da questo punto di vista. Questa è ragione per la quale ci siamo rivolti alla Francia. I giornali hanno tuttavia pubblicato delle notizie esagerate sulla natura dei nostri passi a Parigi».

Ho replicato a Hoare negli stessi termini in cui ho replicato ieri a Vansittart. Quale sia la natura dei passi che Inghilterra faccia o intenda fare a Parigi, essi saranno sempre giudicati in Europa come atti ostili all'Italia e aggraveranno forse irrimediabilmente le condizioni già così difficili nell'Europa. Pace europea ha riposato sino ad ora sulla permanente intesa politica fra l'Inghilterra e Italia. Questa intesa ha costituito il solo elemento di stabilità in mezzo ad una Europa divisa e irrequieta. Ora Governo britannico non deve farsi alcuna illusione. Risultato della sua azione a Parigi o altrove sarà uno solo: quello di spezzare intesa italo-britannica. Si dice che la Francia risponderà negativamente e che con questo l'Inghilterra si libererà, almeno in parte, delle sue responsabilità. Ma questo è un ragionamento a corta vista. Così il solo fatto di prendere una iniziativa, anche se destinata al fallimento, avrà intanto scosso irrimediabilmente le basi dei rapporti italo-inglesi. «O voi avrete successo a Parigi», ho detto a Hoare, «e allora indebolirete amicizia italo-francese e distruggerete quello che sono stati i risultati della preoccupazione costante di questi anni della politica inglese; o voi fallirete, e allora vi esporrete ad un insuccesso sicuro e clamoroso; perché perderete nello stesso tempo la S.d.N. e amicizia italiana ».

A questo Hoarc non ha replicato se non per dire che il Governo britannico deve considerare un altro aspetto del problema: la naturale tendenza del popolo inglese è verso l'isolamento. Questa tendenza può solo essere modificata da una politica societaria: Società delle Nazioni è il solo mezzo per indurre popolo inglese a rinunziare ad una politica isolazionista.

Ho replicato che, sino ad ora, l'Inghilterra aveva solo mostrato che essa usciva dal suo isolamento soltanto quando si trattava di proteggere i suoi interessi specifici. Al di là non era disposta andare.

Hoare mi ha interrotto dicendo che appunto sarebbe sua intenzione andare più oltre. « Comunque ora la cosa importante per noi », Hoare ha continuato, << è di trovare un mezzo per uscire dalla situazione nella quale ci troviamo. Vi ho detto quello che ci proponiamo di fare nei riguardi S.d.N.: conoscere intenzioni francesi. Poi decideremo. Ma intanto noi non (dico non) si lascia cadere ogni possibilità di risolvere questione etiopica fuori della Società delle Nazioni. Offerta di Zeila è stata respinta ma noi, come firmatari dell'accordo tripartito (il quale garantisce anche in.tegrità dell'Abissinia), abbiamo insieme all'Italia e Francia oltre che degli interessi degli obblighi che il governo italiano sembra ignorare».

Gli ho risposto che mi stupisco di questa affermazione. Sta in fatto che non abbiamo mai ignorato gli interessi inglesi, anzi siamo stati proprio noi a suggerire al Governo britannico lo scorso gennaio uno scambio di idee. La mia prima richiesta di conversazioni sull'argomento data precisamente dal 29 gennaio (1). Governo britannico ha sempre temporeggiato ed ha evitato sempre di dare una risposta. Trovo molto strano che l'Inghilterra si lamentasse di non

essere stata messa in grado di esaminare la propria posizione in base all'accordo tripartito. Noi abbiamo sempre detto che fuori di Ginevra e fuori dell'ambito della S.d.N. eravamo disposti a delle conversazioni con l'Inghilterra.

Hoare ha insistito nel dirmi che si potrebbe forse ancora cercare una soluzione fuori della S.d.N. per evitare il conflitto itala-abissino, e tale soluzione, secondo lui, potrebbe cercarsi fra le tre potenze firmatarie dell'accordo tripartito.

Ho replicato che a mio avviso la situazione era giunta ad un punto nel quale soltanto una soluzione radicale del problema abissino poteva essere considerata, nei termini netti e precisi indicati dal Duce a Eden nel recente incontro di Roma.

(l) Vedi D. 485.

(l) Vedi serie settima, vol. XVI, DD. 510 e 523.

498

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO

T. U. RR. 1208/178 R. Roma, 6 luglio 1935, ore 3,30.

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 220 (l) e alla corrispondenza scambiata tra questo Ministero e la ex Legazione nel 1932 e nel 1933 circa estensione Concessione italiana Tientsin. Richiamo particolare attenzione di V. E. sui telegrammi Ciano numeri 188 e 189 del 1932 (2), nonché sui telegrammi di questo Ministero n. 150 (3) e seguenti del 1933 e i telegammi del R. Incaricato d'Affari di allora (4).

In relazione situazione Nord Cina e incidenti verificatisi tra Pechino e Tientsin, prego V. E. mettersi in contatto d'urgenza con R. Console Tientsin e Comando Superiore Navale e prendere in esame possibilità approfittare situazione per attuare estensione Concessione italiana in direzione Concessioni ex austriaca ed ex russa.

Come progettato nel 1932, converrebbe in un primo tempo dare eventuale occupazione carattere temporanea operazione di polizia militare, fondarsi su richieste (da provocarsi) rappresentanti residenti nelle ex Concessioni predette, far prendere quelle intese che fossero strettamente necessarie tra nostro Comandante e altri Comandi stranieri incaricati difesa Concessioni Tientsin.

Aggravarsi minaccia giapponese potrebbe costituire nuovo elemento a noi favorevole per ottenere segretamente consenso Governo cinese, poiché quest'ultimo potrebbe vedere con maggiore favore zone di cui si tratta in mani nostre anziché in quelle del Giappone, a tal fine noi ci impegneremo a retrocedere zone che occupassimo quando pericolo occupazione giapponese fosse scongiurato.

Pregola telegafare e in caso d'urgenza procedere senz'altro secondo direttive già impartite nel 1933 con i telegrammi sopracitati (5).

(l) -T. 3597/220 R. del 29 giugno 1935. ore 12, con il quale Lojacono aveva riferito sulla situazione neLla Cina settentrionale segnalando un «breve movimento di ribellione di alcune truppe cinesi di Fengtai, tra Pechino e Tientsin, le quali marciarono sopra Pechino dopo di essersi impadronite di un treno blindato ma furono fermate fuori della città. Incidente ha deteTminato grande panico a Pechino e ha sollevato questione della difesa della linea ferroviaria tra Tientsin e Pechino da parte dei distaccamenti internazionali cud intervento però non è stato necessario». (2) -Non pubblicati, ma vedi serle settima, vol. XIII, D. 639. (3) -Ibid., D. 653.

(4) Ibid., D. 796.

(5) Per 1a risposta vedi D. 530.

499

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALLA LEGAZIONE A L'AJA

T. 1213/39 R. Roma, 6 luglio 1935, ore 2.

Per S. E. Aldrovandi.

Rimane stabilito in forma precisa e definitiva che non accettiamo nessuna discussione sulle frontiere né diretta né indiretta (l).

In relazione progetto di deliberato testé telefonato, converrebbe possibilmente che decisione di rimettere la risoluzione del dissenso sulla competenza della Commissione ai due Governi interessati apparisse come manifestazione della volontà dei Commissari italiani ed etiopici. Non avremmo poi difficoltà, anziché di accettare di dichiarare che la Commissione non può proseguire nei suoi lavori, di accettare di dichiarare che la Commissione si aggiorni temporaneamente in attesa della soluzione del punto controverso da parte dei rispettivi Governi.

In ogni caso la formulazione del primo paragrafo sarà da redigere non soltanto in forma negativa ma anche e sopratutto positiva; e cioè non dicendo che «Governo italiano ha costantemente espresso sua volontà di non fare esaminare questione frontiere », ma invece che « Governo italiano si è sempre espresso nel senso che il compromesso arbitrale riguarda le circostanze di fatto degli avvenimenti del 5 e 6 dicembre, ad esclusione della questione di frontiera ». Tale manifestazione di volontà del Governo italiano, nella quale ha concorso quella del Governo abissino (nota del 16 maggio) (2) e che così si è perfezionata, è stata poi confermata anche nella discussione di Ginevra (vedi processo-verbale relativo), e mantenuta di poi dal Governo italiano nelle Note successivamente inviate al Governo abissino (3).

500

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3738/400 R. Parigi, 6 luglio 1935, ore 13,55 (per. ore 22,20). Mio telegramma n. 384 (4).

Ho domandato al Segretario Generale del Quai d'Orsay se fosse giunta da Londra l'attesa risposta per il Patto aereo.

Léger mi ha detto di no. Per le ragioni in suo possesso atteggiamento del Governo francese sia a riguardo delle conversazioni navali desiderate dal Governo inglese, che per Patto aereo, rimane quello definito nel recente colloquio LavaiEden. Il Segretario Generale ha precisato che l'Inghilterra si rende conto che in

una questione come nell'altra sopra detta non riesce a concludere nulla se non d'accordo con la Francia. Sempre secondo lo stesso Léger, Foreign Office ricerca in questo momento in diverso modo di ristabilire armonia dei rapporti francoinglesi, ma a Parigi non si è disposti ad ascoltare lusinghe, si vuole soltanto considerare i fatti.

Dubito che il Segretario Generale sia nel giusto nel considerare con tanto ottimismo la situazione. Un attento osservatore nota sintomi, se non inquietanti, certo poco rassicuranti nella politica generale europea al punto da far pensare che si stiano preparando nell'ombra nuovi aggruppamenti di Stati. La Polonia, che dopo Stresa aveva dato segni evidenti di raffreddamento verso il Reich, non si dimostra intenzionata di persi:;tere sulla nuova strada. D'altra parte gli Stati centro-balcanici, che fanno capo alla Francia, danno segni di incertezza. Le compiacenze dell'Inghilterra verso la Germania li turbano. I vincoli si allentano. Si parla già meno dei Patti danubiano e mediterraneo che si giudicano di difficile se non impossibile realizzazione.

Se V. E. me lo consente, dirò ancora una volta che la chiave della situazione sta nelle nostre relazioni con la Jugoslavia e in genere con la Piccola Intesa e l'Intesa Balcanica. Spero vivamente che V. E. giudichi giunto il momento di portare avanti con decisione le trattative relative col proposito di condurle ad una rapida conclusione. Mai come in questo momento varrebbe la pena, a mio sommesso parere, di mostrarsi concilianti pur di riuscire. Il recente provvedimento del Governo austriaco a favore degli Absburgo ha suscitato nervosismo fra gli Stati interessati, che converrebbe rassicurare non temendo le pretese smodate di Titulescu. Sono persuaso che la Francia si incaricherà di ridurlo alla ragione non appena dimostreremo sincero desiderio di realizzare il nostro riavvicinamento alle due Intese.

L'azione impegnata nell'Africa Orientale rende indispensabile che l'Italia ~ia forte in Europa non solo militarmente ma anche diplomaticamente.

Prego V. E. perdonarmi se, per esporre la situazione come la vedo, mi sono permesso di insistere su di un punto che considero di capitale importanza per il nostro Paese.

(l) -Vedi D. 489. (2) -Vedi D. 191, nota 2 p. 211. (3) -Vedi D. 312. (4) -Vedi D. 451.
501

IL MINISTRO A L'AJA, TALIANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3762/64 R. L'Aja, 6 luglio 1935, ore 14,06 (per. ore 15,40).

Aldrovandi comunica quanto segue:

«11. Tenuto stamane riunione privata tra quattro commissari.

Pare impossibile indurre commissari nominati dal Governo etiopico ammettere che non si debba discutere né in forma diretta né indiretta questione frontiere, ed anche indurii accantonare la questione, proseguendo lavori entro tale limite.

Avremo nuova riunione privata domani mattina domenica e probabilmente riunione plenaria e conclusione nel pomeriggio l) (1).

(l) Vedi D. 508.

502

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL DOTTOR DUBBIOSI, A SANAA

T. 1214/74 R. Roma, 6 luglio 1935, ore 24.

Suo 112 (1).

Questo R. Ministero sarebbe di massima disposto inviare costì in visita, come proposto da V. S., missione speciale con incarico di esaminare, d'accordo con codesto Governo, questioni interessanti rapporti italo-yemenìti e dì procedere rìnnovazìone Trattato Amicizia che, come noto, scade nel prossimo anno. Prima di prendere definitive decisioni circa invio tale missione, questo R. Ministero gradirebbe tuttavia conoscere dalla S. V. se visita di cui trattasi sia desiderata e se riuscirebbe gradita all'Imam e quali siano intenzioni di quest'ultim9 circa rinnovazione Trattato Amicizia. R. Governo, in armonia con linea di condotta di leale amicizia verso Yemen sempre mantenuta e che intende continuare a mantenere, è per parte sua favorevole non soltanto a rinnovare detto Trattato, ma anche a migliorarlo in quelle stipulazioni la cui revisione, fatta di comune accordo, potrebbe riuscire vantaggiosa ad entrambi i paesi, sopratutto per quanto ha tratto alle loro reciproche relazioni economiche in questi ultimi anni cosi felicemente avviate.

Prego quindi la S. V. voler discretamente sondare Imam Yahia e Ragheb Bey per conoscere loro pensiero circa quanto sopra esposto e riferire al più presto al riguardo a questo R. Ministero (2).

503.

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3835/076 R. Venezia, 6 luglio 1935 (per. il 10).

Miei telegrammi n. 139 e 140 (3).

Come a V. E. è noto, la disposizione di questo Governo ad una sollecita abrogazione delle note leggi antiasburgiche si è fatta particolarmente viva negli ultimi mesi.

L'hanno determinata da una parte la nota campagna di alcuni elementi nazisti e del von Papen, speciosamente favorevole alla restaurazione, ma effettivamente diretta allo scopo di alienare da Schuschnigg e da Starhemberg i loro seguaci legittimisti (mio telegramma per corrie,re 060 del 1° giugno) (4); e dall'altra la non meno subdola campagna dei «democratici » cristiano sociali, imperniata sul punto che solo la restaurazione absburgica potrebbe sostituire alle « arbitrarie » attuali condizioni, un regime d'ordine e di stretto controllo parlamentare e democratico.

38 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. I

E difatti, come ho pure già riferito, il recente provvedimento si propone anzitutto di distogliere i legittimisti genuini dal prestare orecchio alle due predette interessate campagne, contrastando in pari tempo l'azione e la propaganda degli accennati elementi nazisti e cristiano-sociali. Ad esempio, mi risulta che la cura messa in queste ultime settimane dallo Heimatschutz nell'apparire presso l'Arciduca Otto come il più strenuo fautore delle adottate misure, ha già prodotto un ravvicinamento di S.A.I. alle Heimwehren.

È probabile dunque che il provvedimento corrisponderà almeno in un primo tempo, all'aspettazione del governo. Intanto è un fatto che il Gabinetto Schuschnigg, con la misura in parola, ha saputo sfruttare una delle poche questioni atte a formare intorno al nuovo regime austriaco una reale maggioranza di consensi: maggioranza formata da elementi delle più svariate tendenze ed origini politiche.

Tuttavia il provvedimento è cta considerarsi anche come una tappa verso un'eventuale restaurazione.

Schuschnigg non mi ha nascosto la sua soddisfazione per l'accordo raggiunto con l'Arciduca Otto, e giusta il quale né questo principe, né l'ex Imperatrice Zita potranno tornare in Austria senza il previo assenso del governo federale. Ma egli ha passato completamente sotto silenzio la questione della restaurazione.

Invece Starhemberg ha cominciato a ripetermi i diversi motivi (mio telegramma per corriere segreto n. 053 del 17 maggio) (l) che lo tnducono a ritenere che un'affrettata restaurazione tornerebbe completamente a scapito delle fortune politiche degli Absburgo e della Nazione; pescia mi ha fatto presente il pericolo di affidare ad un inesperto giovane ventenne la difficilissima scelta dei governanti e la preservazione dell'attuale regime austriaco, e ciò anche a prescindere dal fatto -comprovato dalla storia -della breve ed agitata durata delle restaurazioni monarchiche; ed infine mi ha accennato alla desiderabilità che in autunno sia esaminata in modo del tutto approfondito la delicata questione della restaurazione, insistendo sulla sua personale disposizione -onde sottrarre il giovane Arciduca ad ogni perniciosa influenza -ad autorizzarlo senz'altro a ritornare in Austria, dove un'opportuna sorveglianza eliminerebbe il pericolo di dette influenze (ed anche -aggiungo io, interpretando forse il suo recondito pensiero -di togliergli il prestigio dell'esilio, e ridurlo così nelle stesse anodine condizioni in cui versa l'Arciduca Eugenio, che pur ebbe grandi simpatie e prestigio). Per ultimo Starhenberg mi ha confidato senza troppo precisare, come il Cancelliere si troverebbe invece sotto "l'impressione che in Austria esista un'enorme maggioranza favorevole alla restaurazione; e che l'Italia sarebbe ormai del tutto propensa all'avvenimento stesso.

Berger non condivide affatto le apprensioni di Starhemberg ritenendo fermamente che la restaurazione è la vera e sola panacea contro ogni pericolo d'avvento o di propaganda nazista. A conforto della sua tesi ha aggiunto che, giusta sue sicure informazioni, le sfere dirigenti di Berlino sarebbero allarmatissime ed in grande preoccupazione per un'eventuale non lontana restaurazione in Austria. Berger è andato più oltre ancora, sostenendo persino che Benes comprenderebbe adesso appieno che l'unico mezzo per salvare la Cecoslovacchia

{l) Vedi D. 242.

dai crescenti pericoli di spartizione sia proprio quello di darle la stessa Monarchia che regnerebbe in Austria.

Fra questi pareri e tendenze diverse, forse la nota toccata da Starhemberg è la più giusta: quella cioè di sottoporre, nell'autunno prossimo, la questione della restaurazione ad un approfondito esame. In allora, probabilmente, saranno più chiari, oltre che il fondamento delle osservazioni dello Starhemberg e l'esatta portata delle sue stesse reali intenzioni (a tale riguardo, giova segnalare in via del tutto confidenziale che egli si affretta ad iniziare, presso questa Sede Vescovile, in prima istanza, il processo d'annullamento del suo matrimonio), anche i limiti dell'azione intrapresa presso l'Arciduca Otto dai dissidenti cristiano-sociali, allo scopo di propiziare una monarchia antifascista e nettamente consona ai vecchi ideali ed ai vecchi principi politici del partito cristiano-sociale.

Fino ad oggi questi rappresentanti della Piccola Intesa non hanno mossa osservazione alcuna ai provvedimenti relativi agli Absburgo.

(l) -Vedi D. 347. (2) -Per la risposta di Dubbiosi vedi D. 722. (3) -Non pubblicati, ma vedi D. 453. (4) -T. per corriere 3042/060 R. del 1° giugno 1935, non pubblicato.
504

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO.

Roma, 6 luglio 1935.

L'Ambasciatore Chambrun mi parla della questione del Patto Danubiano. Egli ritiene che tale problema dovrebbe essere ripreso in esame per farlo avanzare anche per togliere l'impressione che la questione austriaca sia trascurata da parte dei nostri Governi. Egli ha avuto dei colloqui a Parigi, ove si segue la cosa con molto interesse. Ne ha parlato anche al Capo del Governo e pensa che ci siano degli elementi per far progredire la questione. Gli pare che sul primo punto si possa essere tutti d'accordo (salvo le eccezioni tedesche per la definizione della ingerenza): Patto Generale di non aggressione, di non ingerenza e di consultazione. Vi è poi una seconda parte ove cominciano le divergenze. Fino ad ora si è parlato di Patti bilaterali di mutua assistenza: ci sono delle difficoltà da superare. Egli si chiede se non si potrebbe fare un Patto collettivo di mutua assistenza. Vorrebbe sentire in genere come noi vediamo la cosa. Parlando col Capo del Governo ha capito che egli sarebbe disposto a fare un Patto di mutua assistenza con la Jugoslavia e forse con altri Paesi, ma non con tutti.

Gli rispondo che effettivamente fine ad ora si era parlato di Patti di mutua assistenza bilaterali. Contro questi Patti vi è una opposizione di principio da parte della Germania la quale dichiara di non sottoscrivere al Patto Generale se alcuni degli altri Paesi partecipanti concludono fra loro dei Patti di mutua assistenza. Vi è poi una difficoltà di fatto perché alcuni Paesi dichiarano fino da ora che non faranno alcun Patto di mutua assistenza. Questi Paesi sono la Polonia e l'Ungheria; ci sono degli altri come noi e l'Austria che non saremmo disposti a fare dei Patti di mutua assistenza con alcuno dei partecipanti. Si era pensato perciò di dare ai Patti particolari come oggetto la consultazione « en vue des mesures à prendre ». Ora il concetto del Patto di mutua assistenza collettivo non mi pare possa facilitare la soluzione del problema. Gli chiedo se egli non ha pensato eventualmente ad un patto di assistenza degli altri partecipanti a favore di ogni singolo Paese partecipante, con facoltà di concluderlo o no. In questo modo si potrebbe fare un patto per l'Austria, lasciando da parte -almeno per il momento -quelli a favore degli altri Paesi. Anche per ciò vedo degli inconvenienti e non so se noi stessi saremmo disposti di entrare in quest'ordine di idee.

L'Ambasciatore si riserva di farmi avere un progetto suo personale nei prossimi giorni per concretare meglio le sue idee.

Mi chiede poi se non saremmo disposti a stringere qualche accordo coi Paesi dell'Intesa Balcanica per togliere loro l'impressione che si voglia disgregare tale intesa e che si voglia mettere da parte la Turchia e la Grecia.

II Capo del Governo a tale proposito gli ha detto che non esclude tale possibilità, ma dopo la conclusione del Patto Danubiano. Gli osservo che con questa dichiarazione del Capo egli ha già la risposta al suo quesito.

L'Ambasciatore mi parla poi della questione etiopica. Egli ha avuto un telegramma di Corbin, Ambasciatore francese a Londra, il quale informa (non per notizie ufficiali) che nell'ultimo Consiglio dei Ministri inglese si sarebbero prospettate quattro eventualità.

l) disinteressarsi del conflitto;

2) far agire il macchinismo di Ginevra (art. 15 ecc. ecc.);

3) intervenire direttamente in virtù dell'art. 16;

4) demandare la soluzione del conflitto ad un accordo tra Inghilterra, Francia e Italia.

II Consiglio dei Ministri non è stato unanime; però si sarebbe determinata una certa tendenza a favore della terza soluzione. Da quanto sa l'Ambasciatore, fino ad ora a Parigi non è stato fatto alcun passo.

L'Ambasciatore Chambrun fa per conto proprio le seguenti dichiarazioni:

-la Gran Bretagna non può seguire il primo punto: sarebbe contrario a tutta la sua politica societaria; -il secondo punto vuoi dire uscita dell'Italia dalla Società delle Nazioni; -il terzo punto vuoi dire uscita dell'Italia dalla Società delle Nazioni

e forse anche dell'Inghilterra, la quale si troverebbe isolata o press'a poco nell'applicazione dell'art. 16. Rimane quindi la quarta soluzione. L'Ambasciatore si chiede se a noi non converrebbe avviare la questione per tale via.

Gli rispondo che se il risultato dovesse essere quello di accogliere in pieno i nostri desideri evidentemente non avremmo nessuna difficoltà. Ma ciò non mi pare probabile da parte dell'Inghilterra. Bisogna fare poi i conti anche con l'Abissinia, che non si lascerà così facilmente portare via dei territori o mettere sotto protettorato.

L'Ambasciatore ritiene che gli inglesi su questa via potrebbero andare molto avanti. Egli crede tuttavia che essi potrebbero arrivare fino al protettorato, ma non pensa che potrebbero venire ad una dislocazione dell'Etiopia. Ad ogni modo la cosa gli pare molto interessante (1).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

505

IL CONTE VERNARECCI DI FOSSOMBRONE AL VICE CAPO DI GABINETTO, JACOMONI

L. P. Genova, 6 luglio 1935.

In seguito ai colloqui che, come già le ho accennato, ho avuto in questi giorni a Monaco ed a Berlino, posso confermarLe quanto segue: l) Frank ha continuato efficacemente, come d'accordo, l'opera di persuasione a favore dell'Italia. 2) Tale opera si esplica particolarmente nel senso di un inquadramento nei concetti ispiratori del Patto a quattro.

3) La Germania sarebbe disposta ad appoggiare l'azione italiana in Abissinia; a questo riguardo non esclude un interessamento personale di von Ribbentrop a Londra.

4) La Germania sarebbe disposta a garantire l'indipendenza austriaca; l'Italia dovrebbe dichiararsi in linea di principio non contraria ad un plebiscito sulla forma di governo o meglio sulla composizione del governo. La Germania sarebbe disposta ad ammettere che i tempi per tale plebiscito non siena ancora maturi.

Le comunico, a titolo di cronaca, che l'accordo con la Polonia appare completo, e che negli ambienti governativi si ritiene non lontano un accordo con la Francia. Ribbentrop lavora attivamente per il Patto aereo con l'Inghilterra.

Prossimamente dovrei rivedere Hitler dal quale saremo probabilmente ospiti con Frank a Berchtesgaden; se perciò Ella volesse farmi sapere qualche cosa in merito, mi farebbe cosa assai grata.

506

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3792/227 R. Shanghai, 7 luglio 1935, ore 9,15 (per. ore 3,25 dell'B).

Telegramma di v. E. n. 174 (1).

V. E., nel farmi l'onore di chiedere mio avviso circa sospensione o meno degli investimenti relativi alla fabbrica aeroplani ed alle forniture aerei e navali in Cina in base quesiti mossi da Ministero Finanze dopo recenti avvenimenti Cina settentrionale e dopo accentuazione crisi economica di questo 'paese, esprime chiaramente sue alte direttive di massima sulla continuità della nostra azione, adattandola anche al quadro delle relazioni itala-giapponesi, di guisa che mia opinione, evidentemente esortante a non desistere dagli impegni assunti ed eventuali prospettive, ne riesce confortata nella maniera più autorevole.

Mi spetta solo di precisare se qui siano realmente sopravvenuti elementi di fatto da giustificare una simile sospensione in attesa di chiarimenti della situazione.

Attendere che situazione cinese si chiarisca è una formula per mettere agli atti definitivi presso Ministero Finanze capitolo delle spese relative agli impegni predetti, perché è notorio che qui le cose vanno a imbrogliarsi e non certo a chiarirsi. Ma è appunto in vista di questo che noi dobbiamo affrettarci a occupare posizioni piuttosto che abbandonarle.

Personalmente e per esperienza di pace e di guerra constato che un paese come un esercito che dopo di essersi impegnato in un'azione la abbandoni, credendo di economizzare gli sforzi futuri, non fa altro che sperperare sforzi passati giacché l'indomani dovrà ricominciare da zero.

In linea di fatto osservo che azione giapponese dal nord, mentre procede a tappe, non intacca ancora corpo centrale della Cina costituito da immensa valle Yang-Tse ricca di almeno duecento milioni uomini e di risorse adeguate, dove Cina dovrà resistere o morire. Se resiste, non sarà certo il peso degli impegni verso Italia che la faranno arretrare. Se muore, o perché sconfitta o perché incapace di battersi o perché volontariamente abbandonasi alla supremazia giapponese, dobbiamo trovarci presenti per partecipare alla gara di «afferri chi può» che si scatenerà quando si vedrà che tutto si sgretola.

Entro questo quadro formidabile la questione della crisi economica attuale diventa affare di dettaglio.

Tuttavia osservo che si tratta di crisi monetaria che, tra tanti inconvenienti interni, ha per lo meno il vantaggio di accrescere per il momento le possibilità dei pagamenti all'estero.

Per tutte queste ragioni ritengo che nostro paese, per quanto impegnato vigorosamente in altri settori, debba dimostrare qui la sua figura di grande Potenza capace di mantenere posizioni su molteplici fronti mondiali, sopratutto dopo averle create.

(l) Vedi D. 468.

507

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3774/104 R. Bucarest, 7 luglio 1935, ore 17,15 (per. ore 19,10).

Visita Principe Paolo di Jugoslavia a Re Caro!, di cui ho trasmesso ieri notizia per Stefani, sembra essere stata preparata al di fuori di Titulescu che è assente, ma che pare verrà.

Da fonte molto confidenziale apprendo che la visita sarebbe in relazione anche a un preteso progetto del Principe Paolo di proclamarsi Re al posto di Re Pietro che diventerebbe erede al Trono.

Argomento principale delle conversazioni di Sinaia fra i due Capi di Stato verterà naturalmente su restaurazione absburgica che ha gettato allarme nei circoli Piccola Intesa.

Si parla di mobilitazione generale per il prossimo autunno (1).

(l) Con T. 3884/104 R. dell'H luglio 1S35, ore 14, anche Sapuppo riferiva sull'argomento comunicando: «Secondo questo Ministro Affari Esteri, imminente incontro tra Principe Paolo e Re di Romania è stato predisposto da Titulescu sopratutto allo scopo di spingere Jugoslavia a riconoscere Sovieti per rendere possibile partecipazione Patto Orientale».

508

IL MINISTRO A L'AJA, TALIANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3760/66 R. L'Aia, 7 luglio 1935, ore 22,05 (per. ore 0,10 dell'B).

Aldrovandi comunica quanto segue:

« 13. Mio telegramma 11 (1). Tenuta stamane altra riunione privata fra quattro commissari. Non si è ancora concordata nessuna formula che constatando disaccordo

fra i quattro arbitri per questione frontiera ponga o meno fine lavoro Com

missione.

Commissari La Pradelle e Potter sembrano però disposti concordare nella

decisione che permette ulteriore riunione commissione verso il 20 corr. e in cit

tà meno lontana da Roma che non sia Scheveningen.

Domani mattina si terrà altra riunione privata)}.

509

IL MINISTRO A L'AJA, TALIANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3797/67 R. L'Aia, 8 luglio 1935, ore 17,55 (per. ore 18,55).

Aldrovandi comunica quanto segue:

« 14. Mio telegramma n. 13 (2).

In seduta privata tenuta oggi è stato unicamente deciso riprendere domani seduta ufficiale commissione. In tale occasione sarà presentata nostra dichiarazione quale è stata approvata da S. E. (Suo telegramma n. 39 (3) con qualche leggera modifica mantenendo e rafforzando integralmente sostanza)} (4).

510

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL VICE CAPO DI GABINETTO, JACOMONI

L. P. Bled, 8 luglio 1935.

Ti sono molto grato dell'attenutami autorizzazione a venire a Roma per conferire e della tua gentile lettera (5) che me la conferma. Salvo contrari ordini del Ministero, riterrei però preferibile attendere ancora qualche settimana, fino a che prendano forma più concreta le intenzioni del sig. Stojadinovic il quale per il momento è tutto assorbito dalla situazione interna piuttosto confusa, e si astiene volentieri dal parlare di politica estera.

Appena mi sembrerà di essere maturo per venire a Roma con dati e notizie di reale utilità, telegraferò nuovamente -secondo le istruzioni ricevute per sapere se la data della mia venuta convenga anche al Ministero.

Intanto, mi preme avvertire che non è il caso di esagerare circa le tendenze germano file del sig. Stojadinovic; anch'io ho creduto bene di segnalare subito l'eventualità di un suo orientamento in senso tedesco sopratutto in materia di politica economica e commerciale; ma sarebbe anticipato, e inesatto, dare assoluto credito alle notizie che vedo riferite da più parti, anche da vari colleghi, di «un vero colpo di timone della politica jugoslava verso Berlino».

Quanto a noi, credo poter affermare che non vi è nulla di perduto nei confronti del precedente governo; anzi ci si guadagna nell'uomo, ·che è più intelligente e più aperto, certo più autorevole, e che, com'egli stesso ha tenuto a farmi presente, <<cresciuto alla scuola di Pasic e ritiene necessaria una politica di intesa con noi». Chi probabilmente ci ha perduto (lo si può affermare fin d'ora) è la Francia. Come ti ho detto, non si è ancora parlato di politica, salvo -in materia-uno scambio di frasi generiche e cortesi. Invece Stojadinovic ml ha molto raccomandato il desiderio del governo jugoslavo di veder applicato con maggiore elasticità e larghezza il regime del 100 % per le importazioni jugoslave, il quale, se mantenuto nella forma attuale (cioè col rigoroso riferimento ai quantitativi di ogni articolo importati nell'istesso periodo dell'anno scorso), si riduce in pratica a una concessione illusoria. Mi ha anche pregato di far note costà alcune proposte per la fornitura alla nostra Intendenza militare di carni in conserva, cereali e legnami; le proposte sembrano interessanti e le faccio oggetto di speciali segnalazioni. Come contropartita verrebbero qui accolte le proposte italiane per la costruzione della nuova rete stradale jugoslava, secondo un vasto progetto già definito, il porto sulla Sava, la fornitura dei tramways e autobus di Belgrado, ecc. (proposte di imprese Italiane all'estero, Ferro-Beton, Fiat, Stà It. Elettricità, ecc.). Mi dilungo a segnalarti queste cose perché, se ne hai l'occasione, tu possa favorirne la realizzazione cercando che le relative proposte non trovino costà la solita atmosfera incredula e diffidente. Io sono d'avviso che lo sviluppo e il consolidamento dei rapporti e degli interessi economici fra i due paesi debba essere il primo passo, e creare la piattaforma sulla quale tutto il resto potrà essere costruito facilmente e rapidamente tanto più sono di questo avviso oggi, in cui alla testa del governo si trova un uomo con mentalità eminentemente realistica e convinto di dover anzitutto risolvere il problema della crisi economica, a base agricola, che travaglia il paese (1).

(l) -Vedi D. 501. (2) -Vedi D. 508. (3) -Vedi D. 499. (4) -Circa l'interruzione dei lavori della Commissione vedi DD. 537 e 595. (5) -Non rinvenuta. L'autorizzazione era contenuta nel T. 6391/70 P.R. del 26 giugno1935, ore 24, a firma di Suvich, non pubblicato.
511

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PERSONALE 3815/456 R. Londra, 9 luglio 1935, ore 2,37 (per. ore 7,20).

Dopo una settimana di rumorosa confusione, situazione è di nuovo quella descritta nella mia lettera personale di martedì scorso (2).

(l} Una annotazione a margine dice: «fatto estratto per H Capo d! Gabinetto».

Al disorientamento ed alla irritazione determinatisi in seguito fallimento della missione di Eden ed alla ostilità della Camera dei Comuni, è seguita decisione Gabinetto di consultare Governo francese e poscia giovedì e venerdì una campagna piuttosto eccitata e pesante nella stampa.

Dalla mia conversazione di giovedì con Vansittart (il quale è autore della infelice proposta Eden per la cessione di Zeila) e sopra tutto da quella di venerdì con Hoare (1), ho tratto impressione che Governo britannico non sa più veramente cosa escogitare per uscire dal pasticcio nel quale si è cacciato.

Come Tu avrai veduto dai miei telegrammi, ho voluto dare a Hoare e a Vansittart la netta e precisa sensazione che nessuna larvata minaccia può farci impressione, che ogni eventualità è stata considerata, e che ultima parola è stata detta da Te a Eden nel recente incontro di Roma.

La notizia della risposta negativa è giunta venerdì sera ed ha improvvisamente raffreddato gli spiriti. Sabato infatti situazione è tornata abbastanza calma. La stampa ha taciuto, o quasi, sulla questione abissina.

Molta impressione ha fatto notizia che i Tuoi due figliuoli, Vittorio e Bruno, si sono arruolati fra le Camicie Nere Volontarie per l'Africa.

Ieri Observer ha pubblicato un importante articolo di Garvin interamente a noi favorevole. Garvin (che ho avuto anche oggi ospite con noi all'Ambasciata) mi ha assicurato che egli ed il suo giornale si metteranno su questa linea.

Anche il tono della stampa ufficiosa di stamane lunedì è migliorato. Commenti e articoli di fondo del Times e Daily Telegraph si sono fatti moderati e prudenti. Morning Post ha articolo addirittura favorevole.

Laburisti tacciono. La stampa dei gruppi Beaverbrook e Rothermere continua a scagliarsi contro il Governo.

Tutti i giornali riportano a grandi titoli e grossi caratteri Tuo discorso di Eboli (2), il quale è venuto dare colpo di grazia, ed ha dato oramai a tutti il senso e la convinzione dell'ineluttabile.

È superfluo assicurarTi che sto seguendo e sorvegliando freddamente ora per ora questa situazione, nel succedersi delle sue varie fasi, mutevoli, contraddittorie e paradossali. Contatti personali continui con gli ambienti politici del Governo, del Parlamento e della stampa mi danno sensazione che noi abbiamo qui guadagnato durante questi ultimi giorni e che il Governo sarà costretto d'ora innanzi a procedere con maggior prudenza. Vi è naturalmente chi spera ancora che la Francia potrà essere indotta ad una attitudine di solidarietà con l'Inghilterra, e anche per questo si attendono con una certa ansietà anche le dichiarazioni che Hoare farà giovedì alla Camera dei Comuni.

Iersera un deputato, membro del Governo, dopo avermi detto con tono di rammarico che conflitto itala-abissino era ormai da considerarsi inevitabile, aggiungeva che capi responsabili del partito conservatore stavano riflettendo sulla convenienza di posporre al febbraio p.v. data elezioni generali e ciò per non far coincidere elezioni, che sembre fossero già fissate per l'autunno prossimo, col probabile inizio nostra campagna in Abissinia.

(2) Vedi D. 475.

(l) -Vedi DD. 485 e 497. (2) -SI riferisce al breve discorso pronunciato a Eboli Il 7 luglio, ed. In B. MussoLINI, Opera omnia, vol. XXVII, cit., pp. 102-103.
512

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 3841-3862/302-303 R. Washington, 9 luglio 1935, ore 6,28 (per. ore 23).

Nel corso di una lunga conversazione avuta con alto funzionario del Dipartimento di Stato, che si occupa della Abissinia, e durante la quale abbiamo discusso in via accademica vari aspetti del conflitto itala-etiopico, mio interlocutore mi ha fatto alcune confidenze sulle quali credo dover esporre.

Il sig. Murray mi ha detto anzitutto che il Presidente e Segretario di Stato sono rimasti sgradevolmente sorpresi dai commenti stampa italiana, che ha voluto interpretare risposta del Governo degli Stati Uniti all'appello etiopico quasi come manifestazione favorevole alla tesi italiana. Tale interpretazione, ha osservato mio interlocutore, è per lo meno molto forzata.

Mi ha detto poi che riassunti dei discorsi fatti da S. E. Capo del Governo 6 corr. a Eboli (l) e Salerno sono stati pubblicati da questa stampa giorno stesso della pubblicazione della risposta americana all'Etiopia, e che affermazioni del Duce hanno seriamente imbarazzato Segretario di Stato in quanto che hanno messo evidenza contraddizione stridente fra voto americano di soluzione pacifica e decisione guerresca dell'Italia.

Mi ha detto finalmente, che il signor Hull era rimasto molto irritato del fatto che maggioranza dei giornali americani aveva interpretato risposta all'Etiopia come un esplicito «rigetto» dell'appello di Sellassié. Mio interlocutore ha osservato che simile interpretazione non ha tenuto conto delle dovute sfumature.

Ho cercato rendermi conto possibili effetti di tutte queste reazioni sfavorevoli e, pur senza poter ottenere indicazioni precise, ho avuto sensazione che Segretario di Stato contempli opportunità rettificare qualche interpretazione non corretta [data] alla risposta americana.

Questa sensazione mi è stata collaudata dall'insistenza con la quale signor Murray ha parlato delle correnti dell'opinione pubblica «che mostrano evidente simpatia per contendente più debole » e dai suoi ripetuti accenni al movimento dei negri negli Stati Uniti a favore dell'Etiopia.

Ho fatto rilevare al mio interlocutore che questi elementi sentimentali non dovrebbero influire sull'attitudine di un Governo che è in grado giudicare situazione con criterio politico ispirato da equo senso storico e realistico. A ciò egli ha ribattuto che Governo deglì Stati Uniti non può fare a meno di tener conto dell'opinione pubblica.

Credo utile infine riferire che, parlando della polemica itala-inglese, mio interlocutore ha mostrato di voler giustificare atteggiamento dell'Inghilterra con necessità salvaguardare autorità ed esistenza stessa della S.d.N.

Gli ho osservato che simile preoccupazione non si era mai rivelata così forte durante la crisi per Manciuria quando rappresentanti britannici a Ginevra avevano in pratica sabotato incidente diplomatico americano. Mio interlocutore ha convenuto, ma ha osservato a sua volta che politica di Simon era ormai superata.

Valendomi delle nostre vecchie relazioni personali e del carattere confi

denziale della conversazione, ho chiesto allora al Murray se per caso inglesi

avessero fatto passi a Washington per sollecitare appoggio americano nella que

stione etiopica e se Dipartimento di Stato contemplasse qualche ulteriore seguito

all'appello di Sellassié.

Egli mi ha confermato (mio telegramma n. 293) (l) che il Governo britan

nico non aveva fatto alcun passo. Circa la seconda domanda egli è stato invece

reticente limitandosi a dire che «persone le quali dovevano prendere decisione

(alludendo probabilmente al Presidente ed al Segretario di Stato) non erano

ancora arrivate ad una decisione né positiva né negativa».

Continuerò a tenermi in contatto con Dipartimento di Stato e mi riservo

segnalare eventuali fatti nuovi.

Mi permetto intanto di raccomandare che nel commentare o interpretare

atti del Governo americano nostra stampa tenga possibilmente conto delle pre

vedibili reazioni di questi ambienti che sono fra l'altro influenzati da preoccu

pazioni di politica interna.

(l) Vedi D. 511, nota 2 p. 535.

513

IL DOTTOR DUBBIOSI AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3885/153 R. Sanaa, 9 luglio 1935, ore 7 (per. ore 12,40 dell'11).

In una visita privata durante malattia Imam (cui trattamento è a me affidato) egli mi ha fatto spontaneamente seguenti dichiarazioni: «Notizie riportate da giornali arabi e europei circa atteggiamento Imam in presenti relazioni itala-etiopiche mostrano chiaramente scopo falsare verità.

Trattato concluso riguarda solo relazioni amicizia e commercio, come risulterà anche dalla prossima sua notificazione (2). Notizie su disposizioni Governo yemenita relative ad arruolamenti truppe fuori dello Yemen e a sbarco vettovaglie sono solo ad arte messe in giro ma non rispondono alla realtà, né risponderebbero alla convenienza che ha Governo yemenita di prendere favorevole atteggiamento verso Governo etiopico (col quale anche scambi commerciali sono minimi e poco profittevoli) a scapito delle buone relazioni col Governo italiano mantenute con vantaggio materiale e morale verso R. Governo».

Tutte dichiarazioni Imam sono state molto espressive e ripetutamente sottolineate (3).

514

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 9 luglio 1935.

Se la situazione non è cambiata da questa mattina dobbiamo ritenere che la Commissione Arbitrale per l'incidente di Ual-Ual dovrà interrompere propri

lavori. Ciò potrà avvenire sia con carattere definitivo, sia con carattere temporaneo.

Se le Parti dichiarano di non potere accordarsi sul punto delle frontiere e da parte nostra si chiede che la questione sia rinviata ai Governi, mentre da parte abissina si chiede la nomina del quinto arbitro, non c'è altro da fare che venire alla determinazione che la Commissione non è in grado di funzionare.

Se invece, pur riconoscendo l'esistenza del dissidio sul punto delle frontiere, tutt'e due le Parti accettano di deferire la questione ai rispettivi Governi, la Commissione potrà sospendere i propri lavori finché tale punto sia risolto.

Nell'un caso e nell'altro però sarà portata a conoscenza del pubblico l'esistenza del dissidio e ci sarà una interruzione dei lavori. La questione sarà considerata nell'opinione pubblica mondiale un nuovo elemento di allarme.

Tale incidente può però darci buon giuoco. Noi abbiamo tutte le ragioni di denunciare la malafede e lo spirito ostruzionistico abissino in quanto, sia dallo scambio di vedute che dalle dichiarazioni di Ginevra, risulta che la questione delle frontiere non deve essere trattata. Ora la Commissione di Arbitrato va in aria per il fatto che gli abissini vogliono discutere appunto la questione delle frontiere e quindi quanto succede è da ascriversi alla esclusiva colpa dell'Etiopia.

Prova ulteriore quindi dell'impossibilità di collaborare con gli Etiopi ecc. ecc. e giustificazione della nostre richieste.

In tutto ciò c'è un inconveniente: che la cosa avviene troppo presto in modo che noi non siamo in grado di sfruttare immediatamente la situazione a nostro favore. E allora c'è da aspettarsi una nuova convocazione del Consiglio della Società delle Nazioni con tutte le noie che ne seguono. Ad ogni modo per ora non c'è che da sfruttare la situazione salvo ad esaminare poi se ci convenga fare uno sforzo per far riprendere i lavori alla Commissione (senza cedere naturalmente su nessuno dei nostri punti fondamentali) ed evitando, per quanto possibile, il Consiglio di Ginevra. Ciò potrà avvenire sia per la pressione esercitata da altre Potenze sull'Abissinia, sia con qualche chiarimento in sede di Società delle Nazioni, sia con altra procedura da escogitare.

Si prepara un a:ppunto sul modo in cui la questione di Ual-Ual dovrebbe essere trattata dalla nostra stampa (1).

(l) -Vedi D. 486. (2) -Con T. 4812-4905/189-190 R. del 20 agosto 1935, il dottor Dubbiosi trasmetteva il testo del trattato, datogli in visione, peT ordine dell'Iman, dal Cadi Abdallah. (3) -Per la risposta di Suvich vedi D. 549.
515

IL MINISTRO A L'AJA, TALIANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3849/69 R. L'Aja, 9 luglio 1935, ore 17,41 (per. ore 20).

Aldrovandi comunica quanto segue:

« 16. Mio telegramma n. 9 (2).

In seduta tenuta stamane ho dato lettura della nostra dichiarazione che è del tenore seguente. (Come telefonato sub uno).

La Pradelle ha dato lettura di due documenti del seguente tenore.

1° -(Come telefonato sub due).

2° -(Come telefonato sub tre).

Tali documenti sono poi stati versati al verbale.

La Pradelle ha poi chiesto se noi intendevamo aderire alla seconda dichiarazione.

(Telefonata sub tre).

Abbiamo naturalmente risposto di no, per le ragioni evidenti risultanti dalla

nostra dichiarazione. È stato concordato che il tutto venga notificato per mezzo del Segretariato agli agenti del Governo italiano e etiopico.

Così si è conclusa seduta: non senza essere prospettato da parte nostra e da parte dei commissari nominati dall'Etiopia che commissione potrà nuovamente riunirsi se e quando Governo italiano ed etiopico abbiano deciso sull'incidente in modo rendere possibile nuovo incontro della commissione.

Ministro Taliani, secondo accordi presi con S. E. Ciano, ha telegrafato alla Stefani progetto di comunicato alla stampa redatto dal Comm. Guarnaschelli.

Trasmetto altresì, ad ogni buon fine anche elementi forniti dal professar Lessona per rettificare prevedibile campagna che si sferrasse da parte Etiopia interpretando capziosamente ragione del disaccordo fra arbitri per questione frontiera (come telefonato sub quattro) ».

(1) -Non rinvenuto. (2) -Vedi D. 484.
516

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. Terapia, 9 luglio 1935.

Ti ringrazio della cortese comunicazione di cui tua lettera n. 5278 del 2 corrente mese (l).

Il documento, che dovrebbe essere una relazione di un colloquio fra Aras ed il nuovo Ministro di Rumania, Filotti, conferma del resto in ogni punto quanto ho avuto occasione di comunicare di colloqui di Aras a me, o di mie impressioni.

Sui sentimenti vari suscitati in Turchia dalla questione abissina, ed anche sul timore che da questa dovessero nascere complicazioni internazionali ed una nuova situazione reciproca delle potenze ho riferito più volte.

Ho pure riferito delle preoccupazioni per un eventuale diverso atteggiamento della Jugoslavia ed una possibile e temuta intesa con noi, ed al risentimento contro la Francia che a ciò spingerebbe, specialmente con telegramma per corriere n. 027 del 26 giugno u.s. (2).

Ho anche riferito sulla questione degli Stretti ampiamente, ed altro mio

rapporto su tale argomento partirà con questo medesimo corriere (1).

Solo punto nuovo per me nella relazione inviatami, è il pensiero di Aras quanto alla situazione della Società delle Nazioni ed alla conseguenza per essa nelle varie ipotesi che si possono fare in rapporto allo sviluppo del conflitto. È chiaro del resto che l'opinione di Aras non può essere diversa da quello che è, tenendo presente quanto ho riferito: e cioè che la facile immaginativa turca vede in ogni atto quotidiano della nostra mobilitazione e della nostra preparazione bellica [per] il conflitto abissino, quello che potrà fare l'Italia il giorno in cui il nostro paese rafforzato in ogni possibile senso sia militare che diplomatico da un successo abissino, rivolgerà le sue mire ad altri obiettivi che nessuno qui dubita abbiano ad essere o prima o poi gli anatolici. Quindi, quanto come e fin dove giuocherà la Società delle Nazioni per impedire eventualmente il conflitto, sarà quanto come e fin dove giuocherà la S.d.N. nell'ipotetico conflitto itala-turco, se e quale momento essa esisterà ancora.

La politica turca attraversa in questo periodo un momento di completa sosta. Perdurano solo le apprensioni ed i sospetti verso di noi, ma è calma piatta nell'attività estera, anche perché nessun membro del Governo è ad Ankara ed Aras si riposa sul lago di Van, lontano da ogni rumore e da ogni rapida comunicazione. La Turchia attende quello che sarà il maturarsi degli eventi fino all'autunno, e quali nuove combinazioni si delineeranno per allora, per prendervi quella posizione e funzione che le sembreranno più utili alla sua difesa. In tanto ha fissato questi due punti.

a) l'accordo franco-italiano le toglie la possibilità di profittare di precedenti divergenze e contarvi per una sua difesa,

b) l'accordo franco-russo le toglie una posizione di privilegio a Mosca sulla quale essa contava, e fa perdere ai Soviet quel carattere anti-occidentale che coincide con lo spirito anti-occidentale che è una delle caratteristiche della politica kemalista. Nella quale, oggi, prende un posto sempre più preminente la questione degli Stretti che, specialmente elementi militari, sembra, vorrebbero risolvere al di fuori ed al di sopra di negoziati internazionali, con atto proprio.

Non ho preso copia del documento inviatomi, e che qui unito ti restituisco.

(l) -Con tale lettera, non pubblicata, Suvich aveva trasmesso a Galli un documento pervenutogli dal Servizio Informazioni Mllltare. (2) -Vedi D. 438.
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GRANDI, A PARIGI, PIGNATTI, E A WASHINGTON, ROSSO

T. 1239/C. R. Roma, 10 luglio 1935, ore 2.

Cosidetto incidente Ual-Ual, vera e propria aggressione in tempo di pace, non potè risolversi via diplomatica perché fin dall'inizio Governo etiopico cercò implicarvi pretesa appartenenza territorio all'Etiopia.

Governo etiopico infatti non poteva tr_ovare altra scusante suo atto violenza se non adducendo tale pretesa. Ma è evidente che essa anche se fosse stata fondata non avrebbe mai potuto escludere responsabilità abissina. Aggressione avvenne infatti senza vi fosse stata mai previa discussione fra i due Governi sulla sovranità di Ual-Ual, di cui Italia travasi in possesso da parecchi anni senza che mai tale possesso siale stato contestato da Etiopia.

Possesso pacifico palese non precario trova anche nel diritto internazionale sua tutela espressa nel divieto di turbativa. Maggiore Cimmaruta bene rispose al comandante forze etiopiche dinanzi Ual-Ual che questione appartenenza località era competenza due Governi e non due Comandanti.

Esaurita via diplomatica Italia consentì intraprendere procedura arbitrale, ma fin dal primo momento in cui cominciarono trattative per stipulazione compromesso, tenne ad escludere chiaramente ogni discussione su questione frontiere:

1° -perché, come si è visto, tale discussione sarebbe stata irrilevante ai fini constatazione responsabilità etiopica nell'aggressione, ed era sollevata da parte abissina unicamente per cercare artificiose attenuazioni tale responsabilità;

2° -perché non poteva assolutamente ammettere che fosse affidata a Commissione arbitrale decisione circa andamento confine somalo-etiopico.

Atteggiamento italiano risulta chiaro dallo scambio note diplomatiche col Governo etiopico nonché dalle discussioni avvenute a Ginevra. Da tali atti risulta anche chiaro come compromesso sia stato in definitiva concluso mantenendosi ferma esclusione ogni discussione questione frontiere. Ciò fu ripetuto chiaramente dalla Delegazione italiana Ginevra nella seduta del 25 maggio (1).

Quando ora pertanto agente etiopico ha sollevato di nuovo all'Aja diversivo appartenenza Ual-Ual (2), all'agente italiano non rimaneva che opporsi alla discussione su questo punto poiché era evidente scopo cercare diversivi alle schiaccianti prove responsabilità etiopica.

Né proposta affidare al quinto arbitro decisione in merito aveva ragione essere perché aìtrimenti quinto arbitro avrebbe potuto sostituire propria volontà a quella del Governo italiano più volte chiaramente espressa in sede negoziati per il compromesso e a Ginevra.

(l) Non rinvenuto.

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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 3864-3903/307-308 R. Washington, 10 luglio 1935, ore 6,39 (per. ore 3,05 dell'11).

Mio telegramma n. 302 (3).

Stamane Segretario di Stato per gli Affari Esteri mi ha fatto chiamare e dopo avermi chiesto notizie varie sulla situazione economica in Italia mi ha detto testualmente:

«Ella conosce l'appello fatto al Governo degli Stati Uniti dall'Imperatore Sellassié e risposta datagli pel tramite della Legazione degli Stati Uniti ad Addis Abeba. Questa nostra risposta ha ricevuto in certi ambienti europei una interpretazione non esatta e che mi ha stupito. Per questo desidero farvi una comunicazione per mettere le cose in chiaro ».

A questo punto Segretario di Stato ha letto un appunto chi mi ha poi consegnato e del quale riproduco traduzione letterale:

«Pur non essendo famigliari coi fatti e col merito delle ·questioni in discussione fra l'Italia e l'Abissinia, noi siamo vivamente interessati mantenimento della pace in tutte le parti del mondo e siamo specialmente interessati in quegli accordi internazionali aventi scopo di raggiungere soluzione delle controversie con mezzi pacifici. Essendo convinto che progresso del mondo e ricostruzione economica hanno urgente bisogno di condizioni pacifiche specialmente in questo momento, ho sentito il bisogno di farvi presente mia crescente preoccupazione per situazione creata d<tl conflitto fra l'Italia e l'Etiopia e mia viva speranza che sarà trovato modo di raggiungere soluzione del problema pacificamente e soddisfacentemente per entrambi le parti ».

Segretario di Stato ha aggiunto che mi faceva questa comunicazione verbalmente e con spirito assolutamente amichevole.

Di sua iniziativa egli mi ha poi detto che non (dico non) intendeva darne notizia alla stampa, alla quale sarebbe stato detto soltanto che nel corso della visita fattagli dall'Ambasciatore d'Italia era stata discussa questione concernente scambi commerciali ed era stata menzionata incidentalmente Etiopia.

Tono molto cordiale col quale il signor Hull mi ha fatto comunicazione, premura messa nell'assicurarmi del suo carattere amichevole e non formale e infine precauzioni prese per evitare commenti della stampa, mostrano che passo da lui fatto oggi ha voluto essere essenzialmente una rettifica della interpretazione favorevole data dalla nostra stampa alla risposta americana all'Etiopia. Può darsi anche che comunicazione sia stata parimenti consigliata dalle forti proteste pervenute in questi giorni al Dipartimento di Stato da parte organizzazioni pacifiste (telegramma stampa 512) (1).

Segretario di Stato ha cioè voluto mettersi al riparo ad ogni buon fine dalle eventuali accuse di non avere esso comunicato all'Italia proprio pensiero sulla situazione. Ciò egli ha fatto oggi in modo molto blando e nella forma più amichevole, quasi scusandosi con me della necessità di farlo, senza mostrare alcun desiderio di discutere sia pure soltanto in via accademica merito della vertenza.

Tutto ciò mi conferma nella persuasione che il Governo degli Stati Uniti farà di tutto per rimanere estraneo al conflitto itala-etiopico e che per il momento è deciso resistere alle pressioni esercitate da alcune influenti organizzazioni per forzarlo ad assumere pubblicamente posizione a favore dell'Etiopia dandole se non altro appoggio morale.

Per evitare che questa attitudine possa modificarsi, mi permetto raccomandare ancora la maggior cautela da parte nostra stampa nel commentare manifestazioni americane onde non fornire pretesto ad attacchi contro astensionismo del Dipartimento di Stato (2).

(l) -Vedi D. 279. (2) -Vedi D. 489. (3) -Vedi D. 512. (l) -Non si pubblica. (2) -con T. 1268/267 P.R. del 13 luglio 1935, ore 24, Ciano rispondeva: «Sono s.tate impartite alla stampa italiana direttive nel senso suggerito da v. E.».
519

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3866/463 R. Londra, 10 luglio 1935, ore 20,55 (per. ore 4 dell'11).

Ho avuto anche stamane una lunga conversazione con Vansittart, che ho trovato come al solito piuttosto scoraggiato e imbarazzato.

Egli ha cominciato col fare ancora stamane una delle sue solite pitture a tinte scure della situazione internazionale come conseguenza del conflitto italoabissino, insistendo nuovamente sulle ripercussioni che la nostra azione militare in Abissinia potrebbe determinare nella già incerta ed inquieta situazione dell'Europa. Secondo sue dirette informazioni la Germania sta già svolgendo una azione serrata nei paesi del Centro e dell'Est europeo, particolarmente in Austria ed in Ungheria, per persuadere i Governi e l'opinione pubblica di questi Paesi che l'Italia, una volta fortemente impegnata in Africa, non sarà in grado di continuare a svolgere la sua azione, per lo meno in modo altrettanto tenace ed efficace, per resistere al programma tedesco di espansione verso l'Austria ed i Paesi danubiani. A questo stato di ansietà che, secondo Vansittart, si sarebbe già manifestato nei Paesi del Centro Est europeo, fa d'altra parte riscontro l'attitudine tedesca di incoraggiamento all'Italia nella sua azione in Africa, e non sono mancati personaggi tedeschi i quali hanno già cercato di rappresentare a Londra l'azione militare dell'Italia in Africa come un fatto che alla fine potrebbe essere destinato a influire in senso favorevole per la futura pace dell'Europa, in quanto che l'Italia, una volta impegnata in Africa, non potrebbe opporre alla fatale azione tedesca verso l'Austria una efficace resistenza; la questione austriaca sarebbe così risolta senza gravi complicazioni di guerra e la pace dell'Europa sarebbe per lungo tempo assicurata. Per tutte queste ragioni la Germania consiglia l'Inghilterra a non opporsi all'azione militare dell'Italia, dato che questa reagirà alla fine nell'interesse della pace dell'Europa.

Ho ribattuto a Vansittart che non (dico non) mi risultava affatto che i Paesi Danubiani nutrissero le ansietà alle quali egli aveva fatto allusione e che, per quanto riguarda le possibili mene tedesche, queste sono comunque destinate al più sicuro fallimento. Ad ogni modo, ho continuato, quanto sta accadendo in Europa è tutto e soltanto colpa dell'Inghilterra. Se l'Inghilterra, invece di inscenare la pericolosa montatura alla quale abbiamo assistito e assistiamo sulla questione abissina, minacciando così di spezzare irreparabilmente il fronte della pace europea solennemente proclamato a Stresa, e costringendo l'Italia a raddoppiare il suo sforzo militare in Africa, avesse facilitata sin dall'inizio la nostra politica di sicurezza e di espansione coloniale, Vansittart non avrebbe motivo alle sue amare riflessioni di oggi. La pace dell'Europa e l'indipendenza austriaca sono un interesse dell'Italia, ma anche e sopra tutto un interesse della Gran Bretagna. «Voi dimenticate troppo spesso », ho detto, « che la città più vicina a Vienna è proprio Bagdad ». E per quanto riguarda le ripercussioni d'ordine, diremo così, psicologico, del conflitto italo-abissino in Europa, esse sono irrilevanti. Gravi sono viceversa le ripercussioni in Europa

39 ---Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. I

della tensione fra Inghilterra e Italia, tensione determinata esclusivamente dalla attitudine inglese nella questione abissina. Non è l'ipotesi di un indebolimento militare italiano sul continente che interessa la Germania da una parte e le Potenze del Centro Est-europeo dall'altra. Quello che interessa è l'indebolimento della cooperazione itala-britannica in Europa. L'Inghilterra è ancora in tempo per ravvedersi e modificare il suo assurdo atteggiamento; ma non c'è tempo da perdere.

Vansittart ha replicato dicendo che ove l'Inghilterra aderisse all'idea di un mandato o protettorato italiano sulla Abissinia egli teme vi sarebbe a Ginevra la rivolta delle Piccole Potenze. Ho risposto dicendo che egli non conosce affatto Ginevra. L'appoggio dato dalle Piccole Potenze due anni or sono alla Grande Cina ha lasciato il tempo che ha trovato, e d'altra parte nessuna Piccola Potenza vorrà mai in alcun caso rischiare, difendendo l'Abissinia, di essere considerata al livello di quel paese di schiavisti e di selvaggi.

Vansittart mi ha a questo punto domandato quali erano state le mie impressioni della mia conversazione con Hoare (1), e particolarmente sul punto relativo ad un possibile scambio di idee fra le Tre Potenze firmatarie dell'Accordo Tripartito, il che rappresenterebbe un ulteriore tentativo di esame della questione fuori di Ginevra.

Ho risposto a Vansittart quello che avevo risposto a Hoare. È troppo tardi. La situazione è sostanzialmente diversa da quella che non fosse al mese di gennaio. La decisione del Duce è irrevocabile e l'ultima parola il Duce l'ha detta nel suo incontro con Eden. II Duce, respingendo l'offerta di Zeila, ha posto a Eden delle alternative chiare, nette e precise, e il Governo inglese non ha che a riferirsi e a riflettere su quelle.

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IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3927-3928-3929/097-098-099 R. Praga, 10 luglio 1935 (per. il 13).

Terminate le varie grandi manifestazioni succedutesi a Praga nelle ultime settimane (congresso cattolico, ecc.) ho avuto una lunga conversazione con Benes nella quale gli ho anche chiesto le impressioni riportate dal suo viaggio in Russia.

Mi ha detto che, dal punto di vista interno, il regime sovietico gli è apparso molto solido. II piano quinquennale è riuscito e l'attrezzamento industriale del paese gli assicura ormai una notevole autarchia. II regime marcia rapidamente verso una normalizzazione se non addirittura verso un imborghesimento dei poteri. Punto debole sono ancora le comunicazioni, ma in compenso l'aviazione è assai progredita.

Dal punto di vista esteriore, la Russia sovietica desidera sinceramente la pace per consolidarsi all'interno. Della Germania diffida, ma senza aggressività. Desiderosa di veder consolidarsi l'ordine europeo, la Russia è favorevole al mantenimento dell'indipendenza dell'Austria, anche perché l'estendersi dell'hitlerismo da Vienna a Budapest costituirebbe, attraverso la Romania, una minaccia avvolgente dal sud per la Russia. Quindi a Mosca si è favorevoli alla conclusione del patto danubiano, per la quale il Governo sovietico si adopererà in ogni occasione pur non desiderando partecipare né al patto stesso né alle trattative. In tal senso si sarebbero espressi con Benes Stalin Molotov e Litvinov.

In quanto al patto ceco-sovietico Benes mi ha confermato di aver mantenuto a Mosca la sua linea di non volerlo impiegare contro la Polonia, e che, anche in caso di aggressione polacca alla Russia, il patto non comporta un obbligo di assistenza cecoslovacca a quest'ultima.

Benes mi ha parlato dell'attuale momento della questione austriaca segnalandomi l'attività a Vienna di von Papen, il quale, oltre ai contatti diretti avuti nelle scorse settimane con Starhemberg e Berger-Waldenegg, si servirebbe anche del dr. Funder, della Reichspost, come di elemento a lui ligio. Le informazioni di Benes sul fermo atteggiamento di Berger-Waldenegg concordano in generale con quanto ha riferito il R. Ministro a Vienna con suo telegramma per corriere n. 071 del 27 giugno (l) (telespresso di V. E. n. 221974/C del 4 corr.).

Benes è poi venuto, di sua iniziativa, sulla questione absburgica, ripetendomi le sue note tesi che la restaurazione degli Absburgo è peggio dell'Anschluss, e che la Piccola Intesa è fermamente decisa a non tollerarla, essendo andata al massimo della sua condiscendenza col non sollevare eccezioni alla recente legge di restituzione dei beni. In tal senso Benes si sarebbe cortesemente ma francamente espresso con questo Ministro d'Austria, presso il quale mi riservo di controllare subito la cosa (non avendo il tempo di farlo prima della partenza dell'odierno corriere) (2). Benes ha aggiunto che il ritorno di Otto e di Zita in Austria sarebbe però un tale passo verso la restaurazione che la Cecoslovacchia e i suoi alleati non potrebbero !asciarlo passare. Per cominciare, la Cecoslovacchia dovrebbe ritirare il proprio Ministro da Vienna non potendolo lasciare in una situazione insostenibile per la sua ambiguità. A questo proposito Benes dice che si propone anzi di promuovere una regolamentazione, dal punto di vista del protocollo diplomatico, della situazione degli Arciduchi residenti in Austria, essendo anche inammissibile che essi possano avere una precedenza sui Rappresentanti esteri.

Benes si è insolitamente accalorato su questa questione, tanto da darmi occasione di chiedergli se egli non avesse per avventura già avuto occasione di perorare i suoi argomenti presso qualche mio collega. Al che mi ha risposto che infatti aveva avuto occasione di dire chiaro e tondo quanto precede al Ministro di Francia. Non ritengo ancora opportuno di sincerarml con Naggiar circa l'origine e portata delle sue conversazioni con Benes sull'argomento, ma risulta dunque che la questione della restaurazione è stata trattata dal nuovo Ministro di Francia a Praga in senso non del tutto soddisfacente per Benes.

Il quale mi ha poi svolto una nuova argomentazione contro la restaurazione, sostenendo che: l) la restaurazione aprirebbe la via all'Anschluss e ad una ulteriore hitlerificazione dell'Austria, perché tutti gli elementi di sinistra sopravissuti in Austria sarebbero contro gli Absburgo, e, piuttosto che aderire al regime monarchico, preferirebbero passare in massa a Hitler; 2) la restaurazione, essendo insopportabile per la Jugoslavia ed avversata dalla Germania, precipiterebbe il riavvicinamento fra le due Potenze e getterebbe definitivamente la prima nelle braccia della seconda: dunque essa determinerebbe rapidamente e irrimediabilmente il duplice danno di affrettare l'Anschluss e far passare la Jugoslavia nel campo germanico.

Per evitare questo, Benes, trovandosi attualmente la Germania sullo stesso piano della Piccola Intesa in senso contrario alla restaurazione absburgica, potrebbe vedersi indotto ad unire gli sforzi concomitanti del suo paese e dei suoi alleati con quelli della Germania per opporsi alla restaurazione stessa. Anche quest'argomentazione Benes mi ha detto di aver prospettato alla Francia.

Come riferisco con telespresso documentato a parte (1), questa stampa si mostra abbastanza nervosa per le misure di reintegrazione degli Absburgo nei loro beni, ed è tornata ad essere citata l'immagine, già adoperata in confronto del dilemma fra l'influenza della Germania a quella dell'Italia a Vienna, che fronteggiare l'Anschluss con la restaurazione significherehhe «invocarP Satana per scacciare Belzebù ».

Da parte mia mi sono attenuto ad un atteggiamento di riserbo di principio, !imitandomi ad osservare a Benes, a titolo personale e puramente teorico, che, pur senza pronunciarmi sulla opportunità o meno della restaurazione absburgica, trovavo eccessiva la valutazione del pericolo degli Absburgo da parte degli Stati della Piccola Intesa, per il fatto che nel momento in cui l'Absburgo diventasse pericoloso per i suoi vicini lo diverrebbe anche per l'Italia, la quale costituisce il più sicuro limite alla risurrezione di un eccessivo imperialismo austro-absburgico.

Ho domandato a Benes accademicamente ed a titolo personale, le sue in.· pressioni sull'attuale momento (10 luglio) della questione itala-etiopica in confronto della S.d.N. in vista delle prossime riunioni cui egli parteciperà come membro del Consiglio della Lega.

Mi ha detto che personalmente egli è nettamente contrario a che il conflitto debba essere risolto dalla Lega. Gli ho osservato che secondo voci ginevrine (vedi telespresso di codesto Ministero n. 217785/C del 31 maggio) (l) si attribuivano ai delegati della Cecoslovacchia e della Turchia intendimenti diversi. Me lo ha smentito in modo categorico assicurandomi di non aver mai detto a nessuno cose di tal genere. (Che sia stato Osusky? Comunque è roba sorpassata).

Benes è d'avviso che la soluzione più desiderabile sia che un accordo venga trovato fuori della Lega fra le tre Grandi Potenze interessate e che, se mai, le basi dell'accordo vengano in seguito portate, per eventuali sviluppi che si reputassero opportuni, alla Società delle Nazioni. Per conto suo, se la questione verrà davanti alla S.d.N., Benes intende in massima astenersi dal partecipare

al dibattito. Sull'eventuale questione della competenza della S.d.N. egli si pronuncerebbe in senso negativo, per evitare alla Lega di trovarsi in una situazione grave e pericolosa. Sull'eventuale questione di sanzioni contro l'Italia egli si pronuncerebbe in senso negativo. Nei limiti delle sue responsabilità egli si adopeperà, se richiesto, per favorire quelle soluzioni che potessero condurre ad evitare un conflitto con soddisfazione dell'Italia.

In via di discorso Benes mi ha ripetuto (mio telegramma per corr. n. 804 del 5 giugno u.s. (l) che, a suo modesto avviso sarebbe stato preferibile che l'Italia. la cui piena presenza ed efficienza in Europa risponde ad altissimi interessi suoi e dell'Europa, avesse affrontato l'impresa etiopica dopo aver dato un assetto alla questione danubiana. Ma egli si rende conto che tali considerazioni sono sorpassate.

Mi ha tuttavia ripetuto che indubbiamente la Germania approfitterà fino all'estremo limite di ogni sia pur piccola diminuzione della presenza e dell'influenza dell'Italia nelle regioni danubiane e balcaniche per sostituirsi ad essa. E mi ha pure espresso il suo timore che l'Inghilterra, una volta che l'Italia sarà impegnata a fondo contro l'Etiopia, possa indursi a suscitarle incidenti, difficoltà e pericoli in Austria ed alle nostre frontiere orientali, nel che potrebbe contare sull'appoggio della Germania.

(l) Vedi D. 497.

(l) -Vedi D. 456, nota l. (2) -.Vedi D. 546.

(l) Non pubbHcato.

521

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE DESTINATO A PARIGI, CERRUTI (2)

ISTRUZIONI. Roma, 10 luglio 1935.

lo -Fare sempre ed in ogni occasione intendere che si attribuisce da parte dell'Italia la massima importanza agli Accordi Militari conclusi dalle maggiori Autorità tecniche dei due Paesi (3). Sostenere che essi sono definitivi ed impegnativi per qualsiasi Governo che dovesse succedere a quello che li ha conclusi. Gli accordi stessi pçtranno però essere perfezionati ed entrare a far parte di un eventuale accordo politico di portata ancora maggiore.

2° -Non tralasciare occasione per spiegare le ragioni della nostra politica nell'Africa Orientale, in modo da modificare le erronee opinioni di taluni uomini politici e diplomatici c1el Quay d'Orsay i quali prestano fede a pretese scissioni inesistenti in Italia.

3° -Astenersi dall'esprimersi in termini che possano lasciar supporre che l'Italia desidera una mediazione ed eventualmente agire in modo che la mediazione non sia proposta. Questa non deve aver luogo perchè siamo decisi a marciare ed a conquistare col sangue della gioventù fascista il più vasto nostro Impero coloniale africano.

4° -Seguire attentamente i movimenti interni, tenendo presente che occorrerà agire subito conformemente è detto al n. l.

(l) -Vedi D. 344. (2) -Il 26 giugno Mussolini aveva deciso un movimento diplomatico che prevedeva i seguenti spostamenti di ambasciatori: Cerruti da Berlino a Parigi, Attolico da Mosca a BerUno, Arone a Mosca e Pignatti da Parigi alla Santa Sede. (3) -Vedi D. 480.
522

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3874/464 R. Londra, 11 luglio 1935, ore 3 (per. ore 9,45).

Avenol ha conferito nella mattinata di oggi martedì (l) con Hoare e Eden, ed è venuto subito a trovarmi.

Egli mi ha anzitutto manifestato la sua soddisfazione per essere giunto a Londra nel momento che egli ritiene il più opportuno e il più utile, e cioè nella fase di esaurimento di quella che è stata una infatuazione societaria della politica britannica, senza contenuto pratico e piena di rischi di ogni genere per tutti.

Avenol non mi ha nascosto la sua irritazione per questa specie di «zelantismo » a sfondo elettorale delle correnti politiche britanniche pretendendo erigersi paladini della Società delle Nazioni e a furia di grida «bisogna salvare la Lega delle Nazioni » altro non fanno se non comprometterne il prestigio e forse l'esistenza.

Avenol mi ha confermato di avere, nei primi contatti di stamane, [riscontrato] una situazione meno rigida di quella che prevedeva: il Governo britannico comincia a rendersi conto finalmente che insistere nel ricercare esclusivamente nella macchina della Lega delle Nazioni la soluzioni del difficile problema etiopico, significa aggravare senza alcuna speranza di uscita problema stesso, e crearne dei nuovi assai più gravi e complicati non solo per la Società delle Nazioni ma soprattutto -dice Avenol -per la pace dell'Europa che ha assoluto bisogno della cooperazione incondizionata dell'Italia dell'Inghilterra e della Francia.

Per cercare una pace fittizia in un punto qualsiasi del continente africano, il puritanismo inglese sta mettendo a soqquadro l'Europa. Quest'ultima invece è la grande malata che soltanto deve premerei e interessare in questo momento.

Avenol è d'avviso che bisogna lasciar stare Ginevra, almeno per ora, e che le tre Potenze interessate affrontino il problema abissino con crudo realismo e senza perdere tempo a esaminare palliativi, che sono superati ormai interamente dagli avvenimenti.

Ho interrotto Avenol per ricordargli che sino [dal] 29 gennaio scorso, all'indomani cioè dell'accordo Mussolini-Laval, il Duce ha formalmente richiesto al Governo inglese di iniziare subito conversazione per raggiungere al più presto un accordo itala-inglese sulle basi di quello ragg.iunto con Lavai. Il Governo inglese ha sempre temporeggiato. Oggi -ho creduto intanto bene di dire subito ad Avenol -mi sembra tardi per addivenire a delle trattative tra le tre Potenze. La situazione, per colpa soprattutto dell'Inghilterra, si è aggravata nel frattempo ed è comunque diversa da quella che era nel gennaio scorso. La resistenza dell'Inghilterra ci ha obbligato a raddoppiare il nostro sforzo diplomatico

e militare. Il problema della nostra sicurezza africana si è trasformato, per volontà del Duce e del popolo italiano, nella necessità assoluta e improrogabile di risolvere il problema storico dell'espansione italiana. Non vedo quale utilità pratica potrebbe apportare oggi scambio idee fra le tre potenze mentre in Africa situazione procede col suo ritmo ormai fatale e ineluttabile.

Avenol ha replicato ritenere che forse varrebbe la pena anche per l'Italia di contribuire ad aiutare gli inglesi ad uscire dalla situazione imbarazzante nella quale si sono messi e dalla quale essi domandano oggi di uscire. Bisogna, secondo lui, aiutare Governo britannico a spostarsi su un altro terreno da quella che è stata finora la infatuazione elettorale di risolvere la questione abissina attraverso Società delle Nazioni. Gl'inglesi amano le parole e le formule forse più di noi latini. Il patto tripartito può costituire un punto di partenza per trovare via di uscita per tutti. Non credo difficile ottenere dal Governo britannico una revisione sostanziale delle clausole dell'accordo del 1906 nel senso riconoscere all'Italia un diritto in Abissinia ben più vasto maggiore e sostanziale di quello che non le sia riconosciuto nello stesso Accordo Tripartito. Una volta sistemata tra le tre Potenze la questione coloniale, che è la sostanziale, le tre Potenze potrebbero presentarsi d'accordo a Ginevra e, sopra istanza dell'Italia, sollevare la questione dell'appartenenza dell'Abissinia alla Lega delle Nazioni, questione che, dice sempre Avenol, l'Italia forse avrebbe fatto già bene a sollevare davanti al Consiglio; cosa che ad ogni modo l'Italia ancora ha tempo e opportunità di fare. Non è naturalmente da prevedersi che il Negus si rassegnerebbe facilmente e [senza] opposizione a tutto ciò e accetterebbe di sottostare senz'altro alle condizioni che le tre Potenze d'accordo dovrebbero imporgli mediante azione diplomatica ferma e risoluta ad Addis Abeba. Un grosso sforzo militare dovrebbe sempre, [egli] riteneva, essere condotto dall'Italia anche dopo accordo generale coll'Inghilterra e con la Francia. Ma limite di questo sforzo sarebbe indubbiamente diminuito, con vantaggio dell'Italia e di tutte le Potenze' che debbono tutelare pace dell'Europa.

Ho risposto ad Avenol che questo piano, a parte la sua realizzazione piuttosto difficile, ha difetto di essere un piano concepito troppo tardi, quando cioè situazione si svolge secondo una legge di gravità che non consente mezze misure o deviazione di sorta. Non conosco ancora su questo punto le idee del mio Governo, ma non (dico non) credo che esso possa prendere in considerazione una idea di questo genere.

Avenol ha replicato dicendo che quanto egli aveva detto non era per ora se non frutto di idee e di considerazioni personali, ma che egli intendeva lavorare per suo conto su questa linea.

Ho osservato ad Avenol che, allo scopo di alleggerire imbarazzo del Governo britannico, nessuna cosa mi sembrava intanto più opportuna che il rinvio del Consiglio fissato per il venticinque luglio.

Avenol ha riconosciuto che ciò è vero e ha soggiunto che egli farà del suo meglio perchè questo rinvio abbia luogo. Avenol sarà domani ospite a questa Ambasciata e avrò un nuovo colloquio con lui sul quale telegraferò (l).

(l) Il telegramma è stato scritto la sera del 10 luglio.

(l) Vedi D. 536.

523

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 3901/142 R. Vienna, 11 luglio 1935, ore 20 (per. ore 24).

Miei telegrammi per corriere 071 e 072 (1).

Von Papen ha testè rimesso per iscritto a Berger-Waldenegg le sue personali vedute, tanto circa le note pendenti questioni particolari (fra cui quelle dei legionari), quanto circa dichiarazioni di principio che dovrebbero essere fatte da Hitler.

Nell'informarmi, in via confidenziale, di quanto precede, Berger-Waldenegg ha aggiunto aver risposto a Papen che avrebbe esaminato le proposte in questione durante suo imminente congedo (egli parte nel pomeriggio per la Stiria) e che quindi solo al suo ritorno, in agosto, sarebbe stato in grado riprendere conversazioni.

Berger-Waldenegg, che è molto lieto della frapposta dilazione, si propone darmi 25 corrente, allorchè tornerà Vienna per assistere commemorazione Dollfuss, precise comunicazioni delle proposte di Papen e delle sue eventuali osservazioni (2).

524

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GRANDI, E A PARIGI, PIGNATTI

T. 1246/230 (Londra) 398 (Parigi) R. Roma, 11 luglio 1935, ore 24.

Per conoscenza esclusiva di V. E. informo che Ambasciatore Chambrun mi ha comunicato ieri che Lavai era stato richiesto dall'Ambasciatore di Gran Bretagna a Parigi del suo avviso sull'opportunità di un incontro fra i tre Ministri degli Esteri di Italia, Francia e Gran Bretagna a Roma per prendere in esame una possibilità di soluzione del dissidio itala-abissino, partendo dall'accordo tripartito.

Capo del Governo ed il Signor Lavai in una conversazione telefonica hanno convenuto che un tale incontro sarebbe inutile e potrebbe essere dannoso data la mancanza di qualsiasi preparazione.

525

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO MUSSOLINI, CON IL VICEPRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLA GUERRA GRECO, KONDYLIS

APPUNTO (3). Roma, 11 luglio 1935.

Condylis ha voluto avere un colloquio particolare col Capo [del Governo] per esporGli alcune sue idee che interessano la politica comune dei nostri Paesi. Egli deve premettere che non è amico della Turchia, come la Turchia non è

(3J'L'appunto è stato redatto da Suvich, presente al colloquio.

amica della Grecia. I turchi trattano i greci con un'aria di protezione che non è sopportabile. Già la politica di Micha1akopoulos era diretta a preparare in trequattro anni la guerra contro i turchi.

D'altra parte la Turchia virtualmente non esiste, veri turchi ve ne sono si e no tre milioni e mezzo. Gli altri sono popoli di altre stirpi. Tengono insieme fino che vi è questa parvenza di autorità di Kemal Pascià il quale, fra parentesi, è un ubriacone débauché. Morto Kemal, probabilmente la Turchia si disg~egherà. Bisogna essere pronti per questa eventualità. Egli, Condylis, sta ricostituendo l'esercito greco. Del resto la Turchia non è amica neanche dell'Italia.

Il Capo del Governo conferma le difficoltà che si hanno a trattare con la Turchia che vive in uno stato di continuo sospetto. Egli ricorda le ragioni che hanno determinato la politica di Milano (l): la necessità di fare un accordo con la Turchia e con la Grecia, perché un accordo diretto con la Grecia avrebbe suscitato i sospetti della Turchia, come d'altronde un accordo con la Turchia avrebbe reso sospettosa la Grecia.

Condylis si rende conto di tale necessità e trova che da questo punto di vista la politica di Milano risponde ad una reale convenienza. Condylis passa poi a parlare della Jugoslavia. I rapporti fra la Jugoslavia e la Grecia sono diventati intimi; i jugoslavi hanno dato espressa assicurazione che non toccheranno mai Salonicco. La Grecia vedrebbe con molto favore un avvicinamento tra l'Italia e la Jugoslavia.

Il Capo del Governo osserva che egli è ben disposto verso la Jugoslavia; è stato lui a prendere l'iniziativa per un incontro con Jeftic; ora però dobbiamo assumere un atteggiamento di attesa di fronte al nuovo Governo; un passo da parte di questo verso l'avvicinamento troverà favorevole accoglienza in Italia. Condylis è autorizzato a far conoscere questo sentimento a Belgrado.

Infine Condylis viene a parlare del Dodecanneso. Egli ha rinunciato definitivamente al Dodecanneso, ma ritiene tuttavia utile che l'Italia faccia una politica di maggiore larghezza verso i dodecannesini per non suscitare reazioni in Grecia.

n Capo del Governo conferma che la questione del Dodecanneso non si possa mettere in discussione. Egli si è opposto a cedere alla Grecia anche singoli scogli. D'altronde l'Italia ha avuto il Dodecanneso dalla Turchia, e quindi in nessun caso la Grecia potrebbe averne alcun beneficio.

n Capo è però disposto ad accogliere il desiderio di Condylis per eliminare le frizioni che possano sorgere nei riguardi delle questioni del Dodecanneso (2).

(l) -Vedi DD. 456, nota l, e 453. (2) -Vedi DD. 543, 666, 716, 801 e 832.
526

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 11 luglio 1935.

L'Ambasciatore von Hassell mi intrattiene su vari soggetti di attualità politica.

Mi chiede sulla questione degli Asburgo.

Gli spiego la portata modesta dei provvedimenti e gli dico che essi erano reclamati da buona parte della popolazione come atto di giustizia e di riparazione. D'altra parte sulle condizioni che si erano create in Austria agli Asburgo si faceva una speculazione contro il Governo. Gli osservo che anche il signor von Papen frequentava molto i circoli legittimisti e pareva incoraggiarne i propositi. Ad ogni modo noi siamo di opinione che convenga che l'Austria si fermi a questi provvedimenti e non sollevi la questione asburgica che in questo momento creerebbe delle difficoltà anche per il Patto Danubiano.

L'Ambasciatore von Hassell dice che la Germania non prende posizione contro gli Asburgo perché ci sono gli altri -particolarmente la Piccola Intesa che lo fanno per lei.

Mi chiede poi sulla visita di Gamelin (l).

Gli dico che la visita è rientrata nel quadro delle cortesie itala-francesi avvenute dopo gli Accordi del 7 gennaio scorso. Non sono esattamente informato su quanto è avvenuto, perché le conversazioni hanno avuto carattere tecnico-militare e non politico. Ci sono molte ragioni di contatti fra i militari italiani e francesi dopo la détente tra l'Italia e la Francia: per citarne uno solo, l'alleggerimento del fronte comune.

A domanda gli dico che non si sono fatti AccordL

Mi chiede se si è fatta la preparazione di qualche accordo. Gli dico che dovrei escluderlo.

Mi lagno con l'Ambasciatore per il contegno della stampa tedesca.

L'Ambasciatore non ha l'impressione che la stampa si sia comportata male e mi chiede di fornirgli qualche indicazione più precisa. Mi riservo di farlo (2).

(l) -Vedi D. 68, Allegato. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini.
527

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma, 11 luglio 1935.

L'Ambasciatore Drummond mi dà l'unito appunto (3) relativo ad una dichiarazione di non ingerenza che era stata preparata, con molta cura, per un Patto Anglo-Sovietico che poi non è entrata in vigore.

Egli pensa che potrebbe servire per il Patto Danubiano. Lo ringrazio per la sua premura (2).

(l) -Vedi D. 480. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (3) -L'appunto, che reca il titolo «Article 16 of Draft Russo-Britlsh Treaty of 1924 », era il seguente: «The contracting parties solemnly affirm their destre and intentlon to Iive in peace and amity with each other, scrupulously to respect the undoubted right of a State to order its own !ife withtn its own jurisdiction in its own way, to refraln and to restrain all persons and organisations under thelr direct or indirect contro!, includ!ng organisat!onsin rece!pt of any financial assistance from them from any act overt or covert Hable !n any waywhatsoever to endanger the tranquillity or prosperity of any part of the territory of the Britlsh Empire or the Union of Soviet Socialist Republics or intended to embitter the relat!ons of the British Empire or the Uniòn with their neighbours or any other countries ».
528

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI SVIZZERA A ROMA, WAGNIERE

APPUNTO. Roma, 11 luglio 1935.

Il signor Wagnière viene ad informarsi sul Patto Danubiano.

Lo metto al corrente.

A proposito della notizia riportata dal giornale Ottobre che alcuni ufficiali svizzeri andrebbero a combattere in Abissinia, egli ha chiesto informazioni al proprio Governo. Ha avuto la risposta che la notizia è inesatta e che comunque il Governo svizzero si opporrebbe (l).

529

L'INCARICATO D'AFFARI A VARSAVIA, BELLARDI RICCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 1617/621. Varsavia, 11 luglio 1935 (per. il 15).

Ho l'onore di riferire a V. E. un interessante colloquio che ho avuto ieri con il Ministro Beck, dopo il suo ritorno da Berlino avvenuto lunedì sera. Ero andato da lui per rimettergli in via confidenziale, riferendomi alla sua conversazione con S. E. Bastianini (ultima parte del telegramma di questo R. Ambasciatore in data 3 giugno u.s., n. 79) (2), una copia della memoria presentata dal Governo italiano alla Commissione di Conciliazione e Arbitrato sugli incidenti di Ual-Ual e successivi, trasmessami. da V. E. con il telespresso del 4 corr.,

n. 222035/47 (3). S. E. Beck l'ha accolta con visibile compiacimento e mi ha incaricato di ringraziare vivamente V. E. per la cortese comunicazione di questo documento che gli permetterà di completare opportunamente le conoscenze sinora scarse che attraverso la stampa aveva potuto procurarsi sul merito della questione. Ha aggiunto che ciò gli è particolarmente utile in vista della possibilità che a Ginevra o altrove egli abbia a dover esprimere il suo parere sulla vertenza. Ad ogni modo -mi ha affermato a questo proposito il signor Beck -la Polonia continuerà a mantenere il suo atteggiamento favorevole per il punto di vista italiano, del quale il Governo di Varsavia si rende perfettamente conto.

Venendo a parlare della sua visita a Berlino, il Ministro mi ha anzitutto espresso la sua piena soddisfazione per lo svolgimento e l'esito di tale visita. Mi ha detto che parte centralissima dei suoi colloqui con Hitler e con i principali collaboratori di questi è stato l'esame delle relazioni polono-germaniche sullo sfondo dell'accordo del gennaio 1934. Nello scambio di idee che su tale argomento si è avuto sono state fissate -mi ha detto il signor Beck -due «formule» essenziali; la prima, relativa al fatto constatato tra Hitler e lui, che nessun motivo di divergenza esiste tra i due Paesi; la seconda, concernente la

reciproca affermazione che la dichiarazione germano-polacca del gennaio 1934 non ha costituito, come taluno ha preteso, una tregua od un qualsiasi movimento tattico dettato dalle circostanze e per ciò suscettibile di indebolimento a seguito di eventuale mutamento delle circostanze stesse, bensì una intesa veramente stabile tra Germania e Polonia, entrambe decise fermamente a mantenerla e consolidarla con tutti i mezzi di cui dispongono.

Il signor Beck ha insistito sulla « nessuna ragione di contrasto esistente fra Varsavia e Berlino~. Ed a conferma di ciò, passando a parlare della questione di Danzica, mi ha affermato ripetutamente che su di essa Hitler e lui sono rimasti perfettamente d'accordo nell'intesa che essa debba essere assolutamente ed in ogni caso localizzata, in modo da impedire in qualsiasi maniera che, spostandosi, come sarebbe probabile, dal campo economico a quello politico, possa venire a creare un turbamento nelle relazioni polono-germaniche che entrambi i Paesi sono invece così decisi ad evitare.

A questo proposito il signor Beck mi diceva che l'attuale grave situazione economico-finanziaria danzichese non costituisce una questione tra Varsavia e Berlino, bensì un problema tra la Città Libera e Varsavia (in quanto quest'ultima deve badare anzitutto alla tutela dei propri interessi), e un altro tra Berlino e Danzica, entrambi da risolversi nel quadro della Società delle Nazioni, dalla cui ingerenza nella questione il Governo polacco non intende affatto derogare. È per questo, mi ha detto il signor Beck, che egli ha tenuto a dare comunicazione a V. E., prima di partire per Berlino, che nessun accordo speciale era previsto con la Germania in merito al problema danzichese (1).

Riferendosi a Danzica, il signor Beck ha avuto espressioni di viva deplorazione per l'assoluta incompetenza degli attuali dirigenti la Città Libera e di pessimismo per un possibile sollecito risanamento finanziario di essa.

Passando a parlarmi del vasto «giro d'orizzonte» che, attorno all'asse centrale -e su questo il signor Beck ha insistito -delle relazioni germano-polacche, ha avuto con il Cancelliere del Reich, il Ministro mi ha lasciato intendere di aver constatato, al disopra di ogni cosa, la profonda reazione provocata in Hitler dai recenti patti franco-russo e ceco-russo. Sopratutto da quest'ultimo, in cui il Fiihrer vede la punta più aguzza contro la Germania in quanto che, data l'enorme sproporzione tra i due contraenti, egli ravvisa la possibilità che il « grande » si venga a servire del « piccolo » come di un proprio strumento, naturalmente in funzione antigermanica. Il signor Beck ha usato a questo proposito parole di non celato disprezzo per la Cecoslovacchia, alla quale ha rimproverato fra altro di vivere non di vita a sé, bensì di continuare ad appoggiarsi sulle «combinazioni» e situazioni altrui. Non ha taciuto ugualmente la sua amarezza per la politica « intempestiva e pericolosa » iniziata e svolta dalla Francia nei confronti dell'U.R.S.S. A questo -ed unicamente a questo -egli attribuisce il ritardo nell'avvicinamento tra Berlino e Parigi. La condotta della Francia verso la Russia, direttamente e attraverso la sua satellite, mi ha detto Beck, ha profondamente irritato la Germania. «Se questo è stato un movimento tattico -ha soggiunto il Ministro -il risultato dimostra che esso è completamente fallito. I francesi non hanno saputo fare. Hanno voluto far troppo con i Sovieti, e con ciò notevolmente almeno ritardato quell'avvi

cinamento con Berlino che in fondo è nel desiderio e nella necessità di entram~ be le parti».

Il signor Beck ha tenuto a questo punto a farmi sapere di aver affermato al Cancelliere che nei ripetuti colloqui da lui avuti con il signor Lavai a Varsavia si era convinto delle buone disposizioni francesi per venire ad un « rapprochement » con la Germania. Avendo io allora accennato alle osservazioni fatte in questi giorni dalla stampa di vari paesi circa l'utile azione che la Polonia potrebbe esercitare in tal senso tra Berlino e Parigi, il signor Beck -con evidente compiacimento -mi ha risposto che di «azione » non era il caso finora di parlare, ma che tuttavia se egli aveva dichiarato questo ad Hitler, sapeva di non far dispiacere alla Francia. D'altro lato il Ministro ha avuto l'impressione che Hitler -a parte il suo risentimento per la politica francese nei confronti dell'U.R.S.S. -non è decisamente contrario ad un avvicinamento a Parigi; su questo argomento -mi ha detto Beck -le risposte del FUhrer non sono state negative. A questo proposito, il Ministro mi ha assicurato: «Ritengo che Hitler non è mal disposto. Egli non vuole la guerra. Mi ha ripetuto varie volte che egli è convinto della assoluta inutilità delle guerre in Europa ».

Ho poi portato la conversazione sull'argomento dell'accordo navale anglogermanico: su di esso il Ministro si è mostrato riservato limitandosi a dire che anche di quello si era naturalmente parlato a Berlino. Alla mia osservazione circa il grandissimo interesse che il poderoso riarmo navale tedesco nel Baltico rappresentava per la Polonia, Beck, senza rispondere, si è limitato a fare un gesto come d'impotente rassegnazione aggiungendo -come se volesse mettere il discorso su tono meno amaro -che in questi giorni unità polacche avevano compiuto una visita a Kiel, molto cordialmente accolte, e che questa visita sarebbe nel prossimo agosto ricambiata da navi germaniche a Gdynia. Evidentemente ho compreso che veder sventolare la bandiera del Reich dinnanzi alla Città sorta per volontà della Polonia di fronte ed a scapito di Danzica deve costituire una grande soddisfazione morale per questo Paese. Ma ho anche inteso che la questione dell'accordo anglo-germanico -almeno per il momento -scottava ancora troppo perché Beck me ne volesse parlare un po' più apertamente. Non ho comunque l'impressione che a Berlino alcunché di particolare e di nuovo sia stato enunciato in proposito tra il Cancelliere e Beck, dinnanzi al « fatto compiuto » in seguito all'accordo anglo-germanico.

Circa il patto orientale, Beck mi ha assicurato di aver constatato che nessun passo avanti è stato fatto. << Sopratutto di fronte agli idillii di Parigi e Praga con Mosca, cosi irritanti per Berlino, non c'è -almeno per ora chance che la faticosa conclusione del patto progredisca». Ugualmente per il patto danubiano, Beck non ha riscontrato alcun progresso a Berlino. Hitler, -egli mi ha detto -non gli si è mostrato per nulla empressé su tale questione, ostinandosi sulla pregiudiziale di una necessaria e completa definizione preventiva del principio della «non ingerenza». Su questo argomento, Beck non mi ha aggiunto altro. Debbo aggiungere, se non altro a titolo di notizia, che il Sottosegretario agli Esteri, conte Szembek, conversando sullo stesso tema con questo Ministro del Belgio, gli ha detto che Hitler avrebbe dichiarato a Beck di « volerla far finita» con la questione austriaca. Il Sottosegretario non è stato peraltro più esplicito sull'argomento.

Sulla politica verso i Paesi baltici, Beck mi ha affermato che nulla di particolare è stato detto a Berlino. Egli non ha potuto che constatare le non buone disposizioni di Hitler nei confronti della Lituania. Avendogli io chiesto qualche schiarimento sull'attuale situazione polono-lituana, Beck mi ha risposto nettamente che, dopo l'incontro suo di Ginevra con il Ministro lituano a Parigi, la questione ha fatto, si può dire, più regressi che progressi. Il Ministro mi ha soggiunto: « Forse per inframmittenza altrui » ed è presumibile che intendesse riferirsi all'U.R.S.S. E su questo argomento si è lasciato andare ad esprimere le sue riserve verso la politica di arnénagement verso i lituani perseguita dal defunto Maresciallo dal 1920 in poi « per ragioni più che altro sentimentali ». A questo proposito il signor Beck, <>ottolineando che i lituani, « per il loro spirito poco elevato», hanno abusato di tale atteggiamento, ha affermato che egH non avrebbe mai permesso che si creasse -né contribuito a creare -una «questione lituana » nei confronti della Polonia.

Nel corso della nostra lunga conversazione, ho trovato Beck molto favorevolmente impressionato dell'atteggiamento della stampa italiana in occasione del suo viaggio a Berlino. E ciò tanto più in paragone di altra stampa estera che ne ha svisati gli scopi e la portata, commentandone poi i risultati come se si trattasse di un insuccesso. Il signor Beck si riferiva, più che all'agrodolce intonazione dei maggiori quotidiani francesi ed all'ostile linguaggio dei fogli sovietici, segnatamente ad un articolo pubblicato in questa occasione dall'Indipendenza romena, diretto personalmente contro di lui, e che qui ha prodotto pessima impressione, aggiungendosi ai vari elementi profondamente negativi che si vanno da tempo stabilendo in contraddizione con l'alleanza polono-romena. Il ministro Beck mi si è mostrato piuttosto amareggiato di questo atteggiamento tutt'altro che amichevole ·di fronte ad una visita ufficiale che aveva tutti i caratteri normali di un ricambio di cortesia ad un Paese vicino col quale si è -e si vuole essere -legati da accordi di ottimo vicinato.

Parlandomi dello svolgimento di tale visita, il signor Beck ha tenuto a farmi sapere che a causa del lutto per il maresciallo Pilsudski, terminato ma non dimenticato, le colazioni e i pranzi offertigli sono stati più ristretti nel numero degli intervenuti, ma in compenso vi ha supplito la «qualità di essi». Infatti vi assistevano il Cancelliere e tutti i membri del Governo che si trovavano nella Capitale. Inoltre partecipando alla colazione offerta dall'Ambasciatore di Polonia era soltanto la terza volta, dopo l'avvento al potere, che Hitler assisteva ad un banchetto offerto da una rappresentanza estera, la prima volta essendo stato alla nostra Ambasciata e la seconda a quella britannica. E Beck rilevava in ultimo che era questa la prima occasione in cui il generale Blomberg aveva accompagnato un Ministro estero a deporre una corona di fiori alla tomba del Milite Ignoto.

Tutta la nostra conversazione è stata improntata alla maggiore cordialità da parte del ministro Beck, il quale, ogni volta che se ne è offerta l'occasione, ha trovato il modo di esprimere in forma molto aperta e sincera ammirazione per v. E., e simpatia per l'Italia. Aggiungo, a titolo di cronaca, che egli, quando gli ho chiesto ieri di fissarmi un'udienza, me l'ha subito accordata per oggi. Al mio collega, Incaricato d'Affari britannico, che l'ha sollecitata nello stesso tempo, l'ha fissata per sei giorni dopo. Si direbbe elle l'Inghilterra non goda

di eccessiva popolarità in Polonia. E neppure che il signor Eden --nella sua recente visita -abbia qui riportato un grande successo. Riferisco a V. E. con rapporto a parte quanto ho saputo da questo Ambasciatore di Francia, che il signor Beck aveva ricevuto poco prima di me (1).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolinì. (2) -Vedi D. 327. (3) -Non rinvenuto.

(l) Vedi D. 464.

530

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3937/233 R. Shanghai, 12 luglio 1935, ore 11 (per. ore 1,15 del 13).

Ho ricevuto il telegramma di V. E. n. 178 (2) ed assicuro V. E. che tanto io quanto R. Console Tientsin e Comandante truppe locali ci atterremo alle istruzioni ricevute [adattandole] alla [situazione] presente.

Ritengo superfluo attestare che recente episodio ammutinamento porte di Pechino non ebbe sviluppo alcuno che potesse portare nella città di Tientsin a quelle misure militari che sarebbero state necessarie se si fosse effettuata estensione occupazione.

Recandomi entro il mese regione nord per rendermi conto sul luogo situazione, prenderò accordi per eventualità previste e ne riferirò a V. E. assicurando [mi che] guarnigione stranieri contempli sempre come compito guarnigione italiana difesa e quindi occupazione due zone in discorso. In tal caso, istruzioni per allargamento di fatto presenterebbero facilità esecuzione.

Per quello che riguarda trasformazione occupazione da temporanea in definitiva esistono sempre ragioni di incertezza che consigliarono miei predecessori a che operazione venisse sempre preparata con elasticità di azione in modo lasciare sempre più possibilità retrocedere senza alcuna menomazione interessi materiali.

Nello stesso senso mi comporterò io restando inteso sinora che mi considero autorizzato a procedere ad allargamento appena circostanze lo permetteranno anche in future eventualità.

Affinché V. E. abbia sin d'ora visione generale sopra scritte ragioni incertezza dirò che nella situazione elle si determinerà quando vorremo rendere definitiva occupazione è intervenuta una novità in peggio rispetto quella prevista dai miei predecessori, e cioè che Autorità locali non sono più indipendenti perché, dopo recenti avvenimenti che hanno posto Provincia Hopei sotto controllo giapponese, dette Autorità più che da Nanchino saranno influenzate da Tokio, il che porterà differenza calcoli nelle previsioni che si posson fare sul loro atteggiamento.

(l) -Con R. r. 1641/633 del 12 lugUo 1935, BeHardi Ricci riferiva che le comunicazioni fatte da Beck all'Ambasciatore di Francia, Noel, collimavano con quelle contenute nel presente rapporto segnalando inoltre l'impressione personale di Noli! circa la grande considerazione nutrita dal Governo polacco nel confronti dell'Italia. Il presente documento reca li visto di Mussolini. (2) -Vedi D. 498.
531

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3987/043 R. Bruxelles, 12 luglio 1935 (per. il 15).

Sebbene questo Governo si adoperi a far pubblicare smentite ufficiose e sebbene si circondi del mistero più arcano al riguardo, si ha qui l'impressione che i negoziati condotti a Parigi fra l'Ambasciata del Belgio e quella dei ::>ovieti per la ripresa delle relazioni ufficiali fra Mosca e Brusselle siano prossimi alla conclusione o per lo meno molto avanzati.

II riserbo delle sfere ufficiali si spiega con la preoccupazione che tale ripresa, sebbene già scontata, susciti al momento dell'attuazione delle forti reazioni nel campo cattolico e liberale, mentre quello socialista vi si adatta per compiacere l'ala estrema del partito ed anche per principi ideologici internazionali.

Per conto mio ritengo che, data la mentalità del primo ministro belga, signor van Zeeland, nella quale il fattore economico domina sproporzionatamente su tutti gli altri, il vero motivo della ripresa suddetta è da ricercare nella convinzione che egli ha dei sensibilissimi vantaggi che deriverebbero alla ricchezza nazionale del Belgio da una riattivazione in pieno delle relazioni con la Russia.

Ciò non toglie che si prevedano qui serii inconvenienti per la inevitabile propaganda comunista di cui diverrà pericoloso focolare la nuova Legazione sovietica, considerato sopratutto che nel Belgio la polizia è solo in piccola parte controllata dallo Stato mentre le autorità locali, e specialmente i borgomastri delle maggiori città, ne hanno tutti una loro propria della quale sono gelosissimi rifiutando perfino di rendersene responsabili di fronte al potere centrale.

532

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 12 luglio 1935.

L'Ambasciatore attira la mia attenzione sulla notizia pervenuta a Parigi, crede da Titulescu, relativa alla visita a Berlino di tre ufficiali dello Stato Maggiore ungherese.

Secondo tale notizia si sarebbe trattato della conclusione di una Convenzione militare tedesco-polacco-ungherese. La cosa sarebbe verosimile per il fatto che tale visita ungherese ha coinciso colla visita di Beck. Chiede se noi abbiamo qualche notizia.

Gli rispondo che effettivamente noi sapevamo di tale visita. Ne eravamo stati informati sommariamente da parte ungherese (1). Abbiamo saputo poi che la cosa rientrava in una consuetudine che vige da molti anni dl scambi di visite fra militari tedeschi ed ungheresi. Secondo le nostre informazioni si

sarebbe parlato di questioni militari-tecniche, ma non si è toccato il campo

politico né concluso alcuna Convenzione.

A richiesta dell'Ambasciatore de Chambrun gli dico che anche a noi era stato riferito che Gombos avrebbe dovuto andare a Berlino in quell'epoca e che Kanya si sarebbe opposto per non far sorgere delle chiacchiere. Tale visita però sarebbe stata la restituzione di quella fatta da Goring a Budapest. Non è escluso che Gombos vada a Berlino nei prossimi mesi.

Riguardo alla questione degli Asburgo, a domanda dell'Ambasciatore, gli dico che i provvedimenti austriaci non rappresentano che un atto di riparazione e che non dovrebbero avere, almeno nei prossimi tempi, altro seguito. D'altra parte il Governo austriaco è stato costretto a tali provvedimenti perché erano reclamati da più parti ed erano diventati uno dei motivi più sfruttati della opposizione al Governo.

Consegno all'Ambasciatore l'unito appunto che contiene il nostro punto di vista nei riguardi della Commissione Arbitrale per Ual-Ual. Lo avverto che noi non prenderemo nessuna iniziativa al riguardo (1).

ALLEGATO

IL MINISTERO DEGLI ESTERI

ALL'AMBASCIATA DI FRANCIA A ROMA

PROMEMORIA. Roma, 12 luglio 1935.

L'interruz,ione dei lavori della Commissione Arbitrale italo-etiopica all'Aja è stata evidentemente determinata dalla preoccupazione dei rappresentanti abissini di spostare ~a discussione sulla responsabilità dell'aggressione di Ual-Ual su di una questione, quale quella delle frontiere, che era già inteso sarebbe stata risoluta in altra sede, ma la cui soluzione non avrebbe potuto mai modificare il fatto dell'avvenuta aggressione.

L'atteggiamento dei rappresentanti abissini deve inoltre essere stato anche determinato dal desiderio di affrettare, con la sospensione dei lavori della Commissione Arbitrale, la convocazione del Consiglio della SOCietà delle Nazioni e trarre pretesto per portal'e a Ginevra non soltanto l'esame dell'incidente di Ual-Ual, ma quello di tutta la situazione itala-etiopica.

Il Governo italiano protesta contro queste manovre che impediscono sia fatta piena luce sull'aggressione abissina e sia proclamata la conseguente responsabilità. E' disposto tuttavia per parte sua a prendere in considerazione la maniera più opportrma perché i lavori della Commissione Arbitrale possano essere ripresi serenamente e senza secondi fini da parte abissina.

(l) Vedi D. 479.

533

COLLOQUI DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON I MINISTRI DI CECOSLOVACCHIA A ROMA, CHVALKOVSKY, E DI JUGOSLAVIA A ROMA, DUCIC

APPUNTO. Roma, 12 luglio 1935.

Il Ministro di Cecoslovacchia Chvalkovsky ed il Ministro di Jugoslavia, Ducié vengono a chiedermi notizie sulla questione asburgica.

Rispondo che i provvedimenti austriaci hanno un'importanza limitata, che rappresentano un doveroso atto di riparazione che era richiesto da buona parte

40 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. I

della popolazione, che il Governo austriaco si era assicurato che l'Imperatrice e l'Arciduca Ottone non sarebbero rientrati in Austria senza il consenso del Governo stesso. Era da ritenere che per il momento l'Austria non sarebbe andata più in là; che il Governo italiano aveva espresso la sua opinione che non fosse il momento di sollevare la questione asburgica (1).

(l) Il presente documento reca 11 visto di Mussolini.

534

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DEI PAESI BASSI A ROMA, PATIJN

APPUNTO. Roma, 12 luglio 1935.

Il signor Patijn mi chiede se abbiamo preso posizione per il rinnovo defia Convenzione di Tangeri.

Gli rispondo che stiamo studiando la cosa.

Il Ministro mi espone che sarebbe desiderio del Governo olandese che a quella nuova Convenzione fossero chiamati a partecipare anche gli Stati che avevano aderito al Trattato di Algesiras, fra cui l'Olanda.

Inoltre il Governo olandese avrebbe un certo interesse a che venisse creata una Corte Suprema per le controversie di carattere privato. Si era pensato una volta per ciò alla Suprema Corte Nazionale di Olanda. Se ciò non fosse e si volesse creare un Tribunale nuovo, 11 Governo olandese ambirebbe ad avere nel corpo dei Magistrati un giudice olandese (1).

535

IL CAPO DEL SERVIZIO ISTITUTI INTERNAZIONALI, BIANCHERI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 12 luglio 1935.

Nell'articolo « L'Angleterre et l'Abyssinie », pubblicato nell'Echo de Paris del 7 corr. si accenna ad una riserva che la Gran Bretagna avrebbe fatto all'atto della firma della Convenzione di Costantinopoli del 29 ottobre 1888 relativa al Canale di Suez. La Gran Bretagna avrebbe formulato una riserva generale « quant à rapplication des clauses de la convention, en tant qu'elles ne seraient pas compatibles avec l'état transitoire et exceptionnel où se trouve actuellement l'Egypte et qu'elles pourraient entraver la liberté d'action du gouvernement britannique pendant la période de l'occupation de l'Egypte par les forces de S. M. Britannique ».

Una riserva tendente a limitare gli obblighi derivanti da una Convenzione non può avere efficacia se non in quanto sia accettata dagli altri Stati firmatari della convenzione stessa. Ora non risulta che le Potenze firmatarie della Convenzione di Costantinopoli ed in particolare l'Italia abbiano dichiarato di accettare la pretesa riserva britannica.

A questo riguardo, tuttavia, si faranno ricerche negli atti relativi all'elaborazione della Convenzione di Costantinopoli. Ad ogni modo, anche ammesso,

per ipotesi, che quella riserva sussista e sia stata accettata, essa non potrebbe essere invocata dalla Gran Bretagna per limitare il diritto dell'Italia di usare liberamente del Canale dì Suez nel caso di una guerra con l'Etiopia.

La riserva, infatti, riguarda l'applicazione delle disposizioni della Convenzione in quanto non siano compatibili con « l'état transitoire et exceptionnel où se trouve actuellement l'Egypte ». La Gran Bretagna non potrebbe valersi di quella presunta riserva per interessi inglesi che non riguardano l'Egitto né la situazione speciale della Gran Bretagna in Egitto.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussol1n1.

536

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3944/480 R. Londra, 13 luglio 1935, ore 21,20 (per. ore 0,10 del 14).

Ho avuto iersera, prima sua partenza da Londra, ultimo colloquio con Avenol con il quale sono stato personalmente ogni giorno in contatto.

Come ebbi ad informare per telefono mercoledì 10 corr. Avenol mi ha pregato di far presente a V. E. imbarazzo in cui egli si era venuto a trovare improvvisamente in seguito brusca interruzione commissione di Scheveningen che rendeva ad un tratto difficile, se non impossibile, aggiornamento riunione del Consiglio preveduta per il 25.

Ho sottoposto e illustrato ad Avenol considerazioni contenute nei telegrammi di V. E. 1239 e 1240 (l).

Avenol mi ha risposto che è fin troppo chiaro che Delegati abissini hanno fatto tutto il possibile per creare una situazione dì rottura che rendesse automatica riunione del Consiglio per il 25 corrente, riunione dalla quale essi hanno nulla da perdere e tutto da guadagnare, e che era peccato che l'Italia, la quale ha perfettamente ragione nel merito, ma alla quale interessa anche dì guadagnare tempo, non sia riuscita a trascinare la discussione ancora un poco in lungo.

Ho osservato ad Avenol che i nostri rappresentanti hanno fatto tutto quello che era in loro potere perché lavori Commissione, malgrado evidente ostruzionismo dei rappresentanti etiopici, non fossero interrotti, sacrificandosi sino a proporre di riprendere le sedute non appena risolta la questione essenziale dei limiti fissati alla competenza della Commissione.

Avenol mi ha detto che egli riterrebbe opportuno che questa circostanza fosse messa bene in chiaro nella risposta che il Governo italiano darà alla comunicazione testé trasmessa dal Segretariato.

«Se prima del 25 corrente la Commissione non riprenderà in un modo o nell'altro a funzionare, è molto difficile», ha concluso Avenol, «che si possa evitare questa riunione del Consiglio che tutti, meno l'Abissinia, avrebbero così volentieri evitato » (2).

(l) -Vedi D. 517. Con il T. 1240/C. R. del 10 luglio 1935, ore 24, Suvich aveva trasmesso alle ambasciate a Londra, Parigi, Washington, alla legazione ad Addis Abeba ed alla delegazione italiana a Ginevra le notizie comunicate da Aldrovandi sull'interruzione dei lavori della Commissione di conciliazione ed arbitrato. (2) -Vedi D. 539.
537

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI (l)

T. 1269/521 R. Roma, 13 luglio 1935, ore 24.

Suo telegramma 1298 (2).

Prego rispondere alla Nota etiopica n. 43 nei seguenti termini salvo osservazioni da parte della S. V.:

«Il Governo etiopico, nell'informare con la Nota del 27 giugno u.s. di mantenere il contenuto della precedente nota etiopica del 3 giugno (3), evita di rispondere alle precisazioni contenute nella Nota italiana del 15 giugno (4). Il Governo italiano da parte sua non ha che da confermare integralmente il contenuto delle note precedenti circa il compromesso stabilito per servir di base ai lavori della Commissione itala-etiopica.

L'Agente del Governo etiopico a Scheveningen ha tentato, contrariamente ai termini del compromesso, di trattare la questione dell'appartenenza di Ual-Ual; al ché si è nettamente opposto l'Agente del Governo italiano, ricordando i termini del compromesso intervenuto, e la volonà espressa chiaramente e ripetutamente dal Governo italiano di escludere dalla competenza della Commissione ogni questione relativa alla frontiera, e perciò anche quella dell'appartenenza di Ual-Ual.

Il Governo italiano eleva formale protesta presso il Governo etiopico per la pretesa dell'Agente etiopico di trattare dinanzi alla Commissione questioni non comprese nel compromesso intervenuto.

Il Governo italiano quindi rende responsabile il Governo etiopico della sospensione dei lavori della Commissione di Conciliazione e di Arbitrato.

Il Governo italiano aggiunge di essere tuttora sempre disposto a riprendere 1 lavori della Commissione, beninteso purché essi rimangano limitati "all'esame delle circostanze di fatto degli avvenimenti del 5-6 dicembre 1934 ad Ual-Ual e degli incidenti successivi fino al 25 maggio 1935, e delle responsabilità che ne derivano, ad esclusione, in modo diretto od indiretto, di qualsiasi questione attinente alle frontiere, e anche quindi della questione dell'appartenenza di Ual-Ual "~ (5).

538

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI ROMANIA A ROMA, LUGOSIANU

APPUNTO. Roma, 13 luglio 1935.

Il signor Lugosianu mi parla del Patto danubiano.

Gli ripeto che noi siamo sempre interessati al Patto ma che abbiamo rallentato la nostra attività in riguardo allo stesso perché erano sorte tali pretese e tali proposte che lo rendevano assolutamente irrealizzabile.

Il Ministro dice che non si sono mai potute avere delle proposte precise da parte italiana.

Gli rispondo che noi dopo Venezia abbiamo presentato delle proposte precise che possono ancora oggi essere discusse e formare la base di un accordo. Il signor Lugosianu ha chiesto se noi saremo disposti a fare dei patti di

non aggressione cogli Stati dell'Intesa balcanica.

Gli rispondo che a questo riguardo c'è la dichiarazione precisa fatta dal Capo del Governo all'Ambasciatore Chambrun; che di tale questione si potrà discutere se mai dopo conchiuso il Patto danubiano.

Il Ministro mi chiede qualche informazione sulla conversazione avuta con Chambrun riguardo alla mutua assistenza.

Chambrun gli avrebbe parlato di un patto generale di mutua assistenza.

Gli rispondo che effettivamente Chambrun ha fatto anche a me un accenno in proposito e gli ho osservato subito che la cosa non mi pareva possibile e gli ho chiesto se forse egli non pensava ad un patto generale di assistenza per l'Austria come domani si sarebbe potuto fare per l'Ungheria e per qualunque altro dei Paesi partecipanti all'accordo generale. Lasciando una facoltà teorica di fare il patto di assistenza da parte di tutti gli Stati per ogni singolo partecipante, ma facendo in realtà questo patto soltanto per l'Austria, si sarebbe forse ottenuto lo scopo di salvare il principio garantendo l'Austria.

Ho soggiunto al Ministro Lugosianu che però anche questo sistema porterebbe a delle gravi difficoltà per cui dubitavo che il Governo italiano potesse aderirvi. Forse la miglior cosa era di accontentarci in un primo tempo del patto generale lasciando impregiudicata la questione dei patti speciali per cui tra l'altro -come è noto --c'è una opposizione assoluta da parte della Germania.

Il Ministro ritiene che non convenga lasciar cadere la questione del Patto danubiano e perciò vorrebbe avere un'altra conversazione con me, approfondita, sull'argomento.

Gli rispondo che lo farò volentieri. Però conviene acquisire innanzi qualche elemento nuovo per non fare un lavoro inutile (1).

(l) La nota contenuta nel presente documento è ed. in Il conflitto itala-etiopico, Documenti, vol. I, cit., p, 275.

(2) -Non pubblicato: trasmetteva la nota etiopica n. 43 del 27 giugno 1935. (3) -Vedi D. 372, nota 2. (4) -Vedi D. 372. (5) -Con T. 3979/1472 R. del 14 lugHo 1935, ore 21, Vinci comunicava di aver risposto alla nota etiopica secondo le istruzioni contenute nel presente telegramma.
539

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3956-3976/481-481 bis R. Londra, 14 luglio 1935, ore 13,28 (per. ore 19).

Nel corso del colloquio che ho avùto ieri con Avenol (2), egli ha voluto farmi un quadro riassuntivo delle conversazioni da lui avute a Londra e cdmunircami le sue impressioni finali.

Queste si possono riassumere nei seguenti punti:

1o -Governo britannico è oggi convinto che bisogna venire incontro ai bisogni ed alle aspirazioni dell'Italia mediante una soluzione radicale e definitiva della questione etiopica.

2° -Governo britannico è disposto a entrare in negoziati con l'Italia sulla base dell'accordo tripartito allo scopo di definire gli interessi economici inglesi in Etiopia. L'Inghilterra è disposta a dichiarare il suo disinterassamento per il resto seguendo le stesse linee dell'accordo itala-francese del 7 gP.nnaio.

3° -Tre governi italiano, francese e inglese dovrebbero mettersi quindi d'accordo circa azione da svolgere sia Addis Abeba, per una forte pressione sul Negus, sia a Ginevra nei riguardi dell'Etiopia. Obbiettivo di questa azione dovrebbe essere quello di evitare non solo conflitto fra l'Italia e S.d.N., ma di adottare quelle misure che potrebbero direttamente o indirettamente permettere all'Italia di procedere da sola e più libera nella soluzione del suo problema africano, e diminuire altresì il suo sforzo militare. Per giungere a ciò sarebbe opportuno che l'Italia sollevasse ad un certo punto, d'accordo con la Francia e l'Inghilterra la questione abissina al Consiglio.

4° -Governo britannico ha bisogno di salvare la forma a Ginevra ed è pronto in contraccambio a venire incontro alla sostanzigle richiesta italiana. Governo britannico domanda solt:omto Governo italiano non (dico non) si metta nella situazione giuridica di uno Stato che violi in modo flagrante impegni Covenant. Se un campo di battaglia è inevitabile per imporre al Negus volontà Italia, la responsabilità del conflitto deve essere fatta risalire all'Abissinia e non all'Italia.

5° -Governo britannico è alla ricerca di via di uscita ed esso crede

che questa via debba trovarsi in accordo fra l'Italia, Francia e Inghilterra.

Col suo discorso di giovedì Hoare ha fatto passo avanti assai coraggioso che

senza dubbio ha facilitato situazione internazionale, ma ha esposto Governo

britannico, non solo agli attacchi dei l3,buristi, ma anche alle critiche di molti

in seno alla stessa maggioranza ài conservatori alla Camera dei Comuni. Seduta

di giovedì ha già mostrato i segni di difficoltà che Hoare dovrà ancora supe

rare per far accettare sua politica. Discorso di Hoare costituisce dunque limite

che Governo britannico difficilmente potrà sorpassare.

6° -Non è da attendersi che Governo britannico, dopo esperimento della

missione Eden, prenderà per il momento iniziativa di proporre direttamente

all'Italia una soluzione sulle linee sopraindicate ma lascerà probabilmente al

Governo francese il compito del negoziato con Roma.

(l) -n presente dcx:umento reca il visto di Mussolini. (2) -Vedi D. 536.
540

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO (l) . Roma, 15 luglio 1935, ore 17,30.

L'ambasciatore von Hassell è stato incaricato da Fiihrer di assicurare il Capo del Governo che il Patto navale anglo-tedesco no}?-ha nulla che possa ferire gli interessi italiani.

{l) Il presente appunto è stato redatto dal sottosegretario Suvlch e poi vlstato da Mussolini.

Il Capo del Governo ha detto di essere persuaso di ciò come del resto aveva già affermato al signor Eden, pur avendo fatto le sue riserve per il metodo seguito per ottenere tale accordo.

L'Ambasciatore si è informato poi sulla visita del generale Gamelin.

Il Capo del Governo ha risposto che tale visita rientrava nel campo dei contatti tra tecnici militari. Si sono discussi vari problemi, sopratutto relativi alle frontiere comuni. Ad ogni modo queste discussioni tra militari hanno la loro importanza in quanto poi rientrino in un patto politico, patto politico che oggi non esiste.

Il signor von Hassell, a proposito dell'avvicinamento itala-francese, ha affermato che quando tra i due Paesi si venisse ad un accordo profondo e definitivo, questo dal punto di vista tedesco sarebbe considerato una «catastrofe».

Il Capo del Governo risponde che questo accordo di cui parla l'Ambasciatore non esiste, ma non può nascondergli che i rapporti sono buoni, che vanno sempre migliorando e che egli non può che lodare il contegno fino ad ora tenuto dalla Francia.

541

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 15 luglio 1935.

L'Ambasciatore Chambrun ha ricevuto un telegramma da Parigi nel quale Lava! si richiama alla proposta inglese di qualche giorno fa su un incontro a tre (1). L'Ambasciatore di Inghilterra, nei giorni scorsi -crede sabato -è stato nuovamente da Lavai per fargli una ulteriore proposta da parte del Governo inglese. I due Ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia a Roma dovrebbero chiedere al signor Mussolini quali sono i suoi « griefs » contro l'Abissinia e quali sono le sue richieste. La risposta del signor Mussolini servirebbe agli Inglesi per fare delle forti pressioni sul Negus.

Il signor Lavai non ha voluto respingere senz'altro tale proposta. Vorrebbe prima sentire l'opinione del signor Mussolini. Ha incaricato l'ambasciatore Chambrun di chiedere per ciò un colloquio al Capo del Governo (2).

Chambrun, conformandosi alle istruzioni di Parigi, chiede un colloquio che sarà brevissimo perché non ha che da leggere il telegramma di Parigi e chiedere quale risposta il signor Mussolini voglia far pervenire agli Inglesi. Lavai ha insistito anche in questa occasione nel dichiarare che il suo scopo principale è quello di mantenere la buona amicizia itala-francese.

{l) Vedi D. 524. {2) Vedi D. 548.

542

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO D'AUSTRIA A ROMA, VOLLGRUBER

APPUNTO. Roma, 15 luglio 1935.

Il signor Vollgruber ha riferito a Vienna quanto dettogli recentemente dal Capo del Governo (1).

Il signor Eerger-Waldenegg ringrazia per l'interesse che il Capo del Governo dimostra in ogni evenienza per le [cose] dell'Austria e afferma di essere perfettamente d'accordo con i suggerimenti datigli. È stata fatta sapere a Londra la soddisfazione austriaca per le affermazioni di Hoare (2) e quella parte del discorso che riguarda l'Austria è stata valorizzata al massimo.

Per quanto riguarda gli Absburgo [riferisce] che per ora non si andrà pm avanti. Anche per questo sono state fatte delle dichiarazioni pubbliche precise. Il Ministro presenta poi un altro [invito] del governo austriaco per l'inaugurazione della strada del «Grossglockner ».

Mi riservo di rispondergli.

543

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

COMUNICAZIONE. Vienna, 15 luglio 1935.

Segretissimo, per S. E. il Ministro.

Mio telegramma 142 dell'H luglio (3). Giovedì scorso, subito dopo il suo colloquio con von Papen, Berger partì in congedo.

La fretta con cui avvenne la sua partenza mi rafforzò subito l'impressione che le proposte del von Papen dovessero riflettere, più che sue personali vedute, il pensiero stesso del Governo del Reich, e che Berger -come del resto egli stesso mi aveva fatto comprendere -non volesse, recandosi in congedo, che guadagnare qualche settimana di tempo per la sua risposta, e ciò nella speranza che nel frattempo la situazione internazionale (specie in dipendenza d'un eventuale «desideratissimo» chiarimento itala-inglese per l'Abissinia) divenisse ancora più propizia all'Austria.

Questa mia impressione ha trovato conferma in ciò che Berger, obbligato a tornare per i funerali della signora Schuschnigg, ha tenuto oggi a dirmi, chiedendomi il formale impegno che le sue aperture dovessero restare « segretissime », e ciò tanto più perché egli non aveva voluto, per tema della lunga fila burocratica, metterne al corrente Vollgruber.

Effettivamente, ci si trova innanzi ad un serio tentativo del Reich per raggiungere un accordo diretto austro-tedesco prima dell'eventuale conclusione del patto danubiano; od almeno, come sembra ritenere Berger, per far sì che la Germania, per non trovarsi obbligata a riconoscere il patto danubiano, si crei fin d'ora lo strumento che le permetta poi di poter sostenere d'avervi aderito di buon grado, «col beneficio d'aver intanto fatto divenire più facile la situazione fra Roma e Berlino ».

Le proposte di von Papen, com'era previsto, concernono innanzi tutto la formula della dichiarazione di principio circa l'assoluta indipendenza dell'Austria; in secondo luogo, le questioni speciali.

Circa la prima, von Papen propone che l'Austria prenda atto della dichiarazione fatta da Hitler il 25 maggio: che cioè la Germania -secondo la formula dell'appunto di von Papen -« non ha né il desiderio, né la volontà, di ingerirsi nelle cose interne dell'Austria, d'annettere o d'incorporarsi l'Austria».

Berger non ha saputo precisarmi se, nella mente di questo Ministro di Germania, questa dichiarazione debba far parte di un « gentleman's agreement » da sottoscriversi dai due Cancellieri; o che il Governo del Reich si riservi di rispondere ad una siffatta dichiarazione austriaca, dando atto a sua volta che essa corrisponde interamente al suo punto di vista ed alla sua politica; od oralmente; o con altro mezzo. Pur preferendo evidentemente la prima procedura, Berger ha insistito sul punto che tutto dipenderà dall'accuratissimo esame che egli sta facendo della proposta formula onde avvisare al mezzo più opportuno e più sicuro per dirimere i pericoli eventualmente in essa insiti.

Circa le questioni speciali, von Papen ha menzionato le seguenti:

1) Stampa ed introduzione dei giornali tedeschi in Austria. I due Governi dovrebbero impegnarsi reciprocamente a vietare ogni diretta od indiretta ingerenza della rispettiva stampa nei problemi interni dell'altro Paese.

2) Radio: nel senso che le due parti dovranno far cessare ogni propaganda effettuata con tal mezzo, nei riguardi di questioni di politica interna.

3) Teatri, films, ecc.: nel senso suindicato.

4) Legionari austriaci ed Hiljsbund. Von Papen ha assicurato che il Governo tedesco veglierà acché gli austriaci «che si sono organizzati in Germania» svolgano la loro attività esclusivamente in opere di assistenza o filantropiche.

5) Partito nazionalsocialista austriaco. Circa tale importante questione von Papen -e Berger me lo ha riferito con particolar soddisfazione -ha affermato che non solo sarà formalmente vietato alla stampa tedesca di ingerirsi in alcun modo nella attività del predetto partito, ma che «il Governo stesso del Reich non mancherà di dichiarare che il partito nazionalsocialista austriaco, che è stato proibito dal Governo di Vienna, rappresenta una questione esclusivamente interna dell'Austria».

Berger ascrive le predette proposte tedesche, che non ha esitato a definire «una base positiva per una détente col Reich », ad un sentimento di grave preoccupazione, che si sarebbe fatto strada a Berlino, negli ultimi tempi.

Ad opportune mie indagini, Berger ha risposto lungamente. II suo pensiero è che il Governo di Berlino sarebbe in oggi deciso a togliere definitivamente di mezzo la questione dell'Austria, essendo ansioso di ritornare al più presto all'idea del Patto a Quàttro, cui vorrebbe venisse a partecipare anche la Polonia. Al riguardo Berger mi ha, fra l'altro, riferito che Hitler avrebbe di recente risposto a Neurath, che gli chiedeva di intrattenerlo sulle nuove leggi austriache relative agli Absburgo e sulla attuale situazione generale dell'Austria, con le seguenti parole: «Non desidero che voi mi parliate di una questione, che è stata rovinata per sempre da quel delinquente di Habicht ».

Secondo Berger, i seguenti avvenimenti avrebbero persuaso Hitler della necessità di cambiare completamente rotta nel campo della politica estera:

l) l'atteggiamento del Governo di Londra, solidale con gli accordi di Stresa, e deciso anch'esso a mantenere l'indipendenza dell'Austria: atteggiamento confermato dalle note dichiarazioni di Sir Samuel Hoare (l);

2) la grave preoccupazione del Reich per una restaurazione absburgica in Austria: preoccupazione accresciutasi in seguito alla recente legge austriaca concernente l'ex famiglia imperiale, ed alla completa assenza di ogni reazione di carattere internazionale;

3) la crescente persuasione dell'impossibilità per il Governo tedesco di cattivarsi Belgrado, senza perdere allo stesso tempo la fiducia e l'amicizia di Budapest;

4) il lento ma costante declino del nazismo hitleriano in Austria;

5) le diffidenze e le perplessità della Polonia per gli armamenti navali e terrestri della Germania: questione che avrebbe formato il principale oggetto della recente visita di Beck a Berlino (mio telegramma per corriere n. 077) (2);

6) l'aumentato prestigio dell'Italia, anche in rapporto ai recenti avvenimenti; e sopratutto la preoccupazione che Berlino avrebbe risentito pel fatto della riunione del nostro Comitato degli Ammiragli. Essa sarebbe stata interpretata come l'effetto di una piena intesa navale interceduta fra l'Italia e la Francia e come l'espressione di un monito italo-francese rivolto all'Inghilterra per il pericolo che le deriverebbe nel Mediterraneo qualora si incamminasse ancora più in accordi particolari con la Germania.

Da tutte le accennate circostanze internazionali, Berger ha tratto i più lieti auspici per il suo Paese.

Infine, circa la procedura che si propone di seguire nei rispetti delle proposte del von Papen, Berger mi ha ripetuto che intende esaminarle con la maggiore attenzione, riservandosi poscia di comunicarne il testo a V. E., assieme alle sue personali osservazioni ed emendamenti, onde riceverne parere e consiglio (3).

(l) -Si riferisce a quanto det.togli il 2 luglio da Suvich a nome di Mussolini: vedi D. 469, nota 4. . (2) -Vedi D. 427, nota 2 p. 451. (3) -Vedi D. 523. (l) -Vedi D. 427, nota 2 p. 451. (2) -Non pubblicato. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussolini.
544

L'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, ANFUSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 6692/1079. Atene, 15 luglio 1935 (per. il 19).

Mi riferisco alla precedente corrispondenza sull'argomento (l) e per ultimo al rapporto della R. Legazione n. 6013/1004 del 25 giugno u.s. (2).

Com'è noto all'E. V., una polemica di carattere tipicamente ellenico è venuta ad innestarsi sul viaggio che il generale Condylis ha fatto nel Regno e più precisamente sulle visite che Egli ha reso a V. E. Essa verte sulla latitudine degli argomenti di politica estera che il generale Condylis può aver toccato e sulla responsabilità che attraverso la trattazione di tali argomenti può essersi assunta. Zelatori del Patto balcanico, venizelistì repubblicano e ultra realisti (metaxisti) sono d'accordo, per opposte ragioni, a negare a Condylis il diritto di spostare l'equilibrio delle amicizie balcaniche e mediterranee della Grecia. Di fatto, ciò che preoccupa tutti costoro è la personalità di Condylis il quale giunto due volte sul punto di essere dittatore della Grecia ha avuto, forse, il torto di non diventarlo sicché si teme che Egli ricerchi una terza occasione e stavolta per non !asciarsela sfuggire. Che Condylis abbia scosso l'apatia dei rapporti internazionali ellenici compiendo un viaggio che costituisce una chiara manifestazione di simpatia verso l'Italia al di fuori del linguaggio anodino e delle oscure interpretazione del Patto balcanico, ha urtato gli autori del Patto ai quali fa ombra ogni iniziativa che possa allargare l'orizzonte internazionale della Grecia al di fuori delle formule sacre al Patto balcanico e più particolarmente all'amicizia greco-turca. Il gesto di Condylis è stato quello di un «outsider » in politica estera ed appunto considerandolo come tale, il gruppo del Ministero degli Esteri ellenico, che è responsabile della politica estera greca di questi ultimi anni, non ha potuto !asciarlo passare inosservato. Esso non ha, tuttavia, preso posizione contro Condylis la cui influenza nel Governo è troppo considerevole per essere apertamente osteggiata, ma ha tenuto ad insistere, attraverso gli organi stampa più vicini al Governo, i cui estratti trasmetto in allegato all'E. V. (3), che il viaggio è stato privo di ogni contenuto politico e diplomatico, non capace, in ogni modo, di alterare le grandi linee della politica ellenica. A complemento delle precisazioni suddette un particolare rilievo è stato dato alla visita a Bled del generale Condylis, visita resa all'amico balcanico della Grecia, recante il crisma del Patta balcanico, suscettibile di essere interpretata come un rafforzamento dei rapporti greco-jugoslavi. Regolatore della polemica in sordina è il binomio Maximos-Pipinelli al quale è devoluto, in ogni occasione, il compito di difendere il fuoco del Patto balcanico. Lo stesso Pipinelli, in una conversazione che ha avuto oggi con me al riguardo, mi ha detto di aver constatato con viva soddisfazione come la visita di Condylis in Italia si sia svolta sotto i più favorevoli auspici e come sia un evidente indizio delle ottime relazione fra i due Paesi,

avvenimento che non mancherà di avere le più favorevoll ripercussioni. Non ha voluto però uscire da queste formule ed ha tenuto a ripetere, per inciso, quanto in questi giorni la stampa ufficiosa si affanna a ripetere, sopratutto per placare gli allarmi di parte turca che si sono manifestati anche in pubblicazioni giornalistiche: «essere cioè evidente che nelle conversazioni fra il Duce e il generale Condylis sono stati passati in rassegna i più cospicui avvenimenti internazionali ma che questo non può autorizzare illazioni sull'atteggiamento della Grecia la quale continua a battere la sua strada, felice, comunque, se gli si offra l'occasione, di sviluppare le relazioni con la sua grande vicina mediterranea, l'Italia ». Risposta alla quale dà anche giustificazione la campagna che per fini interni conducono contro Condylis gli ultra-realisti e i repubblicani, i primi perché contestano a Condylis il diritto di farsi custode della Monarchia ed eventualmente monopolizzarla il giorno del suo probabile avvento, i secondi che non possono perdonargli di essere passato nelle file monarchiche dopo aver fatto sperare ai repubblicani che sarebbe stato il loro capo.

È difficile prevedere, adesso, se gli avvenimenti finiranno per dar ragione al binomio Maximos-Pipinelli ma specialmente al dottrinarismo di quest'ultimo, col risultato di far rappresentare alla Grecia, ancora per qualche tempo, la parte del satellite debole della Turchia, oppure sboccheranno in modo da consentire o a Condylis o ad un uomo politico che voglia conferire alla Grecia un maggiore prestigio nella sua politica mediterranea e continentale, di allentare i suoi legami con la Turchia riguadagnando la posizione di indipendenza e di duttilità di cui già si avvantaggiò con Venizelos. Quello che a noi specialmente interessa è che al di fuori di tutti i dubbi, le preoccupazioni e le mal celate ostilità degli ambienti governativi ed extra, nonché della generale diffidenza della stampa, l'uomo politico più rappresentativo della Grecia di oggi sia venuto in Italia a rendere visita al Duce, avvenimento che nell'agitata crisi di regime che attraversa la Grecia, richiama l'attenzione dei circoli responsabili ellenici sulla necessità di rapporti più frequenti e più cordiali con l'Italia, evidenza, della quale, nonostante tutte le polemiche, i governanti greci si rendono perfettamente conto. Quale che sia per essere il prossimo avvenire politico del generale Condylis, la sua amicizia può giovarci per il precedente che adesso ha formato e perché costituisce un richiamo necessario in un ambiente in cui non risuonano che appelli alla solidarietà balcanica (l).

(l) -Vedi D. 400. (2) -Non pubblicato: con tale rapporto de Rossi aveva riferito sui commenti della stampa greca circa il prossimo viaggio in Italia del gen. Kondylis. (3) -Non si pubblicano.
545

IL MINISTRO A KABUL, SABETTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI. MUSSOLINI

R. R. 334/153. Kabul, 15 luglio 1935 (2).

Mi onoro d'informare l'E. V. che le autorità afghane continuano a seguire con grande interesse le vicende politiche del nostro conflitto con l'Etiopia.

Tanto questo Ministro degli Affari Esteri, quanto S. A. il Principe Nahim me ne hanno ripetutamente parlato, esponendomi la tesi inglese ed il punto di vista di Ginevra, per un componimento amichevole.

Ho fatto presente come l'aggressivo e provocante atteggiamento dell'Imperatore d'Etiopia a nostro riguardo, e gli incidenti di questi giorni abbiano reso sempre più difficile ogni accordo a Ginevra. Quanto alla tesi inglese ne illustrai dettagliatamente le· note inamissibili contraddizioni di fronte alla rettilinea e leale politica italiana e convinsi i miei illustri interlocutori del nostro buon diritto a risolvere direttamente con l'Etiopia in modo definitivo la questione della sicurezza e dell'avvenire delle nostre colonie nell'Africa Orientale.

Mi è stato dato di notare un certo compiacimento nei Ministri afghani pel nostro inflessibile atteggiamento di fronte alla nota pressione britannica. Del resto tutti i Nazionalisti afghani simpatizzano per noi nel vederci tenere vittoriosamente testa alla Gran Bretagna in tale appassionante momento politico, e sono pieni di ammirazione per l'energica fermezza del Duce nel non ammettere né intromissioni né mediazioni non desiderate.

Anche in questo ambiente diplomatico si discute del conflitto italo-etiopico. Dopo il pranzo di questi ultimi giorni alla Legazione di Francia, mi trovai coi miei colleghi di Gran Bretagna, di Russia e di Francia, e presi parte alla loro conversazione che s'aggirava su quanto sarà per decidere il Consiglio della Lega delle Nazioni in merito al dissidio avvenuto in seno alla commissione d'arbitraggio tra i nostri delegati e quelli dell'Etiopia. Io sostenni l'assurdo giuridico dei delegati etiopici che pretendevano portare la discussione sulla delimitazione della frontiera somalo-etiopica, mentre dovevano invece esattamente stabilire chi erano stati gli agressori di Ual-Ual, confondendo così la doverosa procedura possessoria con quella petitoria, ad usum delphini.

Ad un certo punto il mio collega inglese si mise ad illustrare la necessità logica e morale per tutti i componenti della Lega delle Nazioni di sottoporre tutti i loro dissidi, nessuno eccettuato, al giudizio arbitrale. Gli obbiettai quanto segue: Voi sapete che anche l'India ha un delegato alla Lega delle Nazioni, e così pure l'Afghanistan; vogliate ammettere per un istante l'ipotesi d'un Afghanistan bellicoso ed irrequieto che mandi ad assalire in India un posto della vostra frontiera, su cui sventoli la bandiera britannica, per esempio nel territorio del sud, e vi uccida una ventina di soldati indiani costringendovi a respingere con le armi una ingiustificata e pericolosa agressione; che cosa farebbe l'Inghilterra? Accetterebbe l'arbitrato di Ginevra mettendo in forse il suo prestigio militare in India?

Il mio collega per tutta risposta concluse che le razze di colore ed i popoli incivili non dovrebbero far parte della Lega delle Nazioni, ed io mi affrettai a rispondergli che ero perfettamente d'accordo con lui su tale punto. Il mio collega di Francia sostenne simpaticamente il mio punto di vista e concluse che la vertenza fra l'Italia e l'Etiopia doveva essere risolta direttamente in Africa e non già a Ginevra.

(l) -Il presente documento rooa 11 visto di Mussollnl. (2) -Manca l'indicazione della data d'arrdvo.
546

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1267/832. Praga, 15 luglio 1935 (per. il 22).

Mio telegramma per corr. n. 098 del 10 corr. (1). Ho controllato presso questo Ministro d'Austria le dichiarazioni fattemi da Benes sull'argomento in oggetto.

È risultato che effettivamente Benes ha attirato l'attenzione di Marek sull'atteggiamento fermamente negativo che la Cecoslovacchia e la Piccola Intesa intendono mantenere contro l'eventualità di una restaurazione absburgica in Austria. Benes ha svolto gli stessi argomenti che ebbe ad illustrarmi e che ho riferito col telegramma per corriere sopra citato.

Sola differenza, che egli ha parlato con Marek dopo, e non prima della conversazione avuta con me, e gli ha infatti detto di avermi fatto presente il suo punto di vista. Ha aggiunto che la Piccola Intesa ha l'assicurazione che la Francia lo sosterrà a fondo nell'opposizione contro gli Absburgo.

È probabile che tale assicurazione sia stata data a Benes da Naggiar, il quale veniva introdotto presso il Ministro degli Esteri quando io ne uscivo. Ma non ritengo per ora necessario né opportuno mostrare al Ministro di Francia un eccessivo interessamento alla questione.

547

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 16 luglio 1935 (2).

Da vari sintomi risulterebbe che gli inglesi sono disposti a trattare sulla questione abissina con noi e con i francesi sulla base del Tripartito all'infuori di Ginevra.

Non è da supporre che le loro disposizioni siano tali che possano darci soddisfazione, ma l'inizio delle trattative fuori di Ginevra con l'Inghilterra è interessante e non conviene !asciarlo cadere. In fondo è quello che si voleva. Presi gli inglesi nelle trattative, con l'aiuto della Francia ci sarà possibile di portarli molto più avanti.

La recente proposta inglese (3) può offrire lo spunto per l'inizio di tali trattative, come da promemoria allegato. Per lo sviluppo di tale azione occorre però avere un pò di tempo a disposizione; non è possibile che tutto ciò si svolga nei nove giorni che mancano per

la convocazione del Consiglio di Ginevra. D'altra parte se a Ginevra venisse sollevata la questione etiopica in pieno tutto potrebbe saltare in aria in quanto, noi, in mancanza di precisi affidamenti da parte della Francia e dell'Inghilterra che hanno la « leadership » di Ginevra, non potremmo che assumere un atteggiamento assolutamente intransigente. Non è neanche da pensare che noi già il 25 luglio ci presentiamo con l'atto di accusa contro l'Abissinia. Ora sarebbe intempestivo; esso potrebbe dare origine a tutta una procedura di verifica delle nostre affermazioni da parte della Società delle Nazioni e a pressioni fatte su noi per sospendere ogni azione nell'attesa delle decisioni di Ginevra sulle nostre accuse.

Io vedrei piuttosto questo atto di accusa lanciato all'ultimo momento quando possa essere seguito a breve distanza da fatti irreparabili: servirebbe come alibi morale oltre che per noi per quelli che vorranno aiutarci.

Rimane quindi da superare lo scoglio della convocazione del Consiglio per il 25 che forse potrà subire un rinvio, ma solo di pochi giorni. Bisogna ottenere che in quetsa riunione di luglio del Consiglio della Società delle Nazioni la questione rimanga limitata alla procedura relativa a Ual-Ual e che possibilmente dia modo di riprendere i lavori della Commissione arbitrale. Per ciò mi rimetto all'unito appunto.

ALLEGATO I

L'AMBASCIATORE GUARIGLIA

AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

PROMEMORIA. [Roma, 12 luglio 1935].

La proposta fatta da Londra e Parigi di incaricare ~ rispettivi Ambasciatori a Roma di domandare al Governo Ltaliano: l) quali siano le sue lagnanze contro l'abissinia e 2) quali siano le sue 11ichieste al riguardo, vuol forse essere nel pensiero del Governo inglese un pl'imo passo verso le trattative a tre all'infuori di Ginevra?

Si dovrebbe pensare così, dato l'ultimo colloquio avuto da Grandi con Hoare (1), ma si tratterebbe in tal caso sempre di un passo assai incerto e superf<iciale.

Comunque non converrebbe perdere l'occasione per ripetere il nostro punto di vista.

Si potrebbe quindi suggel'ire a Lavai che, prima di rispondere in merito al passo proposto da Londra, chieda al signor Hoare di chtarirgli quale ne sarebbe il vero scopo, e cioè se gli inglesi desiderano con tali domande iniziare una seria e sostanziale trattativa diplomatica a tre, o se invece hanno, altre intenz;ioni che non è facile comprendere.

Lavai dovrebbe aggiungere che ~nfatti gli inglesi debbono a quest'ora da gran tempo conoscere i torti che ha l'Abissinia verso di noi, poiché lo stesso Hoare ne ha accennato nel suo discorso. Tali torti sono stati abbondantemente esposti dalla stampa italiana e internazionale e si possono 1.1iassumere genemcamente nella mancanza di sicurezza che presenta per le 'nostre colonie lo Stato abissino, nella ostiutà con cui è stato frustrato ogni nostro tentativo di collaborazione economica indispensabile per la vita delle nostre colonie (malgrado fosse appoggtato perfino da un trattato di amicizia), nello stato di barbarie in cui si trova il Paese ed a cui sono da attribuirsi le aggressioni e gli incidenti che avvengono da molti anni e di cui Ual-Ual rappresenba soltanto una manifestazione. Tutto ciò non è occasionale o episodico, ma è espressione ben nota di una situazione per la quale non bastano più espedtenti politici, ma occorrono oramai rimedi radicali e definitivi.

Gli inglesi conoscono pure perfettamente le esigenze italiane per averle S. E. il Capo del Governo esposte chiaramente, ma rtservatamente, al signor Eden a Roma, il quale gliene rivolse esplicita domanda (1). Si può ripetere ancora una volta che tali esigenze si concretano nel dominio diretto delle regioni dell'Etiopia soggette al dominio abissino e nell'istituzione di un regime di protettorato italiano sul centro dell'Impero sul tipo dell'Egitto o del Marocco.

ALLEGATO II

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. [Roma, 12 luglio 1935].

In relazione alla domanda rivoltaci da Lavai circa il passo inglese, si potrebbe rich~amare l'atte=ione dell'Ambasciatore di Francia sulla situazione venutasi a creare dopo la sospensione -per colpa del Governo abissino -dell'arbitrato di Ual-Ual.

Premesso che in sostanza l'Italia non ha nessuna. ragione di abbandonare il procedimento arbitrale, ferma restando la esclusione dell'esame della questione delle frontiere, converrebbe far comprendere all'Ambasciatore di Francia:

l) che se verrà convocata per il 25 luglio una riunione del Consiglio della S.d.N.; l'Italia sosterrà l'inutilità di essa, giacché non ci troviamo dinanzi ad un d~ssenso fra arbitri su argomenti soggetti all'arbitrato, ma su di una questione -quale quella di frontiera -che nella stessa precedente discussione di GLnevra era stata chiaramente

, esclusa dall'arbitrato; 2) che in conseguenza l'Italia si 11ifiuterà di partecipare alla detta riunione e non accetterà qualsiasi deliberazione presa in sua assenza. Poiché è da presumere che l'Ambasciatore francese farà presente la gravità di una simile decisione e l'imbarazzo 'in cui essa verrebbe a porre Inghilterra e Francia per le quali è indispensabile salvare la faccia a Ginevra, si potrebbe aggiungere che l'Italia è certo desiderosa di facilitare ai due Paesi amici la "loro ,azione nel seno della S.d.N. a condizione che questa sia organicamente diretta a seguire una procedura che non contrasti sostanzialmente coi le~ttimi interessi 'italiani. La Francia potrebbe a tale scopo persuadere Londra ad agire di comune accordo con essa a G1nevra per sostenere l'opportunità di prorogare ogni riunione del Consiglio nell'attesa che si trovi -mediante un'efficace azione diplomatica (che dovrebbe esercitarsi su Addis Abeba) -il modo con cui i lavol'i delLa Commissione di Ual-Ual possano essere ripresi, escludendo la questione delle frontiere e limitando la d~scussione ai fatti del 5 e 6 dicembre ed agli incidenti successivi, magari anche rinviando ad un tempo susseguente la dichiarazione delle responsabilità. Con ciò dovrebbe essere prorogata anche ogni discussione sulla nomina del quinto arbitro. Se Inghilterra e Franc,ia fossero d'accordo su quanto precede, l'Italia potrebbe anche accettare di intervenire alla riunione del 25 luglio a Ginevra, a condizione che H risultato di questa fosse proprio l'adozione di una deliberazione nel senso indicato. In questo caso però l'ItaLia deve francamente dichiarare fin d'ora che se il Consiglio si prestasse ad una discussione oltre tali limiti, scopo cui tendono manifestamente gli abissini, la Delegazione italiana avrebbe preventivi ordini di ri,tirarsi dalle sedute. Dopo constate le reazioni francesi ed inglesi a tali nostre indicaZiioni, si potrebbe anche in un tempo successivo f,ar comprendere all'Ambasciatore di Francia che, ove La Francia e l'Inghilterra si mostrasse~ro realmente desiderose di concordare previamente con noi neli suoi dettagLi la procedura da seguire, potremmo anche non fare ob1ezioni alla nomina del quinto arbitro, sempre che taLe nomina fosse inquadrata in tale procedura, così da renderne sicura l'applicazione.

(l) -Vedi D. 520. (2) -Quest'appunto era inizialmente datato 12 luglio. Mussollni, vistando 11 documento, corresse !l 12 in 16. (3) -Vedi D. 524.

(l) Vedi D. 497.

(l) Vedi D. 433.

548

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

VERBALE (1). Roma, 16 luglio 1935, [ore 19].

L'Ambasciatore Chambrun deve premettere che egli ha richiesto di vedere il Capo del Governo per espresso incarico del suo ministro e che le comunicazioni che deve fare rientrano nel quadro dell'amicizia franco-italiana. Ciò egli premette perché avendo inteso di altre domande di udienza rivolte al Capo del Governo (Ambasciatore di Gran Bretagna) non vorrebbe che il suo colloquio odierno potesse essere considerato come elemento di un'azione concordata.

Il signor Chambrun ha ricevuto un telegramma da Lavai relativo allo sviluppo della questione etiopica. Il signor Lavai lo informa che negli ultimi giorni ha ricevuto sovente l'Ambasciatore inglese a Parigi Clerk. Quest'ultimo, richiamandosi alla proposta antecedente per un incontro a tre, ha prospettato al governo francese l'opportunità che i due Ambasciatori inglese e francese a Roma si mettano in contatto col Capo del Governo per chiedergli i due seguenti punti:

l) quali sono i «griefs » che l'Italia ha contro l'Abissinia;

2) quali sono i fini dell'Italia nella sua azione etiopica.

È evidente che le domande sono oziose in quanto gli inglesi sanno le risposte che si possono dare ai due punti. Però il signor Lava!, prima di dare una qualsiasi risposta ha voluto chiedere l'opinione del signor Mussolini sottoponendogli alcune sue considerazioni. Dalle conversazioni coll'Ambasciatore inglese, dal discorso di sir Samuel Hoare specialmente per la parte che si riferisce alle discussioni sul trattato del 1906, da altri indizi, il signor Laval ha l'impressione che nelle direttive inglesi sia succeduto un revirement del quale bisognerebbe tener conto.

Pare interessante che gli inglesi accettino il principio di discutere la questione abissina con l'Italia assieme alla Francia, all'infuori della Società delle Nazioni: con ciò la questione viene portata dal piano internazionale ad un piano di intesa fra tre Potenze amiche. D'altra parte entrainer gli inglesi in una conversazione di tale genere può portare molto lontano.

L'Ambasciatore legge l'ultima parte del telegramma del signor Laval dal quale si rileva che, preoccupazione del signor Laval in questa evenienza, è quella di fare cosa gradita all'Italia.

Il Capo del Governo tiene anzitutto ad esprimere i propri ringraziamenti al signor Laval per l'atteggiamento così cordiale che egli tiene nei confronti dell'Italia, ed esprime pure la propria soddisfazione per la buona intesa esistente fra i due paesi. È necessario che i nostri Paesi rimangano uniti in ogni evenienza anche se dovremo avere delle difficoltà con altri paesi.

Per quanto riguarda la richiesta fatta dalla Gran Bretagna, egli osserva: se la Gran Bretagna fa una proposta formale di entrare in conversazioni con noi e con la Francia sulla base del Tripartito, egli non può opporre un rifiuto: primo,

41 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. I

perché un simile passo non potrebbe essere interpretato che come un gesto amichevole; in secondo luogo perché sulla base del Tripartito la Gran Bretagna ha diritto di chiedere ciò.

Egli non intende però entrare in discussione sulla questione dei « griefs »; non intende assumersi la parte di Pubblico Ministero. Ad osservazione dell'Ambasciatore Chambrun non esclude che questi possano formare oggetto di un esposto alla Società delle Nazioni.

L'Inghilterra sa altrettanto bene quanto noi quali sono questi « griefs ». Egli viceversa è disposto a discutere la questione dei fini che si propone di raggiungere in Etiopia. Quali sono questi fini la Gran Bretagna lo sa perché egli ha avuto occasione di parlarne chiaramente con Eden; anzi glieli ha addirittura indicati sulla carta geografica (1). Si tratta di avere la cessione territoriale della zona periferica conquistata dagli abissini nell'ultimo mezzo secolo e di avere il protettorato sul resto dell'Abissinia (tipo Iraq, Egitto, Manciukuo, Marocco).

Ciò premesso egli è disposto a discutere con gli inglesi sulle assicurazioni dei loro diritti specialmente per quanto riguarda la questione delle acque del lago Tsana e del Nilo Azzurro.

L'Ambasciatore Chambrun -se gli è permesso di parlare molto francamente (naturalmente parla a titolo personale) --vorrebbe chiedere al Capo del Governo se, potendo raggiungere i suoi fini in via pacifica anziché con la guerra, egli non ritenga che in tal caso potrebbe ridurre le proprie pretese.

Il Capo del Governo ha già fatto questa distinzione, a cui accenna l'Ambasciatore Chambrun, col signor Eden. Il programma sopra accennato è quello per il caso in cui non sia costretto a ricorrere ad una guerra altrimenti il suo programma sarebbe totalitario: cioè la cancellazione dell'Etiopia dalla carta geografica.

L'Ambasciatore Chambrun si permette ancora di chiedere al Capo del Governo se, potendo avere un protettorato su tutto il complesso etiopico, egli non riterrebbe ciò un successo sufficiente; si eviterebbe così di sollevare la questione della dislocazione, che certo incontrerebbe delle difficoltà e si eviterebbe anche di lasciar sussistere un nucleo centrale che potrebbe essere sempre un elemento di turbamento tanto nei riguardi interni dell'Abissinia che nei riguardi esterni (esclusa fa Francia che non darà certamente mai dei fastidi all'Italia).

Il Capo del Governo risponde che evidentemente tutto dipende dalla forma del protettorato: l'Abissinia per l'Italia non è solo una questione morale ma anche una questione di espansione demografica ed economica: se il protettorato si basasse su una formula vaga tutto sarebbe da ricominciare. Bisognerebbe che gli italiani avessero la possibilità di installarsi nell'Abissinia e lavorare e far lavorare.

Suvich osserva che una delle condizioni è il disarmo permanente dell'Abissinia.

II Capo del Governo precisa che si deve trattare anzi di una occupazione militare con guarnigioni. E aggiunge che ad ogni modo però bisognerà avere delle rettifiche di frontiera.

Il signor Chambrun osserva che la cosa in tal modo si presenterebbe più accettabile; egli non esclude che si possano portare gli inglesi fino al riconoscimento del protettorato.

Il Capo del Governo a conclusione dice che comunque l'idea del protetto

rato è una idea interessante sulla quale egli ferma la propria attenzione.

Il signor Chambrun riassume:

-soddisfazione del Capo del Governo per l'atteggiamento tenuto dal signor Lavai e per l'avvicinamento tra i nostri paesi;

-risposta agli inglesi da parte del signor Laval che si può entrare in conversazioni a tre sulla base del Tripartito se gli inglesi fanno una proposta formale;

-che non si discute di « griefs ~ (se mai questo farà oggetto di un esposto alla Società delle Nazioni) e che invece si può entrare in discussione sui fini e sul modo di raggiungere i fini che sono nel programma del Capo del Governo.

549.

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL DOTTOR DUBBIOSI, A SANAA

T. 1280/82 R. Roma, 16 luglio 1935, ore· 24.

Telegramma di V. S. n. 153 (1).

Prego V. S. significare Imam che R. Governo ha accolto con compiacimento sue dichiarazioni nostri confronti; che ha preso atto che Trattato con Etiopia riguarda soltanto relazioni. amicizia e commercio, come sarà fatto risultare da prossima notificazione; e che confida che Governo yemenita rimarrà coerente linea condotta di non consentire in nessun caso arruolamenti truppe yemenite per esercito abissino e sbarco nei porti yemeniti di vettovaglia od altro materiale, specie se bellico, destinato Etiopia, esercitando attenta sorveglianza onde evitare eventuali trasgressioni.

V. S. soggiunga che da tale atteggiamento Yemen tradizionale amicizia italoyemenita sarà consolidata.

550.

L'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, ANFUSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4040/090 R. Atene, 16 luglio 1935 (per. il 19).

Telespresso R. Legazione n. 4875/796 del 25 maggio u.s. (2).

Riferendosi alle recenti dichiarazioni di Titulescu relative ad una eventuale adesione della Piccola Intesa ed anche dell'Intesa Balcanica ad un patto di garanzia per indipendenza Austria, questo Ministro Affari Esteri mi ha detto che Grecia per sua parte considera con ogni cautela simile adesione, non scorgendo convenienza che le verrebbe offerta dal sottoscrivere un Patto che esorbita dalle

funzioni politiche attribuite alla Grecia e che la trascinerebbe a prendere impegni in un settore dell'Europa Centrale dal quale tutto le consiglia di rimanere lontana.

Maximos ha aggiunto che uguale convenienza in tale questione sembra essergli quella della Turchia. È vero -egli ha continuato -che tanto la Turchia che la Grecia desiderano di partecipare alla Conferenza danubiana, ma tale desiderio è dettato da considerazioni di ordine generale e non dal proposito di garantire indipendenza austriaca.

In altre dichiarazioni, precedenti alla sua assunzione al Ministero degli Esteri e che mi sono state riferite da questo Ministro di Austria, Maximos avrebbe detto che Grecia non intende, garantendo indipendenza austriaca, far cosa sgradita alla Germania, la quale, al di fuori di ogni considerazione d'ordine politico, continua ad essere il «miglior cliente della Grecia».

551.

L'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, ANFUSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4090/091 R. Atene, 16 luglio 1935 (per. il 21).

Maximos, che ha assunto il 13 corrente direzione Ministero Esteri, ha voluto dirmi che una delle sue cure principali sarà posta nel rendere sempre più cordiali relazioni con l'Italia, sopratutto adesso che sembravagli come da parte nostra si tendesse ad apprezzare nella giusta luce i benefici resi alla causa della pace dal Patto balcanico.

Gli ho risposto che il Patto non era mai stato visto con diffidenza dall'Italia e che soltanto le varie interpretazioni che gli erano state date nella Penisola balcanica e altrove avevano richiamato su di esso la naturale attenzione dell'Italia la quale guarda del resto con ogni simpatia ai compiti assegnati alla Grecia nel Mediterraneo e nei Balcani.

Come uno dei firmatari del Patto egli si compiaceva delle buone relazioni italo-jugoslave le quali non possono, di riflesso, che avvantaggiare le relazioni italo-elleniche.

Gli ho chiesto se avesse avuto notizie circa il soggiorno di Condylis in Jugoslavia. Maximos mi ha risposto che Condylis non ha avuto una «missione politica » e che la sua visita non può aggiungere nessun nuovo elemento a quanto forma la politica del Governo ellenico nei confronti di quella di Belgrado.

Per quanto concerne viaggio Condylis in Italia pur volendo mostrare un certo agnosticismo, confermando, in pieno impressioni da me comunicate all'E. V. con rapporto n. 6692/1079 del 15 corrente (l) ha dovuto ammettere grande utilità visita Vice Presidente del Consiglio ellenico al Duce, visite che « pur non avendo natura politica» sono tali da avvantaggiare rapporti politici italo-greci e da contribuire a chiarire rispettive posizioni, a preludio di un nuovo incremento delle relazioni stabilite dal Trattato italo-greco.

In una parola Maximos vuole portare a suo vantaggio eventuali sviluppi che, anche in dipendenza visita Condylis in Italia, dovessero imporsi a favore di una

maggiore intesa fra i due Paesi, solo preoccupato di sottolineare che una iniziativa del genere non è partita da Condylis ma dalle buone disposizioni del Ministero degli Esteri ellenico.

È nel timore perdere tali prerogative che Egli ha autorizzato e tenuta desta campagna intesa negare valore politico ·viaggio Condylis, mentre ha moltiplicato con me assicurazioni circa necessità rafforzare relazioni italo-greche, nei limiti dell'Intesa Balcanica, d'accordo con essa, in previsione di un Patto più largo.

Ha continuato col dirmi che si sforzerà di dimostrare propositi amichevoli di cui è animato Governo ellenico nei confronti dell'Italia relativamente vertenza itala-abissina cercando di venire incontro a tutti i nostri desiderata per quanto si riferisce agli eventuali arruolamenti di cittadini ellenici in Abissinia ed alla spedizione di armi e munizioni dalla Grecia per quella direzione.

Circa assicurazioni datemi da lui in questo senso riferisco con telegramma per corriere odierno n. 092 (f).

Avendogli accennato all'atteggiamento della stampa greca, anche governativa, nei riguardi dell'Italia in merito a vertenza itala-abissina, Egli ha ripetuto nota singolare affermazione questo Ministero Esteri (mio rapporto n. 6696/1082 del 15 corrente) (2) che cioè in Grecia «la stampa non conta niente» e che egli è il primo ad essere vilipeso.

Si riferiva poi al divieto fatto dal Governo greco a Politis (3) di accettare nomina rappresentante Etiopia in seno Commissione conciliazione, per dimostrare sentimenti lealtà Governo greco verso Italia, sentimenti ai quali Egli si ispira, convinto com'è delle buone ragioni della Italia. Mi prometteva che avrebbe spiegato ogni possibile azione in questo senso presso la stampa e i circoli governativi.

Per quanto si riferisce indirizzo generale politica ellenica, riprodotte dichiarazioni non hanno valore puramente formale.

Ministero degli Esteri ellenico continua comunque essere nelle mani del Direttore Generale Affari Politici, già Capo Gabinetto, Pipinelli, il quale è completamente irretito nelle note formule di solidarietà balcanica e soltanto preoccupato di non far cosa sgradita alla Turchia.

Maximos, che dalla recente crisi esce diminuito di autorità politica, ha ogni interesse avere piena collaborazione di Pipinelli il quale possiede fiducia Tsaldaris.

Ritorno Maximos agli Esteri, dato che egli continuava considerarsi ugualmente Ministro Esteri di Grecia anche in questo recente periodo di vacanza, nùn fa che riconsacrare principi politica ellenica nel quadro Patto balcanico, principi che, all'avvento di Maximos, Titulescu si è affrettato a sottolineare con pubbliche dichiarazioni di solidarietà.

Unica circostanza degna di rilievo, e di cui ho riferito a V. E. col mio rapporto n. 6692/1079 del 15 corrente, è che Maximos, le cui relazioni con Condylis non sono mai state eccellenti, segue con una certa apprensione azione di quest'ultimo intesa ad assumere particolare posizione in caso restaurazione monarchica e non nasconde suo malumore per indipendenza dimostrata dal Vice Presidente del Consiglio in occasione suo viaggio in Italia.

(l) Al colloquio era presente Suvich, che ha redatto !l presente verbale.

(l) Vedi D. 433.

(l) -Vedi D. 513. (2) -Non rinvenuto.

(l) Vedi D. 544.

(l) -Vedl D. 552. (2) -Non pubbJicato. (3) -Vedi D. 93.
552

L'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, ANFUSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4091/092 R. Atene, 16 luglio 1935 (per. il 21).

Mio telegramma per corriere n. 091 in data odierna (1).

Maximos mi ha detto che una delle questioni che hanno maggiormente attirato la sua attenzione in occasione del suo ritorno alla direzione del Ministero degli Esteri è la necessità da parte del Governo ellenico di dimostrare al Governo italiano come esso non solo sia estraneo ad ogni arruolamento di cittadini greci nell'esercito etiopico ma come esso tenti, nel limite delle sue possibilità, di ostacolarlo.

Quest'ultimo punto, secondo Maximos, presenta delle difficoltà ·in quanto gli intenzionati a recarsi in Abissinia domandano di espatriare per l'Egitto affermando di essere colà chiamati da parenti o di essere stati richiesti per ragioni di lavoro. Giunti in Egitto essi troverebbero facilmente il modo di recarsi in Etiopia favoriti dalle cosidette «Società economiche per l'Etiopia'> che hanno ramificazioni anche in Grecla.

Gli ho fatto presente che Governo ellenico possiede comunque larghi mezzi per controllare tali attività ed impedirle e che contavo sulla sorvegUanza che in tale senso Egli avesse creduto opportuno di ordinare. Similmente lo pregavo di voler disporre massima vigilanza per eventuali spedizioni di armi in Etiopia.

Maximos mi ha assicurato che Governo ellenico ha posto divieto per esportazione armi in Etiopia (2).

Per quanto si riferiva spedizioni illecitamente fatte da privati e contrabbando, Egli credeva di poterle escludere. Gli ho risposto che da notizie che mi riservavo di controllare, sembra che Ditte elleniche si interessino spedizione armi e munizioni in Abissinia. Maximos mi ha promesso che, anche in base precisa segnalazione R. Legazione, Governo ellenico avrebbe fermato carichi di armi e munizioni diretti dalla Grecia in Abissinia.

553

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

VERBALE (3). Roma, 17 luglio 1935, [ore 18].

L'Ambasciatore Drummond ha avuto incarico preciso dal proprio Governo di chiedere al Capo del Governo di voler iniziare delle conversazioni con Francia e Gran Bretagna sulla base del Tripartito per cercare una soluzione della

questione abissina evitando le ostilità. Le conversazioni dovranno aver luogo a Roma. L'Ambasciatore indica i termini precisi della richiesta del proprio Governo come segue:

«In linea generale lo scopo della riunione sarebbe di tentare di trovare una soluzione con particolare riguardo nel campo economico che potesse evitare un ricorso alle ostilità. In particolare, e colla intesa che la pace sia conservata, tale riunione offrirebbe la migliore occasione per il regolamento dei nostri rispettivi interessi economici, regolamento che il governo italiano ha già richiesto....

Il regolamento e la procedura sopracitate offrirebbero al governo italiano· l'opportunità di adottare il metodo più pratico e più appropriato di esporre il suo caso come è tenuto nei riguardi dei suoi due co-firmatari del Trattato del 1906 ».

L'Ambasciatore deve poi riaffermare quanto al Capo del Governo è già noto relativamente all'attaccamento del proprio Governo alla politica di Ginevra.

Il Governo inglese deve avvertire con tutta sincerità che il giorno in cui le cose arrivassero ad un punto tale da dover compromettere la nostra posizione a Ginevra esso non potrebbe seguirei, perché non potrebbe staccarsi dalla politica della Lega.

L'Ambasciatore ci tiene a che questa dichiarazione sia compresa nello spirito di assoluta amicizia da cui è dettata e da un puro sentimento di lealtà. Le preoccupazioni del Governo inglese riguardano anche la prossima riunione del Consiglio della Società delle Nazioni. L'Ambasciatore ritiene che non si possa evitare tale riunione alla fine del mese; sarebbe vivo desiderio del Governo inglese che a tale riunione l'Italia si facesse rappresentare e che portasse anche tutti i suoi «griefs » contro l'Abissinia. Il Governo inglese non esclude che la maggioranza della commissione possa decidere di discutere a fondo la questione abissina ed appunto per tale evenienza bisogna essere preparati.

Il Capo del Governo, rispondendo in primo luogo alla richiesta di apertura di conversazioni, dice che egli accetta di discutere come proposto dal Governo britannico. Deve avvertire fin d'ora che, sulla base delle indicazioni date dall'Ambasciatore, egli non ritiene che tali conversazioni possano portare a qualche risultato.

Le concessioni economiche non ci sono sufficienti. È inutile d'altronde parlare di concessioni economiche se non si crea una situazione di sicurezza nel Paese a nostro favore -come un protettorato -che ci permetta di esplicare una politica di penetrazione economica. Nel Trattato di Ucialli noi abbiamo già avuto una parvenza di protettorato sull'Abissinia, ma le disposizioni del detto Trattato non si sono mai potute tradurre in atto perché mancava la base sostanziale del protettorato stesso, cioè le misure di ordine positivo. Il signor Eden conosce molto bene quale è il programma del Capo del Governo.

Se quindi le indicazioni date dall'Ambasciatore quale obiettivo delle conversazioni possono considerarsi un punto di partenza, la cosa può avere qualche prospettiva, se queste invece vanno considerate come il limite da raggiungere, le prospettive sono nulle.

Per quanto riguarda la Società delle Nazioni il Capo del Governo non ha niente in contrario che si riprenda l'esame della procedura di arbitrato tenuto bene presente che noi non intendiamo che la Commissione discuta la questione delle frontiere. Sotto tale condizione egli non si opporrebbe neanche alla nomina del quinto arbitro da parte del Consiglio. Noi siamo a Ual-Ual da sei anni e la Commissione potrà procurarsi tutti gli elementi per decidere a chi risalga la responsabilità dell'attacco.

Suvich ritiene che non sia il caso di venir fuori ora coi «griefs » il che allargherebbe il campo delle discussioni al prossimo Consiglio di Ginevra che invece deve rimanere limitato alla questione di procedura per l'incidente di Ual-Ual.

L'Ambasciatore ammette che ciò sarebbe desiderabile ma non sa in quanto ciò potrà essere raggiunto. L'Ambasciatore ringrazia il Capo del Governo per le sue dichiarazioni che riferirà al proprio Governo.

(l) -Vedi D. 551. (2) -Vedi D. 476. (3) -È presente al colloquio il sottosegretaTio Suvich, che ha redatto U presente verbale.
554

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA

T. 1290/78 R. Roma, 17 luglio 1935, ore 23.

Pregola riferirmi quanto eventualmente le risulta circa conversazioni fra generale Condylis e codesto Presidente Consiglio.

Per sua riservata conoscenza informola che S. E. Capo Governo ha autorizzato generale Condylis far conoscere nuovo Governo jugoslavo come un passo da parte di questo verso avvicinamento all'Italia troverebbe qui favorevole accoglienza (1).

555

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4027/127 R. Tokio, 17 luglio 1935 (per. il 18) (2).

Giornali odierni, riportando dichiarazioni che Sugimura, in seguito alle istruzioni ricevute (3), avrebbe fatto Duce nel senso che il Giappone non ha interessi politici in Abissinia, aggiungono che questo Ministero degli Affari Esteri, interpellato, avrebbe negato invio di istruzioni telegrafiche Sugimura e manifestato soltanto determinazione di seguire con calma andamento questione, senza prestarsi intrighi altri Stati che vorrebbero coinvolgere Giappone.

Secondo più recente telegramma da Roma Sugimura avrebbe spiegato corrispondente Yomiuri che istruzioni furono da lui ricevute in occasione sua nomina costì, e che suo colloquio [era] inteso a dissipare dubbi circa supposto intervento giapponese nostra vertenza.

(l) -Per la risposta di Viola vedi D. 583. (2) -Manca I'indiéazlone delle ore di partenza e dd arrivo. (3) -Sugimura era stato ricevuto da Mussolini il 16 luglio alle ore 17,45. Non sono sta-M rinvenuti né appunti sul coLloquio né un telegramma di informazdone per Auriti.
556

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4070/0209 R. Berlino, 17 luglio 1935 (per. il 20).

Nel comunicarmi di avere ieri ricevuto da Roma la risposta del R. Governo al promemoria tedesco circa l'incompatibilità dell'accordo franco-sovietico con il Trattato di Locarno (1), il signor von BUlow aggiunse che il Governo del Reich avrebbe ora atteso anche la risposta belga ed avrebbe poi considerato quale seguito si dovesse dare alla cosa.

Egli aveva intanto incaricato l'Ambasciatore Koester-, il quale aveva fatto recentemente ritorno a Parigi, di avvicinare il Presidente del Consiglio Lavai e di avere con lui una conversazione esplicita sopra tutto il problema dei patti regionali. .L'Auswartiges Amt non sapeva infatti se la Francia intendesse partecipare ad un eventuale patto orientale o semplicemente aderirvi, siccome era sembrata intenzionata di fare in un primo tempo. Dopo la stipulazione dell'accordo con l'U.R.S.S., che era una vera e propria alleanza, si doveva credere che la Francia intendesse partecipare al patto orientale. Ad ogni modo occorreva chiarire questo punto importante. L'Ambasciatore di Francia non era stato in grado di fornire chiarimenti esaurienti al riguardo. François-Poncet sostenne la tesi che, qualora si potesse giungere alla conclusione del patto orientale, questo si sostituirebbe automaticamente al patto franco-sovietico. Ma egli, von BUlow, non ne era convinto e riteneva per contro che il patto franco-sovietico ed anche quello cecoslovacco-sovietico rimarrebbero in vigore come due «annessi » del patto orientale, cosa che non garbava affatto alla Germania.

li'inora Koester, a causa delle feste del 14 luglio e della preparazione dei noti decreti che avevano richiesto tutta l'attenzione del Presidente del Consiglio francese, non aveva potuto vedere Laval, ma ciò sarebbe certamente accaduto nei prossimi giorni ed avrebbe probabilmente servito a chiarire le cose.

Parlando poi del contenuto delle risposte ricevute dai Governi francese, inglese ed italiano il signor von BUlow disse che il loro contenuto era su per gm identico ed, a suo giudizio, non riusciva ad infirmare le obbiezioni mosse dal Governo del Reich circa l'art. 16 dello Statuto della Società delle Nazioni.

557

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4073/030 R. Budapest, 17 luglio 1935 (per. il 20).

Mio telegramma per corriere n. 028 del 3 c.m. (2). Il signor Kanya, cho ho visto ieri, mi ha parlato della decisione di Goemboes di andare in Germania in termini abbastanza ragionevoli.

Mi ha detto senza reticenze di ritenere, in questo momento, inutile ed inop

portuno tale viaggio. Ha cercato di far valere presso il Presidente tutti gli

argomenti contrari quali un diplomatico può facilmente dedurre dall'attuale

situazione politica, fra cui quello che un incontro con Hitler dopo la visita

del generale Somkuthy a Berlino avrebbe messo il campo a rumore e avrebbe

dato a questa un valore che non aveva, rispondendo «a tradizione» che il

Capo di Stato Maggiore ungherese, subito dopo nominato, prenda contatto per

sonale col suo collega germanico. Doveva ora confessarmi di non essere riuscito

a persuadere Goemboes: su uomini politici come lui e Goering non hanno presa

gli argomenti dei diplomatici.

Egli, Kanya, approvava pienamente invece un'eventuale visita di Goemboes

a V.E..

Frattanto la decisione del Presidente del Consiglio ungherese di recarsi in

Germania comincia a trapelare. L'ha appresa questo Ministro di Austria, che

si è subito recato dal Ministro degli Affari Esteri a manifestare le sue preoc

cupazioni. Kanya gli ha ripetuto il discorso tenuto a me, discorso che non ha

certo tranquillizzato il barone Hennet, il quale, da qualche tempo, sopravaluta

forse eccessivamente la crescente prevalenza in politica estera dell'indirizzo per

sonale di Goemboes su quello ufficiale di Kanya. (Riferendomi il suo colloquio

col Ministro degli Esteri, mi ha detto fra l'altro essere sua impressione che sco

po del viaggio del Capo di Stato Maggiore ungherese a Berlino era stato quello

di «concordare un piano di spartizione della Cecoslovacchia»).

Per quanto Kanya mostrasse di non essere riuscito a far valere i suoi argo

menti presso Goemboes, devo ritenere che sia anche frutto della sua o~era

persuasiva la nuova impostazione data dal Presidente, con sua recente lettera

personale, alla richiesta di incontrarsi con l'E. V. anche indipendentemente dalla

prospettiva dell'incontro con Hitler.

Ciò dico senza naturalmente diminuire l'elemento forse decisivo, di cui del

resto Goemboes teneva debito conto quando parlava del viaggio a Roma « pri ma o dopo » della visita in Germania: e cioè la preoccupazione degli imba . razzi interni a cui egli si esporrebbe ove si diffondesse qui l'impressione che la sua andata a Berlino non incontra l'approvazione, né preventiva né postu

ma, di V. E. (1).

(l) Ctr. Akten zur Deutschen Auswiirtigen Politik, 1918-1945, vol. IV, l, cit., D. 210, Allegato.

(2) Vedi D. 479.

558

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4108/032 R. Terapia, 17 luglio 1935 (per. il 22).

Il recente viaggio di Condylis a Roma (2) ha sollevato qui i soliti sospetti e dubbi alimentati del resto dalla antica lettera di Politis pubblicata ad Atene alla fine del mese scorso.

Tali sospetti e dubbi ha voluto dissipare il telegramma roboante e parolaio inviato da Maximos nel riprendere il Portafoglio degli Esteri ed al quale Aras ha risposto sullo stesso tono.

Tenuto conto di qualche indiscrezione dellà stampa internazionale circa il contenuto dei colloqui, specialmente in rapporto al progettato patto mediterraneo, sarò grato a V. E. se vorrà farmi conoscere quanto riterrà del caso, per mia eventuale norma di linguaggio (1).

(l) -Vedi D. 579. (2) -Vedi DD. 400, 525 e 544.
559

L'INCARICATO D'AFFARI A VARSAVIA, BELLARDI RICCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4118/012 R. Varsavia, 17 luglio 1935 (per. il 22).

Ho l'onore di segnalare ad ogni buon fine a V. E. che da notizia provenientemi da tre differenti fonti risulterebbe che il Governo polacco avrebbe compiuto dieci giorni fa un passo a Bucarest per far formalmente colà presente che l'accordo che si sta negoziando tra Romania e U.R.S.S. è incompatibile con il patto di alleanza romeno-polacco. Tale passo avrebbe lo scopo di porre il Governo romeno, prima che sia troppo tardi, nella necessità di scegliere tra Varsavia e Mosca.

560

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DELL'UNIONE SOVIETICA A ROMA, STEIN

APPUNTO. Roma, 17 luglio 1935.

L'Ambasciatore Stein s'informa sulle varie questioni di attualità con particolare riguardo alla visita di Beck a Berlino (2).

Gli do' qualche informazione. Egli da parte suà non ha notizie al riguardo.

Parlandomi della questione etiopica dice che il Governo russo è stato invitato da alcuni intermediari estoni a fornire delle armi per l'Etiopia. Il Governo russo ha rifiutato, ma ha voluto vedere un po' a fondo nella cosa per sapere da chi partisse la proposta. Gli è risultato che i veri interessati all'affare erano dei tedeschi e che la Legazione tedesca di Tallinn era al corrente della cosa.

L'Ambasciatore mi ricorda che a suo tempo (3) io gli ho detto che Eden non aveva fatto delle proposte mentre poi è risultato il contrario.

Gli ricordo che, senza entrare in dettagli, gli avevo detto che gli inglesi si dimostravano disposti a fare dei sacrifici per regolare la questione abissina; d'altra parte quella di Eden non era una vera proposta ma era soltanto un sondaggio che avrebbe eventualmente avuto un ulteriore sviluppo. Il Capo del Governo però lo ha troncato fin dall'inizio di modo che non se ne è parlato più.

(l) Per la risposta di Suvich vedl D. 632.

(2) VecY DD. 464 e 481.

(3) Vedl D. 441.

561

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, GEISSER CELESIA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4038/144 R. Madrid, 18 luglio 1935, ore 15,45 (per. ore 20,20).

Da un fuggevole accenno di questo Sottosegretario di Stato ho tratto impressione che in questi giorni vi sia un intenso scambio di vedute tra questo Governo, Londra, Parigi e Ginevra circa la posizione della Società delle Nazioni nei riguardi vertenza italo-abissina.

Malgrado riserbo in cui Sottosegretario di Stato si è subito chiuso, egli mi ha lasciato intendere che reputava conveniente differimento riunione del 25 corrente, ma che, comunque sperava nella possibilità trovare qu&.lche soluzione che evitasse guerra.

Di fronte mie illustrazioni nostre posizioni e necessità, egli ha sviato discorso riconfermando però decisione, proposito Governo spagnuolo perseverare posizione amichevole nei nostri riguardi per quanto concerne traffico armi, ingaggio aviatori ecc., seppure evitando rendere pubblicamente noto tale atteggiamento che stimava preferibile sia mantenuto riservato. In linea generale ho impressione che, entro i limiti tradizionale politica, si sia qui, forse anche sotto generale pressione stampa, piuttosto favorevolmente disposti nostro riguardo e che circoli governativi, rendendosi conto inflessibilità politica italiana circa Abissinia, si preoccupino solo per evitare turbare pace europea e salvaguardare prestigio Società delle Nazioni, informando a ciò principalmente loro attuale atteggiamento, che, però, terrà sempre conto sopratutto di quello di Londra, malgrado avverso parere alcuni settori opinione pubblica.

562

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4031/91 R. Bled, 18 luglio 1935, ore 16 (per. ore 20,30).

Iersera ore 18 il sig. Martinaz, Ministro aggiunto Affari Esteri, ha convocato d'urgenza De Ciutiis e gli ha fatto a nome del Presidente del Consiglio e Ministro Affari Esteri la dichiarazione testuale che trasmetto con telegramma successivo al presente (1).

Il signor Martinaz ha premesso che aveva istruzioni di fare tale dichiarazione verbalmente ma che, data sua importanza, preferiva che De Ciutiis scrivesse sotto sua dettatura traduzione francese del testo serbo. Forma della comunicazione rimane non pertanto verbale. Ministro aggiunto Affari Esteri ha chiesto ed ottenuto assicurazioni che dichiarazione sarebbe stata fatta pervenire a V.E. entro oggi. Signor Martinaz ha aggiunto essere altresì incaricato da Stojadinovic

di dichiarare che il Governo jugoslavo è disposto collaborare e a dare ogni possibile appoggio al punto di vista del R. Governo in sede Conferenza danubiana, ha aggiunto anche che, conformemente ordini di Stojadinovic, soltanto egli (Martinaz) era d'ora in poi qualificato per trattare con R. Legazione tutto quanto concerne riavvicinamento itala-jugoslavo (esame e discussione di suggerimenti, proposte, richieste ecc. che io dovessi fare per ordine di V. E. al Governo jugoslavo) e ha pregato di fare conoscere a V. E. che egli avrebbe portato nelle trattative il più amichevole spirito di collaborazione e cordiale comprensione.

Avendo De Ciutiis chiesto che cosa dovesse intendersi per «misure» da adottarsi dal Governo italiano per la creazione atmosfera favorevole ad una intesa, Martinaz ha accennato di sfuggita e a titolo esemplificativo alla questione fuoruscitismo croato in Italia, al che De Ciutiis ha ribattuto accennando azione fuoruscitismo istriano e sloveno in Jugoslavia. Martinaz ha detto che entrambe questioni dovevano essere sgomberate dal terreno.

(l) Vedi D. 563.

563

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4033/92 R. Bled, 18 luglio 1935, ore 17,09 (per. ore 23,50).

II presente telegramma fa seguito a quello precedente (1). Testo della dichiarazione fatta dal Ministro aggiunto Affari Esteri jugoslavo per ordine del Presidente del Consiglio e Ministro Affari Esteri Stojadinovic:

«II Governo jugoslavo, tenendo presente la dichiarazione autorizzata che il Ministro d'Italia Conte Viola ha fatto a nome del Capo del Governo italiano in occasione della consegna delle Lettere Credenziali al Principe Reggente (2), nonché le altre comunicazioni che il sig. Mussolini ha voluto fare ai fattori competenti jugoslavi, dichiara [che] da parte sua ha cercato che le relazioni con il Regno d'Italia si inspirino a sentimenti di una collaborazione sincera, preoccupato anche da parte sua che questo spirito si manifesti tanto sul terreno politico che su quello economico.

Al Governo jugoslavo sembra che le circostanze attuali gli permettano di credere che nei rapporti tra i due Paesi esistano le condizioni per la ripresa graduale dello spirito della loro amicizia tradizionale e per ogni possibile franca collaborazione di un tempo. Tale nuovo spirito consentirebbe che, nella situazione attuale europea e mondiale, gli sforzi dei due Paesi, associati con le forze costruttive europee, siano diretti verso la realizzazione degli scopi che sarebbero in armonia con gli interessi particolari dei due Paesi, nonché con l'interesse generale della pace. A tal fine il Governo jugoslavo è pronto ad apportare da parte sua tutto quanto dipende da lui per la formazione dell'atmosfera necessaria, nella quale le relazioni sopra indicate potrebbero iniziarsi e svilupparsi favo

revolmente.

·,

'

Il Governo jugoslavo spera che il Governo italiano vorrà da parte sua addivenire alla realizzazione delle misure, senza le quali una tale atmosfera non potrebbe immaginarsi; misure che del resto sarebbero del tutto nello spirito delle dichiarazioni e comunicazioni date da parte del Capo del Governo italiano. Tali misure non sarebbero d'altronde che la conseguenza logica delle dichiarazioni su menzionate».

(l) -Vedi D. 562. (2) -Vedi serie settima, vol. XVI, DD. 660, 661 e 727.
564

IL CAPO DELL'UFFICIO I DEL SERVIZIO ISTITUTI INTERNAZIONALI, PIETROMARCHI, AL MINISTRO A COPENAGHEN, CAPASSO, E ALLA DELEGAZIONE PRESSO LA S.D.N

T. PER CORRIERE 1298 R. Roma, 18 luglio 1935.

Questo Ministro di Danimarca ha fatto sapere il 17 corrente di aver ricevuto da1 suo Governo istruzioni di riferire con la massima urgenza notizie precise circa l'atteggiamento che il Governo italiano intende assumere in relazione alla probabile prossima riunione del Consiglio della S.d.N. per il conflitto italaetiopico.

Il signor Kruse ha in proposito precisato che il suo Governo, rappresentato al Consiglio, richiede tali notizie al fine di conformarsi, per quanto possibile, ai desiderata italiani tanto per la data di convocazione dell'eventuale riunione ginevrina, quanto per le questioni che dovranno essere oggetto di discussione al Consiglio.

È stato risposto al signor Kruse che lo si sarebbe convocato non appena si fosse in condizione di fornirgli tutte le precisazioni richieste. Quanto precede per riservata informazione di V. S. e ad ogni buon fine.

565

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. PER CORRIERE 4072/0211 R. Berlino, 18 luglio 1935 (per. il 20).

Mi riferisco al colloquio avuto con S. E. il Capo del Governo il 10 corrente (1), durante il quale esposi l'aggravarsi del malessere interno in Germania e sopratutto la sorda lotta che si andava designando fra gli elementi di sinistra del Partito nazionalsocialista e quelli di destra, appoggiati fortemente dalla Reichswehr.

Al mio ritorno a Berlino dalla rapida corsa fatta a Roma e Parigi, ho potuto constatare che la situazione si è aggravata. Ho riferito diffusamente con rap

porti di questi giorni circa le manifestazioni antisemite nelle vie di Berlino ed a Breslavia, per parlare solo di quelle importanti. Trasmetto pure a parte il manifesto che Goering, nella sua qualità di Capo della Polizia segreta di Prussia, diresse ai presidenti superiori ed ai Prefetti prescrivendo misure severissime contro il clero cattolico accusato di fare propaganda anti-nazionalsocialista. Tre giorni fa, in seguito a gravi incidenti occorsi in varie città, durante i quali persone in abito borghese, ritenute appartenere alle S. A., maltrattarono altre persone aventi i capelli bruni perché li ritennero ebrei, fu emanata un'ordinanza prescrivendo agli S. A. di portare costantemente l'uniforme. Con ordinanza odierna quella di tre giorni fa è revocata.

Che cosa significano tutti questi fatti? È questa la domanda che ognuno formula ed il risultato è un nervosismo anche superiore a quello che si era notato prima del 30 giugno 1934.

A ciò deve aggiungersi la circostanza che il Cancelliere Hitler è continuamente in viaggio, oggi in una provincia, domani in un'altra. Questo conferma la notizia, da me raccolta qualche tempo fa, che egli desidera rendersi personalmente conto dei dissidi esistenti nelle organizzazioni del Partito per poi eventualmente procedere alle necessarie epurazioni. Poiché le decisioni più energiche del Fiihrer furono sempre prese mentre Hitler si trovava in giro per la Germama in viaggio di ispezione, la gente si domanda se non si sia per avventura un'altra volta alla vigilia di qualche grave avvenimento.

Si aggiunga a ciò che il malumore negli ambienti universitari è intensissimo, sie per i provvedimenti presi contro i Corpi degli studenti che per quelli recenti adottati contro diciotto professori privati della cattedra, in piccola parte per limiti di età, gli altri per avere manifestato il loro dissenso dai metodi nazionalsocialisti.

Il proclama di Goering contro la Chiesa cattolica riesce in primo luogo incomprensibile per l'autorità da cui emana. Goering è Presidente del Consiglio e Capo della polizia segreta in Prussia; non ha dunque veste per impartire istruzioni che debbono essere eseguite in tutta la Germania. Goering che non ha sensibilità politica, per quanto riguarda l'estero, non si è poi ·probabilmente reso conto della disastrosa impressione che la notizia della violenta campagna da lui predicata contro la Chiesa cattolica produrrà nei vari paesi del mondo. Il mio collega americano mi diceva testé che egli dubita seriamente che il Congresso del suo paese approvi nei prossimi giorni l'accordo commerciale germanico-americano che gli sarà sottoposto, in seguito alla pubblicazione del manifesto di Goering. Probabilmente una buona parte dell'opinione pubblica inglese insorgerà pure e l'opposizione parlamentare troverà nella rinnovata e più violenta campagna antireligiosa nuovo argomento per combattere la politica filogermanica dell'attuale Governo britannico.

I tedeschi avevano avuto negli ultimi mesi dei successi indiscutibil nel campo del riarmamento della Germania. Ad essi avevano contribuito sopratutto gli errori commessi dal defunto signor Barthou. I tedeschi non possono peraltro perseverare in una linea di condotta ragionevole e moderata. Un'altra volta, con gli atteggiamenti estremisti che assumono, minacciano di far risorgere contro di loro l'ondata di avversione generale che già si sollevò dopo gli avvenimenti della scorsa estate.

(l) Vedi D. 521.

566

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 18 luglio 1935.

Secondo le istruzioni di V. E. mi sono recato stamani da Drummond per fornirgli delle informazioni analoghe a quelle date ieri a Chambrun (1). L'Ambasciatore mi ha però fatto rilevare che le comunicazioni fattegli ieri direttamente da S. E. il Capo del Governo (2) erano alquanto diverse, nel senso cioè che il Capo del Governo, pur affermando che il Consiglio doveva limitarsi alla quistione di Ual-Ual, non aveva indicato che ci saremmo astenuti dall'andare a Ginevra se prima non fosse stabilito un accordo tra Italia, Francia e Inghilterra in questo senso, né che la nomina del quinto arbitro non potesse avvenire ora ma solo -quando ripresi i lavori della Commissione -fosse sorta tra gli arbitri una divergenza del genere di quelle previste dalla Risoluzione di Ginevra del maggio scorso, cioè nei limiti del compromesso arbitrale.

Ho allora pregato l'Ambasciatore di considerare come nullo e non avvenuto quanto gli avevo detto.

Nel corso della conversazione -come già ieri ai Francesi e giusta l'autorizzazione di V. E. -gli ho illustrato lo scambio di note fra noi e l'Etiopia rilasciandogliene copia, da cui risulta il perfezionamento delle due volontà italiana e abissina sui termini del compromesso, ad esclusione della quistione delle frontiere.

567

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4037/1510 R. Addis Abeba, 19 luglio 1935, ore 1,10 (per. ore 7,25).

Imperatore ha oggi pronunciato violento discorso dinanzi Parlamento [contro] Italia; narrato anche dettagli proposte dell'ultimo mese; affermando tuttavia ferma volontà pace; ma sicurezza intenzioni aggressive italiane.

Rifacendo a suo modo storia avvenimenti trattative avrebbe pronunciato gravi frasi circa . «vile aggressione italiana» premeditate intenzioni aggressive italiane breve scadenza; essendo meglio morire libertà che vivere senza libertà.

Spero poter telegrafare stasera stessa testo discorso (3).

568.

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4064-4046/1513-1514 R. Addis Abeba, 19 luglio 1935, ore 2 (per. ore 13).

Mio telegramma n. 1511 (1). Discorso Imperatore è stato distribuito entro Parlamento stesso in piccolo opuscolo con testo amarico e traduzione francese. Ho trasmesso in chiaro traduzione dal francese, ma ho omesso alcune espressioni, che occorre completare e che suonano assai diversamente nei due testi.

Parola amarica « ghiff ~ ad esempio che significa ingiustizia, violenza, è tradotta in francese con «criminale~ (criminel, méfait ecc. ecc.) più particolarmente:

l) Periodo sesto: testo francese: «giustificare davanti pubblica opinione mondiale tale intenzione criminale bastava ecc.~; testo amarico: «giustificare una tale intenzione di violenza~

~) Periodo quattordicesimo: testo francese: «scorta etiopica fu oggetto [allora] della vile (lache) aggressione [che] voi conoscete; trucco provando ampiamente premeditazione criminale degli aggressori italiani »; amarico: « fuoco della improvvisa aggressione, che voi conoscete; e che difatti provando sufficientemente essere atto di violenza quello compiuto con premeditazione dagli aggressori italiani >>.

3) Periodo sedicesimo: testo francese dice: «assassinato»; amarico: « ucciso ».

4) Periodo venticinquesimo: [testo francese:] «pressione intollerabile»; testo amarico dice « illecita pressione ».

5) Periodo trentaduesimo francese: «Benché noi fossimo oggetto in nostro t erri torio odiosa aggressione da parte Italia; amarico: « benché Italia violato nostro territorio ci avesse testé ».

6) Periodo trentacinquesimo francese: «tentativo amichevole ecc. essendo stato brutalmente respinto dal Capo del Governo italiano ~; amarico « essendo stato recisamente respinto ~

7) Periodo cinquantesimo: invece « aggressore italiano che si pretende oppresso», amarico dice «qualora venisse invasore impiegando mezzi moderni».

Evidentemente testo amarico non contiene nella forma vere e proprie intollerabili frasi offensive che contiene testo francese; ma tale testo è stato, con le testimonianze ora indicate, distribuito insieme ufficialmente.

A prescindere tono discorso, per cui V. E. giudicherà nel quadro generale quale linea di éondotta occorrerà tenere, mi recherò frattanto domani mattina dal Ministro degli Affari Esteri per protestare per termini traduzione francese, con espressa riserva istruzioni mio Governo.

42 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. I

A tale riguardo, quanto alla forma, si offrirebbero due vie: o esatta esplicita rettifica della traduzione, ovvero considerare come ufficiale anche testo francese: e allora non si potrebbe fare seguito alla protesta che con una immediata estrema presa di posizione.

V. E. vorrà tener presente che martedì 23 mattina genetliaco Imperatore sono invitato con Corpo Diplomatico per auguri Sovrano; sera poi ho già accettato con Mombelli pranzo ufficiale al Ghebi; tutto personale Legazione è invitato dopo pranzo.

Nella prima ipotesi, non potrei in ogni modo intervenire [dopo] queste ultime [vicende] se non dopo pubblicazione rettifiche, quanto alla forma, del testo francese; nella seconda ipotesi, se accettate smentite maggior parte espressioni insultanti, uniche conseguenze non potranno essere che decisioni estreme.

Il contenuto poi del discorso, menzognera requisitoria contro di noi dal principio alla fine, può offrirei modo di scegliere l'atteggiamento che V. E. giudica più opportuno a seconda di esigenze di altri.

Sarò grato a V. E. urgenti istruzioni (1).

(l) -Vedi D. 548. (2) -Vedi D. 553. (3) -II testo del discorso fu trasmesso con T. 4045/1511 R., pa.rl data, ore 2, non pubblicato.

(l) Vedi D. 567, nota. 3.

569

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4047/128 R. Tokio, 19 luglio 1935, ore 9 (per. ore 16,10).

Ministro degli Affari Esteri mi ha detto che Sugimura non aveva ancora riferito particolareggiatamente sul suo colloquio con V. E. (2) e che ad ogni modo non gli erano state inviate istruzioni di fare qualsiasi dichiarazione all'E. v.

Premesso che non agivo per istruzioni ricevute, gli ho domandato quale fosse punto di vista di questo Governo nella vertenza itala-etiopica.

Egli mi ha risposto innanzi tutto che gli interessi giapponesi in Etiopia sono principalmente economici. Egli ha poi aggiunto che, dato stato presente del conflitto circa il quale il Governo di Tokio non conosce ufficialmente punti vista dei due Paesi interessati, nonché lo stadio vertenza e data la sua amicizia verso entrambi, esso non vuole fare in materia qualsiasi dichiarazione di qualsiasi specie.

Egli non sa d'altra parte se e quale dichiarazione farà in seguito, non essendo in grado di prevedere già da ora ulteriori sviluppi conflitto, ma spera nella sua pacifica soluzione. Egli ha infine detto che io stesso mi sarei trovato imbarazzato a rispondere adesso se fossi stato al suo posto. Al che ho osservato che io, appunto per le considerazioni di amicizia verso i due Paesi da lui fatte, avrei senz'altro dichiarato che Giappone non intendeva in alcun modo intervenire.

(l) -Vedi D. 582. Il presente telegramma reca 11 visto di Mussollni. (2) -Vedi D. 555, nota 3.
570

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4048/129 R. Tokio, 19 luglio 1935, ore 9 (per. ore 16,10).

Il chiasso ingiustificato che stampa e nazionalisti vanno facendo per le dichiarazioni di Sugimura, di cui attendono o addirittura chiedono il richiamo, induce a prevedere contegno poco favorevole di gran parte dell'opinione pubblica giapponese nelle future fasi della nostra vertenza con l'Etiopia.

Le ragioni sono, secondo me:

l) la simpatia verso un popolo di colore che lotta contro il bianco considerato sfruttatore dell'Asia; Il) l'interpretazione data alla nostra politiea in Cina; III) i benefici economici attuali ed i maggiori sperati in futuro dal mer

cato etiopico.

A queste ragioni concernenti la massa dell'opinione pubblica se ne aggiungono altre nei riguardi dei liberali (fra cui possono annoverarsi molti degli alti funzionari di questo Ministero Esteri) e cioè che essi sono antifascisti anche come conseguenza della loro avversione al partito militare giapponese, nonché, almeno per ora, anglofili quantunque Inghilterra rimanga il maggiore e definitivo nemico.

Migliore comprensione potrebbe trovarsi negli oppositori dei liberali, cioè nei militari, perché non ostili al Fascismo e ostili all'Inghilterra, ed il R. Addetto Militare si sta adoperando per illuminarli sul vero stato della nostra vertenza. Nei loro riguardi, tuttavia, si ripresenta la questione dell'interpretazione data alla nostra politica in Cina, il che li rende sospettosi e li mantiene passivi.

571

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4049/131 R. Tokio, 19 luglio 1935, ore 9 (per. ore 17).

Mio telegramma odierno 128 (l).

Ho dovuto farmi ripetere da Hirota quattro volte la sua dichiarazione giacché non riuscivo a capire chiaramente il suo pensiero e lo stesso interprete si è trovato in qualche momento imbarazzato a tradurmi le sue parole.

Mi è sembrato che Hirota stesso non sapesse esattamente che dirmi perché, mentre avrebbe forse voluto confermarmi le dichiarazioni di Sugimura, non osava fare ciò dato il risentimento che, per le ragioni di cui al mio telegramma odierno n. 129 (2), esse hanno suscitato nella stampa e fra i nazionalisti cui egli appartiene.

Attribuisco a ciò, sia avere egli parlato di interessi giapponesi « principalmente economici» in Etiopia mentre finora aveva parlato sempre di interessi « soltanto economici », sia la vaghezza e la riserva delle sue dichiarazioni.

Nel corso della conversazione mi ha osservato che ... (l) durante affare Manciuria, benché si trattasse di una questione fra due Stati Orientali, ma io gli ho fatto osservare cortesemente che tale faccenda non era in rapporto con quella per la quale avevo chiesto parlargli e ho ricondotto colloquio sul tema principale.

Ho l'impressione che dichiarazioni [Sugimura] abbiano urtato questo Ministro degli Affari Esteri più che altro perché rendono pubblico ciò che per ragioni di situazione interna esso avrebbe desiderato non fosse e suscitano discussioni cui avrebbe preferito non fosse dato appiglio.

(l) -Vedi D. 569. (2) -Vedi D. 570.
572

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4050-4058/421-422 R. Parigi, 19 luglio 1935, ore 13,40 (per. ore 16,20).

Ho veduto Léger. Gli ho parlato di varie cose. Discorso è caduto infine sulla vertenza abissina.

Mi ha detto che da vari giorni non riesce vedere suo Ministro, totalmente preso dalla politica interna. Egli intende proporre al Signor Lavai di suggerire a Londra un rinvio della riunione ginevrina del Consiglio, prevista per gli ultimi giorni del corrente mese. Però Segretario Generale desidererebbe si chiarisse prima con de Chambrun che noi ci impegniamo di intervenire al Consiglio. Léger non mi ha nascosto che eventuale nostra uscita dalla Lega delle Nazioni è la questione che più turba il Quai d'Orsay in questo momento.

Segretario Generale afferma che atteggiamento ostile dell'Inghilterra è ispirato al timore di una nostra azione all'infuori dell'orbita ginevrina. Se svolgimento della vertenza con l'Etiopia --così dice Léger -fosse mantenuto nel quadro societario e le disposizioni del patto fossero osservate, l'Inghilterra considerandosi già soddisfatta su questo punto, attenuerebbe il suo atteggiamento che, secondo le notizie recate da Avenol e confermate al Quai d'Orsay da altra parte, sarà ostile.

Segretario Generale ha affermato che, in caso di nostra uscita da Ginevra, la Francia non potrebbe più essere utile. Egli ha soggiunto che l'idea di applicare eventualmente delle sanzioni economiche va riprendendo terreno; rappresentante britannico Ginevra avrebbe negli ultimi tempi ripreso l'argomento con maggiore insistenza.

Ho osservato che scopo prossima riunione ginevrina è la nomina del quinto arbitro. Ma nel corso riunione Aja è riuscito palese proposito rappresentanti Etiopia di avviare dibattito su una via nella quale, come avevamo dichiarato fino dal principio, non li avremmo seguiti mai. [Non c'era] la possibilità di dare comunque un seguito a questa faccenda. La vertenza potrebbe entrare in uno stadio pericoloso per noi. Il pericolo [era di] esporsi ad essere giudicati alla

pari dell'Abissinia. Ho soggiunto che su questo punto esprimevo idee personali non conoscendo con precisione pensiero di V. E.

Léger ha espresso parere che nulla si opponga, in occasione prossima riunione, di allargare dibattito sottoponendo al Consiglio intera questione Abissinia. In questo modo Italia darebbe ai suoi amici delle possibilità aiutarla efficacemente. È assurdo pensare che il Consiglio possa trovare unanimità nel condannare l'Italia. D'altra parte avremmo ad ogni momento facoltà e possibilità ricorrere articolo 15, riacquistando piena libertà, anche quella di fare la guerra senza offendere disposizioni del Patto ginevrino.

Per quanto trappola ginevrina sia da considerare con sospetto, mi pare di potere affermare che una soluzione la quale, salvaguardando nostra libertà di iniziativa, si basasse sull'articolo 15 del Patto, avrebbe l'incalcolabile vantaggio di modificare a nostro favore opinione pubblica mondiale.

A corredo sul riferito riflesso, ripeto osservazione più volte ripetuta da Léger nel corso della conversazione: «Bisogna che diate ai vostri amici la possibilità di aiutarvi».

(l) Nota dell'Ufficio Cifra: «Manca:..

573

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4061/1524 R. Addis Abeba, 19 luglio 1935, ore 23 (per. ore 9,30 del 20).

Mio telegramma 1510 (1). Oltre testo comunicato, Imperatore ha fatto altre dichiarazioni illustrandolo e avrebbe, fra altro, detto: a) Poiché si era parlato di protettorato, egli non aveva mai offerto protettorato a chicchessia, e non lo accetterebbe da nessuna Potenza.

b) Pronto a collaborare con Italia allo stesso titolo altre Potenze vicine ma a condizioni mantenimento integrale indipendenza e sovranità e cessazione da parte Italia spirito conquista.

c) Colpa situazione è degli stranieri che in seguito essere venuti in Abissinia ad arricchirsi sono andati loro Paesi diffamando Abissinia. d) Nessun europeo soffrirà per mano etiopica danni sia nella persona

sia nei beni.

Egli garantisce ordine per tutti.

Avrebbe accennato a due eventualità: guerra preceduta da regolare dichiarazione: Etiopia osserverà leggi internazionali; e invece aggressione italiana improvvisa occorre essere pronti. Ha fatto anche più ampie [assicurazioni su] pace.

Riferisco quanto precede, con riserva circa esattezza informazioni essendo di professore etiopico, e giornalisti presenti non conoscendo amarico. Alla riunione del Parlamento hanno parlato Elbassan Cadi per mussulmani, altri Capi mussulmani e A buna (2).

(l) -Vedi D. 567. (2) -Il presente documento reca 11 visto di Mussollnl.
574

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, E AL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, DE ANGELIS

T. 1304/241 (Londra) 42 (Gerusalemme) R. Roma, 19 luglio 1935, ore 24.

(Solo per Londra) Questo R. Ministero ha telegrafato a R. Consolato Generale Gerusalemme quanto segue:

(Per tutti e due) Secondo telegramma stampa da Washington in data 19 corrente, Emiro Transgiordania avrebbe concesso New York Times intervista in cui, tra l'altro, avrebbe detto «che egli stesso vorrebbe essere primo arabo ad arruolarsi per proteggere Etiopia; che personalmente non ama Mussolini il quale gli appare nelle fotografie come commediante poco conto (sic!); che attività italiana nel Mar Rosso non piace a nessun arabo ed anche Hegiaz e Yemen ne sarebbero sospettosi; che anch'egli avrebbe richiamato su di essa attenzione codeste autorità britanniche; che aggressione Musso lini Etiopia è giustificata solo da smania di potere; che è vergognoso che capitale cristianità tenti fare schiava una delle più antiche nazioni cristiane del mondo; chè vi è forte movimento nelle alte classi turche e arabe per fornire volontari ad esercito etiopico ».

Prego V. E. voler accertare urgenza se intervista di cui trattasi è stata realmente concessa da Emiro Abdallah; ed in caso positivo, pregoLa richiamare energicamente su di essa la più seria attenzione di codeste autorità, facendo presente come così ostili dichiarazioni contro Italia e così offensive espressioni, che colpiscono Capo Governo e nostro Paese, pronunciate da Emiro Transgiordania, rivestano la maggiore gravità. Faccia tale eventuale passo come di Sua iniziativa e riservi istruzioni R. Governo.

Prego telegrafare Cl).

575

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AI MINISTRI AD OSLO, RODDOLO, E A STOCCOLMA, PATERNÒ

T. 7389/18 (Oslo) 25 (Stoccolma) P. R. Roma, 19 luglio 1935, ore 24.

Giornali recano notizia circa eventualità uscita dalla Lega delle Nazioni della Svezia e Norvegia. Questa eventualità è posta in relazione con discorso Koht. Si informi e riferisca (2).

(l) -Per la risposta di De Angel!s vedi DD. 589 e 598. (2) -Per le risposte d! Roddolo e Paternò vedi DD. 580 e 581.
576

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 19 luglio 1935.

L'Ambasciatore Chambrun ha ricevuto delle· comunicazioni da Parigi relative alla prossima riunione della Società delle Nazioni.

Il governo francese afferma di non avere gli elementi sufficienti per sostenere di fronte all'Abissinia il punto di vista italiano relativo alle responsabilità per l'interruzione della procedura per Ual-Ual. Il governo francese è di opinione che da parte italiana si potrebbe assumere l'iniziativa per chiarire questo punto in modo che il Consiglio possa accettare la tesi italiana.

Le parole precise del telegramma da Parigi sono le seguenti:

«Il governo italiano, ove ritenga che ciò risponda al suo interesse, potrebbe prendere l'iniziativa di far noto che la difficoltà sorta all'Aja deriva da una divergenza nella interpretazione del mandato conferito alla Commissione Arbitrale.

Esso pertanto dovrebbe chiedere al Consiglio della S.d.N. di dare l'interpretazione dell'accordo concluso sotto i suoi auspici.

Il governo francese ritiene in tal caso che sarebbe agevole raccogliere l'unanimità su di una formula· che anticipatamente limiterebbe la portata della sentenza quali che fossero gli argomenti che il rappresentante etiopico potrebbe produrre dinanzi agli arbitri~.

Il governo francese vorrebbe sapere anche qual'è la posizione del governo italiano nei riguardi della nomina del quinto arbitro.

Inoltre Parigi insiste vivamente perché il governo italiano in qualsiasi eveniénza sia presente a Ginevra in quanto una sua assenza renderebbe molto difficile l'qpera di fiancheggiamento francese.

Interpretando in senso non esatto una frase dell'Ambasciatore Chambrun (egli aveva detto che il Capo del Governo non escludeva di presentare i suoi «griefs ~ alla Società delle Nazioni) (l) il governo francese insiste perché tali «griefs ~siano portati già avanti nella prossima seduta del Consiglio.

L'Ambasciatore chiede la nostra opinione su tali proposte francesi.

Nel rispondere all'Ambasciatore lo metto al corrente anzitutto della conversazione avuta tra il Capo del Governo e Drummond (2) e delle recenti comunicazioni da Ginevra sul rinvio della riunione del Consiglio.

Entrando nel merito della sua odierna comunicazione, mi riservo di dargli una risposta precisa dopo un esame approfondito della questione.

Insistendo l'Ambasciatore per poter dare già fin da ora qualche indicazione a Parigi, gli rispondo che: le proposte sono interessanti e possono costituire un punto di partenza per risolvere l'attuale fase ginevrina. Ripeto che noi potremo andare a Ginevra se avremo una certa tranquillità sulle deliberazioni che ivi saranno prese nel senso da noi desiderato. Base di ciò dovrà essere un accordo tra i governi italiano, francese e inglese a cui dovranno accedere anche altri in

modo da avere la maggioranza. Noi naturalmente siamo d'accordo che si interpreti la deliberazione del 25 maggio in senso restrittivo cioé nel senso che il mandato degli arbitri non comprende la questione delle frontiere. Però noi abbiamo sempre sostenuto che il compromesso deve essere raggiunto per accordo tra i governi e che Ginevra può fare solo un'opera fiancheggiatrice. Ginevra potrà sempre interpretare le proprie decisioni raccomandandone l'accettazione ai due governi. È evidente che se Ginevra accetterà la nostra tesi, noi faremo il possibile perché la decisione di Ginevra sia applicata.

A proposito dell'iniziativa che noi dovremmo prendere secondo le proposte di Parigi, osservo all'Ambasciatore che la cosa può incontrare qualche difficoltà. Mi riservo di esaminare se tale iniziativa non può risultare dalla risposta che noi daremo a Ginevra quando si sarà fatta la comunicazione relativa alla convocazione del Consiglio.

Per quanto riguarda la convocazione del Consiglio noi sosteniamo che è intempestiva perché il dissidio tra gli arbitri non è sorto su una questione di fondo ma sulla questione della estinzione del mandato che non era prevista dalla decisione del 25. È secondo noi intempestiva anche la nomina del quinto arbitro. Eliminata la questione relativa alla estensione del mandato i quattro arbitri hanno ancora la possibilità di discutere in merito e di trovare un accordo. È una fase della procedura arbitrale che non può essere saltata.

Il Capo del Governo ha ad ogni modo dichiarato a Drummond che egli sulla nomina del quinto arbitro è disposto a non fare difficoltà purché sia bene in chiaro che la commissione non deve occuparsi di questioni di frontiera.

Relativamente alla eventuale presentazione delle nostre accuse all'Abissinia, questo non sarebbe certo il momento adatto perché noi invece che restringere verremmo ad allargare i compiti dell'attuale riunione del Consiglio. D'altra parte se la Commissione di arbitrato può riprendere i propri lavori è meglio rinviare l'eventuale presentazione delle nostre accuse a dopo risolta la questione di Ual-Ual.

L'Ambasciatore aggiunge che egli ha mandato ieri a Parigi il suo primo Segretario Guerin per sondare Paul-Boncour in merito ad una sua eventuale nomina come quinto arbitro. Mi saprà dire l'esito di questa démarche.

(l) -Vedi D. 548. (2) -Vedi D. 553.
577

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL SOTTOSEGRETARIO ALLA MARINA, CAVAGNARI (l)

L. 224140/279. Roma, 19 luglio 1935.

Nel ringraziare V.E. pel cortese invio della documentazione trasmessa dal R. Addetto Navale a Parigi e che restituisco in allegato, ho il pregio di comunicarle che S.E. il Capo del Governo, al quale ho dato visione di tali documenti, nonché delle informazioni trasmesse sulla stessa questione dalla R. Ambasciata a Parigi, è d'accordo nel ritenere che non convenga inviare a Londra i nostri esperti navali,

per una ripresa delle conversazioni in vista di una nuova Conferenza, sempreché la Francia segua la stessa linea.

Da quanto riferisce il R. Addetto Navale a Parigi, il punto di vista del Quai d'Orsay e della Marina francese sarebbe di rinviare la ripresa delle conversazioni navali alla fine dell'anno in corso in modo da avere il tempo di studiare nei loro dettagli le questioni tecniche da discutere. Anche su questo punto S.E. il Capo del Governo è d'accordo. Si riparlerà perciò della questione quando verranno riprese le riunioni per discutere l'eventuale rinnovazione degli accordi di Washington.

Nessuna difficoltà a che codesto Ministero prenda al riguardo contatti con l'Addetto Navale francese.

(l) In Archivio dell'Ufficio Storico della Marina Militare.

578

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO (l). Roma, 19 luglio 1935.

1) Non c'è dubbio che la questione della delimitazione delle frontiere era esclusa dai temi sottoposti agli arbitri, e ciò per concorde volontà delle parti (note, discussioni di Ginevra, dichiarazioni di Jèze). Se mai si può dire che c'era qualche riserva da parte etiopica, da noi contestata, per servirsi nelle discussioni della Commissione di qualche elemento relativo ai trattati sulle frontiere.

2) La pretesa etiopica tende invece a stabilire l'appartenenza di Ual-Ual. È chiaro che non è possibile stabilire l'appartenenza di Ual-Ual -zona contestata -senza avere prima fissato le frontiere. Quindi gli abissini sono fuori dei limiti del compromesso, come da loro stessi accettato.

3) Questo punto potrebbe essere chiarito e ammesso dal Consiglio, il quale potrebbe invitare i due Governi ad attenervisi. Da parte nostra non ci saranno difficoltà.

4) L'atteggiamento abissino dimostra la poco buona volontà di venire ad una regolazione dell'incidente di Ual-Ual e la tendenza a riportare la cosa a Ginevra. Ginevra invece ha riconosciuto che la cosa va risolta dalla Commissione arbitrale. Ci sono tutti gli elementi per tale risoluzione; non si può prestarsi al giuoco abissino. Noi d'altronde ci opporremo, non intendendo che questa questione, per cui c'è una propria giurisdizione speciale, sia discussa a Ginevra.

5) Se l'Etiopia cercherà di sollevare a Ginevra la questione generale, bisognerà rispondere che la convocazione di Ginevra ha uno scopo ben preciso e limitato al quale deve attenersi. D'altronte si potrà far dire che non è conveniente neutralizzare quel po' di contributo positivo alla pacificazione che può rappresentare Ual-Ual coll'inasprimento della questione generale.

6) Per quanto riguarda il quinto arbitro, si ritiene che la ·nomina sia intempestiva in quanto, eliminato l'incidente provocato dagli abissini, probabilmente i quattro hanno tutti gli elementi per decidere tra loro la questione e

non è lecito saltare questo stadio della procedura. L'altronde si potrà tener in serbo come una nostra concessione l'accettazione della nomina del quinto arbitro.

7) Altra riserva come nostra concessione potrà essere quella di accettare che per ora i quattro (eventualmente anche i cinque) si riuniscano per discutere i dati dl fatto e definiscano chi è stato l'attaccato e chi l'attaccante, rimandando in un secondo tempo la questione della responsabilità. Nel frattempo fra i due governi si cercherà di risolvere la questione dei limiti del compromesso sulla base del consiglio (a nostro favore) che partirà da Ginevra.

(l) II presente documento è la rielaborazione di un precedente appunto in pari data di Guarnaschelli.

579

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. u. 1305/102 R. Roma, 20 luçlio 1935, ore 11.

Comunichi a Gombos che nostro incontro può aver luogo a Consiglio della Lega finito e cioè dopo il 4 agosto in località dell'Alta Italia (1).

580

IL MINISTRO AD OSLO, RODDOLO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7619/89 P.R. Oslo, 20 luglio 1935, ore 13,58 (per. ore 17).

Rispondo a telegramma n. 18 in cui si è omessa indicazione mittente (2).

Circa dichiarazioni Ministro degli Affari Esteri 11,d Arendal determinate da manovra di politica interna, da reazione verso atteggiamento danese e da solidarietà con partito laburista inglese, ho riferito con mio rapporto n. 886/355 del 19 corr. in partenza con il prossimo corriere (3).

Riassumo quanto riferito:

Ho veduto questo Ministro degli Affari Esteri prima della sua andata in congedo per qualche settimana, durante il quale si recherà in Svezia e in Finlandia. Mi ha messo al corrente confidenzialmente delle sue impressioni sfavorevoli su la durata dell'Assemblea ginevrina, però mi ha anche aggiunto che per il momento non può essere per la Norvegia questione di uscire dalla Società delle Nazioni. Tale grave questione doveva essere ponderata a lungo.

Mi sono poi intrattenuto con il Capo divisione Sodetà delle Nazioni di questo Ministero ed ho avuto conferma sincerità dichiarazioni Koht.

D'altra parte presidente Storting Hambro fa dichiarazione [in] favore di Ginevra e andrà tenere ciclo conferenze societarie sul contributo della Norvegia alla pace.

(l) -Con T. 4086/84 R. del 21 luglio 1935, ore 13,15, Colonna riferiva che Gombes ringraziava per la comunicazione e si rimetteva al Duce per il luogo e la data dep'incontro. (2) -Vedi D. 575. (3) -Non pubblic.ato.
581

IL MINISTRO A STOCCOLMA, PATERNÒ, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7617/59 P.R. Stoccolma, 20 luglio 1935, ore 15,35 (per. ore 18,10).

Telegramma di V.E. 25 (1).

Notizia può essere stata originata da dichiarazioni Koht, ma non risulta finora fondata. Anche informazioni atteggiamento stampa locale farebbero escludere fino a questo momento eventualità prospettata, almeno per quanto concerne Svezia.

Viaggio Koht in Svezia e Finlandia ha certamente scopo consultazione atteggiamento Stati nordici circa Lega delle Nazioni. È da ritenersi però che nulla sia stato ancora concretato in proposito. Dato sabato inglese impossibile assumere oggi maggiori precisazioni. Riservomi telegrafare nuovamente appena possibile (2).

582

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI

T. R. 1308/546 R. Roma, 20 luglio 1935, ore 22.

Prenda motivo da frasi ingiuriose contenute in testo francese e da false asserzioni del discorso in genere per declinare invito al Ghebi tanto al pranzo che al ricevimento. Faccia apparire ciò come sua iniziativa personale in attesa disposizioni del suo Governo a cui ha riferito il discorso.

583

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4106/041 R. Bled, 20 luglio 1935 (per. il 22).

Come ho avuto l'onore di riferire con mio telegramma n. 038 del 14 corrente (3), nel convegno fra Condylis e Stojadinovic a Bled gli argomenti trattati di proposito sarebbero stati -a quanto ho appreso da persona vicina al Presidente -soltanto quelli delle trattative commerciali greco-jugoslave (che avranno

cronaca della visita del gen. Kondylis. Qui torna sull'argomento in esecuzione deHe istruzioni di cui al D. 554.

inizio a Belgrado il 24 corrente) e della restaurazione monarchica in Grecia. Naturalmente vi è stato scambio di idee sui problemi concernenti più direttamente l'Intesa Balcanica, e, di riflesso, la Piccola Intesa; nonché un tour d'horizon sulla situazione generale europea. Di cose italiane si è probabilmente parlato anche, ma senza insistervi, pel fatto stesso che il Generale Condylis proveniva dall'Italia fresco di graditissime impressioni. Non v'è stato alcun comunicato, soltanto una dichiarazione del Generale ai giornalisti, piuttosto anodina, in cui egli ha constatato la perfetta identità di vedute fra Grecia e Jugoslavia, ha espresso la sua soddisfazione per l'accoglienza, ecc.

Non posso escludere che il Generale Condylis si sia espresso con Stojadinovic nel senso di promuovere un passo jugoslavo verso il riavvicinamento all'Italia. Ma ho ragione di ritenere che un simile passo il Generale Condylis abbia fatto apertamente presso S.A.R. il Principe Reggente, nel successivo colloquio avuto con lui; e che il Principe Paolo abbia dato istruzioni a Stojadinovic di fare al più presto la dichiarazione di cui miei telegrammi filo nn. 91 e 92 del 18 corrente (1). Altrimenti non potrei spiegarmi perché Stojadlnovic non mi abbia fatto direttamente qui, prima della sua partenza, la dichiarazione che mi ha fatta poi pervenire da Belgrado. Per contro il Principe Paolo mi ha invitato oggi a colazione alla sua villa di Bohin, in tutta intimità, allo scopo evidente di parlarmi delle buone disposizioni che il Generale Condylis gli aveva riferito aver incontrate presso V. E. nei riguardi di un ravvicinamento alla Jugoslavia e per confermarmi il suo desiderio di concretare al più presto il ravvicinamento stesso.

Comunque sia, bisogna riconoscere la sensibilità e la sollecitudine con cui si è risposto, da parte del Governo jugoslavo, al passo del Generale Condylis.

(l) -Vedi D. 575. (2) -Vedi D. 590. (3) -Con T. per corriere 4023/038 del 14 luglio 1935, pervenuto il 18, Viola aveva riferito la
584

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 20 luglio 1935.

L'Ambasciatore Chambrun mi dà lettura confidenziale di un telegramma di La val.

Nella prima parte Lavai si compiace molto della soddisfazione espressa dal Capo del Governo nei riguardi dell'atteggiamento francese. Dichiara che è sua convinzione che la politica comune debba essere sviluppata ed egli se ne attende il miglior bene per. i due Paesi.

Nella seconda parte Lavai prega Chambrun di richiamare l'attenzione del Capo del Governo sul fatto della Società delle Nazioni. La Società delle Nazioni è l'asse della politica francese: su essa si basa Locarno che è la sicurezza per la Francia; su essa si basa l'intesa franco-inglese; su essa si basa Stresa, cioè la

collaborazione itala-franco-britannica. La Società delle Nazioni permette una politica danubiana di salvaguardia dell'Austria e di opposizione alle mire di annessione tedesche. Il governo francese non potrebbe nè incoraggiare nè appoggiare una politica che fosse contro i principi del Covenant. Naturalmente la Francia vuoi fare la politica della Società delle Nazioni aiutando l'Italia e favorendo la realizzazione delle aspirazioni italiane.

Il Signor Lavai è sicuro che l'Italia comprenderà e apprezzerà l'atteggiamento francese e che non metterà la Francia in condizione di non poterla aiutare ad onta della più assoluta buona volontà.

(l) Vedi DD. 562 e 563.

585

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA S.D.N., PILOTTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 817/762. Ginevra, 20 luglio 1935 (per. il 22).

Questo rappresentante permanente di Polonia ha detto a Berio che, in caso di prossima riunione del Consiglio per l'affare etiopico, Beck non verrebbe probabilmente a Ginevra lasciando a lui Komarnicki il compito di rappresentare la Polonia.

Circa l'atteggiamento del Governo polacco nel merito della vertenza italaetiopica, Komarnicki-pur mantenendosi piuttosto riservato -ha fatto dichiarazioni di amicizia verso l'Italia e di buone disposizioni del suo Governo nei riguardi del punto di vista italiano. Egli ha peraltro sentito il bisogno di ricordare che all'Assemblea dell'anno scorso, in materia di protezione di minoranze, la Del~gazione italiana non si era mostrata favorevole alla tesi polacca.

Komarnicki ha poi aggiunto che, non essendo egli un uomo politico ma solo un funzionario, non avrà molta libertà di movimenti in sede di discussione a Ginevra e dovrà riferire per ogni dettaglio a Varsavia domandando istruzioni. Il Governo polacco -ha dichiarato -non disconosce le necessità italiane e i suoi legittimi interessi, ma deve anche tener conto degli elementi generali politici che si inquadrano nella Società delle Nazioni.

In ogni caso, egli desiderava mettere in speciale evidenza come il suo Governo avrebbe potuto difficilmente aderire a formule già concordate dalle tre Grandi Potenze fuori di Ginevra. Komarnicki ha insistito su questo vecchio e noto concetto della politica polacca: è bensì vero, egli ha detto, che la faccenda etiopica riguarda sopratutto le tre potenze firmatarie dell'accordo del 1906, le quali in questo campo sono naturalmente libere di fare quanto meglio credono; tuttavia, se la questione è portata di fronte al Consiglio, la Polonia intende mantenere la sua libertà d'azione e si rifiuterebbe di accettare senz'altro delle risoluzioni già preparate in antecedenza al di fuori di essa. Komarnicki ha al riguardo ricordato il precedente di Stresa (l).

(l) Il presente documento reca 11 visto di Mussolini.

586

IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. 1902/720. Tirana, [20 luglio 1935] (per. il 22) (1).

Telespresso di V.E. n. 218811/253 del 7 giugno scorso (2).

Per intese intervenute col Re, ho posto l'Addetto Militare, Tenente Colonnello D'Antoni, in rapporto coi fiduciari militari albanesi, Generale Aranitas e Colonnello Sereggi, allo scopo di mettere a punto il piano di organizzazione e di finanziamento dell'esercito albanese. Come avevo riferito, a suo tempo, all'E. V. tale piano era stato già approvato dal Re il 3 aprile scorso (mio tel. n. 51) (3). Ciò malgrado, ritornando sull'approvazione già data, il Colonnello Sereggi ha formulato, a nome del Re, le modifiche elle risultano dall'accluso rapporto (4) rimessomi dal Colonnello D'Antoni.

Gendarmeria. Circa le speciali cure che Re Zog intende dedicare alla Gendarmeria, sopratutto in vista di un ripristino del nostro controllo sull'esercito, ho riferito con rapporto n. 1775/665 del 3 corrente (4). Con preghiera di considerare la comunicazione come assolutamente segreta, accludo copia di un ordine riservato emanato dal Re (4), e non soltanto per compiacere agli inglesi, pochi giorni dopo avermi comunicato la sua approvazione al nostro piano di riorganizzazione dell'esercito. Il favore del Re per la Gendarmeria, come ebbi ad accennare nel mio citato rapporto, non potrà, a mio avviso, essere volto a nostro favore che dopo un certo tempo ed un paziente lavoro, per ristabilire un'atmosfera di fiducia che ancora, sostanzialmente, fa difetto.

Stipendi agli ufficiali. Il Re teme che una sospensione improvvisa del nostro contributo possa avere per effetto di mettergli contro tutto il corpo degli ufficiali. Ha fatto proporre determinate modalità che, a suo avviso, dovrebbero attutire il pericolo. È da considerare, peraltro, che, comunque, per il fatto stesso dell'incremento del bilancio militare, e per il fatto che nulla in Albania può rimanere ceIato per più di ventiquattr'ore, gli ufficiali verrebbero a sapere subito e le nostre intenzioni circa la destinazione del contributo, e le assicurazioni dateci dal Governo nei loro riguardi, e le circostanze dalle quali dipende la loro sicurezza economica.

Dipartimento Militare. Il Re preferisce la nomina di un Consigliere Militare, nella persona di un alto ufficiale italiano, e cioè l'applicazione dell'art. 8 della Convenzione Militare del 1928, anziché porre il nostro ufficiale a capo del Dipartimento Militare, attualmente tenuto da un ufficiale albanese. Per quanto concerne la limitata competenza del Dipartimento, questo sarebbe tenuto a consultare il Consigliere Militare. Da parte albanese si offre di stabilire, colla maggiore larghezza, le attribuzioni e le facoltà del nostro Consigliere. Quanto alla resistenza a nominarlo a capo del Dipartimento, si danno le motivazioni le più vaghe e

non tutte convincenti. Il Re, fra altro, avrebbe irrevocabilmente deciso, alla partenza del Generale Pariani, di non più nominare un ufficiale straniero a capo del Dipartimento Militare. Quanto a me, sono, invece, propenso a ritenere che si tratti, oltre tutto, di generico impegno assunto in occasione dei contatti avuti in passato, per le cose militari, con Belgrado, impegni che il Re intenderebbe girare, formalmente, colla proposta accennata. È, comunque, da considerare che in questa, come in altre materie, l'influenza che uno straniero può esercitare in Albania, sopratutto presso Re Zog, è questione di persona e non di carica.

Per il momento, mi sono limitato a dimostrarmi assai sgradevolmente sorpreso che mi si sia mancato di parola, tornando su quanto era stato concordato. Continuo, peraltro, a mantenere, anche in questo argomento, i contatti opportuni pur restando, per ora, sulle posizioni prescrittemi.

Comunque, anche per la questione militare, e sul merito delle questioni sollevate, mi sarebbe assai necessario conoscere d'urgenza il pensiero dell'E. V. per il proseguimento di trattative rapide e concrete (1).

(l) -Questo documento è stato spedito senza data, considerato il giorno d'arrivo si può attribuire al 20 luglio. (2) -Vedi D. 350, nota s. (3) -Vedi D. 141. (4) -Non pubbUcato.
587

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4083/136 R. Tokio, 21 luglio 1935, ore 0,21 (per. ore 10,30).

In conversazione radiotelefonica ·del Nichi Nichi con Sugimura questi detto non esatto aver dichiarato in base istruzioni ricevute Giappone non intendere interferire.

In conversazione con Duce (2) avevagli occasionalmente detto, quantunque Giappone avesse esteso relazioni commerciali Abissinia, sua posizione non simile quella Inghilterra, Francia, che avevano relazioni politiche definite causa loro sfere influenza, accordo con Italia. Anche se guerra scoppiasse, Giappone non invierebbe truppe per intervento armato, essendo sua posizione completamente diversa quella altri Stati. Trattasi dichiarazioni da lui già fatte, ripetute e conformi istruzioni ricevute partendo da Tokio. Da allora non eravi stato nulla nuovo. Punto essenziale è che vertenza itala-abissina, diversamente da vertenze circa Pacifico, non può interessare talmente Giappone da indurlo inviare truppe, navi guerra. Errore dipeso essersi sottolineato soltanto parte delle dichiarazioni. Non vero Governo italiano fatto comunicato modo pubblicato Tokio. Perciò priva base supposizione avere esso emanato simile comunicato, al fine legare Giappone e impedirgli intervenire Abissinia.

Voce opposizione Italia matrimonio giapponese con Principe abissino considerata Autorità italiane come cosa non seria.

È anzi arzigogolato credere Italia fatto concessione giochi Olimpici Giappone per accattivarsene buona volontà in caso conflitto Abissinia e in genere per ottenere una qualsiasi ricompensa.

588.

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4161/032 R. Budapest, 21 luglio 1935 (per. il 24).

Riferimento mio telegramma n. 84 di oggi (1).

Come telegrafato, il Presidente Gtimbtis si rimette completamente a V. E. circa le modalità di tempo e di luogo del suo incontro con l'E. V. Egli ha indetto una sessione del Consiglio dei Ministri per il 6-9 agosto, ma l'anticiperà o la posticiperà in relazione con quanto V. E. vorrà ulteriormente comunicargli sulla data dell'incontro. Il Presidente Gtimbtis ha manifestato il proposito di farsi accompagnare dal Ministro de Kanya.

Essendo la conversazione caduta sulla situazione austriaca, il Generale Gtimbtis mi ha detto che egli non consiglierebbe al Governo di Vienna di procedere alla restaurazione degli Asburgo fin quando, oltre a superare l'opposizione della Piccola Intesa, esso non avesse definito le sue relazioni con la Germania. Ha aggiunto di non sapere precisamente cosa pensi Hitler di una eventuale restaurazione a Vienna: ritiene tuttavia che vi sia contrario. Mi ha pure esposto le idee di Starhemberg sulla restaurazione in termini pressochè analoghi a quelli riferiti dal R. Ministro a Vienna con telegramma n. 3835 dell'8 corrente (2).

Passando a parlare della restauraz.ione degli Absburgo in Ungheria, mi ha ripetuto, con le ormai note argomentazioni, di essere nettamente contrario al Principe Ottone e ad un'unione personale dell'Ungheria con l'Austria, e di propendere piuttosto per l'instaurazione di una monarchia nazionale dopo che saranno definiti i rapporti dell'Ungheria con la Piccola Intesa, e cioè a revisione attuata. Del resto anche per quest'ultima soluzione non vedeva ancora l'uomo: l'Arciduca Albrecht ha dato prova di poca serietà nella vita privata ed è molto ambizioso; ora aspira a succedere all'Ammiraglio de Horthy nella Reggenza.

Incidentalmente il Generale Gtimbtis mi ha detto che il Presidente del Consiglio jugoslavo, signor Stojadinovic, aveva incaricato questo Ministro di Jugoslavia di portargli i suoi saluti personali. Conosce Stojadinovic come uomo intelligente e capace. È rimasto tuttavia sorpreso del suo gesto di cortesia che attribuisce piuttosto a suggerimento di Gtiring.

589.

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, DE ANGELIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4100/58 R. Gerusalemme, 22 luglio 1935, ore 0,20 (per. ore 7).

Telegramma di V. E. n. 42 (3). Sono stato oggi ad Amman ed ho Ietto opportunamente all'Emiro Abdallah le dichiarazioni attribuitegli dal New York Times.

Egli mi ha smentito senza esitazione l'intervista ed ha mostrato uno sdegno, che devo ritenere sincero, per le grossolanità attribuitegli. Ha riconfermato reiteratamente la sua devota ammirazione per S. E. Capo del Governo, al quale, tra altro, lo lega la gratitudine per tutte le prove di benevolenza date alla famiglia hascemita. Egli pensa che si tratti di una manovra di persone che cercano di comprometterlo.

Non ho mancato, comunque, di far rilevare all'Emiro come la gravità della pubblicazione richiedesse un atteggiamento reciso da parte sua; egli allora mi ha assicurato che stasera stessa avrebbe fatto telegrafare al New York Times la smentita il cui testo invio col mio telegramma n. 59 (1).

Domani poi l'Emiro Abdallah dirigerà un telegramma personale a S. E. il Capo del Governo per annunziargli invio smentita al giornale americano circa «ignobile falso » e per riconfermare al Duce sua alta stima, formulando auguri per la Sua persona e per l'Italia (2).

Questo telegramma sarà inviato solo domani perché Emiro deve sottoporlo al nulla osta di quel Residente inglese. E poiché non è da escludere che Residente britannico affacci obbiezioni, ho fornito all'Emiro sufficienti argomentazioni per ribatterle. Ho detto infine a Sua Altezza che domani mattina avrei mandato da lui il Direttore dell'Ospedale italiano ad Amman, nostro comune amico, per avere assicurazioni circa l'invio di questo dispaccio.

La nostra conversazione, durata due ore, si è svolta nella solita atmosfera di cordialità, pur avendo io parlato con cortese fermezza.

590.

IL MINISTRO A STOCCOLMA, PATERNÒ, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7705/60 P.R. Stoccolrna, 22 luglio 1935, ore 21,30 (per. ore 0,10 del 23).

Mio telegramma n. 59 (3).

Dopo compiute indagini, che avevano dato già per se stesse risultati negativi, ho interrogato Ministro Affari Esteri Sandler, testè tornato, il quale ha categoricamente smentito che Svezia pensi uscire dalla S.d.N. Ha aggiunto che neppure Norvegia considera simile ipotesi.

Sandler mi ha spiegato che se in passato socialdemocrazia norvegese era contraria partecipazione Norvegia alla S.d.N., da ultimo essa aveva mutato ufficialmente parere e attuale Ministro Affari Esteri Koht è esponente di tale nuova tendenza del suo partito. Notizie giunte a codesta stampa sono, secondo Sandler, state generate da false interpretazioni date alla nota intervista accordata da Koht prima di partire da Oslo.

Questo mio collega norvegese mi conferma dichiarazioni fattemi da Sandler.

43 --Document'i diplomatici -Serie VIII -Vol. I

(l) -Per 111 risposta dl suvich vedl D. 707. (2) -Vedi D. 555, nota 3. (l) -Vedi D. 579, nota l. (2) -Vedi D. 503. (3) -Vedi D. 574. (l) -T. 4099/59 R. deJ 22 luglio 1935, ore 1,13. Il testo della smentita era il seguente: «Palazzo sua Altezza Emiro Transgiordania smentisce categoricamente dichiarazioni attribuite a sua Altezza dal Vostro giornale ci.rca persona S. E. Mussolinl e circa confl1trto itala-abissino. sua Altezza non ha mai concesso interviste a corrispondenti del Vostro giornale e pecrciò dichiarazioni predette non sono che una invenzione di cattivo gusto». (2) -Vedi D. 598. (3) -Vedi D. 581.
591

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 22 luglio 1935.

Il Conte Chambrun mi dice di avere sollecitato, secondo mia richiesta, il processo di Marsiglia, e di avere chiesto in genere al Governo francese di sapergli dire che cosa avviene con detto processo.

Riprende poi l'argomento del Consiglio di Ginevra.

Gli espongo le ragioni dell'ultima nostra nota ad Addis Abeba comunicata anelle alla Francia e all'Inghilterra (1). Abbiamo voluto richiamare molto energicamente l'Abissinia al mantenimento degli impegni presi per il funzionamento della Commissione di arbitrato. Se l'Abissinia rettificherà la propria posizione, come dovrebbe fare, sarebbe il modo migliore per superare la difficoltà senza ricorrere al Consiglio. Confidiamo ad ogni modo che il nostro punto di vista, che è giustificato al cento per cento, avrà l'appoggio degli altri Governi.

L'Ambasciatore trova che il nostro atteggiamento risponde ad un criterio esatto. Chiede tuttavia che cosa succederebbe se il Consiglio venisse riunito lo stesso.

Gli rispondo che anche quando l'Abissinia rispondesse negativamente noi tuttavia ci riserviamo di insistere perchè il Consiglio non sia convocato data l'inutilità dello stesso. Ad ogni modo se ad onta di tutto il Consiglio si tenesse il Governo italiano potrebbe parteciparvi per seguire la procedura nel senso della dichiarazione fattami dall'Ambasciatore nel colloquio di sabato (2) e ripetuta ieri al Barone Aloisi (3) se ci fosse un accordo preventivo colla Francia e con la Gran Bretagna, che desse al Governo italiano la sicurezza che il suo punto di vista sarebbe accolto dal Consiglio.

Faccio presente all'Ambasciatore francese che quando la nota ad Addis Abeba

rimanesse senza risultato non per questo noi saremmo favorevoli alla convoca

zione del Consiglio.

Per quanto riguarda il quinto arbitro -gli è noto quanto già detto pre

cedentemente --noi non avremmo difficoltà a nominarlo o a farlo nominare

dal Consiglio, quando fosse ben chiaro che il collegio arbitrale non debba occu

parsi di questioni di frontiera. Sta però il fatto che prima di nominare il quinto

arbitro bisogna lasciare ai quattro la possibilità di esaminare la questione di

fondo -ciò che non è stato fatto -e cercare di intenderei.

L'Ambasciatore riferirà a Parigi.

n Conte Chambrun mi comunica che da informazioni assunte presso Ave

noi gli risulta che il Consiglio della Società delle Nazioni non può nominare

il quinto arbitro; il Consiglio potrà invece dichiarare fallita a procedura (4).

{l) Vedi D. 595.

(2) -Vedi D. 576. (3) -Vedi D. 592.

(4) n presente documento rec.a !! viste di Mussoli~i.

592

IL CAPO DI GABLNETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

APPUNTO. Roma, 22 luglio 1935.

È venuto l'Ambasciatore di Francia evidentemente su istruzioni del suo Governo, per informarsi delle nostre decisioni in relazione ad un'eventuale prossima riunione del Consiglio per il conflitto itala-etiopico.

Ho messo subito al corrente il Conte di Chambrun della posizione diplomatica assunta dall'Italia nei confronti dell'Abissinia in relazione all'esclusione della questione delle frontiere dal compromesso che avrebbe dovuto discutere la Commissione di conciliazione, e l'ho informato che, sulle basi della dichiarazione del Consiglio del 25 maggio, per dare all'Abissinia ancora un'opportunità di uniformarsi al deliberato sopracitato, avremmo fatto al riguardo una nuova pressione ad Addis Abeba.

Per precisare ancora meglio il punto di vista del Governo italiano gli ho pertanto letto il telegramma che sarà spedito alla R. Legazione in Addis Abeba (2), nonché il testo dei telegrammi che inviavamo ai R. Ambasciatori di Parigi e Londra (3) per rendere edotti quei Governi del passo che si sarebbe compiuto ad Addis Abeba.

Il Conte di Chambrun, che ha dimostrato di aver perfettamente compreso lo spirito e il significato di questa nostra decisione, ripetendomi ancora una volta quali erano le disposizioni di volenteroso appoggio del Governo francese ai nostri riguardi, ha voluto però anche confermarmi tutte le considerazioni per le quali il suo Governo non poteva seguire nessuna iniziativa contraria alla Società delle Nazioni, base del sistema politico francese.

Mi ha al riguardo esposto una serie di argomenti ben noti, e che non ritengo pertanto di dovere riferire all'E. V. In relazione alla comunicazione che gli avevo fatto, il Conte di Chambrun

mi ha detto che questa poteva perfettamente inquadrarsi nelle istruzioni ricevute dal suo Governo. Egli era infatti incaricato di farci le seguenti due proposte che mi ha dettato e che riporto integralmente qui di seguito:

« 1. -Le Gouvernement italien prendrait l'initiative d'exposer devant le Conseil de la S.d.N. que la difficulté surgie à Scheveningen provient d'une divergence d'appréciation sur le mandat de la Commission. Il demanderait en conséquence au Conseil de donner une interprétation de l'accord qui s'était établi devant lui.

Si les choses se passaient ainsi, il serait sans doute possible de faire l'unanimité dans le Conseil sur une formule limitant à l'avance la portée de la sentence, quels que soient les arguments que l'agent éthiopien produirait devant les arbitres ».

«2. -Si la réunion du Conseil a lieu entre le 26 juillet et le commencement d'aout, lère solution.

Si l'Italie veut retarder de deux ou trois semaines la réunion du Conseil, elle doit nous permettre de dire à l'Angleterre que dans cette réunion différée elle prendra l'initiative d'exposer ses griefs et d'attaquer ».

Ho dimostrato a Chambrun, e lui ne ha convenuto, che il nostro passo ad Addis Abeba e le comunicazioni che facevamo a Parigi e a Londra rientravano perfettamente nel punto primo di queste proposte francesi.

Con le comunicazioni per Londra e Parigi -che avevo prima letto all'Ambasciatore di Francia -i due Governi francese ed inglese sarebbero stati infatti messi al corrente circa le divergenze di apprezzamento tra l'Italia e l'Abissinia sul mandato della Commissione di conciliazione.

Nell'eventualità quindi che, dopo un rifiuto del Governo etiopico di aderire a questa nostra proposta, si fosse andati a Ginevra, il Governo italiano non avrebbe avuto difficoltà di esporre, anche con maggior efficacia dopo questo ultimo tentativo, il suo punto di vista al riguardo, chiedendo al Consiglio l'interpretazione della Dichiarazione del 25 maggio scorso.

Ho aggiunto però a Chambrun che premessa indispensabile a tutto questo doveva essere la preventiva conoscenza da parte italiana dell'interpretazione che sarebbe al riguardo data dal Consiglio e la sicurezza che nessuna iniziativa qualsiasi potesse improvvisamente allargare questi dibattiti ginevrini. Ritenevo però evidente, ed il Conte Chambrun stesso ha voluto confermarmelo, che il Governo francese, avanzandoci questa proposta, ci garantirebbe un'unanimità del Consiglio su di una formula che limiterebbe la portata del compromesso.

Ritengo pertanto che questa proposta sarebbe ai nostri fini ottima una volta che avessimo ottenuto un preciso impegno franco-inglese al riguardo.

Chambrun mi ha anche chiesto se il Governo italiano avrebbe avuto difficoltà per la nomina del quinto arbitro nel caso che la Commissione di conciliazione non si fosse trovata d'accordo sugli accertamenti dei fatti di Ual-Ual. Gli ho risposto, sotto riserva dell'approvazione di V. E., che non ritenevo questo punto presenti nei riguardi italiani alcuna difficoltà.

Siamo quindi passati all'esame del secondo punto della proposta francese.

Ho detto al riguardo a Chambrun che non ritenevo opportuna una nostra iniziativa di esporre in questa prossima eventuale riunione ginevrina i nostri «griefs » e di attaccare al Consiglio l'Abissinia.

Poiché era prevista una seconda riunione del Consiglio dopo il 25 agosto e prima dell'Assemblea generale di settembre vi era tutto il tempo per esaminare tale questione. Si sarebbe potuto però entrare in quest'ordine di idee qualora Inghilterra e Francia fossero con noi completamente d'accordo non solo sul seguito ginevrino di una nostra offensiva dinanzi al Consiglio contro l'Abissinia ma principalmente sopra una preliminare accettazione da parte inglese e francese delle richieste nettamente formulate da V. E. al signor Eden ed al signor Lavai (l) circa gli scopi della nostra azione in Africa Orientale.

Chambrun mi ha risposto che, se V. E. era disposta di permettere a Laval d'informare confidenzialmente Sir Samuel Hoare che l'Italia entrava nell'or

dine di idee di questa procedura, era sicuro si poteva portare il Governo britannico ad accettare i « desiderata » italiani. Chambrun teneva in proposito a f~rmi rilevare che lo scopo precipuo della politica inglese, come di quella francese, era quello di evitare la guerra.

Non ho allora lasciato sottintendere all'Ambasciatore di Francia che mi pareva impossibile che dopo i discorsi e le interviste dell'Imperatore di Abissinia vi fosse la minima possibilità di evitare un'azione di forza e che bisognava quindi nettamente precisare se l'espressione « evitare la guerra » significasse solo evitare la dichiarazione di guerra oppure l'uso vero e proprio della forza.

Ho aggiunto a Chambrun che sarebbe stato facile risolvere il primo caso mentre era veramente ozioso pensare che si potesse giungere ad una soluzione di tutta la questione senza l'impiego della forza. Al che Chambrun mi ha risposto che bisognava evitare una dichiarazione formale di guerra, comprendendo egli invece perfettamente come l'Italia non potesse fare a meno d'impiegare la forza contro l'Abissinia. Tutto stava --ha detto Chambrun -di trovare, come ha fatto la Francia nel Marocco, opportune giustificazioni per l'impiego di queste forze.

(l) -Questo documento e quello edito al n. successivo recano la data 22 luglio ma si riferiscono a colloqui avvenuti l! 21. come risulta da P. ALorsr, Journal, clt., p. 288. (2) -Vedi D. 595. (3) -Vedi D. 594.

(l) Vedi DD. 431, 433 e 548.

593

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 22 Zuglio 1935.

È venuto l'Ambasciatore di Polonia il quale ha ricevuto, due giorni fa, un telegramma del Ministro Beck che lo invitava ad informarsi sulle nostre intenzioni circa la prossima seduta del Consiglio per poter eventualmente appoggiare i «desiderata » italiani a Ginevra.

Ho esposto al signor Wysocki la situazione e gli ho opportunamente chiarito il buon diritto dell'Italia di chiedere che la questione delle frontiere esuli dalla competenza della Commissione di conciliazione.

Gli ho pure spiegato che eravamo in procinto di invitare il Governo etiopico a riprendere in questi limiti i lavori della Commissione di conciliazione e che se questo tentativo fallisse sarebbe stata probabile una convocazione del Consiglio. In questo caso, gli ho detto, mi sarei permesso di convocarlo per renderlo edotto dell'atteggiamento che il R. Governo assumerà a Ginevra affinché egli ne potesse informare a tempo il signor Beck.

Ho tenuto in ogni modo a ringraziare l'Ambasciatore di Polonia per la cortese démarche che egli aveva fatto presso di noi.

594

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GRANDI, E A PARIGI, PIGNATTI, E ALLA DELEGAZIONE PRESSO LA S.D.N.

T. 1314/c. R. Roma, 23 luglio 1935, ore 1. (Per Ginevra): Ho telegrafato alle RR. Ambasciate a Londra e Parigi quanto segue:

(Per tutti): V. E. è a conoscenza della corrispondenza scambiata tra il Governo italiano e quello etiopico relativamente alla competenza e alla costituzione della Commissione di arbitrato e conciliazione. Di particolare importanza a tale riguardo sono la nota italiana del 15 maggio (l) e quella etiopica del 16 maggio (2) con cui i termini del compromesso sono nettamente definiti.

V. E. ha da ultimo ricevuto col telespresso n. 223820 del 17 luglio ( 3) l'ultima nota diretta dal Governo italiano a quello etiopico dopo la sospensione dei lavori di Scheveningen e per tenerlo responsabile di tale sospensione.

Con telegramma a parte Le ho inviato la nota di risposta del Governo etiopico ( 4) e Le invio ora le istruzioni che vengono inviate al R. Ministro in Addis Abeba per replicarvi (5). V. E. è autorizzata a dare opportuna comunicazione scritta di tutta tale corrispondenza, salvo le necessarie trasposizioni per riguardo al segreto della cifra, a codesto Governo. Ella vorrà altresì presentare il seguente promemoria che viene presentato pure al Governo francese (per Londra) inglese (per Parigi) (6).

«Il Governo italiano conformemente alla risoluzione n. 2 del 25 maggio del Consiglio della S.d.N. e nell'intento di fare un nuovo tentativo di conciliazione, ha inviato istruzioni al R. Ministro ad Addis Abeba di presentare una nuova nota al Governo etiopico, con la quale si invita quest'ultimo ad attenersi agli impegni assunti col compromesso arbitrale, secondo esso risulti dalle Note italiana del 15 maggio ed etiopica del 16 maggio, e a dare istruzioni al proprio Agente perchè -recedendo dalla pretesa avanzata di discutere una questione esclusa dai termini del compromesso -metta la Commissione di arbitrato e conciliazione in grado di riprendere i propri lavori.

«Nel comunicare quanto precede al Governo britannico (per Londra) francese (per Parigi) il Governo italiano ha l'onore di attirare la sua attenzione s?lla importanza del proseguimento dei lavori della Commissione e dell'accordo da raggiungersi tra i quattro arbitri circa le circostanze di fatto degli incidenti occorsi a Ual-Ual il 5 e 6 dicembre e di quelli verificatisi successivamente. Il rispetto da parte del Governo etiopico del compromesso arbitrale verrebbe ad assicurare alla procedura istituita per gli incidenti di Ual-Ual e per quelli successivi il naturale decorso in base all'art. 5 del Trattato itala-etiopico del 1928 e alle risoluzioni del Consiglio della S.d.N.

La richiesta dell'Agente etiopico di discutere l'appartenenza di Ual-Ual, sia pure come semplice elemento di giudizio o come circostanza di fatto per la valutazione degli incidenti occorsi a Ual-Ual, non potrebbe non implicare un giudizio sulla questione della frontiera tra la Somalia Italiana e l'Etiopia, e quindi allargare di tanto la competenza della Commissione di arbitrato, sino ad investirla di capacità proprie invece di una Commissione di frontiera. Ciò che esula non solo dalla lettera, ma anche dallo spirito del compromesso

convenuto ~

(l) -Vedi D. 191. (2) -Vedi D. 191, nota 2 p. 210. (3) -Non rinvenuto, ma vedi D. 537 (4) -Con T. 4026/1504 R. del 17 luglio 1935, ore 23, Vinci aveva trasmesso la nota etiopica n. 45, pari data, ed. !n Il conflitto itala-etiopico, Documenti, vol. I, cit. p. 275. Tale nota veniva ritrasmessa a Parigi con T. 1309/421 R. ed a Londra con T. 1309/244 del 22 luglio 1935. (5) -Vedi D. 595. (6) -Con T. 4210/434 R. del 25 luglio 1935 Pignatti assicurava di aver eseguito le istruzioni ricevute. Analoga comunicazione faceva Grandi con T. 524 in pari data.
595

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GRANDI, E A PARIGI, PIGNATTI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, E ALLA DELEGAZIONE PRESSO LA S.D.N.

T. 1315/c. R. Roma, 23 luglio 1935, ore 3,15.

(Solo per Parigi, Londra e Ginevra): Ho telegrafato alla R. Legazione in Addis Abeba quanto segue:

(Solo per Addis Abeba): Suo telegramma n. 1504 (1).

(Per tutti): Prego rispondere alla Nota etiopica n. 45 del 17 luglio nei termini seguenti, salvo osservazioni da parte della S. V.:

1°) -Governo italiano mantiene la propria protesta per l'attitudine adottata a Scheveningen dall'Agente del Governo etiopico, che, pretendendo trattare questioni non comprese nel compromesso direttamente intervenuto tra i due Governi, ha provocato l'interruzione dei lavori della Commissione di conciliazione e arbitrato. Responsabilità per interruzione detti lavori risale al Governo etiopico.

2") -Governo etiopico sa perfettamente che accordo fra i due Governi circa il compromesso è intervenuto con le note italiana del 15 maggio (2) ed etiopica del 16 maggio (3). Fu appunto a seguito di tali note che i due Governi, in data 16 maggio, provvidero a comunicarsi reciprocamente i nomi dei rispettivi arbitri.

Il Consiglio della S.d.N., con le sue risoluzioni del 25 maggio, non è comunque intervenuto nei termini del compromesso già stabilito in data 16 maggio. Esso ha constatato l'intenzione dei due Governi di applicare la procedura di conciliazione e di arbitrato, nonché l'avvenuta nomina degli arbitri. Ha ugualmente constatato l'accordo, intervenuto tra i due Governi, di sottoporre alla stessa procedura il regolamento degli incidenti già verificatisi alla frontiera itala-etiopica dopo il 5 dicembre 1934. Per di più le dichiarazioni del Rappresentante italiano nel Consiglio della S.d.N. hanno confermato la volontà, già chiaramente e ripetutamente espressa, del Governo italiano di escludere dal compito della Commissione ogni questione relativa alla frontiera, e quindi anche l'interpretazione dei Trattati ed Accordi circa le frontiere.

È quindi chiaro che la pretesa dell'Agente etiopico di discutere dinanzi alla Commissione circa l'appartenenza di Ual-Ual era del tutto arbitraria, e non poteva essere ammessa dalla Commissione, perché esorbitante dai termini del compromesso.

3°) -Alla fine della sua nota del 14 luglio (4), il Governo italiano ha dichiarato di essere sempre disposto a riprendere i lavori della Commissione, beninteso entro i limiti del compromesso stabilito. Il Governo italiano conferma

tale suo intendimento. Esso chiede formalmente al Governo etiopico se esso intenda attenersi o meno agli impegni assunti col compromesso secondo indicato di sopra, dando in caso affermativo disposizioni al suo Agente perché -recedendo dalla pretesa avanzata -metta la Commissione di conciliazione ed arbitrato in grado di continuare i suoi lavori (1).

596.

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4146-4149/1557-1558 R. Addis Abeba, 23 luglio 1935, ore 11 (per. ore 19,20).

Mio telegramma n. 1537 (2).

In assenza Blata Herui ho comunicato stamane al Direttore Generale Affari Esteri che, date frasi ingiuriose ed asserzioni inesatte del discorso, come da mia protesta che non aveva avuto seguito, in attesa di disposizioni del mio Governo, mi vedevo costretto, con mio rammarico, di astenermi, di mia iniziativa esclusivamente personale, dall'intervenire (e con me tutto il personale Legazione) sia al ricevimento ufficiale del Corpo Diplomatico sia al pranzo ed al ricevimento della sera. Direttore Generale ne ha preso atto.

Essendomi poi recato a darne comunicazione al decano Ministro del Belgio, questi mi diceva che stava per venire da me avendo ricevuto visita Ghiorghis, Direttore Generale del Ministero della Penna che, a nome dell'Imperatore, lo aveva informato esattamente del mio passo, aggiungendo:

l) che Imperatore avrebbe considerato astensione come una offesa personale; 2) che il popolo, constatando tale offesa fatta al Sovrano, avrebbe potuto commettere eccessi e fare manifestazioni anti-italiane; 3) che Governo farebbe tutto necessario per protezione Legazione.

Beninteso, poiché Ministro del Belgio, del resto palesemente non convinto lui stesso, cercava farmi modificare decisione, ho nettamente dichiarato che mio atto non costituiva una offesa, ma piuttosto rispondeva a quelle gravissime pronunciate pubblicamente contro il mio paese; che naturalmente l'argomento intimidatorio non poteva certo essere quello che mi avrebbe fatto recedere dalla mia decisione.

Personalmente Ministro del Belgio (che specie ultimi tempi si è mostrato estremamente amichevole), pur .consigliandomi se non altro farmi rappresentare al mattino, non ha potuto nascondermi che al mio posto avrebbe fatto altrettanto.

Anche colleghi Francia e Germania hanno riconosciuto che non potevo recarmi porgere omaggi Sovrano, specialmente dinanzi a dignitari e popolo etiopici, dopo le note frasi ingiuriose e sopratutto dopo mia protesta di venerdì,

n. -48, pari data, del Governo etiopico, ed. in Il conflitto itala-etiopico. Documenti, vol. I, ci,t., pp. 281-282.

dove tuttavia avevo accennato alla divergenza testi nelle due lingue. Che Etiopia non vi abbia dato seguito, ha confermato intenzione ingiuriosa.

Sir Sidney Barton ha in fondo compreso che non avevo da. scegliere, dato che non avevo istruzioni mio Governo, pur non lasciandosi sfuggire occasione per ricordare che violenze discorso S. E. Lessona e le chiare dichiarazioni dell'E. V. a Eden sulle intenzioni italiane potevano dal lato umano far comprendere stato d'animo Imperatore (da ciò appare che egli lo ha dettagliatamente informato dell'incontro di Roma). Ha detto che Inghilterra e Francia dovevano fare opera conciliativa e quindi mi domandava se, nell'interesse di non contribuire ad aggravare situazione con questa mia iniziativa, quale rappresentante di un paese che non aveva rotto le relazioni diplomatiche con l'Etiopia, avrei potuto recarmi almeno alla cerimonia ufficiale della mattina.

Ho rifiutato nettamente, per me e per i membri Legazione. (Cerimonia della mattina è la più importante: uniforme, inchini consueti, discorso decano, spumante ecc.).

Ministro Belgio (che però aveva visto Alto Uolde Ghiorghis) pensa ciò condurrà alla rottura [delle relazioni diplomatiche]; gli altri si sono mostrati preoccupati.

Segretario francese ha più tardi detto a Segretario R. Legazione che mia iniziativa personale poteva «non essere approvata da Roma e da Parigi che non si sa cosa ne pensino».

Ambienti vicini al Governo etiopico mostrano viva irritazione e disapprovazione e sostengono che almeno mia personale posizione è ormai insostenibile.

Comunque io ho lasciato ogni via aperta all'E. V. perché V. E. potrà sempre sconfessare il mio operato, se lo crederà necessario.

Conto domani stesso, a seguito della comunicazione fattami dal Decano che egli stesso [e] tutti i colleghi hanno deplorato [mio gesto] che è [qualificato] ignobile insulto, dichiarare al Ministro degli Affari Esteri che se per avventura qualche incidente dovesse avvenire, ne rendo pienamente ed esclusivamente responsabile Governo etiopico. È evidente infatti, data condizione Paese e popolazione, che se qualche cosa dovesse accadere, dopo tali dichiarazioni, sarà il Governo etiopico a provocarlo. In città stasera animati commenti e preoccupazioni.

Attendo istruzioni urgenti (l).

(l) -Vedi D. 594, nota 4. (2) -Vedi D. 191. (3) -Vedi D. 191, nota 2 p. 210. (4) -Vedi D. 537. (l) -Con T. 4280/1630 R. del 28 luglio 1935, ore 19, Vinci trasmetteva la nota di risposta (2) -Con T. 4088/1537 R. del 21 luglio 1935, ore 18, Vinci assicurava circa l'esecuzione deHe istruzioni di cui al D. 582.
597

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA S.D.N., PILOTTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4141-4147/127-128 R. Ginevra, 23 luglio 1935, ore 14,15 (per. ore 19)

Avenol è rientrato per un giorno, ma questa sera riparte per Parigi per conferire con il suo Governo circa Consiglio della S.d.N. Evidentemente è stato

chiamato a seguito delle notizie pervenute a Parigi sulla nunione di questa mattina del Gabinetto britannico. Mi ha ripetuto sue note idee.

Italia avrebbe dovuto servirsi essa stessa dell'articolo 15 del Patto per accusare al Consiglio l'Abissinia di non aver mai rispettato trattato 1928 e per riservarsi, qualora Consiglio della S.d.N. non giungesse entro sei mesi a conclusioni unanimi a noi favorevoli, la possibilità di fare dopo altri tre mesi una guerra lecita secondo il Patto.

Ad ogni modo, Italia avrebbe dovuto svolgere una contro-offensiva portando avanti Consiglio della S.d.N. questione cattiva amministrazione etiopica e schiavitù; rilievi gliornali italiani sull'Etiopia non hanno all'uopo risonanza sufficiente e in ogni modo non possono sostituire una azione ufficiale; non vi è stata preparazione da parte nostra dello spirito inglese; tutti i partiti in Inghilterra, salvo voci isolate che non hanno peso, anche se di uomini autorevoli, sono concordi nell'appoggiare ii Governo nei nostri riguardi, a tal punto che in discorso di Hoare, al quale esso Avenol rileva con soddisfazione di aver contribuito, è stato giudicato fiacco, mentre discorso di Chamberlain ha avuto largo successo.

Germania è attivissima in Inghilterra e, approfittando delle migliorate relazioni, lascia intendere a chiare note che il problema austriaco non esiste più o meglio sarà automaticamente risoluto con la formazione di un Governo nazlsta appena l'Italia" sarà impegnata altrove.

Lavai e, in genere, il Governo francese, fanno tutto il possiblile per appoggiare il nostro punto di vista, ma una cosa la Francia non potrà fare, per non distruggere le basi di tutta la sua politica europea, cioè sanzionare col suo consenso una violazione del Patto della S.d.N. se questa avvenisse.

Passando alla situazione attuale, Avenol la considera gravissima e deplora che non si sia potuto concedere una riunione delle tre grandi Potenze prima del 25 corrente. Egli pensa ancora che la situazione dovrebbe essere esaminata in tre tempi.

In un primo tempo dovrebbe intervenire un accordo tra le tre grandi Potenze, in virtù del quale Francia e Inghlilterra riconoscerebbero preponderanza interessi italiani in Etiopia e rivedrebbero la loro posizione del 1906, riservandosi soltanto la prima la ferrovia di Gibuti e la seconda la parte principale delle acque del Tsana. Questo accordo avrebbe scopo essenziale eliminare dissidio anglo-italiano.

In un secondo tempo dovrebbe intervenire una azione in seno a S.d.N. concernente necesslità riforma amministrazione etiopica e finalmente, in un terzo stadio, dovrebbe avvenire un intervento franco-inglese verso l'Etiopia congiunto alla pressione italiana.

Questi momenti sono distinti perché distinti [sono gli] scopi da raggiungere e, secondo Avenol, non giova a nulla confonderli insieme parlando di controversia italo-etiopica come di un tutto unico.

Ma l'in-tre-tempi presuppone che non abbia luogo la discussione immediata in Consiglio, perché tale discussione si estenderebbe, per volontà del delegato etiopico che vi ha interesse, a tutti i problemi delle relazioni fra l'Italia e Etiopia, essendo ormai chiaro dal contegno dell'agente etiopico avanti

agli arbitri che l'Etiopia vuole sconfinare dalla discussione sugli incidenti per trattare in Consiglio dell'insieme delle relazioni scosse.

Avenol ha sempre creduto che una discussione generale gioverebbe all'ItaLia, ma ritiene che oggi debba essere evitata perché il dissidio anglo-italiano è tuttora nella sua fase acuta e quindi il Governo britannico, premuto dalla sua opinione pubblica [e dovendo] dichiarare solennemente il suo attaccamento alla Società delle Nazioni e alla soluzione pacifica dei conflitti, parteciperebbe alla discussione in modo da non facilitarla.

Ora il Consiglio potrebbe essere evitato se per il 25 gli arbitri italiani, ricordando di avere invano offerto agli arbitri etiopici di riprendere le sedute il giorno 20, dichiarassero che sono ancora pronti a farlo per un giorno ulteriore, consentendo ad una proroga del termine.

In tal modo -secondo Avenol -l'agente etiopico sarebbe costretto ad assumersi la parte ingrata dli mandare definitivamente a male l'arbitrato nel che, probabilmente, gli stessi suoi arbitri non seguirebbero.

Avenol -ripeto -non si augura niente di buono dalla discussione in Consiglio quale avrebbe luogo adesso e ritiene per tutti preferlibile la ripresa del giudizio arbitrale.

Vorrebbe aver indicazioni sugli intendimenti del Governo italiano (uguale domanda mi è stata fatta oggi da Ministro di Turchia).

Quanto alla data del Consiglio, il Governo francese propendeva di fissarlo in agosto, ma gli inglesi hanno fatto capire che non desiderano che il [Consiglio] si tenga al di la del 31 corr.

Litvinov non è stato ancora presentito all'uopo.

(l) Per la risposta di Mussolini vedi D. 599. Il presente documento reca il visto di Mussolini.

598

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, DE ANGELIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4211/62 R. Gerusalemme, 24 luglio 1935, ore 0,30 (per. ore 5).

Mio telegramma n. 58 (1). Emiro Abdallah mi conferma invio al New York Times smentita nei termini da me telegrafati ieri (2). Sarei grato possibilmente informarmi per mia norma se essa risulti regolarmente ricevuta (3).

Emiro mi ha poi [fatto] sapE::re che avendo meglio riflettuto si ripromette dirigere a S. E. il Capo del Governo, invece del telegramma che egli mi aveva autorizzato a preannunziare, una lettera personale, allo scopo poter esprimere con più agio i propri sentimenti.

Emiro non ha voluto confessare intervento veto del residente inglese; ma direttore dell'Ospedale italiiano, che è stato tramite di queste comunicazioni, ha impressione che esso esista.

Io mi ero affrettato ieri a portare mio colloquio di domenica con Emiro a conoscenza del Segretario Generale di questo Alto Commissario, anche per far intendere che ero al corrente della esistenza del telegramma il cui invio era subordinato al placet britannico.

Se nonostante questo l'assenso non è stato, come sembra, accordato, ciò deve ritenersi più che altro come una delle tante disinvolte manifestazioni del Governo mandatario dirette ad attraversare una immaginaria « propaganda» italiana di cui questo Alto Commissario ha una vera fobia.

Non mi sembra il caso di formulare proteste per tale interferenza di cui ci sfugge la prova; mi riservo tuttavia di fare in proposito ogni opportuno rilievo a questo Governo.

(l) -Vedi D. 589. (2) -Vedi D. 589, nota l p. 607. (3) -Vedi D. 622.
599

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI

T. 1325/556 R. Roma, 24 luglio 1935, ore 18,45.

Approvo completamente suo operato. S. V. è autorizzata, quando e come lo crederà più opportuno, portare questa mia approvazione a conoscenza del Governo e del Corpo Diplomatico. Occorre mettere in evidenza che il suo atteggiamento rappresenta una legittima ed inevitabile reazione alle inaudite affermazioni contenute nel discorso del Negus che acquistano tanta maggiore gravità in quanto pronunciate da un Sovrano.

Qualora passo fatto da V. S. per chiarire portata traduzione francese in cui contenute frasi ingiuriose, passo a cui codesto Governo non ha ancora risposto, avesse un seguito, V. S. telegrafi per ulteriori istruzioni.

Approvo parimenti passo presso Governo etiopico per dichiararlo responsabile di ogni incidente che potesse sorgere.

600

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, DE ANGELIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 4188/64 R. Gerusalemme, 24 luglio 1935, ore 24 (per. ore 0,10 del 25).

Muftì di Gerusalemme mi ha detto non essere stata ancora stabilita sede Congresso panislamico che dovrà tenersi in quest'autunno o ai primi dell'anno prossimo.

A seconda del prevalere delle varie correnti interessate, Congresso potrà riunirsi in un paese arabo orientale, oppure in una città dell'Europa, molto probabilmente Ginevra.

Per l'eventualità della scelta di una sede europea, ho suggerito al [MuftìJ Venezia oppure Bari, dichiarandogli che Governo Fascista, oltre favorire in tutto il possibile riunione Delegati, non avrebbe mancato di assicurare allo svolgimento dei lavori quella libertà che i congressli.sti temono di non trovare nei Paesi di dominio o di influenza britannica o francese.

Muftì ha mostrato interesse al mio suggerimento.

Sarei grato telegrafarmi per mia ulteriore norma ·linguaggio se V. E. l'approva (l).

In caso affermativo sarebbe opportuno fare accertamenti e insinuazioni nello stesso senso anche presso la Delegazione siriana-palestinese a Ginevra.

601

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 516. Londra, 24 luglio 1935.

Mi sono recato oggi da Sir Samuel Hom·e e gli ho chiesto quale fondamento avessero le notizie pubblicate ieri dalla stampa inglese circa la concessione di permessi di esportazione di armi per l'Etiopia che sarebbe stata decisa dal Gabinetto. Hoare mi ha risposto che effettivamente il Gabinetto nella seduta di avantieri ed in quella di stamane si era occupato estesamente della questione. Hoare era in grado, specie dopo la seduta di stamane, di rettificare le notizie premature apparse sulla stampa di ieri e di confermarmi quanto egli mi aveva dichiarato il 16 corr. (2) e cioè che per ora, mentre sono in corso negoziati di carattere politico con l'Italia e la Francia, il Governo britannico si asterrà dal concedere licenze di esportazione, ritenendo che la questione delle armi non (dico non) possa essere separata dal problema generale.

« Sta di fatto -egli ha aggiunto ·-che l'Inghilterra è il solo paese che non abbia finora fornito armi all'Etiopia. Il Governo britannico è riuscito finora ad impedire che le ditte inglesi interessate dessero corso agli ordinativi ricevuti e nello stesso modo ha scoraggiato il transito delle armi attraverso le colonie britanniche. Questo per quanto riguarda -il passato ed il presente. Per quello -egli ha aggiunto -che riguarda l'avvenire, vi ho già detto pochi giorni fa come il Governo britannico intende regolarsi. Non posso nascondervi che dall'ultima volta che vi ho visto la situazione è andata diventando più difficile. Io non ho perduto la speranza di venire ad un accordo con l'Italia. Questo è stato e resta il mio programma di azione. Ma non tutti i membri del Governo la pensano come me. Molti ritengono che con l'Italia non vi sia oramai nulla più da fare e che bisogna riprendere la via di Ginevra. Nella riunione di Gabinetto che abbiamo tenuto stamane ho potuto solo con molta difficoltà che la decisione a cui si era arrivati avantieri per la questione delle armi fosse sospesa; essa infatti avrebbe potuto pregiudicare la continua2lione dei negoziati di Roma. Non so però di fronte a quali pressioni mi potrò trovare domani. Se sarò, come è probabile, ulteriormente interrogato alla Camera dei Comuni, mi proporrei di rispondere che, essendo in corso negoziati diplomatici, il Governo britannico ha per ora sospeso qualunque permesso di esportazione di armi tanto per l'Etiopia quanto per l'Italia ».

Ho risposto a Hoare che io prendevo intanto atto delle sue dichiaraziom che nessun permesso era stato né sarebbe per ora concesso.·

Quanto all'avvenire dovevo fargli presente che in qualunque evenienza forniture di armi all'Etiopia sarebbero state considerate dall'Italia come un atto di inimicizia, e che il Gabinetto doveva rendersi ben conto della gravità di una sua decisdone in tale senso per le ripercussioni che essa immediatamente avrebbe sui rapporti con l'Italia. Mi riferivo con ciò ad eventuali forniture inglesi ma anche al permesso di transito attraverso le colonie britanniche.

Qui Hoare mi ha interrotto dicendomi che « il Governo italiano certo è informato che le armi fornite all'Etiopia sono passate attraverso Gibuti e non (dico non) le colonie britanniche. Il Governo britannico non vede perché esso dovrebbe regolarsi diversamente dal Governo francese. È molto più diffli.cile rifiutare il permesso di transito che non i permessi di esportazione dall'Inghilterra, ma anche la questione del transito delle armi -ha aggiunto Hoare dipenderà in definaiva dalla maniera come sarà impostata la questione politica generale.

Hoare mi ha a questo punto messo al corrente dei passi fatti da Drummond a Roma. « Vi sarei grato se voleste ripetere al Duce che in questo momento il mio sforzo consiste nell'evitare una rottura di negoziati con l'Italia, rottura che purtroppo molti considerano come già virtualmente avvenuta. Nonostante le critiche e le difficoltà che sono venute aumentando in questi ultimi giorni io resto fedele al mio programma dell'H luglio (1). Quello che domando all'Italia è di aiutarmi a mettere questo programma in esecuzione».

Ho replicato a Hoare che se v;i è un paese il quale ha mostrato una leale volontà di conciliazione ed una attesa paziente, questo paese è proprio l'Italia fascista. Ma oramai l'Inghilterra deve rendersi conto che l'Italia non può attendere più oltre e che delle soluzioni nette, radicali, definitive, si impongono nell'interesse non soltanto dell'Italia ma della stessa Gran Bretagna e dell'Europa. E queste soluzioni non possono essere se non quelle indicate dal Duce.

(l) -Con T. 1362/50 R. del 31 luglio 1935, ore 24, Mussolini rispose: «Approvo proposta fatta Muf.ti per eventuale scelta città dtaliana nel prossimo Congresso Panislamico ». (2) -T. 488 del 17 luglio 1935, non pubblicato.
602

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 24 luglio 1935.

Chiedo all'Ambasciatore Chambrun se da parte francese non c'è nessuna difficoltà perché comunichi il progetto per il Patto danubiano al governo germanico.

L'Ambasciatore preferisce avere prima una autorizzazione da Parigi.

Si rimane d'accordo che nel frattempo intratterrò sull'argomento l'Ambasciatore von Hassell senza dargli il testo scritto. Si viene poi a parlare della questione etiopica. II Signor Chambrun mi dice che ha trovato ieri Sir Eric Drummond molto

scoraggiato. Ha detto che egli non vede l'utilità delle conversazioni a tre, in

cui aveva riposto tanta speranza, se si devono considerare come di nessun valore le concessioni economiche e se le cose, come pare, si aggravano alla Società delle Nazioni, che forma sempre il punto centrale della politica estera britannica.

Oggi l'Ambasciatore Chambrun ha ricevuto un telegramma da Parigi che gli pare nel suo complesso buono. Il telegramma è in risposta ad un altro fatto da Chambrun dopo le nostre recenti conversazioni.

Il signor Chambrun aveva preso l'iniziativa di raccomandare al Governo francese di fare insieme a quello britannico un passo ad Addis Abeba per indurre il Governo etiopico a rendere possibile la continuazione dell'arbitrato. Il Governo francese ha accettato tale suggerimento ed è in attesa della risposta britannica.

Il telegramma di Parigi insiste molto sul fatto della necessità della nostra presenza a Ginevra. Si osserva anche che, in base alla deliberazione del 25 maggio da noi accettata, una nostra assenza non sarebbe giustificata.

Ribatto su questo punto all'Ambasciatore chiarendogli che la deLiberazione del 25 maggio prevedeva un altro svolgimento della procedura di arbitrato e quindi noi non ci consideriamo legati ad intervenire a questa riunione del Consiglio. Ad ogni modo la cosa è impregiudicata.

Per il caso che il Consiglio debba riunirsi, il Governo francese ha considerato la nostra richiesta che si possa prima conchiudere un accordo tra Italia, Francia, Inghilterra, per far accettare dal Consiglio d.l punto di vista italiano. Il governo francese fa presente che una garanzia assoluta su quella che sarà la deliberazione del Consiglio, non è evidentemente in grado di darla, ma che ritiene fermamente che le cose si possano svolgere secondo i nostri desideri. L'accordo tra Francia e Italia su questo punto è considerato dalla Francia più che sufficiente per far marciare il Consiglio. D'altronde al governo francese la nostra tesi appare suffragata da molte buone ragioni. Secondo l'opinione di Parigi il governo etiopico colla nota del 3 giugno ha riconosciuto la competenza del Consiglio della S.d.N. per interpretare i limiti dei poteri della Commissione in caso di disaccordo tra gli arbitri. D'altra parte il Consiglio ha già ammesso che la questione delle frontiere non debba entrare nell'arbitrato. Coordinando questi due elementi, al governo francese pare che la tesi italiana abbia tutte le « chances » di prevalere.

Per quanto riguarda i « griefs >> la cosa non è di attualità visto che H governo italiano non intende occuparsene per il momento.

L'Ambasciatore aveva espresso anche la preoccupazione che il Consiglio potesse nominare una commissione di neutri per esaminare la vertenza, ma il governo francese risponde che ciò non gli pare possibile se nel frattempo si svolgeranno le conversazioni a tre: Italia, Francia, Gran Bretagna, conversazioni alle quali il governo francese dà la massima importanza.

Il telegramma del signor Lavai conchiude con l'affermazione della sua immutabile decisione di voler aiutare l'Italia ma chiede con la più amichevole insistenza che l'Italia voglia seguire la Francda nel giuoco regolare da svolgersi a Ginevra (1).

(l) Si riferisce al discorso pronunciato ai Comuni.

(l) n presente documento reca il visto di Mussolini.

603

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 24 luglio 1935.

Informo l'Ambasciatore von Hassell che si è ripreso in esame il Patto danubiano: fra giorni spero di potergli dare un progetto scritto, che si limiti al Patto generale sulla base della non aggressione, non 1ngerenza, non assistenza all'aggressore, consultazione. Chiederemo al Governo tedesco di voler esprimere la sua opinione di massima sul testo. Lo stesso testo sarà comunicato agli altri Paesi dei quali è prevista la partecipazione al Patto (l).

604

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 24 luglio 1935.

È venuto stasera l'Ambasciatore sovietico a leggermi a titolo confidenziale una lettera del signor Litvinov.

Il Commissario del Popolo per gli Esteri lo invitava con questa missiva di venire d'urgenza da me per informarmi che, nella sua qualità di Presidente in esercizio del Consiglio, gli erano state fatte premure dal Segretario Generale della Società delle Nazioni, e questo specialmente in seguito a vive insistenze da parte del Governo britannico, affinché prendesse da domani 25 luglio le disposizioni necessarie per una riunione del Consiglio alla data del 29 corrente.

Il signor Litvinov ci informava di questo in via confidenziale facendoci sapere che non avrebbe potuto che dare, con suo rincrescimento, un seguito a tale richiesta. Il signor Litvinov allo stesso tempo suggeriva al Governo italiano, nel caso volesse ritardare la prossima riunione del Consiglio, di indirizzare una richiesta ufficiale in proposito a lui, tramite il Segretario Generale della Lega, proposta che egli non avrebbe mancato di appoggiare.

Ho pregato il signor Stein di ringraziare il signor Litvinov per il suo gesto amichevole e l'ho messo al corrente della situazione promettendogli di informarlo, non appena possibile, sul seguito che avremmo dato al suggerimento del Presidente del Consiglio.

605

L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. 275 (266/145/35). Roma, 24 luglio 1935 (2).

Mr. Eden, in his capacity of Minister for League of Nations Affairs, has reported to His Majesty's Government in the United Kingdom the tenour of his

conversations with Your Excellency on June 24th and June 25th (1), in the course of which the dispute between Italy and Abyssinia was discussed. You will recall that Mr. Eden at the outset of the discussion impressed on Your Excellency the grave concern with which His Majesty's Government observed the development of the dispute. Their anxiety did not arise out of selfish reasons, or concern for their interests in Africa, but out of considerations connected with the position of the League of Nations (of which both Italy and Abyssinia are members) and with the situation in Europe. It was based on the fact that they could not remain indifferent to events which might profoundly affect the future of the League, to whd.ch they were irrevocably committed, and on which was founded their foreign policy. Public opinion in the United Kingdom was united upon this issue: the war generation and its successor believed firmly in the League, as they considered that it was only by a system of collective security that peace could be preserved, and only through the League that the Undted Kingdom could playts part in Europe. In consequence, His Majesty's Government who, as Your Excellency is aware, have from the beginning used their good offices with both parties in Rome and Addis Ababa and at Geneva, in the hope of facilitating an amicable settlement, had been anxiously studying the dispute between Italy and Abyssinda in order to discover whether there was any constructive contribution they could make which might be of help in finding a solution. It had occurred to His Majesty's Government that if they should offer to cede to Abyssinia the port of Zeila with a corridor through British Somaliland, this might facilitate the grant by Abyssinia to Italy of territorial concessions in the Ogaden country, as part of a generai settlement involving also concessions in the economie field. Your Excellency will remember that Mr. Eden made it clear that the United Kingdom would ask no concession for itself, except that the grazing rights of British tribes in the territory ceded as the result of agreement between Italy and Abyssinia should be safeguarded.

2. This tentative suggestion (which, if it had commended itself to you as offering a means of settling the dispute, would then, after consultation with the French Government, have been put to the Emperor of Abyssinia) did not, unfortunately, find favour with Your Excellency. On your side you proceeded to develop the measures which you considered to be necessary with a view to placing Italian relations with Abyssinia on a settled basis. Your Excellency required the peaceful cession to Italy of those parts of Abyssinia which the latter had conquered in the last fifty years and which were not inhabited by Abyssinians. Abyssinia proper (so Your Excellency indicated to Mr. Eden on the 25th June in your second conversation together) consisted of a centrai group of provinces stretching from the western part of Eritrea to the south of Addis Ababa. The territories the peaceful cession of which Italy demanded were those almost surrounding this centrai block, and consisted of the region bordering on southeastern Eritrea, the Aussa country, the province of Ogaden, two Sultanates in south Abyssinia bordering on Kenya, and territory bordering on the Sudan and reaching to the extreme south-west point of Eritrea. In addition to this territory, Italy would require a measure of control in Abyssinia proper. Such

44 --Documen~i diplomatici -Serle VIII -Vol. I

would be the concessions which Italy would accept if the Emperor were to agree to them without military opposition. If he resisted by force of arms, Italy's demands would be proportionately higher; in fact, so Your Excellency informed Mr. Eden on June 25th, Abyssinia would in that case cease to be a separate national entity.

3. -His Majesty's Government regret that Your Excellency found it necessary to reject their suggestion out of hand, as they had much hoped that the territorial sacrifice which they were prepared to make without asking for anything in the nature of compensation might contribute t~ an amicable settlement of the differences between Italy and Abyssinia. But they are profoundly disquieted by the nature of the demands which Your Excellency felt it necessary to enumerate to His Majesty's Minister far League of Nations Affairs as those which alone would satisfy the requirements of Italy. You made it clear that if you could not obtain these requirements by negotiation, you were prepared to enforce them by war. 4. -The declared intentions of the Italian Government are therefore such as must immediately raise for His Majesty's Government the question of the treaty relations between the Powers concerned. The attitude of His Majesty's Government towards those intentions must be determined not only by their strong desire to remain in the friendliest relations with both Italy and Abyssinia and to promote a friendly settlement of the disputes between them, but -and essentially -by the provisions of tt1e relevant treaties. 5. -The Treaty signed at Paris on August 27th, 1928, to which both Italy and Abyssinia, besides the United Kingdom, are parties, lays down in Article l that the « High Contracting Parties solemnly declare in the names of their respective peoples that they condemn recourse to war for the solution of international controversies, and renounce it as an instrument of national policy in their relations with one another ». Under Article 2 the High Contracting Parties «agree that the settlement or solution of all disputes or conflicts of whatever nature or of whatever origin they may be which may arise among them, ;,;hall never be sought except by pacific means ». 6. -The Covenant of the League of Nations lays down in Article 10 that «the members of the League undertake to respect and preserve as against external aggression the territorial jntegrity and existing politica! independence of an Members of the League :~-. 7. -Article 12 of the Covenant lays down: «The Members of the League agree that, if there should arise between them any dispute likely to lead to a rupture, they will submit the matter either to arbitration or judicial settlement or to inquiry by the Council and they agree in no case to resort to war until three months after the award by the arbitrators or the judicial decision, or the report by the Council ». 8. -The Agreement between Great Britain, France and Italy respecting Abyssinia signed at London on December 13th, 1906, provides in Article l that the three countries «sont d'accord pour maintenir le statu quo politique et territorial en Ethiopie tel qu'il est déterminé par l'état des affaires actuellement existant... ». 9. -His Majesty's Government had understood that the complaints of Italy against Abyssinia were in generai that Abyssinia had failed to honour the provisions of the Italo-Abyssinian Treaty of Friendsh1p of 1928 providing far the promotion and development of the commerce existing between the two countries, that the activities of Abyssinian nationals threatened and disturbed the peace and security of the frontiers of Eritrea and Italian Somaliland, and, in particular, that Abyssinian troops had provoked the incidents which unhappily occurred at Walwal in December 1934, and subsequently elsewhere. Appropriate remedial procedure far Italy's complaints regarding the attitude of the Abyssinian Government in respect of these matters is provided in the Covenant of the League of Nations and also by Article 5 of the Italo-Abyssinian Treaty of 1928 which reads as follows: « The two Governments undertake to submit to a procedure of conciliation or of arbitration the questions which may arise between them, and which they may not be able to decide by the normal process of diplomacy, without having recourse to force of arms... ». In fact the incidents which occurred at Walwal in December 1934 and subsequently elsewhere are being submitted to the latter procedure. 10. -The intentions of the Italian Government as now made known to Mr. Eden appear to be inconsistent with the provisiions of the treaties quoted above. His Majesty's Government therefore view with the gravest anxiety the effect upon their relations with the Italian Government which would follow if these intentions were carried out. Deliberate disregard of the Covenant of the League of Nations and of the Pact of Paris would strike at the root of public law and international security, and would be so viewed by public opinion in the United Kingdom. 11. -In communicating to Your Excellency the views of His Majesty's Government in the United Kingdom as set forth in the preceding paragraphs, I have been instructed, in the name of that Government, to make a further appeal to you to give full weight to these considerations (1).
(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Consegnata a Palazzo Chigi la sera del 25 luglio.

(l) Vedi DD. 430, 431 e 433.

606

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL SEGRETARIO GENERALE DELLA S.D.N., AVENOL

T. U. 1332/6 R. Roma, 25 luglio 1935, ore 14,15.

Scadendo oggi il termine del 25 luglio fissato dal Consiglio della S.d.N. nella sua risoluzione del 25 maggio 1935 quale data (salvo proroga d'accordo fra gli arbitri) per il compimento dei lavori della Commissione dei quattro arbitri circa l'incidente di Ual-Ual e successivi, il Governo italiano ha l'onore di comunicare al Segretario Generale della S.d.N. quanto segue:

n Governo italiano essendo come sempre animato ·dal desiderio di portare a compimento la procedura di conciliazione ed arbitrato -interrotta soltanto per il fatto che l'agente del Governo etiopico avanzò a Scheveningen pretese di discutere dinanzi alla Commissiione questioni escluse dal compromesso arbi

trale -fin dal 14 luglio corrente (l) dichiarò al Governo etiopico di essere

sempre disposto a riprendere i lavori della Commissione, purché essi rimanes

sero beninteso entro i limiti del compromesso arbitrale.

II Governo italiano ha inviato il 23 luglio nuove telegrafiche istruzioni alla

R. Legazione in Addis Abeba (2) di confermare tale intendimento e di chiedere formalmente al Governo etiopico se intenda attenersi o meno agli impegni assunti col compromesso arbitrale, «dando in caso affermativo disposizioni al suo agente perché recedendo dalle pretese avanzate metta la Commissione in grado di continuare i suoi lavori».

(l) Per la risposta vedi D. 639.

607

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4208/433 R. Parigi, 25 luglio 1935, ore 20,30 (per. ore 24).

Mio telegramma n. 431 (3).

Segretario Generale del Quai d'Orsay mi ha comunicato in via confidenziale

di aver oggi confermato, in forma ufficiale, a questa R. Ambasciata inglese che

il Governo francese non crede di mutare la linea di condotta adottata riguardo

traffico delle armi con Etiopia.

Esportazione di armi e munizioni dalla Francia per l'Abissinia rimane perciò vietata. Leger mi ha detto che gli inglesi hanno insistito assai per indurre la Fran

cia a togliere il divieto.

Hanno invocato le disposizioni del Trattato del 1906.

È stato risposto che la Francia ha degli obblighi riguardanti transito delle armi da Gibuti e li adempie. La Francia non ha però in nessun caso alienata propria libertà divieto esportazione di armi, se lo crede opportuno. Governo francese ha del resto adottato per l'Etiopia disposizioni analoghe a quelle prese in circostanze simili per la Cina e durante conflitto del Chaco.

Leger mi ha detto nel corso della conversazione che gli inglesi, per giustificare il loro nuovo orientamento nella questione delle armi fanno valere eccitazione crescente dell'opinione pubblica britannica contro di noi.

II mio interlocutore crede che il Governo britannico farà di tutto per provocare a Ginevra il più presto possibile una discussione a fondo su tutta la questione abissina.

A questo proposito Leger mi ha dato lettura di un telegramma indirizzato il 19 corrente da questo Ministro Esteri a codesta Ambasciata di Francia (4) per chiarire costà la situazione difficile in cui si troverebbe la Francia nel caso in cui Italia si staccasse dal quadro ginevrino.

Mi riferisco a riguardo ai miei telegrammi 421 e 422 (5).

II telegramma a Chambrun su citato si esprime analogamente.

(l) -Vedi D. 537. (2) -Vedi D. 595. (3) -Con T. 4173/431 R. del 24 luglio 1935, ore 18, Pignatti aveva riferito 11 riaffermato proposito francese di vietare l'esportazione di armi in Etiopia. (4) -Vedi D. 576. (5) -Vedi D. 572.
608

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUCAREST, SOLA

T. U. RR. 7633/90 P. R. Roma, 25 luglio 1935, ore 21,45.

Ci risulta che Romania ha preso iniziativa sollecitare adesione Albania blocco balcanico. Tutto ciò sembra condotto da codesti circoli dirigenti con spirito e obiettivi assolutamente anti-italiani. Questo fatto avrà la sua influenza nella determinazione dei rapporti itala-rumeni (1).

609

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA

T. 7637/83 P. R. Roma, 25 luglio 1935, ore 24.

Suoi telegrammi nn. 91-92 del 18 corrente (2).

V. S. potrà far comunicare al signor Martinaz che dichiarazioni fatte da lui a De Ciutiis per incarico signor Stojadinovic corrispondono allo stesso ordine di idee nel quale travasi S. E. Capo del Governo.

R. Governo ritiene possibile e vantaggiosa una collaborazione itala-jugoslava sia nel campo politico che economico allo scopo di gradualmente stabilire rapporti veramente amichevoli tra i due Paesd, e ciò tanto nel loro interesse particolare quanto in quello più generale della ricostruzione europea.

Dichiarazioni fatte dalla S. V. all'atto pre~entazione lettere credenziali (3) partivano d'altronde dai medesimi concetti che hanno ispirato comunicazione del signor Stojadinovic. Pertanto, sempre mantenendosi tale ordine di idee, R. Governo prende atto che il Governo jugoslavo è pronto dare ogni appoggio per riuscita Conferenza Danubiana che l'Italia, insieme con la Francia, ritiene possa arrecare un maggiore ed utile progresso all'attuale situazione politica europea.

Circa le «misure » che sarebbe conveniente adottare, secondo l'accenno fatto dal signor Martinaz, V. S. potrà partecipare che R. Governo da parte sua non solo intende ma anzi desidera esaminare i vari aspetti dei rapporti tra i due Paesi nell'intento di giungere alla graduale intesa già auspicata nel discorso di

V. E., ed ora riconfermata dalle dichiarazioni del Governo jugoslavo, intesa che importa possa tradursi convenientemente in atto. All'uopo voglia chiedere al signor Martinaz le comunicazioni che egli avesse a fare in proposito al Governo italiano (4).

(l) -Con successivo T.r. 7636/91 P.R. del 25 luglio, ore 22, Suvich autorizzava So1a ad attirare l'attenzione del Governo romeno sulla questione. Per la risposta di Sola vedi D. 626. (2) -Vedi DD. 562 e 563. (3) -Vedi serie settima, vol. XVI, DD. 660, 661 e 727. (4) -Per la risposta di Viola vedi D. 659.
610

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4251/083 R. Vienna, 25 luglio 1935 (per. il 27).

È giunto qui ieri, in congedo, l'Addetto MiLitare d'Austria a Berlino.

Circa la visita a Berlino del Capo di Stato Maggiore ungherese, generale Somkuthy, il predetto ufficiale austriaco, dopo aver riferito notizie di dettaglio, ha aggiunto:

l) che a partire dalla visita di or sono due anni del generale G6mb6s a Hitler, il Governo ungherese usa inviare a Berlino, quasi ogni mese, alcuni ufficiali col compito di mettersi in contatto con questo o quell'elemento militare

o di ispezione aerodromi, o fabbriche belliche;

2) che questa circostanza è stata sempre da lui ritenuta come un sintomo di un qualche preciso accordo politico e militare intervenuto, a seguito della predetta visita di Gombos, fra i Governi di Budapest e Berlino, e ciò tanto più in quanto la sua ipotesi gli appare confermata dalle seguenti due circostanze: quella che il suo collega d'Ungheria a Berlino (suo vecchio compagno di scuola e di reggimento) ha finito di recente col dichiarargli di essere disposto a procedere con lui a qualsiasi scambio d'informazioni, «tranne però, ed in modo assoluto, su quanto concerne la Germania e l'esercito tedesco :o>; nonché la circostanza che gli ufficiali dello Stato Maggiore Generale tedesco (fra cui pure egli conta antichi compagni d'arme) hanno finito col dirgli apertamente di essere pronti a fornirgli qualsiasi informazione, meno però per la Polonia e l'Ungheria.

A suindicato ufficiale austriaco consta infine che il Capo di Stato Maggiore tedesco, generale Reichenau, si è affrettato a restituire, ai primi di giu'gno, la visita fattagli dal generale Somkuthy, recandosi per un giorno a Budapest, in occasione del concorso ippico internazionale. (Per mio conto rilevo che anche il von Papen si recò in quell'epoca a Budapest).

D'altra parte, al Ballplatz, mi è stato letto un rapporto dell'Addetto Militare austriaco a Budapest che riferisce quanto gli ha detto il generale Somkuthy nei riguardi della sua visita a Berlino e cioè:

l) la visita fu di cortesia, allo scopo di prendere diretti contatti con lo Stato Maggiore tedesco, così come egli aveva fatto precedentemente a Roma ed a Vienna.

2) Austria. Non solo in alcuni giornali ufficiali tedeschi ma anche presso la Reichswehr egli aveva notato la ferma disposizione ad una distensione dei rapporti con Vienna, e ciò allo scopo di «poter raggiungere fini di maggiore importanza'>. A tale riguardo il generale Somkuthy aveva insistito sulla convenienza di formare il noto blocco di forze (Austria, Ungheria, Italia, Germania, Polonia) facendo chiare allusioni al destino della Cecoslovacchia e segnalando sovratutto la necessità che a questo Stato venisse, in caso di guerra europea, prontamente preclusa ogni possibile azione: « ragione per la quale era ormai tempo di parlar,e un po' insieme per mettersi tutti d'accordo». (Tale ultima apertura è considerata attentamente dal Ballplatz. In assenza del Ministro Berger, prevale colà l'opinione che all'Austria non convenga assolutamente mettersi sulla via indicata dal generale Somkuthy. Le ragioni principali sono che una spartizione della Cecoslovacchia porterebbe un ingrandimento della Germania ed un reale avviamento all'Anschluss; che l'attribuzione all'Ungheria della Slovacchia renderebbe il Burgenland una vera appendice di Budapest, determinandone la perdita; che tutto il piano accennato dal generale ungherese è infine inconciliabile con le attuali direttive politiche, ed anzi in aperta contraddizione con esse. Donde il Ballplatz non solo è contrario agli abboccamenti suggeriti, ma anche disposto a chiarire a Budapest l'impossibilità in cui si troverebbe Vienna a seguirla sulla via in questione: e ciò malgrado le voci che si fanno giungere di tanto in tanto al governo federale sulla possibilità che l'Austria ottenga, nel caso contemplato, alcuni distretti della Moravia, con Briinn).

3) Polonia. A Berlino si penserebbe che i legami fra Varsavia e Bucarest e Parigi, pur non essendosi ancora riusciti a spezzarli, «creerebbero tuttavia assai meno imbarazzi ».

4) Italia. Secondo il generale Somkuthy, la questione dell'Abissinia avrà per l'Ungheria il vantaggio di veder chiarire la situazione in Europa e di rendere precisi e visibili i campi in cui essa è realmente divisa: in ogni caso, « l'Italia dovrà necessariamente andare dalla parte della Germania ».

5) Goring. Egli non avrebbe avuto alcun successo a Belgrado. Vi avrebbe anzi constatato che «la Jugoslavia non ha né intenzioni né piani aggressivi, non avendo ancora digerito tutto ciò che ha ottenuto dalla grande guerra». (Queste parole fanno comprendere che Goring si sarebbe colà adoperato ad attirare la Jugoslavia nei piani di spartizione della Cecoslovacchia).

6) Manovre. Il generale Somkuthy avrebbe infine annunziato che l'Ungheria intende predisporre speciaLi manovre militari cui vorrebbe assistessero «Missioni militari» dell'Italia, della Germania, dell'Austria e della Polonia. (Al riguardo il Ballplatz è d'avviso che un invio di siffatte missioni sarebbe inopportuno, potendo bastare la presenza degli Addetti Militari che Budapest credesse invitarvi).

Circa la questione di cui al numero 2), ricordo ad ogni fine che Berger si è sempre dimostrato incline all'idea che l'Austria, l'Ungheria e la Cecoslovacchia (realizzata che fosse una rettifica sulla frontiera cecoslovacco-ungherese) dovrebbero formare un'intesa così stretta da render possibile una unione doganale ed un comune Stato Maggiore dei tre eserciti; e che questo blocco avesse i rapporti più intimi che possibile con l'Italia. Aggiungo che Berger, invitato da Kanya ad una escursione in Ungherta, fra il 10 ed il 15 d'agosto, mi ha accennato di voler profittare di questa escursione per andare fino a Budapest, onde «chiarire un po' le idee direttamente con Gombos ».

Come a V. E. è noto, Berger ritiene che se Kanya ha dimostrato in questi ultimi tempi di volersi sottrarre all'attrazione di Berlino, altrettanto non sarebbe il caso per Gombos.

611

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 25 luglio 1935.

Informo l'Ambasciatore Chambrun del telegramma che inviamo a Ginevra (l) a conferma della nostra opinione che la riunione del Consiglio sia intempestiva e pericolosa.

L'Ambasciatore prospetterà il nostro punto di vista a Parigi (2).

612

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma, 25 luglio 1935.

Informo l'Ambasciatore che, scadendo oggi il termine del 25 luglio previsto dall'ultima deliberazione di Ginevra ed essendosi sparsa la voce che si stia per convocare il Consiglio della Società delle Nazioni, abbiamo predisposto un telegramma, di cui gli dò lettura, che sarà inviato oggi a· Ginevra (1). Lo scopo di tale telegramma è di chiarire il nostro punto dl vista: noi riteniamo H Consiglio inutile, mentre sarebbe più agevole eliminare in altro modo l'ostacolo costituito dalla pretesa ingiustificata dell'Abissinia di voler far discutere dagli arbitri un argomento che è stato espressamente escluso dal compromesso. Noi ad ogni modo non abbiamo da fare proposte né suggerimenti. Se il Consiglio sarà convocato noi vi parteciperemo in quanto la discussione rimanga limitata a Ual-Ual; se la discussione dovesse dilagare, allora, come già ha osservato il Capo del Governo all'Ambasciatore nel recente colloquio (3), «ci sarà la crisi».

L'Ambasciatore deve avvertirmi, per obbligo di lealtà, che il suo Governo

desidera la riunione del Consiglio e che desidera che nel Consiglio stesso si

discuta la questione itala-etiopica nel suo complesso. Il Governo inglese non

condivide la nostra interpretazione del deliberato del 25 maggio: secondo il

Governo inglese se le cose andavano lisce, l'esame della situazione era rin

viata al 25 agosto, altrimenti, manifestandosi delle difficoltà, l'esame della situa

zione deve essere fatto il 25 luglio.

L'Ambasciatore non nega che ci siano delle buone ragioni anche dalla nostra

parte, ma ritiene d'altronde che almeno con altrettanta fondatezza sia soste

nibile la tesi del Governo inglese.

Osservo all'Ambasciatore che la linea seguita dal Governo inglese non pare

atta a facilitare un regolamento della vertenza.

L'Ambasciatore riferirà a Londra il nostro punto di v[sta.

613.

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI SVEZIA A ROMA, SJOBORG

APPUNTO. Roma, 25 luglio 1935.

Il Ministro di Svezia mi dà comunicazione verbale come dall'unito appunto O).

.ALLEGATO

APPUNTO.

Le Gouvernement suédois se propose de conclure avec l'Etiopie un traité de commerce. A cet effet, il a envoyé à Addis Abeba M. Carlander, a.ttaché commerciai de la Légation de Suède au Caire.

Le traité envisagé contiendrait seulement deux ou trois paragraphes. Il y serait stipulé que les représentants diplomatiques de chacun des deux pays jouiraient dans l'autre pays des mémes priViilèges que ceux revendiqués aux représentants diplomati.ques des pays de 1a na.tion la plus favorisée. Il y sera.it stipuJé en outre, que les citoyens et les produits de chacun des deux pays jouiraient dans l'autre pays -par rapport à l'établissement, a.u commerce, à la douane et aux taxes des mémes avantages que ceux accordés aux citoyens et aux produits de la nation la plus favorisée.

Dès le mois de mars-sur la demande des cercles commerciaux suédois-le Gouvernement a décidé en principe de conclure avec l'Etiopie un pareil traité et de conolure un traité semblable avec l'Irak (2).

(l) -Vedi D. 606. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussol!ni. (3) -Vedi D. 553.
614

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4239/527 R. Londra, 26 luglio 1935, ore 14,15 (per. ore 18,30).

Nel corso della conversazione che ho avuta ieri (3) Hoare mi ha detto che da più parti, ma specialmente da Berlino, gli erano giunte voci sopra una possibile modificazione della nostra politica nei riguardi della questione austriaca. Queste voci preoccupavano Governo britannico, e particolarmente lui, Hoare, perché egli aveva dato e Intendeva dare un più fermo carattere agli interessi che l'Inghilterra ha nella indipendenza austriaca.

Ho risposto a Hoare smentendo energicamente tali voci la cui natura è troppo evidente. La politica dell'Italia verso l'Austria non ha subito alcuna modificazione, come provano le categoriche dichiaramone del Duce sull'argomento e le misure militari da Lui adottate per far fronte, durante nostre operazioni in Africa, a qualunque possibile evenienza in Europa.

Ho poi stamane inviato a Hoare testo dell'intervista concessa da V. E. all'Echo de Paris, richiamando sua attenzione riguardo precise dichiarazioni fatte da v. E. a proposito dell'indipendenza austriaca.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolin!. (2) -Il trattato fu firmato Il l o agosto 1935. (3) -Il 24 luglio, vedi D. 601. Il telegramma è stato evidentemente scritto la sera del 25 e spedito la mattina successiva.
615

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4242/137 R. Bruxelles, 26 luglio 1935, ore 16,20 (per. ore 19,55).

Ieri questo Primo Ministro mi ha fatto un esposto sulla situazione internazionale dinanzi alla Commissione del Senato degli Affari Esteri.

Scopo precipuo della riunione, provocata dallo stesso Governo, è stato in realtà quello di chiarire atteggiamento del medesimo nei riguardi del conflitto itala-etiopico di fronte all'agitazione insistente di una parte notevole di questa opinione pubblica.

Attraverso qualche comunicato ufficioso e qualche indiscrezione risulta che il Primo Ministro avrebbe riassunto tale atteggiamento nei termini seguenti: l) posizione della Missione militare belga in Etiopia devesi intendere circoscritta entro limiti contrattuali ben determinati; 2) Belgio ha sospeso licenze esportazioni armi Etiopia, perché altri Stati le hanno sospese e nessuno ha finora revocato provvedimento; 3) Belgio intende mantenersi estraneo al conflitto ed in quest'ordine di idee nessuna fornitura di armi è stata fatta neanche all'Italia; 4) l'autorizzazione preventiva verrà d'ora innanzi prescritta per le forniture verso « tutte » le destinazioni; 5) in linea di massima Belgio si rimette fin da ora alla decisione del Consiglio della S.d.N.

Mentre mi riservo controllare esattezza di quanto precede, informo che, tornando dalla visita fatta ieri l'altro a Parigi, questo Primo Ministro ha detto a persona di mia fiducia che Lavai si era espresso seco lui in senso ottimistico circa soluzione del nostro conflitto con l'Abissinia.

616

IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 4257/79 R. Durazzo, 26 luglio 1935, ore 20,50 (per. ore 2,30 del 27 ).

Telegramma di V. E. n. 53 (1).

Re Zogu fa vivissime premure per ottenere da V. E. un altro anticipo di 200 mila franchi oro sul fondo di un milione promessogli per emigrazione mussulmana dal Kossovo. Egli sta in questi giorni occupandosi personalmente dell'argomento cogli esponenti dell'organizzazione a suo tempo e a tal fine da lui istituita. Allo scopo precipuo non provocare nell'attuale delicato momento impressioni e reazioni non desiderabili, sarei d'avviso, tutto considerato, di accontentarlo. Preleverei somma dai noti fondi (2).

(l) -Vedi D. 142. (2) -Suvich rispose con T. 7884/87 P.R. del 30 luglio 1935, ore 24, autorizzando il versamento dell'acconto.
617

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI POLONIA A ROMA, WYSOCKI

APPUNTO. Roma, 26 luglio 1935.

Metto al corrente l'Ambasciatore di Polonia delle principali disposizioni del progetto per il patto danubiano (1).

618

IL MINISTRO D'AUSTRIA A ROMA, VOLLGRUBER, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

COMUNICAZIONE. Roma, 26 luglio 1935.

Au cours d'une conversation que le Ministre d'Autriche à Prague eut avec

M. Benes, celui-ci vint à traiter finalement aussi la question du Pacte Danubien et demanda à M. Marek s'il avait des nouvelles y relatives. Le Ministre d'Autriche répondit qu'il ne connaissait pas les détails des négociations courantes, mais qu'il était certain d'un fait à savoir que l'Italie, contrairement à l'opinion très répandue ne se retirerait pas de l'Europe centrale à cause de son engagement en Abyssinie, et qu'elle pensait à continuer sa politique une fois conçue.

M. Benes donna raison au Ministre d'Autriche et dit qu'aussi ses propres informations s'accordaient avec ce que M. Marek disait. Il pria M. Marek de communiquer au Baron Berger, que la situation relative au Pacte Danubien serait restée ,inchangée. Confidentiellement M. Benes ajouta que ce serait un fait, que la visite de Gamelin à Rome avait eu pour but de compléter pratique.., ment les accords Laval-Mussolini. Ce qu'avait été prédit dans le communiqué d'alors sur les entretiens ·entre MM. Lavai et Mussolini aurait été décidé maintenant, c'est-à-dire on aurait conclu des accords sur la manière par laquelle on pourrait défendre pratiquement l'indépendance de l'Autriche. La France et l'Italie seraient d'accord sur les actions qui doivent prendre place, si du còté allemand quelque chose serait entreprise contre l'indépendance autrichienne. Pour cela l'Allemagne ne devrait pas se livrer à la spéculation d'avoir main libre en Europe centrale, pour le cas que l'Italie aurait engagé autrepart ses forces militoores.

A Rome et à Paris on aurait délibéré pendant les derniers jours, s'il n'était pas possible de mener à fin le Pacte Danubien en deux étapes, c'est-à-dire de conclure camme premier stade les traités politiques, un traité de nonimmixtion et un tel de nonagression et de remettre les traités d'assistance mutuelle à une seconde étape. Apparemment on aurait pris en considération une certaine attitude de la Hongrie.

A ce sujet le Dr. Benes formulerait sen point de vue comme suit: Un pacte général et des traités de nonagression et de nonimmixtion ne suffisent pas à la Tchécoslovaquie dans un temps durant lequel de tels traités ne sont pas

observés en Europe, s'ils deviennent désagréables. Pour cette raison le Dr. Benes pense qu'il serait nécessaire de compléter en meme temps ces pactes par des traités d'assistance mutuelle. Au fond la France et l'Italie seraient de la meme opinion sur ce point, car elles ont déjà agi de cette manière quant à elles memes.

De vouloir peut etre resoudre seulement la question du réarmement, serait une impossibilité. Cette question pourrait etre résolue d'une manière positive seulement au moment où existeraient des garanties suffisantes pour la sécurité des autres Etats. Mais par contre cette sécurité ne pourrait etre garantie autrement que par les traités d'assistance mutuelle. En échange pour un traité seulement politique la Tchécoslovaquie ne pourraJt pas donner son consentement pour le réarmement. Mais tout ça ne concernerait pas l'Autriche qui projite d'une situation à part; Jilar contre ces faits se rapporteraient à la Hongrie et à la Bulgarie.

619.

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. 8006/1085. Budapest, 26 luglio 1935 (per. il 31).

Mio telegramma per corriere n. 030 del 17 c. m. (l).

Dopo l'annunzio del prossimo incontro di V. E. col Presidente Goemboes (2), il signor Kanya è tornato a parlarmi del viaggio in Germania in sede di conversazione strettamente personale e confidenziale.

Premesso che apprezzava in tutto il suo valore il fatto che V. E., anche nelle gravi cure del momento, accettava d'incontrarsi col Presidente del Consiglio ungherese, Kanya mi ha confidato che egli era riuscito, prima della risposta dell'E. V., a farsi promettere da Goemboes che ai primi di settembre avrebbe scritto a Goering declinando l'invito di andare in Germania. Temeva ora che Goemboes riprendesse l'idea, ritenendo che una sua visita in Germania dopo l'incontro con V. E. si verrebbe a presentare sotto altro aspetto all'opinione pubblica interna ed internazionale.

Kanya <invece è sempre d'avviso che tale visita è inopportuna ed inutile: inopportuna, perché sarebbe interpretata come un rafforzamento dei rapporti tra Ungheria e Germania; inutile, perché Hitler perora per intere ore senza che l'interlocutore riesca a comprendere se abbia un'idea precisa delle varie questioni, e Goering è «persona da evitare», perché bugiardo e sfrontato (Kanya mi ha raccontato, fra l'altro, che, durante la sua ultima visita a Budapest, il Presidente del Consiglio prussiano aveva detto al Reggente che «non approvava» la politica del Governo ungherese perché «troppo italofila e poco amichevole per la Jugoslavia»: questo e tutto il suo contegno avevano fortemente irritato l'Ammiraglio de Horthy).

Il tono di tutta la conversazione di Kanya èra di chi prevede che, dopo l'incontro con l'E. V., Goemboes 1nsisterà nell'idea di recarsi in Germania e chiede il nostro aiuto per scongiurare una tale eventualità.

Da parte mia mi sono limitato a dirgli che della cosa si sarebbe certamente parlato tra V. E. ed il generale Goemboes.

L'opera svolta da Kanya per mandare a monte la visita di Goemboes in Germania è a conoscenza di certi ambienti, notor.iamente germanofobi, che da tempo fanno merito al Ministro degli Affari Esteri di rappresentare nel Governo un contrappeso italofilo.

La verità è che Kanya, da quando si è convinto che la posizione di isolamento della Germania non può portare sicuri vantaggi all'Ungheria, ha saputo tenere quel riserbo di atteggiamento che riesce così difficile al Presidente Goemboes, il quale non rinunzia ancora alla concezione dell'« asse Roma-Berlino», su cui ha impostato, non soltanto la sua politica estera (revisionismo), ma anche la sua politica militare (parità degli armamenti), quella interna (opposizione alla restaurazione e Governo autoritario, tendenzialmente corporativo e antisemita) e quella economica (valorizzazione della produzione agricola di fronte a quella industriale). Non stupisce quindi che a Kanya, nell'attuale situazione internazionale, spetti l'ingrato compito di frenare le irrequietezze del generale Goemboes, e che ciò lo porti a prendere atteggiamenti che possono facilmente apparire come ispirati a simpatia verso l'Italia, ma che sono invece consigliati da ragioni di prudenza.

È certo comunque che, nel presente momento, ai fini degli sviluppi della nostra politica nell'Europa danubiana, possiamo fare assegnamento, più che sul metodo Goemboes, su quello Kanya, che, del resto, malgrado gli scarti che l'altro gli impone in un senso e nell'altro, in definitiva ancora prevale nella politica ufficiale del Governo ungherese (1).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

(l) -Vedi D. 557. (2) -Vedi D. 5ll8.
620

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 2920/1063. Bled, 26 luglio 1935 (per. il 29).

Telegr. di V. E. n. 78 del 17 corr. e mio telegr. per corriere n. 041 del 20 luglio 1935 (2).

Sempre riferendomi al telegramma dell'E. V. sopra citato e a segUllto delle notizie già trasmesse sull'argomento, mi onoro di riferire ora all'E. V. la conversazione che de Ciutiis -da me incaricato di sondare questo Ministero Affari Esteri circa i colloqui avuti qui dal gen. Condylis -ha tenuto col signor Martinaz, Minitsro Aggiunto.

In sostanza, a quanto ha detto il signor Martinaz, tali colloqui avrebbero portato sui punti già da me segnalati, e cioè:

l) Restaurazione monarchica in Grecia. Il gen. Condylis ha messo sopratutto ed ampiamente al corrente il Principe Paolo sulla situazione interna

greca. Il Principe Reggente è molto interessato a tale restaurazione sia per motivi familiari (di ordine anche finanziario per il redressement economico che ne deriverebbe alla Casa di Grecia di cui sua moglie fa parte), sia perché ritiene che da tale restaurazione si possa sperare, dopo un certo tempo, e una volta consolidata la monarchia, una più efficente partecipazione ellenica alla Intesa Balcanica.

II signor Martinaz ha aggiunto che anche il Governo jugoslavo vedeva favorevolmente la restaurazione per le sue utili ripercussioni in sostegno del principio monarchico in Bulgaria, a consolidamento della posizione di Re Boris che attualmente appare alquanto incerta e non scevra di pericoli per la persona stessa del Sovrano, al cui mantenimento al trono la Jugoslavia è sopratutto interessata. (Ciò in relazione alla ripresa del movimento macedone, che potrebbe assumere un carattere antimonarchico).

2) Trattative commerciali, per la revisione dell'accordo commerciale di compensazione e per la stipulazione di un accordo sul turismo. Il Generale Condylis ha insistito per la imminente discussione di tali questioni incontrando piena rispondenza da parte jugoslava, infatti la delegazione greca per le trattative suaccennate è giunta il 24 sera a Belgrado e proseguirà per Bled dove si svolgeranno le trattative.

3) Rapporti itala-jugoslavi. Il Signor Martinaz ha confermato che il generale Condylis aveva messo al corrente il Principe Paolo e Stojadinovic della dichiarazione fattagli a Roma da S. E. il Capo del Governo. Tale comunicazione aveva immediatamente provocata la dichiarazione jugoslava del 17 luglio (1).

Il signor Martinaz, a proposito di tale dichiarazione, ha tenuto a far rilevare come il Governo jugoslavo non lasciasse passare, senza darvi favorevole seguito, qualsiasi manifestazione che si verificasse da parte italiana per addivenire ad un sincero riavvicinamento fra 1 due Paesi: indice questo della sua buona decisa volontà di arrivarvi. Che il Governo jugoslavo era ora in attesa di conoscere la risposta italiana e di vedere quale seguito il Governo di Roma ritenesse di dare praticamente alla « avance» jugoslava (2). (Ha accennato di nuovo alle importanti questioni politiche del fuoruscitismo croato, della definizione del punto di vista italiano sulla restaurazione absburgica, oltre che a tutte le altre questioni di carattere tecnico dalle quali occorre sgomberare previamente il terreno).

Non ha nascosto che una•certa sorpresa si è avuta in questi ambienti politici in seguito alla pubblicazione apparsa sul Temps di alcuni giorni fa, di una breve corrispondenza da Roma ove si affermava che pensiero di Palazzo Chigi era che la questione del patto danubiano non fosse di attualità, e che ogni voce circa un viaggio Stojadinovic a Roma doveva considerarsi prematura.

Ha infine dichiarato che, una volta sgomberato il terreno di tutte quelle questioni che, tin mancanza di definizione, renderebbero sterile ogni riavvlCInamento italo jugoslavo, questo (per concorde unanime giudizio di tutti gli elementi responsabili jugoslavi) non potrebbe assumere altra forma ed altro contenuto che quello di un'alleanza militare, a sfondo e scopi antigermanici {3).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolinl. (2) -Vedi DD. 554 e 583. (l) -Vedi DD. 562 e 563. (2) -Vedi D. 659. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussolini.
621

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, UMILTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA R. 3894/434. Zagabria, 26 luglio 1935 ~1).

Da vari mesi ho avuto occasione, ripetutamente, di richiamare l'attenzione di V. E. sulle notizie, qualche volta attinte anche in ambienti ufficiali, quali lo Stato Maggiore jugoslavo, che riguardavano una forte tendenza degli ambienti, specialmente militari, jugoslavi a un avvicinamento alla Germania nazista per favorire l'Anschluss.

Con esso la Jugoslavia sarebbe immediatamente beneficiata dall'annessione di qualche territorio ora austrdaco, abitato specialmente da slavi. In un secondo tempo Germania e Jugoslavia dovrebbero arrivare, ai nostri danni, la prima a Trieste e la seconda a Fiume, !stria, Zara, ecc.

Tali informazioni, per quanto riguardanti programmi a scadenza lontana, mi sono venute da tante parti, con tanta insistenza, e qualche volta da persone in così stretto contatto con gli organi competenti del Governo e dell'armata jugoslava, che ho creduto sempre mio dovere segnalarle alla particolare attenzione di V. E., per quanto esse potessero parere esagerate o stravaganti.

L'articolo di fondo del giorno 26 luglio corrente del giornale Novosti, notoriame~te rirredentista, antifascista e sostenuto con fondi del Governo e dello Stato Maggiore jugoslavo, riporta, a proposito del conflitto itala-abissino e della importanza della flotta inglese nel Mediterraneo, considerazioni e conclusioni che collimano con le notizie cui sopra accennavo e che svelano, senza averne l'aria, H programma dell'Anschluss e della Germania a Trieste col consenso se non con l'aiuto inglese. L'articolo non porta firma e deve quindi ritenersi ispirato dai sostenitori del giornale stesso e scritto dalla redazione responsabile.

Unisco un esteso riassunto dell'articolo stesso (2), che ho riportato a pagina 13-14 del Bollettino della Stampa di questo R. Ufficio del 26 luglio corrente n. 168.

622

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, DE ANGELIS

T. 1343/45 R. Roma, 27 luglio 1935, ore 3.

Telegramma di V. S. n. 58 e 59 (3).

PregoLa far conoscere Emiro Abdullah che Capo del Governo prende atto con soddisfazione delle dichiarazioni da lui fatte a V. S. circa pretesa intervJsta attribuitagli dal New York Times e si compiace per pronta smentita da lui fatta inviare a predetto giornale.

(

(l) -Manca l'indicazione della data di arrivo. (2) -Non pubblicato. (3) -Vedi D. 589.
623

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL SEGRETARIO GENERALE DELLA S.D.N., AVENOL

T. 1345/7 R. Roma, 27 luglio 1935, ore 11.

Con telegramma in data 25 luglio corrente (l) Governo italiano ha avuto l'onore d'informare Segretariato Generale S.d.N. di avere indirizzato in data 14 e 23 luglio ben due comunicazioni al Governo etiopico:

l) per confermare intenzione Italia riprendere lavori Commissione conciliazione e arbitrato circa incidente Ual-Ual e successivi a condizione beninteso che tali lavori restino nei limiti del compromesso stabilito fra le Parti;

2) per chiedere formalmente se il Governo etiopico dntenda conformarsi

o meno agli impegni presi in detto compromesso e quindi dare conseguenti istruzioni al suo Agente.

Quando le intenzioni del Governo etiopico fossero ufficialmente conosciute, il Governo italiano non avrebbe difficoltà ad intervenire alla riunione del Consiglio della S.d.N. a quella data che il Presidente vorrà fissare, ritenendo che allo stato attuale delle cose tale riunione non possa avere altro oggetto che quello di studiare i mezzi più opportuni per mettere la Commissione di conciliazione e arbitrato in grado di riprendere utilmente i suoi lavori.

Se così non fosse il Governo italiano si riserva di far conoscere le sue osservazioni al riguardo.

624

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4274/1607 R. Addis Abeba, 27 luglio 1935, ore 12 (per. ore 4 del 28).

Telegramma di V. E. n. 556 (2). Ho portato conoscenza miei colleghi e Blata Herui approvazione .dell'E. V. circa mio atteggiamento nei riguardi del discorso Imperatore.

Mindstro degli Affari Esteri mi ha espresso suo rammarico di non avermi potuto vedere prima di martedì, altrimenti «mi avrebbe convinto a non dare una forma così recisa alla mia protesta».

Mi ha detto che non conosce «testo francese» (sic) ma che testo amarico non conteneva frasi ingiuriose. Che desiderava interporre i suoi buoni uffici personali per chiarire la cosa con l'Imperatore (immagino per combinare un mio incontro con lui).

Ho risposto che tutto il contenuto del discorso e il suo tono erano inammissibili: che testo francese era stato distribuito ufficialmente in questi circoli, che esso era stato pubblicato nel giornale Luce e Pace, che nessuna spiegazione sulle frasi ingiuriose mi era stata comunque data dopo la mia protesta immediata

mente mandata, che quindi pur con mio rammarico, non avevo potuto fare a meno di astenermi dal recarmi al Ghebi; che ora il mio Governo, per le ragioni esposte, approvava questa mia iniziativa. Non potevo quindi dare alcuna risposta senza ordini del mio Governo: ma che d'altra parte occorreva che fosse in qualche modo riparato da parte abissina.

Ritengo che senza una forma ufficiale e pubblica almeno di smentita del testo francese e delle frasi ingiuriose contenutevi, non sarebbe dignitoso che io riprendessi contatti col Sovrano benché situazione attùale sia del tutto anormale. Blata Herui ha anche detto che scrivessi quanto desideravo: ho creduto esimermi data estrema delicatezza questione. Ha molto insistito per fare da intermediario personale.

Come da [penJultima parte telegramma di V. E. n. 556, sarò grato a V. E. se vorrà telegrafarmi istruzioni al riguardo (1).

625.

IL MINISTRO A COPENAGHEN, CAPASSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4259/37 R. Copenaghen, 27 luglio 1935, ore 12,45 (per. ore 16,20).

Ministro degli Affari Esteri mi ha oggi dichiarato che non parteciperà personalmente eventuale riunione del Consiglio Società delle Nazioni, di cui è membro.

Avendogli richiesto quale sarà atteggiamento Danimarca nel caso Governo britannico creda bene, in un secondo tempo, di rilasciare permessi di esportazione armi Etiopia per ora rifiutati, signor Munch mi ha detto Danimarca non cambierà sua linea di condotta appoggiata su disposizioni di legge, a meno che una eventuale risoluzione Consiglio Società Nazioni, accettata dal Governo etiopico, ma rifiutata da quello italiano, portasse alla conseguenza di coinvolgere tutti Stati in tal genere di sanzioni indirette contro l'Italia.

Una tale ipotesi, eg1i mi ha detto, è quasi impossibile perché mancherà a Ginevra l'unanimità in proposito.

626.

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7964/117 P.R. Bucarest, 27 luglio 1935, ore 21 (per. ore 24).

Ringrazio l'E. V. segnalazione fattami coi telegrammi 90 e 91 (2) e non mancherò di far sentire a questo Governo nella persona del Presidente del Consiglio, in questo momento Ministro degli Affari Esteri ad interim, i nostri precisi sentimenti, nonché nostra sicura reazione ad ogni iniziativa romena circa Albania.

(l} Il 29 luglio 1935 Suv1ch rispondeva: «Cerchi di trascinare le cose in lungo essendo peaora preferibile non (dico non) definire per quanto possibile attuale situazione». Il presente documento reca 11 visto di MussoUni.

45 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. I

Probabilmente Tatarescu è all'oscuro della cosa che, se mai, è di iniziativa personale di Titulescu, attualmente in congedo sulla Costa Azzurra donde però non manca d'intrigare dove e come può, e sovrapporsi all'azione di chi è in questo momento il responsabile del Dicastero degli Esteri.

E quanto al Presidente Tatarescu, egli (anche in contrasto alle dirèttive di Titulescu) ha dimostrato sempre la più grande deferenza verso l'Italia, ed anche pochi giorni fa mi ha dato il suo personale appoggio, come riferisco per corriere (l), circa indagini che sto facendo per questione traffico armi con Abissinia fatto dalle fabbriche cecoslovacche via Danubio (2).

Riservomi telegrafare quelle eventuali precisazioni che mi sarà dato avere da Presidente del Consiglio, e riassunto di quanto gli avrò dichiarato (3).

Poiché vedrò Presidente del Consiglio solamente fra tre giorni, data sua assenza da Bucarest, gradirei possibilmente avere qualche precisazione circa origine e fonte della segnalazione pervenutaci (4).

(l) -Vedi D. 606. (2) -Vedi D. 599.

(2) Vedi D. 608.

627

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA S.D.N., PILOTTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4261/130 R. Ginevra, 27 Zuglio 1935, ore 23,28 (per. ore 2,30 del 28).

Faccio seguito al fonogramma di questa mattina concernente convocazione Consiglio. l) Per quanto riguarda fissazione data convocazione Consiglio, non ho mancato di far presente ad Avenol come, di fronte al telegramma odierno di

V. E. diretto a Segretariato (5), occorresse, prima di fissare data di riunione, tenere conto della risposta che sarebbe stata data dal Governo etiopico alle note italiane del 14 (6) e del 23 corrente (7), risposta alla quale è subordinato il nostro ulteriore atteggiamento.

Avenol mi ha fatto notare che ogni decisione al riguardo era di competenza del Presidente in carica del Consiglio, al quale pertanto egli doveva rimettersi.

Nel frattempo infatti è stato telefonato a Litvinov, al quale sono stati comunicati sia il telegramma odierno di V. E., sia risposta pervenuta da altri membri del Consiglio al telegramma di consultazione in data di ieri.

Litvinov non ha ritenuto vi fossero elementi per soprassedere decisioni di sua competenza ed ha dato istruzioni Segretariato diramare inviti riunione Consiglio per 31 luglio.

Come ho già riferito, maggior numero Governo interpellati si era mostrato

indifferente circa due date indicate, mentre Lavai aveva particolarmente insi

stito per il 31 luglio.

2) Circa oggetto r,iunione del Consiglio, quale è nettamente delimitato nel

telegramma di V. E., ho fatto notare come tale telegramma costituisce impo

stazione precisa del punto di vista del Governo italiano e come, nell'interesse

stesso dei lavori del Consiglio, occorresse fare in modo che degli intendimenti

del Governo italiano si tenesse opportuno conto nella redazione dell'ordine del

giorno allo scopo di evitare ogni possibilità di malintesi.

Debbo dire che il telegramma di V. E. è stato qui interpretato nel senso che

il Governo italiano non si opponev~ in massima riunione del Consiglio, ma

faceva esclusivamente una riserva nel senso che la discussione avrebbe dovuto

limitarsi alla ripresa dei lavori della Commissione arbitrale entro i limiti del

compromesso.

A conclusione della discussione che ne è seguita ho ottenuto che la comu-nicazione di V. E. debba figurare nell'ordine del giorno della prossima riunione

in modo formarne parte integrante. In tal senso è stata data dal Segretariato

assicurazione telegrafica a V. E.

Devo aggiungere à titolo di informazione che opinione diffusa nel Segre

tariato è che effettivamente non sia nelle intenzioni di allargare il dibattito nella

prossima riunione del Consiglio all'infuori di quanto si riferisce strettamente ai

lavori della Commissione di conciliazione e di arbitrato.

Si ritiene che l'invito ripetutamente rivolto dal Governo italiano a quello etiopico di riprendere d lavori della Commissione debba spianare il terreno della aiscussione e ci si rende conto come ogni tentativo di allargarla sarebbe oltremodo inopportuno e pericoloso.

Telegramma odierno di V. E. ha fissato in modo inequivocabile nostra precisa volontà che lavord Commissione restino nei limiti del compromesso e pone Governo etiopico nella necessità di prendere definitiva posizione ed assumere conseguentemente responsabilità.

In questo senso ritengo esso abbia indubbiamente raggiunto tutti i suoi

effetti e come tale è qui !interpretato e commentato.

(l) -Non rinvenuto. (2) -Con il T. per corriere 5130/010 P.R. del 20 maggio 1935 ed !l T. 3435/97 del 22 giugno 1935, ore 21,50, Sola aveva già riferito sulla questione del contrabbando d! armi per l'Abissinia. Per 1 provvedimenti adottati al riguardo dal Governo romeno vedi D. 839. (3) -Vedi DD. 648 e 662. (4) -Con T.rr. 7845/95 P.R. del 29 luglio 1935, ore 24, Suvich comunicava che la notizia dell'iniziativa romena «non è attinta a fonte fiduciaria, ma ha sicuro fondamento>> e preannunciava l'invio per corriere di preclsazloni al riguardo. Tale ultima comunicazione non è stata rinvenuta. (5) -Vedi D. 623. (6) -Vedi D. 537. (7) -P~~~rz!almente ed. !n Il cont!ltto itala-etiopico, Documenti, vol. I, cit., pp. 275-276.
628

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 528. Londra, 27 luglio 1935.

Dal mio fonogramma n. 244 di ieri V. E. avrà rilevato come le dichiarazioni fatte da Hoare ai Comuni (vedi mio .telegramma n. 516) (l) circa questione armi per Etiopia, abbiano suscitato un certo malcontento e che si annunciano ai Comuni, per i prossimi giorni nuove interrogazioni sull'argomento.

Nella Camera dei Comuni sono stato io stesso avvicinato ieri da vari deputatl i quali mi hanno ripetuto più o meno le stesse critiche riportate dai giornali e cioè:

1°) il divieto di esportare armi non colpisce in pratica se non l'Abissinia;

2°) il permesso di transito di armi attraverso i possedimenti britannici ha un valore assai scarso perché, essendo aperta la via di Gibuti, il transito naturale sarà sempre come è stato sinora quello di Gibuti e non quello di Berbera o delle frontiere del Kenya o del Sudan.

Ho replicato negli stessi termini con cui ho replicato ad Hoare: che nella questione della importazione delle armi in Etiopia, una sola considerazione ha valore e cioè la gravità delle ripercussioni che un atto di inimicizia da parte del Governo britannico avrebbe sui rapporti italo britannici.

In modo analogo mi sono poi espresso in una conversazione che ho avuto nel pomeriggio con Vansittart. Vansittart mi ha replicato dicendo che non può essere rimproverato all'Inghilterra quello che non è rimproverato alla Francia. «Il governo italiano certamente sa -ha continuato Vansittart -che l'Etiopia si è rifornita finora di armi attraverso Gibuti e non attraverso i possedimenti britannici. Quanto alle denunce della stampa italiana contro i rifornimenti di armi all'Etiopia, attraverso territord britannici, esse non (dico non) corrispondono a verità e noi speriamo che il governo italiano vorrà fare rettificare in questo senso le pubblicazioni dei nostri giornali ». Qui Vansittart ha parlato a lungo delle informazioni giunte da Drummond sulle dimostrazioni pubbliche che hanno avuto luogo in questi giorni a Roma, sui discorsi anti inglesi che si fanno dovunque in Italia, e su lettere ingiuriose che Drummond continuamente riceve. «Questo -Vansittart mi ha detto -è oltre tutto ingiusto perché l'Inghilterra è il solo paese che non abbia fornito né armi né munizioni all'Abissinia, mentre è notorio che l'Abissinia è stata nel corso degli ultimi mesi rifornita proprio attraverso Gibuti ».

Ho replicato a Vansittart che l'indignazdone popolare la quale certamente esiste in Italia contro l'Inghilterra, è stata determinata da atteggiamento generale che Inghilterra ha assunto nella questione abissina. Questo non è un prodotto della immaginazione italiana bensì un fatto indiscutibile, e lo stesso governo abissino ha sempre mostrato di contare sull'appoggio diplomatico inglese.

Vansittart ha tuttavia continuato ad insistere sul fatto che sinora armi all'Abissinia l'Inghilterra non ne ha fornito.

In vista degli svolgimenti che la questione delle armi avrà in seno al Parlamento, io mi proporrei di riprendere l'argomento con Hoare, anche per chiarire il concetto che tanto Hoare quanto Vansittart mi hanno ripetuto, e cioè che Inghilterra nella questione del traffico delle armi si regola come la Francia. Poiché infatti il transito attraverso territori britannici acquisterebbe importanza sopratutto nel caso di chiusura di Gibuti, potrebbe essere conveniente indurre Hoare ad assumere l'impegno che, ove la Francia chiudesse Gibuti, l'Inghilterra farebbe altrettanto per i suoi territori.

Da codesto Ministero io ho già ricevuto numerose segnalazioni su rifornimenti inglesi, ma poiché il governo inglese ha sempre contestato l'esattezza di codeste segnalazioni, mi sarebbe utile conoscere i risultati complessivi degli accertamenti che è stato possibile fare tanto per quanto riguarda Gibuti, quanto per i territori britannici in modo di poter adeguatamente discutere il fondamento che hanno le asserzioni inglesi.

(l) Vedi D. 601.

629

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 27 luglio 1935.

Ho chiamato stamane l'Ambasciatore di Francia al quale ho comunicato il testo del telegramma inviato in data odierna al Segretariato Generale della Società delle Nazioni (1), fornendogli opportuni e dettagliati chiarimenti sulla vera portata della nostra risposta. Egli telegraferà subito a Parigi per appoggiare il nostro punto di vista.

A sua volta Chambrun ha voluto mettermi al corrente di una proposta britannica fatta da Sir Samuel Hoare al signor Corbin, Ambasciatore di Francia a Londra, comunicatagli oggi da Parigi.

Trascrivo qui <hl seguito testualmente quanto mi ha al riguardo dettato il conte di Chambrun:

«Sir Samuel Hoare a dit à Corbin: "Je demande si le Conseil ne pourrait pas inviter les trois puissances signataires du Tripartite de rechercher entre elles les moyens de resoudre la question italo-éthiopienne. La Conférence Tripartite serait amorcée par la Société des Nations ce qui serait utile en vue de l'action ultérieure à exercer sur Addis Abeba "».

Il Quai d'Orsay, nel riferire la proposta inglese al Conte di Chambrun, ha fatto seguire a tale comunicazione il seguente commento che riporto integralmente come mi è stato dettato dall'Ambasciatore di Francia:

«Le Gouvernement Français estime qu'une décision du Conceil chargeant les Trois Puissances du Tripartite de trouver les voies et les moyens d'une solution, pourrait présenter des avantages qui appartient à M. Mussolini d'apprécier. Paris ne veut rien faire sans l'avis de M. Mussolini. On souhaite cette solution à Genève où l'on s'inquiète d'une tendance des Petits Etats à vouloir transporter à l'Assemblée les règlements du différend ».

Ho risposto a Chambrun che la proposta in questione incontra la stessa difficoltà -se non superiore -dell'altra già presentata qualche giorno addietro dai due Ambasciatori di Francia e d'Inghilterra ma che ad ogni modo avreli riferito all'E. V. questa proposta britannica e che mi riservavo quindi di comunicargli in proposito una risposta non appena posslibile.

Gli ho poi aggiunto che questo suggerimento inglese non modificava, in nulla, almeno per il momento, la questione della prossima convocazione del Consiglio e che pertanto lo pregavo di far appoggiare dal Presiidente Lavai il punto di vista italiano espresso nel telegramma inviato al Segretariato della Società delle Nazioni.

(l) Vedi D. 623.

630

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 27 luglio 1935.

Ho ricevuto ieri l'Ambasciatore sovietico il quale mi ha comunicato, su istruzioni da Mosca, quanto, d'accordo con Avenol, aveva deciso il signor Litvinov, nella sua qualità di Presidente in esercizio del Consiglio, circa la prossima riunione del Consiglio per il conflitto itala-etiopico.

Il signor Stein, per incarico del Commissario del Popolo per gli Affari Esteri, ha voluto in questa occasione farmi sapere con quanto rincrescimento Litvinov vedeva, ora che la questione itala-etiopica era portata sul terreno ginevrino, la posizione della Russia divenire delicata ed «equivoca ~.

Ho risposto all'Ambasciatore sovietico che proprio per questa ragione il signor Litvinov dovrebbe appoggiare i «desiderata ~ italiani da lui ormai conosciuti di ritardare per quanto possibile la data di convocazione del Consiglio e di limitare la discussione dell'eventuale prossima riunione a Ginevra allo studio dei mezzi· più opportuni per mettere la Commissione di conciliazione e di arbitrato in grado di riprendere utilmente i suoi lavori.

631

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 2917/1060. Bled, 27 luglio 1935 (per. il 28).

In Jugoslavia è attentamente seguita la questione austriaca. Se la restaurazione absburgica dovesse verificarsi si ripeterebbero le stesse manifestazioni militari avvenute nel 1921 quando l'imperatore Carlo cercò ·di rientrare in Ungheria. Allora fu la stessa Ungheria a decidere l'allontanamento del Sovrano per scongiurare avvenimenti gravissimi. La restaurazione absburgica significa dislocazione del Regno di Jugoslavia. Rinascerebbero le mire d'impossessarsi delle vecchie regioni. Un'Austria ristretta quale è attualmente non può concepirsi con gli Absburgo sul trono. D'altra parte una mancata restaurazione facilliterà il verificarsi dell'Anschluss. Il governo jugoslavo si rende conto di ciò ma si trova di fronte ad un dilemma, pur comprendendo che l'Anschluss rappresenterebbe un pericolo minore, giacché di fronte ad esso, per forza di cose, l'Italia si dovrebbe accordare con la Jugoslavia per la difesa comune dal pangermanismo e per arginare alle Caravanche i tedeschi.

L'atteggiamento francese nei riguardi della restaurazione è stato qUJi. già compreso, cioè che la Francia pur fingendo di mostrarsi contraria, in definitiva cederà, giacché la restaurazione non lede gli interessi francesi. Per tutto l'attegg1amento francese, la Jugoslavia ha deciso di non essere più una «colonia francese:., e non volendo legarsi con la Germania, desidera un pieno accordo con l'Italia (l).

(l) 11 presente documento reca !l visto di Mussolln!.

632

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI

T. S. PER CORRIERE 1344/77 R. Roma, 28 luglio 1935.

Telegramma di V. E. per corriere 032 (1).

Per Sua personale conoscenza comunico a V. E. che nei colloqui avvenuti tra S. E. il Capo del Governo e Gen. Condylis progettato Patto Mediterraneo non ha formato oggetto conversazione.

S. E. Capo del Governo ha confermato ragioni che determinarono nota politica di Milano (2) e conseguente accordo itala-turco-greco. Gen. Condylis, rendendosi conto tale necessità, ha concordato che politica di Milano corrisponde a reale convenienza.

633

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 28 luglio 1935.

In relazione con la riunione del Consiglio che avrà luogo il 31 luglio si presentano i seguenti problemi:

Intervenire o no alla rd.unione.

Pare opportuno intervenire per i seguenti motivi:

l) La Francia ne fa una questione essenziale per potere continuare l'appoggio che oggi ci dà;

2) una nostra assenza faciliterebbe il gioco dell'opposizione inglese dando il pretesto a quanti altri ostacolano la nostra azione, sia per interessi diretti che per considerazioni generali, di schierarsi contro di noi;

3} c'è una discreta nrobabilità che la tesi che noi sosteniamo nella fase attuale (limitazione della discussione ai lavord. della Commissione arbitrale) possa prevalere. Una nostra assenza evidentemente comprometterebbe le possibilità favorevoli;

4) la nostra collaborazione alla Società delle Nazioni, per quanto assurda ed insincera, è un gioco che ci conviene continuare e possibilmente non rompere neanche durante il conflitto. Una nostra assenza nel momento attuale invece potrebbe far precipitare le cose;

5) se dobbiamo venire ad una rottura con la Società delle Nazioni cl conviene che questa venga al più tardi possibile, prima dello scoppio del conflitto, e possibilmente contemporaneamente alla presentaziOne di un nostro documentario contro l'Abissinia, che dovrà costituire un alibi per la nostra uscita

-o per un nostro allontanamento dalle discussioni di Ginevra, portando con ciò un certo disorientamento nella Società delle Nazioni. Naturalmente tutto ciò

richiede molta pazienza da parte nostra anche per resistere a tutte le pressioni che ci saranno fatte per fermare i nostri armamenti considerati prova precisa delle nostre intenzioni aggressive;

6) in tutte le conversazioni avute questi giorni si è sempre ammesso che noi saremmo intervenuti a Ginevra, nella intesa che si discuta solo la questione della Commissione arbitrale e che i poteri della Commissione non si estendano alla fissazione delle frontiere. La Francia ha promesso di appoggiare il nostro punto di vista.

Partendo dalla premessa del nostro intervento alla riunione del Consiglio del 31 luglio la situazione si presenta come segue:

Il nostro atteggiamento deve essere quello di insistere perché vengano ripresi i lavori della Commissione di Ual-Ual che deve arrivare ad una conclusione.

Noi abbiamo ragione di pretendere una soluzione dell'incidente di Ual-Ual perché siamo stati aggrediti ed abbiamo legittimamente chiesto soddisfazioni che non ci sono state date. Abbiamo aderito ad incanalare la questione sulla via dell'arbitrato ed ora ne vogliamo la soluzione. L'opposizione viene dall'Etiopia. È compito del Consiglio di fare ogni sforzo per eliminare tale ostacolo. Se H Consiglio non lo facesse deve tener conto che la nostra posizione è la seguente: ·

Siamo stati aggrediti, abbiamo chiesto soddisfazioni; non le abbiamo ottenute.

Dobbiamo opporci ad eventuali proposte di deferire la questione alla Società delle Nazioni. La via normale è quella dell'arbitrato e « electa una via non datur recursus ad alteram ».

In un primo momento anche per la ripresa dei lavori di Ual-Ual dovremo mantenerci su di un piede di intransigenza non fosse altro che per avere materia di negoziati: dovremo esigere che le discussioni siano riprese fra i quattro anziché nominare fin d'ora il quinto arbitro; che sia concessa una prolungazione del termine per la definizione dell'arbitrato.

A tutte le eventuali pressioni per sospendere o Umitare i nostri preparativi militari dobbiamo rispondere che la mancanza di buona volontà d~ll'Etiopia, anche nella questione di Ual-Ual, è tale che ogni nostra misura protettiva appare· giustificata.

Tuttavia ad onta dell'aiuto promessoci dalla Francia e del fatto che l'ambiente del Segretariato (vedi telegramma Pilotti) (l) sembra preoccuparsi di una possibile estensione della discussione, non v'è dubbio che saranno fatti dei tentativi e delle forti pressioni per portare la discussione nel campo generale dei rapporti italo-etiopici. A far ciò sarà in primo luogo l'Abissinia, che ha già presentato ricorso in base al paragrafo 11 e 15, che ha presentato la proposta di nominare degli osservatori neutri ai suoi confini, e che ha presentato numerose sue richieste per provvedimenti contro il pericolo di aggressioni; in secondo luogo l'Inghilterra, che ha dichiarato apertamente di ritenere giunto il momento per discutere l'intero problema. Anche altri membri, neutri e disinteressati al conflitto in sé, difficilmente potranno sottrarsi a difen

dere la regola di Ginevra che imporrebbe in questo caso una discussione generale. È possibile che tutte le pressioni sfocino nella proposta di limitare in questo momento la discussione alla Commissione di arbitrato, stabilendo f,in d'ora che la prossima riunione del Consiglio (quella del 25 agDsto se non viene protratta) dovrà occuparsi della questione generale; si tenterà anche di avere per ciò il nostro impegno. Bisognerà cercare di non impegnarci sostenendo che in questo momento noi non discutiamo che Ual-Ual, che comunque non siamo pronti per una discussione generale e che quindi non possiamo permettere che la stessa sia neanche iniziata con l'esposizione delle rag,ioni di una sola delle parti, che il Consiglio è ad ogni modo libero di riunirsi quando crede e di mettere quello che crede all'ordine del giorno senza nostri preventiv~ impegni. Converrà avere della materia da negoziare per ottenere questo risultato, essendo pronti eventualmente a cedere su alcune nostre pretese relative a Ual-Ual (si potrà ad esempio accettare il quinto arbitro, la cui nomina potrebbe essere rimessa al Presidente).

Può presentarsi naturalmente il caso -non molto probabile -che ad onta di tutti gli sforzi si entri nella discussione generale; in tale evenienza il nostro rappresentante potrà abbandonare la discussione in quella forma e con quelle motivazioni che secondo le circostanze appariranno le più opportune. Questo nostro atto non stupirebbe eccessivamente i membri del Consiglio perché abbiamo già dichiarato in tutti i toni che in questo momento non vogliamo partecipare ad una discussione generale.

Comunque non è possibile oggi stabilire l'atteggiamento in una tale eventualità: occorrerà conoscere tutte le circostanze di fatto che si presenteranno via via durante i lavori di Ginevra.

Va infine presa in seria considerazione, come una base di soluzione della delicata fase attuale, la proposta fatta dal Ministro Hoare all'Ambasciatore Corbin (colloquio Aloisi Chambrun del 27 corrente) (1). Il Consiglio deferirebbe alle tre Potenze del Tripartito la ricerca di una soluzione. Evidentemente contro questa proposta vi possono essere delle serie obiezioni sopratutto a seconda del modo in cui la proposta stessa verrà definitivamente formulata. L'offerta inglese di trattative fatte la settimana passata (2) voleva dire sottrarre la questione alla Società delle Nazioni -almeno in una prima fase -per farla discutere sul piano del Tripartito; la ·più recente proposta Hoare invece potrebbe dare l'impressione che ci sia una specie di delegaz,ione fatta dalla Società delle Nazioni alle tre Potenze del Tripartito, per conto della Società delle Nazioni stessa. Ma non vi è dubbio che la proposta è importante e che applicata con qualcuna di quelle formule elastiche di cui Ginevra è maestra, in modo da disarticolare per il momento l'azione delle tre Potenze dalla S.d.N., può rappresentare una via di uscita nel momento attuale, anzi aiutare la ripresa delle trattative dirette delle tre Potenze maggiormente interessate.

Tutto ciò naturalmente lasciando inalterato lo svHuppo dei nostri preparativi militari (3).

V. -E. di indicare se approva in massima le direttive contenute nell'unito appunto». Mussolini vistò l'appunto approvandolo.
(l) -Vedi D. 558. (2) -Vedi D. 68, Allegato.

(l) Vedi D. 627.

(l) -Vedi D. 629. (2) -Vedi D. 553. (3) -Questo appunto era accompagnato da un foglietto nel quale Suvich aveva scritto: «Prego
634

IL MINISTRO PER LA STAMPA E PROPAGANDA, CIANO, AL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, DE ANGELIS

T. RR. 7803/46 P. R. Roma, 29 luglio 1935, ore 23.

Suo telegramma n. 62 (1).

New York Times ha pubblicato quanto segue: New York Times pubblicato 18 luglio un'intervista con Emiro Abdullah della Transgiordania dando punto vista quel Sovrano sulla controversia italo-etiopica. In una parte dell'intervista Emiro fu citato criticare personalmente Premier Mussolini. Segretario dell'Emiro telegrafato ieri al Times dichiarando che frasi riguardanti signor Mussolini non furono menzionate durante intervista.

R. Ambasciata Washington telegrafa quanto segue: «Informazioni che ho fatto assumere presso direzione New York Times confermerebbero autenticità intervista Emiro Transgiordania. Quest'ultimo avrebbe infatti reso dichiarazioni nei termini pubblicati dal giornale. Parte contenente persona del Duce sarebbe però stata compresa nell'intervista per equivoco, non essendo destinata pubbHcazione ~.

635

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. 7812/172 P. R. Roma, 29 luglio 1935, ore 24.

Faccia sapere personalmente al Dott. Schacht che io ho molto apprezzato l'atteggiamento amichevole tenuto dalla Reichsbank dopo l'abolizione del 40% (2).

636

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 29 luglio 1935.

L'Ambasciatore di Francia è incaricato di far sapere al Capo del Governo da parte di Lavai che in questi ultimi quattro giorni egli ha combattuto forte contro gli inglesi sia direttamente sia a mezzo dell'Ambasciatore Corbin.

Pare che il risultato di tali discussioni sia stato quello di persuadere gli inglesi dJ limitarsi a discutere per ora la questione di Ual-Ual.

Da tutto l'insieme l'Ambasciatore ha l'impressione che da parte degLi inglesi ci sia una certa détente; egli è persuaso che gli inglesi debbano fare quanto stanno facendo per ragioni della loro opinione pubblica interna ma che non intendano andare fino agli estremi.

Ha saputo ~eri da Drummond che Vansittart gli ha inviato una lettera in cui dice che l'opinione pubblica inglese non è tanto montata contro gli italiani come si potrebbe credere: c'è una parte dell'opinione pubblica inglese -Beaverbrook, Rothermere -favorevole agli italiani; un'altra parte -specialmente gli ambienti liberali e societari -decisamente contraria. Ora non converrebbe esasperare l'opinione pubblica inglese con gli attacchi di stampa portandola a schierarsi contro l'Italia.

L'Ambasciatore Chambrun non ha avuto naturalmente incarico da Drummond di riferirei quanto sopra: Drummond gli ha detto soltanto che vedesse di mettere una buona parola perché la campagna di stampa fosse mantenuta in limiti moderati per non compromettere le buone disposizioni che ci potessero essere in Gran Bretagna.

L'Ambasciatore mi chiede poi che cosa si pensi dell'eventuale proposta inglese di mettere a Ginevra le basi delle conversazioni a tre nel piano del Tripartito.

Gli rispondo che la cosa può avere indubbiamente un certo interesse; bisogna però che l'iniziativa appaia staccata da Ginevra e non abbia il carattere del consiglio.

Bisogna poi vedere, pr,ima di pronunciarci, in quale forma e sotto quali condizioni la proposta sarà presentata. Perciò per ora non si può dare nessuna risposta precisa pur non escludendo che la cosa possa essere presa in considerazione.

L'Ambasciatore ringrazia e riferirà a Parigi.

(1) -Vedi D. 598. (2) -Con T. 8337/196 P.R. del 5 agosto 1935, ore 18,31, Cerruti rispondeva di aver effettuato la comunioo~ione, sulla quale avrebbe riferito per corriere: vedi D. 675.
637

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8058/153 P. R. Beyoglu, 30 luglio 1935, ore 19,30 (per. ore 23,50).

Mi comunicano che Aras non è arrivato StamMll nemmeno oggi. È perciò certo che Turchia sarà rappresentata Ginevra dal suo Ministro a Berna, partito di qui il 29 corrente.

Tale voluta assenza è . generalmente interpretata come Aras non [desideroso] compromettersi personalmente in alcun modo, mentre rappresentante avrebbe avuto istruzioni attenersi a linea di condotta dei russi (1).

(l) Questo telegramma fu rltrasmesso ad Aloisi a Ginevra con T. 7891/58 P.R. del 1° agosto 1935, ore 2. Per la risposta di Aloisi vedi D. 647.

638

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 30 luglio 1935.

Questo incaricato d'affari di Ungheria, d'ordine del suo Governo, informa che, nel corso di una visita fatta al signor Kanya dal Ministro jugoslavo, quest'ultimo ha constatato il miglioramento di atmosfera a Belgrado nei riguardi dell'Unghel'ia e ha fatto dei suggerimenti circa il miglioramento dei rapporti tra i due Paesi. Il signor Kanya ha risposto che occorre anzitutto regolare la quistione degli espulsi ungheresi dal territorio jugoslavo dopo l'uccisione di re Alessandro. Al riguardo il Ministro jugoslavo ha detto che, secondo informazioni in suo possesso, la più parte di questi espulsi aveva già potuto ritornare in Jugoslavia (1).

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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

NOTA 5993 (2). Roma, 31 luglio 1935.

Ho presente il tenore delle conversazioni da me avute a Roma il 24 e 25 giugno scorso (3) con il signor Eden, Ministro del Regno Unito, per gli Affari relativi alla Società delle Nazioni.

Posso assicurarLa che anche prima di tali conversazioni mi ero ben reso conto delle preoccupazioni nutrite dal Governo britannico circa gli sviluppi del dissidio tra l'Italia e l'Abissinia e del carattere di tali preoccupazioni. Non ho mai pensato che queste fossero determinate esclusivamente dalla necessità di tutelare interessi britannici in Africa giacché ero, come sono, sicuro che il Governo britannico da parte sua non ha mai perduto di vista non soltanto l'amicizia che ha unito sin qui il popolo inglese a quello italiano, ma anche le necessità incoercibili del popolo italiano, riconosciute dallo stesso signor Hoare nel suo recente discorso (4), e così pure la solidarietà che si è sempre affermata tra interessi britannici e interessi italiani in Africa, solidarietà cementata più volte perfino sui campi di battaglia.

Le preoccupazioni del Governo britannico essendo così limitate alla situazione europea ed alla Società delle Nazioni, debbo anzitutto richiamarmi alla collaborazione che il Governo italiano ha sempre dato lealmente alla Inghilterra in tutti i problemi europed e per ultimo a Stresa.

Il Governo italiano ha la persuasione di aver fatto tutto quanto era possibile per sistemare i suoi rapporti con l'Etiopia, ma non può naturalmente essere chiamato responsabile della condotta del Governo abissino, il quale ha iniziato la sua grande politica di armamenti, precisamente dopo il 1928, al riparo del trattato di amicizia concluso con l'Italia.

Il Governo italiano non ha mai voluto, in tutto lo svolgimento del conflitto itala-abissino, fare cosa che potesse indebolire il prestigio della S.d.N. e quindi non vede come H Governo britannico possa dubitare delle sue intenzioni al riguardo.

Il Governo italiano è convinto anch'esso che un sistema di sicurezza collettivo può soltanto assicurare la pace in Europa e non è stato certo il Governo italiano a prendere iniziative e a concludere accordi che non fossero in armonia con le deliberazd.oni prese collettivamente. In quest'ordine di idee, e perseguendo questi scopi il Governo italiano ritiene anch'esso che sia necessario servirsi dell'opera della S.d.N. in quanto sia possibile e utile.

Fermo quindi restando che l'Italia non intende, a meno che non vi sia costretta (1), ritirare la sua collaborazione leale e completa alla S.d.N. debbo dichiarare con altrettanta lealtà che non ritengo che il prestigio e la forza della S.d.N. possano essere diminuiti se quest'ultima vorrà adottare nei riguardi dell'Abissinia quell'atteggiamento che soltanto si conviene alle condizioni di quello Stato; se, insomma, la S.d.N. sarà costretta a scegliere fra un conflitto (2) coloniale africano e l'apporto che può dare l'Italia alla tranquHlità europea.

Il Governo italiano non contesta che vi fossero delle buone intenzioni nella proposta del Governo inglese, consistente nella cessione all'Abissinia del porto di Zeila con un corridoio attraverso la Somalia britannica contro la concessione da parte dell'Abissinia all'Italia di territori nel paese dell'Ogaden come parte di una concessione generale comprendente anche concessioni nel campo economico.

Se tale proposta non è stata accettata dal Governo italiano, le ragioni furono esposte da me ampiamente al signor Eden e mi duole di non vedere nella nota di V. E. portati degli argomenti in contrario a queste chiare ragioni che qui ripeto: cioè che la offerta del porto di Zeila avrebbe avuto come conseguenza di far diventare l'Abissinia una Potenza marittima il che avrebbe implicato un aumento di possibilità per quello Stato di costituire una sempre maggiore minaccia alla sicurezza non soltanto delle Colonie italiane, ma anche di quelle francesi e britanniche.

Il Governo italiano non ha soltanto da oggi questo preciso pensiero, giacché nel 1931 l'Imperatore di Etiopia fece già offrire al Governo italiano la cessione del territorio dell'Ogaden pur di ottenere uno sbocco territoriale al mare

i.n un punto della Colonia eritrea vicino alla Somalia francese.

Il Governo italiano, che pure aveva dimostrato l'intenzione nel Trattato del 1928 di voler fare ogni, sforzo per perseguire una politica di collaborazione pacifica con l'Etiopia, non credette di poter prendere in considerazione tale offerta poiché fin d'allora si preoccupò delle enormi ripercussioni nel campo

politico ed economico che avrebbe potuto avere il concedere tale sbocco ad uno Stato trovantesi nelle condizioni dell'Abissinia. Eppure la proposta dell'Imperatore aveva allora per oggetto uno sbocco in territorio italiano che il R. Governo avrebbe potuto più facilmente controllare in caso di necessità. Come P?teva pensare il Governo inglese che il rimedio allo stato di cose attuale fosse proprio quello di rafforzare la situazione dell'Abissinia, facilitarle le importazioni di armi e sottrarre ogni controllo sulla sua attivUà marittima al Governo italiano trasferendo altrove lo sbocco marittimo etiopico'? Il Governo britannico non ha certo tenuto presente queste considerazioni poiché altrimenti avrebbe concluso che se le ragioni del conflitto itala-etiopico risiedono essenzialmente nella necessità per l'Italia di garantire la sicurezza delle proprie colonie, la soluzione di questo conflitto non può consistere nell'aumentare le ragioni di preoccupazione del Governo italiano piuttosto che diminuirle. Non si tratta quindi, come V. E. assume nella sua nota, del fatto che l'Italia non ha abbastam;a apprezzato il sacrificio territoriale che l'Inghilterra era disposta a fare senza nulla domandare in compenso. Si tratta invece di stabilire se questo sacrificio territoriale era utile ai fini de'Ila risoluzione della controversia ed ai fini della eliminazione delle profonde ragioni che determinano il conflitto esistente, cosa che il Governo italiano deve, come si è visto, risolutamente negare. E tutto ciò anche a prescindere dal danno economico che l'attuazione di una simile proposta avrebbe potuto rappresentare per le Colonie italiane giacché è evidente che la maggior parte del traffico abissino che ora si rivolge verso i porti delle colonie italiane ne sarebbe stata distratta per avviarsi verso lo sbocco marittimo concessso dalla Inghilterra.

Non mi sembra che occorra in tale stato di cose soffermarsi a discutere il valore politico ed economico che poteva avere per l'Italia la cessione del territorio dell'Ogaden, po-iché è noto a tutti il valore che tale territorio ha in sé stesso: valore minimo che diventa derisorio se si vuole fare di esso una contropartita dell'enorme vantaggio che sarebbe stato concesso all'Etiopia con uno sbocco marittimo.

V. E. mi fa rilevare come le dichiarazioni da me fatte circa le intenzioni del Governo italiano sul modo di risolvere la questione etiopica e la mia aperta affermazione di essere disposto ad imporre anche con le armi tale soluzione, abbiano profondamente turbato il Governo britannico.

Osservo anzitutto che essendo tanto gravi gli interessi italiani in giuoco, il Governo italiano non può escludere dalle sue intenzioni anche le più estreme misure. Se non avessi dichiarato ciò lealmente ad un Governo amico quale il Governo britannico, avrei potuto dare l'impressione di una reticenza che sarebbe poi stata smentita dai fatti.

II Governo britannico ben sa d'altra parte, attraverso la storia delle sue conquiste coloniali (1), che non è possibile nei problemi di questo genere adottare delle misure provvisorie o insufficienti, che incancreniscono i problemi invece di risolverli. Il Governo britannico si è trovato molte volte nel passato dinanzi al dilemma o di rinunziare alla sua opera oppure di perseguirla con tutti i mezzi e con tutti i sacrifici. Ammesso, come il Governo italiano fer

mamente ritiene, che lo Stato etiopico per tutte quelle diverse ragioni che sono ben note allo stesso Governo britannico, si trova in condizioni di inferiorità che costituiscono un pericolo comune per tutti ma più specialmente per l'Italia, diventa chiaro che il Governo italiano non può pensare a rimediare a tale situazione se non garantendosi un pieno ed assoluto controllo su quel Paese. Le >intenzioni italiane da me precisamente esposte al signor Eden tendono appunto a questo scopo. Se il Governo britannico ne è turbato o non crede di approvarle, ciò significa che la sua opinione circa le condizioni dell'Etiopia diverge nettamente da quella del Governo italiano (1). La divergenza quindi tra n Governo britannico e quello italiano consiste solo nell'apprezzamento del grado di pericolo che l'Etiopia, quale essa è oggi, può costituire. Ma è evidente che tale pericolo non è attenuato (2) dal fatto che l'Etiopia fa parte della

S.d.N. giacché sono ben note le ragioni che determinarono l'accoglimento di quello Stato in seno alla Lega e le riserve che furono fatte fino da quel momento, principalmente per l'atteggiamento contrario tenuto dal Governo britannico (3).

Se il Governo britannico, sorpassando tale fondamentale argomento, desidera richiamarsi soltanto ai Trattati esistenti per evitare che l'Italia imponga all'Abissinia, con tutti i mezzi che potranno apparire necessari, le condizioni indispensabili alla sicurezza delle proprie colonie, osserverò:

che al Trattato firmato a Parigi il 27 agosto 1928 l'Abissinia prese parte in realtà perché essa già si trovava, mediante la sua ammissione alla S.d.N., a partecipare ad un sistema di sicurezza collettiva di cui quel Trattato non era che un completamento. Ciò quindi non solo dipese sostanzialmente dall'errore compiuto da tutte le Potenze europee di aver ammesso l'Abissinia nella

S.d.N. ma se l'aver firmato quel Trattato dovesse costituire per l'Abissinia ragione di impunità per gli innumerevoli attentati da essa commessi contro le colonie confinanti, è evidente che il Governo italiano non potrebbe mai ammettere tale tesi.

Si agg-iunga che risulta in modo esplicito dalle note che furono scambiate prima della conclusione del Patto Kellogg, che nulla vi è in detto Patto che restringa o limiti il diritto di legittima difesa, e che ogni Stato ha qualità per decidere se le circostanze esigono H ricorso alla guerra di legittima difesa.

È pure da osservarsi che il Governo di S. M. Britannica ebbe a dare la sua adesione al Patto Kellogg, dichiarando in modo esplicito che non sarebbe stato tollerato da parte sua nessun intervento in alcune regioni del mondo di interesse speciale e vitale per la pace e la sicurezza britanniche e che la loro protezione contro ogni attacco costituiva per l'Impero britannico una misura di legittima difesa.

È in relazione a tali premesse che il Governo italiano si dichiarò a suo tempo disposto ad addivenire alla firma del Patto Kellagg. La situazione dell'Italia nei riguardi dell'Etiopia è oggi tale che il Governo italiano considera un'eventuale azione di forza nei riguardi dell'Etiopia come

avente pienamente carattere di legittima difesa, e per di più in una regione di interesse speciale e vitale per la pace e la sicurezza italiane.

Il Governo italiano crede inoltre opportuno di ricordare nella presente occasione le discussioni che ebbero luogo in seno alla Conferenza per la riduzione e la limitazione degli armamenti nei primi mesi del 1933 circa il progetto di dichiarazione di «non ricorso alla forza».

È noto come il 14 febbraio 1933 la Commissione politica della Conferenza del Disarmo ebbe ad abbordare la discussione delle proposte britanniche, il primo punto delle quali riguardava l'impegno da assumersi dagli Stati europei, « che in nessuna circostanza essi si sforzeranno di risolvere con un ricorso alla forza le divergenze tra di loro presenti e future ».

Nel corso della discussione fu anche presentata la proposta di dare a tale impegno una portata universale; ma tale proposta venne riservata, in quanto la Delegazione britannica, come altre Delegazioni, non ritennero opportuna l'estensione di tale impegno al di fuori di Europa.

È da osservare infine come anche nella Dichiarazione finale della Conferenza di Stresa le tre Potenze contraenti «la cui politica ha per oggetto il mantenimento collettivo della pace nel quadro della S.d.N. » hanno constatato «il loro completo accordo per opporsi con tutti i mezzi appropriati a ogni ripudlazione unilaterale di trattati, suscettibile di mettere in pericolo la pace della Europa».

Da quanto precede è chiaro che, nel considerare la vertenza italo-etiopica in relazione alle disposizioni generali di sicurezza collettiva stabilite dagli impegni vigenti, occorra tener conto non soltanto della particolare situazione dell'Etiopia ma anche del fatto che la vertenza costituisce un problema a carattere coloniale ed africano e deve essere sotto questo aspetto valutato.

Né d'altra parte l'impegno del mantenimento della integrità dell'Etiopia, di cui all'Accordo italo-franco-britannico firmato a Londra il 13 dicembre 1906, può essere opposto al Governo italiano quando l'Etiopia costituisce una continua minaccia alla sicurezza delle Colonie italiane dell'Africa Orientale e organizza premeditate aggressioni che l'Italia non è disposta a tollerare più oltre.

Da un punto di vista generale si può osservare anzitutto che il vero e proprio scopo dell'Accordo Tripartito, come a tutti è noto e come risulta dagli stessi articoli dell'Accordo, è sostanzialmente quello di coordinare gli interessi delle tre Potenze contraenti, quali sono indicati negli accordi citati all'art. l.

Occorre inoltre considerare il fatto che le condizioni dell'Abissinia, dal 1906 a oggi, sono notevolmente mutate, nei riguardi particolarmente del pericolo che essa costituisce per gli interessi delle colonie confinanti italiane, ed anche francesi ed inglesi. Sono mutate per la politica seguita dall'attuale Imperatore che ha da un lato fortemente minato la preesistente organizzazione interna, mediante la quale la decentralizzazione dei vari Governi permetteva un controllo relativamente maggiore da parte dei Capi delle regioni periferiche sui popoli ad essi soggetti; e dall'altro ha abbandonato, sotto l'impulso delle correnti nazionalistiche dei giovani etiopici, la politica di autonomia delle popolazioni non abissine instaurata da Menelik, dando alla presenza abissina nelle regioni abitate da dette popolazioni il carattere di netta sottomissione di un popolo di conquistati a un popolo di conquistatori, e provocando così uno stato di profondo disordine che ha avuto ripercussioni nelle regioni finitime alle colonte italiane.

D'altra parte vorrà il Governo britannico contestare che in questi ultimi trent'anni l'armamento della Abissinia è profondamente mutato, e che l'attrezzatura militare di quello Stato si è talmente rafforzata da costituire per noi un pericolo ben altrimenti maggiore di quello che essa rappresentava nel 1906?

Il R. Governo ritiene quindi che si sia verificato quel cambiamento di situazione in Etiopia di cui è cenno sia nel preambolo che nell'art. 4 dell'Accordo Tr.ipartito del 1906; e che quindi, come è stabilito dal detto Accordo, sia giunto il momento di « provvedere a ciò che, dall'azione dei tre Stati nel proteggere i loro interessi rispettivi, non risultino dei danni pregiudizievoli agli interessi di uno di essi~.

È perciò che il Governo italiano ha accettato di esaminare la proposta fatta da V. E. di iniziare delle conversazioni con il Governo britannico e col Governo francese sulla base dell'Accordo Tripartito.

A tali conversazioni il Governo italiano è sempre pronto, ritenendo che la proposta partita da V. E. sia appunto da considerarsi come ispirata alla considerazione delle mutate condizioni interne dell'Etiopia e al riconoscimento degli impegni italo-britannici contenuti nell'accordo Tripartito. Prova ne è che anche nel 1925 il Governo br.itannico e il Governo italiano hanno sentito il bisogno di esaminare lo stato dei loro interessi per riguardo ad alcuni punti dell'accordo stesso ed hanno facilmente raggiunto ·a tale proposito utili intese.

Da quanto precede risultano due punti essenziali:

l) che il Governo italiano non intende recare offesa alcuna al prestigio della S.d.N. né dimimuire la propria collaborazione al principio della sicurezza collettiva (1), poiché la sua azione è rivolta contro uno Stato la cui esistenza e attività non hanulla a che vedere col principio della sicurezza collettiva europea. Il non ammettere questa posizione del Governo italiano significherebbe di voler sacrificare deliberatamente gli interessi di uno Stato quale l'Italia all'applicazione di principii, che nel caso dell'Abissinia non possono essere applicati, e significherebbe pure dare a quest'ultima l'impunità per la sua azione presente e la possibilità di costituire un pericolo sempre maggiore per l'avvenire, soltanto per voler difendere dei principi di cui l'Abissinia profitta a suo esclusivo vantaggio, ma a cui essa non è in grado di dare alcun apporto fattivo e responsabile nella comunità delle Nazioni civili europee;

2) che le intenzioni dell'Italia non sono affatto di violare i Trattati esistenti da cui si sente profondamente legata nei riguardi sopratutto dell'Inghilterra e della Francia, ma che il fermo proponimento del Governo italiano è di non permettere che a questi Trattati venga data una interpretazione che nel momento presente gioverebbe soltanto a coprire la preparazione militare etiopica (2) e ad evitare che l'Italia possa raggiungere quei limiti di sicurezza ai

46 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. I

quali essa ha, al pari degli altri Stati diritto per poter portare alla sicurezza collettiva europea tutto il peso e la forza della propria collaborazione.

Come vede l'E. V. le considerazioni del Governo britannico che Ella mi in

vita ancora una volta a ponderare, erano state già da me ampiamente tenute

presenti fino dalla mia prima risposta al signor Eden.

V. E. non vorrà infatti supporre che, responsabile come sono della tutela degli interessi italiani e dell'azione internazionale dell'Italia io abbia potuto intraprendere senza la necessaria matura ponderazione l'azione a cui l'Italia si è venuta a trovare per l'aggressione di Ual-Ual che -una volta di più -avrebbe dovuto aprire a tutti chiaramente gli occhi sullo stato delle cose in Etiopia, ponendo un problema che l'Italia è decisa a risolvere una volta per tutte.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. Su un foglio con esso spillato Buti ha scritto, ancora in data 30 luglio: «S. E. il Sottosegretario. Senza sopravvalutare l'importamza del passo jugoslavo, mi pare vi si possa trovare una volta di più la conferma dell'utilità di un accordo tra Italia e Jugoslavia». (2) -Minuta dattiloscritta con correzioni autografe d! Mussollni. (3) -Vedi DD. 430, 431 e 433. (4) -Si riferisce al discorso pronunziato da Hoa.re aJla Camera dei Comuni" 1'11 luglio. (l) -Quest'inciso è stato aggiunto da Mussoldnl. (2) -Nella minuta era scritto «una vicenda ».

(l) Nella minuta questo inciso dicev.a: «per aver compiuto esso stesso in materia coloniale un'alta e storica opera di civiltà».

(l) -Dopo la virgola, la f~ase suonava cosi nella minuta: «ciò signdfica che nella sua opinione le condizioni dell'Etiopia non sono quali le considera 11 Governo italiano». (2) -Nella minuta si leggeva: «tale apprezzamento non può essere determinato». (3) -Qui Mussolini ha cancellato 1a seguente frase: «L'Italia pertanto discute la posizione dell'Etiopia nella S.d.N. ma non può ammettere che 11 solo fatto di appartenervi basti a sanare implicitamente tutte le enormi deficienze di quello Stato, la sua politica antitaliana e le preoccupazioni che ne derivano». (l) -Da questo punto la frase proseguiva così nella minuta: «ma che non può nemmeno ammettere che la sua azione sia considerata come passibile di avere questo risultato, quando essa è rivolta contro uno Stato che della S.d.N. non è degno di far parte e la cui funzione non ha nulla a che vedere col principio della sicurezza collettiva». (2) -Nella minuta si diceva: «le malefatte abissine».
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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4345/133 R. Ginevra, 1° agosto 1935, ore 0,10 (per. ore 2,20).

Lavai messomi corrente sforzi del Governo francese per indurre Governo inglese limitare discussione odierna episodio Ual-Ual. Resistenza inglese comprovata dal testo nota inglese diretta al Governo francese, che [trasmetto] con rapporto a parte (1).

Lavai postomi due questioni:

1o -· È Italia decisa alla guerra?

2° -Sarebbe disposta contentarsi della cessione territorio periferico e circa territorio centrale della istituzione di rapporti politici analoghi a quelli angloiracheni?

Lavai mi ha assicurato del suo appoggio ed ho l'impressione che sia deciso a tentare quanto è nelle sue possibilità.

Successivamente ho incontrato Eden che è sempre fermo nelle sue posizioni.

Egli pretende:

1° -nomina quinto arbitro anche per questione frontiera;

2° -rinvio al Consiglio esame generale questione italia-etiopica, eventualmente mediante delega alle tre Potenze firmatarie accordo triparti, nel qual caso però Inghilterra esigerebbe conclusione discussioni entro ristrettissimo limite tempo.

Ho riportata impressione sfiducia inglese raggiungimento risultato concreto, nonché decisione ottenere soddisfazione specialmente secondo punto.

(l) Aloisi spedi il testo della nota inglese (integralmente corrispondente a quello pubblicato in Documents diplomatiques jrançais, 1932-1939, 1'• série 1932-1935, vol. XI, Paris, Imprimerle Nationale, 1982, D. 380) con T.s. 8126/132 P.R. del 1° agosto 1935, ore 3,20, in partenza per filo da Domodossola. Prima della nota il telegramma spiegava: «Stamane Lavai, cui avevo confidenzialmente dato conoscenza della recente nota britannica e della nostra risposta [vedi DD. 605 e 639], mi ha a sua volta dato conoscenza, in via strettamente confidenziale e segreta, di una recente nota ricevuta dal Governo Inglese, aggiungendo che riteneva opportuno che il pensierodel Governo britannico apparisse in tutta la sua chiarezza all'E. V. Ha aggiunto che quanto era detto al paragrafo 20 della nota britannica lo aveva profondamente colpito».

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 1364/258 R. Roma, 1° agosto 1935, ore 1.

Telegramma di V. E. n. 528 (1).

Per ulteriori contatti con codesti ambienti governativi e parlamentari e nei colloqui che V. E. potrà avere con Foreign Office su questione armi, oltre agli argomenti già addotti da V. E., sembra convenga chiarire che:

0 ) Divieto esportazione armi è da considerarsi come misura conseguente ad atteggiamento neutralità. Argomentazione che tale divieto in pratica colpisce particolarmente in misura maggiore una delle parti in conflitto non appare sostenibile in quanto presupporrebbe una valutazione delle forze militari delle parti in contrasto e una preoccupazione di contribuire a rafforzare una di esse, ciò che è contrario ad atteggiamento di imparziale neutralità.

D'altra parte divieto di esportazione armi, da quanto ha comunicato codesto

R. Addetto Aeronautico sembrerebbe doversi ritenere già in atto nei nostri confronti.

2°) In relazione dichiarazioni Hoare (2) e Vansittart che codesto Governo nella questione del traffico delle armi intende regolarsi come Governo francese,

V:l. ricordato come questo ultimo abbia già decretato divieto concessione licenze esportazione dalla Francia per Abissinia di armi fabbricate sia in Francia che all'estero.

3°) Per quanto concerne transito armi attraverso Somalia francese Governo Parigi ha disposto perché autorità Gibuti esigano stretta osservanza disposizioni articolo 6 Trattato Parigi 1930 per importazione armi in Etiopia. A tale proposito mi riferisco a telespresso di questo R. Ministero n. 225694 in data 31 luglio (3).

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4344/134 R. Ginevra, 1° agosto 1935, ore 2,30 (per. ore 5,10).

Il Consiglio si è riunito nel pomeriggio in un'atmosfera di vivo interesse.

Appena aperta la seduta privata, [secondo] ordine del giorno, ho preso la parola per una breve dichiarazione nella quale mi sono richiamato al telegramma del R. Governo del 27 corr. al Segretario Generale della S.d.N. (4), insistendo sui limiti nei quali il Consiglio doveva contenere la sua competenza.

Ha risposto Jeze lamentandosi che la procedura arbitrale non aveva potuto avere neppure un inizio di attuazione attribuendone la responsabilità al Governo

italiano. Governo etiopico si era perciò rivolto all'interessamento del Consiglio per impedire il ricorso alla guerra. Ho controbattuto la dichiarazione di Jeze per respingere la sua insinuazione di fare ricadere sull'Italia responsabilità per l'interruzione dell'arbitrato.

È subito intervenuto Lavai per osservare che le due parti, pur attribuendosi reciprocamente la responsabilità della sospensione della procedura arbitrale, erano d'accordo nell'ammettere l'interessamento al Consiglio per superare la difficoltà contro la quale si era urtata la Commissione arbitrale. Ha perciò proposto di rinviare a domani la seduta pubblica per dare modo alle Potenze int~ressate, in particolare a quelle confinanti con l'Etiopia e coi possedimenti italiani in Africa, di trovare una formula che desse soddisfazione alla richiesta italiana di trovare i mezzi più adatti per rimettere in moto la procedura.

Il legato etiopico ha allora osservato che l'Etiopia insisteva sempre sulla domanda già precedentemente presentata di ottenere che il Consiglio non limitasse il suo interessamento alla procedura arbitrale ma Io estendesse alla situazione generale che diventava sempre più minacciosa.

Eden ha dichiarato che naturalmente la proposta di Lavai non poteva intendersi nel senso di limitare la libertà di discussione del' Consiglio.

Ho risposto a tale dichiarazione, dando la mia adesione alla proposta Lavai e sviluppando i motivi in fatto e in diritto che giustificano la limitazione della competenza del Consiglio. Ho messo sopratutto in rilievo che non si può passare all'esame della situazione generale se non è fatta piena luce sulle responsabilità per l'aggressione di Ual-Ual che ha dato origine alla presente situazione. Perciò la Delegazione italiana era nell'impossibilità di partecipare ·a un dibattito di portata più vasta.

Il Presidente Litvinov, riprendendo il suggerimento di Lavai, ha allora proposto di rinviare a [domani] la seduta, facendo eco alla dichiarazione di Eden, che il Consiglio restava libero di discutere ogni argomento che ritenesse opportuno.

Lavai ha ripreso allora la parola, spiegando che non era nella sua intenzione di limitare la libertà di discussione nel Consiglio.

Per mio conto ho accettato il rinvio della seduta pubblica, ma dichiarando formalmente che mantenevo immutate tutte le riserve precedentemente formulate sui limiti di competenza del Consiglio.

La seduta perciò ha lasciato ciascuno sulle posizioni iniziali, mettendo tuttavia in pieno rilievo tendenza del Consiglio a non limitare la sua competenza (1).

(l) -Vedi D. 628. (2) -Vedi D. 601. (3) -Non rinvenuto. (4) -Vedi D. 623
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IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4355/95 R. Bled, 1° agosto 1935, ore 11 (per. ore 13,40).

Questo Ministro aggiunto Affari Esteri ha tenuto informarmi che Delegato cecoslovacco a Ginevra, il quale rappresenta anche Jugoslavia attuale riunione del Consiglio S.d.N., ha ricevuto istruzioni mantenere atteggiamento amichevole verso Italia nel conflitto con Etiopia.

(l) Il presente documento rec,a il visto di Mussolini.

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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4369/350 R. Washington, 1° agosto 1935, ore 13 rper. ore 1,45 del 2).

Dichiarazione pubblica fatta stamane da Roosevelt e riferita in traduzione letterale col telegramma Stefani 576 (l) non è che una conferma della manifesta direttiva che questo Governo intende seguire di fronte al con!lltto itala-etiopico e che può essere espressa nella formula: «Neutralità assoluta dal punto di vista giuridico formale ma collaborazione morale per preservare oace ».

Come ho già segnalato tale attitudine risponde ancne ane correnti orevalenti nell'opinione pubblica e nella stampa. È mia impressione che dichiarazione odierna sla stata incoraggiata da Londra.

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IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4386-4390-4393/1669-1670-1671 R. Addis Abeba, 1° agosto 1935, ore 13 (per. ore 1Y,2U del ',d).

Mio telegramma n. 1092 [ -1093-1094] (2).

Mentre confermo completamente miei telegrammi precedenti circa atteggiamento inglese, dagli avvenimenti appare sempre più la risoluta opposizione anche materiale dell'Inghilterra ad una nostra azione.

È difficile vagliare esattezza segnalazio~i più disparate, ma anche se non si vuole dare fede alle voci che evidentemente etiopici hanno interesse accreditare e che tuttavia riferisco ad ogni buon fine all'E. V., esistono fatti indiscutibili sintomatici:

l) È sempre più ferma la fiducia nell'aiuto inglese, sia come intervento diplomatico sia come intervento diretto (per ora: fornitura armi, munizioni, prestiti). Etiopici sono convinti che Inghilterra si impegnerà a fondo per ostacolare ora, e impedire eventualmente una nostra azione e, se necessario ormai con mezzi estremi, l'occupazione da parte nostra di territori etiopici o almeno di parti vitali e importanti. È noto, per detto stesso di membri della Legazione di Inghilterra, che del Tigrai non si interessa. Finora è stato smentito (mio telegramma n. 1468) (3) progetto di invio di forze di polizia inglese a Addis Abeba: ma la voce continua troppo insistente perché non si debba dedurre. che effettivamente a ciò deve essersi comunque pensato, col pretesto di salvaguardare colonie britanniche, stranieri e magari Imperatore. Corre così anche voce che, in caso di ostilità, colonne inglesi, già predisposte, si dirigerebbero su Addis Abeba da quattro Iati 0093 e precedenti); certo i preparativi militari nel Sudan,

nel Kenya, nel Somaliland non possono essere giustificati solo dalla difesa delle colonie in caso di conflitto. Ciò avverrebbe naturalmente col consenso dell'Imperatore, mentre agenti britannici, già scaglionati nell'interno in vari punti più interessanti, innalzerebbero bandiera a protezione e indicazione di questo o quell'interesse inglese. Ho già segnalato presenza di tali agenti in quasi tutto il paese: Ovest, Gondarino, Ogaden, Sidamo, Kaffa, Gimma, Goggiam. Se queste sono le voci più esagerate ed estreme, da molti indizi dovrebbe però dedursi che, se non altro Inglesi si preparerebbero per occupare al momento opportuno i punti che maggiormente li interessano: quanto segnala da tempo il R. Console Harrar (da ultimo mio telegramma n. 1554) (l) fa presupporre che essi molto facilmente cercheranno profittare nell'Ogaden del concetto ben elastico dei « diritti di pascoli » per annettersi Ennia Golia e le regioni circonvicine come ho riferito con i miei telegrammi nn. 1364 e 1549 (2). È segnalata l'attività del Consiglio di Mega (telegramma di V. E. n. 555) (3). Vi sono voci di intesa col Ras Cassa (miei telegrammi nn. 1305 e 1543) (2): questi avrebbe direttamente telegrafato recentemente a importanti personaggi in Inghilterra.

2) Circa il mandato o protettorato (mio telegramma n. 1093), continua a correre voce che Imperatore sarebbe propenso anche ad accettare, come ultima mtio, il mandato di una Potenza che non sia l'Italia (mio promemoria del di~embre u.s.). Ras Mullughietà (mio telegramma n. 1562) {4) lo ha dichiarato al corrispondente del Matin: la Potenza non potrebbe essere che Inghilterra perché «Francia non è sicura»; in alcuni ambienti etiopici si è [precisato]: «il protettorato inglese non sarebbe una occupazione del nostro territorio. Noi morremo tutti piuttosto che permettere che l'Italia metta piede nel nostro Paese, ma, in caso di pericolo, saremo obbligati a proporre ad un'altra Potenza la protezione della nostra Patria. Ciò con certe garanzie: non si tocchi la proprietà privata e si conservi l'Imperatore e la sua dinastia ». È però indubbio anche che Imperatore trova forte resistenza nei Capi, di cui alcuni mormorano affermando che egli è venduto agli Inglesi. Vi sarebbero stati a tale proposito burrascosi consigli al Ghebi. Ed infine maggioranza della popolazione, specie quella lontana dalle frontiere, che è poco propensa alla guerra, comincia ad aprire gli occhi; e si incolpa l'Inghilterra di volere spingere al conflitto per profittare a suo vantaggio. Le popolazioni sono però troppo ignoranti ed i Capi troppo ammansiti perché il giuoco dell'Imperatore, abilmente aiutato da una intensa propaganda, possa essere scoperto. Alcuni già dicono che sarebbe stato meglio, ave possibile, avere aiuto negativo germanico [o di altri], neutrali (come qui chiamano le Potenze non confinanti).

3) In cambio degli appoggi, si parla di appetiti britannici superiori a quanto previsto dagli accordi del 1906: e si sparge voce che Gran Bretagna aspirerebbe ad avere in una forma più diretta tutta la regione ad occidente del Nilo Azzurro, quindi Goggiam e Lago Tana, una gran parte dell'Ovest etiopico, le regioni dei grandi laghi, maggior parte Ogaden. Circa gli interessi inglesi nel Wolloga e nel Gimma che non mancherebbero sfruttare, ho già più volte riferito.

'(2) Non pubblicati.

4) Intanto le dichiarazioni del dottor Martin al Daily Express confermano la missione speciale a lui affidata d'accordo con questo Ministro d'Inghilterra (mio telegramma n. 1552) (l) e nello stesso tempo la ricerca inglese di concessioni (mio telegramma n. 1519 bis) (1). Circa il prestito è indubbio che anche Colier ha avuto importanti incarichi di natura finanziaria e politica (miei telegrammi nn. 1333 e 1372 (2) e precedenti).

5) Si parla di importanti forniture di armi e munizioni. Largo invio di armi sarebbe fatto via Berbera, Kenya e Sudan. Ras Cassa dovrebbe essere largamente fornito direttamente da Gallabat.

6) Comunque, a parte le dicerie qui sopra riportate, Sir Sidney Barton ha lunghi colloqui con Imperatore quasi ogni giorno; alti funzionari etiopici sono continuamente alla Legazione di Inghilterra. Notizia assolutamente confidenziale: Sir Sidney Barton ha avuto recentemente un telegramma di vive felicitazioni dal suo Governo per la sua attività. La sua azione si esplica intanto presso gli etiopici cercando far sì che ogni incidente sia provocato da noi, e consigliando quindi loro la maggiore moderazione, ed anche la maggiore condiscendenza, attutendo quegli incidenti che non è possibile negare: così, nel caso del mio non intervento alla Corte. La violenza deve venire da noi. D'accordo con la Bank of Abyssinia e col Governo inglese nessuna occasione è perduta per attaccarci: cosi per il preteso ribasso della lira (mio telegramma n. 1608) (1). Qualunque sia il valore delle voci che ho ad ogni buon fine e con ogni riserva riferito, è certo però che inglesi sperano farsi pagare la loro azione in favore dell'Etiopia cercando evitare, come programma massimo il conflitto, per mezzo di irrisori compensi per noi -con una definitiva presa di possesso dell'Etiopia da parte loro, magari sotto la forma più larvata e indiretta. L'azione inglese è in ogni modo tanto più temibile in quanto non è il frutto di una decisione del momento; i fatti non. farebbero escludere anzi che si tratta di una azione preordinata da lungo tempo per eliminare l'Italia dalla politica etiopica: per questa azione, che ha avuto il suo sbocco premeditato assai probabilmente concordato nell'incidente di Ual-Ual, gli etiopici hanno contato sin da principio sull'appoggio britannico e sull'incerta situazione europea. Ciò non toglie che, continuando nella politica, sempre seguita da Menelick e da Tafari, di mettere cioè l'uno contro l'altro gli Stati confinanti per consolidarsi e durare, gli etiopici non pensino già (se sarà loro possibile) di rivoltarsi più tardi contro l'Inghilterra.

(l) -Non si pubbllca. (2) -Vedi D. 316. (3) -T. 7280/1468 R. del 13 lugllo 1935, ore 16, non pubbllcato. (l) -T. 4182/1554 bis R. del 23 luglio 1935, ore 18, non pubblicato. (3) -T.s. 1321/555 R. del 23 luglio 1935, ore· 24, non pubblicato. (4) -Con T. 7799/1562 P.R. del 23 luglio 1935, ore 18, Vinci informava che l'intervista rilasciata al Matin da Ras Mullughietà era stata riprodotta da un giornale locale.
646

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, A GINEVRA

ISTRUZIONI TELEFONICHE. Roma, 1° agosto 1935, ore 13,15.

V. E. può accettare la prima risoluzione relativa all'incidente di Ual-Ual purché sia omesso il comma b) della dichiarazione; non accetterà invece le altre due risoluzioni e se si insiste per discuterle o comunque entrare nella questione generale, V. E. si ritirerà e non parteciperà alla discussione dichiarando di non avere istruzioni al riguardo e rienterà a Roma (3).

(l) -Non pubblicato. (2) -Non pubblicati. (3) -Per il testo deHe risoluzioni cfr. Il conflitto italo-etiopico, Documenti, vol. I, cit., pp. 289-290.
647

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

T. 4357/136 R. Ginevra, 1° agosto 1935, ore 14 (per. ore 14,50).

Telegramma di V. E. n. 58 (l).

Effettivamente Turchia è rappresentata ora Ginevra dal suo Ministro a Berna. Ho viaggiato con lui da Milano. Egli mi ha informato che Ministro degli Affari Esteri non sarebbe venuto, dovendo accompagnare il Gazi in un suo viaggio nell'interno Turchia.

Ha tenuto a dirmi, per incarico di Aras, che Delegazione turca aveva ricevuto istruzioni di attenersi a linea di condotta franco-inglese, favorendo per quanto possibile Italia. Aggiunto che, qualora Consiglio decidesse in senso contrario Italia, aveva istruzioni di astenersi.

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IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8205/126 P.R. Bucarest, 1° agosto 1935, ore 19 (per. ore 20,45).

Telegramma di V. E. n. 90 (2).

Ho veduto oggi Presidente del Consiglio dei Ministri, signor Tatarescu, cui ho fatto presente, nella forma del caso, che eravamo informati di una iniziativa romena tendente indurre Albania entrare nel Patto Balcanico, e che questa iniziativa, partendo da un paese che non ha frontiere in comune con Albania, e quindi interessi seri da salvaguardare, [e che] doveva conoscere molto bene la posizione assunta dall'Italia nei confronti dell'Albania, non potrebbe essere da noi interpretata che come un gesto poco amichevole. La Romania in tutto quanto può toccare Italia, non deve farsi parte diligente per conto di terzi. Pregai il Presidente di portare a conoscenza del Re oggetto mio passo, (ho sua adesione) così da fare in modo che il Presidente ed il Re si sostenessero in una eventuale azione presso Titulescu che entrambi detestano.

Presidente mi ha risposto, come mi aspettavo e come è probabile, che egli è assolutamente all'oscuro di un progetto romeno nei confronti dell'Albania. Gli risultava soltanto che Albania aveva essa stessa fatto qualche osservazione al riguardo. Nelle due ultime riunioni dell'Intesa Balcanica erano state entrambe le volte verbalizzate identiche dichiarazioni che le quattro Potenze dell'Intesa Balcanica auspicavano che le due Potenze, ancora assenti dal sinedrio, venissero ad occupare posto che ad esse spetta. Ma questa era uria dichiarazione cui carattere generico, anzi accademico, non sfuggiva a nessuno. Nulla di più o nulla di meno a lui constava. Avrebbe tuttavia stasera stessa telegrafato a Titulescu a Ca p Martin. Si riservava farmi conoscere quanto Titulescu avrebbe risposto (3).

(l) -Non pubblicato. (2) -Vedi D. 608. (3) -Vedi D. 662.
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L'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, ANFUSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 4374/201 R. Atene, 1° agosto 1935, ore 21,15 (per. ore 1,45 del 2).

Deputato Mercuris, che, come è noto all'E. V., ha accompagnato generale Condylis durante la sua visita nel Regno, è venuto a vedermi per dirmi quanto segue:

«In seguito partenza Tsaldaris, generale Condylis terrà per qualche tempo Presidenza del Consiglio.

Egli desidererebbe durante questo periodo dimostrare positivamente suoi sinceri intendimenti amichevoli verso il nostro Paese, fortificati dai due colloqui che hanno avuto a Roma col Duce e che hanno lasciato profonda impressione nel suo spirito.

Per essere favorito nella sua opera e sopratutto per potere frenare questa opposizione che nella campagna irredentista dodecannesina trova migliore pretesto per attaccarlo, egli vorrebbe poter dimostrare che Duce è disposto manifestare sua benevolenza verso dodecannesini con un provvedimento o un gesto dal quale egli si riserverebbe di trarre il migliore partito per eliminare ogni motivo di screzio fra i due Paesi in vista di una collaborazione più assidua e efficace.

Generale Condylis si permette di ricordare che una assicurazione in questo senso gli è stata data a Roma dal Duce (1). Egli, come ha detto al Duce, torna a ripetere che Grecia ha definitivamente rinunziato al Dodecanneso e che gesto tolleranza da parte dell'Italia significherebbe soltanto una prova di amicizia verso la Grecia e niente altro.

Questa potrebbe essere secondo Condylis, amnistia calinioti condannati per recente agitazione religiosa. Della eventualità di tale provvedimento si ricorda di avere parlato al Duce.

Generale Condylis aggiunge che al suo ritorno in Grecia ha fatto, di sua iniziativa, le più vive pressioni sui dodecannesini di Atene invitandoli a desistere dalla loro inutile campagna contro l'Italia e rappresentando loro che qualche beneficio potevano aspettare dall'amicizia con l'Italia, grandi svantaggi persistendo nella loro campagna ostile. In questo senso egli si esprimerà presso i suoi colleghi Governo e presso l'opinione pubblica ellenica se R. Governo gliene offrirà occasione.

Una prova della sua devozione al Duce crede di averla offerta durante i suoi colloqui con il Principe Paolo di Jugoslavia e Presidente del Consiglio jugoslavo. Dice di avere trovata in Jugoslavia la massima comprensione e il più profondo convincimento che una amicizia itala-jugoslava, alla quale egli vedrebbe associata la Grecia, non può che sviluppare favorevolmente. Molti ufficiali serbi, che nutrono per lui profonda amicizia, si sono espressi ·in questo senso.

Altre assicurazioni mi faceva pervenire il generale Condylis nel senso che presso gli ambienti militari ellenici egli va svolgendo viva propaganda a favore dell'Italia, in base alle impressioni riportate con le sue visite romane. A riprova

delle sue assicurazioni egli teneva informarmi che in questi giorni altri ufficiali di cavalleria ellenici gli hanno domandato di interporre i suoi buoni uffici perché possano arruolarsi nelle R. truppe coloniali italiane.

La maggiore collaborazione egli inoltre prometteva per quanto si riferisce alle sue precise disposizioni di vietare esportazione di materiale di guerra in Abissina.

Una risposta del Duce gli consentirebbe quella maggiore libertà d'azione che gli è indispensabile per liberare opinione pubblica ellenica dal progressivo avvelenamento operato dalla campagna irredentista dodecannesina ».

Ho assicurato il deputato Mercuris, che è effettivamente il fedele interprete del pensiero del Generale e considerato il suo «alterego », che avrei trasmesso quanto egli mi comunicava a V. E., riservandomi di fargli avere una risposta.

Nel corso della conversazione non ho potuto naturalmente fare cenno del contenuto del telegramma di V. E. n. 121 del 26 luglio u.s. (l) che reca menzione di «segreto ».

Ho detto peraltro al Mercuris che avevo l'impressione che intendimenti generale Condylis sarebbero stati considerati con la massima simpatia da S. E. il Capo del Governo.

Circa attuale posizione Condylis nei confronti di questo Ministero Affari Esteri mi riferisco al mio rapporto n. 6692/1079 del 15 luglio u.s. e al mio telegramma per corriere n. 091 del 16 luglio scorso (2). Circa recente posizione politica mi riferisco ai miei telegrammi nn. 190 del 19 luglio, 191 del 20 luglio e 197 del 30 u.s. (3).

(l) Vedi D. 525.

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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 1° agosto 1935.

L'Ambasciatore di Germania mi comunica che il suo Governo ha avuto le quattro risposte: Italia, Francia, Gran Bretagna, e Belgio sulla questione relativa alla compatibilità di Locarno con il Patto franco-russo. Il Governo germanico ha appreso con soddisfazione:

l) che le quattro Potenze ritengono che Locarno non possa essere mutato unilateralmente; 2) che al Patto di Locarno si dà sempre molta importanza.

Il Governo germanico non ritiene però che le obbiezioni giuridiche da esso fatte siano state efficacemente controbattute. Ad ogni modo però il Governo tedesco non intende continuare la polemica e si riserva di far valere le proprie ragioni in tempo e luogo opportuno.

L'Ambasciatore mi chiede poi notizie del Patto Danubiano. Mi dice che è dispiacente che ormai tutti conoscano il progetto francese meno la Germania.

Gli rispondo che non è esatto perché agli altri Stati (meno all'Austria e all'Ungheria, per la ragione che con essi si era già fatto un accordo a Venezia) (l) si era fatta appena una comunicazione sommaria come alla Germania stessa (2).

L'Ambasciatore ammette l'esattezza di questa mia dichiarazione.

Ad ogni modo gli do lettura in via del tutto riservata del progetto, avvertendolo che esso non è ancora definitivo perché deve essere mutato il terzo alinea dell'articolo 3 per cui attendiamo una risposta da Parigi. Questo è il motivo, come gli ho già detto, perché la distribuzione del testo non è stata continuata.

(l) -Con tale telegramma Suvich aveva trasmesso ad Anfuso gli ultimi tre capoversi del D. 525. (2) -Vedi DD. 544 e 551. (3) -Non pubblicati: con essi Anfuso forniva notizie sulla situazione interna greca. Il presente documento reca il visto di Mussolini.
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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma, to agosto 1935.

Sir Eric Drummond mi intrattiene sui seguenti punti:

l) Memel: mi consegna l'allegata nota (3) sulla interpretazione da darsi al passo amichevole sul quale si sono accordate le tre Potenze. Data l'urgenza della cosa gli prometto una risposta per domani.

2) Patto Danubiano: il Governo inglese è interessato al Patto Danubiano. Ha sentito che il Governo italiano invece non lo considera più tanto importante. Gli rispondo che ciò non è esatto. Il Governo italiano è interessato oggi come prima al Patto Danubiano: le trattative avevano subito un rallentamento per le eccessive pretese da parte degli Stati della Piccola Intesa e della Intesa Balcanica. Ora però con il recente progetto francese -che non fa altro che ricalcare un recente progetto nostro -la questione è stata ripresa; ne sarà data al più presto comunicazione al Governo britannico.

3) Stampa: l'Ambasciatore mi chiede se Grandi ha riferito della sua conversazione con Vansittart del 26 luglio u.s. a proposito del contegno della stampa dei due Paesi. Gli rispondo di no. L'Ambasciatore mi dice che un rapporto dovrà pervenire certamente (4) perché il Signor Vansittart aveva pregato specialmente l'Ambasciatore Grandi di riferire a Roma; ad ogni modo egli mi rimette un breve appunto (5) sulla detta conversazione (6).

(l) -Vedi DD. 144, 145, 146, 150, 151 e 152. (2) -Vedi D. 603. (3) -Non rinvenuta. (4) -Vedi D. 628. (5) -L'appunto era il seguente: «I assume that Signor Grandi has reported fully the conversation with Sir R. Vansittart on July 26th, partlcularly since the latter espeeially asked him to do so. The abuse of Great Britain, which up to a day or so ago was so prominent a feature of the ItaMan press, has had a most unfotrtunate effect. Luckily so far the British presshas shown considerable restralnt, but anger has necessarily been growing throughout the country and in the House of Commons owlng to the attacks made on Great Br!tain. I wiìl not try to minimise the great importance whlch we attach to the Abyssinian question. particularlybecause of its effect on the League of Nations and on collective security; but, as Sir R. Vansittart pointed out to Signor Grandi, given the present di:vergence of view between the two countries, any far-sighted person would have done his utmost to attenuate this divergence and to prevent any violence of !anguage which might make it worse. Surely, therefore, restraint should be the order of the day, and not abuse ». (6) -Il presente documento reca LI visto di Mussolini.
652

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4373/137 R. Ginevra, 2 agosto 1935, ore 13,40 (per. ore 15,20).

Ministro di Stato austriaco Pflugl venuto informarmi che, in seguito notizia pervenuta Vienna secondo cui Governi Piccola Intesa farebbero prossimamente comunicazioni -contro eventuale ritorno Otto Asburgo in Austria anche a semplice titolo privato, suo Governo lo aveva inviato Ginevra espressamente per richiamare attenzione Lavai sulla gravità di una tale iniziativa, la quale obbligherebbe Governo austriaco a fare controdichiarazione affermante tale atto costituire illecita ingerenza affare interno austriaco.

Conseguentemente Governo austriaco rivolgersi Lavai pregandolo interporre sua autorità presso Governi Piccola Intesa per dissuaderli iniziativa in parola.

653

IL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4395/321 R. Alessandria, 2 agosto 1935, ore 14,45 (per. ore 16,20).

Mio telegramma n. 318 (1).

In ulteriore riunione Patriarcato copto è stato deciso invio telegramma Società delle Nazioni auspicante pace, invio appello pace Potenze, costituzione comitat0 missione soccorso sanitario Abissinia eventualità guerra.

Mi risulta da varie fonti attendibili atteggiamento personale Patriarca essere stato e [rimanere] favorevole neutralità completa. Solo alcuni elementi legati corte abissina hanno tentato forzarne mano provocando recenti riunioni che, nonostante siano state rappresentate corrispondenza egiziana Times e locale Egyptian Gazette come sintomo manifestazione sentimenti anti-italiani elemento copto egiziano, possono considerarsi almeno per ora importanza secondaria. Poiché Egyptian Gazette e Al Ahram avevano pubblicato che termine riunione certo numero persone aveva sollecitato intervenuti elevare grida incitanti boicottaggio contro l'Italia, sebbene risultasse trattarsi piccolo gruppo nessuna importanza prevalentemente giovinastri, ho ritenuto opportuno farne subito tenere parola questo Ministero degli Affari Esteri, dove sono state date immediatamente· assicurazioni che saranno prese le misure per evitare ripetersi incidenti analoghi.

(l) Con T. 4327/318 R. del 30 luglio 1935, ore 22,10, Gh!gi riferiva circa l'istituz.ione, in seno al Sacro Consiglio della Chiesa copta. di alcuni comitati pro Abissinia.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. S. PER CORRIERE 8283/S.N. P.R. Ginevra, 2 agosto 1935 (per. il 5).

Seguito mio telegramma n. 132 del 31 luglio u.s. (1).

La lettura della Nota britannica, rimessa al Quai d'Orsay il 30 luglio, mi ha suggerito le seguenti osservazioni, delle quali ho creduto opportuno di far partecipare, a titolo personale e confidenziale, il signor Laval, perché ne tenga conto nelle sue conversazioni col Governo inglese:

«Da tutto il complesso della nota britannica risulta evidente lo sforzo di accentuare esageratamente i pericoli, che deriverebbero nel campo europeo, particolarmente nell'applicazione del principio della sicurezza collettiva, da una azione di forza italiana in Etiopia.

La funzione politica dell'Etiopia non ha nulla a che vedere con il principio della sicurezza collettiva, né in genere con i problemi europei.

Il Governo italiano non intende diminuire la propria collaborazione al principio della sicurezza collettiva, e non ammette che la sua azione nei riguardi dell'Etiopia, azione di carattere strettamente coloniale ed africano, sia considerata come passibile, di per sé stessa, di avere un funesto risultato nei riguardi della situazione generale dell'Europa e della solidarietà europea.

Al contrario il raggiungimento della sicurezza nei riguardi delle colonie italiane dell'Africa Orientale renderà possibile all'Italia, non più costretta a distogliere le sue forze per la difesa delle sue colonie, una sua più efficace collaborazione nei problemi europei.

È assoluto convincimento del Governo italiano che il giorno in cui l'Italia si trovasse impegnata in Europa, sarebbe aggredita alle spalle dall'Etiopia.

Il Governo italiano è anch'esso convinto che un sistema di sicurezza col..: lettiva può soltanto assicurare la pace in Europa; e non è stato certo il Governo italiano a; prendere iniziative ed a concludere accordi che non fossero in armonia con le deliberazioni prese collettivamente a Stresa e a Ginevra.

Non è l'azione del Governo italiano nei riguardi dell'Etiopia che costituisce un pericolo per la solidarietà europea e per la situazione generale dell'Europa: questo pericolo si manifesta solo per l'atteggiamento assunto dal Governo britannico in relazione alle questioni itala-etiopiche, atteggiamento che, invece di limitare il conflitto al campo specifico coloniale ed africano, che è il suo vero, carattere, tende a portarlo su un campo più vasto, e a dargli la portata di una questione interessante in sommo grado la politica europea e anzi mondiale.

Il Governo britannico si preoccupa altresì de;>,li effetti che il conflitto potrebbe avere sullo spirito ed i principi ai quali si inspira il Patto della S.d.N., che, in un modo generale, continuano a dirigere la politica britannica.

L'Italia non intende affatto ritirare la sua collaborazione leale e completa alla S.d.N., e non ha mai voluto, in tutto lo svolgimento del conflitto italo

abissino, fare cosa che potesse indebolirne il prestigio. Essa ritiene che sia

necessario servirsi dell'opera della S.d.N., in quanto passibile ed utile.

L'Italia non ritiene che il prestigio e la forza della S.d.N. possano essere

diminuiti se quest'ultima vorrà adottare nei riguardi dell'Abissinia quell'atteg

giamento che soltanto si conviene alle condizioni speciali di quello Stato.

È la politica adottata in materia dal Governo britannico che va costringendo la S.d.N. a scegliere fra una vicenda coloniale africana e l'apporto che può dare l'Italia alla tranquillità europea e alla S.d.N.

D'altronde il Governo italiano non ritiene che si rechi offesa alcuna al

prestigio della S.d.N. quando la sua azione è rivolta contro uno Stato che della

S.d.N. non è degno di far parte. Il non ammettere questa posizione del Governo italiano significherebbe di volere sacrificare deliberatamente, perseguendo interessi particolari britannici, anche se non confessati, gli interessi di uno Stato quale l'Italia all'applicazione di principi, che nel caso dell'Abissinia non possono essere applicati. Significherebbe pure dare a quest'ultima l'impunità per la sua azione aggressiva presente e futura, e la possibilità a costituire un pericolo sempre maggiore per l'avvenire nei riguardi delle colonie confinanti. Significherebbe infine voler fare profittare l'Abissinia, a suo esclusivo vantaggio, di principi .:ui essa non è in grado di dare alcun apporto fattivo e responsabile nella comunità delle Nazioni civili europee. D'altronde l'affermazione britannica che una eventuale azione di forza in Etiopia violi i principi su cui è basata la S.d.N. non appare sostanzialmente esatta. Nell'ambito del Patto è ammesso, e vi sono applicazioni pratiche, che gli Stati civili aiutino Stati anche indipendenti, incapaci a reggerE~ da sé «nelle difficili condizioni del mondo moderno », per un loro più rapido sviluppo nella via del progresso. Si veda l'art. 22 del Patto che istituisce il sistema dei mandati. Tale articolo ha stabilito l'indipendenza della Palestina, della Transgiordania, della Siria, ecc. Non è stato trovato che sia contrario al Patto l'occupazione militare di detti Stati ed il controllo, talvolta anche severo e diretto, sul loro Governo e sulla loro amministrazione. Ne è stato trovato contrario allo spirito del Patto che il Mandato fosse imposto a tali popolazioni anche con la forza delle armi. E si osservi che si tratta di popolazioni di un livello ben superiore di civiltà delle popolazioni etiopiche. Né è stato trovato contrario dalla Gran Bretagna allo spirito del Patto lo svolgere azioni di forza (come nel 1924 in Egitto) contro Stati pur dichiarat: indipendenti e sovrani, e che, dato il loro livello, non si intende per quali motivi non debbano far parte della S.d.N.

In conclusione non è l'azione italiana verso l'Etiopia che indebolisce il prestigio della Lega, ma è piuttosto l'attitudine inglese che, con una interpretazione particolare, da applicarsi nella vertenza itala-etiopica, dei principi societari, tende a spingere fuori della S.d.N. l'Italia, non potendo questa adattarsi ad accettare, nel caso specifico, l'interpretazione britannica dei principi

del Patto, né sacrificare a tale interpretazione la necessità assoluta della sua sicurezza.

La Gran Bretagna ammette che in determinate circostanze il Patto della

S.d.N. legittima la guerra. ma soggiunge che questa resta sempre una violazione al Patto di Parigi.

Occorre al riguardo osservare che dalle Note che furono scambiate prima della conclusione del Patto Briand-Kellogg risulta in modo esplicito che nulla vi è in detto Patto che restringa o limiti il diritto di legittima difesa, e che ugni Stato ha qualità per decidere se le circostanze esigono il ricorso alla guerra di legittima difesa.

È altresì da osservarsi che il Governo di S. M. britannica ebbe a dare la sua adesione al Patto Briand-Kellogg, dichiarando in modo esplicito che non sarebbe stato tollerato da parte sua nessun intervento in alcune regioni del mondo di interesse speciale e vitale per la pace e la sicurezza britanniche, e che la loro protezione contro ogni attacco costituiva per l'Impero britannico una misura di legittima difesa.

È in relazione a tali premesse che il Governo italiano si dichiarò a suo tempo disposto ad addivenire alla firma del Patto Briand-Kellogg.

La situazione dell'Italia nei riguardi dell'Etiopia è oggi tale che il Governo italiano considera una propria eventuale azione di forza nei riguardi dell'Etiopia come avente pienamente carattere di legittima difesa, e per di più in una regione di interesse speciale e vitale per la pace e la sicurezza italiane.

Il Governo britannico, per bocca di Sir Samuel Hoare, ha ammesso i bisogni dell'espansione italiana. Nella Nota britannica si afferma tuttavia che, se tale bisogno di espansione coloniale sarà soddisfatto in Etiopia, la politica italiana sarebbe incoraggiata ad altre avventure e ad un ulteriore opportunismo.

Se si ammette il bisogno d'espansione italiana, non si vede oggi in quale altro campo, al di fuori dell'Etiopia, che non sia già infeudato o controllato da altri Stati, tale bisogno potrebbe trovare il suo soddisfacimento.

È d'altra parte arbitrario affermare che il soddisfacimento in Etiopia del bisogno italiano di espansione spingerebbe l'Italia ad ulteriori conquiste. Al contrario il dare al popolo italiano possibilità di mettere in valore la regione etiopica lo distoglierebbe certo per una lunga serie di anni dal ricercare altrove il soddisfacimento dei suoi bisogni di espansione; e contribuirebbe a fare entrare l'Italia nel campo di quegli Stati colonizzatori che, nella avvenuta soddisfazione dei loro bisogni, trovano il maggiore motivo per difendere l'equilibrio politico esistente.

Il Governo britannico appare preoccupato dalle conseguenze che una guerra di lunga durata in Africa avrebbe sulla forza militare dell'Italia in Europa, elemento che ritiene essenziale per tenere in scacco la pressione che la Germania esercita sull'Austria.

Tali preoccupazioni sono senza fondamento. L'Italia ha fatto e fa buona guardia al Brennero «ma non intende farsi colà pietrificare ». Il Capo del Governo italiano assicura che l'esercito metropolitano non sia in alcun modo indebolito dalla formazione del Corpo di spedizione per l'Africa Orientale.

D'altronde non è pòssibile chiedere all'Italia di usare della sua forza militare per un interesse che, oltre che italiano, è anche europeo; ma di non impiegarla per un altro interesse, che essa considera ugualmente vitale, quello

cioè di raggiungere definitivamente la sicurezza e la pace nell'Africa Orientale, ciò che ritornerà a vantaggio anche della Gran Bretagna e della Francia.

Se si va manifestando il pericolo che la Germania profitti delle circostanze per esercitare una maggior pressione sull'Austria, ciò è dovuto particolarmente al fatto degli incoraggiamenti dati dalla Gran Bretagna alla politica tedesca sia col concludere il noto accordo navale, sia col !asciarle intravedere la possibilità della conclusione di un analogo accordo separato aeronautico.

La nota britannica svolge infine delle considerazioni circa l'effetto che un'azione di forza dell'Italia in Abissinia produrrebbe sull'opinione degli indigeni delle colonie francesi e britanniche.

Tali preoccupazioni appaiono per lo meno esagerate. La Gran Bretagna stessa è costretta ad ammettere che non vi è attualmente nessun torbido nelle colonie britanniche e francesi. Può aggiungersi che mantenuto, come dovrebbe essere mantenuto, ad un conflitto italo-etiopico il carattere di una vertenza particolare fra l'Italia e l'Etiopia, Stato, si noti bene, la cui popolazione non ammette di essere considerata come appartenente alla razza nera, ma che anzi profondamente disprezza tale razza, i pericoli prospettati dalla Nota britannica perderebbero ogni loro valore.

In ogni caso, l'argomentazione britannica potrebbe essere capovolta per dimostrare, esistendo di già un conflitto potenziale fra l'Italia ed uno Stato africano, la assoluta necessità di imporre all'Etiopi~, eventualmente anche con la forza, il prestilj?:iO della razza bianca, onde evitare che un atteggiamento di debolezza verso l'esasperato nazionalismo etiopico possa avere funesti effetti sullo spirito delle altre razze di colore.

Un'ultima considerazione è da prospettarsi: l'Italia è ormai impegnata a fondo nei riguardi dell'Etiopia. È assolutamente inammissibile che venga fermata nel raggiungimento dei suoi scopi, che sono quelli di sicurezza e di espansione.

Il problema che, data tale situazione non modificabile, si presenta alla politica della Francia e della Gran Bretagna, è quello di fare in modo che dalla decisione italiana derivino i minori inconvenienti fra quelli che la Gran Bretagna ritiene ne conseguirebbero.

L'atteggiamento tenuto sinora dal Governo britannico ha avuto per effetto:

l) di rafforzare l'intransigenza etiopica, rendendo arduo il raggiungimentv di una soluzione del conflitto itala-etiopico per le vie pacifiche e quindi quasi inevitabile l'impiego della forza;

2) di indebolire il prestigio della S.d.N., sforzandosi di dimostrare che un'eventuale azione di forza dell'Italia in Etiopia sarebbe contraria allo spirito del Patto;

3) di estendere la portata del problema itala-etiopico, di per sé di carattere locale, in un campo più . generale europeo, cercando di fare risultare una inconciliabilità, per il Governo italiano inesistente, fra i principi di sicurezza collettiva. e un'eventuale azione di forza dell'Italia in Etiopia.

La responsabilità del Governo britannico per tale attitudine, che presenta serii pericoli per la pace generale, è ben grave di fronte a tutti gli Stati, particolarmente europei, e sarà giudicata dalla Storia.

L'incomprensione rivelata dalla Nota britannica lascia perplessi sulla pos

sibilità di una qualunque discussione.

Immobile da tredici anni, questa mentalità parla ancora di Mussolini, del

regime fascista e dell'Italia come di termini separabili di una delle· tante co

struzioni politiche, cieca dinanzi al fenomeno del reincarnarsi di questa stirpe

millenaria in una nuova civiltà per opera del Duce.

Il Presidente Lavai giudicherà per diretta e recente esperienza della mi

sura e dei pericoli di questa cecità».

(l) Vedi D. 640, nota l.

655

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, E ALL'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, ANFUSO

T. 1371/440 (Parigi) 88 (Tirana) 126 (Atene) R. Roma, 3 agosto 1935, ore 2.

(Per Parigi e Tirana) Ho telegrafato al R. Ministro ad Atene quanto segue:

(Per tutti) Risulta da fonte sicura che sono in corso maneggi fra alcuni Stati balcanici e l'Albania per fare entrare qu~st'ultima nell'Intesa Balcanica. Come codesta R. Legazione ha già avuto più volte occasione di riferire, i tentativi in tal senso non avrebbero finora avuto seguito per effetto dell'opposizione greca. Ora però viene segnalato che tale opposizione non sarebbe più così recisa come in passato e anzi tenderebbe a scomparire.

Prego V. S. di voler, con riferimento alle assicurazioni date in passato da codesto Governo e alle conversazioni avute a Roma col signor Condylis, attirare confidenzialmente e seriamente l'attenzione di codesto Governo sull'inopportunità dell'adesione dell'Albania all'Intesa Balcanica nell'interesse stesso della Grecia. Tale adesione tra l'altro non favorirebbe certo riavvicinamento italajugoslavo che sarebbe desiderato da codesto Governo almeno a quanto risulterebbe da interessamento dimostrato dal signor Condylis al riguardo (1).

(Solo per Atene) Parigi e Tirana informate.

656

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4400/138 R. Ginevra, 3 agosto 1935, ore 12,40 (per. ore 14,10).

Lavai, d'accordo con Presidente Litvinov, ha ritenuto opportuno, per riguardo membri del Consiglio, metterli al corrente delle trattative. Aveva pensato di riunirli a un thè privato presso di lui con esclusione parti interessate. Mi sono opposto a tale idea e allora è stato deciso di riunire in for

47 -Documenti diplomatici -Seria VIII -Vol. I

ma del tutto privata membri del Consiglio. Ottenuto ciò, ho preferito farmi rappresentare dal Ministro Rocco.

Lavai ha esposto con piena obbiettività le proposte che ci sono state presentate mettendo in rilievo che egli ed Eden hanno agito nel più stretto accordo. Ha dichiarato che per ora trattative pendono con solo Governo italiano; dopo che si sia ottenuta sua adesione, proposta verrà portata a conoscenza Delegato etiopico.

Il progetto di una prima risoluzione formulato da Eden e Lavai si riferisce alla ripresa della procedura arbitrale precisando che Commissione dovrà escludere ogni dibattito sulla questione frontiere pur potendo prendere in considerazione convincimento delle Parti quanto alla situazione delle frontiere stesse.

Laval ha dichiarato che in una seconda risoluzione si prevede che Con· siglio possa procedere il 4 settembre a un esame della questione su tutti i suoi aspetti ma ha aggiunto che Delegato italiano si asterrà dal votarla. Infine ha accennato all'iniziativa delle tre Potenze firmatarie del Tripartito di esaminare la situazione fra loro mettendo in preciso rilievo che tale iniziativa si svolgerebbe all'infuori del Consiglio perché tale è il desiderio del Governo italiano. È l'unico filo che ci resta per evitare il precipitare della situazione, ha detto Laval. Egli ed Eden si riservano successivamente di riferirne al Consiglio S. N.

Lavai ha fatto un cenno cortese all'opera della Delegazione italiana.

Dato carattere privato riunione non è stato tenuto processo verbale.

(l) Per la risposta di Anfuso vedi D. 682.

657

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 1381/261 R. Roma, 3 agosto 1935, ore 24.

Con riferimento alla risposta da me data alla· Nota di questo Ambasciatore d'Inghilterra (1), credo opportuno che V. E. trovi al più presto modo e occasione di far presente costì quanto segue.

La linea di condotta che ha scelto e sta seguendo il Governo britannico per raggiungere lo scopo prefissosi di salvare il prestigio della S.d.N. ed assicurare la collaborazione europea, non sembra la più adatta a conseguire tale intento. È una grave illusione politica oltre che una mancanza assoluta di comprensione della psicologia dell'Italia fascista, il pensare che un'attività apertatamente ostile, come quella che Londra sta svolgendo contro di noi nella questione abissina, possa essere completamente separata e distinta dalla normale trattazione delle questioni europee: di guisa che l'Inghilterra possa con una mano tentare di colpirci duramente in Africa e nello stesso tempo continuare a tenderei l'altra per procedere insieme in Europa.

La mentalità anglo-sassone ha forse la possibilità di fare una cosi netta distinzione. La mentalità fascista no.

Fin da questo momento io desidero sia ben chiaro che l'Inghilterra si sta assumendo tutta la responsabilità di quanto potrebbe verificarsi nella situazione internazionale a causa del contegno britannico.

L'atteggiamento inglese è già praticamente diretto a sminuire l'efficienza del fattore italiano come elemento di collaborazione europea, giacché il solo fatto che tra l'Italia e l'Inghilterra si va manifestando apertamente innanzi agli occhi di tutto il mondo un così aspro ed aperto contrasto sulla questione abissina, incoraggia le velleità di tutti gli elementi interessati ad approfittare della scissione manifestatasi fra le due Grandi Potenze garanti di Locarno.

L'azione britannica potrà poi registrare il proprio fallimento completo se si spingerà fino a rendere insostenibile la posizione dell'Italia nella S.d.N.

Sono state anche deprecate le fatali conseguenze che l'azione italiana in Abissinia potrebbe determinare nei riguardi delle razze di colore. Respingo assolutamente l'affermazione che possa attribuirsi all'Italia l'eventuale risveglio di pericolosi movimenti di tal genere. Anzitutto l'Italia nella questione abissina non ha fatto né farà mai una questione di razza ma soltanto si sicurezza e di espansione. È invece proprio l'Inghilterra che col suo attuale atteggiamento e cogli aperti incoraggiamenti che nelle forme più varie sta dando all'Etiopia determina una frattura pericolosissima nella solidarietà europea e della razza bianca, frattura di cui porterà un giorno essa per prima le conseguenze.

Oggi il più grande pericolo per tutte le Potenze occidentali coloniali sarebbe invece proprio costituito dalla impunità che si garantirebbe all'Etiopia se si volesse arrestare l'azione italiana (l).

(l) Vedi D. 639.

658

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4423/S.N. R. Ginevra, 3 agosto 1935 (per. tl 4).

Sedu~a pubblica Consiglio si è tenuta questa sera.

Presidente Litvinov ha letto testo delle due risoluzioni (2}.

Jèze ha dichiarato che per ragioni di opportunità politica Governo etiopico era chiamato fare un sacrificio alla causa della pace. Testo della prima risoluzione era oscuro; esso indeboliva notevolmente argomentazione etiopica. Comunque era sicuro che arbitri, con intervento di un quinto di autorità mondiale, avrebbero riconosciuto fondatezza ragioni Etiopia. Teneva a dichiarare solennemente che Governo etiopico si sarebbe inchinato sensa riserve risultati arbitrato. Accettava con piacere risoluzione Consiglio riunirsi 4 settembre per esame questione generale ed esprimeva fiducia che opera conciliativa intrapresa avrebbe ristabilito tra le parti rapporti di amicizia e fiducia. Ha infine ringraziato Eden e Lavai.

Per parte mia mi sono limitato aderire alla prima risoluzione dichiarando astenermi dal votare la seconda pei motivi da me esposti nella prima seduta del Consiglio.

Lavai ha fatto breve dichiarazione sui risultati raggiunti aggiungendo in termini generici che continuerà adoperarsi per ricercare possibilità conciliazione. (Ha letto dichiarazione già concordata).

Eden ha accennato alle prossime trattative a tre sulle quali si è riservato riferire alla prossima sessione del Consiglio con la speranza che per allora difficoltà saranno appianate. In ogni caso Consiglio avrà dovere esaminare situazione 4 settembre. Ha assicurato che suo Governo farà ogni sforzo per giungere a un regolamento pacifico; esso non si dissimula gravità del conflitto e ha piena coscienza degli obblighi che gli derivano dal Patto.

Delegato danese ha dato sua adesione alle dichiarazioni di Eden sul diritto del Consiglio di esaminare questione. Ha ringraziato Eden e Lavai per opera mediatrice, ma specialmente Delegato britannico per sua promessa di informare Consiglio dell'esito delle trattative a tre.

Ha infine parlato Delegato argentino per ricordare opera suo Governo nella conciliazione fra Paraguay e Bolivia nonché iniziativa Argentina per patto americano contro la guerra. Ha ricordato dichiarazione americana di non riconoscere acquisti territoriali non ottenuti con mezzi pacifici.

Nessun altro membro Consiglio ha preso parola. Presidente Litvinov ha chiuso seduta ringraziando a nome Consiglio Eden e Lavai.

(l) -Il presente telegnmma fu ritrasmesso a Pignatti con T. 1401/450 R. del 7 agosto 1935,. ore 2, perché ne desse conoscenza a Lava!, cosa che Pignatti comunicò di aver fatto con T. per corriere 4537/095 R. in pari data. (2) -Vedi D. 646.
659

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 8295/044 P.R. Bled, 3 agosto 1935 (per. il 5).

Telegramma di V. E. n. 83 del 26 luglio u.s. (l).

La comunicazione di V. E. in risposta alle dichiarazioni jugoslave del 17 luglio è stata accolta con viva soddisfazione dal Capo di questo Governo che mi prega far pervenire all'E. V. i suoi ringraziamenti.

Stojadinovic, che trovasi a Bled per breve periodo vacanze, mi ha informato suo proposito conferire meco con maggiore agio onde stabilire modus procedendi per la graduale risoluzione delle varie questioni interessanti i rapporti fra i due Paesi.

Per conversazioni le quali -in quanto vertono su questioni maggiori e prettamente politiche -non potranno che avere carattere di generico scambio di idee, mi atterrò alle direttive fondamentali impartitemi da V. E.

Per questioni di minore e di più immediata risoluzione mi varrò degli elementi in 'possesso di questa R. Legazione che ritengo aggiornati. Prego tuttavia l'E. V. di favorirmi ogni altra Sua istruzione sia di massima sia relativa a singole questioni (2).

(l) -Vedi D. 609. (2) -Con T. 8239/87 P.R. del 7 agosto 1935. ore 24, Suvich approvava la linea di condotta tenuta da Viola nelle conversazioni politiche e nei riguardi della stampa jugoslava.
660

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI JUGOSLAVIA A ROMA, DUCIC

APPUNTO. Roma, 3 agosto 1935.

Il Ministro Ducic si preoccupa molto della questione absburgica.

Gli ripeto come gli è stato detto antecedentemente che, per quanto ci consta, per il momento non c'è nessuna ragione di credere che il problema possa fare degli altri passi avanti.

Il Ministro per incarico del signor Stojadinovic mi chiede in modo preciso se noi consideriamo ancora in vigore il trattato del 12 novembre 1920 (antiabsburgico).

Mi riservo di rispondergli (l).

661

IL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4424/324 R. Alessandria, 4 agosto 1935, ore 15,20 (per. ore 19,40).

Abdul Amid Said, oggetto dei telegrammi di questa Legazione n. 155, 156 et 157 in data 25 aprile (2) ha indetta riunione nel suo domicilio per esaminare misure da prendere scopo testimoniare simpatie ad Abissinia nell'attuale conflitto con l'Italia.

Secondo notizia riportata solo da una parte di questa stampa farebbe parte comitato Salib Sami bey, copto, già ministro degli Affari Esteri e già ministro della Guerra ed il Nabil Ismail Daud, che sarebbe stato nominato Presidente del comitato stesso il quale prende nome di «Comitato di difesa della causa Abissinia» in una riunione avrebbe deciso di offrire al principe Ornar Tussun, secondo cugino del Re ben noto per i suoi atteggiamenti nazionalisti, il patronato del comitato medesimo ed avrebbe preso secondo i giornali seguenti risoluzioni:

l) Seguire avvenimenti e fare propaganda favore Abissinia nonché tenersi contatto con istituzioni etiopiche, arabiche ed islamiche; 2) redigere protesta da inviare Società delle Nazioni contro mire colonizzazione Italia ai danni Abissinia.

Nabil Ismail Daud conosciuto per essere di moralità molto dubbia ed oberato di debiti avrebbe, secondo organo britannico Egyptian Gazette, fatto allocuzione dichiarando essere pronto arruolarsi esercito dell'Abissinia. Tanto predetto Nabil quanto Abdul Amid Said, che è inviso al partito wafdista, non conferiscono autorità né serietà movimento, di dubbie origini.

Tutto ciò ha in realtà finora, sia per esponenti del movimento sia per la sua portata, importanza affatto secondaria. Nondimeno notizie sopra riportate,

unitamente a quelle relative riunione indetta da Patriarca copto (mio telegramma

n. 321 (l) e telespresso n. 673 in data 3 corr.) (2) danno occasione Egyptian Gazette affermare suo numero odierno aumento progressivo movimento filoetiopico Egitto. Ho pertanto ritenuto opportuno, in amichevole conversazione con Presidente del Consiglio dei Ministri, attirando tutta sua attezione su opportunità evitare che manifestazioni sia pure in sé finora trascurabili possano venire sfruttate da stampa locale ed estera dando impressione che Egitto voglia dipartirsi da linea di condotta amichevole simpatia verso Italia, ciò che in ultima analisi sarebbe pregiudizievole per interessi stessi Egitto.

Nassim Pascià, dopo avermi assicurato che nostro Paese gode viva e sincera simpatia popolo egiziano, ha aggiunto che condivide pienamente punto di vista da me espresso e che per parte sua si adopererà in tal senso ambito sue possibilità.

662.

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8269/127 P. R. Bucarest, 4 agosto 1935 (per. stesso giorno) (3).

Mio telegramma n. 126 (4).

Presidente del Consiglio signor Tatarescu mi ha oggi ricevuto e mi ha letto testo di un telegramma ricevuto dal signor Titulescu da Capo Martin, nel quale egli [afferma] che la notizia giunta a S. E. il Capo del Governo di sollecitazione «diretta o indiretta» della Romania all'Albania perché entri a far parte dell'Intesa Balcanica è « assolutamente falsa ». Titulescu esprimè suo dolore perché Governo di Roma abbia potuto prestar fede ad una simile informazione. Aggiungo che Albania fin dalla riunione dell'Intesa Balcanica ad Angora fece sondare il terreno per tramite della Jugoslavia per una eventuale accessione. Sondaggi nello stesso senso vi sono stati anche in altra occasione, e finalmente sono stati ripetuti, ma questa volta in modo più preciso, nei confronti [di tutti] e quattro i membri, dopo recente riunione di Bucarest. Titulescu termina informando che la « domanda » albanese è presentemente « sospesa ».

Presidente Tatarescu mi ha aggiunto sua volta che dopo mio passo ha voluto consultare intero dossier Albania e ha potuto accertare che effettivamente Albania ha fatto sondaggi in varie circostanze e presso tutti i membri del gruppo (più deboli però verso Grecia). Nella riunione di Angora Albania avrebbe agito specialmente per il tramite della Turchia (Titulescu invece nel suo telegramma parla di Jugoslavia). L'iniziativa albanese pur non avendo nessun carattere reciso è tuttavia più precisa. Presidente mi ha dichiarato enfaticamente (come è suo costume), che in nessun caso Romania avrebbe preso iniziativa del genere, perché è d'altra parte pacifico che questione albanese non la riguarda. Romania non potrebbe però rispondere con un « fin de non reçevoir » a una richiesta ufficiale,

il giorno in cui fosse presentata. Mi ha detto che questione formerà sicuramente oggetto di un esame in seno Intesa Balcanica alla riunione prossima.

Ho risposto a Presidente che non essendomi ancora giunti risultati più precisi nostre informazioni, da V. E. preannunziatimi {1), non potevo io opporre per ora una smentita alle affermazioni del signor Titulescu. Tenevo tuttavia a dichiarare che un eventuale accoglimento Albania nell'Intesa Balcanica (anche se avvenisse un giorno a domanda spontanea dell'Albania) sarebbe cosa assolutamente e fortemente sgradita all'Italia. Era nota nostra particolare ·posizione di prestigio in Albania, sia per gli accordi esistenti fra noi e quel Paese, sia per protocollo di Parigi. Comunque che la Romania tenesse presente che qualunque suo gesto od atto, che facilitasse comunque tale accessione, avrebbe una ripercussione molto sensibile nelle r.elazioni itala-romene.

Presidente mi ha detto se ne rendeva conto e mi ha ripetuto dichiarazione che è interesse della Romania mantenere e sviluppare con noi rapporti di amicizia e cordialità.

Ho finalmente soggiunto che partendo domani per conferire, non mi sarei recato di nuovo da lui a contestargli le affermazioni fattemi, ma che mi riservavo, se mai, rivederlo appena fossi tornato qui.

(l) -Vedl D. 685, nota l p. 704. (2) -Vedi D. 75. (l) -Vedi D. 653. (2) -Non pubb!Lcato. (3) -Manca l'indicazione dell'ora di partenza e di quella di arrivo. (4) -Vedi D. 648.
663

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, [4 agosto 1935] (2).

L'Ambasciatore Chambrun chiede se sia possibile dargli una risposta precisa sul seguente punto: fino a quale punto l'Italia è disposta ad accettare il principio della mutua assistenza.

• i .

Le premesse sono le seguenti: nel :processo verbale del sette genna o s1 sono fissate le linee di un Patto generale e si è prevista la conclusione di accordi particolari. Non è stato stabilito quale dovesse essere il contenuto di tale accordo.

L'interpretazione data generalmente però è stata quella che oggetto per gli accordi tra i due Governi fosse la mutua assistenza. Questo era desiderato dall'Austria e questo era reclamato in modo preciso dalla Piccola Intesa come contro partita di sicurezza per la concessione del riarmo dell'Austria e dell'Ungheria. Ricordo anche che a Venezia si era prevista la possibilità che oggetto dei patti di mutua assistenza fosse il principio della « consultation en vue des mesures à prendre ».

L'Ungheria e la Polonia non si sono opposte in principio ma hanno dichiarato che non avrebbero partecipato ai patti di mutua assistenza. Noi non abbiamo fatto opposizione di principio dichiarando però che non avremmo potuto fare dei patti di mutua assistenza con tutti i partecipanti al Patto Danubiano; anzi

si è precisato che avremmo potuto fare dei patti di mutua assistenza con la Jugoslavia e con qualche altro Paese. In complesso però la nostra tendenza è quella per lo meno di rinviare la questione dei patti particolari.

La Germania, tempo fa, aveva fatto conoscere che essa non avrebbe partecipato al patto generale se si fossero conclusi degli accordi particolari di mutua assistenza fra altri Paesi sottoscrittori del patto stesso.

Come è noto, l'ultimo progetto francese si limitava ad un patto generale lasciando da parte la questione dei patti particolari, che sarebbe stata discussa in un secondo tempo.

L'Ambasciatore Chambrun però ha· fatto sapere in questi giorni che la Piccola Intesa o alcuni dei Paesi della Piccola Intesa non potrebbero aderire al patto generale e ad un principio dell'applicazione della « Gleichberechtlgung, in fatto di riarmo per l'Austria e l'Ungheria se non c'è almeno l'affermazione del principio della ammissibilità dei patti di mutua assistenza.

Si chiederebbe in altre parole che noi dichiarassimo di accettare il principio dei patti di mutua assistenza. Per far marciare la questione danubiana bisognerebbe risolvere questi punti.

Ora c'è il fatto che noi non abbiamo mai respinto in via di principio l'idea della mutua assistenza, anzi -come è detto sopra -abbiamo ammesso la possibilità di concludere con qualcuno dei partecipanti al patto generale, un patto di mutua assistenza.

D'altra parte bisogna tener conto anche della osservazione tedesca per quanto la stessa possa parere dettata sopratutto dall'interesse ad impedire la conclusione del Patto Danubiano.

Se V. E. consente, si potrebbe rispondere alla Francia che noi accettiamo il principio della mutua assistenza, che ci riserviamo però all'atto pratico di esaminare in quanto lo stesso sia applicabile nel caso del Patto Danubiano, inteso che per ora di tale mutua assistenza non se ne fa nulla.

Alla Germania si potrà dire che il riconoscimento di principio della mutua assistenza, mentre per ora tale principio non viene applicato, non le deve i-mpedire di aderire al patto generale. Se domani tale principio dovesse reali'zzarsi la Germania sarà sempre in grado di riesaminare la situazione.

(l) -Vedi D. 626; nota 4 p. 640. (2) -La data è stata desunta dal posto che questo documento occupa nella successione degli appunti di suvich (in Gab. 249) con il riscontro di quanto risulta da Documents dtplomatiques jrançais, 1932-1939, vol. XI, cit., D. 406.
664

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. [ln treno, 4 agosto 1935].

CONSIGLIO STRAORDINARIO DELLA S.D.N. PER CONFLITTO ITALO-ETIOPICO

(GINEVRA 31 LUGLIO -3 AGOSTO 1935)

Atmosfera di apprensione dentro e fuori della Lega. Per la prima volta mancavano al Consiglio le figure più caratteristiche che finora erano state sempre le prime a profittare di ogni riunione per mettersi in mostra ed intrigare. Benes, Beck, Titulescu, Tewfik, Politis, Cantilo erano tutti latitanti sostituiti da sconosciuti.

Il cileno è venuto, ma mi ha consegnato un appunto nel quale dichiara di non poter fare a meno di seguire le decisioni che prenderanno Francia e Inghilterra.

Gli Stati scandinavi non avevano fatto mistero della loro decisione di schierarsi fra i difensori dei diritti dei piccoli popoli contro la sopraffazione dei grandi, e difatti il danese ha fatto dichiarazioni di voto a noi nettamente ostili. Non molto dissimili le dichiarazioni di voto argentine.

Litvinov presidente del Consiglio, come ho a suo tempo riferito a V. E., già prima della partenza mi aveva fatto. avvertire dall'ambasciatore sovietico a Roma che questa volta la sua posizione era specialmente delicata e che non pova fare a meno di lasciarsi guidare da considerazioni esclusivamente societarie. E a questa linea di condotta si è poi effettivamente attenuto.

Senza la Francia il nostro isolamento sarebbe stato completo. Lavai con ingegnosità e impegno ci ha indubbiamente molto aiutato a vincere le succes-. sive resistenze inglesi. Tuttavia alcune circostanze mi hanno suscitato una certa perplessità circa la validità e la durata dell'appoggio francese. Sono sintomi per ora appena percettibili, ma sento il dovere di farne cenno a V. E.

Così la nota inglese al Governo francese -datami in visione da Laval di cui ho trasmesso a V. E. per telegrafo il testo (l) e per corriere copia delle osservazioni sui vari punti di essa che ho scritto per Laval (2) allo scopo di confutare gli argomenti inglesi, lascia trapelare qui e là qualche slegatura che dà l'impressione che qualche cosa nel testo sia stato soppresso. Ad un certo punto, per esempio, fa un riferimento a una « action collective » di cui non si parla in alcun punto della nota consegnata a noi. Così pure la rapida efficacia delle molte pressioni di Lavai su Eden ha fatto sorgere il sospetto che un accordo preventivo esistesse fra i due. Accordo esclusivamente tattico per uso ginevrino o anche qualche impegno di maggior portata?

Ho approfittato di un momento di distensione per accennare scherzosamente a Lavai che noi consideriamo anche l'eventualità che la Francia, al momento in cui giungerà al bivio, ci molli. Alquanto interdetto, mi ha risposto che se noi ci ritirassimo, effettivamente la Francia potrebbe essere costretta a mollarci a Ginevra, ma non altrove.

Comunque, finora l'appoggio francese è stato pieno e costante.

Trattative. Eliminata la prima pretesa inglese di una dichiarazione di non ricorso alla forza, ho preso a base del mio atteggiamento il telegramma del 27 luglio (3) col quale V. E. limitava e condizionava i miei poteri a trattare. Ciò mi è servito per spingere al massimo l'intransigenza, trincerandomi dietro la mancanza di libertà di manovra.

E così successivamente si è potuto superare lo scoglio della pretesa inglese di ampliare la competenza arbitrale fino ad includervi la questione delle frontiere, e poi quello della pretesa di deferire al Consiglio la nomina del quinto arbitro e infine l'ultimo scoglio, più grosso, della pretesa di farci assumere l'impegno di sottoporre al prossimo Consiglio tutto il complesso della questione itala-abissina.

Non mi dilungo sui particolari, che ho quotidianamente telefonato a S. E. Suvich.

In sostanza l'epilogo è stato che la faccenda di Ual-Ual è riconfermata nei binari del maggio e riportata integralmente ai termini del compromesso arbitrale e la discussione del grosso della questione itala-etiopica è deviata dalla Lega verso conversazioni a tre che l'Italia, con la sua astensione dal voto, ha mt!sso in chiaro di considerare del tutto indipendenti da Ginevra.

Conclusione. La risoluzione è stata. un grosso schiaffo alla Società delle Nazioni, e tutta la stampa estera, in vario tono, lo riconosce.

Questo Consiglio si è riunito dopo che un membro della Lega ha chiestn ufficialmente la messa in moto dell'art. 15 contro l'Italia. Esso si è sciolto senza che di tale atto formale si sia nemmeno tenuta parola, avendo:

l) deferito la questione all'esame di tre grandi potenze, sottraendola alla sua propria competenza; 2) eliminato addiritttura l'appellante da ogni partecipazione alla discussione della questione su cui ha fatto appello.

Il fatto che non solo l'Etiopia ma lo stesso Consiglio siano mandati a spasso mi riconferma nell'opinione che ebbi l'onore di esprimere a V. E. nel gennaio, dopo il primo Consiglio sulla questione etiopica, che cioè: a) la questione non è italo-etiopica, ma itala-inglese, tanto che l'Etiopia si perde per strada; b) la Lega delle Nazioni non è che un paravento, dietro cui sta la sostanza della difesa imperiale britannica, il che l'Inghilterra questa volta ha mostrato con tanta chiarezza, bollando completamente col cinico· comunicato alla stampa la competenza del Consiglio -ossia la forma -pur di assicurarsi, fuori della Lega, la discussione a tre sul complesso della questione -ossia la sostanza.

Il prevalere delle nostre tesi in quest'ultimo Consiglio ha portato a un forte irrigidimento della situazione internazionale.

(l) -Vedi D. 640, nota l. (2) -Vedi D. 654. (3) -Vedi D. 623.
665

L'AMBASCIATORE ALDROVANDI AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. Ginevra, 4 agosto 1935.

Da Bologna ero partit~ nonostante un attacco reumatico che non è ancora finito ed anzi si è aggravato.

Perciò riparto per Bologna senza venire a Roma.

D'altronde non credo che la mia presenza sia richiesta a Roma. Se lo sarà, sono, come sempre, pronto a recarmivici anche se claudicante e dolorante. Basterà telefonarmi.

I lavori qui si sono conclusi felicemente, come si poteva. Un eminente giornalista neutro mi domandava stamane se dopo «questa calata di brache» l'Inghilterra rimane una grande Potenza.

Per quanto concerne me, cioè la Commissione, occorre considerare:

1°) Le Parti avverse si ripiegano, per attribuirsi ·un successo, sulla nomina del quinto arbitro, nomina già inesattamente ed al solito capziosamente annunciata da Jeze nel suo discorso al Consiglio. Aloisi mi ha detto che il R. Governo ha consentito alla nomina di Politis. Siamo proprio sicuri che egli sia persona da fidarsi e che non abbia prevenzioni contro di noi? Il fatto che in un primo tempo era stato assoldato dagli abissini in luogo di La Pradelle e che il R. Governo si oppose alla sua nomina, non influirà sul suo animo? D'altra parte ricòrdo che Sonnino dichiarò a Venizelos, mentre Politis era Ministro degli Esteri, che egli non voleva trattare con lui.

Il fatto stesso che egli era stato scelto in un primo tempo dagli abissini non è significativo contro di noi?

Non sarebbe stato meglio Max Huber?

Pitman Potter è venuto a vedermi quattro volte per procedere « tambour battant » alla nomina del quinto arbitro. L'ho calmato e gli ho fatto osservare che nella risoluzione del Consiglio, se si parla di una designazione «sans délai », ci si riferisce poi ad una nomina che «pourrait etre nécessaire ».

2") Non trattazione questione frontiere.

Certo l'eliminazione del comma secondo sarebbe stata migliore, ma anche così Jeze non potrà dibattere l'argomento delle frontiere. L'ha riconosciuto egli stesso nella sua dichiarazione nella seduta del Consiglio. Ad ogni modo potrebbe convenire limitarsi oralmente all'esame dei testimoni; il resto della trattazione potrebbe quanto più possibile essere svolto per iscritto, nel qual caso si potrà puramente e semplicemente restituire al Signor Jèze, senza acquisirla agli atti, una sua eventuale trattazione eterodossa.

Ciò non toglie che il soggetto frontiere non potrà essere del tutto eliminato, quando ad esempio si esaminerà la cronistoria dell'incidente di Ual-Ual, che si inizia con il conflitto tra il Capitano Cimmaruta ed il Colonnello Clifford, appunto sulla questione dell'appartenenza di quel territorio. Ma si provvederà ad ogni modo perché Jèze non cerchi profittare di questa circostanza per le sue manifestazioni.

Benché sia argomento che esuli dalla Commissione mi permetto aggiungere quanto segue. Molte persone non si rendono conto perché l'Italia si opponga preliminarmente con una « exasperating attitude », ed intenda opporsi più decisamente in seguito, ad una discussione di fondo sui rapporti itala-etiopici. Trovano che la eventuale uscita dell'Italia dalla Società delle Nazioni non potrebbe solidamente apparire giustificata da una pura negazione a priori all'infuori di qualsiasi discussione: invece la situazione potrebbe essere fortissima se la eventuale uscita fosse basata sovra una ragionata esposizione della indegnità dell'Etiopia di appartenere alla Lega ed al nostro legittimo conseguente atteggiamento.

Ma anche qui, come nell'ultima mia, potrebbe darsi che io porti «vasi a samo». E, d'altronde, molto dipenderà dall'esito dei colloqui a Tre sulla base dell'accordo del 1906.

666

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4474/085 R. Vienna, 5 agosto 1935 (per. il 7).

Mia comunicazione segretissima del 15 luglio, senza numero (1).

Con Berger, con cui ho passato due giorni in occasione delle cerimonie della Glocknerstrasse, ho portato la conversazione sulle note proposte scritte del von Papen, cercando d'indagare le sue attuali disposizioni al riguardo. Ho potuto dedurre:

l) che Berger è ancora propenso a temporeggiare quanto più gli sia possibile col von Papen, in guisa da riprendere le sue conversazioni solo quando le tre Grandi Potenze abbiano raggiunto un pieno accordo sull'esatta portata della Conferenza danubiana e sul testo degli accordi da raggiungersi, sì che il suo eventuale negoziato resti, per così dire, all'ombra stessa della conferenza internazionale;

2) che Berger ormai ritiene che la Conferenza danubiana sarà sicuramente riunita fra due o tre settimane. A confronto della sua impressione egli ha precisato di aver ricevuto particolari comunicazioni dal Vollgruber, e d'aver appreso dal mio collega d'Inghilterra che il Governo britannico sarebbe sul punto di presentare, per tutto l'insieme del negoziato danubiano, « proposte sue proprie, di ampia portata, e del tutto riguardose degli interessi austriaci ». Per quanto concerne il patto di non ingerenza, si penserebbe ad una formula già stata usata nel trattato anglo-sovietico del 1930;

3) che infine Berger, persuaso che Berlino sia più che mai deciso a continuare nella sua tattica dilatoria, onde sabotare la Conferenza di Roma, riterrebbe opportuno di non comunicare al Governo del Reich alcun testo od alcuna formula concreta, e ciò per togliergli ogni appiglio per nuove speciose richieste di chiarimenti o precisazioni.

Questa disposizione di Berger trova il suo motivo in alcune informazioni, che ho potuto raccogliere nel corso delle predette cerimonie.

Mi è difatti risultato che von Papen, durante un breve suo soggiorno nel Salisburghese, ha usato ogni mezzo per entrare nelle grazie di quel Capitano provinciale, signor Rehrl. Fra l'altro, il von Papen ha creduto intrattenerlo sulla proposte scritte da lui presentate tre settimane fa a Berger, svolgendo la tesi che una diretta intesa austro-tedesca, «unico e naturale mezzo per salvaguardare adeguatamente i reali interessi austriaci», sarebbe ostacolata e sabotata da Bergèr, solamente desideroso di dare alla questione danubiana una sistemazione di piena soddisfazione per l'Italia e la Francia. Il Rehrl avrebbe risposto che il suo ufficio non gli consente alcuna ingerenza negli affari di politica estera.

Ad ogni modo questo nuovo intrigo del von Papen è valso a decidere Starhemberg e lo stesso Presidente della Repubblica a cogliere l'occasione dell'inaugurazione della Glocknerstrasse per affermare nuovamente, alla stessa presenza del von Papen, del Rehrl, e della popolazione salisburghese, i fermi propositi

della nuova Austria. Il primo ha difatti dichiarato con enfasi che l'Austria ha il dovere di mantenere la sua individualità e di esigere che il suo compito storico venga unicamente espletato. da austriaci, in una Austria libera e indipendente; mentre il secondo ha affermato con grande vivacità che lo sforzo compiuto dagli austriaci nella costruzione della nuova strada prova sovratutto la ferma volontà della Nazione a salvaguardare la libertà e l'indipendenza del Paese, anche in una Europa non tranquilla, e sia pure con i mezzi più estremi.

Intanto, l'attività e le dichiarazioni del von Papen, nel confermare che il motivo essenziale delle sue proposte scritte è unicamente quello di pervenire con Vienna, prima della Conferenza danubiana, ad un completo e diretto accordo, non possono che raccomandare l'opportunità di una sollecita intesa, fra le Grandi Potenze Occidentali, nei riguardi della Conferenza di Roma.

Ad ogni buon fine credo opportuno segnalare che Berger ha ieri accennato al mio collega d'Inghilterra, senza tuttavia precisazioni di sorta, che il Governo Federale, nelle more della Conferenza danubiana, è fatto segno ad incessanti, premurose proposte da parte della Germania.

667.

L'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, ANFUSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4476/096 R. Atene, 5 agosto 1935 (per. il 7).

Maximos ha colto occasione della comunicazione da me fattagli di cui al mio telegramma per corriere n. 095 in data odierna (1), per dirmi che le notizie circa la situazione nel Dodecanneso continuano a turbare ottime relazioni italo-elleniche.

L'ho pregato ogni qualvolta avesse qualche dubbio sulla veridicità delle notizie provenienti dal Dodecanneso di chiedermene conferma allo scopo di dileguare questo malinteso che prolungasi inutilmente con reciproco svantaggio, dati comuni interessi italo-ellenici, e dato, principalmente, che Governo ellenico, attraverso ripetute dichiarazioni dei suoi uomini politici responsabili aveva definitivamente rinunciato al Dodecanneso, circostanza di cui Maximos non ha potuto che darmi conferma, pur aggiungendo che suoi rilievi amichevoli si riferivano al carattere della popolazione delle isole che era stata sempre cara all'ellenismo.

Gli ho risposto che, tenendo ben presente che non poteva esistere una questione italo-greca per il Dodecanneso, potevo assicurargli che soltanto le notizie in quanto certamente false potevano turbare rapporti fra due Paesi, poiché situazione delle isole era normalissima e non riuscivo rendermi conto dove questo Ministero degli Esteri, per non dire i giornali greci, potessero trovare informazioni capaci provare contrario. L'ho invitato a citarmi qualche fatto aggiungendo che R. Legazione non si dà la pena smentire quotidianamente quanto pubblicano giornali greci sul Dodecanneso, perché presume che classi dirigenti elleniche si rendano conto che non c'è una sola parola di vero in quello che viene stampato.

Poiché Maximos insisteva nel dire che fatti sono numerosi senza dire quali, riferendomi alle ultime pubblicazioni della stampa greca gli ho detto che falso è il proposito attribuito al Governo italiano volere arruolare dodecannesini, falsa l'asserzione relativa alle imposizioni delle Autorità italiane perché cittadini dodecannesini prendano grande nazionalità, ancora più false tutte le notizie relative alle torture cui sarebbero fatti oggetto dodecannesini. Sarebbe stato molto triste se per un momento Governo ellenico avesse potuto prestare fede a tali allegazioni.

Maximos, pur prendendo atto mie rettifiche, soggiungeva che quello che gll risultava era l'opera costante svolta dalle autorità italiane nel Dodecanneso intesa ad ottenere dai cittadini' dodecannesini una rinunzia alla fede ellenica, rinuncia alla quale sarebbero sottoposti coloro che hanno bisogno delle autorità italiane per necessità di lavoro.

Ho detto a Maximos che se egli con questo intendeva l'opera delle autorità italiane intesa a pretendere dai dodecannesini lealtà verso l'Italia che tanti benefici aveva arrecato alle Isole, mi sembrava che la cosa non avesse nessun carattere oppressione ellenismo giacché non si poteva discutere diritto dell'Italia pretendere fedeltà da parte suoi amministrati.

Maximos si dilungava allora su agitazione religiosa Calino, lamentando che chiese fossero ancora chiuse (egli è di evidente origine ebraica) e che ancora nell'Isola fossero palesi segni provvedimenti eccezionali presi da Governo italiano. Gli ho detto che agitazione religiosa Calino ha avuto prevalentemente carattere locale e che fenomeno uguale si è verificato in Grecia in più vaste proporzioni, quando Governo ellenico si è visto costretto deportare Metropoliti che si erano agitati per questione vecchio calendario. Comunque, pace era tornata nell'isola e particolari sull'agitazione erano stati deplorevolmente deformati da stampa ellenica.

(l) Vedi D. 543.

(l) Non rinvenuto, ma vedi D. 682.

668

L'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, ANFUSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. PER CORRIERE 4595/097 R. Atene, 5 agosto 1935 (per. il 10).

Mio telegramma 202 del l o agosto (l).

Pipinelli, che ha preso parte a tutte le conversazioni che Tsaldaris ha avuto a Bled, mi ha detto al suo ritorno dalla Jugoslavia di aver trovato colà le più favorevoli disposizioni verso l'Italia.

Ha aggiunto poi testualmente: «Tanto al Presidente del Consiglio che a me è parso però che [non] sia stato dato un seguito positivo alle suggestioni fatte dal generale Condylis all'epoca del suo passaggio da Bled >>. Gli ho chiesto allora che cosa intendeva per « seguito positivo » ed a quale delle due parti, nel caso presente, sarebbe mancata l'iniziativa.

Pipinelli mi ha risposto: «Credo che Stojadinovic abbia dato istruzioni alla Legazione di Jugoslavia a Roma nel senso prospettato da Condylis ma tanto

da parte italiana che da parte jugoslava non mi risulta, almeno da quanto mi è stato detto a Bled, siano state iniziate conversazioni comportanti un « seguito positivo».

Tali affermazioni Pipinelli confermano quanto ho avuto occasione comunicare V. E. in merito riserbo che si sono imposto tanto Pipinelli e naturalmente Maximos circa missione Condylis, missione che, secondo opinione espressa in questi ambienti Ministero Esteri, Tsaldaris e Pipinelli sono andati a «rettificare », salvo farla apparire come iniziativa propria se dovesse essere coronata successo.

Circa altre questioni toccate Bled, Pipinelli mi ha detto che in fondo quello di cui si è più discorso è restaurazione monarchica in Grecia essendosi offerta occasione propizia a Tsaldaris poterne parlare con una persona equilibrata ed un grande patriota qual'è Principe Nicola, il quale non può che consigliare Re Giorgio in maniera conforme agli interessi della Grecia.

Visita Tsaldaris è stata organizzata più a questo scopo che per trattare questioni balcaniche o rapporti greco-jugoslavi, le prime non urgenti, i secondi solidissimi.

Presa contatto Tsaldaris con Principi è stata -secondo Pipinelli -di grande utilità in quanto Re Giorgio potrà rendersi conto sincerità propositi Tsaldaris desideroso poter armonizzare benessere popolo ellenico con interessi Monarchia, il che in parole povere conferma «aver Tsaldaris pregato Principi invitare Re Giorgio rimettersi completamente a lui e considerarlo come vero rappresentante idea monarchia, evitando contatti pericolosi con ultra-realisti come Metaxas e neo-realisti come Condylis ».

Pipinelli considerava colloqui Bled come altamente soddisfacenti ai fini conveniente soluzione questione regime.

È stata data parola d'ordine alla stampa governativa perché se ne parli meno possibile, disposizione che in Grecia viene ottemperata raramente e con difficoltà, ma che nel caso presente è stata rispettata.

Nello stesso tempo, stampa venizelista moderata si rimette alla imparzialità di Tsaldaris, segno evidente che il Presidente del Consiglio non ha dimenticato, durante suoi colloqui con Principi ellenici, che plebiscito resta sempre una cosa incerta. Fedele alla sua politica egli ha perciò acquistato Re Giorgio ma nello stesso tempo ha fatto sapere ai repubblicani che non si è compromesso per nessuno.

(l) Con T. 8161/202 P.R. del 1° agosto 1935, ore 21,15, Anfuso aveva informato che Tsaldarls aveva ricevuto l'invito da parte del Governo jugoslavo a recarsi a Bled.

669

IL SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO, PARIANI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

N. R. 168. Roma, 5 agosto 1935 (per. stesso giorno).

Telespresso n. 7778, data 28 luglio u.s. 0).

Proprio in questi giorni ho trasmesso a S. E. il Sottosegretario di Stato il mio parere nei riguardi della riorganizzazione dell'esercito albanese.

La presente risposta al telespresso 7778 (di cui mi limito a seguire ciascun capo) si inquadra pertanto nel suddetto parere di carattere generale.

Gendarmeria. È l'arma di cui Re Zog si serve per far fronte alla penetrazione italiana nell'esercito. Non ha alcun valore bellico, ha invece scopo e valore politico.

Fortunatamente gli inglesi non si sono mostrati buoni organizzatori e si lasciano trarre a rimorchio dalla volontà del Re. Ad ogni modo bisogna tendere a soppiantarli, per impadronirci anche della gendarmeria. Non è cosa facile, ma la ritengo possibile: si tratta· di tenacia e di tatto.

Stipendi agli Ufficiali. Come primo passo potremmo anche accontentarci della proposta albanese, che è evidentemente più confacente a chi, pur bramando la sostanza, fa lo schifiltoso nella forma. L'importante è che qualunque sia la forma, vi sia un documento impegnativo (sia pure lettera del Ministero Esteri) che garantisca esplicitamente la sostanza (cioè non una formula vaga).

Dipartimento Militare. Ritengo che il posto di capo del dipartimento militare non verrà mai ricostituito, perché contro di esso si erano accaniti tutti coloro che non potevano sopportare la nostra penetrazione militare in Albania.

Ma il posto di consigliere militare del Re può essere equivalente, purché la persona che vi è destinata sappia fare, e sia posta in condizione di poter fare. Occorrerebbe cioè questo consigliere fosse in grado di penetrare poco alla volta nell'animo del Re e determinare quello stato di fiducia che è necessario se si vuol procedere negli accordi.

In sostanza se -per scopi politici o economici -si vuole camminare sulla via degli accordi, le varianti proposte da parte albanese non avrebbero grande importanza sotto il punto di vista militare, rispetto al programma compilato dalla R. Legazione in Tirana.

(l) Non pubbl!cato.

670

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI

T. s. 1389/444 R. Roma, 6 agosto 1935, ore 2.

In base risoluzione Consiglio S.d.N. in data 3 corr., Membri Commissione Conciliazione Arbitrato dovranno nei prossimi giorni procedere designazione quinto arbitro per eventualità che si renda necessaria sua ulteriore nomina.

In relazione scambi di idee corsi al riguardo a Ginevra fra Lavai e Barone Aloisi, prego v. E. recarsi d'urgenza dal signor Politis, ed esprimersi con lui nel senso seguente:

Il signor Lavai ci avrebbe suggerito il di lui nome quale possibile quinto arbitro nella Commissione itala-etiopica di Conciliazione e arbitrato. Governo italiano sarebbe tanto più lieto della designazione del signor Politis da parte degli arbitri italiani, in quanto difficoltà a suo tempo sollevate dal Governo italiano per un'eventuale nomina del signor Politis quale arbitro di parte etiopica erano motivate non da ragioni di carattere personale ma da tesi, poi da noi abbandonate, che arbitri di parte etiopica dovevano essere sudditi etiopici. Governo italiano desidererebbe conoscere in via confidenziale se signor Politis accetterebbe un'eventuale designazione quale quinto arbitro. In caso affermativo converrebbe tuttavia che signor Politis mantenesse il segreto sulla conversazione avuta con V. E. e non desse comunque agli etiopici l'impressione che la designazione del suo nome sarebbe gradita al R. Governo; ciò onde evitare che per questo solo fatto gli arbitri di parte etiopica rifiutino il suo nome quale quinto arbitro.

Prego telegrafare esito conversazione con Politis (l).

671

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A PRAGA, ROCCO

T. 8175/87 P. R. Roma, 6 agosto 1935, ore 2.

Faccia sapere a codesto Ministero Esteri ed ai direttori dei giornali cecoslovacchi che io seguo i loro articoli ispirati a comprensione della situazione italiana e che questo atteggiamento gioverà molto ai rapporti fra i due Paesi (2).

672

L'INCARICATO D'AFFARI A PRAGA, BORGA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8388/139 P.R. Praga, 6 agosto 1935, ore 22 (per. ore 24).

Telegramma di V. E. n. 87 (3).

Ho fatto comunicazione prescrittami a Wellner che sostituisce Krofta; egli ha vivamente ringraziato aggiungendo che oggi stesso ne avrebbe data conoscenza Benes assente da Praga.

Sono stati direttamente già informati anche Direttori Lidove Noviny, Narodni Listy, Narodni Stred, Narodni Osvolozeni e altri lo saranno appena possibile. Tutti sono stati assai lieti della comunicazione ed hanno manifestato loro gratitudine. Soukenka del Narodni Listy ha detto che presto pubblicherà altro articolo su impressioni riportate da viaggio in Italia.

48 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. I

(l) -Per la risposta vedi D. 673. (2) -Per la risposta vedd D. 672. (3) -Vedi D. 671.
673

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. S. 4459/452-453 R. Parigi, 6 agosto 1935, ore 23,55 (per. ore 3,05 del 7).

Telegramma di V. E. n. 444 (1).

Sono stato a Melun, dove Politis villeggia in una sua proprietà.

Ho fatto comunicazione nei termini ordinatami.

Politis mi ha detto di essere stato invitato a colloquio da Lavai per lo stesso motivo. Lo vedrà domani.

Ministro di Grecia si è mostrato lusingato della domanda che gli ho rivolta a nome R. Governo. Mi ha dichiarato che prima di accettare desidera riflettere e studiare questione circa la quale egli assicura non essere sufficientemente informato. Ha soggiunto che declinerebbe offerta piutosto che pronunciare una sentenza di condanna contro l'Italia.

D'altra parte sarebbe suo desiderio trovare una soluzione per Ual-Ual che non lasciasse strascichi essendo egli persuaso della possibilità risolvere intera vertenza itala-abissina con soddisfazione dell'Italia. Una sentenza, che suonasse umiliazione per l'Imperatore Etiopia, costituirebbe serio ostacolo ad ottenere dal Negus le concessioni che egli dovrà alla fine fare all'Italia per evitare conflitto armato.

Ho osservato che mi sembra proprio che si dovesse escludere in modo assoluto eventualità di una nostra condanna per Ual-Ual.

Ministro di Grecia deve essere persuaso fin da ora che noi abbiamo da tempo il pieno incontrastato possesso della località. Contro il possesso c'è l'azione legale. Mentre impiego della forza è illegale.

Politis ha convenuto nella giustezza del mio ragionamento ed ha egli stesso precisato con argomenti di diritto che la nostra tesi è forte.

Circa il secondo punto da lui toccato ho espresso il più grande scetticismo nella possibilità di un componimento pacifico della vertenza al punto in cui sono giunte le cose.

Il Ministro greco ha insistito nel suo ottimismo. Ha detto di avere scritto al Negus il primo luglio consigliandolo di chiedere alla S.d.N. di indicargli una Potenza in grado coadiuvarlo nel mettere in valore il paese. Politis è persuaso che l'Imperatore non ha altra scelta. Il Ministro aspetta la risposta del Negus che gli è stata preannunziata con telegramma; conta riceverla nella seconda metà della corrente settimana.

Politis opina che Francia, Inghilterra ed Italia dovrebbero mettersi d'accordo entro il mese di agosto. Secondo Politis Lava! ha iniziato il suo lavoro con Eden, ed ha buone speranze. La difficoltà maggiore, da questo lato, sarà dl intendersi sulle garanzie da accordare all'I.nghilterra per le zone che la interessano in modo particolare. Se la Francia riuscirà ad indurre l'Inghilterra ad acconsentire che l'Italia riceva il mandato sull'Etiopia, Politis spera che V. E.

aderirà ad una soluzione su questa base. Quanto a Negus, Politis è d'avviso che si piegherà, si acconcierà alla decisione delle tre Potenze. Ho pregato Politis di chiarire il suo pensiero circa i rapporti che dovrebbero intercedere tra l'Etiopia e l'Italia.

Mi ha risposto che pensa ad un mandato come quello che la Francia ha sulla Siria. L'Abissinia sarebbe amministrata nel senso più largo della parola dall'Italia, la quale occuperebbe militarmente i punti strategici del paese.

Ho detto a Politis che il suo piano avrebbe potuto essere preso in considerazione qualche mese fa. Le cose hanno preso negli ultimi tempi, non per colpa nostra, un altro andamento. Il Negus pretende di trattare da pari a pari con l'Italia. L'opinione pubblica italiana si sente offesa dalla boria abissina.

Ho dichiarato al Ministro che egli aveva dinanzi a sé un uomo della generazione di Adua e che, per quanto vivessi lontano dal mio paese, sentivo di poter dire che coloro che hanno vissuto quel periodo nefasto della vita italiana si augurano che l'Abissinia sia conquistata dall'Italia e l'orgoglio etiopico piegato con le armi.

Rivedrò Politis domani dopo la sua conversazione Lavai (1).

(l) Vedl D. 670.

674

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4525/0217 R. Berlino, 6 agosto 1935 (per. il 9).

Il Signor Biilow, al quale chiesi che cosa fosse accaduto di interessante durante i pochi giorni in cui ero stato assente da Berlino, per scopo di cura, mi rispose che .la scorsa settimana il Governo britannico, tanto a Londra presso l'Ambasciatore von Hoesch, quanto a Berlino, a mezzo del proprio Incaricato d'Affari, aveva esercitato una forte pressione sul Governo del Reich per indurlo a discorrere con Parigi a proposito del Patto Orientale.

Il Governo inglese non aveva fatto mistero che una simile conversazione l'interessava non perché esso attribuisse una speciale importanza al Patto stesso, ma perché considerava necessario raggiungere un accordo su questo punto, come pure sul Patto Danubiano, al fine di poter iniziare le discussioni che gli stavano invece molto a cuore relativamente al Patto Aereo.

L'Auswartiges Amt aveva pertanto dato istruzioni all'Ambasciatore Koester di sentire dal Governo francese quali proposte avesse da fare. Esso non era infatti sinora riuscito ad appurare le reali intenzioni della Francia. Koester aveva avuto due conversazioni con Léger ed una con Lavai. Non si poteva però dire che esse abbiano servito a chiarire la situazione. Léger aveva infatti parlato della disposizione del Governo francese di assumere la garanzia dell'esecuzione del Patto Orientale, non intieramente però perché dalla garanzia stessa avrebbero dovuto essere esclusi gli Stati Baltici. Che cosa significava questa garanzia? La Germania scorgeva in essa soltanto il desiderio della Francia di procurarsi una ragione per ingerirsi in affari che non la riguardavano. Il Governo del

(l} Vedi D. 611. Il presente documento !reca Il visto di Mussol!n!.

Reich sarebbe favorevole ad un Patto di consultazione al quale aderissero, oltre la Francia, anche l'Italia e l'Inghilterra. Mi aveva già anteriormente parlato di una simile ipotesi; ma la garanzia di cui aveva tenuto parola Léger era un'idea che doveva essere scartata poiché era evidente che né l'Italia,né l'Inghilterra sarebbero state disposte ad assumerla da parte loro.

Mentre Léger si era, ancorché non molto chiaramente, esposto in questi termini, il signor Lavai aveva mostrato, durante la conversazione con Koester, di annettere assai scarsa importanza tanto al Patto Orientale che a quello Danubiano ed aveva invece chiesto all'Ambasciatore del Reich perché non si potesse invece iniziare conversazioni sopra un argomento che lo interessava molto di più, intavolando con la Germania discussioni circa gli armamenti.

Quest'apertura del Presidente del Consiglio francese era riuscita talmente nuova all'Auswartiges Amt, il quale, a distanza di tre giorni da quando fu fatta, non è ancora riuscito a comprenderne esattamente la portata. Era pertanto stato incaricato Koester di far in modo da appurare ciò che realmente intendeva il signor Lavai.

Von Biilow constatava ad ogni modo che non sembrava esistere al riguardo identità di vedute fra Londra e Parigi.

Alla mia domanda, se l'Ambasciatore von Hassell avesse ricevuto comunicazione della bozza di progetto di Patto Danubiano di cui gli aveva parlato S. E. Suvich, von Biilow rispose negativamente Cl). Aggiunse constargli che il Governo italiano stava discorrendo al riguardo con l'Austria e l'Ungheria e che gli scambi di vedute non erano tuttora terminati.

Mentre la stampa nei giorni scorsi si era mostrata in Germania assai irritata per le conversazioni circa il Patto Danubiano riprese senza che ad esse partecipasse l'Auswartiges Amt, non potei scorgere nel linguaggio tenutomi dal signor von Biilow il minimo accenno di risentimento. Egli si espresse meco in termini che lasciavano intendere come fosse sicuro che il Governo del Reich sarebbe stato tempestivamente interpellato, così come si fece nei riguardi del Patto Danubiano, sin dal primo momento.

Credo tanto più necessario di informare di quanto precede V. E. perché il mio collega di Francia si mostrò ieri meco assai preoccupato della possibilità che fra Parigi e Roma fosse stato deciso di mettere la Germania dinanzi ad un fatto compiuto nei riguardi del Patto Danubiano, cosicché egli aveva posto in guardia il Quai d'Orsay perché non si commettesse un passo falso ed in contraddizione con la linea di condotta sinora seguita al riguardo.

Von Biilow mi ha detto inoltre che l'epoca attuale, in cui sono in vacanza i Parlamenti tanto in Inghilterra che in Francia, appare molto propizia ai Governi di Londra e Parigi per svolgere un'azione diplomatica attiva, senza preoccupazioni di complicazioni parlamentari.

Viceversa in Germania in quest'epoca dell'anno gli uomini di Stato sono in vacanza e se si occupano di qualche cosa quest'è la preparazione del Congresso del Partito Nazionalsocialista che siederà a Norimberga dal 10 al 16 settembre. Riesce pertanto difficilissimo e spesso impossibile di riunire le tre o quattro persone che devono decidere circa i problemi di politica estera e quindi ogni negoziato si trascina fatalmente per lungo tempo.

(l) Vedi DD. 603 e 650.

675

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. PER CORRIERE 4528/0220 R. Berlino, 6 agosto 1935 (per. il 9).

Mio telegramma n. 196 in data del 5 corrente (1).

Il Dr. Schacht, molto lusingato della comunicazione da me personalmente fattagli per incarico di S. E. il Capo del Governo, mi ha detto che egli si sforzava, dacché era stato assunto al posto di Ministro dell'Economia del Reich, di mantenere le migliori relazioni con tutti i Paesi esteri. La Germania aveva bisogno di una tale politica economica e ciò corrispondeva anche all'interesse degli altri Stati. Per quanto riguardava in modo speciale l'Italia, egli sapeva, agendo verso di noi in modo amichevole, di interpretare le precise intenzioni del Cancelliere del Reich che si era ultimamente espresso con lui in termini che non lasciavano sussistere dubbi sopra il suo vivo desiderio di essere nei migliori termini con il nostro Paese.

Assicurai il Dr. Schacht che avrei fatto conoscere quanto egli mi aveva detto a S. E. il Capo del Governo, che avrebbe certamente molto apprezzato le intenzioni di Hitler, le quali corrispondevano del resto intieramente con le proprie.

Alla vigilia della mia partenza da Berlino mi era gradito di constatare come, in gran parte per merito del Dr. Schacht, le relazioni commerciali fra l'Italia e la Germania si svolgessero in modo più che normale. Durante le laboriose discussioni che erano state necessarie, i punti di vista dei due Paesi erano stati strenuamente difesi dalle due parti, ma il desiderio vivissimo di intendersi aveva permesso di avere ragione di tutte le difficoltà. Rilevavo pure con la massima soddisfazione che le divergenze politiche non avevano menomamente influenzato le relazioni economiche itala-germaniche, che sono basate sopra interessi permamenti. Il Dr. Schacht convenne intieramente nelle considerazioni da me esposte.

Poiché avevo colto l'occasione per congedarmi da lui, il Dr. Schacht, dopo alcune cortesi parole a mio riguardo, mi disse: «Dunque voi andate ora a Parigi per concludere l'alleanza con la Francia ». Risposi che scopo della mia missione in Francia, non diversamente da quello del mio soggiorno in Germania, sarebbe stato di rafforzare i rapporti esistenti con l'Italia. Questi erano particolarmente cordiali in questo momento. grazie alla saggia politica che aveva saputo eliminare i malintesi accumulatisi durante parecchi anni di incomprensione. Mi auguravo che la collaborazione itala-francese diventasse sempre più intima. La Germania non avrebbe avuto alcun ragione di apprensione al riguardo perché lo scopo a cui mirava la politica di S. E. il Capo del Governo era quello di giungere a discutere e risolvere tutti i grandi problemi europei in perfetta armonia fra i grandi Stati del vecchio Continente.

Lasciavo la Germania col rammarico di avere dovuto constatare come l'inopportunità di avere sollevato intempestivamente il problema della « Gleichschal

tung » dell'Austria avesse turbato seriamente i rapporti itala-germanici. Il Dr. Schacht mi interruppe dicendo che non si era trattato di inopportunità ma di un errore fatale. Tutti del resto coloro che avevano la testa a posto se ne rendevano conto e deprecavano che si pensasse ancora all'Austria.

Quando, parecchi anni or sono, il Dr. Schacht aveva avuto per la prima volta l'onore di essere ricevuto da S. E. il Capo del Governo, gli aveva detto che la Germania e l'Italia avrebbero dovuto formare un fronte comune per risolvere insieme l'arduo problema di una più equa divisione delle colonie fra i vari Stati del mondo. Si era sacrificato alla meschina visione razzista relativa all'Austria una politica forte e saggia che avrebbe facilitato tanto alla Germania che all'Italia il conseguimento delle rispettive aspirazioni coloniali.

Accennando alla situazione nell'Africa Orientale il Dr. Schacht osservò che l'opinione pubblica tedesca si manteneva molto riservata, neutrale e certo non simpatizzante per l'Etiopia. Ciò mi diede occasione di dichiarargli che avrei preferito che qui si pronunciasse qualche parola di comprensione per la politica italiana. Nessun Paese più della Germania avrebbe potuto valersi ai suoi fini di un successo dell'Italia nell'Africa Orientale. Quando noi, a costo di gravi sacrifici, avessimo conquistato in Africa le terre che ci occorrono per poter liberamente respirare, la Germania avrebbe potuto avanzare analoghe pretese legittime.

Accennando all'ostilità inglese che egli riteneva sarebbe stata molto tenace, il Dr. Schacht espresse l'avviso che l'Inghilterra potesse giungere sino a compiere atti ostili verso di noi. Risposi che l'atteggiamento inglese riempiva di dolore l'animo di tutti gli Italiani, i quali avevano sempre creduto di poter contare sopra un'amicizia che era tradizionale. Ritenevo che a Londra, forse solo all'ultimo momento, ci si sarebbe reso conto del grave pericolo che avrebbe costituito per l'Impero britannico l'alienarsi l'Italia. La situazione mediterranea dell'Inghilterra, in seguito ai progressi degli armamenti sopratutto aerei, era tutt'altro che tranquillante. Come poteva il Governo di Londra credere di poter astrarre in futuro dall'amicizia dell'Italia nel mare che è da noi dominato, a causa della nostra posizione geografica? Il Dr. Schacht continuò a mostrarsi preoccupato e mi disse di pensare che sino al 1914 l'Inghilterra non aveva mai avuto ragioni di dissenso con la Germania. Il che non è perfettamente esatto, perché la politica degli anni che precedettero la guerra mondiale era stata un continuo duello anglo-tedesco.

Mutando argomento e parlando in via del tutto confidenziale e personale della situazione politica interna il Dr. Schacht ostentò meco molta calma. Egli mi disse che la gente di buon senso continua a lavorare serenamente senza preoccuparsi di quanto dicono e scrivono i forsennati. Egli ritiene di godere della fiducia illimitata del Cancelliere del Reich e quindi non lo toccano le invidie di taluni uomini che vogliono far credere di essere più importanti di quanto effettivamente non siano.

Ho chiesto al Dr. Schacht se egli poteva dirmi chi effettivamente comandi in questo momento in Germania. Gli domandavo ciò perché la nomina del Capo della Polizia della Capitale del Reich era stata fatta dal Dr. Goebbels, nella sua qualità di Gauleiter di Berlino, mentre avrebbe dovuto essere fatta dal Ministro dell'Interno del Reich.

Il mio interlocutore rispose che Goebbels crede di avere tutti i poteri perché ha in mano tutta la stampa. Quando taluno, come era accaduto a lui pochi giorni fa, parla esprimendosi in termini ragionevoli, il Dr. Goebbels impedisce che la stampa riporti i discorsi, altro che in brevissimo sunto anodino. Il che non toglie che la grande maggioranza dei tedeschi finisca per conoscere ugualmente quello che è stato detto e plauda alle parole ragionevoli. Accade ogni anno, che durante i mesi che precedono il congresso del Partito, gli elementi di sinistra facciano una campagna violenta per affermare l'importanza del Partito. Non bisognava dare alla cosa un valore eccessivo e credere invece al buon senso del Popolo tedesco che è contrario ad ogni eccesso.

Osservai che quanto il Dr. Schacht mi diceva era bello e buono, ma che non potevo far a meno di ricordare gli avvenimenti del 30 giugno 1934.

Egli ne convenne, ma mi confermò che, per parte sua, non si lasciava distogliere dal suo lavoro sistemativo e tranquillo perché era sicuro che non si sarebbe osato toccarlo.

(l) Vedi D. 635, nota 2.

676

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, UMILTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA R. 4071/470. Zagabria, 6 agosto 1935 (per. l'B).

Ho avuto in questi giorni un colloquio con una persona autorevole di questa opposizione croata, la quale mi ha voluto fare la seguente esposizione di quello che interessa ora maggiormente questi circoli croati:

«Dopo la appassionata manifestazione del sentimento nazionalista croato in occasione del compleanno e dell'onomastico del dott. Macek, sembra che attualmente sia subentrata una relativa tranquillità, che viene utilizzata dal Governo per preparare i vari disegni di legge promessi per il miglioramento della situazione nel paese; l'opposizione croata da parte sua è in attesa di conoscere tali disegni di legge e studia i mezzi per continuare nella lotta anche contro l'attuale Governo di Stojadinovié, che si affanna a cercare una formula che renda possibile ai croati la partecipazione alla vita politica del paese.

I miglioramenti promessi dovrebbero consistere nella modificazione della legge elettorale, con conseguenti nuove elezioni politiche, e nella restituzione della libertà di stampa e di riunione.

Sembra che il Governo non si azzardi ancora di toccare l'attuale legge elettorale, e ciò fino a tanto che Macek non avrà definito le richieste dei croati, perché esse, se accettate, dovrebbero formare la base delle future elezioni. Macek invece non vuole rispondere. Una sua risposta decisiva e sincera lo potrebbe esporre alle più gravi sanzioni di legge; mentre una risposta sibillina lo potrebbe impegnare e condurre in una strettoia.

Tale silenzio del dott. Macek dà molto ai nervi alla oligarchia di Belgrado; a causa dei continui rinvii, essa non è in grado di corrispondere alle promesse fatte a Londra dal Principe Paolo e riguardanti le riforme di cui sopra.

D'altro canto è da tener presente che il ripristino della libertà di stampa e di riunione non può essere concesso a priori, e ciò perché il margine delle concessioni deve rientrare nei limiti delle richieste dei croati. Il silenzio del

l'attuale capo dei croati viene perciò considerato come una resistenza passiva, anzi come sabotaggio, non potendo il Governo raggiungere il suo fine della pacificazione degli animi.

Anche gli oppositori di Belgrado farebbero al signor Stojadinovié i più severi rimproveri per aver permesso ai croati di rialzare la testa, senza essersi prima assicurato la loro gratitudine.

Mentre il Governo lotta contro la pretesa intransigenza del capo dei croati, i deputati e i senatori tentano la ricostruzione dei partiti, naturalmente sotto l'incubo di non urtare la suscettibilità dei croati. Il partito radicale, già baluardo panserbo, si è unito con il partito popolare sloveno di Korosec e con i mussulmani di Spaho; si dice che i radicali conservatori hanno dovuto fare buon viso a tale «degenerazione» del partito, non solo, ma sarebbero stati costretti ad escludere dal partito tutti i croati che in precedenza facevano una politica contraria al leader croato.

Il partito nazionale jugoslavo, fino a qualche giorno fa unico sostegno del signor Jeftié, conta attualmente appena una decina di membri, che la stampa chiama in senso dispregiativo « generali senza esercito » e « jugofascisti ».

Il partito dei democratici, come pure quello degli agrari serbi, non hanno ancora concluso le trattative per la loro fusione in un partito di opposizione; essi attendono la realizzazione del programma di Stojadinovié e nutrono una recondita e debole speranza che la opposizione croata possa associarsi a loro. Questo sarebbe da escludere, perché il dott. Macek considera il suo non come un partito politico della Skupéina, ma come un partito che rappresenta una Nazione soggiogata e oppressa, mirante all'ottenimento della libertà ».

Il mio interlocutore ha tenuto inoltre a farmi presente quanto segue:

« La Jugoslavia non sarà mai in grado di risolvere il problema croato. La attuale politica italiana viene qui interpretata come diretta alla prossima redenzione croata dall'oppressione serba. Infatti la Croazia ha ora alzato la testa e questo Governo non sarà più in grado di fargliela ripiegare; l'odio di razza è oltremodo esasperato, anche per il fatto che, nonostante le tranquillanti promesse del Governo, continuano le uccisioni da parte dei gendarmi nelle campagne, e la Serbia non è attualmente in grado di opporre una efficace resistenza».

Il mio interlocutore mi ha comunicato infine che la Narodna Obrana (Difesa Nazionale) fa continua propaganda contro gli Asburgo e che varie altre istituzioni politiche, ligie al Governo, si adoperano presso gli aderenti alla opposizione croata per fare ad essi presente che da tutte le parti minaccia il pericolo per la integrità dello Stato e che quindi la opposizione croata dovrebbe collaborare col Governo.

Trasmetto a V. E. le dichiarazioni più sopra esposte e che potrebbero interessare anche per quanto riguarda l'opinione di alcuni circoli locali circa l'atteggiamento del nostro Paese nei riguardi del problema croato.

In quanto poi alle voci di questa stampa più vicina a Macek e relative alla soluzione del problema croato, posso riassumerle brevemente coll'affermare che da essa si può comprendere che i croati sono concordi con Macek nell'opporre difficoltà alla creazione di un partito di opposizione, poiché ritengono che solamente un partito nazionale croato può raggiungere la soluzione di tale problema, ciò che non si potrebbe fare nel caso che Macek abbandonasse il carattere nazionalista-croato dato al suo partito e si unisse con i partiti serbi in un unico partito jugoslavo sia pure di opposizione. Con tale fusione il problema croato dovrebbe nuovamente venir risolto dagli integralisti jugoslavi, ciò che ha dato nel passato, come è noto, solo cattivi risultati.

Le varie stirpi dovrebbero mettersi d'accordo e risolvere questo problema «locale », affinché non venga messa a repentaglio l'esistenza dello Stato. «In nessun caso -scrive ad esempio I'Obzor -il problema croato può venire risolto se;J.za il partito croato, perché esso è l'unico che abbia l'autorizzazione e il diritto legittimo di rappresentare gli interessi croati. Vietare il partito croato significa negare il problema croato e non risolverlo ».

Sempre secondo le voci di questa stampa vi è in Jugoslavia un grande numero di uomini politici· i quali vedono chiaramente il problema e sanno la via come risolverlo, poiché il dott. Macek non tace né ha taciuto, avendo egli chiaramente esposto ciò che il partito aveva formulato nel 1928, sia dinanzi ai tribunali che in carcere, prima e dopo le elezioni. Per tale motivo Zagabria non ha null'altro da aggiungere, mentre gli altri partiti dovrebbero dare una risposta al programma della coalizione demo rurale; da tale risposta dipenderà se il problema croato verrà risolto e con chi verrà risolto; i croati sarebbero soddisfatti quando tutti accettassero una soluzione giusta e favorevole allo Stato.

In quanto all'opinione del dott. Macek circa la soluzione del problema croato ho l'onore di attirare l'attenzione di V. E. sul n. 167 del bollettino della stampa di questo R. Ufficio in cui ho riassunto una intervista del capo croato data al Novosti. Tale intervista è statà pubblicata solamente nella prima edizione del giornale, che è stata sequestrata, così che la sua divulgazione è stata vietata dalla censura. Come V. E. vedrà il dott. Macek parla in essa di un riconoscimento che l'attuale opposizione serba dovrebbe fare della individualità nazionale e politica della Croazia, punto fondamentale dal quale seguirebbero ulteriori conseguenze, sulle quali si potrebbe regolare una comunanza di vita in Jugoslavia.

Ma anche tale assestamento non sarebbe che una prima tappa verso la meta finale, cioè la completa indipendenza della nazione croata (1).

677.

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI

T. 1392/448 R. (2). Roma, 7 agosto 1935, ore 2,40.

Comunichi a Lavai mio ringraziamento per opera da lui svolta recentemente a Ginevra. Gli dica che Governo italiano accetta località francese per riunione tripartita e che Lavai stesso faccia inviti e fissi data inizio conversazioni. Ritengo che trattandosi di un Trattato del 1906 stipulato ben prima che la S.d.N. nascesse, è al Ministro Hoare che l'invito deve essere rivolto, anche perché dopo il discorso radiofonico pronunciato da Eden, non si può avere fiducia nelle sue disposizioni d'animo e meno ancora nella sua obbiettività (3).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Minuta autografa. (3) -Per la risposta di Pignatti vedi D. 680.
678

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA

T. 1394/139 R. Roma, 7 agosto 1935, ore 2,40.

Ministro argentino a Berna, che sostituiva Ambasciatore Cantilo nella recente sessione del Consiglio, ha fatto una dichiarazione di voto non amichevole per l'Italia. Tra l'altro, nell'esaltare politica di pace del suo Paese, ha accennato al principio americano di non riconoscere acquisti territoriali non ottenuti con mezzi pacifici. Dichiarazione, di cui riservomi trasmettere testo, è in qualche punto giuridicamente inesatta. Atteggiamento delegato argentino, che assisteva per la prima volta a una sessione del Consiglio ha tanto più sfavorevolmente sorpreso per contrasto con sentimenti di responsabilità di cui hanno dato prova, con loro contegno deferente, altri membri ben più autorevoli del Consiglio. Delegato argentino aveva anche fatto pressioni presso rappresentanti del Cile e del Messico perché aderissero alla sua dichiarazione. Tale atteggiamento contrasta con intese corse con codesto Governo di attenersi amichevole collaborazione sul terreno della Lega (1). R. Governo ha costantemente seguito tale politica e anche recentemente per mezzo suo rappresentante ha esaltato a Ginevra opera mediatrice Presidente Saavedra Lamas. In omaggio cordialità rapporti che legano due Paesi R. Governo ha evitato che stampa desse rilievo alla dichiarazione argentina nella fiducia che politica di amichevole comprensione continui ininterrotta. Prego V. E. segnalare quanto precede nella forma che riterrà più opportuna a codesto Governo e farmi conoscere esito suoi passi (2).

679

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI

T. 1396/598 R. Roma, 7 agosto 1935, ore 2,40.

Suo telegramma n. 1630 (3). Prego V. S. rispondere alla nota etiopica n. 48 in data 28 luglio u.s. nei termini seguenti, salvo osservazioni da parte della S. V.:

«In relazione al contenuto della nota etiopica n. 48, Governo italiano ritiene di dover far rilevare al Governo etiopico che il Consiglio della S.d.N., nella sua risoluzione del 3 agosto, ha pienamente riconosciuto il buon fondamento dell'opinione espressa dal Governo italiano, considerando che la competenza della Commissione di Conciliazione e Arbitrato era determinata dall'accordo già intervenuto fra i due Governi; che risultava tanto dalle note del 15 e 16 mag

gio (l) quanto dalle dichiarazioni fatte davanti al Consiglio nella seduta del 25 maggio che i due Governi non erano stati d'accordo per accettare che la Commissione avesse ad esaminare le questioni di frontiera o ad interpretare giuridicamente i Trattati ed Accordi concernenti la frontiera; e che per conseguenza questo oggetto non rientrava nella competenza della Commissione.

Da quanto precede risulta che la protesta già avanzata dal Governo italiano con la sua nota del 14 luglio e confermata con nota del 23 luglio (2), circa l'atteggiamento adottato dall'Agente del Governo etiopico a Scheveningen, atteggiamento che ha provocato l'interruzione dei lavori della Commissione, era perfettamente fondata; e che risale quindi al Governo etiopico la responsabilità del ritardo intervenuto nel corso dei lavori della Commissione anzidetta.

Tanto il Governo italiano ritiene di dover formalmente far risultare, ad ogni utile fine futuro» (3).

(l) -Vedi DD. 176, 203 e 246. (2) -Per la risposta vedi D. 694. (3) -Non pubblicato: trasmetteva la nota etiopica n. 48 del 28 luglio 1935, ed. in Il conflitto italo-etiopico, Documenti, vol. I, cit., pp. 281-282.
680

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. H86/455 R. Parigi, 7 agosto 1935, ore 18,25 (per. ore 19,40).

Ho eseguito le istruzioni impartitemi col Suo telegramma n. 448 (4).

Presidente del Consiglio è stato sensibile al passo di V. E. Il Signor [Lava!] prega caldamente V. E. di non insistere per l'esclusione di Eden. Presidente del Consiglio spera che V. E. vorrà accondiscendere al suo desiderio e contribuire in tal modo a facilitare il suo compito. D'altra parte Eden ha già chiesto di vederlo e sarà a Parigi 12 corrente.

Conferenza potrebbe iniziare suoi lavori il 15 corrente. Lava! desidera incontrarsi a Parigi il giorno precedente, ossia 14 corrente col Delegato del R. Governo. Ambasciatore di Francia, Chambrun, è stato incaricato di formulare invito in tal senso (5).

681

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 4495-4497-4488/457-458-459 R. Parigi, 7 agosto 1935, ore 21,35 (per. ore 3,45 dell'B).

Mio telegramma n. 452 (6). Ministro Politis è venuto a vedermi dopo il suo colloquio con questo Ministro degli Affari Esteri.

(5} Il presente documento reca il v.isto di Mussolini.

Lavai lo ha incoraggiato vivamente ad accettare proposta italiana. Rifiutando, incorrerebbe in una grossa responsabilità di fronte all'Europa. Ministro degli Affari Esteri ha spiegato a Politis che si è a due passi dalla guerra e che il suo rifiuto potrebbe far precipitare gli eventi. Lavai ha aggiunto di contare sull'opera del Ministro di Grecia non solo per l'incidente di Ual-Ual, che considera di secondaria importanza, ma perché egli intende che Politis sia il tramite fra le tre Potenze.

Ho detto a Politis che prendevo nota di quello che mi aveva detto ma che, mettendo in relazione le stesse dichiarazioni di ieri col suo discorso odierno, doveva insistere sul pericolo che intravvedevo di un lodo ambiguo per Ual-Ual in vista di un ipotetico componimento futuro. Ero persuaso che il Ministro di Grecia si sarebbe convinto al lume di prove irrefutabili che attacco a Ual-Ual era partito dagli abissini. Non vi era quindi motivo di risparmiare aggressore.

Il Signor Politis ha replicato che vi era modo di dar ragione all'Italia nel fondo senza umiliare la parte soccombente.

È evidente che quello che interessa in primo luogo Politis è la parte di mediatore che il Signor Lavai intende affidargli. Ministro degli Affari Esteri ha detto a Politis che gli inglesi approvano la sua azione e di Lavai.

Ho domandato all'Incaricato se egli intende svolgere il suo compito nel senso delle dichiarazioni che mi ha fatte ieri. In altre parole se egli si propone di indurre il Negus a domandare di essere posto sotto mandato, nell'intesa che la· Potenza mandataria [sia] l'Italia.

In seguito sua risposta affermativa gli ho domandato se considerava possibile ottenere assenso del Governo inglese all'idea del mandato italiano sull'Etiopia.

Mi ha risposto che il Signor Lavai gli aveva espresso la sua fiducia assoluta in una favorevole riuscita. Ministro di Grecia mi ha precisato ripetutamente avergli Lavai dichiarato «che il Governo britannico accetterebbe una soluzione che rispettasse i principi fondamentali della S.d.N., salvaguardando nello stesso tempo gli interessi legittimi dell'Inghilterra in Etiopia».

Ho domandato a Politis quali sono, secondo lui «gli interessi legittimi dell'Inghilterra in Etiopia.».

Mi ha risposto che con Lavai si sono posti la stessa domanda e sono venuti alla conclusione che non può trattarsi che della tutela degli interessi britannici in dipendenza delle sorgenti del Nilo.

Ho espresso il mio scetticismo. L'Italia si è impegnata a fondo. La soluzione deve essere radicale. Quello che si offre non è che un compromesso. Se l'Inghilterra credesse di poter prestarsi ad una soluzione accettabile per l'Italia, non avrebbe contribuito a creare un'atmosfera di guerra ad Addis Abeba.

Politis mi ha ripetuto essere convinzione sua e di Lavai che Governo britannico si mostrerà arrendevole se saranno salvi i principi ginevrini. Quanto interessi inglesi in Etiopia, Ministro di Grecia crede che non sarà difficile trovare un accordo.

Per quanto rguarda il Negus, Politis ha speranza di riuscire a convincerlo di accettare la sola via di uscita onorevole che gli è offerta. Egli pensa che si dovrà abbondare nelle concessioni formali e negli onori per avere causa vinta nel fondo. Su questo punto egli non sa prevedere quale è il pensiero di V. E.

Politis mi ha dichiarato infine che egli accetta designazione del suo nome a quinto arbitro da parte degli arbitri italiani. Ha soggiunto che sarà di ritorno a Parigi venerdì 9 corrente e di sperare che io sia in grado confermargli che R. Governo è d'accordo.

Dopo Politis ho veduto questo Ministro Affari Esteri. Egli mi ha confermato di aver pregato Ministro di Grecia di essere tramite ufficioso presso Negus. Lavai si rende conto della difficoltà enorme del compito che si è assunto ma si propone di non tralasciare nulla per riuscire.

Circa atteggiamento inglese non è stato esplicito, nel senso non mi ha ripetuto dichiarazioni che Politis gli ha attribuito. Però, senza entrare in precisazioni, ha espresso la convinzione assoluta che gli inglesi lo seguìranno e accetteranno alla fine che l'Italia riceva il mandato sull'Abissinia.

Mi sono espresso col Ministro degli Affari Esteri come con Politis. Gli ho detto che le cose sono andate troppo avanti. Per quanto a malincuore non potevo condividere il suo ottimismo. Gli abissini erano sotto l'influsso di un'esaltazione che suonava offesa per l'Italia. La tracotanza etiopica doveva essere domata (1).

(l) -Per la nota italiana del 15 maggio 1935 vedi D. 191. Con T. 2607/974 R. del 16 maggio 1935, Vinci trasme.tteva la nota di risposta etiopica n. 35, parzialmente ed. in Il conjlttto italo-ettoptco, Documenti, vol. I, cit., p. 217. (2) -Per la nota del 14 luglio vedi D. 537. (3) -Con T. 4517/1764 R. de11'8 agosto 1935, ore 17, Vinci assicurava eH aver trasmesso al governo etiopico la presente nota. (4) -Vedi D. 677. (6) -Vedi D. 673.
682

L'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, ANFUSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4584/099 R. Atene, 7 agosto 1935 (per. l'11).

Mio telegramma per corriere n. 095 del cinque corr. (2).

Pipinelli mi ha detto che al suo ritorno da Bled Maximos lo aveva informato della conversazione che avevo avuto con lui circa eventualità richiesta Albania ammissione Lega Balcanica. Pur condividendo idee suo Ministro al riguardo, egli doveva aggiungere che richiesta albanese gli sembrava molto più lontana di quanto non sembrasse a Maximos, e suo accoglimento, date caratteristiche politica albanese, difficilmente realizzabile, anche con tutta la buona volontà che volessero e potessero dimostrare al riguardo stati Intesa Balcanica. Quanto alla Grecia -continuava Pipinelli -essa ha troppe prove della mala fede albanese per andare a cuor leggero verso un riavvicinamento con l'Albania, i cui governanti sono guidati unicamente dal loro tornaconto. Teneva a dirmi quanto precede a titolo puramente personale e senza inferire in quanto Maximos mi aveva dichiarato, convinto che la Grecia avrebbe inutilmente fatto prova di buona volontà verso l'Albania.

Ad un mio rilievo circa tono favorevole improvvisamente adottato dalla stampa governativa relativamente questione scuole Nord Epiro (mio telespresso

n. 1209 odierno) (3) Pipinelli mi rispondeva che anche tali manifestazioni gli sembrano tempo perduto e che Governo ellenico sarà costretto a ricominciare sempre daccapo a trattare con Tirana.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Non rinvenuto: riferiva evidentemente sull'esecuzione delle istruzioni di cui al D. 655. (3) -Non rinvenuto.
683

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 7 agosto 1935.

Mi telefona S. E. Grandi che tutti i Ministri, Hoare, Eden, ecc. sono assenti da Londra (1). L'altro giorno si sono trovati in città per circa mezz'ora e ne sono quindi ripartiti senza nemmeno recarsi al Foreign Office.

Non si dimostra alcun interesse per le trattative a tre che si considerano con molto scetticismo a differenza dell'enorme interesse riscontrato per la recente riunione della Società delle Nazioni.

684

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 7 agosto 1935.

RIUNIONE A TRE

Come si è osservato nell'altro appunto (2), la riunione a tre non presenta poche chances di arrivare a qualche risultato.

I punti di vista in partenza italiano ed inglese sono diametralmente opposti. Basta ricordare le parole dette dal signor Eden alla radio a commento della recente deliberazione del Consiglio: «Il secondo (punto della deliberazione del Consigilo) investe un più vasto aspetto della questione e comporta l'apertura di negoziati da parte delle tre Potenze -Gran Bretagna, Francia ed Italia che col Trattato del 1906 si impegnavano a cooperare al mantenimento della integrità politica e territoriale dell'Abissinia, per una soluzione pacifica che non possa conseguirsi senza la conoscenza ed il consenso del Governo etiopico ~.

Se quindi le due Parti, Italia e Gran Bretagna, dovessero esporre direttamente ed integralmente i loro punti di vista, non rimarrebbe altro che constatare la inconciliabilità delle posizioni reciproche.

Va esaminata quindi la possibilità di presentare il nostro punto di vista in modo da non arrivare fino dal primo momento ad una rottura. mentre la Francia dovrà agire in modo analogo sulla Gran Bretagna. Si può studiare da parte nostra una soluzione del genere: partire dal Trattato di Uccialli che rappresenta la direttiva costante della politica italiana, quella cioè di ottenere una forma di protettorato sull'Abissinia che le consenta una pacifica espansione demografica ed economica.

La guerra sfortunata, la impreparazione dell'Italia di allora al suo compito colonizzatore, la mancanza di armamento da parte abissina, hanno portato ad

un periodo di stasi nello sviluppo di questa politica italiana ed anzi al tentativo fatto, d'accordo con le altre due Potenze vicine, di una politica di amicizia, che consentisse di ottenere i fini perseguiti dall'Italia in via pacifica.

Questa politica è fallita in pieno ed irrimediabilmente; l'Abissinia oggi è fortemente armata, è pervasa da uno spirito nazionalista xenofobo ed è decisa più che mai ad opporsi alla influenza italiana in quanto riconosce nell'Italia l'unico Paese che abbia le energie demografiche necessarie ad organizzare l'Etiopia con criteri moderni e civili. Il che vuol dire la fine dello sfruttamento delle razze conquistate, dello schiavismo, della barbarie e di tutti gli altri elementi che mantengono al potere la razza e la classe dominanti.

Il Tripartito era stato fatto in un'epoca quando si poteva anche sperare in una politica di pace e di amicizia con l'Abissinia. Ciò non è più ,possibile in modo assoluto per quanto riguarda l'Italia, ma anche per quanto riguarda le altre Potenze. Quindi il Tripartito deve essere riveduto in base alla nuova situazione. Ciò non vuol dire che noi non siamo disposti ad esaminare e negoziare gli impegni reciproci presi sulla base del Tripartito per quanto riguarda i diritti riservati a ciascuno dei tre Stati contraenti, quando sia modificato come dovrà necessariamente essere modificato lo statu quo etiopico.

In queste condizioni, la soluzione della questione etiopica da parte dell'Italia, oltre che necessaria è urgente.

Non solo nel caso che l'Italia oggi si ritirasse, ma anche non raggiungesse in pieno i suoi scopi, l'Abissinia verrebbe ad esserne talmente innalzata moralmente da costituire il focolare di indipendenza e di riscossa di tutte le razze negre ed in genere di colore, contro le Potenze colonizzatrici.

Nelle condizioni attuali è assurdo credere che il programma italiano, quello cioè di ottenere una espansione pacifica, economica e demografica in Etiopia, possa essere raggiunto con accordi negoziati liberamente col Negus. Bisogna che le concessioni all'Italia siano appoggiate ad un sistema di controllo politico tale da renderle efficienti.

Ora nessuna condizione di tranquillità e nessun controllo politico sarà possibile se l'Abissinia continuerà a rimanere armata.

Le Potenze vicine hanno sempre intravvisto questo pericolo dell'armamento abissino, tanto che nel 1930 si sono indotte a fare un accordo per determinate limitazioni nell'acquisto delle armi da parte abissina: la posizione dal 1930 ad oggi è radicalmente cambiata; oggi, seguendo il criterio stesso adottato allora, non basta più la limitazione degli armamenti, ma ci vuole il disarmo effettivo. Questa è la prima condizione assoluta per poter compiere qualsiasi opera di colonizzazione e di civiltà in Abissinia. Il compito del disarmo non sarà semplice; deve essere compiuto per quanto possibile con mezzi pacifici; ma in caso di opposizione da parte del Governo etiopico bisogna arrivare fino alle misure estreme. Il compito di procedere al disarmo, e di controllare poi il mantenimento del disarmo stesso, deve essere affidato all'Italia che ha una prevalenza di diritti in Abissinia e che ha sul posto per la propria difesa tutte le truppe necessarie ad un compito così oneroso.

All'Italia, che si assume nell'interesse comune il grande sacrificio di denaro e forze di uomini congiunto col compito suddetto, deve essere data anche la possibilità di realizzare i fini della sua politica in Abissinia.

Ai futuri negoziatori potrà essere lasciata tleterminare la forma dell'intervento permanente italiano in Abissinia. Naturalmente il controllo italiano avrà delle forme diverse a seconda del grado di resistenza che incontrerà nell'eseguire il proprio compito; ad ogni modo le provincie periferiche che sono state conquistate nell'ultimo mezzo secolo e che sono sfruttate dagli abissini, dovranno essere sottoposte ad un dominio diretto da parte dell'Italia: ciò che potrà anche contribuire a risolvere la questione della rettifica di frontiere e delle comunicazioni tra le due colonie. Tutta questa parte andrebbe esposta in un secondo tempo, a negoziati avanzati, per non brusquer la situazione fin dall'inizio.

Per quanto riguarda la procedura pare importante che non si venga in un primo momento ad una esposizione integrale delle rispettive tesi, sia pure nella forma indicata più sapra. Ciò potrebbe portare alla rottura dei negoziati. Se ci fosse il tempo e la possibilità di una preparazione con assaggi preliminari in via diplomatica, meglio, altrimenti si potrebbe cercare tuttavia di evitare dì arrivare ad un punto di crisi fin dalle prime sedute. Perciò bisognerà concordare fin da ora che la prima riunione debba non entrare nel vivo della questione, ma limitarsi a delle affermazioni molto generiche, affidando sia alla via diplomatica normale sia a degli esperti, di studiare determinati problemi che sarebbero sottoposti ad un'ulteriore riunione dei rappresentanti delle tre Potenze e che servirebbero a far progredire i negoziati. Nel frattempo andrebbero attivati gli scambi di idee tra l'Italia e la Gran Bretagna attraverso la Francia che viene ad assumere, per necessità in tale controversia, la parte di mediatrice. Così si potrà vedere se e quando sia possibile riunire nuovamente i rappresentanti delle tre Potenze evitando lo shock della rottura dei negoziati.

(l) -La telefonata di Grand! è in rapporto alle istruzioni d! eu! al D. 657. (2) -L"altro appunto è queUo che, con le correzioni apportate da Mussol!n!, reca la data definitiva del 9 agosto: vedi D. 706.
685

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 7 agosto 1935.

La Convenzione anti-absburgica fa parte del complesso degli Accordi conclusi a Rapallo il 12 novembre 1920 tra l'Italia e la Jugoslavia. Se ne allega ad ogni buon fine copia (1).

Essa fu estesa successivamente anche alla Cecoslovacchia in occasione della visita di Benes a Roma nel febbraio del 1921. (Scambio di lettere Benes-Sforza dell'8 febbraio 1921).

Da un punto di vista strettamente giuridico si può sostenere che essa vige ancora. Il Comm. Pilotti in passato propendeva infatti per tale tesi sulla base dell'art. 5 della Convenzione che stabilisce che essa è rinnovabile di due in due anni ove non la si denunci sei mesi prima della scadenza.

Però il testo di tale articolo non giustifica completamente tale punto di vista. Infatti vi si parla di denuncia, e ove questa manchi si dice che la Convenzione

è « rinnovabile ». Ora la rinnovazione è un atto positivo di volontà che si deve manifestare in forme idonee. Denuncia non vi è stata, ma neppure rinnovazione. La formula usata nell'articolo 5 non è consueta, ma esclude la rinnovazione ipso jure o tacita.

Sembra quindi che anche da un punto di vista strettamente giuridico la Convenzione non sia più in vigore.

D'altra parte ciò trova la sua riconferma nella circostanza che nel 1924, quando si è concluso con la Jugoslavia il Patto di amicizia e collaborazione in occasione deìla sistemazione fiumana, non si è fatto nel testo dell'accordo alcun riferimento esplicito alla Convenzione anti-absburgica. Il Patto di amicizia itala-jugoslavo del 1924 prevede il mantenimento dell'ordine stabilito dai Trattati del Trianon e di San Germano, e quindi prevede evidentemente la collaborazione anche in materia absburgica. Il Trattato del 1924 è stato lasciato cadere nel 1930, e quindi ormai nessun impegno deve considerarsi come esistente tra noi e la Jugoslavia in materia politica e, in particolare, nella questione absburgica.

Altra circostanza contro la tesi del permanere in vigore della Convenzione anti-absburgica del 1920, è che durante questi ultimi anni in ogni occasione in cui si è discusso di una nuova sistemazione di rapporti itala-jugoslavi, mai si è fatto riferimento alla Convenzione suddetta, ma si è parlato soltanto della questione absburgica come problema politico attuale o futuro, rientrante nel quadro degli interessi diretti dei due Paesi, ma al di fuori di qualsiasi stipulazione contrattuale esistente.

La domanda quindi rivoltaci dal Governo jugoslavo (1), alla luce di questi precedenti, deve essere posta in relazione non tanto alla validità formale e giuridica dell'Accordo del 1920, quanto all'eventuale coincidenza di punto di vista tra i due Governi su una questione attuale e che a torto o ragione il Governo jugoslavo, come quello cecoslovacco, ha sempre considerato di importanza capitale, in via assoluta e in relazione ad una chiarificazione di rapporti con noi.

La risposta che si potrebbe quindi dare al Signor Stojadinovic potrebbe essere sulle linee seguenti:

a) dal Iato giuridico la Convenzione del 1920 è decaduta. Il Patto del 1924 che, in fondo, la assorbiva è pure decaduto. Nessun impegno formale e particolare è quindi in essere fra i due Paesi per quanto riguarda gli Absburgo;

b) dal Iato politico, consideriamo che la questione di una restaurazione non è affatto attuale; non per l'Austria, tanto meno per l'Ungheria. Certamente la questione ci interessa, ma riteniamo che con il passare degli anni e con lo svolgersi e il mutare delle situazioni, la questione absburgica venga ad assumere carattere e aspetti molto diversi.

Non apprezziamo completamente i motivi della opposizione così intransigente di alcuni Stati successori, ma non puntiamo nemmeno sulla carta absburgica.

Riteniamo poi sopratutto che la questione non sia attuale, e che per conseguenza sia prematuro oggi assumere degli atteggiamenti troppo recisi, essendo piuttosto nell'interesse di tutti di riservarsi sul proprio atteggiamento defi

49 -Documenti diplomatici -Seri9 VIII -Vol. I

n~tivo quando eventualmente la questione si presentasse come questione attuale, ciò che del resto non pare né prossimo, né tanto meno imminente.

Vedrà poi V. E. se la domanda rivolta ora dal Governo jugoslavo non potrebbe essere occasione propizia per il principio di quel diretto contatto fra i due Governi che in ogni caso dovrebbe essere sempre preludio di ogni eventuale più duratura e concreta chiarificazione itala-jugoslava, che appare sempre più opportuna (1).

(l) Non pubblicata: testo in Trattati e convenzioni tra il Regno d'Italia e gli altri Stati, vol. XXVI, Roma, Tipografia del Ministero de!i:li Affari Esteri, 1931, pp. 775-782.

(l) Vedi D. 660.

686

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A COPENAGHEN, CAPASSO

T. 1393/23 R. Roma, 8 agosto 1935, ore 2.

Segnalo a V. S. dichiarazioni del rappresentante danese all'ultima seduta del Consiglio (2). Tono poco amichevole nei nostri riguardi è stato tanto più rilevato non solo perché in contrasto con sentimenti di responsabilità di cui hanno dato prova con loro contegno deferente altri membri del Consiglio ma perché delegato danese, che ha tenuto a ostentare in questa occasione uno zelo societario assolutamente fuori posto, fu l'unico ad astenersi nella sessione di aprile quando trattavasi di riaffermare solidarietà societaria contro violazione Trattato Versailles che minacciava sicurezza Europa.

La S. V. vorrà far presente a codesto Governo, nelle forme che riterrà più opportune, la sfavorevole impressione prodotta da tale atteggiamento in contrasto con gli affidamenti non richiesti di questo Ministro di Danimarca, come da mio telegramma per corriere 1298 (3), e contrari alla cordialità dei rapporti che corrono tra i due Paesi (4).

687

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI

T. 1411/452 R. (5). Roma, 8 agosto 1935, ore 24.

Dica a Lavai che l'atmosfera itala-jugoslava è in via di progressivo chiarimento e che sarebbe molto necessario affrettare processo Marsiglia, dopo di che orizzonte itala-jugoslavo sarebbe sgombro da ogni nebbia e la politica dei due Paesi marciare verso una pratica intesa (6).

(l) -Un appunto manoscritto di Suvich «per il Capo del Governo», in pari data, dice: «!:articolo 5° pare chiaro: la Convenzione è restata in vigore per due anni dopo la ratifica (è stata ratificata allora); non essendo stata denunciata sei mesi prima della scadenza si è rinnovata per altri due anni, dopo di che è decaduta (questo al massimo perché è detto "rinnovablle" e non "rinnovata"). Si può quindi rispondere alla Jugoslavia che la Convenzione non è più in vigore. Il che corrisponde al nostro interesse per l'andamento dei negoziati ». In questo appunto MussoHn! ha annotato: «Approvo la conclusione». (2) -Vedi D. 664. (3) -Vedi D. 564. (4) -Pe~ la risposta vedi D. 696. (5) -Minuta autografa. (6) -Per la risposta di P!gnatti vedi D. 709.
688

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'INCARICATO D'AFFARI A STOCCOLMA, SERENA

T. 1412/31 R. Roma, 8 agosto 1935, ore 24.

Questo Incaricato d'Affari di Svezia è stato intrattenuto sulle varie manifestazioni della Svezia a proposito della quistione etiopica, che non corrispondono allo spirito amichevole che ha finora animato le relazioni fra i due Paesi: attività degli ufficiali svedesi in Etiopia; Comitato per la Croce Rossa Etiopica; Trattato di amicizia tra la Svezia e l'Etiopia ecc.

Gli è stato detto che se tali manifestazioni continuino, esse avranno necessariamente delle ::;erie ripercussioni nei rapporti fra l'Italia e la Svezia (1).

689

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI

T. 8294/200 P. R. (2). Roma, 8 agosto 1935, ore 24.

Per ragioni evidenti bisogna disciplinare ma alimentare manifestazioni italiani d'Egitto al passaggio delle nostre navi dirette in A. O. Questo entusiasmo è già stato segnalato dal Daily Telegraph ed· è significativo per il mondo e di conforto per le nostre truppe (3).

690

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 567. Londra, 8 agosto 1935.

Con riferimento mio telegramma in chiaro n. 556 e telegramma cifra

n. 557 (4) giornali stamane riproducono notizia data ieri dal Daily Telegraph circa rimostranze fatte dal Governo britannico a quello Italiano, per gli attacchi della stampa italiana contro l'Inghilterra, e ciò in occasione di un colloquio fra Vansittart e il sottoscritto il 26 luglio u.s. (5).

Ho domandato oggi a Vansittart di spiegarmi la ragione perché il Foreign Office ha sentito il bisogno, precisamente a 14 giorni di distanza dal nostro

colloquio del 26 luglio di fare circolare questa notizia attribuendo al colloquio un'importanza ed una proporzione che esso non ha avuto. Durante quest'ultimo infatti si è parlato soltanto incidentalmente di attacchi della stampa italiana all'Inghilterra e di attacchi della stampa inglese all'Italia, argomento che ritorna del resto in quasi tutte le conversazioni al Foreign Office.

vansittart mi ha risposto dicendo che in questi giorni il Foreign Office è stato premuto ed invitato da più parti a richiamare l'attenzione del Governo italiano sull'argomento, e che egli, allo scopo di attenuare la cosa al minimo indispensabile, aveva creduto opportuno di evitare di fare direttamente un passo attraverso l'Ambasciata britannica a Roma, e di riferirsi semplicemente all'ultima conversazione avuta col sottoscritto durante la quale si era parlato di questo argomento.

(l) -Per la risposta vedi DD. 698, 724 e 745. (2) -Minuta autografa. (3) -Con T. 8637/343 P.R. del 12 agooto 1935, ore 21,40, Ghigi assicurava di aver dato seguito alle istruzioni ricevute e riferiva circa le manifestazioni di patriottismo da parte di connazionali al passaggio delle navi dirette in Africa Orientale. (4) -Con 1 telegrammi 556 e 557 del 7 agos~o 1935 Grandi aveva riferito la notizia data dal Daily Telegraph. (5) -Vedi D. 628.
691

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4603/0137 R. Londra, 8 agosto 1935 (per. il 12).

In assenza di Hoare, ho visto oggi Vansittart e mi sono espresso con lui nei termini delle istruzioni del telegramma n. 2&1 (l). Ho insistito sulla gravità e sull'estrema delicatezza della situazione che impone di fissare nettamente sin da oggi le responsabilità di fronte al problema della pace in Europa ed ai rapporti fra Italia e Inghilterra, e mi sono richiamato frequentemente ai punti essenziali della lettera di risposta del 31 luglio u.s. del Duce a Drummond (2), lettera che, a mio giudizio, costituisce per oggi e per l'avvenire il documento storico fondamentale, nei riguardi dell'Inghilterra, dei diritti i~aliani nell'Africa Orientale.

Non ho mancato di essere assolutamente preciso nell'esporre il pensiero di V. E. sulle fatali conseguenze dell'atteggiamento inglese che sta incoraggiando le velleità di tutti gli elementi interessati a profittare della scissione manifestatasi fra le due Grandi Potenze garanti di Locarno; le recenti dichiarazioni di Hoare e di Eden costituiscono sotto tale aspetto due documenti di indubbia gravità che io non potevo a meno di deplorare nel modo più severo.

Vansittart mi ha ascoltato attentamente ed ha replicato dilungandosi in affermazioni che V. E. già in parte conosce, e che dimostrano come la mentalità di Vansittart abbia ben poco imparato dall'esperienza di 1questi ultimi mesi. Vansittart ha insistito contestando che il Governo inglese abbia aiutato l'Abissinia contro l'Italia: il Governo inglese ha soltanto cercato e cerca di salvare la S.d.N., che è alla base della politica interna ed estera britannica. «Se la situazione -egli mi ha detto --ha mostrato ultimamente i segni di un qualche peggioramento ciò è dovuto sopra tutto all'inasprimento delle polemiche itala-britanniche, alla propaganda ostile fatta in Italia contro l'Inghilterra, sulla quale Sir Eric Drummond ha inviato da Roma dei rapporti veramente

preoccupanti ed allarmanti, e alla indifferenza colla quale l'Italia ha accolto il discorso pronunciato da Hoare ai Comuni 1'11 luglio, discorso che il Governo britannico considerava come una apertura di negoziati per una soluzione del problema etiopico fuori della S.d.N. e che non aveva trovato nel Governo italiano una rispondenza che valesse ad incoraggiare su questa strada il Governo britannico. Hoare era stato così costretto ripiegare sulle posizioni di ortodossia ginevrina ».

«Noi -ha continuato Vansittart -· non vogliamo un conflitto con l'Italia né sul terreno coloniale né sul terreno europeo. Sul terreno coloniale abbiamo dichiarato, e Sir Eric Drummond ha riaffermato nella sua lettera del 24 luglio al Capo del Governo (1), il nostro atteggiamento non è dettato né da ragioni imperiali, né da una preoccupazione dei nostri interessi africani. Sul terreno europeo abbiamo fatto il possibile per mettere in chiaro che l'Inghilterra, mentre non può accettare una aperta e deliberata violazione del Patto della S.d.N. non può per suo conto erigersi a garante di questo Patto. Quando per la prima volta in Inghilterra si è parlato di sanzioni contro l'Italia abbiamo immediatamente messo in chiaro che l'Inghilterra non poteva prendere l'iniziativa di sanzioni contro l'Italia, sanzioni che in ogni modo dovrebbero essere adottate col consenso unanime di tutti i membri della S.d.N. Dirò di più, nella lettera che Sir Eric Drummond ha diretto il 24 luglio al Capo del Governo è stato omesso qualunque accenno all'art. 16 e ci siamo limitati a richiamarci all'art. 12 e cioè alla procedura di arbitrato. Noi abbiamo una opinione pubblica che ci chiede di difendere la S.d.N. Non possiamo ignorare ciò. Quello che potevamo fare e stiamo facendo è di ridurre al minimo la nostra azione, la quale è consistita sinora in un'azione dimostrativa. Dobbiamo mostrare di fare il possibile per impedire la guerra, anche se la guerra è in realtà inevitabile, e dobbiamo dimostrare al Paese che abbiamo fatto il possibile per evitarla. Io sono stato e sono contrario alla guerra itala-abissina, e ancora oggi vorrei che si trovasse il modo di evitarla. La guerra itala-abissina significa un colpo mortale alla S.d.N., sia nell'ipotesi che l'Italia abbandoni la Lega, sia nell'ipotesi che la guerra sia fatta coll'indiretta complicità della Lega. In ambedue i casi il contraccolpo sulle direttive della politica estera britannica sarebbe immediato e fatale, perché l'Inghilterra sarebbe costretta ad abbandonare automaticamente il suo programma di collaborazione sul Continente, collaborazione che l'Inghilterra può essere portata ad accettare soltanto attraverso la Lega delle Nazioni. Questo va detto sopratutto nei riguardi della questione dell'indipendenza austriaca, e ciò dovrebbe far riflettere tanto l'Italia quanto la Francia ».

È superfluo che io ripeta a V. E. quello che parola per parola ho ribattuto a vansittart, contestando. ad una ad una le sue asserzioni: è del resto quello che vado facendo ogni giorno da sei mesi a questa parte. « Anche se è vero, come voi affermate, che l'Inghilterra non ha provveduto materialmente di fucili e di cannoni l'Abissinia, l'Inghilterra ha però armato l'Abissinia ai danni dell'Italia in modo ben più grave, col favorire le velleità di resistenza del Negus, e col dare al mondo lo spettacolo di un aspro e aperto contrasto itala-britannico di cui l'Abissinia si è valso e si sta valendo per guadagnare alla sua causa

correnti di opinione pubblica che mai altrimenti avrebbero pensato di interessarsi ad un paese di schiavisti selvaggi come l'Etiopia ». Ho dichiarato a Vansittart che io dissentivo profondamente da lui nella valutazione dei sentimenti del popolo britannico; che l'infatuazione per la S.d.N. rappresenta una fase transitoria della psicologia elettorale britannica, e che la questione dell'intervento britannico nella politica europea sarebbe e sarà decisa sempre e soltanto in base al calcolo brutale degli interessi britannici, dentro, fuori o contro la S.d.N. L'accordo navale recentemente concluso colla Germania, proprio l'indomani della più clamorosa e flagrante violazione dei trattati di pace e del Patto della S.d.N. compiuta dalla Germania, sta a dimostrarlo. II rifiuto dell'Inghilterra a schierarsi apertamente fra le Potenze garanti dell'indipendenza austriaca giustifica e conferma pienamente le diffidenze dell'Europa nei riguardi di un ipotetico intervento dell'Inghilterra: questo sarà sempre comunque limitato e circoscritto a quello che nel momento del pericolo sarà, a torto o a ragione, giudicato un diretto interesse britannico. L'Inghilterra ha commesso un gravissimo errore nell'esagerare la portata delle ripercussioni che nell'Europa avrebbe avuto la guerra itala-etiopica e si è assunta la più grave delle responsabilità, legando alla questione abissina -che è una questione di carattere puramente coloniale -il problema della sicurezza europea. Questa sicurezza non ha riposato mai sulla S.d.N., ma sulla solidarietà itala-britannica, e sul comune interesse dei nostri due paesi a mantenere l'equilibrio politico europeo. Rotta, per colpa dell'Inghilterra, questa solidarietà, la sicurezza collettiva in Europa verrebbe a mancare. Già comincia, del resto, a manifestarsi in Europa un certo turbamento, quale conseguenza diretta della tensione nei rapporti itala-britannici: ciò dimostra che quelli che l'Inghilterra prospetta come possibili pericoli derivanti da una guerra dell'Italia in Africa, è poi l'Inghilterra medesima a provocarli col solo fatto di dare al mondo lo spettacolo di una frattura del sistema di cooperazione itala-britannica. Più infatti il Governo britannico insiste sulle catastrofiche conseguenze che avrebbe per l'Europa il conflitto itala-abissino, più esso incoraggia l'azione di coloro i quali hanno interesse a turbare la

pace dell'Europa, precostituendo inconsciamente a loro favore un alibi per una possibile eventuale azione aggressiva. Non è vero che il Duce non si sia reso conto di quelle che sono le posizioni e le esigenze di politica interna del Partito Conservatore. Il Duce è sempre venuto incontro al Governo britannico fin dove il Governo britannico ha mostrato di voler conciliare, sulla realtà dei fatti e non su affermazioni puramente verbali e non definite, le proprie esigenze di politica interna con quelle che sono le supreme necessità della Nazione italiana. Alla grottesca proposta di cessione di Zeila all'Abissinia, il Duce ha risposto sottoponendo un programma ragionevole e preciso. È il Governo britannico che l'ha lasciato cadere: se il Governo britannico ha veramente a cuore, come proclama, la pace dell'Europa e la stabilità dei rapporti itala-britannici, occorre che esso muti interamente la propria linea di condotta. La prossima riunione di Parigi offre all'Inghilterra l'ultima occasione per farlo; dopo sarà troppo

tardi.

La guerra d'Africa è per l'Italia fascista una necessità storica capitale e improrogabile. Essa investe la nostra sicurezza, le necessità della nostra espansione, ossia la nostra esistenza nazionale. « Chi intende fermarci o deviarci dalla nostra strada è nostro nemico », ho concluso. «Fortunatamente vi è ancora tanto istinto politico e del buon senso . comune in Inghilterra da indurmi a sperare che essi finiranno col prevalere su una politica che, ove fosse ulteriormente perseguita, provocherebbe tutti i gravi danni che tale politica pretende di evitare, e cioè provocherebbe la fine della Lega delle Nazioni, distruggerebbe il sistema delle garanzie di Locarno, metterebbe in pericolo la pace dell'Europa, e da ultimo provocherebbe anche, con quasi certezza, la sconfitta elettorale dello stesso Partito Conservatore».

Questo, nelle linee essenziali, il mio colloquio con Vansittart. Esso rispecchia la posizione formale del Governo britannico. Ma nella realtà la situazione non è così immobile né così rigida quale Vansittart ha voluto ancora una volta rappresentarla. L'opinione pubblica inglese è profondamente divisa nei riguardi della questione abissina, perché se da una parte vi è chi reclama uh intervento attivo della S.d.N. e l'applicazione integrale Ciel Covenant, dall'altra vi sono correnti che con non minore energia reclamano la neutralità dell'Inghilterra, e mano libera all'Italia. Il Governo insiste nel suo programma d'azione societaria, ma nello stesso tempo si preoccupa di spiegare sin d'ora che vi sono dei limiti oltre i quali questa sua azione di difesa del Covenant non può andare. La convinzione che la guerra sia inevitabile è ormai generale. Nessuno ha la minima illusione che le conversazioni tripartite di Parigi o che ulteriori riunioni ginevrine possano arrestare o. far deviare l'azione dell'Italia. Tanto più forte si fa questa convinzione tanto più viva si fa la preoccupazione del Governo inglese di costituirsi degli alibi che gli permettano di dimostrare alle masse elettorali che esso ha fatto tutto il possibile per evitare il confliitto. Questo spiega anche l'ansia colla quale molti deputati mi chiedono spesso e con insistenza quando incomincieranno le operazioni in Africa, ritenendo che una volta iniziata la guerra l'opinione pubblica sarà distratta da Ginevra e, a fatto compiuto, verrà a spegnersi, come è accaduto nei riguardi del Giappone e dell'azione giapponese in Manciuria, l'agitazione dei pacifisti inglesi per l'Abissinia.

(l) -Vedi D. 657. (2) -Vedi D. 639.

(l) Vedi D. 605.

692

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI ROMANIA A ROMA, LUGOSIANU

APPUNTO. Roma, 8 agosto 1935.

Il Ministro di Romania mi parla del Patto danubiano. Egli ritiene che la cosa sarebbe enormemente facilitata se l'Italia potesse dichiararsi disposta a conchiudere dei patti di mutua assistenza almeno nel caso che la Germania non aderisse al Patto. Secondo il Ministro di Romania la Germania non aderirà al Patto, in primo luogo perché non troverà mai conveniente nessuna formula di «non ingerenza », in secondo luogo perché non accetterà il richiamo alla Società delle Nazioni, ed in terzo luogo perché non potrà avere la garanzia assoluta che gli altri Stati rinuncino al Patto di mutua assistenza. Egli trova che queste pretese della Germania sono piuttosto sfacciate.

Ciò rientra però in tutto l'atteggiamento che la Germania segue attualmente: mentre tutti i Paesi si preoccupano della questione itala-abissina e cercano di fare del loro meglio per evitare che si venga a delle conseguenze estreme, i tedeschi si disinteressano completamente della cosa anzi cercano di acuire il dissidio tra l'Italia e l'Inghilterra perché dallo stesso essi hanno tutto da guadagnare.

Informo il Ministro, dietro sua richiesta, di alcune disposizioni del progetto francese e, per quanto riguarda la mutua assistenza, gli dico che noi, pur accettandone il principio, dobbiamo fare ogni riserva sulla sua applicabilità nel caso pratico (1).

693

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI (2)

L. P. (3). Roma, 8 agosto 1935.

Al punto in cui sono le cose, si tratta di sapere se la Gran Bretagna è disposta a farci la guerra per evitare che noi la facciamo alla Etiopia. È necessario, quindi, che io abbia le tue impressioni sulla questione (4).

694

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4524-4549/235-236 R. Buenos Aires, 9 agosto 1935, ore 0,25

(per. ore 8,15) (5).

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 139 (6).

Recatomi espressamente da questo Ministro Affari Esteri per manifestargli impressione di marcata sfavorevole sorpresa destata non solo dalle parole, ma dall'atteggiamento in genere del Delegato argentino a nostro riguardo nella Sessione Consiglio S.d.N., ho avuto ampia cura di svolgere singolarmente ciascuna delle considerazioni enumerate nel telegramma di V. E., aggiungendovi inoltre tutte quelle altre che i miei precedenti contatti con lui circa la S.d.N. autorizzavano a ritenere del caso ed a avvalorare.

Signor Saavedra Lamas, che mi ha ascoltato colla maggiore attenzione e cordialità, mi ha quindi fatto per V. E. le seguenti dichiarazioni delle quali ho preso nota per iscritto in sua presenza:

l) Governo argentino mantiene assolutamente inalterata la sua tradizionale amicizia per l'Italia, nonché tutta la deferente simpatia che nutre

(-4) Per la risposta vedi D. 740.

per il grande Capo del suo Governo, signor Mussolini, cui è particolarmente grato per sentimenti reciprocamente tanto cortesemente dimostrati in ripetute occasioni.

2) Governo argentino che non ebbe nullamente intenzione di compiere alcun atto che fosse comunque poco amichevole verso Italia, è pertanto dolente che atteggiamento del proprio Rappresentante a Ginevra abbia potuto prestarsi a simile interpretazione.

3) Istruzioni, che suddetto Rappresentante aveva, erano genericamente in senso pacifista (e ciò è ovvio tenuto conto opinione pubblica e politica interna. zionale Argentina), ma contenevano apposite direttive di astenersi dal far

dichiarazioni di voto, a meno di impreviste necessità del momento (sic).

4) Non appena avuto notizia dello svolgimento della seduta, Saavedra

Lamas telegrafò spontaneamente a Ruiz Guinazu per chiedergli chiarimenti del

caso.

5) In un lungo telegramma esplicativo di risposta che Saavedra Lamas mi ha fatto leggere testualmente, questi espone, a tentata giustificazione dell'iniziativa presa, circostanze di ambiente (sic), mancanza materiale di tempo per chiedere precise istruzioni, desiderio di valorizzare alta missione pacifista assunta nel mondo del proprio illustre Ministro degli Affari Esteri (sic) e inoltre (ciò che io, Arlotta, crederei poter ritenere abbia notevolmente influenzato a spingere il neo-delegato) le personali pressioni di Eden che gli faceva presente l'opportunità di sostenere nell'interesse della pace mondiale oltreché, beninteso, in quelli delle ampie relazioni politico-economiche anglo-argentine, la tesi societaria propugnata dall'Inghilterra.

6) Questo Ministro degli Affari Esteri, pur dicendomi (in attesa del testo

preciso della fatta dichiarazione di voto della quale non ha ancora esatta cono

scenza) di ritenere che Ruiz non abbia inteso comunque determinatamente agire

in forma poco amichevole verso l'Italia, mi ha ripetuto esplicitamente di esser

assai dolente che, travolto dalla novità dell'ambiente ginevrino, nonché da un

certo spiegabile amor proprio di acquistarsi merito personale .nell'avvalorare le

tendenze generali della Capitale argentina, Ministro Ruiz si sia lasciato trasci

nare ad un eccesso di iattanza pacifista (sic) che lo fece divagare da quei limiti

di prudente e imparziale riserbo questione specificatamente europea non diretta

mente interessante Argentina, se non in quanto generico principio.

7) A conferma di ché Saavedra mi ha detto francamente esser tale modo

di vedere fedelmente riportato nella fase conclusiva concernente atteggiamento

Argentina, dell'articolo della Nacion da me citato nel mio telegramma n. 233

di ieri (1).

Saavedra Lamas mi ha poscia ancora del tutto spontaneamente e reiterata

mente dichiarato non essere in alcun modo avvenuta sostituzione Cantilo con

intenzioni sfavorevoli all'Italia né comunque connessa con il confUto itala

etiopico.

Doversi in effetto considerare tale provvedimento motivato soltanto, egli ha affermato, dal desiderio Argentina tenere, al pari del resto di quanto praticato attualmente da altre trentadue Nazioni, un proprio ufficio permanente capace seguire sopra luogo in modo da stabilire gli affari ed i contatti a Ginevra senza che ciò renda d'altra parte necessarY perenni spostamenti i quali, oltre che riuscire costosissimi, avrebbero per esempio già fatto, nel caso di Cantilo, che questo in tutto l'anno scorso non si sarebbe soffermato a Roma che circa quattro mesi complessivamente rinnovandosi in tal modo assenteismo lamentato per il precedente Ambasciatore Perez.

Mi constava già d'altra parte, per avermelo detto i:q_ ripetute occasioni oltre che lo stesso Ministro vari altri funzionari di questo Ministero Esteri, come Cantilo avesse sollecitato con troppo assillante insistenza rinnovati aumenti di speciali indennità di viaggio e trasferte: penso in realtà che al complesso delle motivazioni indicatemi abbia concomitato intento approfittare di una favorevole occasione per sedare, con la nomina del Ministro dirò così locale, la viva rivalità manifestatasi come è noto da parte di altri ambasciatori e specialmente di Lebreton fino dall'epoca dell'incarico a Cantilo.

In quanto alla scelta fatta nella persona di Ruiz Guifiazu che questo Ministro degli Affari Esteri non può, come si comprende, totalmente rinnegare per aver egli stesso così di recente designato il nome all'approvazione del Consiglio dei Ministri, mi ha detto Saavedra Lamas, nel mostrarsi come ho innanzi riferito sorpreso e seccato della «mancanza di senso di opportunità e di misura da lui dimostrata a Ginevra», che era stato indotto a giudicarlo adatto alle delicate mansioni dalla buona prova data nei suoi precedenti di professore di Università, competente per diversi lavori di Diritto pubblico ed avvezzo a trattare serenamente con ambienti svariati.

Ad un certo momento il mio interlocutore ha testualmente esclamato: « Quando anche, contrariamente alle indicazioni di qui trasmessegli, Ruiz avesse considerato indispensabile una dichiarazione di voto, avrebbe potuto benissimo con un poco di elementare esperienza, farla semplicemente per conto suo (in conformità dei principi proclamati Argentina) [auspicando] una soluzione pacifica, e senza entrare in particolari di merito capaci apparire come poco deferenti e imparziali».

Il Ministro degli Affari Esteri ha concluso le sue dichiarazioni asserendo che per la prossima riunione del Consiglio (nella quale a quanto pare la Presidenza spetterebbe all'Argentina) verrebbero date precise istruzioni al proprio Delegato di astenersi dal parlare sull'argomento; in quanto ad una presidenza dell'Assemblea della S.d.N. mi ha dichiarato fermamente che farà di tutto per evitare che venga conferita a questo Paese.

Riassumo le impressioni da me riportate da tutta la conversazione nel senso che Saavedra Lamas sia stato realmente seccato della incontinenza dimostrata in questa prima prova dal neo-Delegato per cui gli abbia fatto un appropriato richiamo, ed inoltre sinceramente dolente (giusta quanto ho riferito in pncrp10 avermi egli pregato di dichiarare a V. E.) dell'apparente (sic) difetto di cordialità verso l'Italia.

Non ho mancato, prima di chiudere il prolungato colloquio, di ritornare particolareggiatamente sulle documentate ragioni di diritto, storiche, razziali, demografiche, di civilizzazione, di prestigio che, imparzialmente raffrontate ai sistemi seguiti in primissima linea dall'Inghilterr:;t e dalla, Francia anche nel dopoguerra per la conquista ed il mantenimento dei loro vasti Imperi, determinano sulle più salde basi la nostra politica coloniale.

Di fronte qualche accenno che mi faceva il Ministro degli Affari Esteri ai possibili disagi e perdite vite inerenti ad una prolungata campagna africana e in generale alla guerra, non ho esitato a fargli rilevare come un eventuale compito di Ginevra e di qualsiasi altro Consesso con intento realmente pacifista, in nessun modo più meritorio potrebbe esplicarsi se non col concentrare ogni sforzo a convincere nel loro stesso interesse nostra intestardita oppositrice Etiopia al riconoscimento e pratica realizzazione incontestabile diritto dell'Italia.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussol!n!. (2) -Ed. !n B. MUSSOLINI, Opera omnia, VOl. XLII, Roma, Volpe, 1979, p. 114. (3) -Testo autografo. (5) -La seconda parte del telegramma, spedita alle 18,29, è pervenuta alle ore 3,10 del 10. (6) -Vedi D. 678.

(l) Con T. 4501/233 R. del 7 agosto 1935, ore 1,50, Arlotta aveva segnalato un art.icolo della Nacion, di probabile ispirazione ufficiosa, nel quale veniva mitigata la portata delle dichiarazioni del delegato argentino ed affermata la convenienza per l'Argentina di non mischiarsi alla leggera in questioni di politica europea. ·

695

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4554/267 R. Shanghai, 9 agosto 1935, ore 16 (per. ore 5,10 del 10).

Ministro Finanze Kung, che funziona attualmente anche da Ministro degli. Affari Esteri, mi ha chiesto della questione abissina, esprimendo fiducia soluzione pacifica.

Ho risposto che ciò dipende da altrui comprensione per necessità Italiane.

Alla obiezione relativa ai grandi preparativi dell'Italia, ho risposto essere questa una condizione indispensabile anche per comprendere nostra ferma decisione e per rimuovere resistenze attuali che alimentano speranze Etiopia, preparando in nome dell'umanità spargimento di sangue.

Poiché qui si fanno paragoni frequenti tra azione giapponese in Manciuria e azione italiana in Abissinia, ho pregato Kung confutare tale paragone cui conseguenza sarebbe che, se l'Italia è eguale a Giappone, Abissinia è eguale a Cina il che è assurdo; Cina infatti essere madre civiltà Estremo Oriente e vittima di un popolo dello stesso sangue e dello stesso livello, mentre l'opposto di tutto ciò ricorre nel caso dell'Abissinia di fronte all'Italia.

696

IL MINISTRO A COPENAGHEN, CAPASSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4543/40 R. Copenaghen, 9 agosto 1935, ore 18 (per. ore 22,25).

Telegramma di V. E. n. 23 (l). Benché gliene avessi già tenuto parola ieri l'altro in occasione delle repliche dei giornali danesi ai rilievi della stampa italiana (mio telegramma n. 39) (2)

non ho mancato ritornare sull'argomento con questo Ministro degli Affari Esteri in seguito alle istruzioni dell'E. V.

Signor Munch si è mostrato dolente e alquanto preoccupato della interpretazione data dal R. Governo alle dichiarazioni di Scavenius il quale si sarebbe limitato a rilevare che la Commissione arbitrale per Ual-Ual non poteva liquidare conflitto, da approvare la presa in esame della questione generale in settembre da parte del Consiglio della S.d.N. e a ringraziare Eden per la promessa di informazioni sulla conferenza tripartita di Parigi.

Ho ribattuto che la parola e il tono di Scavenius significavano adesione generale al punto di vista sostenuto da Eden il quale, a parte le dichiarazioni posteriori alla radio, aveva già in Consiglio concluso suo discorso ricordando ai membri gli obblighi derivanti dal Covenant con evidente allusione alle sanzioni.

Ministro degli Affari Esteri mi ha risposto, prescindendo dalle intenzioni di Eden, questo non è affatto pensiero del Governo danese, il quale ha sempre ripetuto che in ordine di tempo il primo dovere del Consiglio, in base al Covenant, è di offrire la sua opera di mediazione. Ciò spiegherebbe, secondo lui, così passo di Kruse come atteggiamento danese in aprile quando l'astensione dal voto fu determinata appunto dal fatto che la risoluzione proposta affrettava i tempi e già conteneva minaccie di sanzioni contro Germania.

Riguardo sanzioni inoltre sig. Munch mi ha detto che suo Governo ha sempre tenuto e tiene presente che difficilmente esse possono oltrepassare la sfera morale.

Mi sono limitato a prendere atto delle sue dichiarazioni.

(l) -Vedi D. 686. (2) -Non pubblicato.
697

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4540/96 R. Bled, 9 agosto 1935, ore 19 (per. ore 24).

Secondo voci qui circolanti Inghilterra starebbe svolgendo presso varie Capitali europee azione per indurre Governo associati a misure da prendersi nei confronti Italia in caso guerra con l'Etiopia. Passo inglese non avrebbe incontrato nessuna accoglienza a Praga. A Belgrado pressione sarebbe stata anche più viva, valendosi Reale Famiglia inglese su Corte jugoslava.

Ho creduto opportuno interpellare questo Presidente del Consiglio. Stojadinovic mi ha escluso che tale azione siasi verificata presso il suo Governo e mi ha dichiarato nel modo più reciso che qualora essa dovesse verificarsi Governo jugoslavo non si presterebbe al giuoco perché:

l) non ha alcun interesse o ambizione coloniale, né scopo da perseguire in tale campo; 2) non ha ragione, né è disposto partecipare difesa interessi coloniali altrui; 3) desidera non fare alcun gesto che possa dispiacere all'Italia. Mi ha aggiunto avrebbe gradito che io comunicassi a V. E. queste sue esplicite dichiarazioni.

698.

L'INCARICATO D'AFFARI A STOCCOLMA, SERENA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4536/69 R. Stoccolma, 9 agosto 1935, ore 19,40 (per. ore 22,25).

Telegramma di V. E. n. 31 oggi pervenutomi (1).

Già ieri mattina di mia iniziativa avevo lungamente intrattenuto Segretario Generale di questo Ministero degli Affari Esteri sulle manifestazioni svedesi circa questione etopica attirando la sua più seria attenzione sulle ripercussioni che il loro persistere potrebbe avere sui rapporti fra l'Italia e la Svezia.

Mi riservo ritornare al più presto sull'argomento e di riferire (2).

699.

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A COPENAGHEN, CAPASSO

T. 1420/25 R. Roma, 9 agosto 1935, ore 23.

È stata richiamata l'attenzione di questo Ministro di Danimarca sulla dichiarazione fatta dal signor Scavenius nel Consiglio della S.d.N. il 3 agosto. Gli è stato detto che tale dichiarazione, anche messa in rapporto con quelle fatte dalla Danimarca in occasione della discussione delle deliberazioni di Stresa, mostrava un atteggiamento che -ove persistesse -avrebbe avuto delle serie ripercussioni sui rapporti fra i nostri due Paesi.

Il Ministro di Danimarca ha assicurato che avrebbe trasmesso questa comunicazione al suo Governo. Ha aggiunto che egli non si sentiva autorizzato a discutere la comunicazione stessa e che suggeriva che la comunicazione fosse fatta anche a mezzo del Ministro d'Italia a Copenaghen, al quale il Governo danese avrebbe potuto meglio fornire le spiegazioni e la risposta che gli apparissero del caso.

Prego v. E. esprimersi a nome R. Governo con codesto Ministro degli Esteri analogamente a quanto è stato fatto con questo Ministro di Danimarca (3).

700

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A PRAGA, ROCCO

T. 1422/89 R. (4). Roma, 9 agosto 1935, ore 23.

Da fonte francese sappiamo che sono in corso trattative del Governo etiopico con Slwda per una fornitura di armi. Ne parli immediatamente con Benes e riferisca (5).

(-5) Per la risposta vedi D. 715.

701.

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. 1423/315 R. {1). Roma, 9 agosto 1935, ore 23.

Secondo la dichiarazione Hull gli Stati Uniti lasciano libera esportazione armi per Etiopia. È necessario mobilitare immediatamente tutti i nostri servizi informativi per conoscere chi fornirà le armi, il volume di esse e con quali vapori saranno trasportate in Etiopia (2).

702.

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO

T. RR. 1425/204 R. Roma, 9 agosto 1935, ore 23.

Telegramma di V. E. n. 233 {3). Rimango in attesa conoscere risultato Sua osservazione diretta situazione quale Le apparirà durante Suo viaggio nel Nord.

Per quel che concerne atteggiamento autorità Tientsin concordo con V. E. nel ritenere che esso possa essere influenzato da Governo giapponese e che da questo punto di vista eventuale estensione Concessione italiana sia da considerarsi più difficile che negli anni scorsi.

Senonché appunto accresciuta influenza del Giappone nel Hopei potrebbe più facilmente indurre al momento opportuno Governo Nanchino addivenire a un'intesa segreta con noi, circa progettata estensione, una volta che noi promettessimo retrocessione, come accennato nel mio precedente telegramma (4).

In considerazione riguardi che debbono avere autorità Tientsin, anziché loro richiesta, dovremmo provocare richiesta residenti Concessione (5}.

(l) -Vedi D. 600. (2) -Vedi D. 724. (3) -Con T. 4557/41 R. del 10 agosto 1935, ore 12, Capasso rispose: «Passo presso questo Governo nel senso prescritto è stato già da me compiuto in seguito alle istruzioni contenute nel telegramma di V. E. n. 23, come ho riferito con mio telegramma di ieri n. 40 » (vedi DD. 686 e 696). (4) -Minuta autografa.
703

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI

T. (6). Roma, 9 agosto 1935.

Suoi telegrammi nn. 452, 457, 458, 459 (7). Approvo linguaggio di V. E. Resta inteso che Signor Politis sarà proposto da Commissari italiani come quinto arbitro della Commissione italo-etiopica

per gli incidenti di Ual-Ual ed incidenti successivi. Prendo atto che Politis non accetterà designazione altro che dopo avere studiato quistione e che declinerebbe offerta piuttosto che pronunciare una sentenza contraria a Italia. Governo italiano, forte com'è di poter provare l'aggressione etiopica di Ual-Ual, ritiene che i Commissari, giudicando secondo coscienza, non potranno fare a meno di riconoscere piena responsabilità etiopica (1).

Quanto alle idee espresse a V. E. dal Signor Politis, circa un futuro regolamento dei rapporti italo-etiopici e all'attività che svolge e che si proporrebbe di svolgere al riguardo, occorrerà che sia ben chiaro che il Governo italiano la ignora ed intende assolutamente prescinderne. Apparirebbe infatti fuor di luogo connettere la sentenza della Commissione arbitrale per determinati fatti specifici col futuro regolamento dei rapporti italo-etiopici che deve essere esaminato in un quadro politico di ben più vasta portata. Al riguardo sono del resto già stabilite delle conversazioni tra Italia, Francia e Inghilterra.

Sempre per quanto riguarda le preoccupazioni di Politis di usare riguardi all'Imperatore nel verdetto arbitrale, è pure da far presente che anche ai fini del regolamento generale dei rapporti tra l'Italia e l'Etiopia, una sentenza di carattere ambiguo avrebbe per risultato non di indurre il Negus a una maggiore arrendevolezza ma di incoraggiarne invece la resistenza.

v. E. vorrà esprimersi in tal senso con Lavai ed accordarsi con lui per una comunicazione in tal senso a Politis.

(l) -Minuta autografa. (2) -Pe.r la risposta di Rosso vedi D. 713. (3) -Vedi D. 530. (4) -Vedi D. 498. (5) -Per la risposta vedi D. 800. (6) -Telegramma non spedito. Un'annotazione avverte: «Il barone Aloisi parlerà con Lava!». (7) -Vecld. DD. 673 e 681.
704

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4604/045 R. Bruxelles, 9 agosto 1935 (per. il 12).

Con riferimento al mio telegramma n. 137 del 26 luglio u.s. (2), mi affretto ad informare che in base a qualche confidenza fattami da questo Ministero degli Esteri, starebbe per essere pubblicato da un giorno all'altro il decreto che sottopone all'obbligo della licenza preventiva la fornitura di materiale bellico per «tutte » le destinazioni.

Tale provvedimento comproverebbe da un lato che questo Governo ha intenzione di non deflettere dall'atteggiamento corretto adottato, su nostra istanza, nella questione dell'esportazione delle armi, mentre dall'altro ci consentirebbe più facilmente, una volta entrato in vigore, di controllare e fare ostacolare il traffico clandestino delle medesime tra il Belgio e l'Etiopia, attraverso destinazioni straniere intermedie.

(l) -Mussolinl cancellò qui la seguente frase: «Ciò ad avviso Governo italiano non puòcostituire umiliazione per l'Imperatore, giacché una sentenza di condanna per l'Etiopia non sarà che una naturale conseguenza del fatti:<>.. (2) -Vedi D. 615.
705

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4605-4606/021-022 R. Sofia, 9 agosto 1935 (per. il 12).

Ministro degli Esteri mi ha stamani intrattenuto lungamente delle gravi preoccupazioni che suscitano nel Governo bulgaro l'attuale recrudescenza di una campagna di stampa turca nei riguardi della Bulgaria e le sicure informazioni di cui questo Governo è in possesso circa il concentramento di truppe turche in Tracia. Si tratterebbe di un sessantamila uomini ammassati in un ristrettissimo settore, accampati sotto tende senza che si facciano preparativi nei centri urbani vicini per poterli in seguito sistemare in stabili caserme: stato di fatto questo che dovrebbe dimostrare che non si tratta di un concentramento predisposto in vista di una nuova definitiva dislocazione di forze nel paese ma per uno scopo determinato e di prossima attuazione giacché dopo ottobre per l'inclemenza della stagione la massima parte di queste truppe dovrebbe essere riportata in Asia Minore.

Secondo signor Kiosseivanov, per informazioni pervenutegli, Governo turco conterebbe sulla circostanza che in caso di un conflitto itala-abissino alla Bulgaria verrebbe meno l'aiuto dell'unica grande Potenza disposta effettivamente ad intervenire in suo favore e che un colpo di mano resterebbe impunito ed il fatto compiuto verrebbe sanzionato in un mondo assorbito da altre questioni. Ministro degli Esteri mi ha pregato d1 informare V. E. di questo allarmante stato di cose (l) in termini ancora più accorati di quanto in precedenza non avessero fatto il Generale Zlatev e S. M. Re Boris (vedi mio telespresso n. 1725/420 del 6 aprile e rapporto n. 1846/448 del 7 aprile c.a. (2) ) .

Il nostro Addetto Militare Colonnello de Bottini mi conferma che uguale senso di inquietudine ed eccitamento agita l'ufficialità bulgara e che effettivamente l'attuale spiegamento di forze turche in Tracia ha tutte le caratteristiche di un concentramento a carattere offensivo.

Da quanto Ministro degli Esteri mi ha detto per prospettarmi la gravità del momento nei confronti della Turchia debbo anche rilevare che Governo bulgaro ha cercato di sapere dal Governo jugoslavo cosa gli risultasse circa le intenzioni aggressive della Turchia e che gli era stato risposto che a Belgrado non se ne aveva sentore ma che in ogni modo la Jugoslavia non avrebbe permesso una aggressione turca. Il Governo bulgaro non potrebbe tuttavia fare gran conto di questa assicurazione perché al momento opportuno Governo turco assoldando bande armate potrebbe facilmente inscenare una aggressione bulgara.

Inoltre Ministro Kiosseivanov, pur ripetendomi che nessun trattato, accordo e impegno esiste tra Bulgaria e Jugoslavia, mi l1a detto che subito dopo ultima riunione dei Ministri degli Esteri della Intesa Balcanica a Bucarest il Governo di Belgrado fece il gesto amichevole di farlo avvertire in via riservatissima che

Jeftic aveva riportato l'impressione che lo stato d'animo dei suoi colleghi turco romeno e greco era quello di predisporre un accordo per la spartizione della Bulgaria e che appunto per questo lui Jeftic si era allontanato da Bucarest prima della chiusura della conferenza.

(l) -Dall'esame dei t"flegrammi in partenza per Sofia non risulta una risposta al riguardo. (2) -Non pubblicati.
706

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO (l). Roma, 9 agosto 1935.

Il primo obiettivo che ritengo si debba perseguire nella prossima riunione a tre di Parigi è quello di non rompere immediatamente il negoziato, anzi cercare di prolungarlo pazientemente il più possibile.

A tale scopo converrebbe non procedere, all'inizio, alla esposizione delle contrastanti tesi italiana ed inglese, il che condurrebbe ad una impasse non facilmente superabile.

Riterrei invece opportuno di procedere alla immediata costatazione di alcuni punti, sui quali potrebbe essere più facilmente raggiunta una concordanza di vedute itala-anglo-francesi, punti che preparerebbero il terreno allo sviluppo di ulteriori trattative.

Accenno quali potrebbero essere questi punti: l) ottenere una dichiarazione franco-inglese della preminenza assoluta degli interessi economici e politici (2) italiani in Etiopia; 2) ottenere da parte franco-inglese la conferma della necessità dell'espansione demografica ed economica (materie prime) (3) italiana; 3) assicurare, in relazione, da parte nostra che, beninteso alla sola condizione che si arrivi ad una intesa anglo-franco-italiana per il raggiungimento degli obiettivi fissati da S. E. il Capo del Governo, siamo disposti a continuare a Ginevra la nostra collaborazione (4); 4) assicurare ugualmente da parte nostra che non intendiamo mancare agli impegni assunti con il Tripartito per quanto riguarda gli interessi francesi ed inglesi in Etiopia; che anzi è sulla base del Tripartito che desideriamo esaminare la situazione esistente. Fissati questi punti basilari, ed in dipendenza diretta da questi, dimostrerei che, malgrado ogni nostro sforzo, ogni tentativo di penetrazione economica italiana in Etiopia è stato da quaranta anni vano. La cooperazione economica da noi offerta al Governo etiopico (Trattato di amicizia, convenzione stradale, ecc.) è resa impossibile per il fatto che l'Etiopia, sempre più sospettosa e diffidente

50 -Documenti diplomatici -.Serie VIII -Vol. I

verso di noi, si è andata man mano provvedendo di un apparato bellico minaccioso per la stessa sicurezza delle colonie confinanti. Pertanto la riconosciuta preminenza economica italiana sarebbe una parola vana se non si attuasse un disarmo effettivo e totalitario dell'Etiopia. Secondo la tesi francese, chi dice disarmo dice controllo: ne deriverebbe quindi la necessità di stabilire guarnigioni italiane in Etiopia. D'altra parte solo con tale disarmo effettivo sarà possibile alle Potenze del Tripartito di raggiungere quegli interessi specifici garantiti nel Tripartito stesso.

Bisognerebbe infine far risultare l'assoluta iniquità, anche in base ai principi del Patto, che rimangono affidati all'Etiopia quei territori non etiopici, conquistati da Menelik negli ultimi decenni del secolo scorso, e che sono vere e proprie colonie etiopiche, sfruttate da Addis Abeba nel modo barbaro e primitivo a tutti noto (schiavismo, spopolamento dei territori, ecc.), con grave pregiudizio anche delle Potenze confinanti.

Ottenuto il riconoscimento dei principi suddetti e svolti i concetti suaccennati, si potrebbe passare in un secondo tempo ad un esame dei dettagli (1).

(l) -Il testo che si pubblica è quello definitivo, con le varianti apportate da Mussolini, delle quali si dà indicazione nelle note seguenti. (2) -«e politici » aggiunto da Mussolini. (3) -«demografica ed economica (materie prime)» aggiunto da Mussollni. (4) -Qui Mussollni cancellò la prosecuzione della frase, che diceva: «affinché il problematrovi la sua soluzione nell'ambito dei principi del Patto della S.d.N. come desiderato dai Governi francese e britannico :t.
707

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A TIRANA, INDELLI

TELESPR. 227123/326. Roma, 9 agosto 1935.

Rispondo al Suo rapporto n. 1902/720 senza data (2) concernente le trattative in corso circa la nuova organizzazione da dare all'esercito albanese.

Per quanto le nuove proposte di Re Zog rappresentino un notevole passo indietro rispetto a punti sui quali pareva già raggiunto l'accordo ritengo, sentito in proposito anche il R. Ministero della Guerra (3), che esse possano in massima accettarsi.

Per quanto concerne la Gendarmeria sarebbe stato più opportuno non sollevare di nuovo attenendosi all'esplicito parere contrario di questo Ministero, la questione degli ufficiali organizzatori. Essa potrà se mai, ma con molto tatto, essere ripresa in futuro quando sarà ristabilita un'atmosfera di fiducia.

Circa la richiesta soppressione delle unità di gendarmeria create durante il corrente esercizio finanziario, Ella potrà limitarsi ad insistere sulla retrocessione, sia pure unicamente formale, all'esercito della batteria da 75/13.

Per quanto concerne l'entità del nostro contributo per il mantenimento dell'esercito albanese nulla si deve aggiungere alla somma profferta che ràppresenta già più di quanto sia stato mai da noi speso per le ordinarie esigenze del bilancio militare albanese, lasciando, se mai, intravedere la possibilità che singole richieste di oggetti di vestiario e di munizioni possano venire di volta in volta prese

in considerazione qualora il funzionamento della nuova organizzazione militare appaia soddisfacente, e la situazione fatta ai nostri ufficiali sia conforme all'opera da essi prestata.

Per quanto concerne gli stipendi agli ufficiali possiamo anche come primo passo accontentarci della proposta albanese. L'importante è che vi sia un documento impegnativo (sia pure una lettera del Ministro degli Affari Esteri) che garantisca esplicitamente la sostanza (cioè non una formula vaga). Si potrebbe infine fare in modo di lasciare aperta la strada a un successivo accordo concernente le pensioni da stipularsi fra codesto Governo e l'Istituto Nazionale delle Assicurazioni.

Per quanto il rifiuto di Re Zog di affidare la Direzione del Dipartimento Militare che viene oggi ristabilito, sia pure con limitate attribuzioni, a un nostro ufficiale costituisca un preoccupante indice delle sue disposizioni a nostro riguardo, ritengo che in pratica il posto di consigliere militare possa essere equivalente purché la persona che vi è destinata sappia fare e sia posta in condizioni di poter fare. Si tratta in sostanza della carica prevista dall'art. 8 della Convenzione militare le cui funzioni sono state esercitate, sia pure saltuariamente e pro forma, anche dopo la partenza del Generale Pariani, da nostri ufficiali: prima dal T. Colonnello Tripiccione quindi dagli Addetti militari.

Non vi sarebbe dunque che da dare un contenuto a una istituzione già esistente ma inoperante.

Pertanto se possibile converrebbe cercare sopratutto per ragioni di prestigio di ottenere per un nostro ufficiale il posto di Capo del Dipartimento militare, ma ove tale nostra richiesta si urtasse in difficoltà insormontabili potremmo accontentarci che al Consigliere militare venissero assicurate mansioni che all'incirca corrispondessero a quelle esercitate a suo tempo dal Generale Parianl come Consigliere e come Capo del Dipartimento.

(l) -Questo documento costituì la base delle istruzioni date ad Aloisi per la riunione di Parigi tra i paesi firmatari dell'accordo del 1906. (2) -Vedi D. 586. (3) -Vedi D. 669.
708

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. s. 4599/1773 R. Addis Abeba, 10 agosto 1935, ore 13 (per. ore 4,20 dell'11).

Prescindendo dal corso delle conversazioni che dovranno aver luogo fra i tre Governi circa Trattato 1906, qualora soluzione estrema si prospettasse, mi permetto sottomettere a V. E. seguenti considerazioni:

Data recente conferma dell'atteggiamento inglese, che non può fare escludere, non solo misure preliminari atte ad impedire nostra presa di possesso, ma forse anche provvedimento preventivo con questo o quel pretesto nei territori che più specialmente interessano Governo britannico, accanto a considerazioni di natura [strategica] che esorbitano dalla mia competenza, nel caso di eventuali azioni positive esreme, converrà tenere conto anche di fattori politici in riguardo sia precisamente delle mene britanniche, sia dei sentimenti delle popolazioni.

Gli inglesi mirano ai territori agricoli, metalliferi e, per di più, in maggioranza abitati da popolazioni non Amhara e a queste ostili, mentre sarebbero relativamente indifferenti se ci prendessimo Tigrè o Dankalia, a patto di non toccare le terre che valgono.

È quindi da domandarsi se, mentre noi fossimo occupati a compiere il nostro sforzo principalmente in un Paese, come il Tigrai, privo di risorse, ostile, pieno di difficoltà naturali, altrettanto povero e forse più che le sabbie dell'Ogaden che V. E. non ha voluto prendere in considerazione come compenso per noi, e mentre per forza di cose la nostra azione vi subirebbe ritardi, essi non penserebbero che a prendere intanto ipoteche in altri territori più ricchi e vitali. Le Potenze d'altronde non arresteranno la loro azione una volta iniziate le ostilità.

E sarebbe, a mio avviso, enormemente vantaggioso occupare subito fin dal principio regioni ricche, specie quelle ambite da altri, come ad esempio al Nord la regione di Gondar che apre la via al Goggiam, e le regioni del Sud, dove potremmo approfittare non soltanto di assai minori difficoltà di terreno, ma delle facilitazioni di alcuni Capi o popolazioni dell'Ogaden, Arussi soggiogate per potere arrivare più presto e prima di altri alle provincie somale, Issa, che sono politicamente le più ricche ed importanti.

Senza · potersi fare un fondamento per ora, è indubbio secondo notizie recenti, che nella maggioranza delle provincie [di popolazioni non] Amhara, specie dell'interno dell'Impero, dove d'altro canto l'abissino è come noto odiato, la guerra non è così sentita e voluta come altrove, e le popolazioni, come nel Goggiam, nel Coffa, nel Gimam e forse nel Sidamo, sarebbero certamente meno ostili allo straniero, chiunque sia, che venisse a sostituirsi agli Amhara.

709

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4600/096 R. Parigi, 10 agosto 1935 (per. il 12).

Telegramma di V. E. n. 452 (l).

Ho eseguito le istruzioni di V. E. il signor Lavai mi ha incaricato di far sapere 1!-ll'E. V. che si compiace delle migliorate relazioni itala-jugoslave. S'informerà della data probabile del processo di Marsiglia, ma crede che non potrà avere luogo prima dell'ottobre. In risposta alle mie esclamazioni di meraviglia e insistenze, ha spiegato che vi sono certe more di procedura contro le quali il potere esecutivo non ha azione.

Ho fatto osservare al Ministro che da quando, negli ultimi tre anni, le relazioni tra la Francia e l'Italia sono andate gradualmente migliorando, il Quai d'Orsay ha cercato in tutti i modi di provocare un chiarimento delle relazioni itala-jugoslave. Ora che l'auspicato risultato è sul punto di essere raggiunto, conviene fare di tutto per favorirlo.

Ad ogni buon fine ho ripetuto stamane la comunicazione al signor Bargeton che, in assenza di Leger, funziona da Segretario Generale del Qual d'Orsay.

(l) Vedi D lì87

710

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DELL'UNIONE SOVIETICA A ROMA, STEIN

APPUNTO. Roma, 10 agosto 1935.

L'Ambasciatore Stein è venuto al Ministero per uno scambio di note.

Mi ha poi chiesto della questione danubiana che gli ho detto essere sempre

allo stesso punto.

È venuto poi a parlare della questione etiopica, anche con riguardo alla futura posizione della Società delle Nazioni. Egli ritiene che gli inglesi non cederanno: non pensa che gli inglesi si dichiarino la guerra, ma è persuaso che ci faranno una quantità di difficoltà, sì da rendere la nostra guerra con l'Abissinia difficile, costosa e di esito incerto.

Per quest'ultimo riguardo gli rispondo che non vi è nessuna preoccupazione.

L'Ambasciatore spera che il Governo italiano si renda conto della difficilissima posizione di Litvinov il quale fa il possibile per aiutare l'Italia. La difficoltà è costituita dalla nostra dichiarata volontà di voler prendere l'Abissinia a qualunque costo e la nostra manifesta intenzione di voler fare la guerra.

Gli rispondo che in questo campo, che è di politica internazionale, dichiarazioni ufficiali -a parte quelle del Capo -non possono essere fatte che da parte del Ministero degli Esteri, che non ha parlato. Altre dichiarazioni in una questione internazionale non possono avere alcun carattere ufficiale e quindi egli non deve tenerne conto. Da parte del Capo si è sempre parlato di difendere gli interessi italiani e di andare in questa difesa fino alle estreme conseguenze. Ora non è ammissibile che un sistema internazionale non contempli la possibilità per uno Stato civile di difendere i propri dritti fino alle estreme conseguenze.

L'Ambasciatore mi accenna poi ad una sua conversazione col Ministro Ciano sul contegno della stampa italiana nei riguardi della Russia. Non ha voluto rivolgersi su questo riguardo al Ministero degli Esteri appunto per non dare al suo passo un carattere di protesta che non vuole avere. La sua intenzione è soltanto quella di richiamare molto amichevolmente l'attenzione del Governo italiano sulle conseguenze che può avere questa campagna che egli afferma non è provocata da parte sovietica.

Su questo devo fare le mie riserve pure non intendendo da parte mia entrare in questa discussione.

L'Ambasciatore, continuando, mi dice che ora la stampa sovietica dovrà rispondere, il che porterà ad una polemica non fra le due stampe -dato che tutti sanno che le stesse nei due paesi sono controllate -ma fra i due Governi.

L'Ambasciatore chiede quale interesse ci possa essere in questo momento da parte italiana per andare a turbare i buoni rapporti che esistono e che egli spera esisteranno anche in avvenire fra i due Governi.

Gli rispondo che certamente da parte italiana non vi è nessun interesse. ma che se, come io ritengo, la prima origine viene dal contegno della stampa e di organi sovietici, evidentemente noi si deve rispondere.

L'Ambasciatore osserva che le nostre affermazioni sul contegno della stampa e degli organi sovietici devono essere dimostrate, il che fino ad ora non è avvenuto. Egli chiarirà questo punto anche nella risposta che farà al Ministero della Stampa (l).

711

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA R. 2949/1076. Bled, 10 agosto 1935 (per. il 12).

II R. Console generale in Zagabria ha direttamente trasmessi a V. E. i suoi rapporti n. 3835/426, n. 3894/434 e n. 3917/439 del 22, 26 e 27 luglio scorso, aventi rispettivamente per oggetto: «Situazione locale», «Circa l'Anschluss », e « Stampa locale:. (2).

Mi ero sin qui astenuto dal commentare i rapporti del Comm. ·Umiltà, giacché la maggior parte delle notizie a lui riportate, e da lui integralmente riferite a V. E., non resistono generalmente al controllo eseguito da questa R. Legazione, dimostrandosi quasi sempre esagerate quando non destituite di fondamento (ed indipendentemente dalla considerazione che previsioni catastrofiche, allarmi ed anche giudizi, espressi da quel R. Console generale, abbiano avuto in questi ultimi anni la costante sfortuna di una mancata realizzazione).

Mi sarei mantenuto ancora in tale astensione, se le affermazioni del Comm. Umiltà contenute nei sopracitati rapporti, non fossero tali da poter ingenerare una sensazione. non del tutto conforme alla realtà sulla situazione interna ed internazionale di questo Paese, e non meritassero quindi un sereno commento:

Situazione interna. È innegabile che fra serbi e croati esista una profonda divergenza, acuitasi nel periodo della dittatura, e che assume forme e manifestazioni più o meno appariscenti a seconda delle circostanze. Ma tale divergenza non esula dalle questioni di carattere interno; sono espressioni, cioè, del processo di assestamento, nel seno della unità statale jugoslava, di popoli che, benché di razza e lingua comuni, hanno tradizioni, usi, cultura, temperamento diversi e perfino contrastanti.

Gli eventi di questi ultimi anni hanno dimostrato che, malgrado appoggi esteriori concessi fino alla compromissione, i croati non hanno saputo trovare in loro stessi quella forza interna e quella decisa volontà, che pur a voce dichiaravano di avere, per ribellarsi alla egemonia serba. Perfino la disparizione brusca di colui che tra i croati era considerato il vero ostacolo alla insurrezione ha permesso di vedere, nelle tragiche giornate dell'ottobre scorso, i voluti ribelli, assistere inginocchiati, in perfetto ordine, alla sfilata del funebre corteggio reale.

Mi sia lecito affermare che, in fondo, qui a Belgrado, né in passato né ora, si è mai nutrita una eccessiva preoccupazione sul movimento croato, tanto meno nella forma più lontana del separatismo.

Sarebbe un errore, a mio avviso, credere che le maggiori manifestazioni croate attuali siano la espressione di una rinnovata volontà separatistica e trar

ne conclusioni esagerate e previsioni di dislocazione dello Stato jugoslavo. Esse sono il frutto della cessazione del regime dittatoriale serbo, non meno che dei risultati delle elezioni che vollero rappresentare, con i voti contrari e le astensioni, la condanna di Jeftic, già esponente di tale regime.

Di fronte alla ostinata tenace volontà serba, altra via per i croati non potrà esservi che quella del collaborazionismo: ad esso presumibilmente ci si avvierà per gradi, e non senza scosse, dopo l'attuale governo Stojadinovic e dopo nuove elezioni; l'attitudine attuale di Macek non può durare a lungo perché contiene il pericolo dell'Aventino; quell'Aventino che ha recato una sola volta, la prima, una certa fortuna a chi su di esso si era ritirato. Tale collaborazione al potere, col passare del tempo e col formarsi della nuova generazione jugoslava, rappresenterà altresì l'avviamento alla fine del processo di assestamento della unità statale.

Stampa locale. L'affermazione che promotore della pubblicazione di notizie tendenziose sul conflitto itala-abissino (del resto scarse in questi ultimi tempi e raramente di fonte diretta) sia il Principe Reggente, su pressioni inglesi o per rientrare nelle grazie inglesi, appare del tutto gratuita e non trova alcuna conferma. (Mi richiamo, fra l'altro, alle dirette assicurazioni avute da Stojadinovlc e riferite con mio telegramma n. 96 del 9 corrente (l) ).

Germania-Jugoslavia. Se in Jugoslavia esistono delle correnti di simpatia verso l tedeschi queste vanno piuttosto ricercate fra i croati (permeati per varii secoli dalla influenza germanica) che fra i serbi (nei quali è ancora vivo il cocente ricordo della grande guerra e dell'occupazione austro-tedesca). Il governo di Belgrado considera un riavvicinamento con la Germania come un atout nelle sue mani, nel suo giuoco diplomatico con la Francia e sopratutto con l'Italia: l'insuccesso della missione Goering e le aperte recentissime dichiarazioni degli uomini responsabili nei riguardi della ricostruzione danubiana, a sfondo antitedesco, stanno a testimoniarlo.

Noi siamo in grado di mettere fine a tale giuoco, mediante l'intesa a fondo itala-jugoslava, nella forma più concreta e di cui più volte ci è stato fatto cenno (alleanza militare a scopi anti-germanici).

Tenere in eccessivo conto l'attuale astensionismo croato, facendone dipendere il rinvio di una tale intesa, può farci correre il rischio, parallelamente al nostro impegno in Africa Orientale, di vedere la Jugoslavia darsi in braccio alla Germania. E del resto, che cosa potremmo attenderci di più dai croati, nella ipotesi difficilmente realizzabile che essi assumessero da soli il potere, se non una maggiore e più ·sentita attrazione verso la Germania?

Ho ritenuto mio dovere esporre a V. E. il mio pensiero, frutto delle mie osservazioni e del convincimento maturato attraverso contatti da me cercati ed avuti con esponenti di tutti i vari ambienti politici, etnici e sociali, in questi cinque mesi dal mio arrivo in Jugoslavia. Esso si fonda non su voci o notizie che partendo dal centro giungono deformate alla periferia, ma su di una serena valutazione della situazione quale le attuali circostanze permettono di considerare (2).

(l) -Il presente documento reca !l visto di Mussolini. (2) -Di questi tre rapporti di Umiltà è pubblicato solo il secondo: vedi D. 621. (l) -Vedi D. 697. (2) -Il presente documento reca 11 visto eU Mussolin1.
712

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI

T. 8428/206 P. R. Roma, 11 agosto 1935 (1).

Ho avuto un colloquio col rabbino Prato. Può giovarci e si è impegnato in tal senso. Prenda contatto con lui.

713

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4619/363 R. Washington, 12 agosto 1935, ore 12,53 (per. ore 21,25).

Dichiarazioni Segretario di Stato, alle quali si riferisce telegramma di V. E.

n. 315 (2), hanno soltanto constatato che, allo stato attuale della legislazione americana, potere esecutivo non ha facoltà di proibire esportazione di materiale di guerra verso paesi che non siano compresi fra quelli per i quali Congresso ha già delegato al Presidente facoltà di imporre embargo, e cioè paesi America Latina e Cina.

Mi riferisco al riguardo ai miei telegrammi nn. 167 e 168 (3).

Assicuro comunque che tanto R. Ambasciata quanto dipendenti uffici consolari si adoperano già nel modo migliore con i mezzi a loro disposizione, per conoscere forniture americane all'Etiopia.

Queste sembrano finora di entità molto limitata, e ciò è indubbiamente dovuto alla difficoltà per Governo Etiopico di ottenere crediti su questo mercato.

714

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

VERBALE ( 4). Roma, 12 agosto 1935, ore 17,30.

L'ambasciatore Chambrun vuole interessare il Capo del Governo alla questione dell'Europa danubiana.

Il Governo francese pensa che sarebbe il momento di fare passi in avanti: ritiene che ciò sia nell'interesse tanto del Governo italiano che del Governo francese. Si dice da molte parti che l'Italia è talmente presa dalla questione etiopica che non può occuparsi dell'Austria, come in avvenire non potrebbe difenderla se la Germania si muovesse. Per quanto riguarda i francesi si dice

che anche essi abbandonano la questione dell'Austria e sacrificano la loro politica nell'Europa centro-orientale alle esigenze italiane. Una nuova spinta nella questione danubiana sarebbe la migliore smentita a queste voci per quanto le stesse non abbiano fondamento.

Il Capo del Governo risponde che egli non intende venire per il momento alla conclusione di alcun accordo sulla questione dell'Austria, dato che da qualche parte si parla di sanzioni contro l'Italia. Egli vuole attendere prima di vedere quale sarà l'atteggiamento dei paesi che dovrebbero partecipare al Patto.

Per quanto riguarda le dicerie che l'Italia potrebbe abbandonare la politica di difesa dell'Austria, gli pare che una smentita sufficiente siano le misure militari da noi prese. In Italia ci sarà fra breve un milione di uomini in armi. Un milione basta non solo per i nostri bisogni nell'Africa orientale, ma anche a parare qualsiasi eventualità in Europa. Anche le manovre di quest'anno a cui parteciperanno a'icune centinaia di migliaia di uomini sono [un sicuro indizio] della volontà italiana di continuare l'attuale politica.

L'ambasciatore prende nota di queste dichiarazioni del Capo del Governo e le riferirà a Parigi.

(l) -Manca l'Indicazione dell'ora d! partenza. (2) -Vedi D. 701. (3) -Vedi D. 98. (4) -Al colloquio era presente Suv!ch, che ha redatto ili presente verbale.
715

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4616/145 R. Praga, 12 agosto 1935, ore 18,20 (per. ore 21,25).

Telegramma di V. E. n. 89 (l) e mio telegramma n. 141 (2).

Ministro Wellner mi ha stamane assicurato che nessuna ordinazione dì materiale da guerra è pervenuta o è in corso di trattazione da parte dell'Etiopia con officine Skoda.

Della segnalazione in questione è stato personalmente informato Benes, che travasi in campagna. Questo Ministero degli Affari Esteri conferma che nessun permesso di esportazione armi e munizioni per Etiopia sarà accordato.

716

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 4625/154 R. Vienna, 12 agosto 1935, ore 21,30 (per. ore 3,40 del13).

Articolo del Wolkischer Beobachter del 10 corrente, contenente insinuazioni specie contro Starhemberg, ha profondamente colpito questo Governo, che ha formulato oggi vivace protesta a Berlino.

Mi risulta che Cancelliere Federale è stato cosi [colpito] da predetto oltraggioso articolo, che ha fatto ieri pervenire a Berger-Waldenegg (che trovavasi a Salisburgo per una cerimonia, cui assisteva anche Corpo Diplomatico) istruzione telefonica « di non accordare a von Papen alcun ascolto nei riguardi sue note aperture per normalizzazione rapporti austro-tedeschi, notificandogli anzi che tale astensione sarebbe durata fino a quando stampa tedesca non avesse completamente rassicurato Legazione per quanto concerne critiche nei riguardi dell'Austria».

Berger-Waldenegg mi ha fatto comprendere; in via del tutto riservata, sua viva soddisfazione. per questa nuova remora che vengono a subire sue conversazioni con von Papen (telegramma per corriere n. 085 in data del 5 agosto scorso) (l); ha insistito meco sul punto della opportunità di pervenire al più presto ad intesa danubiana.

Egli ha aggiunto avere rivolto vive raccomandazioni in tal senso a mio collega di Francia tornato dal proprio congedo ieri.

(l) -Vedi D. 700. (2) -Con T. 4566/141 R. del 10 agosto 1935, ore 17,35, Borga aveva riferito sui passi effettuati presso il Ministero degli Affari Ester! circa l'esportazione di armi !n Etiopia.
717

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4650/0223 R. Berlino, 12 agosto 1935 (per. il 14).

Mio telegramma n. 0217 del 6 agosto (2).

Von Biilow, dal quale mi sono recato stamane in visita dì congedo, ed a cui ho chiesto notizie circa l'eventuale ulteriore sviluppo delle conversazioni che hanno avuto luogo recentemente a Londra e a Parigi a proposito del Patto Orientale, mi ha detto che aveva informato il barone von Neurath (attualmente, come è noto, in congedo nella sua proprietà di Wiirttemberg) delle conversazioni avute da Koester a Parigi, chiedendo istruzioni. Barone von Neurath aveva risposto che egli riteneva impossibile continuare a svolgere seriamente delle trattative mentre egli sì trovava nel Wiirttemberg ed il Cancelliere in Baviera; che di tanto in tanto egli aveva certo occasione di incontrarsi col Cancelliere e di parlargli di affari, ma che non era evidentemente possibile che una questione così importante fosse trattata in questi incontri saltuari ed occasionali mentre i principali responsabili della politica estera germanica erano assenti dalla capitale. Egli riteneva perciò necessario attendere qualche settimana ancora, e cioè fino al 25 settembre, quando tanto egli quanto il Cancelliere sarebbero ritornati a Berlino e avrebbero ripreso regolarmente il loro lavoro. Von Biilow aveva quindi inviato istruzioni in tal senso agli Ambasciatori tedeschi all'estero.

Il mio collega di Francia mi ha detto che due giorni fa von Biilow si è espresso con lui negli stessi termini. Avendo François-Poncet osservato che gli sembrava che quest'atteggiamento dilatorio tedesco dipendesse dal desiderio di

questo Governo di attendere lo sviluppo degli avvenimenti relativi al conflitto itala-etiopico, von Biilow gli dichiarò esplicitamente che il Cancelliere si disinteressa assolutamente dell'Etiopia e che le sole questioni alle quali dedica attualmente tutta la sua attenzione sono soltanto quelle relative all'URSS e 1~ preparazione del suo discroso per il congresso del Partito a Niirnberg il 15 settembre.

(l) -Vedi D. 666. (2) -Vedi D. 674.
718

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTERO DELLA MARINA (1)

TELESPR. U. 227467/308. Roma, 12 agosto 1935.

Telespresso ministeriale 225474/C del 30 luglio u.s. (2).

Il Foreign Office ha rimesso in data 6 corrente al R. Ambasciatore in Londra un Memorandum contenente alcune proposte del Governo inglese per una limitazione quantitativa degli armamenti navali.

Il R. Ambasciatore in Londra è stato in pari tempo informato che il Capitano di Vascello Danckwerts si è recato a Parigi (come fu comunicato a codesto Ministero per le vie brevi) solo per fornire al Ministero della Marina francese alcuni paricolari tecnici. Pare che egli si sia trattenuto a Parigi un giorno soltanto.

Si rimettono in allegato due copie del Memorandum britannico con preghiera di volere esaminare le proposte in esso contenute e far conoscere a questo Ministero le Sue osservazioni in merito (3).

ALLEGATO IL MINISTERO DEGLI ESTERI BRITANNICO ALL'AMBASCIATA D'ITALIA A LONDRA

MEMORANDUM. Londra, 6 agosto 1935.

His Majesty's Government in the United Kingdom have been considering carefully the results of the bi-lateral conversa;tions, regarding the limitation of naval armaments, that have taken piace during 1934 and 1935. The conversations were intended to prepare the way for a preliminary conference in accordance with Treaty requirements during the year 1935, as a result of which it is hoped to hold a generai conference of all Naval Powers with a view to reaching agreement on generai naval limitations for the future.

2. The exploratory conversations have been delayed by external events and the process of exploration is taking longer than was originally anticipated. It is now clear, however, that the system of limitation by . total tonnages in categories that was pursued in the Washington and London Naval Treaties will not again meet with generai .acceptance. The alternative proposal for achieving some form of quantitative naval limitation, viz., the issue by the various naval Powers of unilateral declarations in regard to their building programme intent.ions over a number of years, has not yet been subjected to full and detailed discussion between all the principal naval

Powers. amd considerable time must elapse before it becomes clear whether thls system will prove satisfactory.

3. -It ris clear that ali the principal naval Powers will require to undertake the construction of capi,tal ships and cruisers in the year 1937 am.d later years. The Washington and London Naval Treaties both come to an end on 31st December, 1936. Unless, therefore, agreement can be reached before that date on fresh qualitative limits to replace those which elapse with the Treaties, there will be no limitation at ali on the sizes and gun calibres of the ships to be built in 1937 and later years. This is a situation which cannot be regarded with equanimity by any of the principal Naval Powers, and agreement on new qualitative limits is therefore urgently required. Moreover, agreement on qualitative limtts is of more immedi,ate importance than agreement on quantitative limits, since the former will have immediate effect on the limitation of armaments and financial commitments by its application to ali the ships to be aid down after 31st December, 1936, wheres the latter, by its nature, becomes effective only over a period of years and may have little effect on the construction programmes to be laid down in the year 1937. 4. -As a result of the conversations held dul"ing the past eighrteen months, His Majesty's Government d.n the United Kingdom believe that the lowest qualitative limits likely to be acceptable to the European countries so far consulted (United Kingdom, France, Italy and Germany) are as follows:

Capitai Ships 25.000 tons. 12" guns.

Aircraft Carriers 22.000 » 6.1" »

Category A. Cruisers 10.000 » 8" »

Category B. Cruisers and

Light Surface Vessels 7.600 » 6.1" » Submarines . . . . . . 2.000 » 5.1" » Note: It is hoped that agreement could be reached that no more Category A. Cruisers should be la.id down in the future.

5. -His Majesty•s Government in the United Kingdom, however, cannot accept qualitative 1imits which, though they might be agreable to ali European Powers, are not acceptable also to the United States of America and Japan, and it would be their endeavour to obtain the agreement of the United States of America and Japan to figures as nears as possible to those mentioned in the previous paragraph. 6. -Without abandoning in any way. their search for some form of quantitative limitation likely to secure generai assent, Hls Majesty's Government feel that it is of far more urgent importance to Iay the basis of ,agreement on qualitative limitation. They desire to know, therefore, whether the Italian Government agree with this view and whether the list of qualitative limits acceptable to the European Powers correctly represents the view of the Italian Government. 7. -If a sufficient measure of European agreement on qualitative 'limitation exists, His Majesty's Government will put forward this European view to the United States of America and Japan with a view to a Conference of the Washington Powers in October, 1935, so as to reach an agreement at least on this branch of the subject and to regulate the size of warships to be built after the 31st December 1936. Although this should, d.n the view of His Majesty•s Government, be the principal purpose of the proposed Conference, the occasion should a.lso be taken to make further progress with the negotiation of an arrangement for the quantitative limitation of naval armaments on the Unes suggested in paragraph 2 above. 8. -In a.ddition, it would be deslrable to reach agreement as to the reciproca! notification of information relating to the Iaying down and characteristics of new ships (Washington Treaty, Chapter II, Part. 3, Section I (b), and London Naval Ttreaty, article 10); the definitions of categories and standard Tonnage (Washington Treaty, Chapter II, Part. 4 and London Naval Treaty, article 3 and 6); the preparation of merchant ships 'in time of peace for convers!on to warllke purposes (Washington Treaty, article XIV); the prohibition of the use for war of warships building for other powers <Washington Treaty, article XVII); and the prohibition of the transfer of vessels of war from one Power to another <Washington Treaty, article XVII).
(l) -In Archivio dell'Ufficio Storico della Marina Militare. (2) -Non pubblicato. (3) -Vedi D. 735.
719

IL SOTTOSEGRETARIO ALLA MARINA, CAVAGNARI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI (l)

APPUNTO. Roma, 12 agosto 1935.

I. -In questi ultimi tempi la Marina francese ha avuto occasione di dare ripetute prove del suo desiderio di leale intesa con la Marina italiana, comunicando ad essa spontaneamente:

a) la decisa cessazione del proprio servizio informativo contro l'Italia;

b) la sua intenzione di non inviare esperti navali a Londra malgrado'le insistenze inglesi, e la speranza che analoga attitudine sarebbe stata assunta dall'Italia;

c) il suo punto di vista sopra l'accordo anglo-tedesco e sopra le trattative in corso sugli armamenti navaìi, per l'eventuale rinnovo, alla loro scadenza, nei Trattati di Washington e di Londra.

In particolare, nei riguardi di tale problema, la Marina francese ha fatto presente come sarebbe a suo avviso conveniente che Italia e Francia possano accordarsi sopra una comune linea di condotta. Anche recentemente, in occasione della visita a Parigi dell'esperto inglese Comandante Danckwaerts, è stato comunicato al nostro Addetto Navale che sarà cura dello Stato Maggiore francese di informarlo sopra quanto avrà fatto argomento delle conversazioni, che avranno luogo nel corso della visita.

II. -Il poter sta.bilire una linea di condotta comune, in modo da presentarci, secondo le parole del Ministro Pietri al nostro Addetto Navale, in perfetto accordo « au tribuna! anglo-allemand » in occasione delle prossime trattative navali, è indubbiamente anche nell'interesse italiano.

III. -Allo scopo quindi di venire incontro alle varie mosse della Francia ed in ricambio delle sue citate comunicaizoni sembra conveniente venga fatto presente a Parigi come il Governo italiano condivide il desiderio francese di una intesa sopra le questioni che formano oggetto delle trattative navali in corso, e come, in linea di principio, il nostro punto di vista al riguardo non differisca da quello francese.

IV. -Allo stesso scopo sembra sarebbe inoltre conveniente che il Governo francese venisse riservatamente informato della decisione italiana di impostare subito dieci torpediniere di alto mare (2).

720

IL CONTE VERNARECCI DI FOSSOMBRONE AL VICE CAPO DI GABINETTO, JACOMONI

L. P. Roma, 12 agosto 1935.

A seguito del nostro colloquio odierno, ho il pregio di brevemente riassumerLe:

Il ministro Frank mi ha comunicato di aver conferito con Hitler una quindicina di giorni or sono. Questi ha dichiarato:

l) di essere soddisfattissimo delle attuali conversazioni avviate in forma confidenziale e di queste prese di contatto dirette fra uomini legati da amicizia personale. Di essere pronto a favorire tali conversazioni più di qualsiasi altra forma di trattativa, essendo convinto che esse particolarmente si prestino alla discussione di argomenti di natura delicata come taluno di quelli in questione;

2) che la Germania, raggiunto con l'Inghilterra un primo accordo (al quale seguirebbero altri accordi militari, economici, ecc.) vedrebbe col più grande favore un'intesa con l'Italia, essendo convinta che queste tre nazioni potrebbero costituire il cardine del futuro equilibrio europeo;

3) che a tale scopo la Germania è pronta ad appoggiare con ogni sua facoltà l'azione dell'Italia in Abissinia;

4) che per quanto riguarda l'Austria, essa Germania sarebbe pronta ad assumere il più formale impegno di garantirne la indipendenza (su questa dichiarazione Frank ha particolarmente insistito). Da parte sua l'Italia dovrebbe non opporsi in linea di principio a che la nazione austriaca, quando i tempi fossero maturi, si scegliesse liberamente il propiro governo a mezzo di plebiscito, sia pure sotto il controllo della Società delle Nazioni o di quell'altro organismo internazionale ed imparziale meglio veduto.

Come Le ho detto, io avrò prossimamente occasione di vedere Hitler, ed Ella mi dirà se e che cosa io possa accennare al riguardo.

Nelle conversazioni da me avute sinora, per quanto riguarda poi la politica generale, ho avuto l'impressione di una irriducibile ostilità della Germania verso la Russia (per ragioni di regime e di politica) e verso il Giappone (per ragioni economiche). La Germania non può perdonare alia Francia di avere concluso un accordo con la Russia, come quello recente. Tuttavia si ritiene nei circoli governativi abbastanza probabile un'intesa fra la Germania e la Francia. Le confermo quanto Le dissi, e cioè che la iniziativa del riavvicinamento anglogermanico, concretato da Ribbentrop (a mezzo delle sue personali amicizie londinesi), pare si debba al Principe Enrico, Presidente della Croce Rossa germanica, imparentato come Ella sa con la Casa reale d'Inghilterra. Questi avrebbe provocato il primo discorso del Principe di Galles in favore dei combattenti germanici.

Come già ho avuto il piacere di dirLe, la mia famiglia, e cioè mia moglie, mio figlio Goffredo di nove anni ed una persona di servizio, si trova attualmente a Schliersee nelle Alpi Bavaresi (Hotel Schloss Freudenberg). Conto di farla rimanere colà sino a fine settembre perché possa rimanere in contatto con la famiglia Frank la quale si trattiene fino a quell'epoca nella sua proprietà sita nel sobborgo di Fishhausen. I cordiali rapporti fra le signore e fra 1 bambini, che essendo coetanei sono compagni di giuoco quotidiani, ha favorito la formazione di un ambiente confidenziale che ritengo molto opportuno allo svolgimento delle conversazioni sotto forma sincera ed amichevole. Inoltre tutto ciò facilita i contatti con altre personalità del mondo politico germanico che frequentano la famiglia Frank.

Ritengo in questo modo di poter tenere un contatto stretto e costante che si prolungherà anche oltre la stagione estiva ed autunnale, perché naturalmente, come sempre avviene in simili casi, sono già state prese in considerazione altre occasioni di ritrovo sia in Germania che in Italia.

Ad ogni modo, per il mese attuale e per il vegnente, il collegamento sarà quotidiano, ed io attendo da Lei istruzioni per renderlo quanto più possibile proficuo (1).

(l) -In Archivio dell'Ufflcio Storico della Marina Militare. (2) -Annotazione a margine di Mussolinl: « Sta bene>>.
721

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. S. RR. 8639/1824-1825 P. R. Addis Abeba, 13 agosto 1935, ore 7,15 (per. ore 17,30).

Con lo stesso mezzo sicuro di cui al mio telegramma n. 993 del 20 maggio e 1apporto n. successivo (2) ho potuto prendere visione di un telegramma inviato dal signor Politis al Dr. Zervos in data 7 agosto qui giunto 8 corrente.

Telegramma, di cui provveduto testo greco e cifrato, [e che] mi è stato tradotto punto [per punto] da nota persona, è del tenore: «Voi sapete che, su proposta francese, Governo italiano ed etiopico hanno accettato me come superarbitro.

Dopo assenso del mio Governo ho accettato dichiarando che la questione di Ual-Ual è molto seria. Per poter rendere il mio giudizio sulla controversia, mi occorre conoscere quali sono le idee dell'Imperatore.

Governi inglese e francese sono d'accordo che io trovi una soluzione prima che io domandi le idee di Roma e di Addis Abeba per impedire la guerra. E vi sarà certamente la guerra, se in questo mese non si trovasse questa soluzione: una guerra che sarà fatale ai due paesi. Come vi ho scritto il mese scorso, io vedo una sola soluzione, cioè che l'Imperatore si rivolga alla S.d.N. e che la

S.d.N. -stabilisca [un] sistema di mandato da affidare ad un Governo, anche se questo Governo fosse l'Italia. Se questo Governo sarà l'Italia, l'Italia sarà molto soddisfatta e non farà la guerra. L'Abissinia sarebbe salvata come Stato; la S.d.N. -avrà la sua alta protezione, con la garanzia della Francia e dell'Inghilterra.

Se l'Imperatore accettasse preventivamente questa proposta, ed io vi prego di consigliargli di accettare da parte mia come suo amico, io per mio conto farò il necessario, e glielo garantisco, per salvare il prestigio dell'Imperatore. [Il mandatario] aiuterà l'Etiopia economicamente, civilizzerà l'Etiopia e conserverà l'integrità di tutto il paese. Io farò tutto il necessario perché l'Abissinia abbia un porto sul mare, a Zeila o a Gibuti.

Prego voler raccomandare confidenzialmente all'Imperatore, poiché sono suo amico, di trovare una soluzione e di leggere all'Imperatore questo telegramma e di telegrafarmi che cosa [egli] pensa e che cosa dice, perché possa ora parlare con Francia ed Inghilterra dato che fra qualche giorno [avverrà] a Parigi la riunione delle Potenze~.

Imperatore ha così risposto a Politis a mezzo Zervos con telegramma partito 10 corr. (posseggo busta autografa Imperatore):

«Vi ringrazio vivamente per il vostro telegramma, che mi avete diretto per mezzo del dottor Zervos.

La sola cosa che io voglio fare per il mio Stato è la libertà del mio Stato. Sono obbligato di civilizzare il mio Stato, e per civilizzarlo occorre che chiami dei consiglieri europei come funzionari Governo etiopico. Per ciò io voglio un prestito dalla S.d.N. sulla base del Trattato del 1906 (sic).

La sola cosa che io voglio dare all'Italia è una porzione dell'Ogaden, ma voglio anche uno sbocco al mare a Zeila. Se Italia domanderà concessioni, e se queste esistono, vi penserò e le darò.

Non capisco la frase "sistema di mandato"; se questo sistema di mandato, di cui voi mi telegrafate, può accordarsi con quello che ho detto sopra, va bene. Ma non accetterò di dare se è in contraddizione con la libertà del mio Paese:~> (1).

722.

IL DOTTOR DUBBIOSI AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4645/184 R. Assab, 13 agosto 1935, ore 11 (per. ore 6 del 14).

Mi sono interessato ripetutamente, sia presso Ragheb Bey che presso Cadi Abdalla, circa oggetto del telegramma n. 74 di codesto Ministero (2).

Ho ricevuto concordi assicurazioni che Trattato sarà confermato; Ragheb Bey spera che in nuovo Trattato possano essere apportati miglioramenti nell'interesse delle relazioni anche commerciali tra due Paesi.

Circa invio missione, Ragheb Bey mi ha chiesto domandare a R. Governo se intendesi rinnovare Trattato attualmente o al tempo della sua scadenza, che avverrà fra un anno. In quest'ultimo caso, essendovi ancora sei mesi di tempo per trattative, Ragheb Bey non vede necessità attuale invio Missione.

Prego darmi istruzioni.,

723.

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4630/93 R. Budapest, 13 agosto 1935, ore 15 (per. ore 19).

Presidente Goemboes mi incarica comunicare V. E. che egli ed il Signor Kanya sono pronti venire in Italia per incontrarsi con V. E. fin dal 15 corrente (3).

Impazienza Goemboes può essere posta in relazione con quanto ho riferito ultime settimane su politica interna ed estera ungherese e forse anche con desiderio sottolineare importanza questione parità diritti in vista delle trattative Conferenza Danubiana (segnalo in proposito discorso iersera del Presidente del Consiglio trasmesso via aerea nel testo integrale).

Non escludo inoltre che Goemboes si preoccupi precedere eventuale visita Stojadinovic in Italia.

12) Vedi D. 502.

724.

L'INCARICATO D'AFFARI A STOCCOLMA, SERENA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4647/70 R. Stoccolma, 13 agosto 1935, ore 22,50 (per. ore 2,20 del 14).

Seguito mio telegramma 69 (1). Ho avuto oggi nuova lunga conversazione con Segretario Generale di questo Ministero Affari Esteri.

Avendo ancora richiamato tutta la sua attenzione su manifestazioni svedesi e su ripercussioni che esse potrebbero avere sui rapporti con l'Italia, signor Gtinther mi ha detto che codesto Incaricato d'Affari di Svezia aveva ricevuto istruzioni spiegare costì atteggiamento suo Governo (2), il quale, ha tenuto a ripetermi, « non ha alcuna prospettiva concreta in Etiopia ».

Circa posizione ufficiali svedesi, ho chiaramente fatto presente quanto prescrittomi con telespresso 225470/G del 30 luglio (3). Signor Gtinther mi ha dichiarato che detti ufficiali sono stati da tempo categoricamente preavvisati che in caso di conflitto saranno considerati dimissionari dall'esercito svedese. Ha aggiunto risultargli che alcuni di essi hanno espresso intenzione rimanere in Etiopia in qualunque evenienza, altri di voler rimpatriare in caso di conflitto.

Avendogli obbiettato che, agli effetti militari, altro è considerare un ufficiale dimissionario altro è impartirgli un ordine, il signor Gtinther non ha escluso che, nell'estrema eventualità, ufficiali ricevano «ordine » di rimpatriare.

Ha soggiunto non risultargli che Governo belga abbia finora preso provvedimenti diversi.

Quanto attività Generale Virgin (telespressi ministeriali 224712/C e 225735) (4) Segretario Generale mi ha detto nulla constargli al riguardo, soggiungendo tuttavia che fatti segnalati potrebbero anche corrispondere verità, rientrando essi nelle attribuzioni del Consigliere politico e militare del Negus.

Ho in complesso impressione che questo Governo socialdemocratico, appoggiandosi vasta corrente opinione pubblica nonché atteggiamento britannico e pur non nascondendosi eventualità cui potrebbe andare incontro, non desideri compiere con sorpresa atti che possano apparire come conseguenza di imposizioni o come menomazione del tanto vantato ideale di solidarietà tra piccoli Stati.

725.

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA

T. 1432/89 R. Roma, 13 agosto 1935, ore 24.

PregoLa comunicare a codesto Presidente del Consiglio che non dubitavo che, nell'eventualità di un passo inglese costì nel senso accennato nel tele

51 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. I

gramma di V. S. n. 96 (1), codesto Governo risponderebbe come indicatole dal Presidente del Consiglio stesso; e che comunque prendo atto con molto piacere delle esplicite dichiarazioni fatteLe.

(l) -II presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Non pubblicati. (l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (3) -Vedi DD. 579 e 588. (l) -Vedi D. 698. (2) -Vedi D. 745. (3) -Non rinvenuto. (4) -Non pubblicati.
726

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 1434/112 R. Roma, 13 agosto 1935, ore 24.

PregoLa far sapere opportunamente al Generale Gombos che S. E. il Capo del Governo ha particolarmente apprezzato il discorso da lui pronunciato in seno al Partito di Governo (2).

727

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI SPAGNA A ROMA, GOMEZ OCERIN

APPUNTO. Roma, 13 agosto 1935.

L'Ambasciatore di Spagna viene a ringraziare ufficialmente da parte del proprio Governo per le cortesie dimostrate ai giornalisti spagnuoli. Mi parla del conflitto itala-etiopico esprimendo la speranza che a Parigi si trovi una soluzione.

Gli rispondo che su questo punto bisogna essere scettici, che la Gran Bretagna non dimostra delle disposizioni a modificare radicalmente il proprio atteggiamento (3).

728

IL REGGENTE L'UFFICIO II DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI, COSMELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 13 agosto 1935.

Questo Incaricato d'Affari d'Austria è venuto a chiedere informazioni circa la situazione ultima creatasi nei riguardi del Patto Danubiano e ciò anche in vista ad istruzioni avute da Vienna.

L'ho messo sommariamente al corrente dicendogli che si attendono ora da Parigi notizie precise se il noto progetto aveva in sostanza l'adesione della Piccola Intesa e ciò specialmente in rapporto alla nostra intenzione di non assumere impegni per mutua assistenza.

L'Incaricato d'Affari d'Austria mi ha fatto intendere nel corso della conversazione che le istruzioni avute da Vienna partivano da sentimenti di qualche inquietudine specie di fronte alle pubblicazioni che sul Patto Danubiano hanno ~vuto luogo in questi ultimi giorni tanto in Germania che in Francia, mentre da parte italiana vi è stata una notevole riserva.

Mi sono naturalmente adoperato per rassicurare sotto ogni aspetto, mettendo in evidenza che non vi è nulla di mutato e che si è ora in attesa di una messa a punto ulteriore (1).

(l) -Vedi D. 697. (2) -Con T. 4657/96 R. del 14 agosto 1935, ore 14,25, Colonna trasmetteva ringraziamenM di Giimbiis per il messaggio del Duce. (3) -Il prelrente documento reca il visto di Mussolini.
729

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A KAUNAS, AMADORI

T. 8563/13 P. R. Roma, 14 agosto 1935, ore 3,30.

È stato concordato fra Governi Potenze garanti che loro Rappresentanti Kaunas prendano contatto con Governo lituano per ottenere assicurazioni:

l) che attuale legge elettorale non sarà modificata;

2) che non saranno emanate od applicate leggi la cui conseguenza sia quella di portare spostamenti notevoli della massa elettorale; 3) che elezioni non saranno rimandate; 4) che loro convalida sarà fatta sollecitamente; 5) che dopo le elezioni Governo lituano farà tutto il suo possibile per

ricondurre situazione Memel alla normalità. Tale assicurazione dovrebbe assumere forza pubblica spontanea dichiarazione Governo lituano e comunicazione confidenziale Rappresentanti Potenze garanti.

Ministro Esteri lituano avendo già dato assicurazioni a Parigi nel senso che è disposto a fare pubblica dichiarazione in tal senso, passo in questione dovrà avere più che altro carattere amichevole consiglio. Passo vero e proprio potrà, eventualmente, essere fatto solo qualora Governo lituano si rifiuti dare qualsiasi assicurazione; su questo argomento mi riservo ulteriori istruzioni.

v. S. potrà prendere contatto con rappresentanti Governi francese e britannico per concordare modalità sua azione, tenendo però presente, nelle conversazioni che Ella avrà con codesto Governo sull'argomento, che Governo italiano ha sempre tenuto in tutta questa questione linea di condotta molto amichevole verso Lituania (2).

(l) -n presente documento reca il visto di Mussol!n!. (2) -Per la risposta d! Amador! vedi D. 751.
730

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4664/161 R. Beyoglu, 14 agosto 1935, ore 20,30 (per. ore 2,15 del 15).

Mio telegramma n. 153 (1).

Aras mi ha detto ieri essersi astenuto recarsi Ginevra per ultima riunioné sia perché non voleva prendere alcuna posizione personale, sia perché riteneva ancora prematura una qualsiasi utile decisione della S.d.N.

Confermata sua amicizia per l'Italia e [buona] volontà Governo turco (ha assicurato avere dato precise istruzioni a stampa, dopo mio ultimo intervento, di limitarsi a compito informativo), ha aggiunto che si sarebbe recato Ginevra in settembre per sostenervi, salvo eventuali modifiche che potessero essere suggerite nel frattempo da sviluppo situazione, principio che soluzione conflitto non può avvenire che in rapporti e contatti diretti itala-abissini.

Italia aveva come mezzo di pressione suoi armamenti e mina.ccia di ricor·rere alla guerra. Inghilterra e Francia avrebbero potuto fare intervento efficace ad Addis Abeba per accettazione di una posizione di administratio all'Italia [politica] oltre che economica. Ne sarebbe derivato un trattato che verrebbe comunicato alla S.d.N., che non avrebbe avuto che prenderne atto senza en-trare in merito. Secondo lui, i Trattati itala-albanesi offrivano il tipo di trat·tato che, adattato, il Negus avrebbe potuto accettare. In tal modo si sarebbe evitata la guerra e qualsiasi danno per S.d.N. con tutte le pericolose conseguenze internazionali che, dall'uscita dell'Ita~ia dalla S.d.N., si possono già intravvedere.

Ha detto avere esposto questo suo pensiero ad Ambasciatore di Francia e lo esporrebbe a tutti Delegati Stati rappresentanti al Consiglio (Inghilterra, Russia, Piccola Intesa, Intesa Balcanica).

Mi ha pregato portare ciò a conoscenza di V. E. partendo egli dal concetto che scopo dell'Italia non è quello di fare in ogni caso la guerra, ma stabilire la sua supremazia politica in Abissinia per ricorrere alla guerra soltanto come ultima ratio.

Segue rapporto (2).

731

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PERSONALE 578. Londra, 14 agosto 1935..

Questo R. Addetto Militare che io ho espressamente incaricato di accertare l'attuale situazione militare in Gran Bretagna e nelle Colonie e Possedimenti Britannici in Africa e in India mi riferisce quanto segue:

La situazione militare in Inghilterra è normale: le grandi unità regolari e territoriali attendono all'annuale attività addestrativa ai campi e alla preparazione grandi manovre che avranno luogo seconda metà di settembre col concentramento di 40 mila uomini. La forza dell'esercito regolare e territoriale è tuttora inferiore agli organici bilanciati. Nessuna partenza di unità ha avuto luogo dall'Inghilterra all'infuori dei movimenti periodici annuali per i cambi di guarnigione tra Madre Patria Domini Colonie e Mandati.

Secondo notizie assunte dal R. Addetto Militare risulterebbe che in Egitto si recheranno prossimamente per i cambi di guarnigione una brigata granatieri, un battaglione di fanteria, un reggimento di cavalleria e un gruppo di artiglieria leggera in sostituzione di altri reparti che secondo quanto è stato deciso finora, dovrebbero contemporaneamente rimpatriare.

Nel Sudan, non vi è stato alcun rinforzo alla frontiera con l'Etiopia. Un battaglione del Royal Sussex Regiment che si trasferirà quanto prima da Karachi (India) a Karthoum è destinato a sostituire un altro battaglione che rimpatria secondo i previsti cambi di guarnigione.

Nella Somalia Britannica è previsto il rinforzo della guarnigione mediante alcune compagnie cammellate.

Nel Kenya è previsto il rinforzo della guarnigione attuale con uno o due battaglioni di truppe coloniali. Un battaglione è stato spostato dalla zona sud del Lago Rodolfo verso l'est, concentrandolo nella zona di Wayer dove già si trovava una compagnia distaccata dello stesso battaglione.

Ad Addis Abeba, è previsto il rinforzo della guardia alla Legazione britannica, portandola da 6 a 100 uomini che verranno forniti da reparti dell'esercito indiano.

(l) -Vedi D. 637. (2) -Si tratta del rapporto n. 830 del 16 agosto 1935, non rinvenuto.
732

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4763/040 R. Terapia, 14 agosto 1935 (per. il 19).

Oltreché dell'Abissinia (mio telegramma odierno n. 161) (1), Aras mi ha parlato ieri lungamente della situazione balcanica.

Il tempo difetta per far partire col corriere di stasera un ampio esposto del colloquio, inquadrando le sue affermazioni nella situazione generale, e lumeggiando gli elementi più significativi. Ma non posso tardare a far conoscere a V. E. quali sono le sue affermazioni più importanti e le notizie di fatto che vi si contengono:

a) Vi è perfetta identità di vedute con la Jugoslavia. Essa si prepara a normalizzare interamente i suoi rapporti con noi, ma non andrà oltre, per ora, un patto di amicizia. Aras non ritiene che Stojadinovic voglia concludere un patto politico più significativo, che la farebbe uscire, anche formalmente, da una disposizione genericamente neutrale verso la Germania.

b) La Jugoslavia è in attitudine neutrale verso la Germania, in cambio di formale promessa di non appoggiare le rivendicazioni revisionistiche ungheresi e bulgare.

c) Con questa promessa (che sarebbe stata fatta da Goering durante la ultima nota sosta a Belgrado) (1), la Germania tiene in posizione la neutralità anche della Turchia, poiché se la Germania, approfittando di eventuali possibili complicazioni internazionali in occasione del conflitto itala-abissino, potesse realizzare l'Anschluss, nulla le resisterebbe, e la Turchia non potrebbe certo entrare in conflitto aperto con essa. La Germania non è oggi meno forte che nel 1914, forse di più.

d) Vi è un rafforzarsi dell'influenza inglese a Belgrado ed a Ankara. Con ciò Aras non vuole affermare una diminuzione dell'influenza francese nelle due capitali, ma tiene presente che, specialmente nella prima, i legami con la Corte di Inghilterra agiscono sensibilmente sul Principe Paolo.

e) Vi è una differenza fra Jugoslavia e Turchia. La prima non ha ancora voluto riprendere le sue relazioni con i Soviet. Ma la questione è già sostan·· zialmente decisa, e da un mese Stojadinovic gli ha fatto sperare di essere de·· ciso a riprendere le relazioni diplomatiche con Mosca. La decisione formale sarà presa nella riunione della Piccola Intesa a Bled il 27 agosto.

f) La Jugoslavia e la Turchia non potranno uscire dalla loro posizione di neutralità nei riguardi germanici che se si stabiliscano sicuri precisi rap-· porti fra Francia U.R.S.S. ed Italia, specialmente con quest'ultima, e si fissi1 perciò fino da questo momento un sistema diplomatico che ripeta, nelle debite forme la situazione delle alleanze di guerra con in più la Turchia.

g) La vera spina per la Turchia è la Bulgaria la quale può costituire,, pe::-soddisfare i suoi appetiti revisionisti sotto influsso germanico o per realizzare l'unione bulgaro-jugoslava (anche sotto influsso germanico), il ponte di passaggio alla marcia germanica. La Bulgaria è la principale causa che costituisce con la sua attitudine (sono sempre affermazioni di Aras), il più grande impedimento alla pacificazione balcanica.

h) Aras si fermerà a Bled il 29 agosto recandosi [poi] a· Ginevra; ivi egli fisserà il viaggio di Stojadinovic ad Ankara, viaggio già deciso in massima, che avrà luogo dopo quello che Stojadinovic farà a Roma, e sostituirà quello annunciato di Jeftic per la fine di giugno, e non effettuato per la situazione interna jugoslava.

Segue rapporto (2).

(l) Vedi D. 730.

733

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 14 agosto 1935.

L'Ambasciatore Chambrun ha ricevuto una telefonata di Lavai che si è dimostrato un po' allarmato per il fatto che si parla apertamente della nota inglese alla Francia.

Lo tranquillizzo dicendogli che la cosa è destinata a rimanere riservatissima.

L'Ambasciatore aggiunge che Laval consegnerà ad ogni modo un estratto della nota inglese al Barone Aloisi (1), estratto fatto in modo che possa rimanere nei nostri atti in modo che se la cosa venisse fuori egli possa giustificarsi di fronte al Governo inglese.

L'Ambasciatore si riferisce poi al recente colloquio col Capo del Governo (2). Mi dice di essere rimasto molto scosso e impressionato dalle dichiarazioni fattegli dal Capo del Governo. E;gli ritiene ad ogni modo che impostando per ora il problema sulla base della espansione e della sicurezza vi possa essere un inizio di soluzione.

Gli rispondo che siamo ancora troppo lontani; comunque qualunque sia la soluzione ci vuole l'oècupazione militare italiana nel territorio abissino.

L'Ambasciatore ritiene che sul fatto del disarmo gli inglesi forse potrebbero marciare; egli è sempre di opinione che possano arrivare fino ad una «irachizzazione » del territorio abissino.

Gli rispondo che comunque noi siamo scettici perché l'atteggiamento inglese non lascia presagire nulla di buono né dimostra di rendersi conto neanche lontanamente delle esigenze morali e materiali dell'Italia fascista. Gli presento alcune recenti manifestazioni inglesi che confermano questo nostro apprezzamento.

L'Ambasciatore si domanda se non sarebbe stato meglio che le conversa

'

zioni avessero luogo a Roma. Gli osservo che forse è meglio che si svolgano a Parigi anche in vista della limitatissima probabilità che le stesse possano arrivare ad un risultato.

Chambrun mi dice poi che ha capito dall'ultima conversazione col Capo del Governo che per il Patto danubiano ogni cosa rimane sospesa fino a settembre.

Gli rispondo che la sua interpretazione non è esatta. Il Capo del Governo non vuole risolvere la questione danubiana prima di settembre per le ragioni che gli ha esposte, ma non ha nulla in contrario a che si continuino le trattative; anzi a questo proposito posso riferirgli quale è il nostro punto di vista nei riguardi della mutu~ assistenza; nessuna contrarietà in principio, ma riserva sull'applicazione pratica nel caso dell'accordo danubiano sia in una forma generale che in una forma limitata.

L'Ambasciatore prende nota e si riserva di ritornare con me sull'argomento.

(l) -Vedi D. 367. (2) -Sl tratta del rapporto n. 833 del 16 agosto 1935. non pubblicato.
734

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DEL GIAPPONE A ROMA, SUGIMURA

APPUNTO. Roma, 14 agosto 1935.

L'Ambasciatore Sugimura è venuto a ringraziare per le accoglienze fatte alla Missione Aeronautica giapponese.

Parlandogli del conflitto itala-etiopico, Drummond (che è stato con lui alla Segreteria Generale della Società delle Nazioni) gli ha detto di ritenere che la Gran Bretagna presenterà un progetto per l'Abissinia simile a quello che era stato presentato per la Liberia. Drummond spera che il Negus lo accetti e ritiene che anche l'Italia, se i funzionari incaricati del controllo sono italiani, potrebbe accedervi.

Gli rispondo che non ho presente il progetto di controllo sulla Liberia, ma che ho l'impressione che sia molto lontano dalle nostre legittime aspirazioni.

L'Ambasciatore mi dice che ad ogni modo egli è deciso a continuare nel suo contegno favorevole all'Italia per il quale ha anche l'approvazione del proprio Governo. Ad ogni modo anche quando il suo Governo avesse delle riserve, egli continuerà nel suo atteggiamento netto e deciso fino a che non sia richiamato.

L'Ambasciatore mi presenta poi l'unito appunto di carattere confidenziale e amichevole. È una preghiera che rivolge alle autorità italiane. Gli rispondo che prospetterò il punto di vista giapponese perché sia esaminato con benevolenza (1).

ALLEGATO L'AMBASCIATORE DEL GIAPPONE A ROMA, SUGIMURA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. 201. Roma, 14 agosto 1935.

Le journal Tevere vient de publier dans son numéro du 12 <aoiì.t une caricature concernant S. M. l'Empereur du Japon. Etant donné le senlliment particulièrement profond de respect et de loyauté de la nation nipponne à l'égard de la Famille Impériale, j'aA. recours à l'obligeance particulière de V. E. pour la prier de vouloir bien intervenir auprès des autorités compétentes afin de faire limiter autan.t que possible la distr:ibuhlon du dit numéro et d'interdire toute reproduction de la d1te c·aricature.

En remerciant d'avance V. E. pour la sui.te qu'Ella voudra bièn donner à cette sollimtation...

(l) -Vedi D. 640. (2) -Vedi D. 714.
735

IL SOTTOSEGRETARIO ALLA MARINA, CAVAGNARI, AL CAPO DEL SERVIZIO ISTITUTI INTERNAZIONALI, BIANCHERI

APPUNTO U.S. 492 U.T. Roma, 14 agosto 1935.

Ho esaminato il memorandum del Foreign Office contenente alcune proposte del Governo inglese per una limitazione degli armamenti navali, trasmesso da codesto Ministero Esteri con telespresso n. 227467 del 12 corrente (2).

Espongo qui appresso il mio punto di vista al riguardo.

l" -Scopo del memorandum è di invitare i Governi italiano e francese ad esporre il loro punto di vista sopra dei limiti qualitativi per le varie cate

(ll Il presente documento reca il visto di Mussolini.

gorie di naviglio, e ciò allo scopo di esplorare se esista la possibilità di giungere ad una intesa sulla questione della limitazione qualitativa degli armamenti navali. Detti limiti sono precisati nel memorandum e sono quelli che il Governo britannico ritiene i più bassi, suscettibili di essere accetti alle maggiori potenze europee (Gran Bretagna, Francia, Italia e Germania).

La definitiva conclusione di ogni accordo in materia resterebbe tuttavia subordinata all'accettazione dei limiti stessi da parte dell'America e del Giappone. Tali nazioni la Gran Bretagna si riserverebbe di interpellare nel caso questo primo scambio di vedute consentisse di far intravedere la possibilità di un'intesa. Questa dovrebbe ad ogni modo essere ulteriormente definita in una conferenza tra i firmatari di Washington, che l'Inghilterra si riserverebbe di convocare nell'ottobre del corrente anno.

2<> -Dal testo del memorandum risultano i motivi per i quali la Gran Bretagna ritiene della massima urgenza arrivare, sopra la questione della limitazione qualitativa, ad un generale accordo, che possa entrare immediatamente in vigore alla scadenza degli attuali trattati.

3° -Quanto alla questione quantitativa, il documento espone i motivi per i quali, secondo il Governo inglese, il conseguimento di una intesa sopra tale problema non si presenti altrettanto urgentemente necessario, a parte tutte le difficoltà, sino ad ora insormontabili, che hanno impedito ogni progresso nelle trattative svolte a quello scopo.

Risulta però dal memorandum l'intenzione del Governo inglese di promuovere nuove conversazioni in materia, in occasione della preconizzata conferenza in ottobre, ed il memorandum stesso indica sopra quale nuovo principio, secondo la Gran Bretagna, dette trattative dovrebbero svolgersi.

4° -Nei riguardi della questione qualitativa sono ben noti i motivi per i quali sarebbe nostro interesse veder raggiunto un generale accordo, destinato a sostituire le clausole di limitazione qualitativa contenute nei trattati attualmente in vigore con altre destinate a stabilire limiti massimi di tonnellaggio e di armamento i più bassi possibili.

5° -Passando ad esaminare particolarmente quelli indicati nel memorandum, si rileva: a) Navi da battaglia (25.000 tonn. -calibro da 305 m/m).

La prossima esistenza di due navi da battaglia francesi tipo «Dunkerque :., sarebbe motivo per l'Italia di desiderare che i nuovi limiti qualitativi, da concordare per questa categoria, non fossero inferiori alle caratteristiche di quelle unità (26.500 tonn. -calibro da 330 m/m).

Tenuto conto tuttavia delle convenienze di evitare in ogni modo il risorgere, nel corso delle trattative, dell'annosa questione della parità con la Francia -pur mantenendo fermo, anche se non esplicitamente riajjermato, in lena di principio, il nostro ben noto postulato, basato sul principio della parità con la potenza continentale più armata -appare conveniente di non fare opposizione ai limiti indicati nel memorandum (25.000 tonnellate con armamento da 305 m/m). E ciò anche nella considerazione che una così drastica riduzione nel tonnellaggio e nel calibro non sarà quasi certamente accettata dall'Ame

rlca, e che il sorgere della nuova Marina tedesca creerà per la Marina francese vincoli maggiori che non per quella italiana.

b) Navi porta-aerei (22.000 tonn. con armamento da 155 m/m).

La marina italiana non possedendo per ora unità del genere, ha tutto l'interesse a che quelle possedute da altre marine siano il più possibile limitate nel dislocamento e nell'armamento. Comunque, qualora in avvenire sarà giudicato da noi conveniente di provvedere alla costruzione di unità portaaerei, i limiti indicati nel memorandum inglese risultano tecnicamente e strategicamente a noi sufficienti.

c) Incrociatori classe a) (10.000 tonn. con armamento da 203 mjm).

Qualora la costruzione di unità di tale tipo dovesse essere ripresa, non vi è motivo per la nostra marina per ricercare una sostanziale modifica nei massimi limiti citati e che corrispondono a quelli attualmente fissati dal Trattato di Washington. Nei riguardi della eventuale rinunzia alla costruzione, dopo 11 1° Gennaio 1937, di unità di tale tipo, come preconizzato dal Governo inglese, non avremo ragione per farvi opposizione, dato che già ne possediamo in numero eguale alla Nazione continentale più armata.

d) Incrociatori classe b J e naviglio leggero di superficie (7.600 tonn. con armamento da 155 m/m).

Il riunire in un unica categoria gli incrociatori della classe b) con il naviglio leggero di superficie non può essere che a noi favorevole inquantoché tale disposizione ci consentirebbe una maggiore libertà di azione nel provvedere alla costruzione di quei tipi di unità che meglio potrebbero corrispondere alle nostre esigenze geografico-strategiche. Il limite massimo suggerito dal Governo britannico è, anche per questa classe, accettabile per noi, tanto più che le nostre ultime costruzioni in corso, in fatto di incrociatori classe b), si avvicinano appunto a dette caratteristiche di tonnellaggio e di armamento.

e) Sommergibili (2.000 tonn. con armamento da 130 mjm).

Per quanto sarebbe più conveniente per noi che il limite massimo del dislocamento fosse concordato sulla base di 1.400 tonnellate circa, pari cioè a quello dei sommergibili di grande crociera che l'Italia possiede, tuttavia i limiti indicati nel memorandum britannico possono essere considerati da noi accettabili.

In definitiva, i limiti qualitativi suggeriti dal Governo inglese nel suo memorandum risultano in via di principio, accettabili alla marina italiana.

6° -Come già precedentemente indicato, appare chiaro dal documento inglese l'intenzione del Governo britannico di intavolare, in occasione dell'eventuale convocazione della conferenza in ottobre, trattative per ricercare un accordo quantitativo sulla base del nuovo principio della dichiarazione unilaterale sulle intenzioni di ciascun Governo nei riguardi del proprio programma di costruzioni navali, relativo ad un certo numero di anni.

Tale proposta non potrebbe essere da noi accettata quale base di discussione per le seguenti considerazioni:

a) n principio della proporzionalità delle flotte risorgerebbe in via indi

retta attraverso alla discussione circa i programmi di costruzione a lunga sca

denza di ciascuna nazione.

Di conseguenza, il contrasto con la Francia sulla questione della parità, ora sopito, potrebbe facilmente risorgere; e non è anzi da escludere che tale scopo possa essere perseguito dall'Inghilterra, al fine di turbare le nuove relazioni politiche fra l'Italia e la Francia.

b) Troppo difficile sarebbe per noi stabilire programmi di costruzioni per un così elevato numero di anni quale è noto vorrebbe l'Inghilterra, e troppo pericoloso comunque assumere impegni in tal senso; e ciò nella considerazione della possibilità del sorgere di necessità derivanti da situazioni internazionali o da disponibilità di bilancio imprevedute ed imprevedibili.

Concludendo, la risposta italiana al memorandum britannico dovrebbe, a mio avviso, chiaramente mettere in luce i punti seguenti:

A) Il punto di vista inglese circa l'urgenza di addivenire a nuovi accordi qualitativi destinati a sostituire quelli contenuti negli attuali trattati è condiviso dall'Italia.

La ricerca di tali accordi qualitativi dovrebbe essere quindi lo scopo essenziale della futura conferenza.

B) I limiti di tonnellaggio ed armamento suggeriti quali basi di intesa dal Governo britannico nel suo memorandum sono, in linea di massima, per noi accettabili, purché riconosciuti da tutte le maggior.i potenze navali.

C) Nei riguardi della questione qÙantitativa, l'unica possibilità di intesa, secondo il nostro parere, potrebbe essere ricercata nella reciproca comunicazione dei programmi annuali di costruzioni. \

D) Quanto alle questioni, di cui al paragrafo 8° del memorandum britannico, saremmo favorevoli al loro esame, in occasione della prevista conferenza, in vista di un eventuale generale accordo al riguardo.

(2) Vedi D. 718.

736

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. PER CORRIERE 1444 R. Roma, 15 agosto 1935, ore 12,30.

Suo telegramma 93 del 13 corrente (1).

Incontro entro mese corrente presenta notevoli difficoltà trattandosi di periodo già estremamente impegnato anche per manovre militari. A parte queste difficoltà materiali S. E. il Capo del Governo preferirebbe che incontro del genere abbia luogo dopo decisioni di Ginevra, quando potrebbe essere utile riaffermare e marcare con una visita del genere continuità e stabilità dei rapporti politici esistenti fra i due Paesi.

Circa visita Stojadinovic nulla consta fino a questo momento e ritengo poco probabile che essa comunque possa avvenire entro questo mese per le medesime ragioni materiali sopra esposte.

(l) Vedi D. 723.

737

IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4677/83 R. Durazzo, 15 agosto 1935, ore 13,35 (per. ore 16,55).

Giungono prime notizie di un moto insurrezionale scoppiato ieri nel pomeriggio a Fieri e capeggiato da quel Comandante Gendarmeria.

Generale Ghilardi recatosi sul posto è stato ucciso dal Sottotenente Kraja della Gendarmeria. Quest'ultimo, alla testa di un centinaio di rivoltosi, in gran parte immigrati kossovari, si è quindi diretto Sulusnia ove per altro la banda si è dispersa dopo breve combattimento con piccolo presidio locale.

Durante la notte battaglione Mathi è stato inviato nella zona dell'insurrezione che sembra domata.

È stato emanato ordine richiamo tre battaglioni riservisti. Viene inviato un mas alle foci del Semeni evidentemente per tagliare comunicazioni rivoltosi. II movimento che sembra abbia origine ad El Bassan apparirebbe localizzato. Notizie della nottata da Valona affermano che zona meridionale è finora tranquilla. Mi consta però che a Tirana si è preoccupati di possibili ripercussioni nella regione di Scutari e di Piscopeia.

738

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 4678-4683-4679/469-470-471 R. Parigi, 15 agosto 1935, ore 17,40 (per. ore 24).

Sono stato ricevuto stamane da Lavai che, dopo qualche parola di benvenuto, mi ha parlato della conversazione avuta ieri con Eden dicendo di aver tratto un'impressione favorevole e ben diversa dai propositi che la stampa italiana attribuisce al ministro inglese.

Lavai mi dichiarò di aver detto a Eden che, dal punto di vista degli interessi economici, egli aveva lasciato carta bianca all'Italia con semplici riserve per gli interessi francesi esistenti che erano solamente quelli della ferrovia da Gibuti ad Addis Abeba. Menzionò la circostanza che nell'accordo tripartito è prevista la congiunzione delle due colonie italiane mediante una strada ferrata che passi ad Ovest della Capitale etiopica per dirmi che, sebbene essa finirebbe per fare concorrenza alla attuale linea francese, la cosa non aveva eccessiva importanza per lui, deciso di andare fino dove possibile per fare cosa grata all'Italia.

Lavai aveva chiesto a Eden, dopo di averlo informato di quanto precede, quale sarebbe stato l'atteggiamento britannico nel campo economico. Aveva avuto risposta che a Londra si sarebbe stati disposti a fare all'Italia concessioni di natura economica non minori di quelle fatte dalla Francia.

Lavai, soddisfatto ma anche un poco sorpreso dalla inattesa dichiarazione, mi disse di avere menzionato il Lago Tana riCevendo da Eden la risposta che

naturalmente questione interessava gli Inglesi come lo provavano i vari accordi conclusi a riguardo con l'Italia ma che l'interesse medesimo era limitato ai territori specificati negli atti internazionali.

Dopo di che Laval mi ha detto [che] come vedevo, egli aveva ragione di sperare di poter raggiungere un accordo che desse all'Italia la soddisfazione a cui essa ha diritto e che al tempo stesso evitasse la guerra e salvasse il prestigio della Società delle Nazioni.

Ho da parte mia detto a Lavai che il Barone Aloisi, che egli avrebbe ricevuto subito dopo (1), sarebbe stato in grado fargli conoscere meglio di me il punto di vista italiano poiché egli giungeva da Roma con le ultime direttive impartitegli da S. E. il Capo del Governo.

Nella mia qualità di Ambasciatore, che si proponeva parlare col Capo del Governo francese sin dal primo momento un linguaggio franco, dovevo dirgli che il Governo fascista era deciso risolvere in modo definitivo problema sicurezza propri possedimenti in Africa Orientale e quello dell'acquisto di territorio che permettesse esuberanza popolazione italiana colonizzare zone fertili e ricche materie prime mancanti. Era ultima opportunità che si offriva all'Italia e Laval, che si mostrava così fervido fautore dell'amicizia col nostro Paese, doveva rendersi conto che non era certamente un Governo come quello fascista che si sarebbe ritratto dopo aver fatto ingenti preparativi militari e non aver mai lasciato dubbi circa le sue intenzioni di andare fino in fondo.

Laval mi ha risposto, come mi aveva già detto, i suoi sforzi miravano a fare sì che l'Italia ottenesse in Africa Orientale tutto quanto desidera, cioè il predominio sull'Etiopia ma senza fare la guerra e senza distruggere S.d.N.

«Non facciamo il giuoco della Germania», disse testualmente Lavai; al che risposi che chi lo aveva fatto era stato, almeno sino ad ora, l'Inghilterra con la sua politica tutt'altro che rettilinea.

Lavai osservò dal suo lato che egli aveva detto molto esplicitamente agli Inglesi quello che pensava circa loro politica con i tedeschi.

Ho creduto pure dire a Lavai che la decisione di von Neurath, comunicata da von Btilow tre giorni or sono, di non entrare in conversazione per alcuni dei patti previsti dagli accordi di Londra prima del 1° ottobre dimostrava come a Berlino si speculasse sopra una maggiore scissione fra Italia, Francia e Inghilterra, utilissima ai fini tedeschi.

Lavai ne convenne.

Ho pure detto a Laval che non bisognava cercare di ingannare se stesso

o qualcun altro parlando di concessioni economiche in una regione le cui popolazioni sono guerriere e quindi tutte armate. Problema che si presentava al Governo italiano era quello di disarmare popolazione abissina e questo avrebbe richiesto operazione che si poteva chiamare militare o di polizia coloniale ma che in realtà era la stessa cosa.

Lavai mi ha risposto che cosi giudicava la cosa anche lui. A suo avviso

s. E. il Capo del Governo avrebbe dovuto mostrare moderazione accettando, come zona in cui esplicare azione economica dell'Italia, una regione relativamente limitata. Accennò all'Ogaden ottenendo da me risposta che non era

da pensare nemmeno un momento che ci si potesse accontentare di un simile territorio.

Lavai disse allora che si sarebbe potuto vedere di consentirci di andare più in là, ma evitò di precisare l'eventuale concessione. Aggiunse che tutta la storia coloniale della Francia suffragava la sua tesi.

Accontentandosi da principio di ben poco la Francia aveva poi irradiato la propria influenza a costo di gravi sacrifici di sangue e di denaro ed aveva conquistato l'attuale vasto suo impero coloniale. Egli, amico sincero dell'Italia, voleva che noi potessimo fare altrettanto seguendo lo stesso metodo.

A questo punto Lavai mi disse che Eden sembra propendere ad accordare all'Italia una garanzia dell'Inghilterra e della Francia per il possesso dei suoi possedimenti in Africa Orientale per il caso in cui l'Italia, a causa complicazioni in Europa, fosse stata esposta al pericolo di perdere le proprie colonie. Egli, Lavai, se fosse stato italiano, non avrebbe accolto con favore una simile proposta per ragioni di prestigio. A veva quindi detto a Eden che non credeva fosse il caso di considerare la proposta.

Ho osservato dal canto mio che Eden mi sembrava si trovasse fuori della realtà perché il giorno in cui l'Italia fosse stata impegnata in una guerra in Europa Io sarebbero state pure Francia e Inghiltern;t e la garanzia, di cui aveva parlato Eden, sarebbe rimasta lettera morta.

Il migliore metodo restava sempre quello patrocinato da S. E. il Capo del Governo, di garantire i possedimenti italiani nell'Africa Orientale con una lezione da infliggersi alla tracotanza degli Abissini che togliesse loro il modo di minacciare ~quanto è stato conquistato con il sangue italiano.

Lavai ripetè che lo dovevamo fare, ma sotto l'aspetto di tutelare interessi economici. Menzionò, a riguardo, il diritto che potrebbe essere accordato all'Italia di tenere guarnigione in determinate regioni etiopiche come accade lungo Canale di Suez a sua difesa e come avveniva in Manciuria ed in Cina a difesa delle ferrovie russe e giapponesi. Si trattava di questioni minori che avrebbero potuto essere studiate in seguito.

Le sue ultime parole furono: «Dite a Mussolini che io sono deciso a fare tutto per l'Italia, che deve poter estendere il suo dominio sui territori che le occorrono, ma non si deve parlare di guerra e non si deve mettere a repentaglio esistenza della S.d.N. ~ (l).

(l) Vedi D. 739.

739

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4684-4681/1-2 R. Parigi, 15 agosto 1935, ore 19 (per. ore 3,10 del 16).

Appena giunto, intrattenutomi poco meno due ore con Lavai. Detto che né lui né Eden avevano alcuna idea nuova, mi ha accennato ad alcuni argomenti quali quello della cessione dell'Ogaden contro uno sbocco

(l} Per la risposta di Mussolini vedi D~ 759.

al mare, d'un mandato tipo Iraq ecc. ecc.; argomenti già sviluppati a Cerruti in un colloquio avuto con lui poco prima (1). Ho creduto opportuno lasciar cadere la discussione, per lasciare tutta la loro efficacia alle dichiarazioni di intransigenza che mi proponevo di fare.

Lavai ha aggiunto di avere avuto ieri impressione che Eden fosse alquanto più calmo, dato che avevagli detto Inghilterra essere disposta ammettere qualunque genere concessioni economiche all'Italia, salvo che nella zona Lago Tzana, nei cui riguardi esistevano tra l'Italia e l'Inghilterra accordi precisi nonché qualunque concessione territoriale che eventualmente Etiopia fosse disposta fare.

Avendogli poi Lavai chiesto chiarimenti su notizia telegrafatagli da Chambrun in seguito colloquio V. E. (2}, secondo cui Inghilterra aveva già praticamente iniziato sanzioni economiche contro l'Italia rifiutando dar corso alcune nostre ordinazioni, Eden aveva dato assicurazione trattarsi rifiuti opposti da singole ditte private, negando assolutamente ogni responsabilità Governo inglese.

Ho risposto a Lavai che, per non incorrere in equivoci, è bene all'inizio trattative prendere come punto di partenza di ogni discussione, inderogabilità assoluta da obbiettivi fissati a suo tempo Duce e comunicati a lui ed a Eden.

Ho creduto opportuno rendere fortissimo tono nostra intransigenza, indi successivamente ho passato in rivista tutta complessiva situazione politica mondiale, incominciando con mettere in luce quei punti più sensibili per la Francia che mi propongo di usare come mezzo di persuasione, sviluppandoli al momento opportuno. Tra l'altro ho richiamato sua attenzione sul fatto che la completa adesione Francia alla nostra palitica etiopica è presupposto necessario allo sviluppo della organizzazione della pace europea intrapresa da V. E. in collaborazione con Francia.

Passati a parlare di sicurezza, Laval mi ha lasciato intendere chiaramente la sua intenzione di evitare qualunque accerchiamento della Germania, con la quale egli anzi spera di potersi accordare.

Ho concluso [chiedendo] a Lavai l'adozione procedura trattative in base quattro punti approvati da V. E. (3), sui quali mi propongo incanalare prima fase discussioni:

1°} dichiarazioni franco-inglesi di preminenza interessi italiani politici ed economici in Etiopia; 2°} dichiarazioni politica francese sulla necessità dell'espansione italiana demografica ed economica (materie prime);

3°) assicurazione italiana che l'Italia continuerà la sua collaborazione a Ginevra alla sola condizione che si raggiunga una intesa sul riconoscimento franco-inglese al diritto italiano al raggiungimento degli obbiettivi fissati dal Duce;

4°} accettazione da parte italiana dei diritti economici riconosciuti finora all'Inghilterra dal Tripartito, mettendo però in chiaro che ci riserviamo di esaminare le speciali condizioni del momento e le concessioni con altri atti politici del tempo per porre in giusta luce spirito che informò Accordo Tripartito.

Lavai accolto procedura suggerita e domani mattina convocherà me e Eden.

Accettato mia proposta iniziare negoziati esclusivamente fra noi tre.

Circa situazione interna Gabinetto a Parigi di fronte conflitto italo-inglese, Lavai espostomi seguenti considerazioni: a) politica francese è tutta imperniata su S.d.N. e su Patti compresi nel suo quadro; b) opinione pubblica francese comprende e sostiene azione mediatrice di Lavai solo in quanto diretta ad allontanare guerra. Conseguentemente, eventuale scoppio ostilità seguirebbe fallimento opera per il cui successo egli è ormai compromesso; c) conflitti Brest e Tolone sono stati originati, non solo da noti decretilegge, ma anche da orientamento politica estera Lavai che comunisti accusano di essere filo-germanico ed antifascisti accusano di essere filo-italiano. Egli ha concluso che, per tutte queste ragioni, scoppio ostilità renderebbe sua situazione insostenibile (l).

(l) -Vedi D. 738. (2) -Vedi D. 714. (3) -Vedi D. 706.
740

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PERSONALE 8770/579-580 P. R. Londra, 15 agosto 1935, ore 19 (per. ore 7 del 16).

Solo avantieri ho ricevuto la Tua lettera dell'B corrente (2).

Dopo aver considerato tutti i particolari della situazione non posso che confermare quanto ho scritto nel mio telegramma per corriere n. 137 dell'8 corrente (3), che il nervosimo del Governo e della opinione pubblica sia andato indubbiamente aumentando.

Ipotesi che l'Inghilterra adotti delle misure militari contro l'Italia con un'azione isolata al di fuori della procedura S.d.N. non è stata, almeno fino ad oggi, mai qui prospettata seriamente. Il problema dell'azione britannica è stato sempre posto solo nel quadro delle decisioni che potrebbero essere prese dalla S.d.N., qualora la S.d.N. giungesse fino all'applicazione dell'articolo 16 ed alle sanzioni previste da tale articolo. Questo è punto di vista non solo del Governo ma anche dell'opposizione.

Posto così il problema, resta a domandarsi se Governo inglese è assolutamente deciso a spingere la procedura della S.d.N. fino all'applicazione di sanzioni di natura militare contro l'Italia. Sul problema delle sanzioni, l'atteggiamento ufficiale Governo britannico è stato fino ad ora riservato e generico. Nonostante le pressioni che insistentemente esercitano gli elementi pacifisti -con alla testa Lord Robert Ceci! -per spingere il Governo a manifestare i suoi propositi, Governo britannico ha evitato sino ad ora di farlo. Di sanzioni vere e proprie Hoare non ha parlato mai nelle conversazioni che io ho avuto con lui, né nei suoi discorsi alla Camera dei Comuni, né, a quanto risulta dai documenti tra

smessimi da Roma, nelle comunicazioni fatte dagli Ambasciatori britannici a Roma e a Parigi ai rispettivi Governi.

Il punto di vista britannico è stato costantemente che l'Inghilterra non può fare nulla a Ginevra nei riguardi dell'Italia senza un previo accordo con la Francia. L'attività politica inglese si è quindi concentrata particolarmente in quest'ultimo tempo ad indurre il Governo francese ad associarsi a quello britannico per arrestare, attraverso un risoluto intervento della S.d.N., l'azione italiana nell'Africa Orientale. Fino ad ora la Francia ha resistito alle pressioni inglesi: è fuori dubbio che nella resistenza opposta finora dalla Francia alle pressioni inglesi si trova la linea di arresto dell'azione britannica.

L'azione del Gabinetto è, come già ho riferito, dominata dalla preoccupazione di crearsi un alibi politico il più evidente possibile di fronte alle irrequiete masse elettorali e dalla volontà del Foreign Office di servirsi della infatuazione pacifista e societaria per dimostrare alla Francia che questo è il momento, o mai più, per realizzare, al coperto della S.d.N. e sul terreno di una applicazione degli articoli del Covenant, quella intesa generale anglo-francese che, finora, è stata propriamente ostacolata dalle correnti societarie, laburiste e pacifiste.

Le riunioni di questi giorni a Parigi, durante le quali Eden e Vansittart cercheranno sopratutto di convincere il Governo francese ad un'azione comune franco-inglese da esercitarsi a Ginevra nei riguardi dell'Italia daranno degli elementi importanti non solo per accertare il grado di resistenza francese, ma anche per poter conoscere sino a quale punto intende veramente spingersi l'azione britannica, oltre quelli che sono stati finora i limiti di un'azione dimostrativa.

Le indagini per mio incarico compiute da questo Addetto Navale tendono confermare che Governo britannico non contempla, almeno fino ad oggi, possibilità di operazioni. guerra contro l'Italia. Secondo informazioni fonte confidenziale da me raccolte, nessuna misura sarebbe stata presa per la eventualità di questa guerra, né in Europa, né nell'Africa Orientale (vedi mio telegramma

n. 578 (1).

Gli ambienti coloniali (i quali sono per noi particolarmente importanti, sia perché essi hanno sino ad ora considerato la nostra azione in Africa senza opposizione o preconcetti, sia perché la loro opinione avrà da ultimo un'immancabile peso su quella che sarà azione del Governo britannico) continuano a valutare la situazione con abbastanza calma, anche se le dichiarazioni del Generale Smuts e la notizia di crescente simpatia per l'Etiopia tra gli indigeni nei possedimenti africani e asiatici dell'Inghilterra, abbiano indubbiamente acuito le vecchie diffidenze e ingenerato nuovi timori.

È da tenere presente che la propaganda anti-italiana si è andata concentrando in questi ultimi tempi proprio sull'aspetto coloniale del problema etiopico. Ho già segnalato le notizie diffuse a Londra sulle nostre intenzioni di denunziare l'accordo Tripartito e di contestare i diritti inglesi relativi alle acque del Lago Tzana (vedi mio telegramma n. 508) (2). La stampa ha riportato voci di aiuti che l'Italia si presterebbe a dare ai nazionalsocialisti egiziani; vi è indubbiamente tutto un lavoro da parte di vecchi e nuovi elementi dell'antifascismo, e

52 -Documenti dipiomatici -Se~le VIII -Vol. I

dei più noti agenti della propaganda tedesca, per esagerare le notizie sull'animosità italiana contro la Nazione britannica in generale, per inasprire ancora vieppiù l'opinione inglese, aizzare la sensibilità degli ambienti coloniali e allargare il dissidio itala-inglese sopra quest'ultimo terreno, più diretto e concreto che non quello dell'azione societaria. Tuttavia, nonostante questo sforzo e nonostante l'evidente peggioramento dei rapporti generali itala-inglesi, l'opinione pubblica britannica è, come ho detto più volte, ancora profondamente divisa nei riguardi della questione abissina, perché. se da una parte vi è chi reclama un intervento attivo della Società delle Nazioni e l'applicazione all'Italia delle sanzioni previste dal Patto, dall'altra vi sono quelli che con non minore energia reclamano la neutralità dell'Inghilterra.

Questa è la situazione, che si mantiene quanto mai fluida e incerta, dimostrando -presso che ogni giorno -aspetti diversi e contraddittori. Solo qualora si verificasse un cambiamento radicale nella situazione, e l'atteggiamento di ostilità all'Italia divenisse generale, il Governo britannico potrebbe considerare la possibilità pratica di una azione militare contro di noi. Ma se da una parte noi riusciremo a tranquillizzare gli ambienti coloniali inglesi -che sono divenuti, come dicevo, più sensibili e nervosi -e dall'altra paralizzare azione che i nostri avversari stanno svolgendo per inasprire i rapporti itala-inglesi, non credo che Governo britannico potrà, anche se lo volesse, giungere fino all'estrema decisione di una guerra con l'Italia.

(l) -La prima parte del documento reca il visto di Mussolin!. (2) -Vedi D. 693. (3) -Vedi D. 691. (l) -Vedi D. 731. (2) -T. 508 del 23 luglio 1935, non pubblicato.
741

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. 8633/325 P. R. (l). Roma, 15 agosto 1935, ore 21,45.

Voglia subito esprimere il mio compiacimento personale a Frank Simonds per l'articolo esauriente da lui pubblicato sul Saturday Evening Post. È da sperare che tale articolo giovi a raddrizzare un poco la così detta opinione americana.

742

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, ANFUSO

T. PER CORRIERE 1445 R. Roma, 15 agosto 1935.

Mi riferisco Suoi telegrammi nn. 201 e 096 del 1° e 5 corrente (2).

Questione amnistia per condannati di Calimno limitata a reati politici connessi con agitazioni religiose è stata messa allo studio in relazione a situazione locale e a procedura di appello tuttora in corso.

Ritengo quindi che di massima questione potrebbe avere in tempo relativamente breve soluzione favorevole secondo desiderata espressi da generale Condylis.

Non avrei quindi difficoltà a che Ella facesse una comunicazione in tale senso per il tramite dell'an. Mercuris o direttamente. Ma d'altra parte, dalle conversazioni da Lei avute con il ministro Maximos, di cui al Suo telegramma

n. 091 in data 16 luglio (l) e successivamente al Suo telegramma 095 del 5 corrente (2), ho dovuto rilevare che il signor Maximos -ch,e è poi il rappresentante ufficiale ed autorizzato della politica estera del suo Paese -persiste a non avere alcuna sensibilità per quelle che potrebbero essere le condizioni di una rinnovata stretta cordialità di rapporti fra i due Paesi.

L'episodio della eventuale ammissione dell'Albania nell'Intesa Balcanica, del resto tutt'altro che attuale a quanto sembra, è tanto più significativo in quanto la Grecia ha tuttora in corso con l'Albania delle controversie. Fra i due Paesi vi è un tradizionale contrasto con complessi interessi ellenici in giuoco. Non avrebbe quindi dovuto presentare difficoltà il deferire sia pure formalmente al desiderio da noi espresso in forma così discreta e confidenziale. Il ,signor Maximos ha invece preferito divagare sull'argomento principale e avrebbe anzi aggiunto infine delle recriminaz;ioni almeno inopportune sulla situazione del Dodecanneso.

Tutte tali circostanze mi costringono a riflettere anche sulla questione dell'amnistia, che potrebbe finire per essere interpretata come un successo del Maximos e della sua persistente politica anziché l'indice di una situazione nuova.

Mi sembra quindi opportuno di far pervenire in qualche modo a conoscenza del generale Condylis queste mie perplessità ed apprezzamenti.

Trattandosi di azione molto delicata da coordinare anche strettamente alla locale situazione interna, La prego di farmi conoscere se Ella avesse eventualmente qualche osservazione da fare in proposito.

Occorre naturalmente procedere con molta cautela evitando per quanto è possibile di dare l'impressione di personalismi o di una nostra intenzione di volerei ingerire direttamente nella politica interna.

Circa la questione dell'Albania sembra superfluo per ora tornare sull'argomento, tenendo anche presente che in sostanza non conviene sopra tutto costi sopravalutare l'importanza, che del resto è limitata sopra tutto al settore dei rapporti itala-albanesi (3).

(l) -Minuta autografa. (2) -Vedi DD. 649 e 667.
743

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO

T. 1447/213 R. Roma, 15 agosto 1935, ore 24.

Si prega codesta Ambasciata trasmettere Tokio seguente telegramma col

n. 91. «Telegrammi di V. E. n. 154 e n. 155 (4).

R. -Governo mantiene direttive di massima di cui al telegramma di questo Ministero n. 72 (l) relative politica italiana in Cina e rapporti itala-giapponesi.

Al fine controbattere opinione che azione italiana in Africa si ispiri concetto lotta razza, V. E. può servirsi seguenti elementi estratti da un telegramma diretto da Ministero Stampa e Propaganda ad altra R. Rappresentanza:·

« V. E. può escludere che Duce abbia in qualsiasi occasione insultato popoli Asia. Se voce si riferisse passo intervista concessa Echo de Paris 21 luglio relativo popoli arretrati e selvaggi, dal testo emerge chiaro che tali parole si riferivano esclusivamente negri e non asiatici cui antichissime civilità godono tra noi massimo rispetto, e cui collaborazione fu invocata solennemente dal Duce, nel discorso tenuto in Campidoglio dicembre 1933 davanti studenti Nazioni asiatiche.

Duce e Fascismo rifuggono da formule astratte tipo umanitario che sono troppo spesso adoperate per coprire interessi particolari che non si osa proclamare apertamente. Tanti più energicamente perciò ricusano aderire a formule razziali ancora più astratte e false e profondamente aliene spirito Roma ciò che è stato dimostrato ampiamente da reazione italiana a certe manifestazioni hitlerismo ».

Per quel che concerne in particolare reazioni italiane ad atteggiamento giapponese nella vertenza itala-etiopica, nostro atteggiamento è di riservata attesa.

744.

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4682/3 R. Parigi, 15 agosto 1935, ore 24 (per. ore 3,10 del 16).

In seguito suo colloquio con Lavai (2), Eden mi ha telefonato chiedendo vedermi. Tenuto assicurarmi migliori disposizioni e confermarmi che Governo britannico è assolutamente alieno ogni idea sanzioni economiche contro l'Italia.

Abbiamo avuto lunga conversazione di ordine generale, presente Vansittart. Avvalendomi nostre ottime relazioni personali derivanti da lunga collaborazione, ho potuto sferrare violentissima requisitoria contro atteggiamento britannico.

Vansittart opposto che l'Italia calpesta impegni assunti quali Patto Kellogg e Covenant.

Ribattuto dolermi che argomenti nostre note inviate Governo britannico (3) non avessero aperto occhi su entrambi punti. Egoistiche ragioni britanniche, mal mascherate da societarismo a sfondo elettorale, non avrebbero comunque smosso Italia dalla via prefissa.

Discussione è servita unicamente ad incrociare ferro e a mostrare anche ad Inglesi nostra posizione assoluta intransigenza ( 4).

(-4) Il presente documento reca il visto di Musso!in!.
(l) -Vedi D. 551. (2) -Non rinvenuto, ma vedi D. 682. (3) -Per la risposta di Anfuso vedi D. 790. (4) -Non rinvenuti, nella raccolta dei telegrammi in arrivo del 1935 manca il volume relativo al Giappone. (l) -Vedi D. 468. (2) -Vedi D. 738. (3) -Vedi D. 639.
745

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 15 agosto 1935.

L'Incaricato d'Affari di Svezia mi ha rimesso l'accluso Promemoria in risposta alle osservazioni fattegli per il tramite del Ministro Buti circa l'attività del Generale Virgin ed il Trattato di Commercio concluso fra la Svezia e l'Abissinia (1). Mi ha detto che aveva avuto istruzioni di fare la comunicazione solo verbalmente.

Mi ha aggiunto:

l) il Generale Virgin nega l'intervista attribuitagli;

2) il Governo svedese ritiene che nell'eventualità di un conflitto italaabissino l'istituzione di servizi della Croce Rossa organizzati con l'aiuto straniero come rispondenti a scopi umanitari non potrebbero sollevare obiezioni da parte del Governo italiano (2).

ALLEGATO

LA LEGAZIONE DI SVEZIA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

AIDE-MÉMOIRE. Roma, 15 agosto 1935.

Le Gouvernemoot suédois a reçu la communioation du Gouvernement itaJ.ien avec le plus grand étonnement. La Suède entretient avec l'Ethiopie les memes relations pacifiques et amicales qu'avec les autres pays. Le faJit qui, malheureusement, un g11ave différend e:xiiste actuellement entrre l'Italie et l'Ethiopie ne peut pas influencer les relations normales entre la Suède et chacune des deux Parties au différend. Le Gouvernement suédois doit donc repousser les reproches que le Gouvernement dtalien lui a adressées dans sa communication précitée.

746

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (3)

L. P. Londra, 15 agosto 1935.

Da persona che è assai viCma a Baldwin, e le cui informazioni datemi sinora sono state in genere corrispondenti a verità, mi è stato riferito stamane un particolare che desidero Tu conosca al più presto.

Durante l'ultima riunione del Gabinetto il Ministro Eden (il quale insieme a Vansittart è diventato il centro dell'azione britannica contro di noi, e la cui

mentalità di politicante meschino e fanatico non rifugge da alcuna possibile aberrazione) ha espressamente insistito presso i suoi colleghi del Gabinetto perché si domandasse all'Ammiragliato di esaminare sin d'ora l'eventualità che la flotta britannica del Mediterraneo potesse essere chiamata ad agire contro l'Italia.

L'Ammiragliato ha domandato qualche giorno per studiare la situazione, ed ha inviato quindi una risposta che il Gabinetto ha ricevuto il giorno prima della partenza di Eden e di Vansittart per Parigi. In questa risposta sarebbe detto chiaramente che l'Ammiragliato sconsiglia nel modo più deciso il Gabinetto e il Foreign Office di portare la situazione al punto in cui potesse essere richiesto l'intervento della flotta britannica per operazioni di guerra contro l'Italia, e ciò perché lo stato di efficienza bellica delle unità navali britanniche nel Mediterraneo non è tale da garantire il successo di operazioni di guerra contro le unità della Marina Italiana e l'Armata Aerea dell'Italia. L'Ammiragliato avrebbe aggiunto che le posizioni di offesa e di difesa britanniche nel Mediterraneo non sono oggi, di fronte alla preparazione ed all'efficienza bellica dell'Italia, quali potevano essere considerate soltanto qualche tempo fa.

Questa risposta dell'Ammiragliato avrebbe -sempre secondo il mio informatore -irritato assai Eden, alla cui iniziativa e personali istruzioni devonsi anche il perfido e ricattatorio articolo del Times di mercoledì scorso, ed in genere la ripresa dello starnazzamento della stampa di martedì, mercoledì e giovedì contro di noi, nonché del tono intimidatorio della medesima contro Laval.

(l) -Vedi D. 688. (2) -l! presente documento reca Il visto di Mussold.n!. (3) -Ed. in R. DE FELICE, Mussolini il duce, vol. I, cit., p. 674.
747

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4702/474 R. Parigi, 16 agosto· 1935, ore 20,10 (per. ore 21,20).

Aldrovandi comunica quanto segue:

«Giunto stamane.

La Pradelle ha chiesto avere colloquio personale con me.

Dopo taluni ondeggiamenti assai contradittori da parte sua, ha proposto che, salvo quanto altro potesse accadere e che egli ignora: 1° commissione di conciliazione e arbitrato potrebbe riprendere i suoi lavori, interrotti a Scheveningen, lunedì 19 corr.; 2° che per designazione del quinto arbitro e sua eventuale nomina in caso di nuovo disaccordo fra gli arbitri, non è necessario affrettarsi. Ho acconsentito sapendo di essere d'accordo con Montagna. Riteniamo infatti utile questo indugio che non ci ha obbligato ad una designazione «sans délai » del quinto arbitro prima che S. E. Aloisi avesse avuto con Politis una conversazione che Aloisi avrà soltanto stasera (1).

Da quanto ho· rilevato dalla stampa e da quanto risulta dai suoi colloqui con Pignatti, Politis, che andò a visitare Eden avant'ieri, ha fra l'altro tendenza a fare e, per fini non chiari ed a me non persuasivi, a favorire una sentenza transazionale e di attenuanti per l'Etiopia. A me fece anche cattiva impressione l'ansietà con cui Jèze, agente del Governo etiopico, ha insistito per la nomina di lui.

Ad ogni modo Montagna ed io siamo, per quanto concerne il suo nome, agli ordini del R. Governo».

(l) Vedi D. 752.

748

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE, LAVAL, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

COMUNICAZIONE TELEFONICA (l). Parigi, 16 agosto [1935, sera] (2).

Il programma qui di seguito è suggerito come base per una discussione preliminare tra le tre Potenze firmatarie del Trattato del 1906 ed ulteriormente coll'Etiopia in vista di risolvere le difficoltà sorte tra l'Italia e quel Paese (Abissinia).

E' inteso che queste suggestioni hanno carattere di esplorazioni e non sono comunque impegnative tra i Governi interessati.

l) L'Abissinia potrebbe rivolgere appello alla S.d.N. in vista di ottenere collaborazione e assistenza straniere per lo sviluppo economico e la riorganizzazione amministrativa del paese.

2) La risposta a questo appello prenderebbe forma di assistenza collettiva.

3) Questa assistenza collettiva potrebbe essere data quale apporto delle tre Potenze in collaborazione tra loro.

4) Questi compiti potrebbero essere assicurati mediante uno dei due mezzi seguenti:

a) decisione da parte del Consiglio della S.d.N. della missione di assistenza e di riorganizzazione; questa decisione del Consiglio dovrebbe necessariamente esser presa d'accordo con l'Abissinia;

b) un trattato delle quattro Potenze (Francia, Gran Bretagna, Italia, Abissinia) che sarebbe comunicato per approvazione al Consiglio. Questo trattato si sostituirebbe al Trattato del 1906.

5) In un caso come nell'altro le materie che rientrerebbero nel quadro nuovo dei futuri accordi, potrebbero essere le seguenti: l) concessione, sfruttamento risorse economiche; Il) riorganizzazione ed assistenza finanziaria;

III) riorganizzazione commercio estero;

IV) ammissione stranieri in vista della stabilizzazione nelle regioni appropriate;

V) costruzione vie di comunicazioni e lavori pubblici in genere;

VI) modernizzazione dell'amministrazione specie della Giustizia, prigioni, opere pubbliche, poste, telegrafi, ecc.; istruzione pubblica, misure contro la schiavitù, stabilimento della polizia di frontiera e di altri servizi di polizia.

6) Rispetterebbero il principio di indipendenza ed integrità dell'Abissinia come pure il principio della porta aperta in materia economica.

7) Il programma che precede non esclude in nessuna maniera la possibilità di convenire degli aggiustamenti territoriali.

8) Gli accordi di cui sopra dovranno tener conto dell'interesse speciale riconosciuto all'Italia nello sviluppo economico e nell'organizzazione amministrativa dell'Abissinia, senza pregiudizio dee:li interessi preesistenti già riconosciuti alla Gran Bretagna ed alla Francia,

(l) -Il cont€nuto della comunicazione fu messo per iscil'itto da Buvich. (2) -Data completata attraverso il Journal di Aloisi (p. 295).
749

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 16 agosto 1935.

In relazione alle dichiarazioni fatte da Lavai all'Ambasciatore Cerruti (telegramma di Parigi n. 469 del 15 u.s.) (1), avere cioè egli (La val) «detto a Eden che dal punto di vista degli interessi economici la Francia aveva lasciato carta bianca all'Italia con semplici riserve per gli interessi francesi esistenti», si ha l'onore di osservare quanto segue:

1°) la formula del désistement francese in Etiopia contenuta nelle lettere scambiate a Roma il 7 gennaio corr. anno (2), non accenna esplicitamente, è vero, al disinteresse politico della Francia in Etiopia a nostro favore; e ciò perché come è noto e come ebbe a dichiarare Lavai a S. E. il Capo del Governo (colloquio del 5 gennaio) (3) Lavai si è preoccupato di usare una formula che presentasse l'atteggiamento francese come corretto, anche quando fosse pubblicato.

Ma lo stesso Lavai alle osservazioni di S. E. Suvich che le concessioni coloniali fatteci dalla Francia in base all'art. 13 del Patto di Londra erano ben poca cosa se paragonate ai vantaggi coloniali ottenuto dalla Francia in Africa e in Asia Minore e alla osservazione di S. E. il Capo del Governo « che la que

stione principale è la questione della mano libera in Etiopia~. rispondeva di essere «perfettamente d'accordo con tale principio», di avere «capito benissimo il concetto italiano, e che, a parte gli interessi di carattere economico che la Francia vuole salvaguardare, il suo Paese non intende intralciare l'opera di penetrazione italiana in Abissinia» (colloqui del 5 e 6 gennaio) (1).

Del resto, a parte le esplicite dichiarazioni fatte dal signor Laval in quella occasione, il disinteresse non solo economico ma anche politico della Francia in Etiopia come conseguenza delle lettere segrete scambiate in Roma il 7 gennaio corr. anno risulta anche:

a) dalla menzione fatta nelle lettere stesse degli accordi citati nell'art. l del Tripartito: parecchi di questi accordi hanno carattere politico territoriale:

b) dal fatto che dalle lettere stesse risulta esplicitamente che il Governo francese intende limitare gli interessi della Francia in Etiopia soltanto a quelli economici nella zona della ferrovia Gibuti-Addis Abeba; dal che si deduce che il Governo francese rinunzia a nostro favore agli interessi economici sul resto dell'Etiopia e insieme a tutti gli interessi di carattere politico che esso potrebbe vantare nella zona stessa, riconoscendo con ciò la preminenza dei nostri interessi politici in Etiopia;

c) dal fatto infine che nello scambio di lettere già citato, il Governo francese ha dichiarato di non voler rinunciare ai diritti di cui godono in Etiopia i suoi nazionali e protetti in base al Trattato Kloboukowsky (libertà di commercio ecc.) e noi abbiamo confermato di voler rispettare tali diritti. Questa dichiarazione non avrebbe giustificazione se non fosse stata fatta nella previsione di un mutamento nello statu qua politico territoriale e giuridico in Etiopia, nella previsione cioè che la sovranità e l'autorità dell'Italia abbiano a sostituirsi su quel territorio alla sovranità e all'autorità dello Stato etiopico (2).

(l) -Vedi D. 738. (2) -Vedi serle settima, vol. XVI, D. 403, Allegato VII. (3) -Ibid., D. 391.
750

IL MINISTRO A HELSINKI, TAMARO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 530/290. Helsinki, 16 agosto 1935 (per. il 24).

Il ministro Beck è giunto qui il 10 mattina ed è ripartito per la Polonia il 12 notte. Ha avuto colloqui col presidente della Repubblica, da cui fu invitato in campagna, col presidente del consiglio e col ministro degli Esteri. Al pranzo offerto dal ministro degli Esteri, il signor Hackzell ha tenuto un discorso (quello che aveva preparato per Varsavia e che ivi non potè tenere) (3) e il" signor Beck gli

ha risposto con un altro. Il signor Hackzell ha dato un'intervista ai giornali polacchi, il signor Beck ai finlandesi. Tutto simmetrico e tutto freddo. La visita, malgrado il molto chiasso fatto nella stampa internazionale, non ha nessuna particolare importanza politica. Non crea nessuna novità speciale nelle relazioni dei due paesi, né un mutamento nella posizione politica della Finlandia. Questa rimarrà fedele alla sua << assoluta neutralità», che è stata proclamata recentemente anche dal presidente del consiglio Kivimaki. Il signor Hackzell nel suo discorso ha accentuato che la Finlandia è uno stato nordico, che ha il suo posto presso gli stati nordici e non presso quelli dell'Europa centrale. A me ha dichiarato, che se il ministro Beck fosse venuto qui per voler cambiare questo atteggiamento non avrebbe fatto che rendere cattive le relazioni fra i due paesi. Circa il patto orientale, il signor Hackzell mi ha detto che oggi solo l'Inghilterra mostra d'interessarsene e che la posizione contraria della Finlandia non dipende da un accordo con la Polonia o con la Germania, ma deriva semplicemente dalla posizione della Finlandia stessa, che non vuoi saperne d'impegnarsi con nessuno dei gruppi che dividono l'Europa. Se si proponesse un altro patto orientale al quale la Polonia e la Germania aderissero, la Finlandia riprenderebbe in esame la situazione, ma secondo ogni probabilità risponderebbe ancora negativamente: aderirebbe soltanto se detto patto le sembrasse darle maggiori garanzie verso la Russia di quelle che ha dagli attuali patti di non aggressione, ma non crede che ciò sia possibile. Chiesto al signor Hackzell perché, se l'incontro non aveva nessuna particolare importanza, il ministro Beck si fosse fatto accompagnare da una schiera di giornalisti, mi hà risposto che ciò dipendeva da ragioni di politica interna della quale non voleva occuparsi.

Nel discorso di Beck ha una certa importanza la dichiarazione che l'amicizia con la Finlandia è una volontà testamentaria di Pilsudski, il che non si può verificare non esistendo testamento scritto. Il signor Hackzell ha affermato che per l'indipendenza e la vitalità dello stato finlandese è una premessa necessaria il successo della Polonia: nella quale frase successo va inteso come esistenza, vitalità, resistenza della nazione restituita, non come vittoria in un determinato problema o momento.

Dei partiti finlandesi, il Iappista ha tenuto una posizione di riserva di fronte alla visita di Beck, il socialista è stato avverso, gli altri favorevoli.

Malgrado la smentita del ministro Hackzell, non escludo che qualche accordo sia intervenuto o confermato, non scritto tuttavia, circa l'atteggiamento dei due governi di fronte alla Russia, per un procedimento unitario nelle questiOni confinarie o nei rapporti ordinari e che il governo finlandese abbia promesso di tenere informata la Polonia sullo sviluppo delle sue relazioni con la Russia.

E' probabile che alle visite seguano trattative per una convenzione culturale e per 1o sviluppo degli scambi commerciali. Allego la traduzione dei discorsi e delle interviste dei due ministri Beck e Hackzell (l).

(l) -Vedi serie settima, vol. XVI, DD. 391 e 399. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (3) -Vedi D. 158.

(l) Non si pubblicano. Il presente documento reca il visto di Mussolini.

751

L'INCARICATO D'AFFARI A KAUNAS, ROSSI LONGHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4728/60 R. Kaunas, 17 agosto 1935, ore 2,40 (per. ore 11,35).

Telegramma di V. E. n. 13 (1).

Questi giornali del pomeriggio informano emanazione due decreti relativi modificazione legge elettorale Lituana e Memel. Data decreti è 14 corrente. Trasmetto posta aerea traduzione decreti.

Questo Incaricato d'Affari di Francia fino a questa sera non ha ricevuto istruzioni circa passo concordato tra Governo Potenze garanti. Egli ha questa sera ricevuto ordine trasmettere posta aerea traduzione decreti.

Questo Incaricato d'Affari di Gran Bretagna ha ricevuto istruzioni compiere passo concordato 11 corrente. Tali istruzioni differivano da quelle da me ricevute.

In punto 2 mancava la parola «notevolmente» e punto 5 era così concepito: «Nuovo Direttorio dovrà essere formato dopo le elezioni secondo lo statuto». Egli aveva istruzioni chiedere pubblica dichiarazione soltanto per il primo punto e cioè che non sarebbero stati portati mutamenti legge elettorale.

D'accordo con lui avevamo deciso attendere che Incaricato d'Affari di Francia ricevesse istruzioni per confrontarle e concordare modalità passo.

Colleghi hanno soltanto questo pomeriggio avuto notizia emanazione decreti.

Incaricato d'Affari d'Inghilterra mi ha detto che avrebbe informato suo Governo senza sollecitare nuove istruzioni, ritenendo inutile agire dato mutamento situazione locale. Egli ritiene probabilmente che Governo, dopo aver preso accordi altre Potenze garanti, gli [avrebbe comunicato] che a suo avviso mutamenti emanati sono contrari costituzione e a statuto Memel.

752

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4723/6 R. Parigi, 17 agosto 1935, ore 6,05 (per. ore 9,50).

Ho visto stasera Politis. Gli ho accennato alla cattiva impressione che a Roma si era riportata dai suoi colloqui con Pignatti (2).

Egli se ne è mostrato meravigliato e mi ha detto di non avere mai avuto intenzione di ammettere la buona fede del Governo etiopico nell'aggressione di Ual-Ual. Ha aggiunto che l'opera degli arbitri doveva limitarsi all'accertamento dei fatti e riprendere quindi i lavori al punto in cui erano stati inter

rotti. Ove non si fosse riusciti da parte quattro arbitri a mettersi d'accordo chi a Ual-Ual era stato l'attaccante, si sarebbe proceduto alla nomina del quinto.

Ho preso atto di tali sue dichiarazioni, e gli ho osservato che sentenza doveva essere ispirata, più che a motivi giuridici, a considerazioni politiche, e che una sentenza ambigua non avrebbe fatto che precipitare la guerra. Gli ho anche spiegato che arbitri si sarebbero per ora limitati a designare il suo nome, ed avrebbero poi ripreso fra loro quattro.

Ove non ricevo ordini in contrario, dirò a S. E. Aldrovandi di proporre, in tale riunione degli arbitri di lunedì prossimo venturo, la designazione del nome di Politis come quinto arbitro.

(l) -Vedi D. 729. (2) -Vedi DD. 673 e 681.
753

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4722/7 R. Parigi, 17 agosto 1935, ore 6,05 (per. ore 9,40).

Inizio riunione stamane (l) stato piuttosto aspro. Lavai Eden tenuto prospettare pericoli cui esponesi intransigenza italiana.

Lavai accentuato quanto già dettomi ieri (2) circa necessità politica francese salvaguardare prestigio S.d.N. ed evitare inasprire crisi politica internazionale.

Ho ribattuto prospettando a mia volta pericoli cui va incontro ciecamente intransigenza stati possessori ricco impero coloniale e viceversa, vantaggi che presenterebbe una Italia interessata al mantenimento attuale ordine internazionale.

Abbordato successivamente problema concreto, Lava! Eden hanno preso mosse da ultime dichiarazioni Negus, secondo cui questi sarebbe disposto ammettere appoggio Francia Inghilterra per sviluppo economico amministrativo Etiopia, ed hanno accennato possibilità dare sviluppo tale idea confidando compito a tutte le tre Potenze, ampliando carattere appoggio e lasciando praticamente esercizio tale compito alla sola Italia.

Tale formula sarebbe inquadrata nel Covenant in quanto la S.d.N. darebbe delega alle tre Potenze. Circa natura di questa che inglesi e francesi hanno chiamato missione, essi si sono mantenuti sulle generali, accennando ad una eventuale analogia con progetto di assistenza preparato per Liberia.

TantQ Lavai che Eden hanno tenuto a chiarire non trattarsi ancora di una proposta, ma di una semplice idea da servire come base di discussione.

Ho subito eccepito inadeguatezza tale idea, dichiarando impossibilità prenderla in considerazione. Lavai Eden mi hanno tuttavia pregato consentire metterne al corrente V. E. Non ho potuto rifiutarmi, ma ho richiesto allora che tale idea mi venisse precisata per iscritto.

Lava! ed Eden hanno allora proposto che tecnici delle tre parti si riunissero per tale scopo. Ho naturalmente rifiutato far partecipare tecnici italiani.

Francesi ed inglesi lavorato fino tarda ora, consegnandomi finalmente un appunto che costituiva tale regresso idea esposta stamane che mi sono rifiutato accoglierlo.

Ripresa seduta, ho esposto tutta mia meraviglia per discordanza esistente fra le premesse esposte stamane e l'appunto che doveva esserne precisazione, ragione per cui mi sarei limitato informare V. E. unicamente concetti generali cui esso si ispira. Che [sono] seguenti: «Abissinia farebbe appello S.d.N. per ottenere assistenza collettiva S.d.N. darebbe incarico a Italia, Francia e Inghilterra di: a) mettere in valore risorse economiche; b) attuare riforme amministrative; Inghilterra e Francia delegherebbero Italia ad esercitare maggior parte tali compiti. Eden ha aggiunto che contemporaneamente verrebbe esaminata anche possibilità di cessione territoriale (1).

Ripeto: trasmetto a puro e semplice titolo informativo.

Nel corso della discussione ho ritenuto opportuno fare esporre da nostri esperti posizione italiana rispetto Etiopia secondo Trattati in vigore, dimostrando come l'accordo tripartito e precedenti protocolli anglo-italiani del 1891 e del 1894 diano all'Italia il riconoscimento politico e giuridico del suo predominio sull'Etiopia; mentre accordo Mussolini-Graham del 1925, nel confer·mare -successivamente ingresso Etiopia a Ginevra -i Trattati suddetti, precisa quali [siano] gli interessi idraulici britannici nel bacino del Nilo che noi riconosciamo. Situazione italiana nei confronti programma politico circa Etiopia è dunque molto netta secondo i Trattati vigenti.

Alla fine della riunione ho creduto di far dare da Lava!, Eden e da me un comunicato alla stampa relativo a questo unico ultimo punto della discussione, per evitare pericolose manovre di stampa che si erano già delineate (2).

(l) -Il 16 agosto. (2) -Vedi D. 739.
754

IL MINISTRO A LISBONA, TUOZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4729/47 R. Lisbona, 17 agosto 1935, ore 12,30 (per. ore 13,30).

Mio telegramma n. 46 (3).

Diario de noticias pubblica ampiamente intervista Ministro degli Affari Esteri circa questione africana nella quale viene difeso con fermezza diritto Portogallo intangibilità suo impero coloniale.

Viene accuratamente evitato ogni giudizio circa conflitto pur dichiarando che esso non può non interessare Portogallo, sia come grande nazione africa

na che come membro S.d.N. e quindi non potrebbe ammettere almeno senza protesta violazione principi essenziali Patto.

Vedrò Ministro degli Affari Esteri (l) per dirgli che intervista non mi è piaciuta e che Governo italiano aveva ragione di attendersi che egli non avesse perduto occasione per dimostrare una qualche comprensione nostre aspirazioni non contrarie certo interessi portoghesi.

Ma qui si trema al pensiero poter offendere anche con una sola parola la grande vecchia alleata.

(l) -Si veda il testo teJefonato da Lavai a Suvich al D. 748. (2) -Il presente documento <reca 11 vis.to di Mussolini. (3) -Con T. 4675/46 R. del 15 agosto 1935, ore 12,40, Tuozzi riferiva circa la protesta elevata dalla Legazione di Portogallo a Parigi in relazione alle voci di possibili negoziati riguardanti le colonie portoghesi.
755

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 17 agosto 1935, [mattina].

Prima ipotesi: Non accettiamo neanche di discutere sulla base della proposta franco-inglese.

Da parte nostra conserviamo libertà di movimenti, ma è verosimile, stando alle dichiarazioni esplicite fatte da Lavai, che avremo fin d'ora la formazione del fronte unico franco-inglese (anche se in un primo momento non apparente).

Ciò non vuoi dire che Lava! abbandonerà del tutto i suoi tentativi di mediazione, i quali però è assolutamente da escludere che possano uscire dal quadro della S.d.N.

Respinti da noi tali tentativi, in base agli stessi motivi per cui non prendiamo in considerazione l'attuale proposta, è da prevedere che il 4 settembre a Ginevra sarà sollevato l'intero problema itala-etiopico e vi sarà l'unanimità della decisione di avocarlo alla S.d.N. (art. 11 e 15).

Ciò non significa tuttavia che tale unanimità sarebbe mantenuta nel caso si arrivasse a discutere la questione delle sanzioni, pur trovandosi di fronte alla mobilitazione dell'opinione pubblica mondiale contro di noi.

In tali condizioni a noi converrebbe fin dal principio della riunione di Ginevra ( 4 settembre) prendere l'iniziativa di depositare innanzi al Consiglio il nostro atto di accusa contro l'Abissinia dichiarando che non ritenendola degna di collaborare con gli altri Stati ai fini della S.d.N. non intendiamo partecipare a delle discussioni nelle quali intervenga l'Etiopia sullo stesso piano dell'Italia.

Contemporaneamente converrà denunziare il Trattato di arbitrato e di amicizia del 1928.

Per la nostra azione militare che potrebbe anche coincidere colle discussioni ginevrine (le quali dureranno fino verso la fine di settembre a causa della riunione dell'Assemblea) occorrerà sempre tener presente che la nostra posizione sarebbe momentaneamente facilitata ove detta nostra azione potesse se

(!) Vedi D. 858.

riamente apparire come provocata da un attacco abissino, che verrebbe a dare il più pratico appoggio al nostro atto di accusa contro l'Etiopia.

In ogni caso occorrerà evitare da parte nostra una vera e propria dichiarazione di guerra, giacchè questa oltre a violare apertamente gli obblighi del Cov·enant e del Patto Kellogg, renderebbe ancora più difficile la nostra situazione nelle discussioni ginevrine.

Iniziata però la nostra azione militare, senza un previo accordo con l'Inghilterra, questa avrà il modo sia con pretesto di soluzioni, sia per suo proprio conto e nome, di provvedere ad una occupazione di territori etiopici -specie confinanti con le sue colonie -che apparirebbe giustificata tanto con la difesa di queste che con l'applicazione del 'l'ripartito. Eventualità questa che potrebbe portarci ad un conflitto con l'Inghilterra.

Seconda ipotesi: Accettiamo di discutere la proposta franco-inglese, ciò che implica naturalmente che tutto lo svolgimento della nostra azione futura rimanga nel quadro della S.d.N.

Accettando tale discussione dovremmo però mettere i seguenti punti fermi.

Distinzione netta fra zona periferica e zona centrale abissina.

Circa la prima le due Potenze dovrebbero riconoscere che data l'assoluta incapacità da parte abissina di amministrarla, essa sia affidata completamente ed esclusivamente all'Italia come parte integrante del suo territorio (formula del Mandato C -art. 22 del Covenant), oltre le necessarie rettifiche di frontiera.

Circa la seconda, cioè la parte c~ntrale dell'Etiopia (salvo alcune rettifiche di frontiera) stabilire in modo preciso che la gestione dell'incarico affidato dalla

S.d.N. alle tre Potenze sarà trasferita all'Italia limitando la partecipazione franco-inglese ad una funzione puramente formale entro limiti bene fissati. Per la pratica esecuzione di tale incarico, converrà chiedere che l'Etiopia dovrebbe essere rappresentata all'estero e alla S.d.N. dalle tre Potenze, le quali trasferirebbero a loro volta detta rappresentanza all'Italia. È superfluo dire che non si può neanche parlare di un accordo a quattro.

Tutto ciò, beninteso, salvo i diritti economici spettanti alla Francia e all'Inghilterra in base all'accordo tripartito.

In via generale, occorrerà. mettere· bene in chiaro che tutto il programma così concordato non potrà avere alcuna probabilità di pratica attuazione se non si daranno all'Italia i poteri necessari per il mantenimento dell'ordine pubblico in Etiopia (disarmo).

Alla concessione di tali poteri l'Italia deve subordinare esplicitamente la accettazione del piano franco-inglese. Ove tali proposte fossero realizzate, la questione potrebbe presentarsi per noi in modo abbastanza soddisfacente.

Occorre tener presente però che, accettata la via della S.d.N., sarebbe più difficile per noi di abbandonarla e dovremmo subire delle forti pressioni che potrebbero sensibilmente modificare il nostro programma di azione futura.

D'altra parte non è da pensare che il Negus possa accettare tranquillamente questo piano, e allora si presenterebbero le seguenti probabilità:

a) quella di riprendere la nostra libertà di azione;

b) quella di ottenere dalla S.d.N. che l'incarico collettivo affidato alle tre Potenze sia eseguito anche contro la volontà del Negus, ed a ciò potrebbe servire l'atto di accusa che in questo caso l'Italia porterebbe a Ginevra.

Terza ipotesi: Dichiarare semplicemente a Parigi che la principale difficoltà per accettare il programma suggeritole come base di discussione, consiste per noi nel fatto che questo prescinde dal riconoscimento formale della situazione dell'Abissinia per cui noi la consideriamo una minaccia permanente alla sicurezza delle nostre colonie ed anche di quelle francesi ed inglesi.

Prescinde pur da tutte le ben note condizioni di fatto per cui non è possibile porre l'Abissinia -per la sola circostanza che appartiene alla S.d.N. sullo stesso piede dell'Italia.

Noi intendiamo perciò attendere l'arbitrato di Ual-Ual.

Presentare a Ginevra il nostro completo atto di accusa contro l'Etiopia, e soltanto, dopo aver posto l'Etiopia stessa in stato di accusa, e dopo che tale sua situazione sia riconosciuta dalla S.d.N., considerare le possibili soluzioni da esaminarsi però sempre in funzione di definitive garanzie per mettere quel Paese in condizioni di non nuocerei (1).

756

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A TIRANA, INDELLI

T. UU. 1451/91 R. Roma, 17 agosto 1935, ore 15,15.

Suo 83 (2).

Attuale moto insurrezionale Fieri e conseguente temporaneo turbamento situazione interna regime potrebbero offrirei occasione ottenere da Zog adesione nostre proposte ner soluzione varie questioni pendenti e rinforzare in lui fiducia circa intendimenti nutriti dal R. Governo nei suoi riguardi.

Ove pertanto speciali ragioni e situazione locale non consigliassero diversamente, questo Ministero riterrebbe opportuno che V. S. si r~casse immediatamente dal Re per rinnovargli assicurazioni nostra solidarietà. V. S. approfitterà tale occasione per ricordare opportunamente a Zog necessità concludere al più presto accordo su tutte o almeno su principali questioni pendenti, richiamando sua attenzione sul fatto che iniziativa rivolta Fieri è dovuta a gendarmeria che egli in questi ultimi tempi, e contrariamente al nostro consiglio, aveva sviluppato e rinforzato a danno dell'esercito.

Prego altresì V. S. voler presentare a nome del R. Governo condoglianze per uccisione Generale Ghilardi. Gradirò essere tenuto dettagliatamente informato (3).

(l) -Un'annotazione di Suv!ch sulla prima pagina dice: «Il capo è per la prima ipotesi». (2) -Vedi D. 737. (3) -Vedi D. 806.
757

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, A PARIGI (l)

T. 1453/62 R. (2). Roma, 17 agosto 1935, ore 16,30.

Proposte sono assolutamente inaccettabili da qualunque punto di vista si vogliano esaminare. Potevano essere oggetto di discussione dieci mesi fa, per respingerle egualmente da parte nostra, ma oggi che l'Italia ha 200 mila uomini nell'A. O. e speso due miliardi, tali proposte equivalgono a tentare di umiliare l'Italia nel peggiore dei modi (3). È la forza militare dell'Etiopia che deve essere fiaccata altrimenti la minaccia sarà sempre incombente e in forma sempre più grave, poichè uno sforzo quale è quello che l'Italia sta attualment«:' compiendo non può essere ripetuto. Le forze abissine antistanti sono 450 mila uomini. Questa è la dura realtà militare che impone di uscire dalle vaghe formule societarie che darebbero molto fumo all'~alia, ma lascierebbero intatta l'integrità dell'impero etiopico e ne accrescerebbero infinitamente il prestigio mettendolo in una specie di quadruplice africana a lato e a parità di diritti con l'Italia, Francia e Inghilterra. Va notato che con ciò l'Abissinia diventerebbe soggetto del Trattato, mentre col Tripartito ne era l'oggetto (4).

Dopo avere sviluppato questi ed altri non meno decisivi argomenti dichiari che ogni ulteriore discussione è perfettamente inutile. Ci riserviamo di intervenire a Ginevra. Voglia ringraziare a mio nome Laval per i tentativi da lui compiuti ed aggiunga che malgrado insuccesso tali tentativi io non intendo modificare linea di condotta consacrata nei protocolli del gennaio, linea di schietta e concreta amicizia con la Francia.

758

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. S. 8843/478 P. R. Parigi, 17 agosto 1935, ore 23,10 (per. ore 1,20 del 18).

Raccomandandomi segreto assoluto, Vansittart mi ha chiesto informare

S. E. il Capo del Governo che egli ambirebbe poter avere colloquio segreto con lui a Roma.

Sarebbe disposto recarvisi ad un cenno del Duce viaggiando in automobile ed in modo da passare del tutto inosservato (5).

53 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. I

(l) Ed. in P. ALOISI, Journal, cit. p. 297.

(2) -Minuta autografa. (3) -Prima delle aggiunte e modifiche apportate da Mussollni durante la stesura, questa prima parte del telegramma era così formulata: «Proposte sono inaccettabili da qualunque punto di vista. Potevano essere oggetto di discussione dieci mesi fa, non oggi che l'Italia ha 200 mila uomini nell'A.D. e speso due miliardi». (4) -Frase aggiunta a matita con calligrafia diversa. probabilmente quella di Suvich. (5) -Per la risposta vedi D. 766.
759

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 1454/470 R. (1). Roma, 17 agosto 1935, ore 24.

Desidero dirLe che approvo molto la sostanza ed il tono del Suo primo colloquio con Lavai (2). Quando si hanno già 200 mila uomini pronti, non si torna indietro, qualunque cosa accada. Sarà bene che tutti lo comprendano.

760

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AI MINISTRI AD HELSINKI, TAMARO, E AD OSLO, RODDOLO, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A STOCCOLMA, SERENA

..

T. 1455/24 (Helsinki 22 (Oslo) 32 (Stoccolma) R. (1). Roma, 17 agosto 1935, ore 24.

Secondo notizie diffuse a Bucarest, Segretario Generale Ministero degli Esteri norvegese avrebbe detto, in vista della riunione del 28-29 agosto, che «atteggiamento dei paesi scandinavi a Ginevra sarà spiccatamente anti-italiano ).

Controllare e informarmi (3).

761

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VARSAVIA, BELLARDI RICCI

T. 8698/84 P. R. (l). Roma, 17 agosto 1935, ore 24.

Prego far giungere ai giornali polacchi che si occupano con simpatia verso l'Italia della vertenza in Africa immediati cenni di compiacimento e apprezzamento. In genere seguire e curare atteggiamento stampa.

762

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma, 17 agosto 1935.

Sir Eric Drummond viene ad intrattenermi sulla questione degli accordi finanziari come da appunto che mi consegna (trasmesso all'Ufficio).

Il punto di vista inglese è che le importazioni italiane dalla Gran Bretagna superiori all'SO% dall'anno passato (fissato come contingente), debbano er:;sere pagate in contanti. Oggi c'è già una scopertura di 430 mila sterline per -questa sola parte di importazioni eccedente 1'80 %. Ciò preoccupa molto gli

esportatori inglesi.

Avverto l'Ambasciatore che noi abbiamo presentato una nota in cui si

chiede che gli importatori inglesi dall'Italia siano obbligati a depositare le

somme destinate al pagamento delle merci, presso la Banca d'Inghilterra.

L'Ambasciatore è informato di ciò, ma le due questioni sono distinte ed il

suo Governo intende trattarle separatamente.

Mi riservo di far esaminare la questione e di dargli una risposta.

In via di discorso l'Ambasciatore mi chiede che cosa succede a Parigi.

Gli rispondo che considero le trattative già fallite: sono state presentate

delle proposte sulla base di un accordo a quattro compresa l'Abissinia, il che

vuol dire un notevole passo indietro di fronte alla situazione attuale che è ba

sata su un accordo a tre di .cui l'Abissinia è soltanto l'oggetto.

L'Ambasciatore non conosce questo particolare ma sa che le disposizioni

francesi e inglesi sono nel senso di venire incontro all'Italia fino ai limiti del

possibile: nori si può chiedere che questi due paesi si mettano contro la So

cietà delle Nazioni che. è la base della loro politica. Egli crede che noi non ci

siamo ancora resi ben conto della posizione inglese; in Italia si vanno a cer

care gli interessi regionali dell'Inghilterra assicurando che si è pronti a tenerne

conto, ma non è questo il punto della questione: il punto della questione è che

la Gran Bretagna non può fare una politica contraria ai principi della So

cietà delle Nazioni; è questione di trovare la forma per venire ad una solu

zione. Il Capo del Governo ha detto a Drummond ancora alcuni mesi fa che

se egli poteva realizzare le aspirazioni italiane in via pacifica avrebbe prefe

rito anziché ricorrere a una guerra. Ora Drummond è persuaso che tutte le

nostre aspirazioni: sicurezza delle nostre colonie, penetrazione economica, pe

netrazione demografica, controllo del paese, si possano realizzare in via paci

fica salvando soltanto alcune forme.

Gli rispondo che non dubitiamo delle buone intenzioni della Francia e del

l'Inghilterra, ma noi non crediamo in modo assoluto alla possibilità di alcun

vantaggio per noi in Abissinia se non abbiamo l'occupazione militare del

paese. Le proposte che ci vengono da Parigi non ci danno nessuna garanzia

al riguardo. Si tratterebbe di un accordo con delle promesse da parte della

Abissinia che essa fin d'ora è bene decisa a non eseguire: possiamo dirlo con

sicurezza perché abbiamo al riguardo una esperienza pluridecennale. Oggi

l'Abissinia lancia degli appelli di pace a tutto il mondo perché sente la minaccia

delle nostre forze armate: domani, quando si realizzassero le proposte presen

tateci in questi giorni, l'Abissinia si troverebbe ad aver realizzati i seguenti

vantaggi: far parte di un accordo in situazione di parità con Francia, Italia

e Inghilterra, aver ottenuto che siano state ritirate le ingenti forze italiane

oggi ammassate sui confini; ad essere armata perché in questi ultimi mesi

ha aumentato in modo rilevantissimo i propri armamenti; animata da uno

spirito di indipendenza xenofobo aumentato al mille per cento; e contro tutto

questo delle vaghe promesse contenute in un accordo del quale l'Abissinia stessa farà parte per cui avrà agio di sabotarlo in tutti i modi. Allora di fronte alla malafede abissina noi dovremo ricominciare con un'altra mobilitazione, magari per poi trovarci nella situazione in cui ci troviamo oggi. L'Ambasciatore deve vedere che tutto ciò non è possibile: oggi abbiamo sul posto 200 mila uomini, abbiamo 450 mila uomini contro di noi; abbiamo speso già due miliardi. Questi sforzi non si ripetono. Ormai siamo troppo avanti e dobbiamo andare fino in fondo.

L'Ambasciatore è persuaso che un accordo fatto bene che ci dia tutti i diritti che reclamiamo e che sia garantito dalle altre due potenze non potrebbe essere sabotato all'Abissinia; naturalmente se noi chiediamo l'occupazione militare, cioè la conquista militare del territorio, la questione si mette sotto un altro aspetto e non possiamo pretendere che i Paesi che sono legati a Ginevra possano seguirei su tale via. Egli è persuaso che se noi avessimo chiesto alcuni mesi addietro l'espulsione dell'Abissinia dalla Società delle Nazioni l'avremmo ottenuta, e ciò avrebbe semplificato enormemente il nostro compito; di fronte ad una minaccia militare, oggi la questione diventa molto più difficile per la Società delle Nazioni perché risulterebbe evidente che un simile provvedimento non servirebbe altro che a darci mano libera per l'aggressione.

Faccio presente all'Ambasciatore che se si deve venire ad una discussione sul complesso della questione e se noi vi parteciperemo, è probabile che vi porteremo le accuse che dobbiamo elevare contro l'Abissinia; staremo poi a vedere che cosa faranno gli altri.

L'Ambasciatore ritiene che arrivati al punto attuale questo sia il metodo migliore.

Egli conchiude dicendo che ci sono due punti di vista opposti: l'italiano e l'inglese, tutti e due fondati e giustificati; disgraziatamente non si riesce a trovare un terreno d'intesa. Egli ricorda del resto che il Capo del Governo già mesi addietro aveva fatto questa previsione dicendogli che per quanto gli dispiacesse egli si rendeva conto che si sarebbe venuti ad una situazione di crisi nei rapporti fra Italia e Gran Bretagna. L'Ambasciatore considera che le attuali conversazioni di Parigi costituiscono l'ultima speranza per un'intesa per cui egli vedrebbe con la più grande angoscia un fallimento dei negoziati stessi.

(l) -Minuta autografa. (2) -Vedi D. 738. (3) -Per le risposte di Serena, Roddolo e Tamaro vedi DD. 771, 772 e 789.
763

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. S. N. Parigi, ·17 agosto 1935.

A seguito della esposizione fatta dagli esperti italiani nella seduta pomeridiana del 16 corrente, in riguardo ai Trattati in vigore fra l'Italia, la Francia e la Gran Bretagna circa l'Etiopia (v. ultima parte del telegramma n. 7 in

data 17 agosto) (1), il signor Lavai ebbe a chiedermi se potevo fargli tenere un riassunto di detta esposizione. Ho creduto opportuno di aderire! ed ho fatto oggi consegnare tanto al signor Lavai come alla Delegazione britannica l'appunto che unisco in copia.

ALLEGATO

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL PRESIDENTE DEI, CONSIGLIO FRANCESE, LAVAL

APPUNTO. Parigi, 17 agosto 1935.

l) Pour préciser le caractère et les buts de l'Arrangement du 13 DécP.mhrP. 1906 il est utile de rappeler les précédents histol'iques et diplornatiques du dit Accord.

Depuis 1869 l'Italie développa dans la région éthiopienne une politique active, analogue à celle que les Puissances européennes développaient en d'autres régions d'Afrique, dans le but d'y aff!i.rmer son influence. Cette politique aboutit à la conclusion du Traité de Uccialli (1889) qu~ contenait une clause, d'après laquelle l'Ethiopie devenait un protectorat italien. Le Traité de Uccialli fut notifié aux Prnssances aux termes de l'art. 34 de l'Acte de Berlin; et la plupart d'entre elles prit acte de cette notification.

2) Etant donné que l'activité colonisatrice de l'Italie en Afrique Orientale se développait contemporainement à l'activité colonisatrice britanique, les deux Puissances reconnurent la nécessité de partager leur terrain d'action et d'en déterminer les limites.

Dans ce but trois protocoles anglo-italiens (24 Mars 1891, 15 Avril 1891 et 5 Mai 1894) furent conclus lesquels déterminaient les frontières entre les sphères d'influence

· italienne et britannique, attribuant presque la totalité de l'Ethiopie actuelle à la zone d'influence Ltalienne, et la:issant à la zone d'influence bmtannique les régions qui constituent aujourd'hui le Sudan Anglo Egyptien, le Kernya, et 1a Somalie britannique.

3) En 1902 et 1903, les Gouvernements italien et britannique entrèrernt en négociations pour la conclusion de certains arrangements concernant la frontière entre l'Erythrée, le Sudan et l'Ethio~e. Dans cette occasion des négociations furent également commencées pour déterminer, sur la base des Protocoles anglo-italiens de 1891 et 1894, l'attitude respective des deux Puissances dans le cas de désintégration de l'Ethiopie.

4) Successivement la France piiit part à ces négociations, dont le résultat fut la stipulation de l'Arrangement du 13 décembre 1906 (Accord Tripartite), q1lli. est un des accords stipulés dans cette période entre l'Italie, la France et la Grande Bretagne pour la détermination de leurs intérets coloni.aux, en relllition à l'entente cordiale qui était entre temps intervenue.

5) Pour ce qui concerne la Grande Bretagne il y a Ueu de remarquer d'une façon spéciale que l'Accord T:rdpartite est le développement des Protocoles angloitaliens de 1891 et 1894, et en mème temps la suite des négociations q1lli. avaient commencé en 1903. En effet l'article r•r de l'Accord Tripartite, en citant les différents Accords qui déterminent le statu quo politique et territorial en Ethiopie, rappelle en premier lieu les Protocoles anglo-italiens de 1891 et 1894.

6) Si l'Accord Tripartite contient l'engagement de chacune des trois Puissances de maintenir l'intégiiité de l'Ethiopie, il est d'abord à remarquer que le texte du diLt

Accord parle toujours d'intégrité et jamais de «indépendance » de l'Ethiopie. Ce qui corresoond à la nature de l' Accord en question, qui prévoyait «un changement de situation qui pourrait se produire en Ethiopie » (préambule) et « des événements qui viendraient à troubler le statu quo » (art. 4).

Il faut en outre rémarquer que cette clause d'intégrité était à cette époque-là une formule de style qui était habituelle dans les Traités visant des partages territoriaux, ce qui est prouvé par l'examen des Traités conclus dans cette période, relatifs à l'Empire Ottoman, à l'Egypte, au Maroc, à l'Afrique Centrale, etc.

7) La signification de la formule « statu quo politique et territorial », que les trois Puissances par l'article rer de l'Accord Tripartite se sont engagées à maintenir en Ethiopie, résulte d'une façan explicite par ledit article rer, qui détermine qu'il s'agit du « statu quo poHtique et territorial tel qu'il est déterminé par l'état des affaires actuellement existant et les arrangements suivants ». Parmi ces arrangements sont cités en premier lieu les accords italo-britanniqu.es de partage de sphères d'influence en Afrique Orientale. C'est précisément ce statu quo politique et territorial que les Puissances signataires se sont engagées à maintenir par l' Accard Tripartite.

8) Il convient d'ajouter que l'Accord Tripartite prévoit d'une façon explicite le cas d'un «changement de situation qui pourrait se produire en Ethiopie » (Voir préambule), et détermine que, en ce cas, « l'intérèt commun des trais Puissances est d'arl'iver à une entente cammune en ce qui concerne leur conduite », préc,isant (Vair art. 4) quels sont les intérèts que les trois Puissances s'engagent, dans ce cas, à se recannaitre réciproquement. Ces intérèts sont spécifiés à l'art. 4 de l' Accord Tripartite.

Il y a lieu de rémarquer que, d'après ledit art. 4 les intérèts que les trois Puissances s'engagent à sauvegarder doivent se baser sur les accords cités à l'art. rer. Parmi ces accords, comme l'on a déjà dit. il y a en premier lieu les Protocoles angloitaliens de 1891 et 1894, qui ont attribué presque la totalité de l'Ethiopie à la zone d'influence italienne.

9) L'Accord italo-britannique de 1925 (qui est dane postérieur à l'entrée de l'Ethiopie dans la Société des Nations -1923) a pour objet principal de préciser les intérèts hydrauliques de l'Egypte et du Sudan relatifs au bassin du Nil, dans la zone d'influence italienne en Ethiopie.

Il y a lieu de remarquer que l'accord italo-britannique de 1925 est basé sur l'Accord Triparttte de 1906, dant le but, d'après le texte méme d.e l'Accoil'd de 1925 «est de maintenir le status qua en Ethiopie sur la base des accord internationaux cités dans son article ter et la coordination d.e l'action des Puissances signataires pour protéger leurs intérèts respectifs de manière à ce qu'ils ne sauffrent pas de préjudices ».

L'Italie et la Grande Bretagne ont donc reconnu en 1925 que mème après l'admission de l'Ethiopie dans la Société des Nations l'Accord Tripartite et les aiTangements cités dans son art. rer (c'est à dire le partage de la sphère d'influence entre l'Italie et la Grande Bretagne), restent pleinement en vigueur.

10) L'Accord italo-britannique de 1925 prouve aussi le caractère territorial de la sphère d'influence, que les accords précédents italo-britanniques avaient reconnu à l'Italie en Ethiopie.

En effet, si le Gauvernement Italien, reconnaissant les intérèts hydrauliques de l'Egypte et du Sudan s'engageait à ne pas construire dans le haut bassin du Nil Bleu et du Nil Blanc des ouvrages qui puissent modifier sensiblement leur apport d'eau dans le Nil, cela signifie que la Grande Bretagne reconnaissait le drait territarial de l'Italie dans tout le bassin desditsfleuves et présupposait donc une effective présence de l'Italie sur ces territoires.

En outre le Gouvernement de S. M. Britannique donnait l'assurance au Gouverne

ment italien que l'engagement cité ci-dessus « n'empéche pas un usage raisonnable

des eaux en question par les habitants de la région, soit en ce qui concerne la

construction du barrage pour des installations hydro-éléctriques et de petits réservoirs

dans !es affluents mineurs pour recueillir de l'eau pour des usages domestiques, comme

pour la cultivation des céréales nécessaires à leur existence ».

Pour ce qui a rapport à l'exécution des travaux du barrage, le Gouvernement britannique donnait au Gouvernement italien l'assurance que «la construction et l'opération du barrage sera effectuée, autant que possible, avec la main d'oeuvre locale, et que le niveau des eaux dans le lac ne sera pas élévé au délà du maximum atteint jusqu'ici pendant la saison des pluies ». Il ajoutait « que l'existence du barrage non seulement sera utile à l'Egypte et au Sudan mads augmentera la prospérité et contribuera au progrès économique des habitants locaux ».

Ces clauses prouvent amplement le oaractère territorial de la zone d'influence que l' Angleterre a reconnue à l'Italie.

11) En résumant, il existe entre l'Italie et la Grande Bretagne une situation précise par rapport à l'Ethiopie, situation qui est déterminée par les Traités: l) Protocoles anglo-italiens de 1891, 1894 2) Accord Tripartite 1906 3) Accord Mussolini-Graham 1925,

par lesquels la Grande Bretagne a déjà reconnu que presque la totalité de l'Ethiopie est zone d'influence italienne, au point de vue politique et territorial.

(l) Vedi D. 753.

764

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 664/293. Tokio, 17 agosto 1935 (per. il 18 settembre).

Ho voluto attendere a commentare quanto ho riferito telegraficamente a

V. E. (l) circa l'attuale fase dei rapporti itala-giapponesi, sia perché ho pensato che dall'ulteriore svolgersi degli avvenimenti potesse risalirsi a un apprezzamento complessivo più adeguato al vero stato delle cose, sia perché ho sperato che nel frattempo mi fosse consentito, da conversazioni, articoli o altro, trarre qualche nuovo elemento di giudizio. La calma sopravvenuta nel linguaggio di questa stampa e nelle agitazioni dei gruppi nazionalisti, che il tono attuale dei giornali giapponesi fa credere possa mantenersi anche in seguito, specie ove dai nostri non si rinnovino attacchi, consente ora guardare all'insieme degli ultimi avvenimenti e esporre qualche considerazione generale. Senonché i rapporti con questo Ministero degli affari esteri, già in precedenza corretti ma non cordiali e divenuti adesso inevitabilmente freddi (al R. addetto militare è ora quasi impossibile avere notizie dal Ministero della guerra), nonché l'assenza da Tokio, a causa dell'estate, tanto di personaggi politici giapponesi quando di diplomatici, fanno sì che riesca adesso più difficile che mai procurarsi notizie o udire giudizi tali da rendere. meno disagevole l'orientarsi sulla situazione.

E' indubbio che le dichiarazioni fatte dall'ambasciatore Sugimura a V. E. erano logica deduzione delle istruzioni dategli alla sua partenza da Tokio. Quelle dichiarazioni sono state da lui fermamente ripetute in seguito così

a giornali giapponesi come a italiani, senza che alcuna smentita o rettifica abbia potuto essergli opposta da questo Ministero degli affari esteri, eccetto l'affetmazione che non si trattava di nuove istruzioni, come le parole di Sugimura avrebbero potuto far credere. E anche a me tanto il ministro quanto il vice-ministro e altri funzionari degli affari esteri avevano detto e ridetto che gli interessi del Giappone in Etiopia erano soltanto economici. E' verosimile che a un certo momento sia cominciato un mutamento di opinioni nel Ministero o, forse meglio, in una parte di esso, mutamento di cui Sugimura non aveva potuto rendersi conto, perché mentre nessuna nuova e diversa direttiva gli era giunta, questa stampa, pur mostrando in modo più o meno velato qualche simpatia per l'Etiopia, serbava un linguaggio molto misurato e abbastanza imparziale. Quel mutamento dipendeva forse da ciò, che nel corso degli avvenimenti la vertenza itala-etiopica si era andata trasformando in una vertenza europea, producendo così una situazione non stata qui prevista: l'Italia si travara di fronte l'Inghilterra. Questo nuovo fatto può aver incoraggiato alcuni giapponesi di tendenze nazionaliste avanzate, dentro e fuori il Ministero, e suscitato in essi speranze e progetti. E' comprensibile che il Giappone, pur non avendo una spiccata simpatia per i negri e pur ignorando, nella maggior parte della sua popolazione, quasi tutto concerne l'Etiopia, non potesse vedere con particolare gioia come, dopo un lungo periodo di concessioni e rinunce, il bianco tornasse a far valere la sua civilità con le sue armi. E con tanto meno piacere che non tutti gli altri popoli di colore poteva vederlo, in quanto sa di essere il più potente fra loro di fronte ai bianchi, ed è tratto da sentimento e ragione a farsi il loro paladino. Si aggiunga il malcontento nel prevedere la fine d'un bene avviato commercio in Etiopia, che aveva già posto il Giappone a capo di tutti gli stati importatori e che poteva fargli sperare affari sempre

più proficui.

La decisa istituzione d'una legazione ad Addis Abeba era la prova e la conferma di mire più vaste? Ho spesso letto in giornali italiani e anche stranieri notizie di concessioni ottenute e di maggiori desiderate, supposizioni di piani, di trattative, di accordi. Ma nulla ho udito qui, nulla ho visto fuori delle statistiche, e quasi nessuna copia di rapporto di quella R. Legazione m'è pervenuta da codesto R. Ministero. A ogni modo, quali che fossero e volessero divenire gli interessi giapponesi in Etiopia, fino a quando la vertenza era apparsa ristretta ai due stati, non v'è da credere si fosse da alcuno qui pensato vi potesse essere altro da fare che assistere, con maggiore o minore dispetto e rammarico, allo svolgersi degli avvenimenti. Ma allorché s'è visto l'Inghilterra porsi contro l'Italia è cominciato forse in qualcuno a sorgere la speranza che la partita non fosse ancora perduta. Mentre tale speranza andava avvivandosi sono venute, inattese e sgradite, le dichiarazioni di Sugimura: inattese perché nessuna nuova e specifica istruzione gli era stata inviata, sgradite perché il Ministero degli affari esteri avrebbe preferito evitare polemiche le quali lo avrebbero obbligato a manifestare le proprie idee e a tirarsi addosso, senza nessun beneficio, l'opposizione o dell'Italia o dei gruppi avanzati di destra. Sugimura, invece, aveva fatto dichiarazioni d'una precisione e decisione quali maggiori non so se ci siano state finora formulate da altri rappresentanti diplomatici. Tali dichiarazioni hanno consolidato la tendenza avanzata e l'hanno tratta fuori dall'attesa e dal silenzio. Il suo pensiero è che non esiste ragione morale o materiale per la quale il Giappone non debba fare in Etiopia quanto qui si è convinti l'Italia faccia in Cina e per la quale esso debba sin da ora precludersi le sue future favorevoli possibilità; mentre v'è la ragione morale di sostenere l'uomo di colore contro il bianco e quella materiale di favorire i propri interessi. Un alto funzionario del Ministero degli esteri, considerato come rappresentante della corrente intransigente, a una domanda da me rivoltagli parecchie settimane sono circa le voci di invio di armi giapponesi in Etiopia, pur negandomene il fondamento aggiungeva che il Giappone era

in diritto di fare in Abissinia quanto l'Italia faceva in Cina; e un ufficiale superiore del Ministero della guerra dava la stessa risposta al R. addetto militare. Il linguaggio, nei termini generali concorde di tutta la stampa il giorno seguente alle dichiarazioni di Sugimura, induce a credere che una comune parola le fosse stata data, quantunque mi si dica che non tutta pensasse come ha scritto; e la bandiera della lotta di razza, anche in dipendenza del linguaggio di alcuni nostri giornali, è stata sventolata agli occhi dell'opinione pubblica per interessarla alla lontana e quasi sconosciuta Etiopia.

Io ho l'impressione sia avvenuto qualcosa di simile a quanto accadde lo scorso anno in occasione del primo comunicato giapponese sulla Cina, e cioè che la stessa tendenza intransigente d'allora abbia preso il sopravvento su Hirota. So bene essersi allora creduto all'estero che il Giappone facesse un doppio giuoco, ma è ormai opinione concorde di questo corpo diplomatico (e cito come fonte non sospetta la sovietica) che così non fosse, e che vi siano due correnti nel Ministero degli affari esteri, cui corrispondono due correnti tanto nel mondo militare quanto in quello politico. Le difficoltà di Hirota nello espormi il pensiero del governo, quando mi recai da lui dopo le dichiarazioni di Sugimura, l'imbarazzo nel chiarirlo, la riserva nel darmi maggiori spiegazioni, mi confermano in questa opinione, così come la notizia indirettamente venutami all'orecchio secondo cui vari alti funzionari del Ministero degli affari esteri non consentirebbero con gli intransigenti e spererebbero in futuri migliori rapporti con noi.

L'andamento di questo incidente rammenta un po' fino a ora quello · appunto dell'anno scorso in occasione del sudetto primo comunicato sulla Cina: dopo la cruda affermazione iniziale il tono fu mitigato e il governo mostrò volontà di mettere la cosa in tacere. Anche questa volta, dopo il primo sfogo seguito alle dichiarazioni di Sugimura, i giornali hanno attenuato il loro linguaggio, in cui del resto non avevano mai fatto uso di espressioni particolarmente offensive per la nostra nazione, si sono astenuti dal riprodurre articoli della nostra stampa e infine si sono acquetati. Proteste ìnvece sono venute dai cosidetti gruppi patriottici, quantunque non numerose, ma specialmente perché, secondo i telegrammi delle agenzie, le dimostrazioni in Roma del 25 luglio avevano avuto carattere anche antigiapponese, e ancora più specialmente perché sarebbe in esse stato portato in giro un cartellone in cui era dipinto un Fascio che faceva a brandelli la bandiera nipponica.

Ha il Giappone progetti contro di noi, e quali? Ancora non so dire. In un'azione collettiva di Ginevra non può sperare, perché non vi appartiene più. Accenni al patto Kellogg non se ne odono più da nessuno, e come potrebbe servirsene il Giappone dopo quanto ha fatto e va facendo in Cina? Che crediti potrebbe concedere all'Etiopia mentre il ministro delle finanze si dibatte fra le enormi richieste dei militari e lo stato del bilancio; che armi mandare mentre non ne ha a sufficenza per sé e ne fabbrica alacremente? Quali che siano le risposte che vogliano darsi a queste domande un fatto è certo, e cioè che il Giappone, tutto occupato e preoccupato per il suo piano asiatico, non può influire efficacemente sul corso degli avvenimenti nel mar Rosso, così come del resto noi non possiamo in quelli dell'estremo oriente: la Francia non parla, la Russia quando parla (e in questi ultimi tempi mi pare abbia abbassato il tono) sembra lo faccia per darsi coraggio con il suono della propria voce, Hitler manda regali all'Imperatore e pare invierà nell'autunno prossimo una delegazione economica, Inghilterra e Stati Uniti si direbbe cerchino ottenere la meno sfavorevole liquidazione fallimentare possibile. Italia e Giappone stanno quasi all'opposto della terra e per supporre un conflitto bisogna pensare a una nuova grande guerra, nella quale del resto né credo possa precisarsi ancora quali sarebbero gli aggruppamenti né il Giappone si occuperebbe d'altri che dei Sovieti e dell'Inghilterra. E per di più, anche con gli stati con cui si prevede s'abbia da far guerra, è preferibile finché duri la pace convivere pacificamente.

Nell'ignoranza degli attuali intendimenti della politica del R. governo verso questo Impero, osservo che se si riprendessero dure polemiche se si compissero atti ch'esso considerasse come sfregio al suo onore, il che finora non è stato qui fatto verso di noi, mentre, secondo quanto posso da qui prevedere, ciò non ci arrecherebbe alcun vantaggio neanche d'indole generale, potrebbe forse suscitare una tendenza alla ritorsione finora non esistente, spingere il Giappone a prestare all'Etiopia aiuti anche se ora non vi pensa perché non crede gli convengano, e più che altro, favorendo le minoranze estremiste, far volgere contro di noi quella larghissima maggioranza dell'opinione pubblica la quale, ov'anche senta una qualche vaga simpatia verso gli Etiopi per ragioni di razza e per spirito di cavalleria inteso alla giapponese, poco si interessa in realtà di quanto ora avviene e avverrà più tardi laggiù, ma reagisce concorde quando si creda offesa nell'onore.

Perciò mi sembra provvedimento molto saggio quello che, secondo qualche giornale di qui, il R. governo avrebbe preso, di mettere cioè fine alle polemiche contro il Giappone. Una serena indifferenza, segno di forza morale e materiale, mentre toccherebbe fors'anche più l'amor proprio di questo paese senza offrirgli occasione a risentirsene, non si lascerebbe dietro solchi di rancore e consentirebbe una eventuale ripresa di migliori rapporti quando se ne vedesse per noi in avvenire una utilità, che, nell'odierno rapido mutare delle relazioni fra gli stati, nessuno credo potrebbe fin da ora escludere in modo assoluto (1).

(l) Vedi DD. 338, 555, 569, 570, 571 e 587.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussollni.

765

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. P. Londra, 17 agosto 1935.

Nel mio lungo telegramma di avantieri (l) ho cercato di riassumere le mie impressioni su quella che è fino a questo momento la situazione. Vorrei aggiungere adesso qualcosa che lumeggi -per quanto sia possibile nello stato di crescente confusione, incoerenza ed aberrazione generale in questo paese -quanto ho scritto nel mio telegramma di giovedì.

Anzitutto nessuno qui si fa la benché minima illusione su possibili risultati positivi della riunione di Parigi. Tutti sanno che la macchina della nostra guerra contro l'Abissinia è già in movimento e nessuna forza umana può arrestarla. Nessuno si illude che un «parecchio » giolittiano possa mutare la ferrea determinazione del Duce e del popolo fascista di risolvere finalmente, in pieno e per sempre, il problema della nostra sicurezza e della nostra espansione in Africa. Da circa quindici anni gli stessi giornali britannici che fingono di credere alla possibilità che un'azione societaria possa arrestare l'azione dell'Italia fanno ogni sorta di premure qui all'Ambasciata per ottenere facilitazioni ai loro corrispondenti di guerra da inviare al fronte italiano coi mezzi più celeri, tanto generale è la persuasione che operazioni militari italiane saranno iniziate nelle prossime settimane.

Va detto a ques.to momento qualche cosa sui due uomini che il Governo britannico ha mandato a Parigi per rappresentare l'Inghilterra nelle riunioni tripartite: Vansittart e Eden. Questi sono indubbiamente i due uomini più tristi e più pericolosi che abbia la politica inglese in questo momento. Eden non è altro che un pupazzo nelle mani di Vansittart. Egli ha infatti costruito la sua rapida e immeritata fortuna politica su un fattore esclusivamente negativo e cioè sulle unanimi antipatie che il popolo inglese nutriva per Simon. Vansittart il quale ha capeggiato, durante questi tre anni, il movimento di ostilità contro il suo ex Segretario di Stato, ha da ultimo cercato di varare Eden come successore di Simon. Senonché quest'ultimo ha dichiarato di essere disposto ad andarsene a una condizione: che il giovane Eden non fosse chiamato a succedergli. Baldwin è stato così costretto a rinunciare a Eden e procedere invece alla nomina formale di Hoare quale successore di Simon: ma contemporaneamente egli ha elevato Eden ad un rango uguale a quello di Hoare, ad una specie di Ministro degli esteri in seconda, indipendente dal Segretario di Stato, avente di fronte al Gabinetto una responsabilità politica autonoma accresciuta dal fatto avere egli l'appoggio indiretto di Vansittart e del Foreign Office. Questi, dopo aver congiurato a rovinare Simon, congiurano oggi a sbarazzarsi di Hoare, e preparare per il futuro Gabinetto che dovrebbe risultare dalle prossime elezioni generali l'incontrastata candidatura di Eden a Segretario di Stato. Da questa «diarchia » di poteri nella politica estera inglese

dalla lotta personale accanita che il binomio Vansittart-Eden sta facendo a Hoare dipende in gran parte l'azione assurda e non esito a dire criminosa, che sta svolgendo nel campo internazionale la Gran Bretagna in questo momento.

Non esito a dichiarare, sulla base di elementi raccolti giorno per giorno da sei mesi a questa parte, che il primo e vero responsabile dell'atteggiamento assunto dal Governo britannico contro l'Italia nella questione abissina è precisamente Vansittart. Egli non è un diplomatico ma soltanto un politicante mediocre, meschino e fanatico. Dal giorno in cui egli ha avuto nelle sue mani il Foreign Office egli non ha perseguito che un programma: un'alleanza fra l'Inghilterra e la Francia contro la Germania. La Germania è l'odio catilinaria di Vansittart e del gruppo politico che a lui fa capo. L'Italia non ha mai contato e non conta nei suoi calcoli se non in funzione dell'alleanza franco-inglese contro la Germania. Vansittart è rimasto a proposito dell'Italia, alle concezioni pre-fasciste. Per Vansittart l'Italia è una potenza di mediocre possibilità che sarà costretta, volente o nolente, ad associarsi all'ultima ora alla politica anglo-francese, a ciò costretta dalla minaccia dell'espansione tedesca verso il Mediterraneo e il centro-est europeo. Quando i rapporti tra l'Italia e la Germania, durante l'anno 1933, erano eccellenti Vansittart era un acerrimo nemico nostro. Vansittart è cambiato ed è ad un tratto divenuto italofilo e fascistafilo nel momento in cui i rapporti fra Roma e Berlino si sono guastati, e cioè quando egli ha preso a considerare l'Italia come un elemento che avrebbe potuto essere utile al suo programma di azione anti-tedesca. Senonché la politica anti-tedesca di Vansittart, ossia del Foreign Office, non ha avuto fortuna. Essa è stata sempre costretta ad arrestarsi premuta in senso contrario dalle correnti politiche inglesi. Il Gabinetto, specie in questi ultimi mesi, ha sempre fatto nei riguardi della Germania malgrado gli sforzi condotti da Eden quale portavoce del Foreign Office nei consigli ministeriali esattamente il contrario a quello che Vansittart e il Foreign Office hanno prospettato e proposto volta per volta. La politica contraddittoria e, sotto molti aspetti, balorda di Simon, era dovuta molto al fatto di trovarsi egli continuamente nel mezzo di due correnti in contrasto, quella del Foreign Office favorevole ad una politica di intervento in Europa a fiarico della Francia, e la corrente del Gabinetto ossia delle masse politiche britanniche che sono state e che sono tuttora sostanzialmente contrarie ad assumere impegni formali che possano costringere l'Inghilterra ad abbandonare la sua attuale posizione di libertà e neutralità, e trovarsi improvvisamente trascinata in un conflitto sul Continente. Le correnti più ostili ad assumere impegni del genere sono state sempre oltre ai gruppi di estrema destra fra i conservatori, le correnti laburiste, radicali e liberali, in una parola tutto il puritanesimo pacifista britannico. La politica estera di questi quindici anni dell'Inghilterra di fronte alla Francia e della Francia di fronte all'Inghilterra, è stata sempre dominata da una parte dallo sforzo francese di assicurarsi, sia pure indirettamente attraverso un'adesione britannica al meccanismo delle sanzioni ginevrine l'impegno della Gran Bretagna ad una politica di intervento in Europa, dall'altra dallo sforzo britannico di evadere qualsiasi formula, anche la più vaga, che potesse tuttavia significare per la Gran Bretagna un impegno di tal natura.

Un anno fa, ad eccezione dei soliti gruppi di fanatici infatuati, la S.d.N. era considerata in Inghilterra come un istituto ormai svuotato di una effettiva importanza internazionale. Tu ricordi che MacDonald e lo stesso Simon, nell'incontro di Roma nel marzo 1933, riconobbero con Te la necessità di una trasformazione radicale, pena la sua decadenza assoluta, dell'istituto ginevrino. Il contrattacco dei laburisti nelle elezioni parziali che hanno avuto luogo precisamente un anno fa (e che si è risolto con risultati inaspettatamente favorevoli per i candidati laburisti) ha scelto come terreno d'attacco contro i conservatori la politica degli armamenti recentemente votati dal Governo e dalla maggioranza conservatrice, contemporaneamente accusati di venir meno al programma di pace sancito nei principii contenuti nel Patto della S.d.N. I conservatori hanno accettato la sfida su questo terreno ed hanno risposto ini

ziando a lor volta la loro campagna durante la quale essi hanno giustificato la nuova politica degli armamenti come determinata esclusivamente dalla volontà del governo conservatore di tener fede agli impegni assunti dall'Inghilterra quale membro della S.d.N., impegni che impongono in determinate evenienze l'onere di intervenire con misure militari contro lo stato aggressore. La S.d.N. è così tornata improvvisamente di moda. Per parecchi mesi conservatori, liberali e laburisti hanno fatto a gara per erigersi a campioni dei principii ginevrini. In questo ambiente di torbida, ipocrita, malsana demagogia elettoralistica sono ricresciute ad un tratto le più strane ed esotiche efflorescenze del vecchio fanatico puritanesimo pacifista britannico, le stesse che hanno ostacolato la guerra boera e nel 1914 l'entrata in guerra dell'Inghilterra, le stesse che hanno combattuto la Francia per l'occupazione della Ruhr, le stesse che abbiamo trovato contro di noi durante le giornate di Corfù, le stesse che si sono scagliate prima contro Hitler salvo ad applaudirlo qualche mese dopo e patrocinare il riavvicinamento anglo-tedesco all'indomani degli accordi anglofrancesi del 3 febbraio, decise più che mai ad opporsi all'idea di una stretta intesa dell'Inghilterra con la Francia, intesa che secondo i pacifisti britannici nascondeva gli stessi pericoli che hanno portato l'Inghilterra durante l'ultima guerra a rischiare le sorti dell'Impero britannico lungo la frontiera del Reno.

Tutte queste forze torbide e demagogiche si sono trovate ad un tratto di fronte al conflitto italo abissino. Anziché dominarle -come avrebbe potuto e come ha sempre fatto -· il Governo britannico ha preferito questa volta lasciarsi trascinare ed ha affidato al giovane ambizioso Eden il compito, di maneggiarle. Eden tornato da Roma alla fine di giugno con lo schiaffo che si meritava, e che ha fatto di lui per parecchie settimane lo zimbello dell'Inghilterra e dell'Europa ha calcolato che per riprendersi dopo l'insuccesso e vendicarsi parimenti contro di noi, egli doveva appoggiarsi interamente alle

correnti fanatiche del pacifismo inglese che intanto si erano messe a blaterare perché fossero applicate all'Italia le sanzioni economiche e militari previste dal Covenant. Di qui l'atteggiamento inqualificabile assunto da Eden a Ginevra contro di noi che gli ha valso naturalmente simpatia, appoggio e popolarità fra i pacifisti inglesi, popolarità che ha costretto purtroppo Hoare, allo scopo di difendere la propria posizione minacciata alla Camera dei Comuni a pronunciare quel « tristo » discorso del l o agosto.

Ma mentre Eden sta giocando a Ginevra a Parigi e a Londra una partita di carattere elettorale e personale, Vansittart ne sta giocando una di carattere politico ben più grossa e pericolosa. Per la prima volta infatti, dalla firma dei Trattati di Pace, laburisti, liberali e conservatori trascinati dalla polemica elettorale si trovano d'accordo sul punto che li ha tenuti fin qui costantemente divisi, e cioè che l'Inghilterra possa e debba assumersi quale stato membro della S.d.N. l'impegno di partecipare al meccanismo delle sanzioni ginevrine, impegno al quale la Francia durante quindici anni di azione politica e diplomatica ha sempre invano cercato di trascinarla. Né Eden né Vansittart né alcuno del loro gruppo pensano naturalmente che la conferenza tripartita di Parigi potrà modificare di un centimetro quello che è il piano fatale della nostra guerra all'Abissinia. Per Vansittart la conferenza di Parigi non rappresenta se non lo strumento ed un ulteriore tentativo per ricattare la Francia contro di noi. Il vero pensiero di Vansittart, non quello delle conversazioni ufficiali o delle Note diplomatiche, bensì quello che guida la sua azione al Foreign Office, e che egli va confidando ai suoi amici e fautori, è il seguente: la politica dell'Italia in Europa è fissata dal suo storico e fatale contrasto con la Germania. Avremo quindi l'Italia alla nostra mercé, quando e come vorremo. Possiamo affrontare tranquillamente una crisi nei rapporti itala-britannici perché essa non può non avere carattere provvisorio, e perché l'Italia conta alla fine assai mediocremente nella carta politica dell'Europa. Bisogna viceversa, approfittare della situazione eccezionale e provvisoria determinatasi per ragioni elettorali nella politica interna inglese. Bisogna cioè profittare della provvisoria accettazione da parte di tutti i partiti del principio che la Gran Bretagna debba assumersi tutti gli obblighi che le derivano quale membro della S.d.N. di intervento contro lo stato aggressore, per realizzare al coperto della S.d.N. quella alleanza franco-britannica che è stata fino ad oggi impossibile, proprio perché ostacolata da quelle correnti politiche inglesi che non hanno mai voluto sinora saperne di sanzioni previste dall'art. 16 del Covenant. Queste sono le stesse che oggi, per la prima volta, invocano l'applicazione delle sanzioni ginevrine contro l'Italia. Se la Francia potrà essere convinta ad appoggiare risolutamente a Ginevra una politica di sanzioni contro l'Italia, il Governo inglese trascinato dalla logica della situazione non potrà sottrarsi ad assumersi tutti gli obblighi di fronte i quali esso è stato finora così riluttante: questo è l'unico momento per la Francia di ottenere dall'Inghilterra quello che essa ha invano chiesto per quindici anni. Una volta che il meccanismo delle sanzioni -per la prima volta dalla costituzione della Lega -sarà messo in moto per iniziativa della Francia e dell'Inghilterra d"accordo contro l'Italia, sarà possibile domani fare funzionare il meccanismo nello stesso senso contro la Germania. Se la Lega fallisce oggi nella sua azione contro l'Italia, nessuna speranza vi sarà domani per la Francia di poterla usare contro la Germania. L'adozione di sanzioni contro l'Italia dovrebbe dunque -nel pensiero di Vansittart -considerarsi come una prova generale di quello che potrebbe essere fatto domani contro la Germania. L'opinione pubblica inglese non potrebbe domani rifiutarsi di accettare contro la Germania ciò che ha voluto fosse fatto contro l'Italia. Soltanto per questo, e cioè soltanto per dimostrare alla Francia il van

taggia di abbandonare l'Italia alla sua sorte e di associarsi alla politica inglese di messa in moto delle sanzioni economiche e militari, Vansittart si trova oggi a Parigi. Il significato della conferenza tripartita è tutto qui.

Riuscirà Vansittart nei suoi piani non so se più puerili o criminosi? To ritengo di no. A parte quella che sarà certamente la sostanziale resistenza del governo francese alle pressioni inglesi, la lealtà di Lavai verso di Te, io non credo che anche qualora la coppia Vansittart-Eden riuscisse a vincere la resistenza ·di Lavai, potrebbe avere interamente ragione delle resistenze che si sono manifestate e si manifesteranno sia in seno al Gabinetto sia nell'opinione pubblica britannica, che nonostante le apparenze non condivide affatto l'idea di trascinare il paese in un'avventura pericolosa la quale non avrebbe se non un risultato: scatenare nel Mediterraneo una guerra fra l'I.nghilterra e l'Italia e una generale conflagrazione europea. Tutti sanno che l'Italia fascista, è pronta a tutte le eventualità inclusa un conflitto armato itala-britannico nel Mediterraneo. Anche l'ipotesi di un'Europa societaria coalizzata in armi contro l'Italia -e questa è un'ipotesi assurda e inverosimile -troverebbe il po-. polo fascista dritto in piedi deciso a combattere fino all'ultimo dopo aver messo fuoco alla miccia di una polveriera che significherebbe la guerra in tutta l'Europa intera. Gli ambienti militari britannici sono nettamente contro la politica del Foreign Office e consigliano la moderazione e la calma. Essi sanno che un conflitto con l'Italia fascista porterebbe a dei guai veramente seri e a sorprese impensate per quanto riguarda la posizione militare dell'Inghilterra nel Mediterraneo. Essi sanno che le forze militari, navali e aeree dell'Italia fascista, preparate, organizzate, agguerrite e comandate da un Capo che è il Duce potrebbero portare un colpo assai grave al mito della invincibilità britannica nel Mediterraneo, che i più freddi e sereni osservatori militari inglesi giudicano ornai come un fatto del passato.

L'attitudine di dura resistenza assunta da Te a Ginevra -e tale presumo continuerà ad essere durante questi giorni a Parigi -comincia a far pensare seriamente se il calcolo elettorale britannico non abbia già portato l'Inghilterra troppo oltre nella sua china pericolosa.

E' convincimento di tutti coloro i quali sostengono in Inghilterra i diritti dell'Italia e la necessità per questo paese di rimanere neutrale, che più presto l'Italia comincerà le sue operazioni di guerra, più presto si spezzerà l'equivoco di una situazione assurda e paradossale e diminuiranno contemporaneamente i pericoli che tale situazione è andata creando. Lord Beaverbrook mi diceva l'altro giorno: «Se il Duce potesse sparare il primo colpo di cannone prima della riunione del 4 settembre a Ginevra, quale sollievo per tutti! È l'indugio che incoraggia Eden, Vansittart, Lord Cecil e tutti i pazzi farneticanti una guerra con l'Italia i quali tentano di fare prigioniero il Gabinetto britannico.

Se il 4 di settembre la guerra fosse cominciata, la situazione sarebbe chiarita ad un tratto, e il Consiglio di Ginevra anziché «sanzionare» l'Italia non avrebbe da fare altro che «sanzionare» il fatto compiuto. Si nominerebbe, al più, un comitato con l'obbligo di riferire entro un determinato periodo di tempo. Dite al Duce che più presto Egli comincerà la guerra, più facile la cosa diventerà per tutti meno -si intende -per gli Abissini...».

Questi mesi, Duce, che abbiamo passato e che stiamo passando sono stati e sono indubbiamente duri. Non c'è dubbio. La criminosa politica inglese contro · di noi ha allargato i confini della nostra impresa militare africana in un conflitto storico rivoluzionario tra l'Italia fascista e la reazione democratica impersonata nel despotismo imperiale britannico.

Ma noi vinceremo perché Tu vincerai. Tu darai all'Italia un Impero in Africa, ma avrai dato ancora prima agli Italiani una cosa che non è meno preziosa di un Impero, la coscienza della loro definitiva libertà di fronte all'ultimo feticcio che era rimasto e che la nuova .generazione fascista non aveva ancora interamente distrutto dentro di sé: questo feticcio era l'idea che la grandezza dell'Italia non potesse diventare una realtà se non col lasciapassare dell'Inghilterra. Tu hai sfidato il drago, e lo stai vincendo. E il mondo prenderà atto che, prima di conquistare con le armi l'Impero etiopico, hai vinto e piegato l'Impero britannico.

(l) Vedi D. 740.

766

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 1464/475 P. G. Roma, 18 agosto 1935, ore 23,30.

Decifri Ella stessa.

Rintracci Vansittart e gli dica quanto segue e cioè che lo apprezzo molto, ma che se suo viaggio Cl) ha per iscopo di evitare l'urto fra noi e l'Etiopia è perfettamente inutile se invece ha per scopo di ristabilire l'armonia italoinglèse così necessaria alla stabilità europea, io lo vedrò immediatamente e molto volentieri. Egli deve sapere che nostri preparativi militari sono così avanzati e cosi imponenti che ogni compromesso sarebbe considerato dal popolo intero come una catastrofe. Non si mobilizzano 15 divisioni metropolitane più le indigene per quel miserevole piatto di lenticchie avanzate sul tavolo delle conversazioni tripartite di Parigi. Quanto alla Società delle Nazioni essa può rimanere neutrale dato che l'Etiopia è inadempiente, dalla mancata abolizione della schiavitù al mancato pagamento delle quote.

767

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4757/8 R. Parigi, 18 agosto 1935, ore 24 (per. ore 1,50 del 19).

Dato stamane La val comunicazioni telegramma di V. E. n. 62 (2), sostenendo vivacemente discussione su ognuno dei punti in esso contenuti.

Ho ancora una volta messo in chiara luce argomenti già esaurientemente sviluppati scorsi giorni circa gravità minaccia militare etiopica, circa assurdità pretesa rendere Etiopia da oggetto soggetto di diritto, circa assoluta inadeguatezza idee avanzate da Inghilterra e Francia, che segnano sostanzialmente regresso da situazione di diritto già acquisita Italia nel campo non solo economico, ma anche politico in base Trattato esistente.

Lavai, dichiaratosi impressionato fallimento sue speranze, detto erasi ostinato, malgrado mio rifiuto, prendere in considerazione idee espostemi, aggiungendo che, per quanto Eden persista considerare idee esposte avantieri come limite massimo concessioni inglesi, egli è convinto che esse non rappresentino che semplice base per inizio discussioni, dalle quali si possa finire per giungere a concessioni anche di carattere politico. Gli ho obiettato che nulla sembra giustificare tale opinione dato che Eden, in discussione plenaria avantieri, ha categoricamente ripetuto decisione inglese rimanere entro limiti economici, salvo eventuali spontanee concessioni Negus in altri campi.

Sopravvenuto Léger che per prima volta spintosi dichiarare: 1o -che l'Italia non ha ancora chiaramente esposto scopi che persegue in Etiopia; 2° -che nella situazione attuale non scorgonsi ragioni che giustifichino ricorso guerra da parte nostra.

Ho reagito, ricordando che il Governo francese è stato messo di già completamente al corrente degli scopi e;he R. Governo persegue in Etiopia, e che il negare ragione nostro attuale atteggiamento significa voler astrarre dalla realtà.

Tendenza inglese rompere fronte itala-francese, cui primi indizi risalgono ultima riunione Ginevra, secondo quanto ebbi a riferire a V. E. nell'appunto in data 4 agosto u.s. (1), comincia far presa su elemento anglofilo Qual d'Orsay.

Lavai ha concluso mettendo in rilievo gravità reazione, che eventuale rottura delle trattative produrrebbe su opinione pubblica mondiale e pregando in conseguenza V. E. di voler magari sospendere, ma non rompere negoziati. Riferendosi poi ad ultimo capoverso telegramma di V. E. n. 62, mi ha pregato di riferire a V. E. che egli è rimasto molto sensibile alle assicurazioni in esso contenute, ma che non può considerare senza apprensione le ripercussioni che un eventuale ricorso dell'Italia alla guerra avrebbero sulla auspicata collaborazione itala-francese.

Ho allora creduto opportuno fare ancora una volta rilevare come collaborazione itala-francese alla organizzazione pace europea nonchè collaborazione italiana Ginevra siano strettamente collegate all'atteggiamento che la Francia assumerà nei riguardi dei futuri sviluppi del conflitto italo-etiopico.

Nel pomeriggio avuto luogo riunione a tre.

A mia esplicita richiesta Eden ha detto non avere bisogno di consultare ulteriormente Londra per dichiarare che il Governo britannico intende limitare negoziati al campo economico.

54 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. I

Suo malgrado, anche Lavai è stato costretto a prenderne atto. Dopo di che, di comune accordo, abbiamo interrotto trattative, redigendo comunicato che, dopo approvazione V. E., è stato diramato alla stampa (1).

(l) -Vedi D. 758. (2) -Vedi D. 757.

(l) Vedi D. 664.

768

IL SEGRETARIO DI STATO DEGLI STATI UNITI D'AMERICA, HULL, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

MEssAGGIO. [Washington], 18 agosto 1935 (2).

I am askeci by the President to communicate to you in ali friendliness and in confidence a personal message expressing his earnest hope that the controversy between Italy and Ethiopia will be resolved without resort to armed conflict. In this country it is felt both by the Goverriment and by the people that failure to arrive at a peaceful settlement of the present dispute and a subsequent outbreak of hostilities would be a world calamity, the consequences of which would adversely affect the interests of all nations.

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IL MINISTTRO A RIGA, MAMELI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4878/0112 R. Riga, 18 agosto 1935 (per. il 23).

Faccio seguito al mio telegramma per corriere n. 0111 in data 2 corrente (3).

L'll corrente il Governo Ulmanis ha solennemente fatto celebrare il 15° anniversario della fine della «guerra della libertà». Propriamente la data segna l'anniversario del Trattato di pace con l'U.R.S.S. In tal senso è anche stato celebrato. Vi è stata una colazione offerta a Riga dal signor Ulmanis al Ministro sovietico, come vi è stata una colazione a Mosca offerta a quel Ministro di Lettonia. Vi è stato pure uno scambio di telegrammi.

Con un tentativo di salvare ogni cosa, caratteristico dei lettoni, all'interno è stato dato il carattere di celebrazione dell'indipendenza nazionale, mentre all'esterno si marcava una premura di buoni procedimenti verso i sovieti. I lettoni non vogliono evidentemente ancora decidersi, ma desiderano prudentemente tenere la porta aperta da quella parte. Del resto, secondo informazioni che trovano conferma in una conversazione che il R. Incaricato d'Affari a Kaunas mi ha detto di aver avuto con quel Ministro sovietico, l'U.R.S.S. non avrebbe alcun desiderio di fare inviti alla Lettonia o di accogliere premurosa

mente una sua iniziativa. Ma tentare di indovinare chi manovri di più in tutta la questione -se i lettoni o i sovieti -credo sia cosa estremamente sconsigliabile.

Il Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri mi ha detto in una recente conversazione che nessuna decisione è stata ancora presa. Egli sembrava ora più ottimista circa l'attitudine della Germania verso il progetto di Patto orientale, che, secondo lui, è fissato ora in tre punti che possono essere considerati generalmente accettabili: non aggressione, consultazione, isolamento dell'aggressore. La questione matura, sebbene non. si possano definirne le possibilità. In certo modo la decisione spetta a Parigi, che attende una risposta tedesca, e trattiene frattanto sospesa la ratifica dell'accordo francosovietico.

Portato sul terreno delle ripercussioni nel Baltico dell'accordo navale anglo-tedesco, Munters ha mostrato il solito ottimismo. Ha affermato che deve essere esaminato alla stregua della proporzione delle forze navali che i tedeschi potranno dislocare nel Baltico. Attualmente tale proporzione (è interessante notare che Munters citava dati tedeschi) è di uno su dieci. Ammettendo una pronta realizzazione del programma di costruzioni dipendente dall'accordo anglo-tedesco, la proporzione potrà arrivare a tre su dieci. Quindi non rappresenterà quella rottura di equilibrio che si vuol far credere. Anche ammettendo i dati come esatti, si potrebbero prontamente opporre possibilità dal lato tecnico navale -di arroccamento, e da quello politico-militare, di situazioni eventuali, su cui sarebbe qui fuor di luogo addentrarsi. Ad ogni modo Munters continuava che il primo risultato dell'accordo sarà di accelerare il programma di costruzioni navali sovietiche. Secondo lui nessuno degli altri Stati rivieraschi è eccessivamente preoccupato, tranne la Danimarca, per la sua speciale situazione. La cosa si risolverebbe insomma in una corsa tedescosovietica alla predominanza sul Baltico. Alla mia domanda se non riteneva che ciò potesse condurre a sviluppi o raggruppamenti eventuali, non li ha esclusi come ultima ipotesi, ma ha affermato di non considerarli vicini, negando che abbiano fondamento le voci, così largamente diffuse nella stampa di questi giorni, di nuove combinazioni baltiche e baltico-scandinave. Anche tale negativa assoluta ritengo sia prudente accogliere con beneficio di inventario.

Anche per la visita Beck in Finlandia, Munters ha escluso che rappresenti nulla di speciale. È secondo lui una semplice conferma dei rapporti stabilitisi fra i due Paesi da quando, in seguito all'accordo tedesco-polacco, la Finlandia ha cessato di vedere nella Polonia uno Stato ostile. Riteneva che la messa a punto finlandese, di fronte all'imperversare della stampa, rispondesse a verità.

Intanto, dal punto di vista interno, il Governo Ulmanis ha prorogato per altri sei mesi lo « stato di difesa eccezionale :.. Allo scadere di tale termine il momento sarà particolarmente interessante poichè, in base alla Costituzione, in aprile scadrà il mandato dell'attuale Presidente della Repubblica, eletto per la seconda volta, e perciò non rieleggibile, sempre secondo la Costituzione. Ma la Costituzione stessa è sospesa durante lo stato di difesa eccezionale. Ulmanis ha quindi tutte le possibilità, ma ancora non vi è indizio della via che intenda scegliere.

(l) -Il presente documento ;reca il visto di MussoUnl. (2) -Questo messaggio fu consegnato a Mussollni dall'incaricato d'affari statunitense Kirk il 19 agosto alle ore 12. (3) -Con T. 4534/0111 R. del 2 agosto 1935, non pubbUcato, Mamell aveva riferito che il governo lettone non aveva ancora preso la decisione di cui al D. 492.
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IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4776/97 R. Budapest, 19 agosto 1935, ore 17,10 (per. ore 20).

Telegramma per corriere di V. E. n. 1431 (l) e 1444 (2).

Presidente del Consiglio mi ha detto concordare pienamente opportunità rinviare viaggio: volèva soltanto esprimere, se non indiscreto, il desiderio essere possibilmente qui di ritorno dall'Italia per il 15 settembre.

Riteneva preferibile incontro avesse luogo dopo chiarimento posizioni internazionali.

Ove R. Governo -ha aggiunto -decidesse uscire S.d.N. sarebbe sua intenzione, approvata in massima dal Reggente Horthy, seguirne esempio il giorno seguente: il chè, oltre corrispondere stretta amicizia due Paesi, sarebbe -mi ha lasciato intendere -sulla linea sua concezione Roma-Berlino.

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L'INCARICATO D'AFFARI A STOCCOLMA, SERENA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4785/74 R. Stoccolma, 19 agosto 1935, ore 20,40 (per. ore 0,30 del 20).

Telegramma di V. E. n. 32 (3). Nulla qui risulta circa dichiarazioni attribuite Segretario Generale Mimstero degli Affari Esteri norvegese.

Tuttavia la comune linea da tempo adottata, le manifestazioni finora registrate di organi responsabili ed irresponsabili, lasciano prevedere che dette dichiarazioni rispecchino, nella sostanza se non ancora nella forma quel freddo atteggiamento dei Paesi scandinavi a Ginevra, tutti tre governati dalla stessa socialdemocrazia, egualmente imbevuti di idealità societarie e in complesso supini alle direttive di Londra.

Per quanto riguarda in particolare la Svezia, mi riferisco precedente corrispondenza del Ministro Paternò e miei telegrammi nn. 69, 70 (4) e 73 (5) del corrente mese.

questione etiopica nelle relazioni commerciali italo-svedesi.

(l) -Con T. per corriere 1431 R. del 12 agosto 1935 Suvich aveva comunicato a Colonna quanto segue: «Data attuale situazione internazionale nonché molteplici impegni sopravvenuti in questo periodo di intensa attività politica, ritengo che incontro Capo Governo con Generale Goemboes possa più utilmente avvenire più tardi, ad epoca che il Capo si risea"va di concordare con lui». (2) -Vedi D. 736. (3) -Vedi D. 760. (4) -Vedi DD. 698 e 724. (5) -Con T. 4707/73 R. del 16 agosto 1935 Serena aveva riferito sui possib!li riflessi della
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IL MINISTRO AD OSLO, RODDOLO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4781/98 R. Oslo, 19 agosto 1935, ore 20,43 (per. ore 23).

Telegramma v. E. n. 22 (1).

In un colloquio avuto luogo con questo Segretario Generale per gli Affari Esteri ho avuto sicura impressione che egli si sia limitato accennare a questo Ministro di Romania che, data tendenza politica Ministri Esteri nordici, riunione Oslo non poteva concludersi a favore tesi italiana.

Ho creduto comprendere che accenno è stato fatto da questo Segretario Generale degli Affari Esteri al Ministro di Romania quando questi che è qui unico rappresentante diplomatico Piccola Intesa, lo avrebbe sondato per vedere sin dove poteva giungere collaborazione Stati minori per difendere a GinevTa principii societari. Segretario Generale avrebbe condannato questa premura, perchè egli oggi è preoccupato di evitare suo Ministro si impegni troppo su Ginevra.

Ministro di Romania, che si dà molto da fare, non poteva successivamente [non] fare credere a Bucarest di avere una buona situazione; deve avere agito di sua iniziativa e, per coprirsi di fronte diffidente riserva del Segretario Generale degli Affari Esteri, ha esagerato nel riferire ed ha fatto dire all'interlocutore quello che si dice nelle Logge massoniche legate a Parigi e a Londra.

Circa quanto potrà essere discussione riunione Oslo 28 corrente e 29 corrente situazione resta quella prospettata a V. E. con telegrammi n. 95 e 97 (2).

Quanto atteggiamento [Stati] nordici, è facile prevedere che certamente quello di Norvegia non ci sarà favorevole, quando si pensi che il Primo Ministro è quel Nygaardsvold, che il 1° maggio 1934 faceva note dichiarazioni antifasciste provocando vive rimostranze da parte V. E., e che Ministro degli Affari Esteri è quel professore Koht, [che] è membro più anziano del comitato Nobel pace ed ha fatto trionfare candidatura dell'arcaico Angeli.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4774/9 R. Parigi, 19 agosto 1935, ore 21,45 (per. ore 0,30 del 20).

Stamane Laval ha voluto rivedermi dopo aver ricevuto Eden. Mi ha detto che entrambi hanno dovuto constatare indubbio successo di V. E. in quanto l'Italia, dopo aver corrisposto impegni assunti a Ginevra di venire a trattare

a Parigi, esce dalle trattative con mani libere per svolgere la sua azione. Lavai e Eden considerano ormai la guerra come sicura ma sembra comincino ad assuefarsi ineluttabilità eventi. Eden pare sia soddisfatto riportando a Londra una prova di intransigenza che potrà ristabilire sua posizione personale.

Lavai mi ha detto di aver ora iniziato presso Eden lavoro per indurre Inghilterra assumere Ginevra atteggiamento che non renda insostenibile situazione Italia. Mi ha detto di aver trovato in Eden una disposizione favorevole. Egli è d'opinione che sia opportuno che Italia, nella prossima riunione Consiglio, attacchi in pieno Etiopia, ma che da parte sua eviti di ferire suscettibilità inglese astenendosi anche fin da ora da polemica di stampa.

A mia richiesta, se credesse possibile ricorso sanzioni da parte Inghilterra, mi ha risposto non crederle probabili.

Quanto alle relazioni itala-francesi, Lavai mi ha incaricato di dire a V. E. che egli si adopererà in tutti i modi a rafforzarle e a mantenere fronte di Stresa.

Ho riferito fedelmente quanto dettomi dal Presidente del Consiglio. Vari indizi però e sopratutto tono ostile odierna stampa francese provocano qualche perplessità. Ho perciò pregato Ambasciatore Cerruti far notare Qual d'Orsay divario fra le parole dette dal Presidente e contemporanea intonazione stampa francese, chiedendo chiarimenti (1).

(l) -Vedi D. 760. (2) -Con T. 4685/95 R. del 15 agosto 1935 e T. 4943/97 R. del 17 agosto 1935, non pubbllcat!, Roddolo aveva informato sulle possibili conclusioni della prossima conferenza di Oslo e sulle dichiarazioni fatte in proposito da F;oht,
774

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A TIRANA, INDELLI

T. S. PER CORRIERE 8761 P.R. Roma, 19 agosto 1935.

Da ulteriori indagini condotte nelle capitali balcaniche risulta confermato che Re Zog ha al principio di luglio chiesto prima al Ministro di Jugoslavia poi a quello di Romania d'interessare i rispettivi Governi per l'ammissone dell'Albania all'Intesa balcanica (2). Il progetto ha trovato favorevole accoglienza a Belgrado, Bucarest e Ankara. Da parte greca invece si mantiene tuttora una certa opposizione, pur lasciando comprendere che tale atteggiamento potrebbe subire un cambiamento qualora questione scuole minoritarie grecofone fosse risolta secondo punto di vista ellenico. Ove venga quest'ultima adesione ingresso Albania nel blocco balcanico dovrebbe essere proposto e discusso nella prossima riunione del Consiglio Permanente dell'Intesa Balcanica.

Ad obbiezioni mossegli circa il probabile atteggiamento dell'Italia, Zog avrebbe risposto che Albania era completamente libera nel blocco balcanico, giacchè Trattato con l'Italia aveva soltanto carattere difensivo e che analoga dichiarazione egli aveva fatto al Governo italiano il quale non aveva soll~vato alcuna abbiezione.

Re Zog ha dichiarato infine che, una volta che l'Albania fosse entrata nell'Intesa balcanica, egli contava sull'appoggio degli altri Stati dell'Intesa per ottenere un prestito dalla S.d.N. Da parte rumena sono state date assicurazioni in tal senso, mentre da parte jugoslava sono state sollevate alcune riserve ,circa l'opportunità di avanzare tale richiesta in questo momento in cui S.d.N. intendeva evitare tutto ciò che potesse urtare suscettibilità italiana.

Poiché, a giudizio della S. V. (1), le attuali circostanze e lo sviluppo dei negoziati in corso sconsiglierebbero in questo momento di fare una formale protesta, comunico quanto precede per Sua esclusiva e riservata conoscenza. Non ritengo infatti sia il caso di fare sapere a Zog, per interposta persona, che siamo al corrente di una iniziativa da lui presa senza consultarci e che è in contrasto con gli accordi segreti che lo legano a noi; se l'attuale situazione non ci permette di richiamare Zog ad un più leale rispetto degli impegni assunti è preferibile !asciargli credere che il R. Governo è ancora all'oscuro di tutto o che almeno attribuisce la paternità di tutto l'intrigo a Belgrado od a Budapest.

(l) -Il presente documento reca 11 visto di Mussol1n1. (2) -Vedi D. 655.
775

L'INCARICATO D'AFFARI A KAUNAS, ROSSI LONGHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4798/Él4 R. Kaunas, 20 agosto 1935, ore 18,55 (per. ore 22,30).

Mio telegramma n. 63 (2).

Ha avuto oggi lunga conversazione questo Ministro degli Affari Esteri il quale di sua iniziativa mi ha detto che emendamenti apportati a legge elettorale Memel riguardano solo punti di dettaglio. Emendamenti avrebbero con piena soddisfazione assicurato regolarità prossime elezioni Dieta.

Avendomi domandato quale impressione emanazione decreto ha fatto R. Governo, gli ho risposto ritenere che questione doveva essere considerata anche dal lato giuridico. Gli ho ricordato attitudine finora assunta da R. Governo in questione Memel ed egli mi ha detto che Governo lituano ha apprezzato e apprezza molto tale attitudine, che spera non sarà mutata. Mi ha aggiunto essere suo desiderio, qualora divergenze su questione possano prodursi tra Governo lituano e R. Governo, che soluzione potesse avere luogo via amichevole senza ricorrere ad organi internazionali.

Ministro degli Affari Esteri mi ha dato assicurazioni che elezioni Dieta Memel non verranno rimandate, che convalidazione avverrà con la massima sollecitudine possibile e che Governo lituano farà il possibile affinchè, dopo elezioni, situazione Memel sia normalizzata.

Egli mi ha detto che Governo lituano non accetterà mai controllo elezioni da parte della Società delle Nazioni.

776.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 4795/488 R. Parigi, 20 agosto 1935, ore 20,55 (per. ore 21,30)

Telegramma di V. E. n. 475 (1).

Vansittart, col quale mi sono espresso giusta le istruzioni di V. E. impartitemi, è stato molto lusingato della comunicazione e mi ha incaricato ringraziare V. E.

Egli è partito stamane per Aix-Les-Bains, dove si è recato a conferire con Baldwin prima che questi rientri a Londra. Prenderà poi un congedo che trascorrerà sulla riviera francese.

Oggetto di un suo colloquio con V. E. avrebbe dovuto essere precisamente la ricerca del migliore modo di ristabilire armonia itala-inglese. Vansittart ritiene che la guerra itala-etiopica sia ormai inevitabile. Teme che vi saranno momenti in cui la tensione sarà molto grande e in cui sarà pertanto necessario esercitare ogni sforzo dalle due parti per non compromettere in modo irrimediabile l'amicizia dei due Paesi, indispensabile per la stabilità europea. Ritiene quindi opportuno soprassedere oggi alla sua venuta a Roma in considerazione del fatto che essa finirebbe per essere conosciuta e che queste visite perdono il valore se sono troppo frequenti. Si riserba di far uso dell'accoglienza così lusinghiera fatta alla sua richiesta di V. E. non appena giudicasse che un colloquio potesse essere utile ai fini che entrambi i Governi si propongono raggiungere. Ha espresso speranza che un linguaggio più moderato della stampa dei due Paesi non contribuisca ad aggravare la situazione.

(l) -Non è stata rinvenuta una comunlcazdone scritta di Inde!Ji sull'argomento. (2) -T. 4769/63 R. del 19 agosto 1935, ore 17,51, circa le riserve francesi alle modifiche della legge elettorale di Memel.
777

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'INCARICATO D'AFFARI A KAUNAS, ROSSI LONGHI

T. 1476/14 R. Roma, 20 agosto 1935, ore 24.

Suoi telegrammi 61 e 62 (2).

Prego V. S. voler fare codesto Ministero Esteri riserve circa nuovi decreti nel senso che ci riserviamo di esaminare fino a che punto essi siano compatibili con statuto Memel ed opportuni in vista situazione che si sta colà sviluppando.

V. S. vorrà aggiungere codesto Ministro degli Esteri che noi abbiamo fatto e stiamo facendo tutto il nostro possibile per aiutare Governo lituano ma che esso stesso deve aiutarci e non metterei continuamente di fronte a fatti compiuti. Nostra situazione di potenza garante dello statuto di Memel ci impone degli obblighi ai quali, pur comprendendo motivi e finalità azione lituana, non possiamo del tutto sottrarci (3).

(l) -Vedi D. 766. (2) -T. 4837/61 R. del 17 agosto 1935, ore 13,52, e T. 4751/62 R. del 17 agosto 1935, ore 20,54, concernenti la modifica della legge elettorale di Memel. (3) -Per la risposta di Rossi Longh! vedi D. 782.
778

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4977-4978/041-042 R. Istanbul, 20 agosto 1935 (per. il 26).

Aras mi ha ieri 19 corrente lungamente intrattenuto sui rapporti italaturchi.

Partito da constatazione che gli effettivi rapporti politici non sono in sviluppo, che quell'incremento che potevasi sperare o da nostre proposte (patto italo-turco-greco) e dalle sue (patto itala-balcanico) o da altre non è sperabile, poichè tali progetti sono in attesa che una situazione possa farli riesaminare e si ignora se e quando tale combinazione ripresenterassi, non vi è motivo che rapporti diretti itala-turchi non trovino già oggi maniera intensificarsi, se non con nuovi strumenti diplomatici almeno sulla base degli esistenti. Ha citato, ad esempio, rapporti con Soviet che vanno oltre qualsiasi interpretazione più vasta degli strumenti diplomatici fra i due Stati, ed attuale maggiore incremento rapporti politici con Inghilterra con la quale non vi è alcun patto di carattere politico.

Secondo Aras, sviluppo potrebbe e dovrebbe trovarsi in constanti contatti di carattere politico con scopi informativi reciproci e di consultazione. Ha citato questioni relative al Mediterraneo Orientale, ed azione alla S.d.N. per concludere che se questo sviluppo potesse esservi finirebbe col creare un legame ed un interesse reciproco ben più forte di qualsiasi trattato.

Ho replicato che non era da parte nostra che era mancato desiderio e prove volere intensificare e stringere nostri rapporti in ogni campo. Ma tutte mie iniziative non avevano neanche trovato sempre risposte generiche, anzi più spesso il silenzio. Nessuna poteva essere stata fatta con maggiore sincerità e poteva avere maggiore significato di quella di dare la nostra contribuzione all'aviazione turca (mio telespresso n. 1482/617 del 10 giugno) (1). Era restata senza alcuna risposta, Tralascio tutti i tentativi per intensificare i rapporti di carattere culturale. Ed egli non poteva dimenticare quante volte era stato ripetuto da me qui, da S. E. Suvich a Milano, da S. E. Aloisi a Ginevra, ecc. che era fermo desiderio e proposito di S. E. il Capo del Governo di migliorare costantemente i rapporti itala-turchi. Prendevo atto in ogni caso di questa sua proposta, l'avrei comunicata a Roma chiarendone tutta la portata e tutto il suo significato, che non sarebbe certo sfuggito alla alta attenzione di S. E. il Capo del Governo.

La proposta di Aras trae motivo dal momento psicologico che la Turchia attraversa. Per fatti od interpretazioni che hanno fatto credere qui ad inesistenti disegni italiani e per risentimenti di amor proprio, la Turchia, e per essa Aras, ha dal principio 1934 assunto una attitudine marcatamente ostile a qualsiasi nostro interesse e disegno politico. Oggi ci si accorge avere fatto

falsa strada, mentre i pericoli per cui si credeva aver trovato rimedio esistono ancora come minaccia effettiva o potenziale. Nessuno leverà mai dalla testa turca che l'Italia voglia trovare in avvenire un campo di espansione, anche demografica, in Anatolia. I prodromi e lo sviluppo del conflitto itala-abissino hanno singolarmente acuito in primo tempo questa paurosa sensibilità. Ma al momento presente vi è una modificazione del sentimento turco, nel senso che (per quanto Aras affermi che non si giungerà alle ostilità e creda sempre in un compromesso tramite S.d.N.) si comprende quanto sia precisa la decisione italiana di risolvere in modo assoluto e completo la questione abissina. Ciò impegnerà le forze e le attività italiane in Mar Rosso per vari decenni, distraendole da disegni espansionisti nel Mediterraneo Orientale, ma ne verrà tuttavia un singolare rafforzamento dell'Italia nel Mediterraneo dove già (affermazione di Aras a me) l'Inghilterra ha virtualmente perduto la sua posizione preminente anche in virtù dell'accordo franco-italiano. Perciò occorre mettersi al riparo da questo aumento di potenzialità politica italiana, tenendo con essa i migliori rapporti politici possibili, e conoscendone nel miglior modo l'attività per desumere meglio cosa vi sia nella politica italiana che possa nuocere direttamente alla Turchia stessa.

Vi è poi la questione bulgara. La Bulgaria è tenuta in tutti i sensi. In sé e per sé in quanto nutre aspirazioni revisioniste in Tracia e per lo sbocco all'Egeo. Poi come strumento di una supposta politica aggressiva italiana, quindi come base di una azione germanica. Ma più ancora per la possibilità di un suo stretto accordo con la Jugoslavia. Se Belgrado si accorda come Roma e poi con Sofia le due finalità del Patto Balcanico sono interamente annullate. Quindi un restringersi di rapporti politici con l'Italia ed un principio di consulazione nelle questioni di comune interesse, da un verso rimedia alla mancanza di solidarietà turco-jugoslava in senso di difesa dall'Italia, dall'altro unisce Turchia ed Italia nel comune interesse di evitare un riavvicinamento bulgaro-jugoslavo, o quanto meno evitarne i danni e le effettive minaccie contro la Tracia turca.

Questi sono i due moventi principali della proposta di Aras, a giudicare la quale occorre non trascurare che l'accordo franco-italiano ha tolto possibilità di manovra, e che il flirt attuale con l'Inghilterra (finchè dura la effettiva dipendenza della Turchia dall'U.R.S.S. non si può parlare che di flirt con Londra e nulla più) è una delle conseguenze della nuova situazione mediterranea, la quale, a questione abissina chiusa con nostro successo, non potrà che sempre più precisarsi a nostro vantaggio.

Nel colloquio Aras ha parlato di consultazione anche per questioni di comune interesse che fossero alla S.d.N. Egli ha indirettamente ma chiaramente alluso ad un possibile adattamento del suo atteggiamento a Ginevra in modo più conforme a quanto potremo chiedergli, come ha certo compreso fra i punti di comune interesse la questione degli Stretti per la quale ha affermato esistere un principio di tendenza inglese diversa dalla tradizionale.

V. E. giudicherà qual seguito dare alla proposta di Aras e vorrà darmi quelle istruzioni che, se del caso, chiederei mi fossero inviate per telegramma fino e non più tardi del 27 o 28 c.m. cioè prima che Aras parta per Bled e Ginevra.

E' mio avviso subordinato che la proroga non debba essere lasciata cadere, se non altro per tenere a bada questo settore che, pur essendo d'ala nel grande quadro della nostra attività politica, non può essere neppure trascurato. Se però

V. E. credesse fare accoglienza favorevole alla proposta di Aras io credo che i limiti e la materia della informazione e della consultazione dovrebbero essere ben delimitati per evitare equivoci e malintesi più dannosi poi della anodina situazione presente. Limiti e materia che dovrebbero essere ristretti alle questioni del Mediterraneo Orientale, al massimo ai Balcani, pur lasciando libertà di proporre di volta in volta quei punti che una delle parti ritenesse proporre come di comune interesse (1).

(l) Non pubblicato, ma vedi D. 365.

779

IL CAPO DELL'UFFICIO IV DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI, SCADUTO, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 20 agosto 1935.

Il Consigliere dell'Ambasciata di Cina mi ha intrattenuto dei nuovi sviluppi della situazione nella Cina del Nord. Il signor Tchou Yin mi ha detto quanto riassumo qui appresso:

1°) Il Governo giapponese chiede insistentemente al Governo cinese di riconoscere il Manciukuo e di concludere un'alleanza a tre: Giappone-Cina-Manciukuo. Se la Cina accettasse, il Giappone consentirebbe a non estendere ulteriormente il territorio del Manciukuo e s'impegnerebbe a non occupare militarmente né l'Hopeh (dove si trovano Pechino e Tientsin) né lo Shantung, provincie che il Giappone minaccia a scopo tattico. Il Governo cinese resiste alle pressioni giapponesi. La crisi attuale (dimissioni di Wang Ching-Wei dalle cariche di Presidente del Consiglio esecutivo e di Ministro degli Esteri, nonché dei Ministri dell'Educazione e dell'Industria), va interpretata come tendente a dissociare le responsabilità di detti Ministri dalle responsabilità del Governo il quale ha aderito agli accordi conclusi di recente, che hanno accentuato l'influenza del Giappone nella Cina del Nord. Lo stesso generalissimo Chang KaiShek il quale finora, non ritenendo il suo Paese in grado di affrontare a viso aperto il Giappone, ha stimato conveniente di fare una politica conciliante, è ostile alle nuove richieste giapponesi. Pertanto il Giappone mira a scalzare il generalissimo.

2°) Circolano inoltre voci di proposte giapponesi alla Cina di portata più vasta: un'intesa seconda quale il Giappone annetterebbe al Manciukuo tutta la Mongolia, interna ed esterna e aiuterebbe le Cina a riaffermarsi nel Tur-' kestan e nel Tibet, regioni come è noto nominalmente appartenenti alla Cina; ma di fatto sotto l'influenza russa la prima e sotto quella inglese la seconda.

3°) Di fronte ai piani di cui sopra, l'U.R.S.S., che pure vedrebbe lesi i proprii interessi in Mongolia e vedrebbe costituirsi una nuova· minaccia alle spalle per i suoi territori estremo-orientali, continuerebbe a non reagire con la forza. L'Inghilterra, mediante l'invio di Leith-Ross, si disporrebbe a sondare il terreno in Giappone per un accordo, inteso a salvaguardare almeno i suoi interessi economici.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussol1nd. che ha annotato a m!lirgine: « Par!arne a Ginevra».

780

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 2987/1046. Berlino, 20 agosto 1935 (per. il 23).

Ieri 19 ho preso i primi contatti con l'Auswartiges Amt, recandomi a far visita al Segretario di Stato signor von BUlow.

Conosco von Biilow da molti anni (Ginevra). La nostra conversazione, durata un'ora, è stata quindi, nei limiti consentiti dalle caratteristiche dell'uomo, cordiale. Essa si è peraltro aggirata quasi interamente su cose e ricordi del passato e ha presentato scarso interesse politico.

Fra le altre cose, abbiamo parlato del Patto orientale e dell'Abissinia. Sul primo punto, il signor von Biilow nulla mi ha detto di nuovo. Quanto al secondo, egli, pur consentendo nel desiderio da me espressogli di maggiori contatti fra l'Ufficio Stampa di questa Ambasciata e quello dell'Auswartiges Amt per scambi di informazioni in materia abissina, non si è scostato dalla linea di riserbo evidentemente segnata da Hitler e di cui V. E. ha trovato traccia nella conversazione di commiato avuta da S. E. Cerruti col Ftihrer il 5 luglio u.s. (l).

Nello stesso pomeriggio di ieri von Biilow è venuto all'Ambasciata a restituirmi la visita (2).

781.

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4801/590 R. Londra, 21 agosto 1935, ore 0,35 (per. ore 4).

Ministro Eden, al suo ritorno da Parigi, ha insistito perché si raduni al più presto un Consiglio di Gabinetto, che è annunziato avrà luogo posdomani giovedì (3), per prendere in esame la situazione determinatasi in seguito fallimento delle conversazioni tripartite di Parigi.

I membri del Gabinetto, si trovano tutti o all'estero o in Scozia in vacanza mentre pure in vacanza si trovano tutti gli uomini politici dei diversi partiti i quali sono stati urgentemente richiamati e giungeranno a Londra nella giornata di domani o nella mattinata giovedì.

Hoare ha egli pure lnterrotte le sue vacanze e sarà stasera a Londra, proveniente Norfolk, allo scopo di conferire con Eden.

A quanto risulta, il Consiglio dei Ministri di giovedì, dopo avere ascoltata la relazione di Eden, procederebbe ad esame di quella che dovrà essere attitudine britannica il 4 settembre a Ginevra, e discuterà anche sulla opportunità

o meno di convocare in seduta ordinaria la Camera dei Comuni. Non è improbabile venga riesaminata anche la questione delle licenze dell'importazione armi in Abissinia.

Nonostante giornali diano a questa seduta del Gabinetto un carattere celata importanza, pure tuttavia linguaggio della stampa di stamane si mantiene, ad eccezione del Manchester Guardian, abbastanza prudente.

La importante preparazione militare dell'Italia, notizia dell'entusiasmo popolare crescente che le corrispondenze da Roma definiscono per nulla inferiore alle grandi giornate trionfanti della rivoluzione fascista, l'appassionata fedeltà e la cieca obbedienza del popolo fascista compatto, agguerrito come un grande esercito in marcia, pronto a fare tutto quanto il Duce ordinerà ed esigerà da esso, tutto ciò è diventato qui motivo di sentita riflessione, perché dimostra che l'Italia già si prospetta tutte le eventualità di carattere ben maggiore e più vasta di quelle rappresentate dalla sua impresa militare.

Dopo il mese di polemiche astiose qui si comincia a rendersi conto dei pericoli cui andrebbe incontro Inghilterra se la situazione dovesse portare ad un conflitto nel Mediterraneo, conflitto che rischierebbe distruggere il mito della sicurezza navale nel Mediterraneo, e avrebbe ripercussioni immediate e gravi sul sistema di sicurezza e sul già malcerto equilibrio imperiale.

Mi risulta Ammiragliato sopratutto insiste perché sia usata calma e moderazione e sia abbandonato a sé stesso ed ai seguaci fanatici il Ministro Eden, alla cui affrettata e inconsiderata ignoranza si attribuisce gran parte delle attuali difficoltà in cui si è venuta a trovare la politica estera della Gran Bretagna.

Da fonte attendibile mi risulta anche che Laval avrebbe dichiarato nettamente a Eden, prima che questi partisse da Parigi, che la Francia potrà appoggiare Gran Bretagna nella discussione sulla questione abissina, che avrà luogo a Ginevra il 4 settembre, ma ciò soltanto alla condizione che Consiglio non (dico non) discuta di applicazione di sanzioni all'Italia.

(l) -Vedi D. 491. (2) -Il presente documento reca Il visto di Mussollnl. (3) -Il 22 agosto, poiché il telegramma è stato redatto la sera del 20.
782

L'INCARICATO D'AFFARI A KAUNAS, ROSSI LONGHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4838/65 R. Kaunas, 21 agosto 1935, ore 14,30 (per. ore 18,40).

Stamane ho seguito istruzioni di cui al telegramma di V. E. n. 14 (1). Ministro degli Affari Esteri ha preso nota riserva formulata R. Governo e mi ha incaricato ringraziare V. E. per aiuto che R. Governo ha sempre dato

e continua dare a Governo lituano. Mi ha detto che Governo lituano non può accettare esame nuovi decreti per quanto riguarda « opportunità> loro emanazione.

Ho risposto questione, oltre essere giuridica, ha anche carattere politico che il R. Governo non può trascurare.

Circa il «punto primo» egli mi ha detto che, avendo Lituania sovranità sopra Memel, può liberamente emanare leggi e decreti purché essi rientrino nei limiti dello Statuto.

Gli ho risposto che qualora sia interesse Governo lituano rendere più concreto aiuto R. Governo occorre informarlo tempestivamente circa provvedimenti progettati non solo per poter dare un consiglio amichevole ma anche per poter eventualmente preparare elementi risposta probabile protesta.

Ministro degli Affari Esteri mi ha detto impartirà istruzioni Ministro Lituania Roma perché spieghi a voce a V. E. punto di vista Lituania sulla emanazione decreti.

(l) Vedi D. 777.

783

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 1479/480 R. (1). Roma, 21 agosto 1935, ore 17,30.

Barone Aloisi mi ha riferito su recenti conversazioni tripartite Parigi e su atteggiamento schietto e amichevole del signor Lava!. Voglia comunicare al signor Lava! quanto segue:

l) che suo atteggiamento ha suscitato la migliore impressione in Italia;

2) che Governo italiano sarà presente il 4 settembre a Ginevra a meno che nell'intervallo il Governo britannico non abbia compiuto qualche atto irreparabile;

3) che ordini sono già stati dati alla stampa italiana per moderare o sospendere polemiche colla stampa britannica;

4) che compito Governi è ormai quello di localizzare il conflitto evitando nella maniera più ferma che si estenda all'Europa dove le tre Potenze occidentali possono e devono conservare la loro unità -creata a Stresa -per assicurare la pace;

5) che in ogni caso niente è intervenuto o accadrà che possa compromettere da parte italiana gli sviluppi dell'amicizia franco-italiana consacrata nei protocolli del gennaio.

Mi riferisca (2).

(l) -Minuta autografa. (2) -Per la risposta vedi D. 787. L'appunto finale di Aloisi sugli incontri di Parigi non è stato rinvenuto.
784

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 4833-4840/374-375 R. Washington, 21 agosto 1935, ore 20,25 (per. ore 7 del 22).

Contatti avuti ed informazioni raccolte in questi ultimi giorni hanno confermato quadro generale della situazione prospettato nel mio telegramma

n. 366 in data 15 corrente (1). Nell'intento fornire ragguagli più particolareggiati e più recenti sull'attitudine degli ambienti politici, aggiungo oggi segnalazioni seguenti:

l) Appare evidente che, dopo fallimento del convegno Parigi, pacifismo ha int~nsificato premure per ottenere interessamento attivo del Governo degli S.U.A. nel sostenere principio del Patto Kellogg e in genere cooperazione americana alla politica di Londra.

2) Dipartimento di Stato, pur tendenzialmente propenso ad accettare qualunque invito inglese, si sente ostacolato forti correnti contrarie a qualsiasi iniziativa che implichi pericolo di vedere Stati Uniti coinvolti nelle complicazioni della politica europea.

3) Ostilità qualsiasi forma di interferenza viene espressa specialmente dagli ambienti del Congresso e dai Dicasteri Militari.

4) Gruppo neutralista del Senato sta esercitando forte pressione per approvazione d'urgenza dei vari progetti di legge che mirano a rendere automaticamente obbligatoria attitudine di neutralità assoluta di fronte a qua1s1as1 belligerante. Dipartimento di Stato, esaminati tali progetti, chiede che vengano lasciati al Presidente poteri discrezionali che gli permettano esercitare opportune pressioni politiche e di fiancheggiare eventuale azione della S.d.N. Progetti sono stati portati in discussione oggi al Senato ed approvati. Si prevede, invece, che incontreranno opposizione alla Camera dei Rappresentanti e non è esclusa eventualità che Sessione Legislativa in corso si chiuda prima della fine della corrente settimana, senza che progetti abbiano acquistato valore di legge. In tal caso potere esecutivo rimarrebbe privo di qualsiasi facoltà in materia di embargo nei confronti dell'uno o di entrambi i belligeranti. Mi riservo telegrafare ulteriori sviluppi.

5) Sebbene opinione popolare permanga in massima favorevole all'Etiopia ed ostile alla politica italiana, incomincia a farsi strada sentimento che vero interesse degli S.U.A. consista nell'allontanare minaccia di vedere conflitto italo-etiopico trasformato in conflitto mondiale, il quale creerebbe reale pericolo per neutralità americana. Incomincia quindi ad essere prospettato punto di vista che se guerra non potrà evitarsi soluzione in definitiva meno sfavorevole sarebbe quella di una azione militare italiana pronta ed efficace che localizzi conflitto conducendolo verso rapida soluzione.

6) Avendo ieri avuto con Segretario di Stato colloquio circa progettato accordo commerciale (sul quale riferirò con telegramma a parte) (2), signor

Hull si è astenuto dal fare qualsiasi accenno alla situazione politica europea e non ha neppure menzionato nome dell'Etiopia. D'altra parte ho riscontrato in lui, come negli Uffici competenti, attitudine poco conciliante nei riguardi del progettato accordo. Ho interpretato silenzio sulla situazione politica come prova dell'imbarazzo nel quale Dipartimento di Stato si trova per ragioni sopra accennate ed attitudine intransigente sulla questione commerciale come manifestazione di uno stato d'animo sfavorevole che si è andato creando negli ultimi tempi a nostro riguardo.

(l) -Tale telegramma è indicato come mancante nella. raccolta. generale dei .telegrammi. (2) -Non si pubblica..
785

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

,

T. PER CORRIERE 4913-4909-4910/0106-0107-0108 R. Praga, 21 agosto 1935 (per. il 24).

In occasione mia visita congedo Benes mi ha espr~sso nuovamente sua prfeoccupazione (vedi mio telegramma per corriere n. 099 del 10 luglio u.s.) (l) per complicazioni che possono nascere da conflitto itala-etiopico specialmente a causa atteggiamento Inghilterra.

Circa sostanza del conflitto, simpatie di Benes e del popolo cecoslovacco sono decisamente per Italia, soprattutto per ragioni di interesse risalenti a speranze di solidarietà di fronte al pericolo risorgente di invadenza germanica in Europa. Di questo orientamento prova tangibile e positiva è data da leale e rigorosa condotta del Governo cecoslovacco in materia di divieto di forniture belliche all'Etiopia e da un atteggiamento di sempre più ampia comprensione da parte della stampa delle ragioni italiane, con decrescenza notevole delle espressioni e degli articoli ostili nei giornali dei fuorusciti antifascisti di Germania e d'Austria.

Passando alle prospettive dellò sviluppo degli avvenimenti, ho spiegato lungamente a Benes, a titolo puramente personale, le ragioni del nostro recente atteggiamento a Ginevra nonché (alla stregua di pure sensazioni generali) alle conversazioni di Parigi, esprimendo la mia opinione che una soluzione militare, specialmente a causa degli incoraggiamenti trovati dall'Etiopia nella politica britannica sembra ormai inevitabile. Ed ho chiesto quale potrà essere l'atteggiamento della Cecoslovacchia a Ginevra ed in generale.

Benes mi ha detto che per gli interessi del suo paese, pel consolidamento della pace europea e per la salvezza della S.d.N., egli è fra coloro che avrebbero desiderato una soluzione soddisfacente per l'Italia senza ricorso ad un conflitto armato; per cui riconosce i gravi errori e le responsabilità britanniche.

Allo stato delle cose, rendendosi conto dell'ineluttabilità di una azione militare, auspica che questa possa svolgersi nella maniera più rapida e più felice per l'Italia, in modo che, sulla base di sufficienti fatti compiuti, possa trovarsi al più presto, preferibilmente a Ginevra, una soluzione tale da mettere l'Italia

in una pos1z10ne di diritto che le consenta di continuare la sua ulteriore cam pagna dandole carattere di pacificazione coloniale, e quindi di riprendere la posizione preminente che le spetta per la sistemazione danubiana ed il mantenimento della pace nell'Europa centrale.

Se questo non avvenisse, Benes nutre le più grandi apprensioni per la pace d'Europa, non escludendo l'approssimarsi di una inevitabile conflagrazione generale.

La Germania -secondo Benes -si è imposta una linea di estrema moderazione e riserbo per poter profittare degli sviluppi a lei favorevoli della situazione e non comprometterli con azioni di forza premature. Evidentemente le prime tappe di complicazioni. favorevoli alla Germania sono l'impegnarsi a fondo dell'Italia nella campagna d'Africa ed una crescente contrapposizione dell'Inghilterra all'Italia.

Per una azione di grande stile, Benes ritiene che la Germania non sarà pronta prima della fine del 1936. Ma in questo frattempo essa non ristarà dal fomentare agitazioni in Austria ed azioni disgregatrici in Europa centrale, spingendo la sua azione in quella misura -e non oltre -che le sarà consentita dal crescere delle difficoltà che avesse ad incontrare l'Italia contro eventuali resistenze etiopiche ed ostacoli dell'Inghilterra. In questo svilupparsi di complicazioni tutte le ipotesi sono possibili e 'non vi è limite al dilagare dei conflitti. Se la Germania avrà la sensazione di poter creare imbarazzi all'Italia, col consenso, tacito o addirittura compiacente, dell'Inghilterra, non vi ha dubbio che essa non se ne farà scrupoli.

Con mia sorpresa, Benes non ha esitato a prevedere la capacità nell'Inghilterra non solo di favorire agitazioni e minaccie germaniche in Austria e al Brennero, ma persino di valersi delle influenze dinastiche, di cui la Corte di San Giacomo dispone assai efficacemente presso l'attuale Corte di Belgrado, per suscitare incidenti in Adriatico ed un rinnovato atteggiamento ostile della Jugoslavia verso l'Italia. L'anglofilia del Reggente Principe Paolo autorizzerebbe tali congetture.

Di questo passo situazioni assai gravi potrebbero maturare anche prima della suaccennata fine del 1936. Per cui -ha ripetuto Benes -l'unica speranza, e la soluzione che tutti dovrebbero favorire, è che l'Italia possa al più presto condurre a termine il suo principale sforzo contro l'Etiopia, in modo da poter tornare ad essere fattore integralmente efficace e decisivo della resistenza alla Germania. L'alternativa che si prospetta all'Europa non è che una guerra generale, la sua rovina e la sua totale bolscevizzazione, calamità contro le quali la stessa Inghilterra dovrà finire per tornare a solidarizzarsi col continente, se pure non sarà troppo tardi.

Tale essendo il pensiero di Benes, egli mi ha detto che praticamente la sua azione si inspirerà alle seguenti linee: l) la Cecoslovacchia non può mettersi contro l'Inghilterra e la Francia, ma essa seguirà in tutto l'atteggiamento della Francia;

2) a Ginevra la Cecoslovacchia non prenderà nessuna iniziativa in difesa dei principi societari ed ostile all'Italia. In presenza di iniziative del genere, che potranno essere proposte dall'Inghilterra o da gruppi strettamente

55 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. I

societari come qualche stato scandinavo e altri, la Cecoslovacchia seguirà l'atteggiamento della Francia, adoperandosi del suo meglio per facilitare soluzioni capaci di soddisfare l'Italia ed impedire la sua uscita dalla S.d.N.;

3) in tale ordine di idee la Cecoslovacchia sarà contraria a proposte di sanzioni, nella presunzione che anche la Francia si opporrà; 4) al Consiglio del 4 settembre Benes si farà quasi certamente rappresentare, giungendo probabilmente a Ginevra solo per l'apertura dell'Assemblea;

5) alla prossima riunione della Piccola Intesa a Belgrado, Benes si sforzerà di agire sui suoi alleati, e specialmente sulla Jugoslavia, perché la Piccola Intesa sia concordemente orientata su tali linee, riconoscendo la necessità di non creare imbarazzi all'Italia, e . dimostrando di desiderare sinceramente che essa possa liquidare al più presto la sua campagna d'Africa per continuare, in piena efficienza, ad essere fattore decisivo di una sistemazione danubiana sulla base del mantenimento ·dell'indipendenza austriaca e di un freno della espansione germanica nelle regioni danubiane, balcaniche e adriatica.

Egli spera che dalla riunione di Belgrado potrà essere diramato un comunicato che accenni ad un tale concorde orientamento della politica dei tre Stati.

A proposito del Patto danubiano Benes mi ha detto che ritiene indispensabile integrare il Patto generale con accordi di mutua assistenza, se si vuole ottenere un risultato pratico. Circa la forma ed il momento di tali accordi egli non manifesta preferenze. L'essenziale è di intendersi su questo punto fra Stati realmente e sinceramente interessati al mantenimento dell'indipendenza dell'Austria.

Il mio collega di Francia, Naggiar, in occasione della mia visita di congedo mi aveva già detto che Benes si era espresso con lui in tal senso.

Nel manifestarmi le sue preoccupazioni pel momento politico attuale, Benes non mi ha nascosto i pericoli da cui è particolarmente minacciata la Cecoslovacchia e che giustificano il crescente sviluppo delle sue intese militari con l'U.R.S.S. Egli ha però tenuto a chiarire che la sua alleanza coi sovieti è strettamente limitata e condizionata agli impegni che ha la Francia con i sovieti ed alle eventualità di intervento francese in conflitti che avessero a svilupparsi nell'Europa Orientale. Mi ha così nuovamente precisato che in caso di conflitto fra Polonia e U.R.S.S., la Cecoslovacchia non interverrebbe e che anche in caso di conflitto della Germania con la Russia la Cecoslovacchia interverrebbe solo se intervenisse la Francia.

In quanto alle relazioni tra Cecoslovacchia e Polonia, Benes dice che egli è stato costretto ad avvicinarsi alla Russia a causa dell'atteggiamento ostile della Polonia, ma che non crede che i polacchi attaccheranno la Cecoslovacchia, e che in definitiva essi dovranno tornare ad avvicinarsi ad essa. Secondo Benes, il riavvicinamento tra Germania e Polonia finirà male per quest'ultima, che perderà il corridoio ed avrà nuovamente bisogno, per difendersi dalla Germania, di quella collaborazione cecoslovacca che, con l'attuale politica di intimidazione, 1 polacchi vorrebbero imporre -supina ed incondizionata -ai cechi.

In quanto allo sviluppo delle reciproche simpatie fra Polonia e Ungheria ed alle possibilità che questi due Paesi, in caso di complicazioni, possano congiungersi per sbarrare la via ad una congiunzione tra Russia e Cecoslovacchia, Benes dice che il giuoco della Piccola Intesa sarebbe tempestivo e sufficiente per paralizzare l'Ungheria ed impedire una tale eventualità.

Concludendo la sua esposizione della situazione in Europa Orientale, Benes la considera grave a causa del pericolo germanico e della tensione italabritannica. Ma egli ritiene che se conflitto vi sarà esso dovrà fatalmente diventare generale. Il punto più pericoloso rimane l'Austria.

Praga -mi ha ripetuto con enfasi Benes -rimane legata e fedele alle Potenze occidentali. Solo se queste l'abbandoneranno essa dovrà intendersi con la Germania, che certamente l'asservirà alla sua politica, ma che le offrirebbe condizioni di vita non impossibili, pur di assicurarsi la chiave dell'Europa centrale, quale fu definita da Bismarck la Boemia.

(l) Vedi D. 520.

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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. 2958/1912. Vienna, 21 agosto 1935 (per. il 24).

Mio telegramma n. 160 (1). Il fallimento delle conversazioni di Parigi non ha recato sorpresa in questi circoli politici ed al Ballplatz.

Esso era previsto; ma ciò nondimeno l'avvenimento è valso a far di nuovo qui affiorare la nota preoccupazione di possibili complicazioni, per opera della Germania, non appena noi si fosse impegnati in un'eventuale azione bellica in Abissinia.

Difatti è visibile l'estrema cura di queste sfere ufficiali nel procurarsi ogni maggiore informazione sia sugli apprestamenti militari, che sulla situazione interna e finanziaria della Germania: e ciò naturalmente per dedurre le reali sue attuali possibilità belliche.

In due lunghi colloqui con Berger, ho avuto il modo di rendermene esatto conto.

Nel primo, egli non ha fatto che rappresentarmi, con evidente preoccupazione, l'avanzato stato degli armamenti tedeschi. Mi ha precisato -giusta sue informazioni, che ha definito d'ottima fonte -che mentre la Reichswehr disporrebbe ormai in modo sicuro di duemila aeroplani in piena efficienza, nonchè di complete dotazioni in cannoni, mitragliatrici, fucili e gas, per molteplici Corpi d'Armata, lo Stato Maggiore avrebbe dal canto suo portato a termine importanti lavori, che ne denunzierebbero le intenzioni: fra l'altro, alcune

strade militari, onde poter rapidamente effettuare spostamenti di truppe e dt artiglierie, e la distruzione di alcune foreste per predisporre alcuni pretesi campi di esercitazione, i quali invece altro non sarebbero che centri di manovra per grandi unità. Questi apprestamenti sarebbero stati compiuti specie sulla frontiera austro-tedesca, prospiciente al Salisburghese; ed indicherebbero la volontà aggressiva della Germania, alla prima opportunità, specie in rapporto col conflitto italo-abissino.

Avendo io osservato che, in sostanza, queste informazioni non facevano che ripetere note analoghe voci, da tempo ormai corse, Berger è uscito fuori delle sue riserve, e sotto il vincolo d'una assoluta discrezione, mi ha confidato che l'avanzato stato degli armamenti tedeschi risultava anche da quanto il Presidente della Repubblica elvetica aveva di recente detto ad una «personalità politica austriaca»: ossia che la Svizzera, assai preoccupata della preparazione militare tedesca, aveva fatto, e faceva di tutto, per mettersi al più presto in grado di poter resistere per qualche tempo ad una invasione delle armate del Reich, in guisa da dar tempo all'esercito della grande Nazione, che risultasse effettivamente minacciata, di apprestare la sua propria difesa. Il Presidente elvetico aveva anzi raccomandato al suo interlocutore di trarre dalle sue dichiarazioni una buona norma per l'Austria stessa, in modo che anche da questa parte potesse verificarsi, nell'ipotesi contemplata, un arresto dell'invasione tedesca, quale che ne potesse essere la durata.

Berger ha soggiunto di aver fatto tesoro di queste informazioni, che aveva riferito al Cancelliere, cadendo insieme d'accordo sulla necessità di far senz'altro studiare dal Segretario di Stato alla Guerra, Generale Zehner, e dal Colonnello Janza (che da poche settimane esercita, pur senza averne il titolo, le mansioni di Capo di Stato Maggiore) il tracciato della più conveniente linea di difesa, nonchè tutte le necessarie opere permanenti di sbarramento, onde renderla la più munita possibile. Berger ha anzi precisato che il Colonnello Janza, che si recherà in Italia per le nostre grandi manovre, coglierà questa occasione per avere, circa quanto ho sopra riferito, un primo opportuno scambio di idee col nostro Stato Maggiore.

Nel secondo colloquio, Berger si è mostrato meno preoccupato; e non mi è stato difficile scoprirne la causa. Mi ha detto aver ricevuto e letto un'assai importante relazione sull'attuale situazione interna della Germania. La relazione rappresentava uno stato di cose tale da far escludere che il Reich, quali che fossero le sue intenzioni di suoi calcoli, potesse procedere, s,e non fra un anno o due, alla loro attuazione.

Alle mie indagini sulla relazione, cui si riferiva, Berger me ne ha promesso una copia (che mi ha subito inviato e che qui accludo) (1), aggiungendo che essa era dovuta ad un ex Ministro delle Finanze prussiano, che era sempre rimasto in relazioni d'amicizia col governo austriaco. Ha esitato a dirmi il nome, stante il pericolo di persecuzioni cui potrebbe essere esposto al suo ritorno in Germania; ma di poi me lo ha svelato, con vive raccomandazioni di riservatezza. Trattasi dell'ex Ministro Klepper.

Berger, che attribuisce un grande valore a detto uomo politico prussianu, ha replicatamente osservato che se il giudizio formulato dal Klepper, com'era probabile, rispondeva al vero, anche i più pessimisti dovrebbero senz'altro riconoscere l'infondatezza delle loro preoccupazioni. «Cosicché -ha egli concluso -un solo ed ardente voto è da formarsi: ed è che all'Italia arrida, in caso di conflitto con l'Etiopia, il più sollecito e strepitoso successo » (l).

(l) Con T. 4784/160 R. del 19 apr!le 1935, ore 21, Preziosi aveva riferito che la stampa austriaca aveva sostenuto 11 punto d! vista. italiano circa l'Ab!ss!n!a.

(l) Non r>invenuto. Mussolini aveva annotato sul !M"esente documento: «Tradurre il rapporto ace!uso ».

787

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 4844-4845-4854/496-497-498-499 R. Parigi, 22 agosto 1935, ore 13,35 (per. ore 21).

Telegramma di V. E. n. 480 (2).

Presidente del Consiglio mi ha ricevuto stamane ed è stato molto soddisfatto per comunicazioni fattegli secondo le istruzioni di V. E.

Mi ha pregato in primo luogo ottenere che ordini impartiti alla stampa italiana per moderare e sospendere polemiche contro Inghilterra siano fatti conoscere a Londra. Egli infatti aveva agito in questo senso anche su Eden ed ancora ieri aveva raccomandato al corrispondente del Times di cessare dalle polemiche contro l'Italia.

Ho creduto segnalare a Lavai articolo del Giornale d'Italia riassunto in nessun giornale francese odierno. Mi ha risposto che darebbe disposizioni perché fosse riprodotto e commentato favorevolmente dalla stampa francese.

Premessa ripetizione delle più ampie dichiarazioni di amicizia per l'Italia, Lavai mi ha detto che egli ha però bisogno in questo momento, tanto delicato, della massima latitudine e libertà d'azione. Sperava che ciò sarebbe stato compreso dal Duce.

Per mostrare all'Italia i suoi sentimenti con fatti positivi, come sperava sarebbe avvenuto a Ginevra, gli era necessario evitare certe apparenze che avrebbero potuto fare credere che la Francia faceva causa comune con l'Italia. Per queste ragioni egli aveva dovuto assumere noto atteggiamento circa restituzione visita ex combattenti italiani ai loro camerati francesi. Non era infatti possibile che all'epoca in cui verosimilmente scoppieranno le ostilità in Africa Orientale vi fossero nelle vie di Parigi e di altre città francesi manifestazioni di fratellanza militare itala-francese. Prendesse il Governo italiano iniziativa di rimettere tale visita ad epoca ulteriore, indicandone data per aderire invito degli ex combattenti francesi, i quali attendono loro camerati italiani.

Doveva pure dirmi esplicitamente che preferiva non assumere protezione degli interessi italiani in Etiopia nella eventualità di una guerra. Tale atto sarebbe stato interpretato molto diversamente da quanto riteneva il Governo italiano, il quale evidentemente aveva voluto fare un gesto amichevole verso la

Francia chiedendole di assumere protezione suddetta. Credeva che il Belgio avrebbe potuto essere interpellato in proposito senza dar luogo ad alcun commento tendenzioso. Del resto Governo italiano avrebbe saputo su quale Stato far cadere propria scelta.

A mia richiesta Lavai disse non avere finora ricevuto informazioni circa idee prevalenti a Londra. Confermando quanto aveva detto ad Aloisi (1), ripetè che aveva constatato essere Eden assai calmo all'indomani della rottura delle conversazioni tripartite, cosicché accolse raccomandazioni di moderazione di Lavai con evidente comprensione e promise farle conoscere ai propri colleghi di Gabinetto.

Parlando delle sanzioni, Lavai mi ha detto che Eden, da lui interrogato circa possibilità che Gran Bretagna pensasse chiudere Canale di Suez alle navi italiane, aveva dato risposta decisamente negativa. Lavai aveva detto a Eden che sanzioni economiche esistevano già di fatto verso Italia dato che non si accordavano crediti agli esportatori italiani da parte Inghilterra. A che cosa sarebbe servita pubblica manifestazioni al riguardo se non ad aggravare malanno esistente fra le due Nazioni finora legate da tanta cordialità? Fatto di sospendere embargo per le armi avrebbe pure irritato Italia e giovato poco all'Etiopia la quale, nonostante tale divieto, riesce rifornirsi anche ora attraverso possedimenti inglesi.

Lavai contava agire Ginevra in modo da aiutare sino estremi Italia. Sperava che da noi si comprendesse come questi limiti siano rappresentati dallo spirito societario che non è meno forte in Francia che qualsiasi motivo vi fosse, se Francia fosse stata richiesta di dare propria adesione a qualche deliberazione la quale rientrasse assolutamente nelle disposizioni del Covenant, essa non avrebbe potuto rifiutarsi. Egli non avrebbe però aderito ad alcuna deliberazione offensiva per il nostro prestigio.

A giudizio di Lavai noi inizieremo le operazioni militari nella seconda metà di settembre. Egli si augurava che, dopo un primo successo molto appariscente, fossimo disposti, avendo vendicato Adua e dimostrato agli abissini quale è la forza dell'Italia fascista, di mostrare moderazione e di esaminare la proposta di penetrazione economica respinta quattro giorni or sono.

Ho creduto togliere ogni illusione a riguardo al Presidente del Consiglio, dicendogli che avremmo considerato nostro compito tranquillizzare interamente un paese in cui volevamo far opera di colonizzazione e di civiltà e sino a che gli abissini non avessero deposto le armi, non si poteva parlare di sicurezza. Nessuno lo sapeva meglio della Francia che aveva un così splendido passato coloniale.

Lavai, che si era evidentemente espresso prima senza convinzione, osservò che egli stesso aveva detto a Eden che non si poteva pretendere dall'Italia che lasciasse propri coloni esposti agli attacchi degli abissini.

Lavai m'informò quindi di avere ricevuto ieri Presidente del Consiglio di Amministrazione della ferrovia di Gibuti, il quale gli aveva chiesto di ottenere dall'Italia e dall'Etiopia garanzie che ferrovia stessa non sarebbe stata interrotta nel corso delle operazioni. Osservò che ciò era molto importante perché

una interruzione avrebbe richiesto pagamento indennità oltre ad ingenti spese di riparazioni e mi domandò che cosa ne pensavamo.

Ho risposto che, in un caso simile, avevano la parola solamente i militari. Ne convenne e mi domandò se ritenessi che lo sforzo offensivo italiano avrebbe avuto luogo dalla parte della Somalia anzichè dall'Eritrea. Dichiarai naturalmente che non ne sapevo nulla. Allora Lavai mi disse che sarebbe stato opportuno studiare fin da ora eventualità di trasformare Gibuti in un porto franco. Ho risposto che, se amicizia itala-francese continuerà ad esistere ed anzi si rafforzerà giusta fermi propositi di entrambi Governi, questa ed altre questioni coloniali potranno essere risolte facilmente.

Lavai passò quindi ad altri argomenti.

È in Europa che deve esplicarsi sopratutto amicizia itala-francese appoggiata alla stretta collaborazione dell'Inghilterra secondo accordi di Stresa. Egli riteneva che si dovesse senza ulteriore perdita di tempo riprendere in esame i vari accordi internazionali di cui parla il protocollo di Londra. Sarebbe stato bene lasciare alla Francia la direttiva delle trattative per il patto danubiano. L'Italia aveva in questo momento altri pensieri e d'altra parte era della massima importanza per essa che la questione austriaca non desse luogo a complicazioni. Secondo le notizie recategli dall'Ambasciatore Chambrun, S. E. il Capo del Governo sarebbe disposto a mostrare maggior condiscendenza nei riguardi della Piccola Intesa in modo da facilitare la conclusione dell'accordo. Ciò avrebbe semplificato suo compito.

Evitando di esprimermi su questo punto ho invece osservato che decisione tedesca di non trattare tali questioni sino al 1° ottobre complicava le cose.

Mi riservo di riferire per corriere (l) lunga ed interessante conversazione avuta con Lavai a proposito Patto Orientale limitandomi ad informare fin da ora V. E. che il Presidente del Consiglio mi fece conoscere avere dichiarato all'Ambasciatore di Germania due settimane or sono ritenere che pace europea non sarà garantita fino a che non si venga ad una intesa fra la Francia e Germania, avvertendo però subito che questa intesa non avrebbe potuto essere consacrata in un accordo a due (come quello, molto deprecato in Francia, intervenuto per le questioni navali fra Germania e Inghilterra) ma essere risultato dell'adesione del Reich alla politica di accordi plurimi concordata a Stresa. Lavai ha aggiunto di avere detto a Koester che egli è disposto anche ad incontrarsi con Hitler, sempre che fosse prima stabilito, a mezzo di una conveniente preparazione diplomatica, quale dovesse essere il risultato a cui si sarebbe giunti durante le conversazioni tra il Cancelliere del Reich e lui.

Lavai mi ha detto infine che, allo stesso modo che mi aveva informato di quanto precede, avrebbe avuto cura di tenermi al corrente degli eventuali sviluppi della sua politica con la Germania, essendo necessario che l'Italia lo sapesse sia per l'amicizia esistente fra i nostri due paesi che per interesse che noi portiamo al problema austriaco (2).

(l) -Il presente documento reca il visto d! Mussol!ni. (2) -Vedi D. 783.

(l) Vedi D. 773.

(l) -Vedi D. 797. (2) -Con successivo T. rr. 4847/500 R. del 22 agosto 1935, ore 20,30, Cerruti aggiunse: «Lava!, parlando della prossima sessione di Ginevra, mi ha detto che glt sembrerebbe opportuno che J'Italta presentasse una requisitoria bene istruita contro Etiopia in modo da far apparireevidente « gaffe » commessa dalla Francia con appoggio dell'Italta, patrocinando ammissione di quello Stato semi barbaro nella· Sooietà delle Nazioni».
788

IL CAPO DEL GOViERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'ALTO COMMISSARIO PER LE COLONIE DELL'AFRICA ORIENTALE, DE BONO (l)

L. P. Roma, 21 agosto 1935.

Questa è l'ultima lettera che ti invio prima dell'azione. Tu hai avvertito la necessità di accelerare i tempi: è quindi perfettamente inutile che io allunghi il mio scritto per esporti le essenziali ragioni d'ordine politico, finanziario, militare che mi inducono ad essere perfettamente d'accordo con te. Io credo che, dopo il 10 settembre, tu debba senz'altro aspettare la mia parola d'ordine. Per quell'epoca tu avrai già in Eritrea le due Divisioni CC.NN. e un'altra sessantina di aeroplani. Le forze sono sufficienti per il primo scatto e per il raggiungimento degli obiettivi stabiliti. Sulla linea conquistata ti fermerai e ti sistemerai per organizzare le retrovie e attendere gli eventi sul piano internazionale.

Nel caso di gravi complicazioni colla Gran B. riceverai degli ordini, ma è chiaro sin da questo momento che dovresti metterti sulla difensiva.

Dopo il 10 sett., quando riceverai un telegramma così concepito «ricevuto tuo rapporto, a mia firma, darai l'ordine di avanzare nelle successive 24 ore. Il «mascal , lo farai celebrare sul territorio conquistato.

Appena ricevuta la presente, rispondimi telegraficamente un semplice «sta bene». Tutto andrà come noi desideriamo e vogliamo.

P.S. -Il generale Dall'Ora ti riferirà; a) circa la mia visita; b) sul « modo» di iniziare l'avanzata. Ti accludo una memoria dello S.M. dell'Esercito e una memoria del Maresciallo Badoglio riferentesi entrambe al tuo piano (2).

789

IL MINISTRO A HELSINKI, TAMARO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4872/30 R. Helsinki, 22 agosto 1935, ore 19,20 (per. ore 21).

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 24 del 17 corr. (3).

Ho veduto questo Ministro degli Affari Esteri appena ritornato dalla campagna e mi ha ripetuto quanto già mi aveva detto settimana scorsa, cioè che l'atteggiamento degli Stati scandinavi di fronte situazione S.d.N. è in programma alla conferenza di Osio, ma che non gli consta che gli Stati scandinavi abbiano intenzione di prendere atteggiamento spiccatamente anti-italiano a Ginevra. Mi ha soggiunto che se tale proposito si manifestasse, egli agirebbe in senso moderativo, procurando mettere ideologhi scandinavi dinanzi alla realtà.

A mie insistenze, ha dichiarato che cercherà mantenere per la Finlandia posizione separata dagli scandinavi dinanzi conflitto in cui Finlandia non ha nessun interesse, ma è difficile per lui non prendere altra posizione se esistenza

S.d.N. fosse in pericolo, essendo opinione pubblica finlandese favorevole alla idea societaria. Teme altresì che mentre minaccia russa profilantesi sul Baltico costringe Finlandia cercare avvicinamento agli scandinavi, questi incomincino col mettere come condizione sua adesione alla loro azione a Ginevra. Mi ha assicurato che a Oslo non si prenderanno decisioni e che eventuale atteggiamento Finlandia sarà deliberato da questo Consiglio dei Ministri dopo la conferenza.

Mi consta confidenzialmente che questo Ministro degli Affari Esteri cercherà porre a Oslo problema difesa comune delle isole Aland ed interessarvi specialmente la Svezia.

(l) ACS, Cm-te De Bono, ed. !n G. BIANcm, Rivelazioni sul conflitto itala-etiopico, c!t., pp. 183-184.

(2) -Non s! pubbl!cano. (3) -Vedi D. 760.
790

L'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, ANFUSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. PER CORRIERE 9197/0103 P. R. Atene, 22 agosto 1935 (per. il 26).

Considerazioni fatte da V. E. nel suo telegramma n. 1445 del 15 corrente {1), trovano esatta conferma nella situazione interna ellenica e consiglierebbero effettivamente rinviare ad un momento più opportuno esecuzione progettato provvedimento amnistia a favore condannati agitazione Calimno. Non vi è dubbio del resto che Maximos considererebbe tale provvedimento come un effetto della sua politica di recriminazioni.

Si aggiunga che giorni or sono stampa anche governativa ha ripreso violenta campagna per Dodecanneso costringendo R. Legazione a pubblicare smentita (mio telegramma n. 215 del 19 corr.) (2).

Nostra tolleranza che dovrebbe manifestarsi soltanto in omaggio ai propositi amichevoli espressi da Condylis a V. E. correrebbe rischio essere qui interpretata come una concessione determinata dalle pr~ssioni della stampa e dalle rimostranze di Maximos.

Ho inoltre sicura notizia che sentimenti Condylis verso Maximos, se pure non si sono modificati, hanno trovato una diversa espressione in seguito maturarsi situazione politica interna per questione regime che costringe Condylis, almeno per il momento, a dichiararsi ossequiente alla tattica adoperata da Tsaldaris.

Gli è perciò che nel cordialissimo colloquio che ho avuto oggi con generale Condylis, riconfermandogli grande impressione che egli ha prodotto durante sua visita a Roma (3) e viva simpatia che V. E. si compiace dimostrargli, facendogli parte che V. E. ha fatto mettere allo studio noto provvedimento e che sl

riserva di dargli applicazione, non ho potuto fare a meno di dirgli, con tutte le cautele prescritte da V. E. e sopratutto evitando di chiamare in causa Maximos che data situazione sopra accennata potrebbe se a conoscenza di nostri apprezzamenti reagire sfavorevolmente, come messo in atto noto provvedimento, permanendo situazione attuale, non riuscirebbe davvero far raggiungere scopo che tanto generale Condylis che V. E. si erano prefisso durante conversazioni di Roma; eliminare cioè fra Grecia ed Italia ogni motivo di frizione determinato dalla errata interpretazione che era data in molti ambienti ellenici ad una inesistente questione del Dodecanneso e rinnovando in conseguenza rapporti di stretta e serena cordialità fra i due paesi.

Avendo Generale insistito perché nota misura venisse applicata prima dell'arrivo di Tsaldaris che dovrebbe avvenire il 4 del prossimo mese, gli ho fatto presente come personalmente mi sembrasse difficile che R. Governo si induca ad adottare subito un provvedimento di natura cosi delicata mentre stampa greca ed ambienti responsabili danno prova di così poca sensibilità nei confronti dell'importanza delle relazioni itala-greche e sopratutto di fronte ad una campagna ostile che minaccia di non avere termine. Gli ho esposto riflessioni V. E. e l'ho invitato volere nel suo stesso interesse e d'accordo con R. Legazione, attendere che R. Governo possieda estremi favorevoli per effettuare un provvedimento che dovrebbe avere un esito positivo sull'atteggiamento ellenico.

Generale Condylis ha mostrato di rendersi pienamente conto delle ragioni da me addotte e mi ha pregato allora di chiedere a V. E. se annuncio nota misura non potrebbe eventualmente coincidere con bando plebiscito per restaurazione monarchia, bando che Governo ellenico conta indire verso fine prossimo settembre, calcolando che plebiscito stesso abbia luogo verso dieci novembre. Momento sarebbe particolarmente propizio a Condylis per dimostrare sua influenza politica e notizia amnistia dovrebbe servirgli, nel corso campagna, per dimostrare essere egli autore riavvicinamento itala-ellenico.

Gli ho ~isposto che avrei riferito suo desiderio a V. E. ma che mi permet· tevo palesargli impressione che V. E. in questo periodo di oltre un mese, avrebbe certamente atteso che ambienti politici e stampa ellenica dimostrassero una maggiore comprensione di fronte all'Italia.

Condylis ha promesso che farà il possibile ma che non nutriva illusioni sul contegno della stampa greca che fa anche lui oggetto continui attacchi e verso la quale egli conta prendere fra breve misure restrittive che sottoporrà al Consiglio dei Ministri.

Ho detto poi al Generale come essendo eventuale amnistia in sola e diretta relazione con sua visita a V. E., nessuna conversazione in proposito io avevo avuto al riguardo con questo Ministero degli Esteri. Senza, ripeto, scendere ad apprezzamenti su contegno Maximos, né accennare ai miei recenti colloqui con Ministro Esteri (1), ho anche detto a Condylis che presente questione verrà, fino al momento opportuno, trattata fra lui e R. Legazione, salvo, quando essa dovrà essere risolta, concordare come e quando essa potrà essere portata a conoscenza del Governo ellenico.

Generale mi ha incaricato di esprimere sua profonda riconoscenza a V. E.

ed ha domandato che io assicuri come egli continui essere a completa disposi

zione V. E. nell'interesse relazioni italo-greche.

Ritengo subordinatamente che proposta fatta da Condylis e sua acquie

scenza ai nostri argomenti possa consentire:

l) di considerare per qualche tempo quale continui ad essere atteg

giamento Governo P.llenico nei riguardi del Dodecanneso e del conflitto italo

abis.;ino;

2) di considerare nella sua fase decisiva evoluzione questione regime nella quale Condylis è impegnato a fondo e che dovrà decidere del suo pros~imo avvenire politico e con questo dell'eventualità che egli acceda alla Presidenza del Consiglio;

3) di procrastinare eventualmente esecuzione provvedimento, sempre adducendo le nostre buone ragioni a Condylis, qualora Governo ellenico e Maximos dimostrino, con loro contegno che, scopo nostre misure tolleranza verrebbe ad essere frustrato.

Per mia norma di condotta e di linguaggio sarò grato a V. E. se vorrà telegrafarmi se approva (1).

(l) -Vedi D. 742. (2) -Non pubblicato (3) -Vedi D. 525.

(l) Vedi DD. 550, 551, 552 e 667.

791

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, A TUTTI I RAPPRESENTANTI DELL'ITALIA ALL'ESTERO (2)

T. 1491/c. R. Roma, 23 agosto 1935, ore 2,40.

A datare dal lo set.tf 'llbre tutto H personale delle Rappresentanze all'Estero deve considerarsi spiritualmente e politicamente mobilitato. Tutto il personale deve essere presente e reperibile nelle Sedi e tutti dai maggiori ai minori hanno l'obbligo morale di difendere -in qualsiasi ambiente -:-la tesi dell'Italia circa la questione etiopica. Utilizzare quindi ogni occasione per smentire asserzioni infondate, rettificare giudizi erronei, chiarire, illustrare il nostro punto di vista dai giornali alle conversazioni private, informare sempre e di tutto colla più grande sollecitudine senza attendere istruzioni da Roma. Sono sicuro che ognuno sarà consapevole dell'ora storica verso la quale l'Italia cammina.

792

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4861/594 R. Londra, 23 agosto 1935, ore 2,54 (per. ore 5).

In relazione mio telegramma n. 593 (3) assicuro V. E. che ho fatto e sto facendo tutto il possibile per reagire alle voci di cui al mio telegramma

n. 595 (4).

Prego V. E. voler intanto farmi conoscere se, all'occorrenza, sono autorizzato dichiarare in modo categorico che Governo italiano intende rispettare interessi inglesi riconosciuti nell'accordo del 1906. Ciò allo scopo controbbattere affermazioni di Eden a seguito riunione di Parigi e per tranquillizzare apprensioni conservatori ed estremisti (l).

(l) -Il presente documento reca Ll visto di Mussolinl e la sua annotazione «Rinviare ». (2) -Destinatario cosi Indicato da Mussolini ,nella minuta autografa del documento. (3) -Con T. 593 del 22 agosto 1935 Grand! aveva segnalato un articolo del Morning Post In cui sl prospettava la minaccia che la politica italiana poteva rappresentare per gl! interessi imperial! britannici. (4) -Vedi D. 793.
793

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 4862/595 R. Londra, 23 agosto 1935, ore 0,30 (per. ore 7,30).

Come ho telegrafato ieri (2), Gabinetto esaminerà sbrigativamente situazione che si è venuta creando in seguito fallimento dei negoziati di Parigi, e particolarmente i seguenti punti:

l. -atteggiamento che l'Inghilterra dovrà tenere a Ginevra nella riunione del 4 settembre;

2. --eventualità che la procedura della S.d.N. possa portare alla decisione di sanzioni contro l'Italia e carattere che tali sanzioni potrebbero avere; 3. --revoca dell'embargo sulla esportazione di armi; 4. --adozione di misure per proteggere interessi inglesi nell'imminenza della guerra e in vista futuro sviluppo della politica italiana in Africa.

Riunione del Gabinetto è stata preceduta da una consultazione con i capi dell'opposizione Lansbury, Lloyd George e Samuel Hoare e con i rappresentanti dei Dominions.

I capi della opposizione si sono dichiarati, come era da attendersi, favorevoli a che l'Inghilterra prenda a Ginevra iniziativa di risoluzioni estreme nei riguardi dell'Italia e hanno confermate le dichiarazioni fatte in questo senso alla Camera dei Comuni (vedere mio telegramma n. 544) (3).

Più incerto è stato atteggiamento dei rappresentanti dei Dominions.

La notizia della riunione straordinaria del Gabinetto, le parole allarmistiche pronunciate ieri da MacDonald (mio fonogramma stampa n. 275) e la drammatizzazione che la stampa fa oggi della situazione, hanno intensificato in modo insolito il nervosismo tanto nel pubblico . quanto nella City.

Sin qui la situazione non presenterebbe elementi sostanziali nuovi o diversi da quelli che, giorno per giorno, sono venuti segnalati: Governo britannico, come ho detto nel mio telegramma n. 590 (2) di ieri, dovrà seriamente riflettere prima di prendere decisioni che potrebbero aggravare situazione tra Italia e Inghilterra e rischierebbero di trasformare conflitto itala-abissino in un conflitto di ben più vaste proporzioni nel Mediterraneo e in Europa.

È probabile quindi che nella seduta di oggi consigli di moderazione e dl calma finiranno col prevalere e che Gabinetto non prenderà decisioni affrettate e irreparabili.

Quello che vi è di mutato e di diverso è il terreno d'azione scelto da Eden e da tutti coloro che cercano di spingere il Gabinetto a adottare misure estreme verso l'Italia.

Le conclusioni che Eden ha presentato al suo ritorno da Parigi e si propone presentare oggi in seno Gabinetto, sono le seguenti: Prima della riunione di Parigi già era chiaro che l'Italia aveva deciso di procedere alla conquista dell'Etiopia, senza tener conto della S.d.N. Dalla riunione di Parigi è risultato che l'Italia non intende neppure tener conto dei suoi impegni con la Francia e l'Inghilterra in base accordo tripartito.

Questo significa che l'Italia si prepara a svolgere un'azione che è diretta a non solamente disconoscere e menomare gli interessi inglesi in Abissinia, ma a costituire una minaccia potenziale per la sicurezza dei possedimenti britannici nel continente africano e del Mediterraneo.

A prova di ciò vengono portate informazioni circa simili intenzioni lungo il Lago Tana, di cui al mio telegramma n. 508 del 23 luglio u.s. (l) informazioni che sarebbero pervenute anche direttamente dall'Ambasciata britannica a Roma, nonché informazioni circa attività italiana in Egitto di cui ho fatto cenno nel mio telegramma n. 580 del 15 corr. (2).

Su quest'ultimo argomento ha riferito ampiamente Alto Commissario britannico Lampson, che si trova a Londra e che ha avuto ieri un colloquio con Hoare.

Foreign Office sarebbe anche in possesso di pretesa documentazione comprovante aiuto che sarebbe stato fornito da agenti italiani ai nazionalisti egiziani per alimentare l'agitazione antibritannica.

Questi sonb gli argomenti dei quali, come ho accennato nei miei telegrammi nn. 579 e 580, ora si servono gli avversari della politica italiana, e con i quali Eden spera guadagnare a sé quei Ministri conservatori che hanno finora sostenuto che conquista Etiopia da parte nostra non costituisce pericolo per Impero britannico e che pertanto Governo britannico doveva limitarsi ad una azione dimostrativa sul terreno societario.

Ieri ha avuto luogo riunione dirigenti partito conservatore. Problema generale della sicurezza dei possedimenti britannici in Africa nei confronti dell'azione italiana vi è stato ampiamente discusso. Per la prima volta sono state espresse serie apprensioni sulla possibilità che Italia adotti e persegua in Africa Orientale un piano generale di azione anti-britannico e si è venuti alla conclusione che Governo britannico può avere degli interessi imperiali da difendere, indipendentemente dall'azione della S.d.N. Tali apprensioni sono messe anche in rapporto con voci raccolte dai corrispondenti inglesi sui progetti che avrebbe Italia con conquista Etiopia di valersene come punto di partenza per una azione nel Sudan e in Egitto.

Questo movimento, ove si sviluppasse, potrebbe come ho detto nei miel telegrammi nn. 579 e 580 portare ad una modificazione sostanziale della situazione, perchè sono state proprio le correnti conservatrici, coloniali e imperiali, quene che finora hanno sostenuto che Inghilterra doveva rimanere neutrale e non ostacolare seriamente nostra impresa militare in Africa.

Su questo punto mi permetto richiamare l'attenzione del Duce. A mio avviso è essenziale impedire che problema slitti dal terreno della S.d.N. a quello, l'unico veramente pericoloso della difesa imperiale britannica.

(l) -Per la· risposta vedi D. 847. (2) -Vedi D. 781. (3) -T. 544 del 1° agosto 1935, non pubblicato. (l) -T. 508 del 23 luglio 1935, non pubblicato. (2) -Vedi D. 740.
794

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4940/383 R. Washington, 23 agosto 1935, ore 6,41 (per. ore 16,15).

Miei telegrammi 374-375 (1).

Forte contrasto manifestatosi sulla legislazione per la neutralità fra Senato da una parte, Presidente e Camera Rappresentanti dall'altra, è stato composto in via provvisoria con una soluzione di compromesso secondo la quale proposta dal Senato resterà in vigore soltanto fino al 29 febbraio 1936 per la parte relativa all'embargo sulla esportazione del materiale da guerra.

Disposizioni che impongono embargo indistintamente per qualsiasi belligerante conservano loro carattere automatico ed imperativo t! sono quindi obbligatorie per potere esecutivo.

Compromesso rappresenta adunque anche prevalenza corrente favorevole alla neutralità assoluta e sconfitta per Dipartimento di Stato il quale aveva insistito perchè venissero lasciati al Presidente poteri discrezionali di discriminazione fra belligeranti ed esercitare pressioni su eventuale aggressore.

In questi circoli politici si ritiene che attitudine del Congresso non mancherà di avere ripercussioni su Governo inglese e S.d.N. nei riguardi del conflitto itala-etiopico. Infatti decisione odierna significa che gli S.U.A. intendono mantenersi assolutamente estranei stessi conflitti europei e che pertanto S.d.N. non potrà contare sulla collaborazione americana nell'applicazione di sanzioni contro lo Stato che venisse dichiarato aggressore.

Nuovo progetto di legge, formulato in armonia con compromesso raggiunto, è già stato approvato dalle Commissioni degli Affari Esteri delle Camere dei Rappresentanti nonchè dal Presidente e sarà probabilmente approvato in giornata da entrambi i rami del Congresso.

(l) Vedi D. 784.

795

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BERNA, MARCHI

T. s. 1493/96 R. Roma, 23 agosto 1935, ore 17,15.

Prego comunicare tanto ad arbitri di parte italiana nella Commissione italo-etiopica, Conte Aldrovandi e Comm. Montagna, quanto ad Agente del

R. Governo presso Commissione, Prof. Lessona, seguente telegramma:

«Nello svolgimento della fase conclusiva dei lavori della Commissione ed in previsione di una prossima sentenza degli arbitri, è opportuno tenere presente .che la sentenza di condanna dell'Etiopia dovrebbe mirare a:

a) determinare che l'incidente di Ual-Ual costituisce una vera e propria "premeditata aggressione" da parte abissinia; b) riconoscere chiaramente che responsabilità di tale " premeditata aggressione" risale direttamente (dico direttamente) a Governo centrale etiopico;

c) determinare esplicitamente che tale aggressione era diretta a spogliare violentemente l'Italia del possesso di un territorio che essa deteneva da anni sotto la sua autorità;

d) far risultare in modo implicito che alcune delle circostanze che hanno suffragato il convincimento degli arbitri sono state poste in luce dopo (dico dopo) la richiesta di riparazioni da parte del R. Governo;

e) riconoscere esplicitamente la responsabilità diretta del Governo etiopico anche per tutti gli incidenti successivi a quello di Ual-Ual.

I due ultimi punti mirano a poter sostenere eventualmente da parte nostra con maggior forza che le riparazioni chieste dal R. Governo subito dopo l'aggressione di Ual-Ual non son più sufficienti oggi.

Naturalmente la sentenza dovrà, secondo il compromesso stabilito e secondo le conclusioni già presentate dal R. Governo nella sua memoria del 21 giugno u.s. (1), limitarsi ad accertare le circostanze di fatto degli incidenti e le responsabilità che ne derivano, senza entrare comunque, neanche per allusione, nel merito delle riparazioni dovute all'Italia :t.

796

lL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A TEHERAN, TELESIO

T. 8971/70 P. R. Roma, 23 agosto 1935, ore 22,30.

Prego V. S. mettersi in contatto con codesto Ministro degli Affari Esteri e tenermi informato andamento trattative frontiera Iran-Iraq che si svolgono costà dal 7 corrente indicando se sono state prese come basi quelle da me suggerite a Ginevra o quali altre (2).

Vertenza è stata iscritta ordine del giorno prossimo Consiglio e informazioni anzidette mi occorrono per adempiere mio compito relatore.

Come è noto a V. S. parti contendenti si sono impegnate tenere al corrente relatore trattative dirette e rispettivi Ministri a Roma mi hanno dato notizie da ultimo nel luglio u.s.

(l) Ed. in Il contlìtto itala-etiopico, Documenti, vol. I, cit., pp. 256-268.

(2) Vedi D. 816.

797

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4975/0109 R. Parigi, 23 agosto 1935 (per. il 26).

Mi riferisco al mio telegramma filo n. 499 del 22 corrente (l).

V. E. ricorderà che in occasione di un colloquio avuto a Berlino col Segretario di Stato von Blilow, il 6 corrente, questi mi aveva detto che il Governo dei Reich, su pressione del Governo britannico, si era messo in contatto col Governo francese per riparlare del Patto Orientale. L'Ambasciatore Koester aveva avuto al riguardo due colloqui col signor Léger ed uno col signor Lavai, i quali però, secondo il Segretario di Stato von Biilow, non avrebbero servito a chiarire le cose ed anzi le avrebbero confuse. Il signor Léger si sarebbe infatti espresso in senso favorevole ad accordare la garanzia della Francia per l'esecuzione di quanto stabilisse il Patto Orientale, mentre questa garanzia suscitava in Germania non poca apprensione quasi che nascondesse la illecita intenzione di ingerirsi in affari che non riguardavano il Governo della Repubblica. Il signor Lavai, dal suo lato, si sarebbe espresso coll'Ambasciatore Koester in tutt'altro senso, !asciandogli cioè intendere che egli non attribuiva soverchia importanza al Patto Orientale e neanche a quello danubiano e che viceversa trovava che sarebbe stato utile intavolare subito trattative con la Germania circa la questione più grossa che è quella della limitazione degli armamenti.

Con una comunicazione trasmessa all'E.V. alla vigilia della mia partenza da Berlino, cioè il 12 agosto (2), informai che la trattazione di questi argomenti politici da parte del Governo del Reich avrebbe avuto luogo solamente dopo il 1° ottobre avendo così stabilito il Cancelliere del Reich.

Anche l'Ambasciatore François-Poncet non vedeva chiaro in questa faccenda. Fu anzi lui a suggerirmi di avere al riguardo un colloquio col signor Lavai per appurare come stessero le cose.

Ho creduto di parlare in primo luogo della questione con il signor Léger. Egli mi disse di avere effettivamente accennato all'Ambasciatore Koester alla garanzia che la Francia sarebbe disposta di accordare per l'esecuzione di quanto stabilisce il Patto Orientale. Si tratterebbe di una garanzia che la Francia accorderebbe non solo alla Polonia, alla Cecoslovacchia ed all'U.R.S.S., ma naturalmente anche alla Germania. Se questa non ne volesse sentire parlare la Francia non avrebbe nulla ad obiettare. Naturalmente rimarrebbero però in vigore gli accordi da essa conclusi con la Polonia, con la Piccola Intesa

e quindi con la Cecoslovacchia e, recentemente, con l'U.R.S.S. La Francia non intende infatti, per fare cosa gradita alla Germania, sconvolgere la propria politica estera che è stata costruita sopra una serie di accordi con gli Stati suddetti.

Per quanto riguardava il colloquio dell'Ambasciatore Koester con il signor Lavai, lo stesso signor Léger mi consigliò di parlarne direttamente col Presidente del Consiglio, non avendo egli stesso avuto sufficienti chiarimenti in proposito.

Ne parlai dunque ieri al signor Lavai, 11 quale mi dichiarò che mi avrebbe informato esattamente della sua conversazione con l'Ambasciatore di Germania, una quindicina di giorni fa. Il signor Koester aveva cominciato col dichiarargli che parlava a titolo personale e non per incarico ricevuto dal proprio Governo; aveva aggiunto che desiderava conoscere se egli ritenesse che fosse tuttora il caso di pensare alla conclusione di un Patto Orientale e se riteneva che vi fosse pure probabilità che il Patto Danubiano fosse riesumato e discusso ulteriormente. Il signor Lavai aveva risposto che egli era più che mai convinto che dovesse essere condotto in porto il complesso degli accordi previsti dal Protocollo di Londra, dato che essi costituivano un complesso inscindibile e che era necessario concluderli se si voleva affrontare l'argomento di capitale importanza, cioè la limitazione degli armamenti. Ciò premesso il signor Lavai aveva aggiunto che, quanto al metodo, egli non era certo l'individuo che si irrigidiva sopra l'una o l'altra formula. Voleva anzi dargliene una prova nel dichiarargli che riteneva superfluo parlare di pace in Europa fino a che non fosse intervenuta un'intesa tra la Francia e la Germania. Voleva la Germania, a cui sembrava ostico il Patto Orientale e che evidentemente non aveva soverchia simpatia nemmeno per il Patto Danubiano, affrontare subito la discussione del Patto di limitazione degli armamenti? Lo dicesse e per parte sua egli sarebbe stato disposto a discutere immediatamente. Dichiarava però contemporaneamente che la Germania non doveva illudersi di poter concludere un accordo a due con la Francia, cosi come le era riuscito di fare con l'Inghilterra per gli armamenti navali. Altrettanto la Francia desiderava, almeno fino a che egli fosse Presidente del Consiglio, concludere un accordo con la Germania, altrettanto essa intendeva che l'accordo stesso significasse la collaborazione che il Reich era disposto di dare alla pacificazione dell'Europa, aderendo da parte sua al complesso di Patti che Francia, Italia ed Inghilterra avevano convenuto di patrocinare durante i convegni dell'inverno e della primavera scorsa. In altre parole, poiché Hitler aveva tanto sovente parlato di desiderio di pace, lo provasse con i fatti dando la propria adesione ai vari patti che avevano precisamente lo scopo di garantirla.

«Così agendo -mi disse il signor Lavai -sapevo di far cosa conforme alle idee del Duce che è sempre stato fautore di una politica di collaborazione fra le grandi Potenze europee, Germania inclusa :..

L'Ambasciatore di Germania aveva mosso qualche obbiezione, detto che egli conosceva le buone disposizioni del signor Lavai ma che non sapeva se eventuali suoi successori avrebbero pensato allo stesso modo ed aveva evitato

56 -Documenti diplomatici • Serle VIII • Vol. I

di impegnarsi anche solo ad informare il proprio Governo di quanto gli aveva detto il Presidente del Consiglio francese. Il signor Lavai non escludeva che egli non avesse compreso esattamente il significato delle sue dichiarazioni, donde i dubbi manifestati dal signor von Biilow, che gli erano stati segnalati non soltanto da me ma anche dall'Ambasciatore François-Poncet e da questo Ambasciatore d'Inghilterra.

Egli aveva creduto di essersi espresso in termini espliciti. Aveva anzi aggiunto, per non lasciare dubbi circa le proprie disposizioni verso la Ger

~ mania, che sarebbe stato disposto, se necessario, ad incontrarsi con il Cancelliere Hitler. Poneva però una condizione che l'eventuale colloquio fosse preceduto da una preparazione diplomatica completa, così come era avvenuto prima del convegno di Roma, in modo che si sapesse già, prima di incontrarsi quale risultato positivo avrebbe avuto lo scambio di vedute personali. Era assai probabile che egli non fosse più Presidente del Consiglio tra qualche mese ed , era pure verosimile che altri uomini di Stato francesi fossero meno ben disposti di lui verso la Germania, ma questo avrebbe dovuto essere caso mai un motivo per affrettare l'intesa e non per ritardarla. Il signor Laval fece seguire queste sue spiegazioni dalla dichiarazione esplicita che egli mi avrebbe tenuto esattamente al corrente dell'ulteriore sviluppo che avessero eventualmente avuto le conversazioni con Berlino. Lo avrebbe fatto perché lo riteneva doveroso e naturale, data l'amicizia esistente tra la Francia e l'Italia ed il particolare interesse che noi portavamo al problema austriaco. Il Presidente del Consiglio mi disse pure che al ritorno a Parigi dalla gita che contava fare nei giorni prossimi mi avrebbe dato da leggere il processo verbale della conversazione da lui avuta col Generale Goering a Cracovia, all'epoca dei funerali del Maresciallo Pilsudzki. Era un documento interessante, dal quale appariva in modo molto chiaro quali fossero le posizioni assunte dalla Francia e dalla Germania. Doveva dire che nel discorso di Hitler aveva rilevato che il Fiihrer, nel fare talune dichiarazioni pacifiche, si era servito delle stesse parole da lui dette al Generale Goering ed in ciò aveva scorto un certo desiderio di intesa. Alle parole però, come mi aveva detto dianzi, occorreva che seguissero dei fatti da parte di Hitler.

(l) -Vedi D. 787. (2) -Vedi D. 717.
798

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4979/046 R. Bled, 23 agosto 1935 (per. il 26).

Come noto, la Piccola Intesa si riunirà a Bled il 29 corrente sotto la Presidenza di Stojadinovic spettando alla Jugoslavia la presidenza di turno. La riunione durerà due gio.rni, in gran parte assorbiti da festeggiamenti in onore degli ospiti. Si festeggia infatti il quindicesimo anniversario della costituzione della Piccola Intesa e il decimo della costituzione della «Piccola Intesa della :::>tampa ). Sono perciò presenti una trentina di giornalisti rumeni, circa venti cecoslovacchi, e numerosi jugoslavi. E' previsione generale che il convegno assumerà prevalentemente il carattere di una manifestazione formale e che non si addiverrà a decisioni di grande portata, salvo le consuete dichiarazioni di solidarietà di fronte ai maggiori problemi. Con ciò verranno mascherate le innegabili «crepe ) che si sono venute producendo nella compagine piccolointesista specie per quanto riguarda atteggiamenti e tendenze di ciascuno dei tre Stati di fronte all'U.R.S.S. e di fronte alla Germania. Benés riferirà sul suo viaggio a Mosca, e, insieme a Titulescu, farà pressioni -a quanto pare per indurre la Jugoslavia al riconoscimento dei sovieti. C'è al riguardo molta agitazione nell'ambiente dei russi bianchi di Jugoslavia e il loro rappresentante ufficiale a Belgrado, sig. Strandtman, è giunto a Bled per parare il colpo, facendo anche appello al Principe Reggente del quale è nota la personale avversione al Governo di Mosca.

E' molto probabile che una netta dichiarazione si avrà sulla questione della restaurazione austriaca, e che tale questione servirà anzi di punto di appoggio per un'affermazione abbastanza clamorosa della solidarietà politica dei tre Stati.

A questo proposito Stojadinovic si è espresso meco nel senso che la Piccola Intesa dovrà deliberare due ordini di misure da prendere in vista delle due eventualità: ritorno degli Asburgo in Austria -restaurazione. Quanto al ritorno degli Asburgo, non si farebbe differenza fra un ritorno a titolo privato e un ritorno ufficiale. Il Presidente jugoslavo, in relazione al prossimo convegno di Bled, mi ha dato l'impressione di aver soltanto su questo punto della restaurazione absburgica una idea chiara e una intenzione ben definita. Su ogni altro problema ha sorvolato, così da !asciarmi convinto della fondatezza dell'accusa che gli viene mossa: di essere impreparato e di aver poca sensibilità in fatto di politica internazionale. Va anche aggiunto che egli è totalmente assorbito dalle preoccupazioni della politica interna e che le dissensioni già prodottesi in seno al suo Gabinetto e culminate oggi con le dimissioni dei Ministri Auer (Giustizia) Preka (Previdenza Sociale) e Stefanovic (Miniere e Foreste) cadono male, alla vigilia della riunione della Piccola Intesa, e non sono tali da facilitare l'opera e la posizione di Stojadinovic che in questo convegno, di cui ha la presidenza, fa, in certo modo il suo debutto come Ministro degli Esteri (1).

Corre voce, per ora non confermata, che Stojadinovic partirebbe per Parigi subito dopo la riunione della Piccola Intesa: si tratterebbe della visita a Laval, già decisa da Jeftic nel giugno, e rimasta ineffettuata in seguito alla sua caduta. Stojadinovic si recherebbe soltanto a Parigi anche per dissipare diffidenze e malumori circa le sue pretese tendenze germanofile. Sembra tuttavia, logicamente, difficile che il Presidente possa assentarsi finché non sia sistemata la crisi ministeriale che potrebbe anche assumere più vaste proporzioni.

Benès partirà il 31 corrente mattina. Titulescu invece si tratterrà ancora uno o due giorni a Bled per incontrarsi con Rustu Aras, che pare abbia la fobia dell'isolamento e non manca mai dove possa aver occasione di intrigare. Il suo arrivo è annunciato per il giorno 30, col pretesto di venire a visitare la consorte, ospite a Bled di questo Ministro di Turchia.

(l) Con T. 9218/99 P.R. del 26 agosto 1935, ore 18, Viola comunicava che la crisi ministeriale era stata provvisoriamente risolta con la sostituzione dei ministri dimissionari.

799

IL MINISTRO AD OSLO, RODDOLO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5051/102 R. (1). Oslo, 23 agosto 1935 (per. il 28).

Miei telegrammi nn. 94 del 13 e 95 del 15 corr. (2).

Ho visto questo Ministro degli Affari Esteri signor Koht al suo ritorno in sede, e l'ho interrogato sulla imminente riunione di Oslo dei quattro Ministri nordici. Egli mi ha confermato che non poteva avere un programma prestabilito data la situazione ancora oscura, che si rendeva conto delle sue responsabilità, ma che avrebbe difeso a viso aperto contro chiunque i suoi principi. Egli era persuaso della utilità di un'intesa fra i Ministri degli Affari Esteri dei paesi a comunanza di interessi, agevolata dal fatto che i quattro Ministri militano nello stesso partito. Per conto suo era anche disposto ad aderire ad un'azione comune a Ginevra per prevenire la guerra.

L'aver detto che per conto suo era pronto ad un'azione comune mostra che lo stesso signor Koht, il quale ha già avuto contatti personali con i suoi colleghi di Finlandia e di Svezia, si rende conto delle difficoltà che ostacolano un'azione comune. Non credo che si possa arrivare nella riunione di Oslo ad un accordo completo.

Da informazioni confidenziali mi risulta che si lascierebbe soltanto al rappresentante danese al Consiglio della S.d.N. di agire a seconda delle circostanze affinché la questione etiopica venga deferita dal Consiglio all'Assemblea. Qui si pensa che il primo ad agire in questo senso sarà il rappresentante della Spagna; il danese quindi si associerebbe alla procedura che la Spagna proporrebbe.

In Assemblea poi tutte le piccole potenze si coalizzerebbero per una sensazionale condanna morale del ricorso alla guerra. I quattro nordici vorrebbero anche mostrare di non essere a rimorchio di nessuna grande potenza.

Ho avuto poi modo di vedere il signor Koht in privato. Abbiamo potuto parlare più amichevolmente e più a lungo. Penso di essere riuscito a consolidare qualche sua esitazione.

Le maggiori preoccupazioni del signor Koht sono l'atteggiamento della Russia e la questione delle sanzioni: per la Russia egli vede nell'atteggiamento

di Litvinov a Ginevra una -per lui -dolorosa riprova della continuità di una politica imperiale. Quanto alle sanzioni ha ammesso che esse equivarrebbero a guerra, che la Norvegia non avrebbe potuto associarsi a Ginevra ad una politica di intervento e d'azione, e mi è sembrato intravedere che l'idea di una astensione nei riguardi della questione etiopica cominci a farsi strada nel suo spirito.

(l) -Spedito per corriere. (2) -Con T. 4631/94 R. del 13 agosto 1935 e T. 4685/95 R. del 15 agosto 1935, Roddolo aveva informato ·sulla convocazione e sulle poss!bill conclusioni della conferenza dl Osio.
800

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4969/287 R. Shanghai, 24 agosto 1935, ore 6 (per. ore 2,20 del 25).

Telegramma di V. E. n. 204 (1). Ho avuto conferenza con le autorità indicate da V. E. nel telegramma

n. 178 (2). Esito di tale esame è che, dal punto di vista esecutivo, è possibile ampliamento secondo determinate condizioni modalità e dal canto nostro (3) che formano parte di un piano concordato tra me e Governo Cinese. Tutto ciò ho trasmesso per corriere a V. E. per sua approvazione.

Se occasione si presentasse prima di ricevere approvazione, mi conformerei a detto piano. Rapporto partirà « Conte Rosso ~ sette settembre.

801

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4933-4937/166-167 R. Vienna, 24 agosto 1935, ore 12,30 (per. ore 14,40).

Mio telegramma n. 154 (4) e mio telespresso n. 1888 del 13 corrente (5). Von Papen, tornato stamane da Berlino, si è subito recato da Berger-Waldenegg.

Dopo aver presentato «rincrescimento~ suo Governo per articolo Voelchischer Beobachter ed assicurato che incidente del genere non si sarebbe mai più ripetuto, ha svolto seguenti punti:

l) che la Germania, «a causa della questione della Abissinia~. vuole ad ogni costo la pace; 2) che stampa austriaca dovrebbe ormai modificare suo atteggiamento, cessando sopratutto dall'occuparsi della situazione interna del Reich (nei ri

guardi della quale ha tuttavia confidenzialmente ammesso «l'esistenza di alcune resistenze interne »);

3) che sarebbe intanto assai opportuno fare apparire un comunicato che, dopo aver riassunto passo austriaco a Berlino ed odierno da lui compiuto relativamente articolo voelkischer Beobachter, constatasse «che i due Governi sono d'accordo nell'auspicare che atteggiamento due stampe possa permettere che relazioni fra i due Paesi divengano più normali».

Berger-Waldenegg è partito per l'Ungheria per suo incontro con Kanya.

Intanto Ballplatz, pur rendendosi conto dei motivi per i quali Governo germanico si è affrettato corrispondere condizioni messe da Cancelliere austriaco per ripresa conversazioni circa normalizzazione rapporti austro-tedeschi (cioè previe manifestazioni ufficiali suo «rincrescimento» per articolo Voelkischer Beobachter), si mostra piuttosto favorevole pubblicazione suddetto comunicato. Ritiene che esso avrà buon effetto su quelle zone dell'opinione pubblica che, pur senza essere naziste, si mantengono riservate verso attuale Governo a causa persistente tensione suoi rapporti con Germania.

Subito dopo spiegazione fornita per articolo Voelkischer Boeobachter, von Papen ha chiesto a Berger-Waldenegg fargli [pervenire] risposta sue note proposte scritte (mia comunicazione segreta del 15 luglio) 0), per completa normalizzazione rapporti austro-tedeschi.

Berger-Waldenegg, nell'impossibilità di ulteriori temporeggiamenti con l'invocare predetto incidente, ha genericamente risposto che non mancherebbe di comunicarle, ma che doveva intanto osservare che, mentre avanzate proposte impegnavano esclusivamente responsabilità personale suo interlocutore, ogni sua replica, stante sua carica, avrebbe invece impegnato Governo austriaco.

Von Papen ha dichiarato allora immediatamente «che sua proposta scritta era stata previamente presentata al Governo del Reich ».

Contegno e dichiarazioni di von Papen confermano (mio telegramma per corriere n. 085 del 5 corrente) (2) che sua azione sia completamente condivisa suo Governo e che essa si proponga unicamente di pervenire, prima della conclusione del Patto Danubiano, ad un diretto accordo austro-tedesco. Tutto ciò raccomanda massima sollecitudine nei negoziati per Trattato generale circa Europa centrale.

A tale ultimo riguardo segnalo: l) che codesto Ministro Austria ha ricevuto avantieri definitive osservazioni di questo Governo al progetto francese: esse corrispondono a quanto ho comunicato col mio telegramma n. 149 del 7 corrente (3); 2) che mio collega Francia mi ha comunicato aver Benes notificato a Lavai di non aver obbiezioni nei riguardi del progetto in parola.

(l) -Vedi D. 702. (2) -Vedi D. 498. (3) -Nota dell'Ufficio Cifra: «Gruppo indec1frab1le 1>. (4) -Vedi D. 716. (5) -Non pubblicato. (l) -Vedi D. 543. (2) -Vedi D. 666. (3) -In tale telegramma (n. 4511/149 R. del 7 agosto 1935, ore 21) Preziosi aveva a questo proposito riferito: «Circa atteggiamento Austria nei riguardi progetto francese, segnalo all'E. V. Governo Federale vi è favorevole, pur elevando due osservazioni meramente formali. Esso s! riserva però di fare presente che Austria, !n considerazione del fatto che progetto francese dà sostanzialmente un carattere teorico al patto d! non aggressione, non può insistere su perdurante efficenza del protocoHo di Roma, nella parte concernente consultazioni fra Ital!a ed Austria "in vista delle misure da prendere"».
802

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, CANTALUPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9162/298 P.R. Rio de Janeiro, 24 agosto 1935, ore 14,06 (per. ore 19,55).

Telegramma circolare n. 1491/C. R. (1).

Ad ogni buon fine riferisco che questa Legazione Germania e ambienti con essa collegati tengono linguaggio favorevole alla nostra politica coloniale nei riguardi Abissinia.

Inoltre Ambasciatore del Brasile a Londra ha telegrafato ieri a questo Governo che operazioni militari italiane contro Etiopia cominceranno entro quattro settembre.

Mi confermasi che Brasile è disposto fornire all'Italia quanto occorre per alimenti truppe o altre forniture anche nel caso Ambasciata d'Inghilterra, cui è nota l'autorità, volesse frapporre ostacoli.

Finora mantenutasi piuttosto neutra, stampa brasiliana dipendente finanziamenti britannici comincia dare segni ostilità.

Questo non influisce però sulla opinione dei Poteri responsabili e dei ceti dirigenti, cui simpatia per nostra causa mi sembra accentuarsi a misura chp. Inghilterra ostacola espansione italiana.

Invece massa popolare, in cui si trovano milioni di negri e mulatti, sembra favorevole Abissinia.

803

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4945/179 R. Madrid, 24 agosto 1935, ore 16,10 (per. ore 19,55).

Alcuni settori spagnuoli cominciano preoccuparsi della possibilità che avvenimenti internazionali possano nel prossimo futuro influire sulla libertà del commercio spagnuolo e che eventuali sanzioni proposte a Ginevra possano obbligare Spagna concludere affari con l'Italia in caso di conflitto etiopico.

Tali preoccupazioni, che ci giovano e sulle quali noi lavoriamo per controbattere fortissima influenza politica antitaliana, sarebbero rafforzate da ripresa delle trattative per accordo commerciale e da una conclusione di accordi stessi.

Permettomi quindi far rilevare come in ogni caso e in previsione possibilità aggravarsi situazione internazionale sia opportuno non rimanere su linea. eccessivamente intransigente calcolando le esigenze tecniche ma sopratutto utilità politica.

Parallelamente mi sembrerebbe utile fossero iniziati su questo mercato rapporti di rifornimenti in modo da stabilire fin da ora affari commerciali e interessi materiali qui giovevolissimi.

Opinione pubblica dà qui moltissimo rilievo ai nostri rifornimenti compiuti presso altri Paesi con sottinteso rammarico vederne esclusa Spagna.

(l) Vedi D. 791.

804

IL SOTI'OSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALLE AMBASCIATE E LEGAZIONI IN EUROPA (l)

T. PER CORRIERE 1498/C. R. Roma, 24 agosto 1935.

Nell'attuale fase rapporti itala-etiopici e nell'eventualità che essi abbiano ad essere prossimamente evocati dinanzi S.d.N., ritengo opportuno riassumere evoluzione storica tali rapporti ed enunciare principali argomenti che giustificano nostro deciso atteggiamento. V. E. (V. S.) dovrà valersene per opportunamente chiarire nostro punto di vista presso codesto Governo.

Fra tutte Potenze europee, Italia fu la prima fin dai tempi di Cavour a far sì che mediante opera numerosi esploratori, Missioni scientifiche e Missionari (tra cui molte vittime si dovettero annoverare) regioni del cosidetto Corno dell'Africa fossero attirate nell'orbita civiltà europea. Questa nostra azione civilizzatrice si diresse dalla costa somala verso regioni Ogaden, Harrar, Sidamo, Uolamo, Kaffa, Gimma e Magi paesi tutti che allora non appartenevano Abissinia, e dalla costa del Mar Rosso, da Assab a Massaua.

A tal fine Italia stipulò dal 1883 al 1887 vari Trattati con alcuni Paesi interno Etiopia e con Menelik allora Re dello Scioa cui venne dato anche appoggio di armi e denaro che gli permise di assicurarsi predominio su tutti altri Ras e Negus del Paese e di proclamarsi Imperatore. In seguito a Trattato Uccialli (1889) concluso con Imperatore Menelik, Governo italiano notificava in data 11 ottobre 1889 alle Potenze a termini art. 34 dell'Atto Generale Conferenza Berlino del 1885, che S. M. Re d'Etiopia consentiva a servirsi del Governo di s. M. il Re d'Italia per tutte le trattazioni di affari che avesse con altre Potenze o Governi.

Il rifiuto da parte del Governo etiopico di attenersi a tale Trattato era l'inizio di una serie di atti ostili che sboccarono nel conflitto armato del 18951896, cui infauste vicende ebbero come conseguenza di limitare nostri domini Africa Orientale alla sola fascia costiera dell'altopiano etiopico e del bassopiano somalo-galla. Sorsero così due prime nostre Colonie, Eritrea e Somalia, per valorizzare le quali economicamente e politicamente, Italia dopo 1896 iniziò verso Etiopia quella politica di amicizia e collaborazione nella quale perseverò pazientemente per quaranta anni.

Tale politica pacifica dell'Italia, intesa a creare presupposti di una proficua collaborazione economica itala-etiopica, indispensabile per le nostre colonie,

è stata invece ricambiata da una continua crescente azione anti-italiana diretta a mirare alle basi ogni possibilità di utile collaborazione con l'Italia.

R. Governo ad onta tale continua ostilità ha tuttavia voluto compiere un nuovo leale tentativo per stabilire rapporti durevoli e fecondi con Etiopia e dopo visita S.A.R. Duca degli Abruzzi ad Addis Abeba ha concluso il Trattato di amicizia del due agosto 1928. Con questo Trattato e la Convenzione Stradale annessa, stipulati per ridare vita ai traffici tra l'Impero e nostre Colonie, Italia concedeva al Governo etiopico una zona franca nel porto di Assab che avrebbe dovuto essere congiunta con una strada camionabile a Dessié, mercato centrale Etiopia.

Mentre tale Trattato di latissimo spirito avrebbe dovuto riservare all'Italia situazione privilegio nello sviluppo avvenire dell'Impero onde nuovi lavori e nuove spese venivano affrontate da R. Governo per preparare le Colonie a tali rapporti economici, e nuove società private italiane si costituivano per attivare con Etiopia promessi traffici, la politica dell'Etiopia eludeva sempre le nostre offerte, osteggiava tutte le nostre iniziative, non adempiva agli obblighi sanciti in quel Trattato. Non solo, ma al riparo del Trattato con noi concluso, Etiopia ha perseguito politica subdola di inimicizia e di ostilità, cui spirito aggressivo nei nostri riguardi è andato crescendo con ripetersi nostre prove amicizia e rispetto per sua indipendenza.

Oltre a scorrerie, atti di brigantaggio e razzie croniche che pur hanno funestato nostri confini dall'inizio sino ad epoca vicina, dal 1923 ad oggi dobbiamo lamentare più di 90 incidenti gravi o gravissimi, in cui sudditi etiopici e talvolta reparti militari etiopici hanno infierito contro popolazioni nostre suddite, uccidendo, depredando e razziando.

Vanno ricordati inoltre alcuni fatti che comprovano costante spirito aggressivo abissino nei nostri riguardi, che ha colto ogni occasione in cui Italia era impegnata altrove per tentare di aggredirci, obbligandosi distratte forti contingenti truppe per fronteggiare varie minaccie.

Durante operazioni occupazione Libia, Ligg Jasu faceva ammassare nel Tigrè 50.000 armati e durante guerra mondiale nel 1915 il Negus Micael dopo intensa propaganda anti-italiana riuniva tre corpi esercito con 150.000 uomini mettendo nuovamente in pericolo nostre frontiere; nel 1926 la propaganda sobillatrice etiopica in Somalia dava luogo allo scontro di Buloborti ove perdettero la vita ufficiali e numerosi soldati italiani; nel 1920 il Mullah, noto nostro ribelle, trovava assistenza in territorio abissino e nel 1926, mentre Italia compiva operazioni pacificazione Somalia del Nord, ribelli migiurtini si rifornivano di armi e munizioni in Etiopia e Capi venivano ricompensati dall'Etiopia con terreni e pensioni; nel 1931 il Degiac Gabré Mariam organizzava un'altra spedizione armata lungo l'Uebi Scebeli.

Queste continue minaccie e i tentativi sistematici di aggressione, tosto che si delineavano per Italia preoccupazioni altrove, sono sempre state e sono motivo grave allarme per sicurezza nostre colonie. Situazione, anche da questo punto ~i vista, è andata peggiorando dal 1928, da quando cioè Imperatore, al riparo del Trattato di amicizia con Italia, ha iniziato vasto programma armamenti, dedicandovi quasi tutte risorse dello Stato che avrebbero dovuto essere spese in tante più urgenti opere di civile sviluppo del Paese. Tali armamenti, non avendo l'Etiopia nemici esterni, non potevano essere diretti che contro l'Italia, come l'aggressione di Ual-Ual, preparata di lunga mano, ha nuovamente dimostrato.

Le circostanze di tale ultimo atto aggressione, che ha costituito segnale di allarme decisivo, le tergiversazioni e la iattanza dell'Etiopia in tale occasione, chiariscono ancora una volta la condotta di un nemico pertinacemente insidioso, che rimane insincero ed in malafede per quanti Patti amicizia sottoscriva e per quanti favori riceva.

Situazione di grave pericolo in cui trovansi nostre colonie Africa Orientale ha perciò indotto R. Governo adottare provvedimenti militari che tendono a dare ai nostri possedimenti garanzie definitiva sicurezza.

Tanto gravi sono gli interessi italiani in gioco che non si possono escludere da nostre intenzioni anche più estreme misure poichè in tal genere di problemi adottare misure provvisorie significherebbe far incancrenire i problemi stessi anzichè risolverli.

È stato osservato che risoluzione dell'Italia di difendere anche se necessario con le armi i pripri diritti e interessi sia in contrasto con impegni Covenant e Patto Briand-Kellogg.

Giova a tale riguardo osservare:

-che ammissione Etiopia alla S.d.N. è avvenuta con impegno da parte di essa di adempiere a determinate condizioni che ne giustificassero appartenenza a consorzio Nazioni civili, ma nessuna condizione è stata nè vi è ormai più possibilità che venga adempiuta; Etiopia è notoriamente un Paese a economia schiavista con due milioni di schiavi, è fornitrice migliaia di schiavi che annualmente vengono venduti Arabia. Nessuna Convenzione internazionale sul lavoro vi può trovare applicazione e Stato è in condizioni riconosciuta incapacità a controllare vasto Impero e far rispettare leggi nella maggior parte territorio;

-che al Patto Briand-Kellogg Abissinia partecipò in quanto trovavas1 con ammissione alla Società delle Nazioni a far parte di un sistema di cui quel Trattato non è che un complemento. Ma se aver firmato quel Trattato dovesse costituire per Abissinia ragione impunità per innumerevoli attentati da essa commessi contro nostre Colonie, Italia non potrebbe mai ammettere tale tesi.

Risulta poi chiaramente da note scambiate prima della conclusione del Patto Kellogg che nulla vi è 'ietto che restringa diritto legittima difesa e che ogni Stato ha qualità per decidere se circostanze esigono ricorso guerra legittima difesa.

È poi da osservare che altri Stati ebbero a dare loro adesione Patto Kellogg, dichiarando in modo esplicito che non sarebbe stato tollerato da parte loro alcun intervento in alcuna regione del mondo di interesse speciale e vitale per loro sicurezza. È in relazione a tali promesse che Governo italiano si dichiarò a suo tempo disposto addivenire firma Patto Kellogg. Situazione dell'Italia verso l'Etiopia è oggi tale che Governo italiano considera eventuale

sua azione di forza come avente pienamente carattere legittima difesa in una regione di interesse speciale e vitale per pace sicurezza italiana. Da considerazioni che precedono e che R. Governo riservasi ampiamente documentare emerge:

l) priorità e prevalenza diritti e interessi italiani in Abissinia che risale a parecchi decenni, all'epoca cioè in cui per virtù nostri missionari, esploratori e soldati, attività scientifica ed economica Italia erasi dedicata a quel paese e vi si era politicamente affermata in base trattato di Uccialli.

Tale posizione preminenza dell'Italia in Etiopia fu del resto sin d'allora riconosciuta da altre Potenze aventi interessi in Africa Orientale Francia e Gran Bretagna con accordi del 1891-1894 Tripartito, scambio di lettere del 1925;

2) che dopo primo tentativo dar forma concreta tali nostri diritti e interessi, in base accordi all'uopo stipulati con Abissinia e con Francia e Inghilterra, mediante occupazione militare del Paese, rapporti italo-etiopici entrarono in una nuova fase tendente a realizzare propri fini in via pacifica, fase intensificata da Governo Fascista;

3) che nostra politica amicizia prevalente in tale seconda fase dei rapporti italo-etiopici Abissinia ha risposto in modo negativo non solo, ma aggressivo;

4) che pertanto mentre ogni tentativo collaborazione economica italaetiopico può considerarsi definitivamente fallito, non è più pensabile neppure la continuazione da parte italiana di un contegno passivo o tanto meno remissivo: in primo luogo perchè Abissini si sono potentemente armati, in secondo luogo perchè loro tendenze e intolleranza e odio per stranieri e particolarmente per Italiani è in continuo aumento, in terzo luogo perchè nostra smobilitazione ai confini Etiopia darebbe agli abissini tale sentimento orgoglio e aumenterebbe talmente loro albagia che nè Italiani, nè altri bianchi potrebbero più soggiornare in Abissinia.

Governo italiano ritiene che, contrariamente all'affermazione secondo la quale un conflitto italo-etiopico costituirebbe un incitamento ai sentimenti nazionalistici delle popolazioni indigene africane con grave pericolo per le Potenze coloniali, tale pericolo sarebbe ben maggiore se, di fronte alla tracotanza etiopica, non venisse riaffermato il prestigio di una Grande Potenza coloniale quale l'Italia. L'Italia non intende certo dare ad un conflitto italaetiopico il carattere di un conflitto di razza o di conflitto tra popoli di diverso colore, ma ritiene indispensabile di imporre proprio prestigio di fronte ad uno Stato che costituisce ormai ultimo esempio di barbarie e di schiavismo.

Tanto in precedenti scambi di idee quanto nelle recenti trattative Parigi, i vari progetti per risolvere situazione creatasi nei rapporti italo-etiopici si fondavano sostanzialmente sulla conclusione di nuovi accordi con Etiopia. Governo italiano per esperienza ormai di lunghi anni ritiene che qualunque nuovo accordo con Etiopia non verrebbe da questa rispettato e rimarrebbe come precedenti senza alcun risultato pratico. Ciò che obbligherebbe fra qualche tempo l'Italia a riprendere le stesse misure di quelle che oggi è stata costretta di

aaottare. Tali sforzi non si ripetono. L'Italia d'altra parte non intende dare nuovamente credito all'Etiopia. La situazione in sostanza è tale che Governo italiano ritiene assolutamente indispensabile di risolverla ora in modo definitivo;

5) Governo italiano non crede con ciò di far cosa contraria ai principi su cui si basa la S.d.N., né intende diminuire propria collaborazione principio sicurezza collettivo, perché sua azione è rivolta contro uno Stato (se tale può chiamarsi Etiopia) cui esistenza e attività non hanno nulla a che vedere con principio sicurezza collettiva. Non ammettere questa posizione del Governo Italiano significherebbe voler sacrificare deliberatamente interessi di uno Stato quale l'Italia all'applicazione di principi che, nel caso dell'Abissinia, non possono essere applicati e di cui Abissinia profitta a suo esclusivo vantaggio, e a cui non è in grado dare alcun apporto fattivo e responsabile nella comunità Nazioni civili. Significherebbe pure dare all'Etiopia impunità per sua azione presente e possibilità costituire pericolo sempre maggiore per avvenire.

Non è nelle intenzioni dell'Italia violare Trattati esistenti, ma è fermo proponimento del Governo italiano non ammettere che a questi Trattati venga data una interpretazione che nel momento attuale gioverebbe soltanto coprire preparazione militare etiopica e evitare che l'Italia possa raggiungere quei limiti sicurezza cui essa ha, al pari degli altri Stati, diritto per poter portare alla sicurezza collettiva delle Nazioni civili tutto peso e forza propria collaborazione.

Tali considerazioni è opportuno V. E. (V.S.) esponga nel modo che giudicherà migliore a codesto Governo per chiarirgli atteggiamento attuale da noi assunto verso Etiopia, e per far sì che codesto Governo,

(per tutti meno Berlino, Washington, Tokio) in relazione prossima riunione Ginevra,

(per tutti) abbia a rendersi conto delicata situazione in cui siamo venuti a trovarci, non per nostra colpa, in Africa Orientale e della necessità pet l'Italia di risolvere in modo definitivo tale situazione.

(per tutti meno Berlino, Washington, Tokio) V. E. (V.S.) vorrà aggiungere che Governo italiano confida che codesto Governo, prima di prendere qualsiasi decisione circa proprio atteggiamento nella prossima riunione Ginevra, vorrà dare istruzioni alla sua Delegazione di prendere contatto con delegazione italiana, la quale fornirà ogni ulteriore opportuna informazione atta a chiarire punto di vista italiano (1).

V. -E. (V. S.) potrà aggiungere che non si può né si deve confondere il principio della sicurezza collettiva !n Europa (riconfermato da ultimo proprio per l'Europa esplicitamente a Stresa e al qualeintendiamo attenerci e mantenere per la sua realizzazione la nostra collaborazione) con un problema dl natura nettamente coloniale ed africana, problema che ha piuttosto i caratteri di quelliche lo stesso Governo inglese escludeva In modo preciso (come si è già avuto occasione d! accennare) dalla applicazione del Patto Br!and-Kellogg nel dare al patto medesimo la sua adesione».

(l) Il presente telegramma era pure destinato alle ambasciate a Toklo, Washlngton ed Ankara. alla legazione a Bangkok e al consolato generale a Dubllno.

(l) -Con successivo T. per filo 1540/C. R. del 31 agosto 1935, ore 2, Suvich comunicava: <<Con telegramma n. 1498 che giungerà costì con prossimo corriere questo R. Ministero ha riassunto principali argomenti che giustificano nostro deciso atteggiamento nell'attuale fase dei rapporti !taioetiopici affinché V. E. (V.S.) se ne valga opportunamente per esporre situazione a codesto Governo in relazione a prossime riunioni Ginevra. Agli argomenti sviluppati in detto telegramma
805

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY

T. 1501/141 R. Roma, 24 agosto 1935, ore 24.

Eventualità che ulteriori sviluppi conflitto italo-etiopico rendano necessario ritiro dall'Abissinia della R. Legazione in Addis Abeba e dei RR. Consolati nell'interno di quel Paese, induce considerare sino da ora opportunità scegliere a quale rappresentanza diplomatica possa venire affidata protezione interessi nostri e dei nostri nazionali e sudditi in Abissinia.

Considerazioni di carattere vario consiglierebbero far cadere scelta su R. Legazione Belgio in Addis Abeba.

Prego quindi V. E. voler interpellare in via del tutto confidenziale codesto Governo per conoscere se esso nulla avrebbe in contrario ad accogliere, a momento opportuno, una eventuale nostra formale richiesta in tal senso (1).

806

IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4985/015 R. Tirana, 24 agosto 1935 (per. il 26).

Telegramma di V. E. n. 91 (2).

Ho visto oggi Re Zog cui ho rinnovato condoglianze R. Governo per uccisione Generale Ghilardi e assicurazione nostra solidarietà. Ho aggiunto che nessuna più esplicita prova di tali sentimenti potersi dare in questi momenti da parte nostra di quella di dichiararci pronti a concludere rapidamente gli accordi in corso di negoziato, per i quali, a meno di difetto di sincera volontà da parte albanese, non sembravano ormai più esistere ostacoli tali da giustificare ulteriori temporeggiamenti.

Re Zog mi ha detto essere compreso della necessità di concludere rapidamente e mi ha assicurato che avrebbe immediatamente impartito istruzioni in tal senso al Ministero degli Affari Esteri per la definizione della messa a punto delle stipulazioni occorrenti. Mi consta che il Ministro Villa verrà da me nei primi giorni della entrante settimana.

Ho trovato modo di mettere opportunamente i"1 disc3rso l'argomento delle intenzioni del Re nei riguardi della Intesa Balcanica. Il Re mi ha detto testualmente: «Posso desiderare avere buone relazioni coi miei vicini. Tale desiderio non può per altro prevalere sul più essenziale interesse dell'Albania di mantenere integra anzitutto l'alleanza con l'Italia. A questa alleanza che esiste e dovrà rimanere base della politica albanese, io intendo rimanere assolutamente fedele, dolente che l'Albania, piccolo paese, non possa darne prove più palesi

in questo momento. Comunque, qualora l'Albania dovesse trattare qualunque intesa politica coi paesi vicini, non lo farebbe senza prima aver consultato il Governo alleato~.

Il Re mi è apparso in condizioni di salute particolarmente floride. Ha tenuto a dimostrare nel corso del colloquio una serenità ed una calma eccezionali nelle presenti gravi circostanze, e non ha fatto ad esse alcuna allusione. Dato il tenore del colloquio non ho creduto opportuno farvi a mia volta cenno.

(l) -Per la risposta di Vannutelli vedi D. 827. (2) -Vedi D. 756.
807

IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4984/016 R. Tirana, 24 agosto 1935 (per. il 26).

Telegramma di V. E. n. 97 (1).

Comunico con telespresso a parte (2) in pari data nomi principali arrestati in seguito sommossa Fieri, fra i quali è effettivamente Nureddin Vlora. Egli è anzi con Kemal Vrioni, fra quelli che assai difficilmente scamperanno al capestro.

Complessivamente numero arrestati supera i seicento.

Dato che principale obiettivo insurrezione era la soppressione di Abduramann Mati e di Musa Juka, e che questi è Ministro dell'Interno, opera di repressione è severissima. Nessuno sfugge al sospetto ed alle denunzie. Gli arresti si susseguono numerosi, giornalmente. I metodi di interrogazione degli imputati sono di tale energia che questi finiscono col deporre in modo da coinvolgere nella responsabilità vicini e lontani, colpevoli ed innocenti. Questa atmosfera di terrore nella quale nessuno si sente più sicuro, potrà forse ottenere effetto sul momento. È da ritenere peraltro che lascerà tali strascichi di adii da far considerare assai oscuro un prossimo avvenire. Le prime esecuzioni capitali hanno avuto luogo stamane colla fucilazione di undici gendarmi. Fino a questo momento è assai incerta la sorte delle personalità principali.

Verlaci -e si dice anche Jotta -sono guardati a vista nelle rispettive agitazioni per quanto sembra che carichi specifici non si siano ancora trovati a loro riguardo.

Nel Dibrano la situazione rimane oscura per quanto apparentemente tranquilla, tanto che si è potuto trarre in arresto il Prefetto di Pescopeja. Sembra per altro che i Capi sarebbero d'intesa e che se Muharem Bairaktari non fosse stato fermato alla frontiera jugoslava, sotto la sua guida, avrebbero avuto nella ins•1rrezione parte determinante. La Jugoslavia in questo momento tiene attraverso le sue frontiere le chiavi di Tirana, e lo fa pesare. A mano a mano che la mobilitazione dei tre battaglioni racimolati dal Governo procede, col

l'ausilio delle bande del Mati scese a Tirana anche la situazione del Dibrano può divenire meno pericolosa. Tuttavia la situazione permane grave e piena di incognite all'interno del paese.

D'altra parte Re Zog non sembra intenzionato a dar soddisfazione al malcontento generale coll'allontanamento del suo Ministro dell'Interno e del suo Padrino, che sono il bersaglio principale dell'esecrazione. Nella defezione generale essi sono le sole persone di cui, per ovvie ragioni, si può fidare.

A meno di avvenimenti imprevisti, sono ancora del parere che, almeno per il momento il Re, che dà prova di eccezionale forza d'animo, riuscirà a prevalere. Del resto, nella presente situazione di cose, un mutamento di regime in Albania, comunque avvenisse, ci porrebbe in condizioni di particolari difficoltà e necessità, che sembra sommamente indispensabile ci vengano ora evitate.

(l) -Con T. 1494/97 R. del 23 agosto 1935, ore 24, Aloisi chiedeva di conoscere i nomi degliarrestati per la sommossa di Fieri e di essere tenuto al corrente delle risultanze dell'istruttoria processuale. (2) -Non pubblicato.
808

IL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 2368/766. Bulkeley, 24 agosto 1935 (per. il 31).

La mia permanenza in Egitto è ancora troppo breve perché io possa presumere di poter sicuramente riferire a V. E. sulla situazione locale con particolare riguardo alla questione etiopica, tanto più che alla brevità del mio soggiorno in questo paese occorre aggiungere il fatto che la vita politica locale, a causa della stagione estiva e del trasferimento del Governo ad Alessandria, è estremamente rallentata.

Tuttavia le particolari circostanze attuali mi inducono a non tardare ulteriormente a sottoporre a V. E. un quadro sintetico delle mie prime impressioni, chiedendo venia sin d'ora se, data la complessità e la mutevolezza dell'ambiente, una maggiore esperienza del posto ed il susseguirsi degli avvenimenti dovranno indurmi in un secondo tempo a rettificare in qualche parte taluni dei punti di vista che mi accingo ad esporre.

La situazione interna non ha subito in questo mese sostanziali mutamenti. Continua la tregua estiva e continua la situazione paradossale di un Governo che non è appoggiato né su un Parlamento né sulla Corona, né sulla stampa né su larghe e manifeste correnti di pubblica opinione.

Padroni del campo ed arbitri del Paese sono pertanto oggi più che mai gli Inglesi. Varie persone, egiziane e straniere, con le quali ho avuto campo di intrattenermi hanno paragonata la situazione attuale a quella dei periodi della maggiore ingerenza britannica. Il Governo, ed in modo particolare il Presidente del Consiglio, sono emanazioni della Residenza Britannica dalla quale prendono gli ordini. I gangli vitali del Paese, polizia, interni, commercio, esercito, aviazione sono stati sempre in mani inglesi, ma oggi una rinnovata e più decisa volontà centrale coordina e controlla energicamente le diverse attività.

Resta solo a vedere se convenga all'Inghilterra di continuare ancora a lungo uno stato di cose così incerto e transitorio che scontenta tutti e scopre la Residenza quasi ad ogni passo e che per la sua incostituzionalità è così contrario ai tradizionali principi britannici.

Comunque, questa è la situazione nella quale si svolge attualmente l'attività della Legazione, ed in base alla quale occorre considerare le reazioni che si determinano e che verranno a determinarsi in avvenire per effetto della nostra azione in Africa Orientale.

Quale è oggi l'atteggiamento egiziano di fronte a quello che si chiama comunemente conflitto itala-etiopico? Il quesito non è di facile risposta, dato che una vera e propria opinione pubblica non esiste in questo Paese.

In linea generale è però necessario riconoscere una tendenza contraria all'azione italiana. Le ragioni principali di tale te.ndenza sono: avversione ideologica caratteristica all'espansionismo coloniale europeo, simpatie generiche religiose e geografiche per l'Abissinia, timore di un conflitto tra l'Inghilterra e l'Italia nel quale la prima trascini seco l'Egitto; previsione che un'occupazione italiana dell'Abissinia determini l'Inghilterra, per controbilanciarla, ad accentuare ed aggravare l'occupazione dell'Egitto e della Palestina; preoccupazione infine che l'Italia, ponendo termine all'indipendenza dell'ultimo Stato libero africano, ribadisca così indirettamente le catene che avvincono l'Egitto.

Occorre d'altro canto tenere presente che tutti coloro che in Egitto si occupano di politica o di giornalismo, e non sono agli stipendi di qualcuno o legati ad una greppia, hanno un solo problema in testa e finiscono col considerare qualsiasi avvenimento in funzione di quel problema: l'indipendenza egiziana. L'azione italiana in Etiopia non appare qui come favorevole a questa ~enerale aspirazione se non in maniera indiretta e cioè nell'ipotesi che in un conflitto itala-britannico l'Egitto patteggiasse la sua partecipazione a fianco dell'Inghilterra mediante un trattato che garantisse finalmente in modo formale la sua indipendenza.

A controbilanciare tali atteggiamenti stanno alcuni fattori in nostro favore: l'amicizia antica e tradizionale verso l'Italia, rinforzata e vivificata dalla recente visita di S.M. il Re, amicizia che non è rinnegata nemmeno dai più accesi simpatizzanti per l'Etiopia; la presenza di nostre grosse e rispettate collettività; l'azione dei nostri organi di stampa e propaganda; il prestigio indiscutibile dell'Italia di Mussolini.

A questa situazione delle cose e degli spiriti ho cercato di adeguare la nostra azione, impostando come più mi è sembrato opportuno l'attività della Legazione e degli organismi dipendenti ed i miei contatti personali con gli esponenti del paese, come qui di seguito cercherò di esporre quanto più brevemente possibile.

Il Palazzo. Dopo la grave malattia della quale è tuttora convalescente il Sovrano non ha più ripreso la sua consueta attività. Attualmente egli va lentamente migliorando e comincia anche a fare qualche passeggiata nel parco della sua residenza privata di Montaza che non ha più lasciata dal giorno della sua venuta in Alessandria.

Sua Maestà non ha tuttora ripreso, per interdizione medica, le udienze private ed ho pertanto avuto modo di vederlo solamente in occasione della presentazione delle credenziali che ha avuto luogo con cerimoniale ridotto. Ho però col Sovrano frequenti rapporti indiretti per il tramite consueto di Verrucci bey. Sua Maestà mi ha così fatto pervenire cordiali parole di simpatia in occasione dei miei primi contatti con questo Paese; e di vivo dolore e di interessamento in occasione della recente sventura aviatoria. Egli mi ha altresì fatto dire a più riprese il suo desiderio che l'Egitto resti assolutamente neutrale nel conflitto italo-etioplco e tale Sua volontà egli ha tenuto a confermare facendomi sapere di avere due volte richiamata su tale punto l'attenzione del Presidente del Consiglio in base a segnalazioni da me fattegli discretamente pervenire. (Una prima volta in occasione di un comizio per la pace indetto ad Alessandria (mio telegramma n. 330 del 6 corrente) (1), che doveva essere presieduto dal Ministro delle Finanze, che di fatto poi non intervenne, ed una seconda volta ancor più recentemente in seguito alle sassate tirate contro i vetri di una scuola italiana (mio telegramma 363 del 19 corrente) (2), per la quale circostanza il Re ha espresso il desiderio che si prendano severe misure per evitare in avvenire il ripetersi di tali incidenti.

Sarei dunque portato a concludere che le intenzioni del Sovrano ci sono nel complesso favorevoli, anche se si vogliono attribuire in parte queste manifestazioni al desiderio di mostrare cortesia ad un diplomatico appena giunto e che per parte sua ha cercato di dar prova di particolare deferenza e personale devozione verso il Sovrano ed anche se si voglia fare la debita tara allo zelo ottimistico dell'intermediario.

Se la situazione non fosse così notevolmente mutata questo sarebbe dunque un punto fermo della maggiore importanza. Purtroppo l'isolamento politico attuale del Sovrano, che non ha un partito su cui contare, né un uomo di cui fidarsi, ed il più energico atteggiamento inglese limitano grandemente il campo di azione di Sua Maestà. E intanto l'erede del trono, il quindicenne Principe Faruk, si accinge a partire per Londra, ove compirà la sua educazione.

Mi viene bensì riferito che il Re manifesti propositi di riprendere la lotta, ciò che per vero, per chi lo conosca o ne abbia seguito l'attività, sembra perfettamente in armonia col suo carattere e col suo temperamento. Ed è anche certo che questi ambienti politici, i quali per un certo tempo hanno impostato il loro giuoco sulla morte del Re, stanno rivedendo le loro posizioni in vista della sua guarigione. Politicamente dunque una rentrée del Sovrano è tutt'altro che da escludere, e già si mormora che l'opposizione del Palazzo verso il Gabinetto di Nessim pascià si vada facendo più viva, ma l'incognita grave rimane pur sempre quella della salute del Sovrano. Ai funzionari che si trovano al mio seguito e che non lo vedevano da prima della malattia egli è sembrato straordinariamente deperito. A me, che l'avevo visto soltanto in occasione della sua visita a Roma, è apparso quasi irriconoscibile per la sua maJtrezza, ma non ho avuto la sensazione di un uomo finito. Anzi direi che porta

57 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. I

piuttosto bene che male i suoi 67 anni e nel breve colloquio, prima in francese e poi in italiano, nel quale egli mi ha intrattenuto, ho avuto l'impressione che il suo spirito fosse agile e pronto. Purtroppo però il Dottor Grossi, suo medico curante, al quale riservatissimamente ho chiesto informazioni, è piuttosto pessimista: lo stato del cuore e dei reni non lascia a suo avviso molte speranze: difficile il prognostico, possibile ad ogni momento la catastrofe, nessuna prospettiva di lunga durata, esclusa la eventualità di riprendere in pieno le normali occupazioni, possibile invece l'esplicazione di attività intellettuale e di molto limitata e sorvegliata attività fisica.

Il Governo. V. E. conosce dai rapporti di questa Legazione quale sia la singolare posizione del Governo di Nessim pascià, il quale, sebbene non vi manchi qualche uomo di riconosciuta autorità, ha per la sua composizione, le caratteristiche di un modesto gov,erno di transizione, mentre è invece chiamato a esplicare le sue funzioni in una situazione nella quale difficilmente potrebbe reggere anche il più energico governo autoritario. Mal sopportato dal Re, osteggiato dal Palazzo, tiepidamente sopportato più che sostenuto dal Wafd, con scarso seguito nella pubblica opinione ed apertamente combattuto dalla stampa araba, ove si eccettui l'ufficioso Mokattam e pochi altri giornali di secondaria importanza, il solo sostegno di questo governo resta la Residenza britannica.

Nessim pascià è un uomo vecchio, che ha ricoperto le maggiori cariche di questo Paese: è ritenuto probo e sprovvisto di ambizioni personali. Conduce vita ritirata e non è vanitoso ed avido di danaro come molti degli uomini politici egiziani, per la quale ragione offre evidentemente una «presa» minore. Sir Miles Lampson mi ha detto di lui « He is a fellow who takes counsel with himself » ciò che, egli ha aggiunto, è molto raro in questo paese. Credo la diagnosi esatta, con la sola variante che quel « himself ~ vada riferito anche a lui Sir Miles Lampson.

-Ho tuttavia ritenuto di iniziare i miei rapporti con Nessim pascià con un discorso di carattere generale, ma franco ed aperto. Gli ho detto che l'amicizia fra Italia ed Egitto è antica e tradizionale perchè la geografia la determina e la storia la conferma, che mi auguravo pertanto che con l'appoggio del suo governo la missione affidatami dal Duce avrebbe potuto esplicarsi favorevolmente, tanto più che la situazione mi permetteva di servire il mio paese rendendomi al tempo stesso utile agli interessi egiziani. L'am1c1z1a. per l'Egitto che è vastamente e profondamente diffusa nell'opinione pubblica italiana ha basi sentimentali e disinteressate perchè nulla l'Italia ha da chiedere all'Egitto, mentre indiscutibili vantaggi l'Egitto può attendersi dall'amicizia italiana. Incaricato dal Duce di lavorare per il mantenimento e il consolidamento di questi rapporti ritenevo che sarebbe stato nostro dovere e nostro vantaggio reciproco quello di eliminare prontamente, nell'attuale momento, anche la minima causa che, sfruttata dalla stampa internazionale, avesse potuto comunque incidere sulle reciproche relazioni.

Ho quindi spiegato a Nessim pascià le ragioni che inducevano il governo fascista alla sua azione in Africa Orientale; ho cercato di dimostrargli come l'Egitto non potrà che ritrarre vantaggi materiali e morali il giorno che alle

frontiere sud-orientali del Sudan vi sia un paese aperto alla civiltà ed ai traffici commerciali ad opera dell'Italia. Ho aggiunto che francamente non mi rendevo conto di talune velate o palesi simpatie per l'Etiopia da parte di certi elementi egiziani. Noi in Italia consideriamo l'Egitto come un paese mediterraneo così come è mediterranea l'Italia; consideriamo gli egiziani come un popolo altamente civile al quale volentieri riconosciamo la parità giuridica e morale; nulla vediamo in comune tra il popolo egiziano e le popolazioni barbare dell'Etiopia. Speravo dunque nella collaborazione del Capo del Governo egiziano per consolidare sempre di più un'amicizia dalla quale l'Egitto ha ritratto molti benefici in passato e molti benefici concreti può attendersi in avvenire. Nessim pascià, sia pure senza troppo slancio, ciò che del resto è anche nel suo carattere, ha convenuto senza riserve su ogni punto, come ha pure convenuto nella necessità di collaborare meco per eliminare ogni se pur modesta causa di attrito.

Linguaggio analogo, variandolo a secondo della convenienza e delle persone, ho tenuto con gli altri ministri di maggiore importanza, in particolar modo con i ministri dell'Istruzione e delle Finanze, uomini giovani e molto quotati in questi ambienti, ricevendo calorose dichiarazioni di simpatia e di amicizia.

Naturalmente, siamo in Oriente, e tutti questi bei discorsi hanno un valore assolutamente relativo, nè è certo il caso di fondarvi sopra speranze o di considerarli molto di più che manifestazioni di cortesia. È tuttavia mia impressione che almeno fino a che perdura l'attuale situazione, l'atteggiamento dei Ministri egiziani sarà un compromesso fra l'inerzia e il desiderio di non urtare, e che pertanto, mantenendo frequenti contatti, con molta cortesia, ma anche con una certa fermezza, essi, potendo scegliere, preferiranno farci una cosa gradita piuttosto che una cosa sgradevole (così infatti è avvenuto in questi giorni per due questioni) delle quali ho riferito con miei telegrammi

n. 330 e n. 367 (l) del 6 e 21 corrente. È però a prevedere che in molti casi, nelle varie questioni in rapporto con la nostra azione in Etiopia, come rifornimenti, sorvolo di aerei, arruolamenti ecc. questa possibilità di scelta da parte loro verrà spesso a mancare, tanto più che i dicasteri competenti in queste materie sono tutti controllati da funzionari britannici. Nel complesso, quindi, le disposizioni di questo Governo non sarebbero in sè sfavorevoli, nè sarebbe da escludere, attraverso un'azione assidua ed opportuna, la possibilità di migliorarle, se la libertà di movimento del Governo egiziano non _cessasse necessariamente e senza eccezione là dove ha principio la manifestazione della volontà superiore della Potenza occupante. E a partire da quel punto le nostre possibilità di azione e di successo non

si possono più valutare soltanto in funzione delle relazioni itala-egiziane, ma bensì dai rapporti dell'Italia con l'Impero britannico.

Il Wafd. Il grande partito che riunisce la grandissima maggioranza degli egiziani mantiene una situazione di attesa e vive per ora nella molto remota speranza delle elezioni, nelle quali sarebbe sicuro della vittoria. Per il momento il Wafd continua ad appoggiare o almeno a non combattere il governo, in seno al quale uno o due degli uomini più rappresentativi sono notoriamente simpatizzanti con la grande organizzazione nazionalista. Non mancherebbe peraltro qualche sintomo che la tregua possa sboccare in un ravvicinamento agli inglesi: i dirigenti del Wafd, malgrado il loro programma intransigente, sono troppo amanti del potere e degli onori e delle prebende che ad esso vanno annesse per potere rimanere volentieri troppo a lungo lontano dal governo. I rapporti di Nahas pascià col principe Ornar Tussun, che non è wafdista ma il cui atteggiamento nazionalista è di antica data e di ben nota intransigenza, sono stati assai frequenti in questi ultimi tempi, ma la visita fatta da Sir Miles Lampson, prima di partire, al Principe Tussun (mio rapporto n. 2241/721 del 17 corrente) (l) ha suscitato varie congetture che avvalorano anche l'ipotesi sopra accennata. Si parla infine anche di dissidio e minacce di scissione in seno al Partito, ma sono tutte voci che occorre seguire ma di cui è prematuro tener conto. Il Wafd, comunque, non ha per ora atteggiamenti aggressivi, e Nahas appare troppo lontano .dal suo predecessore Zaglul e troppo minore di lui.

L'atteggiamento del Wafd nei riguardi dell'azione italiana in Etiopia non è nettamente definito. Le generiche simpatie filo etiopiche a cui ho accennato all'inizio del presente rapporto sono naturalmente condivise da molti wafdisti, tra i quali Nahas pascià. Makram Ebeid, Segretario Generale del Wafd, è inoltre copto. Ho accennato d'altronde più sopra ai rapporti intercorrenti tra il Wafd e il Principe Tussun. Tuttavia, nè il Partito, nè i suoi principali giornali hanno finora apertamente attaccato l'Italia; anzi in seguito all'azione di queste seÙimane si è potuto notare perfino un miglioramento nei confronti di alcuni di questi ultimi. Personalmente non ho avuto finora con Nahas pascià che rapporti di cortesia, perchè, dato l'ambiente, ho ritenuto opportuno di non precipitarmi troppo onde non suscitare le gelosie del Governo e non dispiacere al Sovrano. Ho iniziato peraltro attraverso interposte persone un'azione di chiarificazione e di persuasione che proseguirò personalmente non appena mi sembri venuto il momento di poterlo fare senza ottenere effetti contrari. Ad un autorevole giornalista del quale mi sono servito come intermediario, Nahas pascià ha risposto che il Wafd, quali che siano i suoi sentimenti, non intende dipartirsi per ora da una linea di neutralità tra Italia ed Etiopia. Mi risulta anche che negli stessi termini egli avrebbe risposto al Principe Tussun che lo invitava ad assumere un deciso atteggiamento filo etiopico.

Gli altri esponenti politici. La maggior parte degli altri uomini politici più rappresentativi si trova attualmente assente. È atteso prossimamente Sidky pascià di cui i giornali hanno riprodotto di recente un telegramma

(mio telegramma al Ministero Stampa n. 742/46 del 20 corrente), che qui ad ogni buon fine ritrascrivo: «Parigi 18 Agosto -Sciaab, Cairo.

II delegato italiano al Congresso tripartito di Parigi ha dichiarato alla stampa che "L'Inghilterra non ha il diritto di protestare contro le attività italiane in Abissinia quando il Governo britannico si comporta in Egitto Stato indipendente e ufficialmente riconosciuto come tale -in un modo che contrasta apertamente con questa indipendenza". Nessim pascià deve quindi riflettere seriamente sulla situazione e valutare le responsabilità ».

Ma la personalità che in questo momento riunisce le maggiori probabilità di succedere a Nessim nel governo è Alì Maher pascià, capo di Gabinetto del Re. Con lui i miei colloqui sono stati particolarmente lunghi e cordiali. Ha mostrato di rendersi conto e di approvare l'esposizione da me fattagli sulle ragioni che determinano l'azione dell'Italia in Etiopia e particolarmente calorose sono state le sue dichiarazioni di simpatia e di amicizia per il nostro Paese.

Da quanto sono venuto sopra esponendo e, per quanto sia estremamente difficile il fissare sulla carta la diagnosi della mutevole situazione politica egiziana e del più mutevole animo orientale, diagnosi che rischia di non essere già più del tutto aderente alla realtà in un breve volger di tempo, reputo tuttavia che non sia soverchiamente az~ardato di giungere alle seguenti conclusioni:

Per quanto concerne la questione etiopica, le simpatie egiziane vanno prevalentemente all'Etiopia. Tuttavia l'amicizia per l'Italia rimane forte e viva nè mancano pertanto le possibilità di svolgere opportuna ed efficace azione a nostro favore.

Se quindi il problema fosse limitato ai rapporti fra Italia ed Egitto ed al conflitto italo-etiopico, son portato a ritenere che si potrebbe giungere ad influire non poco sulla pubblica opinione e sugli atteggiamenti del Governo egiziano quanto meno per evitare disposizioni a noi contrarie.

Ma i termini del problema sono diversi e più vasti.

Nè, finchè perdura l'attuale situazione, il Governo di Nessim pascià o quell'altro governo che gli succedesse nelle stesse condizioni della vita politica egiziana, potranno seguire altra via da quella indicata dal Presidentè del Consiglio nelle dichiarazioni alla stampa che hanno sollevato tanto scalpore. Via di condotta che si può semplicemente riassumere in supina acquiescenza alla volontà dell'Inghilterra, la quale presidia militarmente il Paese e ne controlla tutti i centri vitali.

Se contro il dominio della Potenza occupante si leva l'aspirazione di tutti coloro che pensano e sentono e non le sono asserviti da vanità, interesse o ambizione (e non sono pochi), tuttavia questa aspirazione non è servita nè da un pugno di valorosi che sappiano osare per essa, nè da un uomo che sappia riunire e galvanizzare intorno a sè le forze vive dell'indipendenza.

Ho così esposto per sommi capi la situazione nel cui quadro si svolge la nostra azione nel campo diplomatico e politico. Questa azione verrà sorretta e completata agendo con tutti i mezzi a nostra disposizione sulla pubblica opinione, per quanto essa abbia qui un valore ed un carattere ben diverso che in Europa. Ho riferito (telespresso 2352/762 del 23 corrente) (l) circa la stampa, nel quale campo è stato già possibile ottenere qualche risultato concreto, seppure non ci si possa ancora lusingare che esso abbia carattere definitivo. Un'altro strumento efficace sono le collettività italiane, numerose ed influenti. Esse sono oggetto di cure costanti e mi mantengo in continuo contatto con i Consolati e con i Fasci, onde valermi di tutti i connazionali autorevoli e stimati per svolgere quell'opera di chiarificazione e di difesa della tesi italiana circa la questione etiopica, che il Duce ci ha prescritta. Mi adopero, in sostanza, per estendere l'ordine di mobilitazione spirituale e politica agli italiani d'Egitto. E V. E. sa che quasi ogni giorno i camerati della zona del Canale manifestano la loro fede con dimostrazioni di entusiasmo al passaggio dei nostri soldati. Le solenni onoranze svolte al Cairo

e ad Alessandria al Ministro Luigi Razza ed ai suoi compagni caduti mi hanno del resto dato occasione di far constatare agli stranieri ed agli stessi italiam la compattezza e la disciplina delle nostre collettività.

Seguo infine, da vicino, i vari movimenti a carattere filo etiopico, di cui non va esagerata per ora l'importanza, ma che potrebbero pur sempre prestarsi, per istigazione di terzi a creare incidenti ed a determinare correnti popolari dirette contro l'Italia e contro le collettività italiane d'Egitto.

(l) -T. 4477/330 R. del 6 agosto 1935, ore 23,05, non pubblicato. (2) -T. 8938/363 P. R. del 19 agosto 1935, ore 22,50, non pubblicato.

(l) T. 9010/367 P.R. del 21 agosto 1935, ore 23, -non pubblicato.

(l) Non si pubblica.

809

IL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 2369/767. Bulkeley, 24 agosto 1935 (per. il 28).

Secondo le istruzioni dell'E. V., non ho mancato di portare il più attento esame sulla questione dei nostri rapporti col Patriarcato Copto, allo scopo di potere svolgere l'azione prescritta dall'E. V. a questa R. Legazione (2).

Ho dovuto peraltro fin dai primi giorni convincermi che questi rapporti sono in verità non molto soddisfacenti, e tali da consigliare una certa cautela da parte nostra per non sortire l'effetto contrario a quello che ci proponiamo.

Basterà d'altronde ricordare quanto è avvenuto in occasione del viaggio dell'Amba Johannes.

Questi, che in un primo tempo doveva venire in Italia su nave italiana, poi su nave straniera diretta a Genova, ha poi finito in definitiva con lo sbarcare a Marsiglia, ed è stato salutato al suo ritorno dai vescovi copti, per tale rifiuto di accogliere le facilitazioni e le cortesie offertegli, nientemeno che come il difensore della dignità e della integrità patriarcale insidiata dalle

manovre di una Rappresentanza estera (vedi mio telespresso n. 2178/695

del 3 corrente) (1).

Né in verità siamo in grado di poter contare su elementi a noi favorevoli

in seno al Patriarcato, a parte un modesto impiegato già da tempo destinato

a prestare servizio presso l'Abuna Kirillos, e da cui attendo tuttora conferma

della data definitiva della partenza per Addis Abeba (telegramma 182 del 3

maggio u.s. (l) e telespresso 1753/521 del 30 giugno u.s. (1).

Egli ci avrà certo reso qualche utile servigio informativo, forse ne potrà

rendere ancora, ma non basta certo.

Intanto, quello che è certo è che l'Amba Johannes desidera indubbiamente la pace, propende forse per la neutralità, ma che il suo entourage è giunto, per un motivo o per l'altro, alla conclusione che i fratelli dell'Etiopia copta sono in pericolo e che il Patriarcato ha il dovere di dimostrare la sua solidarietà.

Questa solidarietà si è bensì limitata per ora a manifestazioni verbali ed a raccolta di fondi per aiuti sanitari. Ma le schede per l'arruolamento di volontari per l'Etiopia portano la croce copta assieme alla mezzaluna egiziana e all'uscita di una riunione tenutasi al Patriarcato un gruppo di ragazzacci ha inneggiato al boicottaggio contro l'Italia.

Comunque, siamo al punto di dover contenere lo zelo copto in Egitto, e non certo a quello di poter ottenere dal Patriarca un atteggiamento a noi favorevole in Etiopia.

L'Amba Johannes, come ho riferito, trovasi attualmente in ritiro al convento di Uadi Natrun, ed è venuto ad Alessandria solo per una breve visita a causa dell'inaugurazione di una nuova chiesa (mio telegramma per corriere n. 372 del 22 corrente) (1).

Gli ho già annunciato una mia prossima visita, ma ho ritenuto conveniente di preparare nel frattempo opportunamente il terreno.

Ho pertanto iniziato conversazioni franche ed aperte con elementi copti a noi amici; fra questi il comm. Bisciara bey, nostro agente consolare a Luxor, copto influente presso il Patriarca, e che riferirà all'Amba Johannes i nostri colloqui. Mi riprometto anche di giovarmi possibilmente di s. E. Sadek Wahba pascià, ex Ministro d'Egitto a Roma che, come è noto, è di religione copta. Per quanto fuori da molti anni dall'ambiente locale, S. E. Wahba potrà senza dubbio spiegare opera in nostro favore, sopratutto in questo momento in cui, lasciando il servizio attivo, potrà avere una maggiore libertà d'azione.

Ho avuto intanto in questi giorni una conversazione di un certo interesse con Kamel Ibrahim bey, membro del Meglis Milli, Ministro dell'Agricoltura ed attualmente Ministro ad interim degli Affari Esteri. Kamel Ibrahim è uno fra i copti di maggiore rilievo e tra le personalità maggiormente ascoltate dal Patriarca che spesso ricorre a lui per consiglio.

Ho cominciato col dire al Ministro che, nuovo dell'ambiente ed avendo appreso dalla stampa la notizia di una certa attività svolta in favore della Etiopia da parte di elementi vicini al Patriarcato, desideravo da lui delle ami

chevoli e franche indicazioni sullo stato d'animo dell'ambiente copto in generale e del Patriarcato in particolare; che io non desideravo esercitare alcuna pressione sull'uno o sull'altro e che mi sarei pertanto astenuto da manifestazioni anche formali che comunque potessero prendere un tale carattere, ma che sarei stato lieto di fornire a mia volta tutti i chiarimenti e tutte le spiegazioni che mi fossero richiesti, facendomi forte di dissipare ogni preoccupazione circa la nostra azione in Etiopia, la quale non solo non avrebbe potuto essere comunque contrastante agli interessi materiali e morali della Chiesa Copta come del resto del popolo egiziano, ma anzi, qualora da parte del Patriarcato si fosse seguito un atteggiamento conforme alla sua reale convenienza, li avrebbe indubbiamente e non solamente salvaguardati ma bensì notevolmente consolidati.

Kamel Ibrahim, premesso che egli mi parlava confidenzialmente e quale copto, non già quale Ministro degli Affari Esteri, mi ha detto che la sola attività fino ad ora esplicata dal Patriarcato è stata quella di raccogliere fondi per l'assistenza sanitaria in caso di conflitto, opera dunque di pace e che non riveste carattere politico. Evidentemente, egli ha aggiunto, negli Abissini il Patriarca ed i fedeli copti vedono necessariamente dei loro correligionari e provano quindi un sentimento di solidarietà nei loro confronti, ma il Patriarca non dimentica peraltro che se molti copti vi sono in Abissinia ve ne sono altresì anche nell'altro campo e cioè in Eritrea. L'Amba Johannes desidera quindi la pace, l'idea di un conflitto armato che metta gli unl contro gli altri i suoi figli Io riempie d'angoscia, ed egli, Kamel Ibrahim, ho visto più d'una volta il vecchio Patriarca in lacrime, incerto sul da farsi in una simile eventualità, cercare nella preghiera la sola via di salvezza.

Ho risposto a Kamel Ibrahim che rispettavo ed ammiravo gli alti sentimenti dell'Amba Johannes per il quale nutrivo la più grande deferenza e che mi auguravo che le sue preghiere sortissero il voluto effetto, benché ciò mi sembrasse purtroppo difficile finché perdurava ad Addis Abeba una situazione di cose cosi contraria ai desideri ed agli interessi della grandissima maggioranza delle popolazioni etiopiche, verso le quali l'Italia si accingeva ad un'opera di elevazione materiale e morale. Ho quindi aggiunto che se al Patriarca due volte venerando per santità e per età molto si addicevano le preghiere, conveniva peraltro a noi uomini più vicini alla modesta realtà terrena di esaminare anche la situazione sotto un angolo più pratico e non solo dal punto di vista spirituale ma anche da quello temporale.

Ragionando con spirito sereno e facendo astrazione delle rispettive posizioni, due circostanze mi parevano incontrovertibili: la prima, che l'Italia sarebbe certamente andata in Abissinia dove concordemente la chiamano le sue vitali necessità politiche ed economiche ed una alta missione civilizzatrice. Kamel Ibrahim ha mostrato rendersene conto. La seconda, che l'Italia fascista è uno dei paesi del mondo più sollecito nel dare tutela ed assistenza alle varie religioni che con equanime spirito di giustizia essa ospita nei suoi territori. Ho portato a tal punto il discorso sui copti d'Eritrea, sull'azione civilizzatrice ed elevatrice compiuta dall'Italia a loro favore, sul fatto innegabile che essi sono, non soltanto dal punto di vista culturale e sociale ma anche

dal punto di vista religioso ortodosso, infinitamente superiori ai loro corre

ligionari etiopici. Kamel Ibrahim lo ha esplicitamente riconosciuto ed ha con

fermato che analoga ammissione viene fatta da tutte le personalità copte serie

ed in buona fede che hanno visitato quel paese.

Da queste due premesse mi sembrava pertanto derivare la logica conseguenza che dalla nostra ineluttabile azione in Etiopia il Patriarcato non poteva trarre se non un grande vantaggio sia per le popolazioni copte, sia per la religione copta, sia infine per il Patriarca stesso, che ne avrebbe tratto molto maggior decoro e molto maggior prestigio. Naturalmente occorreva perciò che l'atteggiamento del Patriarca fosse tale, in Egitto ed in Etiopia, da consentire che a lui continuassero le attuali simpatie del Governo fascista, così che non ne fossero compromesse, ma anzi favorite, le necessarie intese in un prossimo avvenire.

Kamel Ibrahim, che era venuto a mano a mano approvando il mio esposto, mi ha detto che conviene in tutto quanto precede, ed ha aggiunto che ritiene che tale e tale soltanto debba essere l'azione del Patriarcato e che volentieri adopererà in questo senso la sua influenza e il suo consiglio.

Data la situazione che ho esposto nella prima parte del presente rapporto, non mi lusingo in verità di potere, almeno in un prossimo avvenire, ottenere un'azione positiva del Patriarcato in senso favorevole alla nostra azione, ma mi lusingo che questi miei tentativi, che mi riprometto continuare con la dovuta misura, sia direttamente con l'Amba Johannes, sia con i suoi più autorevoli consiglieri, possano riuscire di qualche utilità per neutralizzare la contraria azione di vari elementi e per limitare al più possibile anche le manifestazioni del Patriarcato a favore dell'Etiopia copta e del suo Imperatore. Tutto ciò, beninteso, nei limiti e nel quadro generale che ho esposto con il mio rapporto odierno n. 2368/766 (1).

(1) Non si pubbl~ca.

(2) SI tratta probabllmente d! Istruzioni ricevute verbalmente prima della partenza da Roma. Per i precedenti circa i rwppo.rti con il Patria.rcato copto vedi DD. 79, 99, 106, 119 e 653.

(l) Non pubblicato.

810

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALLE AMBASCIATE E LEGAZIONI NELL'AMERICA LATINA (2)

T. 1499/C.R. Roma, 25 agosto 1935, ore 2.

Nell'attuale fase rapporti italo-etiopici e nell'eventualità che essi abbiano ad essere prossimamente evocati dinanzi S.d.N. ritengo opportuno riassumere principali argomenti che giustificano nostro deciso atteggiamento V. E. (V.S.) dovrà valersene per opportunamente chiarire nostro punto di vista presso codesto Governo.

Italia mediante opera suoi esploratori, scienziati, e missionari fu la prima a fare opera di civiltà nelle più interne regioni dell'Etiopia ed affermare con vari Trattati stipulati fra il 1878 e 1887 i suoi interessi. In seguito a Trattato Uccialli (1889) concluso con l'Imperatore Menelik, Governo italiano notificava in data 11 ottobre 1889 alle Potenze a termini art. 34 dell'atto generale conferenza Berlino del 1885, che S.M. il Re d'Etiopia consentiva a servirsi del Governo di S.M. il Re d'Italia per tutte le trattazioni di affari che avesse con altre Potenze o Governi.

Il rifiuto da parte del Governo etiopico di attenersi a tale trattato era all'inizio di una serie di atti ostili che sboccarono nel conflitto armato del 1895-96 le cui infauste vicende limitarono il nostro dominio nell'Africa O. alla sola fascia costiera dell'altopiano etiopico e del bassopiano somalo galla.

Dopo il 1896 Italia iniziò verso Etiopia una politica di amicizia nella quale perseverò pazientemente per quaranta anni, cercando invano di fronte alla crescente ostilità etiopica di creare i presupposti di una proficua collaborazione economica, indispensabile per le nostre colonie.

Il Governo fascista ad onta di ciò volle compiere un nuovo 'leale tentativo per stabilire rapporti durevoli e fecondi con l'Etiopia e concluse il Trattato di amicizia del 12 agosto 1928. Con questo trattato e la convenzione stradale annessa l'Italia concedeva al Governo etiopico una zona franca nel porto di Assab che avrebbe dovuto essere congiunta con una strada camionabile a Dessié, mercato centrale dell'Abissinia.

Mentre tale trattato avrebbe dovuto riservarle una situazione di privilegio nello sviluppo dell'Impero etiopico, politica di quest'ultimo ha reso vano ogni nostro tentativo di pacifica collaborazione. Anzi al riparo del trattato stesso l'Etiopia ha perseguito una politica subdola di inimicizia e di ostilità, il cui spirito aggressivo nei nostri riguardi è andato crescendo con il ripetersi delle nostre prove di amicizia e di rispetto per la sua indipendenza.

Dal 1923 ad oggi dobbiamo lamentare più di novanta incidenti gravi o gravissimi, in cui sudditi etiopici e talvolta reparti militari etiopici hanno inferito contro le popolazioni nostre suddite uccidendo, depredando e razziando. Va ricordato inoltre che l'Etiopia ha colto ogni occasione in cui l'Italia era impegnata altrove (durante occupazione Libia, nel 1915 durante la guerra mondiale, nel 1925 durante operazioni pacificazione Somalia, per tentare di aggredirci, obbligandoci a distrarre forti contingenti di truppe per fronteggiare il pericolo.

Tali tentativi sistematici di aggressione, rappresentano un motivo di grave allarme per la sicurezza delle nostre colonie, specialmente da quando l'Etiopia, al riparo del Trattato di amicizia ha iniziato un vasto programma di armamenti dedicandovi quasi tutte le risorse dello Stato, armamenti che non potevano essere diretti che contro l'Ita1ia come l'aggressione di Ua-Ual preparata di lunga mano, ha nuovamente dimostrato.

I gravi numerosi incidenti passati e le circostanze dell'atto di aggressione di Ual-Ual chiariscono la condotta di questo nemico insidioso e la si

tuazione di grave pericolo in cui si trovano le nostre colonie. Perciò il R. Go

verno ha adottato dei provvedimenti militari che tendono a dare ai nostri

possedimenti delle garanzie definitive di sicurezza. È stato osservato che la ri

soluzione dell'Italia di difendere anche se necessario con la forza delle armi,

i propri diritti e interessi sia in contrasto con gli impegni del Covenant e del

patto Briand-Kellogg.

Giova a tale riguardo osservare:

-che ammissione Etiopia alla S.d.N. è avvenuta con suo impegno adempiere a determinate condizioni. Nessuna di queste è stata adempiuta. Etiopia è notoriamente paese a economia schiavista con 2 milioni di schiavi, fornitrice migliaia schiavi che annualmente vengono venduti in Arabia in condizioni di riconosciuta barbarie e incapacità far rispettare sue leggi nella maggior parte territorio.

-che l'Abissinia partecipò al Patto Kellogg in quanto già ammessa alla

S.d.N. ma avere firmato quel trattato non può costituire per Abissinia ragione di impunità per gli innumerevoli attentati da essa commessi.

Nelle note scambiate prima della conclusione di tale patto nulla è detto che restringa diritto di legittima difesa ed il Governo italiano vi ha aderito in relazione anche alle riserve fatte da altri Stati che dichiararono che non sarebbe stato tollerato da parte di essi alcun intervento in alcuna regione del mondo di interesse speciale e vitale per loro sicurezza. Il Governo italiano considera pertanto un'eventuale sua azione di forza verso Etiopia come avente pienamente carattere di legittima difesa in una regione di interesse speciale e vitale per la pace e la sicurezza italiana.

Dalle considerazioni che precedono emerge:

l) -priorità e preminente diritti e interessi italiani in Abissinia che risale a parecchi decenni, e che vi si era politicamente affermata in base al trattato di Uccialli, preminenza del resto riconosciuta da altre Potenze aventi interessi nell'Africa Orientale Francia e Gran Bretagna (con accordi del 1891, 1894 Tripartito -scambio di lettere del 1925);

2) -che dopo primo tentativo dar forma concreta a tali, nostri diritti e interessi mediante occupazione militare, rapporti italo-etiopici entrarono in una nuova fase tendente a realizzare propri fini in via pacifica, fase intensificata dal Governo fascista;

3) -che alla nostra politica di amicizia, prevalente in tale seconda fase dei rapporti italo-etiopici, l'Abissinia ha risposto in modo negativo, non solo, ma aggressivo;

4) -che pertanto mentre ogni tentativo di collaborazione economica italo-etiopica può considerarsi definitivamente fallito, non è più pensabile neppure la continuazione da parte italiana di un contegno passivo e tanto meno remissivo perché a) gli abissini si sono potentemente armati; b) loro intolleranza e odio verso stranieri e particolarmente per noi è in continuo aumento; c) perché nostra smobilitazione darebbe agli abissini sentimento orgoglio e aumenterebbe talmente loro albagia che né italiani, né altri bianchi potrebbero più soggiornare in Abissinia; d) Governo italiano ritiene che, contrariamente all'affermazione secondo la quale un conflitto italo-etiopico costltuirebbe un incitamento ai sentimenti nazionalisti delle popolazioni indigene africane non grave pericolo per le Potenze coloniali, tale pericolo sarebbe ben maggiore se, di fronte alla tracotanza etiopica, non venisse riaffermato il prestigio di una grande Potenza coloniale quale l'Italia. L'Italia non intende certo dare ad un conflitto italo-etiopico un carattere di un conflitto di razza,

o di un conflitto fra popoli di diverso colore, ma ritiene indispensabile di imporre proprio prestigio di fronte ad uno stato che costituisce ormai ultimo esempio di barbarie e di schiavismo.

Tanto in precedenti scambi di idee quanto nelle recenti trattative Parigi, i vari progetti per risolvere situazione creatasi nei rapporti italo-etiopici si fondavano sostanzialmente sulla conclusione di nuovi accordi con Etiopia. Governo italiano, per esperienza, ormai di lunghi anni, ritiene che qualunque nuovo accordo con Etiopia non verrebbe da questa rispettata e rimarrebbe come precedenti senza alcun risultato pratico. Ciò che obbligherebbe fra qualche tempo l'Italia a riprendere le stesse misure di quelle che ogg,i è stata costretta di adottare. Tali sforzi non si ripetono. L'Italia d'altra parte non intende dare nuovamente credito all'Etiopia. La situazione in sostanza è tale che Governo italiano ritiene assolutamente indispensabile di risolverla ora in modo definitivo;

5) Governo italiano non crede con ciò di far cosa contraria ai principi su cui si basa la S.d.N. né intende diminuire propria collaborazione al principio sicurezza collettiva, perché sua azione è rivolta contro uno Stato cui esistenza e attività nulla hanno a che vedere con tale principio. Non ammettere tale nostra posizione significherebbe dare all'Etiopia impunità per sua azione presente e possibilità costituire pericolo sempre maggiore per l'avvenire, soltanto per voler difendere principi di cui Abissinia prafitta senza essere in grado dare alcun apporto fattivo a comunità nazioni civili.

Governo italiano, non intende violare trattati esistenti. Ma è suo fermo proposito non ammettere che a questi venga data interpretazione che gioverebbe unicamente coprire preparazione militare etiopica ed evitare che Italia possa raggiungere quei limiti di sicurezza che essa ha al pari degli altri Stati diritto per poter portare alla sicurezza collettiva delle nazioni civili tutto peso e forza propria collaborazione.

Tali considerazioni è opportuno V. E. esponga nel modo che giudicherà migliore a codesto Governo per chiarirgli atteggiamento attuale da noi assunto verso Etiopia, per far sì che codesto Governo in relazione prossima riunione Ginevra abbia a rendersi conto delicata situazione in cui siamo venuti a trovare!, non per nostra colpa, in Africa Orientale e della necessità per Italia di risolvere in modo definitivo tale situazione.

V. E. vorrà aggiungere che Governo italiano confida che codesto Governo prima di prendere qualsiasi decisione circa proprio atteggiamento nella prossima riunione Ginevra, vorrà dare istruzioni alla sua delegazione di prendere contatto con delegazione italiana, la quale fornirà ogni ulteriore opportuna informazione atta a chiarire punto di vista italiano (1).

T. -1540/C.R., per il quale vedi D. 804, nota l p. 826.
(l) -Vedi D. 808. Il presente documento reca il visto di Mussolinl. (2) -Il telegramma era pure destinato a-lle ambasciate a Varsavla, Shanghai e Mosca, alle legazioni a Baghda-d, Teheran, Capetown, Copenaghen, Osio e Stoccolma e ai consolati generall a Wellington, Ottawa e Camberra. (l) -Con T. 1541/C.R. del 31 agosto 1935, ore 2, suvlch comunicava la seconda frase del
811

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'INCARICATO D'AFFARI A KAUNAS, ROSSI LONGHI

T. 1502/15 R. Roma, 25 agosto 1935, ore 2.

Questa Ambasciata d'Inghilterra ha pr.oposto che Rappresentanti Potenze garanti si accordino per recarsi di tanto in tanto a Memel, individualmente, allo scopo di seguire gli sviluppi della situazione. In caso di speciali incidenti ed eventualmente in occasione delle elezioni, potrebbe essere opportuno che i rappresentanti delle tre Potenze garanti vi si rechino insieme.

Governo britannico ha anche proposto che i Rappresentanti delle Potenze garanti a Kaunas si tengano in stretto contatto fra di loro per scambiarsi informazioni sulla situazione a Memel.

E' stato risposto in modo generico a questa Ambasciata britannica che R. Governo non ha obbiezioni impartire suo Rappresentante Kaunas istruzioni in tal senso. Visite individuali sono naturalmente da preferire.

812

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI

T. 4952 R. (1). Riccione, 25 agosto 1935, ore 13,10.

Dica ad Aras che recentissimo atteggiamento obiettivo taluni giornali turchi mi ha favorevolmente impressionato. Mio atteggiamento amichevole nei confronti Turchia rimane immutato e sono disposto a rafforzarlo. Misure nel Dodecanneso molto modeste non hanno alcuno scopo antiturco ma sono imposte dalla situazione quale si è determinata coll'inasprimento dei rapporti itala-inglesi (2).

813

IL MINISTRO A BERNA, MARCHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4962/69 R. Berna, 25 agosto 1935, ore 21,05 (per. ore 1,30 del 26).

Aldrovandi comunica quanto segue:

« 4 -Tenuto stamane domenica ore 9 riunione della Commissione:

Lessona ha fatto eccellente esposizione conclusioni italiane.

Jèze replica obbiettando tre punti essenziali:

l) perché nuova versione primo colpo di fucile, cioè tirato contro la sentinella italiana, fu fatta presente ora soltanto da testimonianze e perché medesima tuttora vivente non fu da noi prodotta;

(l} Ritrasmesso da Roma ad Ankara con T. 11898/92 P.G. del 25 agosto 1935, ore 20.

2) lettere trovate in campo nemico e prodotte soltanto Aja e delle quali, non contestando autenticità, non sono sufficienti comprovare; 3) ha cercato criticare e deformare deposizione Governatore Rava del quale indagini minuziose contesta minima lealtà e buona fede.

Dopo di che Commissari di parte etiopica hanno voluto sentire un Dubat che non era stato udito ieri e nuovamente Cimmaruta e Porru su questione dettagli.

Invierò appena possibile resoconto stenografico riunione Berna.

Partiamo questa sera per Parigi.

Domani lunedì quattro arbitri formuleranno ciascuno per suo conto primo tentativo sentenza. Martedì ci riuniremo a quattro per conoscere punto d'accordo o di divergenza.

De La Pradelle mi ha informato in via confidenziale che Politis pretenderebbe essere eventualmente chiamato ad intervenire al più tardi martedì a mezzogiorno , (l).

(2) Per la risposta di Galli vedi D. 825.

814

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BERNA, MARCHI

T. s. 1505/97 R. Roma, 25 agosto 1935, ore 24.

Prego comunicare in via segreta agli arbitri italiani nonchè all'Agente del

R. Governo nella Commissione italo-etiopica seguente telegramma:

«Segreto. In relazione linea di condotta che R. Governo si propone di seguire nella prossima sessione del Consiglio della S.d.N. iniziantesi il 4 settembre, interessa che la sentenza definitiva circa l'aggressione di Ual-Ual e incidenti successivi non (dico non) sia ancora emessa per la data del 4 settembre, ma sia invece resa alcuni giorni più tardi».

815

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

L. P. Riccione, 251igosto 1935.

Nei giorni che ci separano dal 4 settembre, data di convocazione del Consiglio della Lega delle Nazioni, al quale interverremo, Ella deve essere l'Angelo Custode di Lavai.

Senza avere l'aria di ossessionarlo, V. E. lo deve convincere che la questione più urgente è quella di evitare un urto fra Italia e Gran Bretagna. Tale urto potrebbe significare l'Anschluss e in poche settimane una Germania con 80 milioni di abitanti, ai confini dell'Ungheria, oltre al crollo della S.d.N.

L'Italia può reggere sul fronte eritreo e su quello del Brennero, a condizione che non vi si aggiunga il fronte idro-marittimo del Mediterraneo; il g<iorno in cui questo avvenisse e cioè l'Italia fosse impegnata su tre fronti, in uno di essi -quello del Brennero -dovrebbe mettersi sulla difensiva, davanti all'inevitabile putsch interno o anche alla irruzione delle legioni austriache che la Germania non ha mai disciolto.

Inghiottita l'Austria, la capacità di resistenza della Cecoslovacchia sarebbe annullata o quasi: queste sarebbero le prime conseguenze di un conflitto italoinglese: cioè un accrescimento enorme ed immediato della potenza germanica.

Trovi modo anche di dire, senza aver l'aria di avanzare ufficialmente la proposta, che il governo italiano non è alieno dal considerare l'utilità di inglobare in un patto politico di più vasta portata (che potrebbe assumere il carattere di una alleanza militare difensiva fra i due paesi) gli accordi firmati dagli Stati Maggiori dell'Aria e dell'Esercito.

Riassumendo: gli obiettiv-i della nostra politica, nel prossimo tempo, sono di assicurarci la solidarietà della Francia, per isolare l'Inghilterra sul terreno delle «sanzioni :. societarie.

Voglia anche lasciare comprendere a Lavai che gli Stati Maggiori italiani considerano con calma la eventualità di un conflitto italo-inglese, data la nostra superiorità in aerei e sottomarini e la nostra posizione geografica. Tuttavia, anche per le sue ripercussioni sul fronte danubiano, tutti -io per primo -lo deprechiamo.

Mi tenga informato.

(l) Il presente documento reca 11 visto di Mussolln!.

816

L'INCARICATO D'AFFARI A TEHERAN, TELESIO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9244/90 P. R. Teheran, 26 agosto 1935, ore 20,10 (per. ore 24).

Telegramma di V. E. n. 70 (1).

Delegazione irachena ha lasciato Teheran stamane.

Ministro degli Affari Esteri mi ha dichiarato che le due parti sono riuscite a mettersi d'accordo su principio di massima e che il seguito delle discussioni sarà rivolto a definire le questioni di dettaglio.

Egli mi ha detto di avere telegrafato oggi al Ministro dell'Iran a Roma, dandogli istruzioni affinché il relatore sia messo al corrente dello stato delle trattative.

S. -E. Kazemi mi ha pregato di volere ancora una volta esprimere sentimenti di viva riconoscenza a S. E. Aloisi aggiungendo che l'opera del relatore ha facilitato il compito dei delegati nelle recenti conversazioni dirette.

Il Ministro degli Affari ·Esteri dell'Iraq sarà a Ginevra verso il 5 o 6 settembre e quello dell'Iran, il quale partirà il l o settembre, conta trovarsi colà verso il 9.

(l) -Vedi D. 796.
817

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5003/164 R. Istanbul, 26 agosto 1935, ore 21,30 (per. ore 1,45 del 27).

Mio telegramma n. 163 e mio rapporto n. 830 (1).

Aras dettomi oggi che dal punto di vista puramente turco era interesse che divergenza itala-inglese non si accrescesse pericolosamente a vantaggio di chi può profittare di un mutamento di equilibrio in Mediterraneo.

D'altro canto egli avrebbe inspirato sua condotta Ginevra a sua amicizia per l'Italia ed allo scopo assicurare ogni maggior vantaggio in Abissinia senza spingere situazione alla guerra che egli si ostina a ritenere non essere un dogma per S. E. il Capo del Governo, ma solo ultimo mezzo di pressione.

A Ginevra egli non avrebbe esercitato alcuna attività appariscente ma solo agito fra le quinte per trovare compromesso che [sia di] più onorevole soddisfazione per l'Italia, la quale poi, rinnovando punto di partenza, avrebbe potuto sviluppare situazione secondo suo massimo programma; e essendo bene informato dello spirito regnante Londra e conoscendo esattamente proposte inglesi e nello stesso tempo domande minime fatte a Parigi, riteneva che a proposte inglesi (ostilità a smilitarizzazione completa Abissinia) avrebbesi potuto aggiungere smilitarizzazione della massima zona interessante Italia, cui S.d.N. avrebbe potuto affidare controllo militare più un largo diritto di mantenere ad Addis Abeba un nucleo militare per Legazione. Così Italia avrebbe potuto intanto ritirare truppe superflue a difesa colonie e controllare zona.

Tale sua suggestione non aveva ancora comunicata a nessuno. Ma egli si sarebbe continuato ad ambientare per giudicarla se attuabile ed avrebbe vivamente desiderato conoscere se S. E. il Capo del Governo la riteneva possibile base dei negoziati. Pronto anche ad adattarla possibilmente si sarebbe subito messo in contatto con Eden, Lavai, Litvinov.

Non ha celato sua speranza essere nominato relatore della questione e ha manifestato desiderio incontrarsi con Aloisi prima di Ginevra.

Vedrà V. E. [se] e quanto convenga sfruttare l'ambizione di Aras e se io debba fargli qualche comunicazione prima della sua partenza per Ginevra. Aras lascerà Stambul il 29 sera per Bled e partirà da Bled il 2 settembre sera per passare da Milano il 3 settembre.

(l) Non pubblicati, ma vedi D. 730.

818

IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5053/017 R. Durazzo, 26 agosto 1935 (per. il 29).

Mio telegramma per corriere n. 016 (1).

Situazione sembra vada normalizzandosi. Oggi è stato tenuto un lungo Consiglio dei Ministri sotto la presidenza del Re. Situazione interna, relazioni con l'Italia e questione scuole greche sono stati argomenti esaminati. Secondo mi viene riferito, per situazione interna avrebbe finito col prevalere consiglio moderazione nell'opera di repressione, pur tenendo conto necessità di alcuni esempi per i principali responsabili. Circa relazioni con l'Italia il Re avrebbe esposto con particolare favore dichiarazioni da me recentemente fattegli (2) e suo intendimento darvi concretamente seguito. Per le scuole greche sarebbe stato deciso accogliere, in vista prossima riunione assemblea Ginevra, richiesta greca sotto condizione reciprocità per scuole albanesi. Per scuole cattoliche, questione non essendo considerata minoritaria, si intende risolverla, secondo intesa con noi intervenuta, nel senso di una soddisfazione accordata all'Italia.

819

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 26 agosto 1935.

Il Signor Chambrun è stato a Parigi e a Aix les Bains. Ha trovato Lavai nelle migliori disposizioni verso l'Italia.

Lavai è perfettamente d'accordo nel considerare che lo scacchiere europeo non debba essere influenzato dall'azione in Africa, secondo quanto ha detto il Capo del Governo nella recente conversazione con Chambrun (3). Laval gli ha ripetuto quanto aveva detto al Barone Aloisi perché fosse riferito al Capo d~l Governo, che cioè egli, Lavai, intende rimanere fedele all'amicizia francoitaliana (4). C'è un punto però che la Francia non può superare anche nel quadro di questa amicizia: quello cioè di mettersi contro la Società delle Nazioni (dissocier la France de la Société des Nations).

L'Ambasciatore Chambrun, recandosi dopo Parigi a Aix-les-Bains per le manifestazioni franco-italiane, aveva avuto da Laval l'autorizzazione a incontrarsi con Baldwin, che sta riposando appunto in quella località. Anzi Lavai gli aveva detto di trovar modo di fare apparire presente anche l'Inghilterra alle dette manifestazioni (Faites un peu de Stresa à Aix-les-Bains).

Chambrun dice che la conversazione con Baldwin gli ha dato l'impressione che ci sia la possibilità di un accordo con l'Inghilterra. Conoscendo egli le idee

58 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. I

del Signor Mussolini ed avendo parlato in questi giorni con Laval e con Baldwin,

ritiene che ci sia speranza di conciliare i diversi punti di vista.

La conversazione con Baldwin è stata tenuta nel tono più amichevole, dopo

la premessa dall'una parte e dall'altra che il colloquio non impegnava in nulla

e che ciascuno dei due parlava a titolo puramente personale.

Dopo pochi minuti la conversazione è stata portata sull'Italia. Baldwin ha affermato che l'Italia è stata sempre considerata in Gran Bretagna una nazione amica con la quale non ci sarebbe stata mai ragione di dissidi. L'amicizia della .Gran Bretagna verso l'Italia era sincera, senza secondi fini. Ora però l'atteggiamento dell'Italia verso l'Abissinia ha creato delle serie difficoltà. Una di queste difficoltà è rappresentata dalla reazione che l'azione italiana in Abissinia provocherà in tutti i paesi abitati da negri. Tanto l'Inghilterra che la Francia hanno molte colonie con popolazione negra e non possono non preoccuparsi di tali reazioni. Una seconda difficoltà è rappresentata dalle conseguenze che una azione italiana in Abissinia può provocare nei riguardi del Sudan e dell'Egitto.

L'Ambasciatore Chambrun ha osservato a questo punto che il Capo del Go

verno ha dichiarato in tutte le occasioni che intende mantenere gli impegni presi

per quanto riguarda gli interessi della Gran Bretagna e della Francia.

Baldwin ha soggiunto che però Mussolini svolge la propria azione senza tener conto dell'impegno preso cogli accordi esistenti, di consultarsi colla Francia e colla Gran Bretagna. Anche il modo come il Capo del Governo ha risposto alle proposte franco-inglesi di Parigi, che pure contenevano degli elementi meritevoli di attenta considerazione, ha impressionato sfavorevolmente il governo britannico. Anziché fare le osservazioni sui punti che secondo il governo italiano non andavano e quindi dare la possibilità di una discussione, l'ordine venuto da Roma è stato quello di respingere in blocco le proposte senza discutere. A questo punto Baldwin ha fatto una piccola digressione sugli inconvenienti delle dittature, concludendo in favore del regime parlamentare.

Chambrun gli ha osservato che le proposte a Parigi non erano state ben formulate: troppo lunghe, troppo giuridiche e mancanti di senso psicologico.

·Chambrun ritiene invece che la proposta dovrebbe essere ripresa su basi diverse: richiesta da parte dell'Abissinia alla Società delle Nazioni per essere aiutata nel compito di ricostruzione del Paese; decisione della Società delle Nazioni di demandare a Francia, Inghilterra e Italia la soluzione del problema; decisione delle tre Potenze di affidare il compito all'Italia senza parlare di protettorato né di mandato (che incontrerebbe delle serie difficoltà) e senza che l'Italia sia tenuta a rendere conto della sua missione.

Baldwin è stato a sentire l'esposizione di queste idee senza reagire in alcun modo. Non ha reagito neanche quando Chambrun ha fatto un accenno alla necessità da parte dell'Italia di una azione militare per cancellare la pagina di Adua. Egli ha chiesto a Chambrun se intendeva fare delle proposte nel senso suindicato.

Chambrun ha risposto che non ha alcuna veste per farlo.

Baldwin nel congedarsi ha augurato a Chambrun di riuscire nei suoi sforzi per trovare una soluzione al conflitto italo-etiopico.

L'Ambasciatore Chambrun, dopo avermi riferito tale colloquio mi osserva: che non ha nessun incarico da parte del suo governo di fare delle proposte. Anzi Lavai gli ha detto èhe non era intenzione del governo francese di prendere per il momento delle iniziative, ma di tenersi soltanto in contatto continuo col Governo italiano per conoscerne le idee e cercare di favorirle. Perciò quanto egli ha detto a Baldwin non rappresenta una proposta ma semplicemente l'esposizione delle sue idee sul modo come si sarebbe dovuta presentare la questione a Parigi. Egli pensa che la sua idea abbia questi vantaggi:

-fa intervenire la Società delle Nazioni soltanto per affidare la soluzione della vertenza a Francia, Inghilterra e Italia; -risolve la questione abissina al di fuori dell'Abissinia stessa; -dà un incarico all'Italia che può avere un'estensione e sviluppi della massima importanza; -evita di parlare di protettorato e di mandato, ciò che costituirebbe indubbiamente una difficoltà nelle discussioni di Ginevra.

Chambrun osserva anche che ciò rappresenta infinitamente di più di quanto non abbia ottenuto la Francia nella prima fase della questione marocchina, eppure la Francia ha avuto modo di soggiogare completamente il Marocco.

Ringrazio l'Ambasciatore per le informazioni fornitemi sull'interessante colloquio con Baldwin.

Per quanto riguarda le idee esposte dall'Ambasciatore Chambrun devo osservargli che esse non collimano col nostro punto di vista. Una procedura ginevrina nel senso da lui pensato porterebbe probabilmente le cose molto per il lungo. D'altra parte l'incarico che noi avremmo non sarebbe con probabilità di natura tale da darci la possibilità di prendere in Etiopia quelle garanzie (principalmente di carattere militare) che noi riteniamo indispensabili per poter svolgere qualunque azione di penetrazione.

L'Ambasciatore osserva che secondo lui l'Italia dovrebbe avere facoltà fin da principio di procedere a un parziale disarmo della popolazione, salvo poi a completare l'opera in un tempo successivo.

Osservo a Chambrun che a noi è difficile accettare una azione per tempi successivi, come ha fatto la Francia al Marocco (del resto il precedente del Marocco non calza, anche perché il Marocco non apparteneva alla Società delle Nazioni). Noi stiamo facendo uno sforzo eccezionale che deve conchiudersi con una realizzazione totalitaria. Non possiamo tener per degli anni delle centinaia di migliaia di uomini in un settore che dista dalla Madre Patria dai 4 agli 8 mila chilometri; né possiamo abbandonare l'impresa se non a realizzazione compiuta poiché qualunque nostra flessione dalla linea prefissaci ci obbligherebbe a ricominciare tutto da capo in un secondo tempo.

L'Ambasciatore comprende le nostre ragioni ma pensa d'altra parte che se noi volessimo procedere senz'altro alla conquista totale dell'Abissinia, incontreremmo veramente delle serie difficoltà da parte dell'Inghilterra. Egli pensa invece che dopo una prima vittoria militare nostra, che sarà certamente importante e clamorosa, ci sarà modo di riprendere le trattative, conciliando i nostri interessi africani col mantenimento della politica di Stresa in Europa.

Gli osservo che, come egli sa, noi siamo attaccati alla politica di Stresa e quindi non abbiamo nessun interesse a portare il dissidio nel settore europeo. Perciò, accettato il principio di una nostra azione in Africa, conviene darci la possibilità di liquidarla al più presto e nel migliore dei modi per non tenerci impegnati per un periodo troppo lungo fuori di Europa. Se si tratta di salvare la faccia alla Società delle Nazioni con dei procedimenti puramente formali che ci lascino la libertà di cui abbiamo bisogno nella questione di fondo, evidentemente noi non ci opporremmo. La nostra linea oramai è fissata. Compito della Francia è ora quello di persuadere l'Inghilterra a non opporsi alla nostra azione, evitando un conflitto italo-inglese che vorrebbe dire la fine dell'attuale sistema politico europeo. L'Italia è in grado di svolgere la propria azione militare in Africa e di mantenere la propria linea di difesa dell'Austria. Certamente le cose cambierebbero quando l'Italia fosse impegnata in un conflitto anche nel Mediterraneo. Un disaccordo fra le tre Potenze di Stresa vorrebbe dire in tali condizioni la possibilità della Germania di annettersi l'Austria, di aprirsi la via verso i Balcani e l'Oriente e di diventare la Potenza egemonica in Europa.

L'Ambasciatore Chambrun si rende conto di questo pericolo che minaccia tanto la Francia quanto l'Italia e perciò. egli spera che l'Italia anche da parte sua farà tutto il possibile per evitarlo.

Conchiudo dicendo che la buona volontà da parte dell'Italia non manca, premesso sempre che noi otteniamo la libertà che ci è assolutamente necessaria in Abissinia (l) .

(l) -Vedi D. 807. (2) -Vedi D. 806. (3) -Vedi D. 714. (4) -Vedl D. 773.
820

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DEL GIAPPONE A ROMA, SUGIMURA

APPUNTO. Roma, 26 agosto 1935.

L'Ambasciatore del Giappone mi consegna l'unita nota relativa ad un'altra pubblicazione sulla nota caricatura del Michado. Prega ancora insistentemente di dare disposizioni per evitare che la stessa sia ulteriormente diffusa data l'estrema suscettibilità dell'opinione giapponese al riguardo.

Lo assicuro che saranno date le opportune disposizioni.

Mi parla poi del fatto che i giornali giapponesi sono informati tendenziosamente sul punto di vista italiano nella questione etiopica. Ciò deriva dal fatto che i detti giornali non hanno propri corrispondenti in Italia ma si servono di notizie fornite da agenzie americane ed inglesi.

Per ovviare a questo inconveniente egli ha ottenuto che sia inviato a Roma come corrispondente particolare il corrispondente da Parigi della Asahi che è il più importante giornale del Giappone; chiede che il Capo del Governo voglia ricevere il detto corrispondente avvertendo che lo stesso il 4 settembre andrebbe a Ginevra per la Società delle Nazioni.

Gli rispondo che data l'assenza del Capo non mi pare facile che lo stesso

sia ricevuto prima della sua partenza per Ginevra.

L'Ambasciatore mi parla poi dell'accordo navale.

Lo informo che è in corso di trasmissione una nota alla Gran Bretagna sul

contenuto della quale lo metto sommariamente al corrente.

L'Ambasciatore chiede di avere copia di questa nota come ne ha avuta copia

dì quella francese.

Mi riservo di corrispondere a questo suo desiderio.

L'Ambasciatore mi chiede poi dell'Etiopia, mostrandosi edotto del nostro punto di vista che tende a liquidare la questione indipendentemente da Ginevra. Chiede soltanto se saranno garantiti i diritti di quei paesi che oggi con l'Etiopia hanno dei trattati di commercio. Ricordo che il Giappone nel Manciukuo ha garantito la porta aperta.

Gli rispondo che oggi non siamo in grado di discutere il problema nel concreto dato che non si sa quale sorte sarà riservata all'Etiopia, ma la nostra tendenza è quella di liquidare le nostre questioni con l'Abissinia salvaguardando nei limiti del possibile i diritti economici dei terzi Paesi.

ALLEGATO

L'AMBASCIATORE DEL GIAPPONE A ROMA, SUGIMURA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. 208. Roma, 24 agosto 1935.

Me référant à ma lettre n. 201 datée du 14 courant (l) concernant la question de la caricature de S.M. l'Empereur du Japon et à la conversation' que j'ai eu le meme jour à ce sujet avec S. E. M. Suvich, Sous-Secrétaire d'Etat aux Affaires Etrangères, j'a.i l'honneur d'attirer l'attention de V. E. à ce que le journal milanais Ambrosiano a publié doos son numéro du 20 courant la meme caricature.

Afin de prévenir toute répétition de ce genre, j'ai recours de nouveau à l'obligeance toute particulière de V. E. en la priant de vouloir bien intervenir auprès de autorités compétentes pour qu'elles prennent des mesures efficaces en vue d'interdire toute reproduction de la dite caricature.

(l) IJ presente documento reca 11 visto di Mussollni.

821

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'INCARICATO D'AFFARI DI POLONIA A ROMA, ZAWISZA

APPUNTO. Roma, 26 agosto 1935.

L'incaricato d'Affari di Polonia comunica che quest'anno scade il triennio per il quale la Polonia era stata eletta come membro semipermanente nel Consiglio della S.d.N.

Gli dichiaro che il nostro voto alla rielezione della Polonia è acquisito. Su sua domanda gli espongo il nostro punto di vista nella questione etiopica, mettendo in rilievo che una soluzione societaria, come quella patrocinata dal

l'Inghilterra, non potrà essere mai di nostra soddisfazione. Non intendiamo di accontentarci di promesse ma vogliamo andare a prendere per conto nostro le opportune garanzie, senza le quali non si farebbe che ripetere il giuoco dell'Abissinia che noi conosciamo già da troppi anni.

(l) Vedi D. 734, AllegatQ.

822

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 26 agosto 1935.

Le difficoltà del Patto danubiano per il momento (a parte la nota posizione della Germania) sono le seguenti: l) gli Stati della Piccola Intesa propongono: -o la conclusione immediata di patti di mutua assistenza e il totale riarmo dell'Austria e dell'Ungheria; -o il rinvio della questione dei patti di mutua assistenza e soltanto un parziale riarmo dell'Austria e dell'Ungheria. 2) Gli Stati della Intesa Balcanica chiedono da parte dell'Italia qualche patto che dimostri un avvicinamento dell'Italia verso gli stessi.

Per quanto riguarda il punto l) si potrebbe accettare per ora la seconda soluzione, salvo a premere per ottenere le migliori condizioni a favore dell'Austria e dell'Ungheria e in ogni caso il riconoscimento del principio della libertà di riarmo.

Se poi la Germania rifiutasse di partecipare al Patto, si potrà riesaminare

la questione della mutua assistenza «facoltativa~. nell'intento di risolvere radi

calmente la questione del riarmo dell'Austria e dell'Ungheria.

Per quanto riguarda il punto 2) la questione si riduce alla Turchia, per

chè con la Jugoslavia e con la Romania si farebbe già l'accordo danubiano e

quindi non c'è ragione che domandino degli altri Patti.

La Grecia poi non è in particolar modo· insistente. Ciò potrebbe indurci

ad accettare la proposta di Aras contenuta negli ultimi telegrammi di Galli (1),

sempre che i turchi dichiarino di non mettere altri bastoni tra le ruote del

Patto danubiano.

823

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA S.D.N., PILOTTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 925/847. Ginevra, 26 agosto 1935 (per. il 29).

Avenol mi ha parlato del prossimo Consiglio, esprimendo l'avv.iso (rispondente all'impressione generale di questi ambienti) che ormai il Governo francese non possa più nulla tentare per modificare il corso degli avvenimenti. Egli

non sa fin dove vorranno arrivare gli inglesi al Consiglio: suppone e teme che imposteranno la questione astratta del rispetto ai trattati (Patto della Lega, patti di condanne della guerra e delle conquiste territoriali, trattato tripartito del 1906 considerato come garanzia dell'integrità etiopica, trattato itala-etiopico del 1928), e domanderanno al Consiglio di pronunciarsi sulla illiceità della loro violazione, per poter poi fondare su tale pronuncia l'atteggiamento particolare che avranno deciso di prendere nei riguardi dell1talia.

Ora, secondo Avenol, gli inglesi si fanno illusioni se credono che la maggioranza o un numero notevole di membri della Lega li seguiranno in un atteggiamento ostile anche limitato ad interdizioni economiche, ma, se si contentano di agire da soli sulla base di una legittimazio~e astratta da parte del Consiglio, fanno un calcolo esatto, perché il Consiglio non potrà mai scindersi sul punto dell'inviolabilità dei trattati, che non è tanto una norma fondamentale di diritto, quanto un canone pratico della politica internazionale della maggior parte degli Stati, la Francia in prima linea. Tutt'al più vi saranno astensioni per motivi di opportunità, ma il principio sarà riaffermato. Dopo di che si svolgerà per proprio conto il conflitto itala-britannico, che è ormai il solo che importa, la questione abissina essendo passata in seconda linea secondo Avenol, e il Negus essendo ridotto alla parte di un re da giuoco di carte.

Avenol continua a credere che lo spostamento della questione si sarebbe dovuto da noi evitare portando ufficialmente avanti all'opinione internazionale 1a contestazione dell'indegnità etiopica, indegnità di duplice ordine, verso l'Italia, per le continue offese al trattato del 1928 e ai rapporti di buon vicinato, verso il mondo civile, per la cattiva amministrazione dei territorii di recente conquista abitati da razze non abissine. Pensa che ancora sarebbe utile tale contestazione, sia perchè renderebbe impossibile la posizione della pura questione astratta del rispetto ai trattati, sia perchè riporterebbe il Negus alla ribalta in non felici condizioni, sia infine perché dissocierebbe l'unità dello spirito pubblico inglese oggi, salvo voci isolate, concorde per ignoranza dei fatti a vedere nell'Italia un aggressore e nel negus il simbolo di una ingiusta persecuzione (l) .

824.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5014/514 R. Parigi, 27 agosto 1935, ore 13,35 (per. ore 15,30).

Aldrovandi comunica quanto segue:

«N. 1. Poichè non ci vengono comunicate, ignoriamo quali gravissime ragioni abbiano improvvisamente determinato contenuto del telegramma ministeriale n. 97 (2) che ci viene ritrasmesso da R. Legazione Berna ove ftt erroneamente inviato e ci è giunto nella notte di oggi martedì.

Mentre agiremo in conformità tale contenuto, non ci nascondiamo grandi difficoltà che incontreremo e, a parte nostra situazione personale che naturalmente trascuriamo, ci rendiamo conto dei pericolo di un nostro ostruzionismo dell'ultima ora che potrebbe essere agevolmente sfruttato contro l'Italia dai nostri avversari e interpretato o fatto interpretare, tra l'altro, come nostra convinzione di torto e timore di giudicato a noi sfavorevole.

Occorrerà ad ogni modo che intanto sia disposto che i t~stimont, .e in ispecie Cimmaruta, continuino rimanere a nostra disposizione per eventuale supplemento d'istruzione sia a richiesta agenti R.R. Governo sia innanzi quinto Arbitro. Aldrovandi, Montagna, Lessona, (1).

(l) Vedi D. 778.

(l) -Il presente documento reca il Visto dl Mussollni. (2) -Vedi D. 814.
825

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9247/167 P. R. Ankara, 27 agosto 1935, ore 14,30 (per ore 15,10).

Telegramma di V. E. n. 92 (2).

Ho fatto ieri ad Aras la comunicazione di S. E. il Capo del Governo.

Aras mi ha incaricato di esprimere i suoi calorosi ringraziamenti e l'assicurazione del suo vivo desiderio di rafforzare legami italo-turchi.

Ha espresso la speranza di aver risposta alla proposta fatta il 19 (tele

grammi per corrieri nn. 041 e 042 (3) e confermato il proposito volere adope

rarsi, nel limite dei suoi mezzi, per il componimento del conflitto itala-abissino

con piena soddisfazione per l'Italia.

826

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5031/516 R. Parigi, 27 agosto 1935, ore 20,30 (per. ore 22,30).

Aldrovandi comunica quanto segue:

«2. Tenuta stamane (4) riunione privata fra quattro arbitri. De La Pradelle ha fatto lunga esposizione esaminando due punti che, a suo avviso, dovrebbe considerare nostra sentenza:

l) giuridico. Egli considera che nemmeno nostro "possesso" di Ual-Ual è un possesso legittimo specie a causa precarietà; ma poichè Commissione non è stata autorizzata trattare questione appartenenza, egli sarebbe disposto "in caso di sentenza comune " ad abbandonare questione del possesso motivando che " poiché non possiamo esprimerci sul punto di vista della sovranità, non

(-4) Il 26 agosto.

possiamo neppure esprimerci sul possesso". Potter ha sostenuto con maggiore asprezza teoria di La Pradelle, finendo però col concordare con lui per soluzione indicata in caso di sentenze comune ";

2) di fatto. De La Pradelle ha lungamente esaminato tale questione. Ha constatato divergenze insanabili nelle due versioni italiana ed etiopica. Di poi in via assolutamente personale e confidenziale, ha mostrato di accostarsi a quanto ha detto Governatore Rava e cioè che gli avvenimenti Ual-Ual possono forse riallacciarsi a politica di accerchiamento britannica. Truppe etiopiche sarebbero state "longa manus" del Colonnello Clifford, che le avrebbe appositamente lasciate sui posti. Risulta d'altronde che Clifford mai le inquadrò come scorta.

Ciò detto, La Pradelle ha concluso che, in caso di sentenza comune, dato che non si è potuto raggiungere e non è ragg~ungibile prova del fatto dell'aggressione, nè da parte italiana, nè da parte etiopica, egli tenderebbe a scaricare dalla responsabilità l'Etiopia senza mettere in causa l'Italia. P0tter ha aderito al punto di vista La Pradelle.

Per incidente di Ado La Pradelle e, con maggiore asprezza Potter, hanno mostrato di condannare azione italiana, pur essendo pronti a tacerne in caso di sentenza comune.

Naturalmente Montagna ed io ci siamo espressi in modo assolutamer.te contrario alle argomentazioni dei due arbitri di parte etiopica ed eziandio alle loro proposte.

Pomeriggio di oggi è stato riservato approfondire proposte presentate stamane. Non vi sarà quindi la riunione. Riprenderemo sedute domani mattina in riunione dei quattro arbitri. Se disaccordo si manterrà e si preciserà ancora più, non resterà che procedere alla nomina del quinto arbitro.

Montagna ed io abbiamo avuto impressione netta che La Pradelle, a meno che non finga, desidererebbe evitare intervento Politis; e ciò perchè ne tema decisione sia forse ancora più perchè, per vanità, vorrebbe impedire intervento quinto arbitro che diminuisce sua propria importanza.

Politis sembra invece continui ad avere contatti con Jèze. Aldrovandi » (1).

(l) -Con T.s. 1518/502 R. del 27 agosto 1935, ore 24, Suvich rispose: «Confermando contenuto telegramma n. 97 del 25 corrente circa nostro interesse ritardare sentenza definitiva per Ual-Ual, è ovvio che non deve da parte nostra darsi impressione di ricercare pretesti onde rallentare ritmo lavori Commissione ». (2) -Vedi D. 812. (3) -Vedi D. 778.
827

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5034-5042/154-155 R. Bruxelles, 27 agosto 1935, ore 20,55 (per. ore 2 del 28).

Mi riferisco al mio telegramma n. 151 (2).

Come prevedevo, i sondaggi di questo Primo Ministro presso suoi colleghi del Governo hanno incontrato opposizione all'eventuale accoglimento di una nostra richiesta di protezione degli interessi e dei sudditi italiani in Etiopia in caso di ritiro delle nostre Rappresentanze.

Egli mi ha oggi informato infatti che la maggioranza dei predetti colleghi (socialisti e democratici cristiani) considera non poter il Belgio, finchè permanga la prospettiva di una discussione del conflitto itala-etiopico a Ginevra, assumere in anticipo degli impegni inerenti al conflitto stesso senza contravvenire ai suoi obblighi di membro della S.d.N.

Avendogli io subito ribattuto che la protezione degli interessi di un Paese amico, in caso di rottura delle sue relazioni diplomatiche e consolari con un altro, è una istituzione secolare di diritto internazionale, la quale esula com, pletamente dalle disposizioni del Covenant ed è determinata eventualmente a sopravvivergli, egli mi ha lasciato intendere, in via confidenziale, che personalmente non si ricusa a condividere tale opinione, ma che non travasi in grado di imporla alla suddetta maggioranza dei colleghi, dal cui appoggio dipendono (ciò che pur troppo è. esatto) le sorti dell'intero programma politico da lui intrapreso.

Ho allora insistito dimostrandogli che la competenza esclusiva della S.d.N. in merito al conflitto itala-etiopico non risulta affatto essere norma costante del G·?verno belga, come è stato provato dalla circostanza che esso Governo mi ha dichiarato bastare la richiesta delle «sole Potenze interessate» per indurlo a lasciare i propri ufficiali in Etiopia, anche dopo lo scoppio delle ostilità, con funzioni di polizia (1).

Tale argomento ha fatto riflettere il mio interlocutore il quale mi ha risposto che, a rigore, i suoi colleghi recalcitranti potrebbero essere da lui indotti a desistere qualora egli fosse autorizzato ad affermare che Francia e Inghilterra non avrebbero nulla in contrario all'accoglimento della nostra richiesta, aggiungendo però che una assicurazione del genere dovrebbe essere data al Governo belga e non da esso richiesta per non esporsi ad un rifiuto eventuale.

Da ciò emerge la seconda cagione della renitenza del signor van Zeeland ad accontentarci, ossia il dubbio di fare cosa non gradita all'Inghilterra, la quale è la Potenza firmataria di Locarno su cui il Belgio fa in pratica affidamento assai maggiore che sulle altre.

Naturalmente mi sono limitato a replicare che non mi era lecito nè mi curavo di discutere sulla opportunità di pressioni od autorizzazioni straniere e che, mentre prendevo atto delle favorevoli disposizioni personali del Primo Ministro, non potevo nascondergli che meglio gioverebbe ai buoni rapporti fra i nostri due Paesi in questo momento che egli fosse in grado, come ebbi a dirgli, di darmi una risposta puramente e semplicemente affermativa.

A parte ciò, ritengo mio dovere prevenire V. E. (in caso Ella giudicasse indispensabile poter contare sul Belgio per la protezione dei nostri interessi in Etiopia) che il consenso di questo Governo sarebbe probabilmente acquisito se il Governo francese, nella sua attuale funzione di mediatore, facesse qui conoscere anche a nome di quello britannico di non avere nulla in contrario.

(l) -Il presente documento reca 11 visto di Mussol1n1. (2) -Con T. 5012/151 R. del 26 agosto 1935, ore 1,45, VannutelU. aveva rlfe.rlto sull'esecuzione delle istruz.ioni di cui !111 D. 805.

(l) Con i TT. 4768/145 R. e 4868/148 R. rispettivamente del 18 agosto 1935, ore 13;55, e del 22 agosto 1935, ore 13,48, Vannutelli aveva comunicato l'accoglimento da parte del Governo belgadella richiesta britannica e francese, alla quale aveva poi aderito anche l'Italia, relativa al con!erimento di funzioni di polizia agli uffic-iali belgi in Etiopia.

828

L'INCARI!CATO D'AFFARI A STOCCOLMA, SERENA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5066/79 R. Stoccolma, 27 agosto 1935, ore 22,10 (per. ore 3,05 del 28).

Telegramma di V. E. n. 1499/C (1).

In vista della riunione domani quattro Ministri Affari Esteri nordici a Oslo, ho creduto opportuno di intrattenere subito questo Governo secondo le istruzioni impartitemi.

Non essendo possibile vedere in giornata il signor Sandler, che è stato fino ad ora assente e che torna a Stoccolma soltanto nel pomeriggio per partire questa sera per Osio, ho avuto stamane conversazione con Segretario Generale questo Ministero degli Affari Esteri.

A questi ho illustrato nostro deciso atteggiamento consegnando anche un promemoria nel quale ho fissato principali punti e dati.

Tenendo conto neutralità locale, ho particolarmente sottolineato nostra intenzione non violare Trattati esistenti, purchè ad essi non si voglia dare interpretazione che gioverebbe unicamente coprire preparazione Etiopia ed eviterebbe a noi possibilità raggiungere limiti sicurezza indispensabili per apportare sicurezza collettiva peso nostra collaborazione.

Ho aggiunto che R. Governo confida che il Governo svedese, prima di prendere una decisione circa suo atteggiamento, vorrà dare istruzioni propria Delegazione Ginevra prendere contatti con la nostra.

Segretario Generale mi ha vivamente ringraziato per le comunicazioni fattegli e mi ha assicurato che avrebbe riferito al signor Sandler prima della sua partenza. Mi ha pure dichiarato che il Governo svedese non sarebbe stato in grado concretare proprio atteggiamento se non dopo riunione del Consiglio S.d.N., nel quale -come è noto -Svezia non è rappresentata. Comunque nostri chiarimenti -ha detto -saranno molto utili al Ministro per lo scambio di idee di Osio, al quale prevedibilmente si ispirerà atteggiamento Delegato danese in seno Consiglio.

829

IL MINISTRO AD OSLO, RODDOLO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5080/103 R. Oslo, 27 agosto 1935, ore 22,50 (per. ore 3,05 del 28).

Ho presentato a questo Ministro degli Affari Esteri riassunto di cui telegramma di V. E. n. 1499/C (1), lasciando in sue mani mia lettera in cui ho accennato quegli argomenti che, data la sua mentalità e le sue tendenze, più potevano impressionare.

Nel corso della conversazione avuta con lui e in conversazioni alti funzionari del Ministero degli Affari Esteri, ho creduto poi in via amichevole dire che il Governo fascista andava a Ginevra non per far colpo di scena, ma per

offrire in tutti i campi la sua fattiva collaborazione ed un suo fattivo contributo al mantenimento della pace in Europa.

Governo fascista non rifiutava trovare ancora Ginevra quella soluzione che potrebbe conciliare suoi legittimi interessi con quelli altre Potenze, non ~sclusi interessi quelle Potenze che, come Norvegia, si preoccupano possibile ripercussione europea di una azione che, nel pensiero del Governo fascista, doveva e poteva mantenersi circoscritta. Ripercussione in Europa non avrebbe potuto mai imputarsi al Governo fascista.

Il pericolo trovansi piuttosto a Ginevra, se Ginevra non potesse più reagire alla sua peggiore degenerazione di istrumento asservito a particolari interessi egemonici di qualche Potenza o gruppi di Potenze; non solo Italia non avrebbe mai potuto accettare giudizio ma, nel suo sincero spirito collaborazione tra le Potenze civili, non avrebbe neppure accettato rinunzia o compromessi che, a breve scadenza, riuscirebbero ben più pericolosi e temibili per la tranquillità europea.

Coloro che stavano per recarsi a Ginevra assumevano davanti Paese e mondo ben gravi responsabilità.

Non era questo momento in cui considerazioni politica interna, preoccupazione opinione pubblica male illuminata, avrebbero potuto giustificare atteggiamenti preconcetti o dissensi di avventati che ricadrebbero poi su chi [ha tanto a cuore] deboli da anteporre considerazioni particolaristiche a ,grave responsabilità internazionale.

Ho aggiunto conoscere che Governo fascista disdegnava apparenze e ho assicurato che sua azione sarebbe stata rettilinea come lo è stata sempre, quando grandi interessi internazionali sono stati in giuoco.

Aver potuto chiarire punto di vista italiano alla vigilia riunione Osio dei quattro Ministri degli Affari Esteri nordici è stata ottima cosa. Ha molto favorèvolmente impressionato a nostro favore invito rivolto alla Delegazione norvegese di prendere [contatto] a Ginevra colla Delegazione italiana.

Ricordo ad ogni buon fine, affinché Delegazione italiana voglia tener presente, che tecnico Delegazione norvegese Ginevra sarà signor Skylstad, direttore servizi Società delle Nazioni di questo Ministero.

Ho l'impressione che questo Ministro degli Affari Esteri non pregiudicherà situazione, la quale rimane tuttavia sfavorevole in questo settore. Temo soprattutto pregiudizievole partito del signor Koht e prospetto possibile anglofilia del Ministro norvegese a Londra, signor Colban.

(l) Vedi D. 810.

830

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 5037/519-520 R. Parigi, 27 agosto 1935, ore 23,55 (per. ore 4,10 del 28).

Questo Ambasciatore d'Inghilterra aveva chiesto fin dal 23 corrente di vedere Presidente del Consiglio, dichiarando che non si trattava però di cosa urgente. Lavai lo ricevette nel pomeriggio odierno prima di me. Clerk gli disse di non avere alcuna comunicazione da fargli, di avere desiderato vederlo solamente per chiedergli se e quali suggerimenti avesse da fare di fronte situazione creata dalla rottura delle conversazioni tripartite. Egli aveva risposto di essere andato tre giorni in campagna per riposo e di non avere quindi per il momento alcun suggerimento da fare. Clerk erasi limitato ad aggiungere che secondo le informazioni pervenutegli da Londra tutti i partiti politici sono concordi nel volere il mantenimento del fronte societario. Governo avrebbe quindi dovuto tenere conto di questa unanimità di vedute.

Lavai mi ha chiesto che cosa pensavo di quanto gli aveva detto mio Collega britannico.

Ho risposto di vedervi conferma dell'impressione riportata dal comunicato inglese alla stampa dopo il Consiglio dei Ministri della· scorsa settimana, che cioè il Governo inglese vuole mantenere aperte tutte le strade, non esclusa quella del ricorso alle sanzioni. Mi sono quindi espresso con Laval nel senso delle istruzioni impartitemi nella lettera di S. E. il Capo del Governo del 25 corr. (1), studiandomi di insistere sui vari punti a seconda delle reazioni del Presidente del Consiglio.

Lavai dice di non poter credere che l'Inghilterra pensi realmente di mettere fuoco alle polveri in Europa. E dopo le recenti dichiarazioni del Duce le sanzioni significherebbero la guerra, fossero esse la chiusura del Canale di Suez, a cui però non credeva ·che l'Inghilterra avesse mai pensato, oppure il blocco dei porti italiani. Si rende d'altra parte conto che l'Inghilterra non può consentire ad una ulteriore menomazione del prestigio della S.d.N. su cui ha basato tutta la sua politica degli ultimi quindici anni, non esclusa quella che ha ridotto Gran Bretagna nell'attuale miserevole stato di armamenti. Appunto per tali ragioni dovrà insistere sopra la propria politica di stretta adesione al Covenant.

Ho detto a Lavai che non vi è mezzo migliore per far crollare S.d.N., alla cui esistenza tiene moltissimo anche la Francia.

Continuando, Lavai mi ha detto che la sua posizione è di una delicatezza e difficoltà estrema perché egli rifiuta di dare propria adesione a qualsiasi provvedimento che possa umiliare o comunque offendere l'Italia, alla cui amicizia tiene immensamente. Allo stesso modo però non può pensare a qualsiasi cosa che possa suonare umiliazione per l'Inghilterra, essa pure amica della Francia.

Sua posizione è ancora più difficile di quella del Capo del Governo italiano, perché Duce può, come ha fatto, assumere atteggiamento intransigenza, appoggiato come è dal consenso di un Paese profondamente nazionalista, da Lui forgiato con tenacia ammirevole, mentre egli deve salvaguardare la pace in mezzo alle insidie dei partiti di vedute avverse..

Lavai mi ha chiesto se vedevo il modo di salvare S.d.N. a Ginevra il 4 settembre ed allo stesso tempo non scontentare né Italia, né Inghilterra.

Come idea personale ho risposto che occorrerebbe trovare una formula, la quale dichiarasse incompetenza della S.d.N. a dirimere divergenza italaetiopica.

(1} Vedi D. 815.

Lavai ha obbiettato che ciò gli sembrava difficile e che, ad ogni modo, il Consesso ginevrino ne sarebbe uscito assai diminuito moralmente. Egli mi domandò nella sua disperazione, non trovando modo di togliersi dalle ~ifficoltà, se non si sarebbe potuto inviare una Commissione nominata dalla S.d.N. sul posto come si era fatto nei precedenti casi in Cina e nel Chaco.

Mi sono ribellato energicamente a una simile idea e Lavai la ha subito lasciata cadere, insistendo anzi perché non la rilevassi affatto. La menzionò quindi soltanto a titolo di documentazione.

Mi domandò quindi che cosa stesse facendo Commissione d'Arbitrato. Ho risposto, in modo volutamente evasivo, che essa continuava suoi lavori, i quali avevano provato che vi era stata aggressione da parte abissina. Lavai ha osservato che al riguardo riteneva non vi potesse essere dubbio ed accennò a Politis come a persona che si era espressa con lui in termini tali da fargli ritenere essere egli assai bene intenzionato di trovare una formula compromissoria accettabile dal Consiglio della S.d.N. Ho creduto bene dirgli che noi diffidavamo precisamente di queste formule, sentendomi rispondere che occorreva uscire dalla situazione in un modo o nell'altro.

Ad un mio accenno del tutto personale all'utilità che vi sarebbe, data la inefficienza militare britannica, di rafforzare gli accordi esistenti con la Francia, Lavai rispose in termini che mi fecero intendere come egli non ritenga nel momento presente di poter fare alcunché che possa essere interpretato a Londra come consenso alla politica italiana. Mi ripeté che se volevamo che egli ci aiutasse, siccome voleva fermamente fare, dovevamo !asciargli massima latitudine di azione e non richiedere da lui l'impossibile.

Lavai mi disse che domani dovrà sottoporre al Consiglio dei Ministri tutto quanto fece nelle ultime settimane. Si domandava come i suoi Colleghi giudicheranno propria azione e situazione che ne risulti.

Insistette perché noi presentassimo a Ginevra una completa documentazione delle colpe abissine, pur non credendo che esse possano risolvere situazione. Ritiene che dal punto di vista morale ciò sia per altro della massima importanza.

Siamo rimasti intesi che ci manterremo in stretto contatto nei giorni prossimi.

831

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO

T. RR. 1519/219 R. Roma, 27 agosto 1935, ore 24.

Durante visita Generalissimo V. E. gli chieda anche se invio da parte nostra della « Missione Educativa Fascista~ lo interesserebbe tuttora.

Con l'occasione V. E. vorrà confermargli mia simpatia per ardua opera ricostruzione da lui intrapresa, particolarmente in questo momento, in cui essa è minata da pressioni esterne.

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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T.R. PER CORRIERE 5170/087 R. Vienna, 27 agosto 1935 (per. il 31).

Mio telegramma n. 167 (1).

Circa le proposte scritte formulate da questo Ministro di Germania per la normalizzazione dei rapporti austro-tedeschi, Berger mi ha detto che il von Papen aveva oggi nuovamente insistito per ottenere una risposta.

Egli gli aveva ancora una volta fatto presente che la sua carica di Ministro degli Esteri non gli consentiva di dare una risposta a proposte che erano state presentate dal suo interlocutore, a malgrado la generica affermazione di essere state previamente comunicate alla Wilhelmstrasse, a titolo del tutto personale. Aveva aggiunto di avere tuttavia incaricato la sua «Segreteria privata» di preparare una risposta, che si riservava rimettergli, a titolo di generica indicazione del punto di vista di essa segreteria. Naturalmente, qualora il von Papen, in seguito a tale comunicazione, avesse presentato formali proposte ufficiali, in nome e per conto del Governo di Berlino, egli non avrebbe mancato di replicare ufficialmente.

In via del tutto personale Berger mi ha poi confidato le ragioni per le quali egli aveva ritenuto di dover prendere il predetto atteggiamento. Il principale motivo era quello di evitare che il von Papen ed i nazisti possano avvalersi di qualche sua omissione, o evasione, o soverchio temporeggiamento, per intensificare la già iniziata campagna contro di lui, sulla base di un suo premeditato contegno sabotatore per tutto quanto concerna la Germania ed i rapporti austro-tedeschi. In tale modo di vedere egli era confortato da una informazione s,egretissima, . pervenutagli ieri sera dalla Germania, e cioè che l'azione nazista in Austria tenterà sovratutto di minare la posizione del Governo, e quella particolare di lui Berger, non tralasciando a tal fine alcun dato di fatto od incidente, atto a dimostrare una pretesa preconcetta ostilità dell'attuale Governo austriaco verso la Germania. Rilevo che tali notizie confermano quanto ho sottoposto a V. E. col mio teleposta riservato n. 1938 (2).

Per quanto riguarda la risposta della « Segreteria privata » di Berger alle proposte del von Papen, ho potuto comprendere che essà svolgerà probabilmente i seguenti punti:

l) presa di atto delle dichiarazioni del von Papen circa le questioni essenziali (indipendenza dell'Austria; non ingerenza; disinteressamento del movimento nazista austriaco, ecc.);

2) precisazione del significato da darsi alle parole pronunciate dallo Schuschnigg, nella sua replica al discorso del maggio di Hitler. Queste parole, a quanto mi è sembrato capire, sono state riprodotte dal von Papen nel suo schema di accordo con un senso assai diverso da quello datogli dallo Schuschnigg. Difatti, ho l'impressione che il von Papen le avrebbe interpretate nel senso che, data la comunanza della razza, i due paesi non possono non attenersi che a concordi direttive poli tiche;

3) indicazione dei motivi per i quali non è possibile dare una precisa risposta in merito alle questioni particolari (e cioè difficoltà d'interrogare Ministeri competenti, le proposte del von Papen non essendo ufficiali; difficoltà di potere risolvere con mere forme giuridiche o diplomatiche situazioni che dipendono essenzialmente da frizioni di origine politica e da stati d'animo creati da speciale propaganda) e segnalazione dell'opportunità di contenere le proposte del von Papen nei limiti di una espressione di concordi voti, sia da parte della Germania che dell'Austria, per una progressiva e volenterosa opera di chiarimento.

833.

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5171/088 R. Vienna, 27 agosto 1935 (per. il 31). Telegramma per corriere di V. E. n. 1498/C.R. (1).

Ho riassunto oggi a Berger il suindicato telegramma di V. E., chiarendo l'atteggiamento da noi assunto verso l'Etiopia, ed illustrando la necessità, per l'Italia, di risolvere in modo definitivo la situazione in cui, non per colpa sua, essa è venuta a trovarsi.

Berger mi ha ringraziato della comunicazione, assicurandomi che egli non solo si rende pienamente conto delle considerazioni da me esposte, ma che intende mettersi a Ginevra in diretto contatto con la nostra Delegazione, onde ricevere da essa le più opportune indicazioni nei riguardi dello stesso atteggiamento della delegazione austriaca.

Berger mi ha poi precisato che egli, proprio per questo motivo, ha deciso di recarsi a Ginevra nel giorno stesso in cui il Consiglio inizierà i suoi lavori, e di restarvi fino alla prima seduta dell'Assemblea e cioè dal 5 al 10 settembre. Ha aggiunto che, pel momento, tale decisione gli sembra la migliore,

ma che naturalmente, come aveva detto innanzi, egli è pronto a cambiare i suoi piani, a seconda di quanto sarà per suggerirgli in Ginevra, S. E. il Barone Aloisi.

(l) -Vedi D. 801. (2) -Non pubblicato.

(l) Vedi D. 804.

834

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5172/089 R. Vienna, 27 agosto 1935 (per. il 31).

Mio telegramma n. 172 (l).

Berger mi ha detto essere soddisfatto dei colloqui avuti col Ministro Kanya, al Plattensee. Ha quindi tenuto a riassumermi, come segue, i vari argomenti esaminati:

l) Patto Danubiano. I due Ministri sono rimasti completamente d'accordo che la conclusione del Trattato danubiano dovrà automaticamente concedere all'Austria ed all'Ungheria la parità dei diritti; e che un controllo sugli armamenti potrà essere ammesso solo sotto l'espressa condizione di una assoluta reciprocità. Tuttavia, mentre Berger si propone di raggiungere tale mèta con opera di serena persuasione, avendo sovratutto di mira il successo della conferenza, Kanya invece si propone, pur essendo d'accordo sui fini da raggiungersi, di usare metodi più vivaci. Intanto, il mio collega di Francia ha stamani comunicato che il suo Governo non può che ,elevare delle riserve nei riguardi del punto 4 delle osservazioni presentate dal Governo austriaco al progetto danubiano. Il Ballplatz ha risposto che tale comunicazione destava sorpresa, giacché il Governo francese, ormai ben consapevole che la questione della parità dei diritti rappresenta una conditio sine qua non, dovrebbe fare ogni sforzo per vincere le inammissibili esigenze della Piccola Intesa.

Kanya ha dichiarato che il suo Governo accetta interamente le osservazioni austriache al progetto di patto danubiano, e ciò anche per quanto riguarda le osservazioni relative alla linea 2 dell'art. 3 del progetto francese (tentativo di intervento, diretto ed indiretto). Kanya ha infine comunicato che egli si propone di ottenere una qualche modificazione dell'art. 6 del progetto francese (impegni risultanti dai Trattati in vigore ecc.); che non ha ancora un'idea precisa su quanto convenga chiedere, ma che desiderava ottenere una promessa d'appoggio da parte del suo interlocutore. Berger ha risposto affermativamente.

59 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. I

2) Prossima Sessione della S.d.N. Berger ha convinto Kanya dell'opportunità di recarsi entrambi a Ginevra, durante i lavori del Consiglio, e di restarvi fino alla seduta d'inaugurazione dell'Assemblea; cioè dal 5 al 10 settembre. A Berger sembra che tale temperamento, nonché il mantenimento del più stretto contatto con la Delegazione italiana, sia quello che meglio corrisponde alle esigenze dell'ora. In ogni caso egli si rimetterà a quanto gli sarà suggerito dal Capo della nostra delegazione. Ciò pertanto Kanya verrà a Vienna il 4 settembre, parteciperà ad una colazione offerta da Berger ed alla quale parteciperanno le due Legazioni ed io stesso, e la sera partirà con Berger alla volta di Ginevra.

3) Questione asburgica. Berger ha riferito a Kanya la dichiarazione, che G5mb6s avrebbe fatto al Ministro di Jugoslavia a Budapest, circa l'opportunità di inserire una clausola antiasburgica nel Patto danubiano. Kanya ha replicato che egli aveva visto detto diplomatico, cui aveva dichiarato nel modo più chiaro e preciso possibile, che la questione asburgica non è né una questione internazionale, né tanto meno attuale. Berger ha formato il dubbio che possa essere avvenuto un qualche malinteso fra il G6mb6s e il rappresentante jugoslavo. Ad ogni modo, stante le dichiarazioni di Kanya, egli ritiene che, se malinteso vi è stato, esso è stato già riparato.

4) Rapporti con la Jugoslavia. Kanya ha riferito esservi una progressiva distensione nei rapporti ungaro-jugoslavi. Berger se ne è detto lieto ma ha insiE:tito sul punto che se un accordo dovesse verificarsi fra i due paesi, esso non solo non dovrebbe avere luogo alle spalle dell'Austria, ma in nessun caso realizzarsi con qualche concessione ungherese nei rispetti della questione asburgica, il Governo di Budapest dovendo tenere ben presente che l'opinione pubblica austriaca si mostra sensibilissima nei riguardi di detta questione, che considera come assolutamente interna. Berger ha quindi informato il suo collega del desiderio espressogli da Stojadinovic, circa una sua visita a Vienna dopo i lavori ginevrini (mio telegramma n. 162) (1). Ha precisato che i dettagli per detta visita saranno da lui convenuti a Ginevra direttamente col Presidente del Consiglio jugoslavo; ma che non esclude che la visita possa aver luogo a Graz, anziché a Vienna, stante l'opportunità di evitare un soverchio succedersi di visite dei paesi della Piccola Intesa (ed ha qui accennato anche alla prossima visita di Benes) nella capitale, giacché tutto ciò potrebbe forzare la reale tinta ed il reale peso degli incontri.

5) Rapporti con la Cecoslovacchia. Berger mi ha detto di essere stato assai esplicito a tale riguardo. Egli ha innanzi tutto esposto le molteplici informazioni pervenute a Vienna relativamente ai vari progetti, che sarebbero stati esaminati, circa un'eventuale spartizione della Cecoslovacchia, mettendo bene in chiaro che se detta questione è ritenuta «attuale », l'Austria si attende -ed anzi ne fa una precisa richiesta -di essere ampiamente consultata. Kanya ha risposto che la questione non è attuale, ma che la Cecoslovacchia è ormai da considerarsi come un paese agli estremi. Motivo, questo, che per

(!) T. 4288/162 R. del 21 agosto 1935, ore 18,30, non pubblicato.

suadeva l'Ungheria a non procedere, nei riguardi di Praga, ad alcun atto od accordo, che potesse poi valere ad impedire od ostacolare la soluzione del tanto importante problema. Berger ha replicato che l'Austria non vuole assolutamente impedire o turbare la predetta linea di condotta politica dell'Ungheria, ma che essa intende tuttavia mettere due condizioni: a) che Budapest si astenga dal fare nel frattempo una politica accentuatamente anticeca; e b) che Budapest riconosca all'Austria il diritto di tentare con la Cecoslovacchia, «fino a quando essa resti in vita», una qualche positiva politica, esente tuttavia da qualsiasi punta o contenuto sgradevole per l'Ungheria. Kanya ne ha convenuto: ma ha subito fatto presente di avere da tempo l'intenzione di proporre a Roma ed a Vienna la conclusione di un accordo giusta il quale le due Potenze, pur restando libere di procedere ad accordi bilaterali, dovrebbero impegnarsi verso Budapest a che essi accordi non avessero, in verun caso, punte dirette contro l'Ungheria. Berger ha replicato di non avere obiezioni: senonché egli non poteva nascondere la sua sorpresa per i dubbi del suo interlocutore. Al che Kanya ha risposto che l'Ungheria aveva la più grande fiducia nell'attuale governo austriaco, ma che questo non era eterno, ed era perciò opportuno premunirsi nei riguardi di eventuali successori particolarmente teneri verso la Cecoslovacchia. (L'allusione del Kanya è da mettersi in relazione con le voci, già da me segnalate a V. E., di un eventuale avvento al potere del borgomastro di Vienna Schmitz, di cui sono note le tendenze ultrafrancofile e cecoslovaccofile).

6) Germania. Kanya ha ammesso le attuali gravi difficoltà finanziarie della Germania e la possibilità che Goebbels e Goring, qualora il regime giunga alle strette, sferrino una «guerra di diversione». Ha anzi specificato che questa guerra sarebbe portata senza alcun dubbio contro l'Austria e la Cecoslovacchia, con la spartizione di quest'ultima. Kanya ha quindi messo nella miglior luce l'opera che von Papen, suo antico amico, si proporrebbe di svolgere qui per la più completa e rapida normalizzazione dei rapporti austro-tedeschi, insistendo vivamente sull'opportunità che il Governo austriaco gli dimostri benevolenza e gli presti buon orecchio. Ha quindi proposto a Berger di ritrovarsi presto, tutti e tre insieme, in un amichevole banchetto, Berger ha rifiutato, sostenendo che questa manifestazione di amicizia potrebbe avere luogo solo quando fossero stati definitivamente chiariti i rapporti fra Vienna e Berlino.

(l) Con T. 5043/172 n. del 27 agosto 1935, ore 22,45, Preziosi aveva fornito una prima sommaria indicazione di quanto dettogli da Berger del colloquio con Kanya.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. P. Londra, 27 agosto 1935.

Il Ministero mi ha avvertito che le mie segnalazioni telegrafiche di questi ultimi giorni sono giunte a Roma con qualche errore di cifra. Ho pensato perciò che fosse utile inviarTi qui, allegato a questa mia lettera, il testo originale dei telegrammi dal 15 agosto (1), almeno quelli più essenziali che contengono i miei giudizi sulla situazione.

Non ho oggi, in verità, molto da aggiungere. La situazione che si è venuta a creare in queste ultime due settimane, dal ritorno di Eden a oggi, non ha probabilità di subire sensibili mutamenti. Né le delusioni e le ire dei pacifisti per le decisioni caute e dilatorie adottate dal Gabinetto nella seduta di giovedì scorso, potranno indurre il Governo a modificare quello che per ora è un atteggiamento di attesa. Il furioso agitarsi dei nostri avversari si risolve in manifestazioni verbali, nell'invio di lettere isteriche ai giornali, in appelli e in minacce, che sono più o meno la ripetizione di quanto fu fatto negli anni passati contro il Giappone e contro la Germania. Essi chiedono che il Governo faccia «qualche cosa». Ma non sanno dire in che questo «qualche cosa» dovrebbe consistere, mentre nell'opinione pubblica il dilemma si fa sempre più chiaro: le sanzioni significherebbero la guerra con l'Italia, e l'Inghilterra deve decidere se essa vuole e può provocare un conflitto armato, di cui nessuno saprebbe oggi indicare né i limiti né le conseguenze.

Alle sanzioni, come Tu sai, io non ho mai creduto. Tu non hai mai trovato, durante questi sei mesi, una sola mia segnalazione che rispecchiasse preoccupazione, o che lasciasse trasparire pessimismo, anche nei momenti in cui l'allarmismo aveva raggiunto uno stato eccezionalmente acuto e l'atmosfera era divenuta proprio irrespirabile. Al nervosismo generale dell'ambiente io sono rimasto sempre impenetrabile e impermeabile. Alla infatuazione e agitazione pacifista e societaria non ho mai attribuito troppa importanza. L'ho sempre considerata uno dei tanti fenomeni di fanatismo, che in Inghilterra si manifestano periodicamente con improvvisa violenza, e si esauriscono appena il buon senso popolare torna a prevalere sulla indignazione ipocrita degli organizzatori e degli sfruttatori del puritanesimo politico. Passano di tanto in tanto sull'Inghilterra delle ventate fanatiche che sollevano un turbine di schiamazzi e di carta stampata. Poi gli inglesi cominciano a fare i loro conti, e si ritorna alla normalità. Se questa volta la ventata è più forte del solito è perché da mesi, ma sopratutto dopo il famose « Peace Ballot » del giugno scorso, il Governo ha sentito che le masse elettorali gli sfuggivano per volgersi di nuovo al laburismo, e si è messo in concorrenza col laburismo, alla corsa di chi è il più pacifista e cioè il più vigliacco. Questa corsa lo ha portato davanti all'art. 16, alle sanzioni, e, improvvisamente, alla minaccia di una guerra nel Mediterraneo. Qui esso è stato costretto a fermarsi.

Il paese una guerra con l'Italia non la vuole. Neanche i laburisti osano parlare di guerra: Lansbury, nel commentare i risultati della recente riunione del Gabinetto, ha tenuto a mettere in chiaro che, a ogni modo, egli e i suoi non hanno mai inteso che l'Inghilterra dovesse erigersi, con un'azione indipendente e isolata, a garante del Patto della S.d.N. Su questo egli è in pieno accordo con Hoare: responsabilità collettiva implica un'azione collettiva. Ma né l'Inghilterra può assumersi una responsabilità che non è sua; né farsi responsabile di una azione che deve essere decisa, se mai, di comune accordo

da tutte le Potenze: un'ipotesi questa che al momento presente passa l limiti del ragionevole.

Di sanzioni non si parla neppure nella lettera (documento anti-italiano e anti-fascista veramente miserabile della diplomazia britannica, che le presenti e future generazioni fasciste italiane non dovranno dimenticare) che Sir George Clerk ha diretta a Lavai. In tale lettera l'ipotesi estrema che il Governo britannico prospetta è una «condamnation sans valeur de l'Italie » con corrispondente uscita dell'Italia dalla S.d.N. Di sanzioni Hoare non ha mai parlato né privatamente a me nelle conversazioni che ho avuto con lui, né pubblicamente nei suoi discorsi ai Comuni. E' stato a trattenerlo solo il timore che Lavai non lo avrebbe seguito in una iniziativa diretta all'applicazione integrale dell'articolo 16? O la coscienza che vi è un limite oltre al quale l'opinione pubblica inglese non è disposta ad andare? O la convinzione che, oltre certi limiti, un inasprirsi del conflitto anglo-italiano finirebbe col danneggiare gravemente gli interessi britannici?

Finora quest'aspetto coloniale del problema abissino è stato dal Governo britannico ostentatamente messo in disparte. In tutte le loro innumerevoli dichiarazioni Sir John Simon prima e Sir Samuel Hoare dopo hanno insistito sul concetto che l'atteggiamento britanpico non è dettato da preoccupazioni coloniali, ma dal solo desiderio di salvaguardare il Patto della S.d.N. dai pericoli ai quali lo espone la nostra azione nell'Africa Orientale. Che queste dichiarazioni siano sincere io non l'ho mai creduto e non lo credo: esse tuttavia ci hanno tatticamente giovato. Tutto l'elemento conservatore britannico dall'ala estrema dell'imperialismo isolazionista a quei conservatori di destra che hanno sempre mostrato una viva simpatia per il Fascismo e un ragionevole intendimento delle nostre necessità di espansione -è stato infatti sinora con noi. Noi abbiamo trovato in Beaverbrook e in Rothermere, in Garvin e in Grigg coloro che hanno meglio compreso l'azione dell'Italia, e che hanno con più energia e più decisione affermato la necessità di non ostacolare la Tua grandiosa opera di civiltà e di impero; la necessità di lasciar libero all'Italia il suo cammino -di non spezzare, per una irreale politica societaria la reale solidarietà che deve esistere tra le Grandi Potenze Coloniali in Africa. Dirò di più: la Tua politica africana ha attirato a noi delle simpatie e delle solidarietà che non avevamo. Beaverbrook ci era stato sempre nemico, e Rothermere, attratto dall'idea di una riconciliazione anglo-tedesca, si era andato in questi ultimi tempi staccando da· noi. Quello che ce li ha conciliati è stato proprio l'idea che l'Italia, costituitasi in Africa un suo Impero, sarebbe entrata a far parte del gruppo delle potenze conservatrici, e che nello stato attuale del mondo, è interesse essenziale dell'Inghilterra che questo gruppo sia rafforzato, poichè su di esso riposa la pace e la stabilità dell'Impero britannico. Poco importa che i punti di partenza siano diversi: che Beaverbrook parta dal concetto che l'Inghilterra deve evitare che il conflitto itala-abissino si allarghi attraverso il meccanismo societario in una guerra europea e che Rothermere parta dal concetto che l'Inghilterra debba avere l'amicizia italiana in più pregio che non la S.d.N., che l'Observer ammonisca il Governo inglese sui pericoli di una politica societaria e la Morning Post preferisca invece in

sistere sull'utilità. di soddisfare i bisogni dell'espansione italiana. Il risultato dell'azione di questi gruppi conservatori, tra loro indipendenti, è stato identico: essi banno impedito il cristallizzarsi di un'opinione pubblica, che veniva trascinata a poco a poco contro l'Italia. Vi era un solo' vero pericolo per noi in Inghilterra: un'alleanza tra il pacifismo societario -che combattesse l'azione dell'Italia in nome degli «immortali principì » del Patto -e l'imperialismo coloniale, che combattesse l'azione dell'Italia in nome degli interessi concreti dell'Impero britannico. Questa alleanza non si è fatta e vi è stata invece una frattura profonda del fronte, che doveva essere opposto alla politica italiana: questa frattura è stata opera dei conservatori, che agiscono sulle direttive della politica britannica, all'infuori delle competizioni elettorali e rappresentano quindi delle forze permanenti e decisive. Essi si sono scagliati -chi a nome dell'isolazionismo, chi in nome dell'amicizia italiana e chi in nome della solidarietà coloniale -contro ogni iniziativa ostile all'Italia.

Tutta la mia azione, in questi mesi, è stata dedicata a mantenere ed alimentare questo dissidio. Ho sempre considerato inutile cercare di convertire a noi il fanatismo e il parlamentarismo societario. Ho sempre considerato invece indispensabile rafforzare nelle correnti imperialiste militari e coloniali il concetto della fermezza assoluta delle Tue decisioni, e della conseguente necessità di un'intesa fra l'Inghilterra e l'Italia -non solo per evitare che la questione abissina deviasse verso un conflitto generale tra la politica italiana e la politica britannica --ma anzi per costruire sui risultati della guerra d'Africa e sulla nostra conquista dell'Etiopia, una comune posizione di solidarietà imperiale tra l'Inghilterra e l'Italia fascista.

Non ho bisogno di dirTi -poichè Tu lo hai potuto rilevare dai miei telegrammi -quale importanza io abbia creduto e credo di dover annettere a questo aspetto della questione. Non sono le agitazioni dei vecchi retori ven"' tosi, come Ceci!, quelle che hanno mai determinato in definitiva la politica britannica, ma sono stati e sono sempre quegli asciutti e duri servitori dell'idea imperiale che hanno avuto il sopravvento, perchè, alla fine, sfumate le nubi ideologiche del «Peace Ballot », il solo vero sentimento che fa appello al cuore del popolo inglese è il sentimento dei suoi interessi imperiali. Se questi interessi sono minacciati, allora soltanto i britanni si scuotono dal loro letargo, e si muovono risolutamente.

Nei giorni scorsi -e precisamente dopo il fallimento delle conversazioni di Parigi -i nostri avversari e in primo luogo lo stesso Eden -che è ormai impegnato personalmente in una politica sulla quale egli ha giocato con leggera avventatezza la sua futura, e già irrimediabilmente compromessa fortu~ na politica -banno iniziato un'opera eccitata e nervosa di propaganda antiitaliana in tutti gli ambienti imperiali e coloniali. Eden è tornato da Parigi con un'idea: «L'Italia non solo intende di deliberatamente violare il Patto della

S.d.N. ma essa vuole, in spregio ai Trattati, contestare e annullare gli interessi che l'Inghilterra ha in Abissinia; e anzi mira più lontano. Conquistata l'Abissinia essa ha in animo una politica di sovvertimento in Egitto e nel Sudan, che le apra la via a un rivolgimento nella posizione dell'Inghilterra nell'Africa nord-orientale e nel Mediterraneo. Lungi dal soddisfare le sue necessità di espansione la guerra all'Etiopia sta eccitando le ambizioni italiane. Dall'altipiano etiopico gli Italiani guarderanno avidamente sul continente africano, a ricongiungere i nuovi loro possedimenti abissini con il retroterra libico. S'illudono coloro che pensano che l'Italia soddisfatta sarà un elemento di stabilità e di ordine in Africa. L'Italia ha mostrato in questi mesi di polemiche e di negoziati un profondo odio per l'Inghilterra, e ha rivelato agli Inglesi l'insospettato pericolo che esiste per Malta e per Suez, il giorno che questi sentimenti anti-britannici sboccassero in una concreta politica antibritannica nel Mediterraneo. Basta volgersi intorno per vedere che già l'Italia lavora contro la potenza britannica ovunque nel Mediterraneo, da Malta all'Egitto e dall'Egitto alla Palestina. Dove può condurre questa politica se non a scuoter le basi dell'Impero britannico? E come possono parlare i conservatori inglesi di solidarietà fra gli interessi imperiali dell'Inghilterra e gli interessi coloniali dell'Italia, se l'Italia sta lavorando a minare precisamente l'Impero britannico?».

Questo in sostanza Eden ha detto in seno al Gabinetto, e detto e fatto dire nelle redazioni dei giornali conservatori, nella City, e alla riunione dei dirigenti del Partito Conservatore, tenutosi a Londra il 21 agosto. La sua azione è stata appoggiata dall'Alto Commissario britannico in Egitto, Sir Miles Lampson. Le sue idee hanno fatto una certa presa nella City, dove la sensibilità degli interessi imperiali, è sempre più nervosa e più acuta. Vi è stato, come hai potuto rilevare, ultimamente un certo sbandamento nell'atteggiamento dei conservatori. Poi il Tuo tempestivo intervento e re Tue parole decisive nell'intervista ,alla United Press e in quella concessa a Ward Price, hanno troncato la manovra, e rimesso il problema degli interessi italiani e degli interessi britannici nel loro quadro realistico, nel quadro cioè quale Tu lo hai impostato.

Tuttavia quest'ultimo episodio ha mostrato e mostra, a mio avviso, la necessità di rafforzare questo Hanco della nostra politica che è stato in questi giorni esposto e lo sarà indubbiamente nell'avvenire, ad attacchi consimili. Questi attacchi mirano direttamente ad eccitare contro l'Italia le diffidenze e e i timori degli ambienti coloniali britannici, non meno che a creare all'Inghilterra il pretesto per un eventuale intervento in Etiopia, nelle zone che particolarmente interessano il Sudan, ripetendo che l'Italia non intende riconoscere gli interessi che derivano all'Inghilterra dall'Accordo Tripartito, e che dunque l'Inghilterra deve provvedere o ad arrestare l'azione italiana, o a proteggere per suo conto e con le proprie forze questi interessi.

Credo che si avvicina il momento in cui noi dovremo parlare apertamente delle offerte fatte a Simon alla fine di gennaio (1). Non possiamo lasciar radicare nell'opinione pubblica inglese il concetto che se l'Inghilterra occuperà dei territori in Etiopia, lo farà per difendere dei diritti che altrimenti le sarebbero stati o contestati o misconosciuti. A coloro che vogliono suscitare contro di noi il vecchio geloso spirito del cojonialismo britannico, dobbiamo noi poter rimproverare di aver trascurato, per correre dietro i fantasmi socie

tari, proprio quegli interessi inglesi che noi eravamo disposti a riconoscere e a garantire. Con questo noi rafforzeremo negli ambienti coloniali la nostra posizione, che è quello che sopratutto in questo momento ci è necessario.

Dell'atteggiamento che l'Ammiragliato ha tenuto nella questione abissina Ti ho già dettagliatamente informato. Quando si è cominciato a parlare di sanzioni, e delle conseguenze militari e navali che queste potrebbero avere, l'Ammiragliato ha subito fatto presente che la flotta britannica non era in grado di esporsi senza gravi rischi, a operazioni di guerra contro la flotta italiana. L'Ammiragliato ha sempre disprezzato e detestato la S.d.N. La flotta britannica, l'Ammiragliato ha dichiarato, serve per difendere gli interessi imperiali, non serve a difendere il pacifismo. E con quale diritto possono i pacifisti invocare -a sostegno della loro politica -l'aiuto e la cooperazione della flotta britannica, quando si deve proprio ad essi se la potenza navale dell'Inghilterra è andata in questi anni così decadendo? Volete le sanzioni? Ebbene cominciate col ricostruire questa potenza, date all'Ammiragliato quello che esso da anni chiede, nuove basi nel Mediterraneo, a Cipro e in Palestina, e nuove navi e nuovi mezzi di guerra.

Questa è la posizione dell'Ammiragliato, il quale in realtà pensa che dal conflitto itala-abissino esso può trarre occasione per dare un altro colpo alla vecchia carcassa dei Trattati di Washington e di Londra. Ne è prova il furore col quale si sono precipitati i conservatori di destra per mettere in rilievo che parlare di sanzioni contro l'Italia, allo stato presente degli armamenti navali, è una pazzia, che l'Italia potrebbe dare un colpo fatale alla potenza navale inglese e aprire la strada a ben altre ambizioni che non quelle che attualmente possono minacciare l'Impero britannico. Tutte le posizioni dialettiche, sul terreno della lotta politica in Inghilterra, s.i risolvono da qualche tempo in qua in un aumento di armamenti. La persecuzione degli ebrei in Germania l'anno scorso diede la spinta agli armamenti aerei, l'agitazione dei pacifisti inglesi contro di noi da ora la spinta ad aumento degli armamenti navali.

L'atteggiamento dell'Ammiragliato comunque ci ha, per ora, servito. E anche da questo punto di vista a noi conviene che la questione abissina resti impostata nei termini societari, e cioè arenata e immobilizzata nelle secche ginevrine. Finché non si tratterà che della S.d.N. l'Ammiragliato potrà rispondere negativamente ai quesiti che gli saranno ancora posti sulla preparazione e sulla efficienza della flotta britannica. Non potrebbe rispondere «no» quando la questione abissina fosse trasportata sul terreno degli interessi imperiali e del prestigio politico dell'Inghilterra.

Il 4 settembre è ormai vicino. A Ginevra i delegati inglesi, dopo l'impegno formale che il Gabinetto ha preso, non potranno che sostenere l'integrale applicazione del Patto. Lo stesso Hoare, che si recherà personalmente all'Assemblea, non credo vorrà fare altrimenti. L'azione dimostrativa britannica avrà il suo svolgimento, perché oramai il Governo è prigioniero della situazione assurda che esso ha creato, che con un poco di intelligenza e dd buon senso sarebbe stato possibile di evitare. Ma i limiti pratici di questa azione già esistono; e se -come ho detto nei miei telegrammi -si verrà intanto ad una distensione dei rapporti generali itala-britannici, non credo che avremo a temere sul terreno societario decisioni estreme da parte dell'Inghilterra. Un conflitto con l'Italia non lo vuole nessuno, salvo i forsennati delle leghe pacifiste -donne isteriche e veechi rammolliti dell'ideologia societaria. Si comincia a pensare che Eden sia andato troppo lontano, e che, per quanto il Gabinetto gli avesse dato piena libertà di azione, egli si sia impegnato personalmente troppo a fondo contro di noi, inasprendo, senza necessità, i rapporti itala-britannici. Il Foreign Office già si adopera nel senso di una attenuazione dell',atteggiamento britannico. Lo stesso Vansittart, che è, come Ti ho già riferito, legatissimo a Eden, è scomparso da qualche giorno dalla scena, e nella solitudine di Capo d'Antibes sembra -così mi riferiscono i suoi amici più intimi -meditare con amarezza sugli errori compiuti e cercare di addossarne a Eden la responsabilità. È questa anche la ragione per la quale Eden Sii è indotto a cambiare terreno di manovra e a fare appello ai sentimenti imperiali, e a proclamare che quello che è in gioco è ormai il prestigio dell'Inghilterra. Quindi l'importanza veramente decisiva che hanno avuto le Tue dichiarazioni di sabato e lunedì. L'affermazione che l'Italia non vuole toccare l'Impero britannico, ma esige che l'Impero britannico non tocchi l'Italia, il concetto della solidarietà degli interessi coloniali dei due Paesi, il rispetto degli interessi britannici in Abissinia, sono tutti colpi che si danno alla montatura anti-italiana dd Eden e dei suod seguaci, e tanti elementi di protezione per il libero svolgimento della nostra azione in Africa.

Ma quanta strada, Duce, l'Italia fascista ha fatto in questi sei mesi, dal giorno in cui, alla fine di gennaio, noi abbiamo per la prima volta avvicinato gli Inglesi e posto sotto i loro occhi, dapprima increduli, e poi ostili, la volontà Tua e del popolo fascista di risolvere in pieno e una volta per sempre la questione abissina! Sembra quasi impossibile guardando indietro, che tanta strada si sia g.ià percorsa, e tante dure battaglie si siano già vinte. L'incredulità, e poi l'osllilità, e da ultimo l'intimidazione e la minaccia nelle forme più subdole e più rumorose, e anche più vili. Tutto è stato messo in opera dalla politica britannica per arrestare la volontà e i diritti dell'Italia. Non è esatto di dire che gli Inglesi hanno sbaglii.ato, perché hanno sempre creduto che l'Italia fascista facesse un «bluff » e non intendesse ,in realtà se non precostituirsi delle posizioni di negoziato vantaggioso. No, il Governo inglese si è sbagliato perché, sottovalutando la forza e la ferrea determinazione del Duce e dell'Italia fascista, ha creduto di potere, presto o tardi avere, come sempre era riuscito ad avere in passato, comunque ragione su quelli che erano e sono i diritti e le sacrosante ·aspirazioni dell'Italia. Quello che ha capovolto e scompaginato i calcoli inglesi è questa adamantina volontà del DÙce che non si è piegata mai durante questi mesi davanti a nessuna intimidazione, o lusinga di compromesso, a nessuna minaccia, a nessuna possibile eventualità: la volontà del Duce che è divenuta più ferrea e intransigente man mano cresce7 vano gli ostacoli e le difficoltà. Tutto ciò non era stato preveduto dalla previdente «saggezza» britannica! E neppure preveduto era lo spettacolo di questo popolo fascista in armi, che marcia in colonne serrate; come un esercito immenso, dietro il suo Capo, agguerrito, sereno, sicuro, pronto a tutte le audacie, non esclusa quella di una guerra contro l'Impero britannico.

Non sono trascorsi se non pochi mesi da quando gli Inglesi ostentavano, con untuosa ipocrisia, le loro preoccupazioni per le insormontabili difficoltà che l'Italia avrebbe incontrato nella conquista dell'Etiopia. Ed ora, quello a cui gli Inglesi già pensano con inquietudine, sono le conseguenze di questa nostra conquista: essi già vedono un esercito coloniale italiano che investe il Sudan e cerca di stabilire un congiungimento col retroterra libico. Dalle minacce di una chiusura del Canale di Suez si è passati improvvisamente alla realizzazione dei pericoli che le nostre armate navale e aerea costituiscono per la sicurezza dell'Impero britannico nel Mediterraneo, mare che ad un· tratto gli Inglesi scoprono non essere più loro. E i lontani Dominions, Australia e Nuova Zelanda, incaricano i loro Alti Commissari residenti a Londra di dare a Sir Samuel Hoare, nell'interesse della Commonwealth Britannica, consigli di moderazione e di prudenza.

Noi abbiamo evidentemente tutto l'interesse in questo momento di soffocare questi timori, di sopire queste diffidenze. Ma un fatto resta, ed è questo: sei mesi di conflitto politico e diplomatico con la Gran Bretagna hanno determinato un netto capovolgimento della situazione. Quella che era sei mesi fa una precisa volontà nel Governo britannico di una minaccia all'Italia, si è tramutato oggi nella generale consapevolezza britannica che se una minaccia esiste questa non può venire da Londra a Roma, ma dall'Italia alla Gran Bretagna.

Ecco perché ancora prima di cominciare la nostra campagna colla quale Tu darai all'Italia il suo Impero in Africa, Tu hai già vinto una guerra nell'Europa e nel Mediterraneo.

(l) Vedi D. 740.

(l) Vedi serie settima, vol. XVI, DD. 510 e 523.

836

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, DE ANGELIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5091/92 R. Gerusalemme, 28 agosto 1935, ore 20,37 (per. ore 24).

Le diverse correnti del nazionalismo arabo in Palestina cominciano a mostrare una certa irrequietezza in relazione all'attuale situazione internazionale ed · all'eventualità che il conflitto italo-etiopico possa allargarsi o comunque avere ripercussioni in questo settore orientale.

Si tende in generale a promuovere un comune esame obbiettivo degli avvenimenti da parte esponenti dei varì Paesi arabi allo scopo stabilire linea di condotta uniforme di fronte alle Potenze europee in armonia colle aspirazioni nazionali del Popolo arabo.

Nonostante linguaggio di certa stampa araba locale, atteggiamento sostanzialmente italofilo del Mufti di Gerusalemme è quello che ha ancora di gran lunga il maggior peso.

Tra i partiti ebraici quello revisionista, che è il solo che possa dirsi dinamico, dimostra finora atteggiamento tendenzialmente italofilo.

837

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5073/522 R. Parigi, 28 agosto 1935, ore 21,35 (per. ore 24 del 29).

Aldrovandi comunica quanto segue:

« 3. -Mio telegramma n. 2 in data 27 corrente (1). In riunione odierna, essendosi acuito disaccordo quale era apparso ieri, fu necessario procedere nomina quinto arbitro. Tre colleghi hanno pregato me informarne Politis. L'ho trovato cortesissimo, ma senza nessuna indicazione di suo atteggiamento particolare senonché « sua ambizione sarebbe giungere a sentenza unanime». Gli ho detto subito non vederne assoluta possibilità, perché fra arbitri di parte etiopica e noi vi è assoluta divergenza circa responsabilità dell'aggressione, di cui essi al massimo vorrebbero scagionare Etiopia, mentre per noi responsabilità etiopica è categoricamente accertata. Politis parlando della ristrettezza dei termini, ricordava che decisione di Ginevra ci fa obbligo presentare sentenza avanti 1° settembre. Ho chiarito che ciò è inesatto poiché nella risoluzione «si conta>> che noi avremmo proceduto al regolamento della controversia innanzi lo settembre, ma si <z invitavano» i due Governi a fare conoscere il risultato al più tardi il 4 settembre. Ho cercato obiettare anche al termine del 4, ma Politis era stato così categorico per quello del . primo, che, per non dare impressione di cercare pretesti allo scopo di rallentare il ritmo dei lavori della Commissione, ho preferito ·non pregiudicare troppo direttamente quel punto per ora. Politis ha fatto qualche obiezione perché sedute sono tenute al Meurice

dove abitano arbitri italiani, come è stato praticamente fatto fin qui, ed ha proposto come luogo neutro Hotel des Invalides ovvero un locale della

S.d.N. a Parigi. Ho obiettato, e domani riunione a cinque si terrà al Meurice salvo decidere per il seguito. Mi è risultato nuovamente oggi che Politis aveva avuto ulteriori colloqui privati con Jeze.

Politis, nel corso della conversazione, si è interessato sapere se l'arbitro Montagna era parente dell'omonimo Ambasciatore, che rappresenta penoso ricordo a cuore greco. Ho smentito ogni parentela che non esiste.

Politis ha parlato anche di Volpi, come ritengo, è rimasto suo intimo amico, sarebbe forse il caso di vedere se si potesse cercare fare influenzare energicamente Politis a suo mezzo. Ciò tanto più perché, secondo mi ha detto Cerruti, Lavai, anche ieri, ricordava abilità Politis per trovare soluzione di tipo transazionale e ginevrino, la quale non è evidentemente nelle nostre intenzioni. Aldrovandi » (2).

(l) -Vedi D. 826. (2) -Il presente ·documento reca il visto di Mussolinl.
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L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5181/183 R. Madrid, 28 agosto 1935, ore 22 (per. ore 2 del 29).

Dopo Consiglio dei Ministri tenutosi e che doveva decidere contegno della delegazione Spagna a Ginevra, ho avuto colloquio con Ministro degli Affari Esteri che spontaneamente detto quanto segue: «Delegazione Spagna conserverà verso l'Italia atteggiamento amichevole e non causerà a noi alcuna difficoltà. Nel caso che dovesse associarsi in questioni ordinarie generali a qualche punto di vista diverso dal nostro, lo farà con dichiarazioni che tolgano a sua disparità di vedute ogni spirito opposizione e anzi riaffermino amicizia per nostro paese».

Alla seduta giorno 4 assisterà per la Spagna Lopez Olivan e giorno 5 sarà presente Madariaga, attualmente in Brasile e che tornerà appositamente con Zeppelin.

Ministro degli Affari Esteri mi ha ricordato che Lopez Olivan è amico dell'Italia e personalmente di Aloisi il quale farà bene -sono sue parole a vederlo.

839

L'INCARICATO D'AFFARI A BUCAREST, OTTAVIANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5129/134 R. Bucarest, 28 agosto 1935, ore 22,45 (per. ore 0,15 del 29).

In assenza signor Titulescu, che travasi Bled, ho illustrato stamane Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari ad interim nostro deciso atteggiamento nei confronti Etiopia secondo direttive contenute telegramma per corriere di V. E. n. 1498 del 24 corrente (1).

Signor Tatarescu, nel prendere atto mie comunicazioni che ha ascoltato con il massimo interesse, mi ha pregato assicurare S. E. il Capo del Governo dell'amicizia del Governo e del popolo romeno. Mi ha detto che avrebbe portato a conoscenza del Sovrano e del Consiglio dei Ministri, che ha luogo oggi stesso argomenti espostigli. Ha dichiarato rendersi conto pienamente nostra situazione ed essere personalmente convinto che non si debba attraversare la strada all'Italia bisognosa ed apportatrice civiltà in uno Stato ancora barbaro. Riteneva aver già dato prova amicizia netta, facendo eseguire stretto controllo piroscafi transitanti Danubio per evitare forniture armi Etiopia (2).

Essendomi lamentato attitudine alcuni giornali [su questione] Canale mt ha detto che personalmente non mancava dare direttive per benevolo atteggiamento verso l'Italia. Ha aggiunto tuttavia che Romania essendo membro fedele S.d.N. non poteva a Ginevra non conformarsi direttive societarie. La Francia è dalla vostra parte, ha detto Presidente del Consiglio, e noi seguiremo Francia dietro garanzia certa saprà trovare formula che permetterà Italia portare a termine sua impresa civilizzatrice salvando prestigio S.d.N.

Ho in ogni modo ricordato che intervista concessa S. E. a Ward Price aveva già nettamente segnato attitudine italiana nei confronti S.d.N.

Presidente del Consiglio, che vedrà Titulescu giorno due settembre, mi ha assicurato che delegazione romena riceverà istruzioni prendere contatto con delegazione italiana prima adottare qualsiasi decisione circa proprio atteggiamento (1).

[Nonostante] buone parole Presidente del Consiglio è da ritenere che attitudine Governo romeno nostri riguardi sarà decisa da signor Titulescu, unico arbitro politica estera romena. Suo spiccato societarismo è bene noto a V. E.

Sembra certo che a Bled Stati membri Piccola Intesa si consulteranno su

atteggiamento comune nei confronti conflitto itala-etiopico.

(l) -Vedi D. 804. (2) -Per la questione del contrabbando di armi j){lr l'Abissinia, vedi D. 626.
840

L'INCARICATO D'AFFARI A VARSAVIA, BELLARDI RICCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5081/108 R. Varsavia, 28 agosto 1935, ore 22,55 (per. ore 5,15 del 29).

Seguito mio telegramma n. 106 (2). Ho esposto a questo Ministro Affari Esteri dati e considerazioni contenuti nel telegramma di V. E. n. 1499 (3).

Signor Beck dopo avermi ascoltato molto attentamente mi ha -pur senza farmi alcuna esplicita [dichiarazione] -fatto intendere che suo atteggiamento prossima riunione Ginevra non (dico non) si discosterà da quello da lui manifestato sin dall'inizio vertenza itala-etiopica.

Confermandomi che non farà alcuna sosta mi ha detto che conta arrivare a Ginevra 3 settembre mezzogiorno e desidera prendere quanto prima possibile contatto personale con S. E. Aloisi per il quale ha avuto espressioni di viva simpatia personale. Nel corso della conversazione Beck non mi ha nascosto talune sue preoccupazioni in vista di « automatismo procedurale » sempre cosi pericoloso a Ginevra. Si è poi espresso in termini ironici circa attuale atteggiamento inglese di disperata difesa S.d.N. e iperbolico rispetto trattati in contraddizione usuali manifestazioni politica inglese. Ministro degli Af

fari Esteri ha inoltre voluto insinuarmi [suggerimento] che sia saggiato prossimo atteggiamento Paesi scandinavi in riunione ginevrina. Beck dà notevole peso a voto di quel gruppo di Stati e sostiene che essi non avendo idee preconcette possono essere suscettibili di lasciarsi convincere se convenientemente interessati.

Per meglio fissare quanto gli avevo esposto, ho rimesso al Ministro degli Affari Esteri un appunto confidenziale che egli ha molto gradito.

(l) -Con T. 5292/139 R. del 3 settembre 1935, ore 20,30, Ottaviani comunicava l'assenso di Titulescu perché la legazione romena a Ginevra prendesse un preventivo contatto con quella ital!ana. (2) -Con T. 5021/106 R. del 27 agosto 1935, ore 19,45, Bellard! Ricci aveva annunziato che sarebbe stato ricevuto da Beck l'indomani. (3) -Vedi D. 810.
841

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, CANTALUPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5106/304 R. Rio de Janeiro, 28 agosto 1935 (per. il 29) (1).

Mio telegramma n. 298 (2).

Si è sparsa la voce che questo Ambasciatore degli S.U.A., ritornato improvvisamente da Buenos Ayres ciove si trova [per conferenza] Chaco, avesse compiuto passo presso questo Governo brasiliano onde persuaderlo alla stretta neutralità nel conflitto itala-abissino.

È noto da mia precedente corrispondenza che questo Governo adotta in ogni caso politica del Governo Stati Uniti senza discutere.

Profittando miei rapporti amichevoli con Ambasciatore Gibson, noto a codesto Ministero Affari Esteri per sua lunga permanenza Ginevra, ho creduto [chiedere] direttamente informazioni in proposito. Gibson mi ha detto non avere ricevuto nessuna disposizione da Washington dopo le dichiarazioni neutralità colà pubblicate e quindi non avere fatto nessuna comunicazione a questo Governo.

Ha soggiunto sua opinione personale essere pienamente favorevole. all'Italia e che si è espresso in tal senso in conversazioni occasionali con membri del Governo brasiliano.

842

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5128/0111 R. Parigi, 28 agosto 1935 (per. il 30).

Faccio seguito al mio telegramma-filo di ieri n. 520 (3).

Oltre alle cose riferite col telegramma suddetto il signor Lavai mi ha parlato di queste altre questioni:

-mi ha chiesto se io ritenessi che, qualora le proposte avanzate da parte sua, col consenso inglese, durante il colloquio tripartito fossero state più ampie, esse avrebbero avuto probabilità di essere accettate da parte nostra. Ho risposto che sarebbe stato necessario conoscerne la portata per poter rispondere in modo appropriato; ad ogni modo se l'Italia non avesse avuto il riconoscimento di interessi politici in Etiopia, qualunque proposta avrebbe avuto la medesima sorte. Il signor Lavai disse di pensare allo stesso modo. Mi aveva rivolto questa domanda solo per appurare se egli giudicava bene;

-ha detto di ritenere che noi avremmo ad ogni modo migliorato la nostra situazione se, invece di respingere la proposta fattaci, pur senza accettarla, avessimo consentito che Francia e Inghilterra la inoltrassero ad Addis Abeba. Era infatti assai poco probabile che il Governo etiopico avesse potuto accettarla;

-ha chiesto se e quali Stati facenti parte del Consiglio della S.d.N. fossero con l'Italia in rapporti di particolare amicizia. Esaminati gli Stati di cui si tratta constatammo che le nostre relazioni sono ottime con la Polonia, l'Argentina e la Spagna oltre che con l'URSS. Il signor Lavai disse che naturalmente i vari Stati partecipanti al Consiglio dovevano essere opportunamente informati e «lavorati» da parte nostra, cosa che gli risposi si stava certamente facendo;

-ha chiesto quale risposta dovesse dare ai suoi colleghi del Gabinetto se essi gli domandassero, durante il Consiglio dei Ministri odierno, quali fossero gli scopi dell'Italia nell'Africa Orientale. Gli ho risposto che i nostri scopi sono i seguenti: lo sicurezza dei nostri possedimenti; 2° assicurarci quanto abbiamo sinora inutilmente cercato di ottenere mediante una politica di accordi amichevoli con l'Abissinia, che negozia e firma degli atti internazionali, ma rifiuta di dare ad essi esecuzione; 3° garantire alla popolazione italiana dei territori fertili e ricchi di materie prime, in modo che gli italiani potessero in possedimenti di diretto domin:io esplicare quell'attività eccezionale la quale aveva arricchito sinora Stati dell'America del Nord e del Sud e territori posti sotto il dominio di altre Potenze;

-ha chiesto quando ritenessi che sarebbero cominciate le ostilità. Ho risposto di ignorarlo. Il signor Lavai disse allora che gli sembrava .avere sentito dire che la stagione delle pioggie terminava nella seconda metà di settembre, cosicchè considerava che quello sarebbe stato il momento critico. Ha chiesto pure se avevo un'idea del modo con cui gli atti ostili sarebbero stati iniziati e naturalmente ho risposto che non ero in grado di esprimermi al riguardo.

Le due mie conversazioni di ieri col Presidente del Consiglio francese mi hanno lasciato l'impressione che le preoccupazioni di ordine personale non sono nel signor Lavai minori di quelle d'ordine internazionale. La Francia non vuole perdere l'amicizia dell'Inghilterra, pur rendendosi conto che questa Potenza, in un caso di pericolo, non potrebbe recarle un aiuto efficace in terra ferma che in un periodo di otto o dieci mesi. Tiene al tempo stesso moltissimo alla amicizia dell'Italia, tanto più che la nostra preparazione militare è oggidì un fattore di importanza capitale per il mantenimento dell'ordi_ne in Europa. Intende equilibrarsi in modo da non perdere né la vecchia né la nuova amicizia, salvando la faccia, o meglio la vita anche alla S.d.N., alla quale la Francia è attaccata non meno dell'Inghilterra, dato che essa le ha permesso di svolgere tutta la sua politica con la Polonia, la Piccola Intesa e l'Intesa balcanica.

Dagli accenni fattimi dal signor Lavai alle intenzioni del signor Politis di trovare una formula di compromesso da presentare al Consiglio ed in genere da tutto il suo argomento appare evidente come il Presidente del Consiglio francese tenda ad una politica che, dando un colpo al cerchio e l'altro alla botte, non umilii ma neanche soddisfi intieramente Italia ed Inghilterra e serva a mantenere in vita la S.d.N.

Il signor Lavai ha espresso meco l'avviso che non si possa pensare, nel momento attuale, ad espellere l'Etiopia dalla S.d.N. Al tempo stesso ha però detto che considera molto opportuna la documentazione da parte dell'Italia dello stato di semi-barbarie dell'Etiopia nonchè delle gravi sue mancanze di fronte ad impegni categorici assunti per poter entrare a far parte del Consesso ginevrino.

Questo linguaggio del signor Lavai mi ha fatto pensare che se alla presentazione della documentazione di cui si tratta dovesse seguire, da parte nostra, a Ginevra la proposta di escludere l'Etiopia dalla S.d.N., questa, dopo un primo momento di smarrimento da parte di vari Stati, potrebbe essere esaminata con interesse perchè potrebbe offrire la soluzione di una matassa intricatissima e permettere alle Potenze che tanto tengono al prestigio della

S.d.N. di salvaguardarlo.

843.

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5167/034 R. Budapest, 28 agosto 1935 (per. il 30).

Signor de Kanya testè ritornato dal Balaton dove ha avuto luogo suo incontro con il barone Berger (Stefani n. 113 e 117) (l) mi ha confermato stasera avt)re esaminato con il suo collega austriaco il progetto schematico francese di accordo per l'Europa centrale trasmesso ai due Governi dai rispettivi Ministri accreditati a Roma. Mi ha confermato altresì (mio telespresso n. 1119 del 3 corr.) (2) che, come risultato di tale esame, egli e Berger si erano trovati d'accordo nel considerare il progetto in questione come accettabile base di trattative. Ha aggiunto confidare che nel corso della settimana prossima il Governo ungherese sarà in grado di far pervenire in proposito a V. E. il suo motivato parere e le sue osservazioni particolareggiate, alla cui definitiva redazione stanno ora attendendo gli esperti di questo Ministero Affari Esteri.

Circa gli attuali rapporti austro-germanici il signor de Kanya mi ha detto avergli il barone Berger a sua richiesta dichiarato essere al riguardo piutto

sto ottimista: il nazismo continuava a perdere terreno in Austria, l'intesa in materia di stampa avrebbe d'altra parte -sopprimendo gli eccessi delle campagne giornalistiche delle due parti -necessariamente contribuito alla distensione degli animi. Motivo di soddisfazione il barone Berger traeva infine dalla situazione finanziaria del suo Paese, ulteriormente migliorata, che ne provava e consolidava il rafforzamento politico.

844.

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5168/035 R. Budapest, 28 agosto 1935 (per. il 31).

Il Reggente, presso il quale ho passato avant'ieri il pomeriggio nel Castello di Gi:idi:illi:i, si è espresso meco spontaneamente nei termini più cordiali sull'atteggiamento italiano nella questione etiopica. Egli si rendeva perfettamente conto -mi ha detto -della necessità di espansione dell'Italia e dell'opportunità dell'azione voluta da V. E.; non comprendeva, invece, l'attitudine della Gran Bretagna, ed in particolare la resistenza a solidarizzare fin dal principio con una grande potenza civilizzatrice di fronte alla barbarie di colore. Era d'avviso che dopo la piena sconfitta il Negus avrebbe capito che era inutile resistere e si sarebbe «accontentato» di una sovranità nominale, analoga a quella conservata al Sultano del Marocco dalle autorità francesi. Era convinto, comunque, che ottima decisione fosse quella di V. E. di andare fino in fondo senza preoccuparsi delle obiezioni dell'Inghilterra, la cui posizione nel Mediterraneo -ha concluso l'Ammiraglio de Horthy -non era del resto più quella di una volta di fronte alla Marina ed all'Aviazione italiane quali le ha create il Duce.

Piena rispondenza con l'indirizzo di V. E. mi è stata dimostrata pure oggi da questo Presidente del Consiglio e dal Ministro degli Affari Esteri, che ho singolarmente e nuovamente intrattenuti sull'argomento in conformità delle direttive segnatemi con il telecorriere n. 1498/C. R. in data 24 corr. (1).

In complesso può notarsi, nel momento presente, un miglioramento dello stato d'animo di questi ambienti responsabili in confronto a quello segnalato nel telespresso n. 1047 del 31 luglio scorso (2); miglioramento che va evidentemente attribuito così, in generale, all'effetto qui prodotto dalla prova di forza politica e militare che il nostro Paese dà in questa occasione, come, in particolare, alla persuasione rafforzantesi che l'azione dell'Italia nel settore danubiano non subisce modifiche né indebolimenti a cagione dell'impresa africana. A creare tale stato d'animo negli elementi oggi più decisivi della politica ungherese contribuisce altresì la speranza, sempre coltivata e non dissimulata (mio telegramma n. 97 del 19 corr.) (3), che dalla presente situazione internazionale finisca con lo svilupparsi un avvicinamento e una ripresa di cooperazione tra Italia e Germania.

(l} Vedi D. 804. (2} Non pubblicato. (3} Vedi D. 770.

60 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. I

(l) -Manca l'indicazione dell'ora eli partenza e eli quella di arrivo. (2) -Vedi D. 802. (3) -Vedi D. 830. (l) -Non si pubblicano. (2) -Non rinvenuto.
845

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5169/036 R. Budapest, 28 agosto 1935 (per. il 31).

Telegramma di V. E. n. 1498/C. R. del 24 c.m. {1).

In relazione con quanto riferito col telecorriere n. 035 di oggi (2), informo che il signor Kanya, nel darmi le più ampie assicurazioni circa atteggiamento ungherese, mi ha detto parteciperà personalmente prossimi lavori S.d.N. Conta partire per Ginevra mercoledì prossimo, 4 settembre, sostando brevemente a Vienna.

Non mancherà di prendere contatto col barone Aloisi, col quale desidererebbe intrattenersi malgrado sappia che questi avrà poco tempo da dedicargli.

846

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, CANTALUPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5164/305 R. Rio de Janeiro, 29 agosto 1935, ore 0,50 (per. ore 7,30 del 30).

Mio telegramma n. 304 odierno (3). Questo Ministro degli Affari Esteri ha portato a mia conoscenza confidenzialissime seguenti informazioni:

l) Telegramma dell'Ambasciatore del Brasile a Washington informa circa accentuata ostilità Congresso alla nota dichiarazione di neutralità a causa anche della forte tendenza determinatasi direttori gruppi favorevoli per liberare commercio delle armi in occasione del conflitto itala-etiopico. Ambasciatore ha segnalato anche maggioranza opinione pubblica favoreggia per Abissinia e prevede che Congresso riuscirà affermare principio libertà commercio armi e munizioni.

2) Telegramma dell'Ambasciatore del Brasile a Parigi odierno. Susa Dantas [ha parlato] con Lavai constatando in lui perplessità notevole forse preoccupato anche sua posizione personale davanti Parlamento. Lavai ha insistito con Susa Dantas circa necessità dare all'Italia soddisfazione mediante soluzione pacifica. Laval mostratosi impressionato dalle notizie fornitegli dallo Stato Maggiore francese circa impreparazione militare i~glese. Egli teme che ',detta impreparazione possa eventualmente troppo incoraggiare Germania. Inoltre Susa Dantas afferma che alcuni elementi del Quai d'Orsai rappresenterebbero con insistenza presso Lavai pericolo che Germania avanzi sue

aspirazioni coloniali qualora Italia ottenga senza guerra protettorato sulla Abissinia.

3) Telegramma dell'Ambasciatore del Brasile a Londra che sembra godere particolare fiducia Foreign Office. Regis Oliveira avrebbe appreso da fonte [confidenziale] che Intelligence Service avrebbe segnalato inizio operazioni militari italiane entro 15 settembre ed eventuale sconfinamento Germania alla frontiera austriaca entro il mese prossimo; ha voluto sincerarsene. In un colloquio avuto con personalità dirigenti Foreign Office, di cui tace il nome, ha constatato profonda indecisione Governo britannico oscillante fra diverse tendenze. In sostanza Regis Oliveira riferisce che Inghilterra sembra ferma nel non (dico non) prendere alcuna decisione prima della riunione del Consiglio Lega delle Nazioni. Avendo Governo inglese dato massimo rilievo alla Lega delle Nazioni non può se non subordinare e se necessario uniformare sua azione conclusiva a quello che sarà atteggiamento della Lega delle Nazioni. Regis Oliveira soggiunge perciò che soltanto dopo la riunione della Conferenza Lega delle Nazioni potrà dire se la attitudine inglese potrà provocare o meno allargamento oltre l'ambito italo-etiopico.

Nell'eventualità che altre comunicazioni siano portate a mia conoscenza ne informerò telegraficamente V.E. qualora codesto Ministero degli Affari Esteri mi informi cortesemente che informazioni di cui sopra sono gradite (1).

(l) -Vedi D. 804. (2) -Vedi D. 844. (3) -Vedi D. 841.
847

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. s. 1520/306 R. Roma, 29 agosto 1935, ore 3,45. Suoi telegrammi 593 (2), 594, 595 (3). E' del tutto arbitrario affermare che l'Italia non intende tener conto degli

impegni assunti verso Gran Bretagna e Francia con l'Accordo Tripartito e con gli altri Trattati relativi all'Etiopia. Nessuna dichiarazione ufficiale o semplicemente ufficiosa vi è stata da parte nostra in tal senso, sia durante la recente riunione di Parigi che in altre occasioni.

Il fatto stesso che, a Parigi, si è discusso sulla base dell'accordo Tripartito e degli altri accordi che regolano i rispettivi interessi delle tre Potenze in Etiopia prova che non vi è alcuna intenzione da parte nostra di mettere in forse la validità delle disposizioni dei detti Trattati relativi agli interessi stessi. Veda di far cadere nel discorso la specificazione «interessi economici ),

v. E. è autorizzata ad esprimersi, all'occasione, verbalmente nel senso suesposto; ma non ritengo opportuno che V. E. proceda a delle dichiarazioni di

carattere formale, dato che il punto di vista italiano in merito all'accordo Tri~ partito è stato già ufficialmente esposto nella Nota Verbale di questo Ministero a questa Ambasciata britannica in data 31 luglio u.s. (1).

Analogamente V. E. potrà esprimersi, all'occasione, nel senso che sono del tutto calunniose le informazioni circa una pretesa attività antibritannica che il Governo italiano svolgerebbe in Egitto. È del tutto falso che da parte nostra siano stati forniti aiuti a nazionalisti egiziani per alimentarne agitazione antibritannica. Atteggiamento italiano in Egitto è stato e continua ad essere del tutto corretto e di piena comprensione della particolare situazione dei rapporti angloegiziani.

(l) -Con T. 1626/225 R. del 10 settembre 1935, Suvich ringraziava per le comunicazioni contenute nel presente documento ed invitava Cantalupo a continuare a tenerlo informato di eventuali ulteriori notizie circa la controversia itala-etiopica. (2) -Vedi D. 792. nota 3. (3) -Vedi DD. 792 e 793.
848

L'INCARICATO D'AFFARI A BAGHDAD, BELLINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9488/66 P. R. Baghdad, 29 agosto 1935, ore 12,20 (per. ore 13).

Faccio seguito al mio telegramma n. 65 (2). Circa andamento trattative Teheran, questa Direzione propaganda e stampa ha diramato oggi comunicato ufficiale seguente:

«Durante permanenza delegazione irachena a Teheran, trattative con Governo persiano svoltesi con spirito leale amicizia. Eliminati passati equivoci e ora appare perfetto accordo. Data necessità presenza rappresentante Iraq e Iran prossima riunione S.d.N., e data mancanza tempo, trattative stesse sono state rinviate con fermo proposito continuarle Ginevra. Si nutre grande speranza giungere presto buoni risultati».

Nuri Pascià [ha fatto dichiarare] da questo direttore generale affari esteri che non può aggiungere altro al suddetto comunicato ufficiale. Egli parte domani Ginevra accompagnato dal signor Edmonds e dal direttore generale affari esteri (3).

849

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5110/100 R. Bled, 29 agosto 1935, ore 18,35 (per. ore 21,35).

Ho ritenuto utile intrattenere Stojadinovic circa nostro punto di vista questione etiopica prima della riunione della Piccola Intesa che comincia oggi. Gli ho rilasciato pro-memoria desunto da telegramma di V. E. n. 1498/C riservato (4) raccomandandogli impartire istruzioni alla Delegazione jugoslava,

se è necessario, nel senso desiderato e scrittogli intendere che atteggiamento Governo jugoslavo in queste circostanze avrebbe costituito e sarebbe stato interpretato come prova delle sue reali disposizioni verso Italia. Stojadinovic mi ha confermato proposito Governo jugoslavo mantenersi estraneo questione e comunque non far cosa a noi sgradita (1).

A mia domanda ha dichiarato che riteneva Piccola Intesa non si sarebbe espressamente occupata del conflitto itala-etiopico. Tutt'al più questione potrebbe essere toccata in sede discussione generale o incidentalmente con problemi all'ordine del giorno.

Stojadinovic mi ha confermato che, salvo impedimenti imprevisti, partirà 31 sera per Parigi per incontrarsi con Lavai; circa movente questo viaggio mi richiamo mio telegramma per corrier.e n. 046 (2).

Ho ugualmente intrattenuto anche Puric, Ministro di Jugoslavia a Parigi, qui presente per riunione Piccola Intesa e che sarà Delegato jugoslavo a Ginevra e gli ho rilasciato copia pro-memoria predetto.

(l) -Vedi D. 639. (2) -T. 2215/65 P.R. del 26 agosto 1935, ore 19,45, con il quale veniva preannunciato l'dnvlo del comunicato ufficiale di cui al presente telegramma. (3) -Con successivo T. 9480/67 P.R. del 31 agosto 1935, ore 19,15, Belllni comunicava che Nmi Pascià aveva rinviato il suo viaggio a Ginevra. (4) -Vedi D. 804.
850

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5107/525 R. Parigi, 29 agosto 1935, ore 20,15 (per. ore 22,20).

Aldrovandi comunica quanto segue:

«4. Tenuta s~amane giovedì riunione a cinque all'Albergo Meurice. In primo tempo fu riunione privata senza segretari.

Politis ha cominciato col far dichiarazioni suo desiderio giungere sentenza unanime e sentenza che conduca soluzione tutte questioni pendenti fra Italia e Abissinia. Politis ha poi sollevato questione luogo nostra adunanza. Esclusi da parte nostra Hòtel des Invalides e nuova proposta Politis radunarci Istituto Carnegie per la pace internazionale, risultando, da dichiarazione stesso Politis, che della Direzione di questo Istituto fa parte Carlo Sforza. Accordatici perché riunioni abbiano luogo alla residenza dei Tribunali Arbitrali Misti, locale per il quale né Montagna, né io abbiamo trovato ostacolo.

Politis ha poi sollevato questione termini nostri lavori. Accogliendo mie osservazioni di ieri (3) ci siamo accordati che data 1° settembre non è impegnativa. La Pradelle ha dichiarato invece strettamente obbligatoria e «fatale, data 4 settembre prossimo, ciò che io non ho ammesso.

Trasformatasi riunione privata in riunione ufficiale con segretari, agenti italiani ed etiopici, intervenuti, hanno convenuto in questa interpretazione per quanto concerne lo settembre e non hanno escluso possibilità proroga oltre 4 settembre se concordemente ammessa dalle Parti.

Quindi Politis ha iniziato richieste agli agenti per supplemento informazioni a lui necessarie. A tale proposito trasmetto a parte telegramma di Lessona (l) al quale attendiamo risposta.

Mi riservo fare pervenire per corriere a v. E. verbale stenografico seduta di oggi.

Politis nella riunione di stamane si è mostrato equo; formulando però talune domande su particolari che possono non essere di troppo facile e piana risposta da parte nostra. Aldrovandi ~ (2).

(l) -Vedi D. 697. (2) -Vedi D. 798. (3) -Vedi D. 837.
851

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5108/528 R. Parigi, 29 agosto 1935, ore 20,30 (per. ore 24).

Aldrovandi comunica quanto segue:

« 7. Proseguite nel pomeriggio seduta ufficiale supplemento istruzione a richiesta Politis, il quale ha fatto a Lessona e Jèze domande che, sotto apparenza equità, mostravano sovente tendenza a noi contraria.

In seduta privata avvenne poi qualche sambio di idee fra cinque arbitri.

E' risultato nettamente tendenza Polltis giungere sentenza che, sotto specie conciliatrice, non (dico non) riconosca responsabilità Etiopia. La Pradelle appariva raggiante. Aldrovandl ~ (2).

852

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 29 agosto 1935.

Nei contatti avuti recentemente a Ginevra e a Parigi coi capi di altre delegazioni ho potuto convincermi che per ogni delegazione non esiste che un solo argomento, uno solo dei lati del problema, che realmente susciti il suo interesse e conseguentemente sia capace di agire sulla sua cortvinzione.

Mi permetto quindi sottoporre all'alta approvazione di v. E. l'opportunità

di aggiungere alle dichiarazioni che la Delegazione italiana dovrebbe fare a

Ginevra, pochi « temi ~ sinteticamente sviluppati, ognuno dei quali è dedicato

alla speciale torma mentis di una determinata opinione pubblica.

E precisamente: l) per la Francia svilupperei il tema della «sécurité d'abord ~. che è l'argomento necessario e sufficiente a tappare la bocca a qualunque uomo politico francese; 2) per l'Inghilterra, la quale ha dimostrato coi fatti -con la sua ultima proposta -di avere l'intima convinzione che i diritti alla espansione possono trovare piena soddisfazione in adeguate concessioni economiche, bisognerebbe dimostrare che gli accordi firmati e i lunghi sforzi dell'Italia per venire incontro all'Etiopia, av,evano appunto per ultimo scopo quello di permettere al l'Italia d'attuare la sua espansione economica in Abissinia. E avvalersi della documentatissima serie di prove del malvolere abissino -non mai smentito né mai modificabile -che sono non solo i rapporti politici di buon vicinato, ma anche questa stessa espansione economica che i decenni hanno oramai comprovato inattuabile; 3) per l'America, sorda a qualunque altro argomento che non sia quello della violazione del suo patto Kellogg, documenterei -con fonti inglesi e americane -la validità inoppugnabile delle riserve relative alla legittima difesa e alla tutela degli interessi vitali; 4) per la Società delle Nazioni in generale, e per i molti e importanti suoi membri firmatari delle convenzioni di Londra del '33 per la definizione dell'aggressore, dimostrerei il diritto dell'Italia a reagire, in base a tali convenzioni, anche con la guerra, per il solo fatto della aggressione militare subita a Ual-Ual.

(l) -E' il T. 5117/527/6 R. del 29 agosto 1935, che conteneva una serie di quesiti formulati da Lessona in ordine a chiarimenti chiesti da Polltis. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolin!.
853

L'INCARICATO D'AFFARI A MOSCA, BERARDIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

l'ELESPR. 3864/1493. Mosca, 29 agosto 1935 (per. il 2 settembre).

Come ho già riferito per telegramma (1), mi sono affrettato ad eseguire le istruzioni di V. E., fornendo al Narkomindiel gli elementi da servire di base alla futura discussione ginevrina sul conflitto itala-abissino.

Le due conversazioni svoltesi in proposito mi hanno dato modo di effettuare qualche sondaggio limitato peraltro dal fatto che, nell'assenza di Litvinov, nessuno dei Commissari aggiunti osa pronunciarsi. Quanto a Litvinov va del resto rilevato che egli aveva già espresso il suo pensiero nella lettera riservata diretta a S. E. Attolico, comunicata all'E. V. dal predetto R. Ambasciatore in data 12 corrente (2).

Il Capo dell'Ufficio Politico, col quale ho lungamente conferito, mi ha detto che egli non poteva non rendersi perfettamente conto del punto di vista ita

liano e della nostra necessità di espansione. Nessuno come lui può comprendere -e gli ha sottolineato -i problemi del nostro Paese, dove ha trascorso alcuni anni. Anche per questo egli si augurava personalmente che il problema etiopico trovasse quella soluzione che l'Italia deve attendersi.

Per parte sovietica, egli aggiungeva, la politica seguita era stata quella della neutralità. Che anzi, in un certo modo, la stampa locale aveva persino fatto da avvocato alla tesi italiana, rilevando la difficoltà di adoperare due pesi e due misure rispetto agli avvenimenti svoltisi nel 1932 in Estremo Oriente.

Sarebbe stato ben desiderabile -egli ha recisamente detto -che l'Inghilterra avesse applicata l'attuale rigidezza societaria nei riguardi del Giappone che ancora non si arresta dal continuare le sue conquiste a danno della Cina.

Sulla decisione che avrebbe potuto prendere la delegazione sovietica al prossimo Consiglio della S.d.N., egli non poteva evidentemente esprimersi in verun modo.

Così pure Krestinski, il quale ha però deciso di mettere Litvinov al corrente dello stato di accusa italiano contro l'Abissinia: anzi, il Commissario degli Esteri trovandosi ora in Italia avrebbe avuto agio di esaminarlo. Ne avrebbe comunque telegrafato a Stein il quale, facendo parte della delegazione sovietica insieme con Potemkin, potrebbe prender subito contatto con S. E. Aloisi.

Ho voluto espressamente richiedere che venisse messo subito al corrente della nostra conversazione anche l'Ambasciatore sovietico a Parigi, ora in soggiorno di cura nelle adiacenze di Mosca, data la sua personalità e la sua particolare conoscenza dei nostri problemi. Farò il possibile per vederlo. Intanto il signor Weinberg mi ha promesso che gli avrebbe particolareggiatamente spiegato le argomentazioni che noi sosterremo a Ginevra.

Per quanto riguarda l'atteggiamento che sarà per prendere la Delegazione sovietica a Ginevra (presieduta da Litvinov e composta da Stein e Potemkin), vi sarà da tener presente anche la nota riserva teorica connessa all'ideologia comunista in materia di politica coloniale delle Potenze « borghesi ». Questo rende alquanto delicata la posizione dell'U.R.S.S. di fronte alla questione abissina e pur nel naturale desiderio di salvaguardare da inutili scosse i rapporti di amicizia coll'Italia, potrebbe al caso eventualmente indurre la delegazione sovietica a qualche manifestazione teorica «per salvare la faccia».

Peraltro, malgrado la conclamata tesi sovietica dell'indivisibilità della pace, preoccupa sopratutto il timore che il conflitto con l'Abissinia non possa venire localizzato determinando conseguenze serie per la pace europea.

La misura della disposizione dell'U.R.S.S. nei nostri confronti è quindi da considerarsi in relazione diretta con la sicurezza sovietica. Finchè sussiste questa condizione e purchè i principi societari siano salvi, almeno per la forma, la posizione sovietica non troverebbe ragioni di contrasto con noi. Gli è a tal fine che tra gli argomenti forniti da V. E., quello che ho creduto di dover sottolineare al Narkomindiel e che può più toccare la sensibilità di questi dirigenti, è che l'Italia desidera di portare alla sicurezza collettiva la propria collaborazione più libera e fattiva.

Non voglio tacere peraltro l'attività da parte di questa Ambasciata britannica. Lord Chilston che è stato trattenuto appositamente qui sino alla metà di settembre, pur lamentandosi dell'atteggiamento «strano ~ della stampa russa, fa ogni sforzo per apportare argomenti alla tesi del suo Governo. Ciò che non manco di controbattere nelle frequenti conversazioni presso questo Commissariato per gli Affari Esteri (1).

(l) -Si riferisce al T. 5086/147 R. del 29 agosto 1935, ore 1,45, con !l quale Berard!s aveva riferito sommariamente circa l'esecuzione delle Istruzioni contenute nel T. 1499/C. R. (vedi D. 8.10). (2) -Non rinvenuta.
854

IL CONTE VERNARECCI DI FOSSOMBRONE AL VICE CAPO DI GABINETTO, JACOMONI

L. P. Genova, 29 agosto 1935.

Sono di ritorno da Schliersee. Mi sono occupato della questione stampa e mi è stato escluso che siena apparsi negli ultimi tempi apprezzamenti men che favorevoli.

Anzi, devo dirLe che della stampa ho potuto occuparmi direttamente, essendo stato nei giorni scorsi ospite nostro a Schliersee il Capo dell'Ufficio Stampa del Reich, Dresler, con la consorte. Ella avrà notato infatti che i commenti dei giornali tedeschi dell'ultima decade sono stati particolarmente simpatici.

Poiché ritornerò quanto prima in Baviera attendo qui Sue istruzioni.

855

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 5116/530 R. Parigi, 30 agosto 1935, ore 0,50 (per. ore 3,40).

Riassumo conversazione odierna con Lavai.

Egli ritiene, in base ad impressioni che potrà però modificare dopo suo colloquio di lunedì con Eden, che inglesi abbiano rinunziato all'idea di proporre sanzioni, che però le voterebbero se fossero proposte da altri.

Ho chiesto quale potrebbe essere altro Stato che facesse simile proposta.

Mi ha risposto nominando Danimarca non perché avesse notizie in proposito, ma perché è piccolo Stato imbevuto di spirito societario. Ho detto a Lavai di essere certo che la Francia voterebbe contro. Mi ha risposto che dovrebbe interpellare suoi Colleghi di Gabinetto perché,

contrariamente a quanto riferiscono giornali nel Consiglio dei Ministri di ieri egli non era riuscito ad ottenere unanime assenso contro le sanzioni.

Lavai molto preoccupato e sempre ancora alla ricerca di una via d'uscita tornò a parlarmi dell'idea di proporre che S.d.N. nomini Commissione d'inchiesta che si rechi sui posti.

Ho ripetuto energicamente che noi non avremmo mai potuto accettare una cosa simile. Pensasse che avevamo 200 mila uomini in Africa pronti a marciare.

Lavai disse allora che poichè noi avremmo presentato un memoriale contenente nostre recriminazioni contro l'Abissinia, equità voleva che fosse udita anche altra parte ed è perciò che pensava tuttora all'invio di una Commissione di inchiesta.

Ho ribattuto che il nostro memoriale con ogni probabilità parlerà dei molti Trattati firmati ma non eseguiti. Questa era un dato di fatto che non richiedeva controllo. Inoltre esistenza della schiavitù era nota al mondo intero, come pure i sistemi medioevali carcerari e cose simili.

Lavai insistette Consiglio non può senz'altro accettare quanto dice un membro della S.d.N. contro un altro.

Allora gli dissi che si poteva tutt'al più ammettere nomina di un Comitato che esaminasse memoriale italiano, cioè uno dei tanti perditempo ginevrini. Mi parve disposto adattarsi ad un simile ripiego.

856.

L'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, ANFUSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5185/225 R. Atene, 30 agosto 1935, ore 12,30 (per. ore 13,15).

Maximos, al quale ho compiutamente esposto atteggiamento R. Governo verso Etiopia, quale risulta da telegramma per corriere di V. E. n. 1498/C del 24 corrente (l), mi ha incaricato far pervenire a V. E. suoi vivi ringraziamenti per mia comunicazione che ha trovato del più grande interesse e di cui mi ha pregato rimettergli diffuso promemoria.

Poichè Delegazione ellenica sarà da lui stesso presieduta, egli si riserva mettersi in contatto, a Ginevra, con S. E. Aloisi e chiedergli successive informazioni sui punti da me comunicati.

senza entrare nel merito dell'atteggiamento che delegazione ellenica potrà tenere nella prossima riunione Ginevra, atteggiamento che oggi più che mai è subordinato alle direttive degli altri componenti dell'Intesa Balcanica (mio telegramma n. 224 del 28 corrente) (2), Maximos, quali possano essere interpretazioni solidarietà religiosa ed economica greco-etiopica vanamente affermata da questa stampa, si rende perfettamente conto che amicizia italo-greca vale più dell'etiopica.

Anche egli, naturalmente, offre suo tributo di parole alla possibilità trovare una soluzione pacifica al conflitto italo-etiopico, ma non si può affermare che ne faccia una questione essenziale. Quello che più interessa Governo ellenico -dice Maximos -è che Italia e Inghilterra siano amiche nel Mediterraneo. Qualsiasi frizione queste due Potenze non può che nuocere alla Grecia la quale in casi estremi deve ricercare sempre più stretta neutralità.

I suoi timori nascono perciò da questa seconda incidenza del conflitto italaetiopico e sono legittimamente spiegabili dalla particolare posizione della Grecia nel Mediterraneo.

Rassicurato su questi punti, Governo ellenico deve considerare sue alleanze balcaniche. Di esse oggi, data disastrosa situazione interna, Grecia, è più che mai vassalla. Titulescu troverà, perciò, adesso, Maximos più che mai arrendevole, anche perchè Grecia ha bisogno completa approvazione suoi alleati britannici per restaurazione monarchica verso la quale troppi uomini politici ellenici si sono definitivamente compromessi.

A riprova impressioni su eventuale atteggiamento greco a Ginevra converrà aggiungere soliti accenni al Dodecanneso, ora cauti ora aperti, sempre inopportuni, che Maximos tenta inserire [quando] crede poterei lesinare suoi servizi. Tale vezzo potrà essergli tolto a tempo opportuno: nel ca&o presente e per una volta ho creduto bene non rilevarlo.

857.

IL MINISTRO AD OSLO, RODDOLO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5183/110 R. Oslo, 30 agosto 1935, ore 20,25 (per. ore 21,35).

Da fonte sicura ho saputo che nella riunione dei Ministri Esteri nordici Oslo accordo azione a Ginevra è stato raggiunto su questi punti:

l) non, dico non, prendere iniziative. Giovare a nessuna delle Potenze nordiche in questo momento mostrarsi a rimorchio di una o più Potenze quindi non prestarsi fare giuoco di altri;

2) anche se qualche Potenza avanzasse proposte, attendere sviluppi e orientamento discussione prima di prendere posizione; 3) nel caso che maggioranza si orientasse per espulsione Etiopia dalla S.d.N., non opporsi; 4) se invece si venisse ad una rottura, prendere atteggiamento societario ed appoggiare eventuale azione S.d.N. Nei riguardi comunicato ufficiale (mio telegramma n. 108) (1), [dichiarazioni] Ministro Affari Esteri alla stampa ed alla radio (mio telegramma

n. 105) (1), confermano essere state sopratutto ispi.rate da considerazioni politica interna e partito sotto pressioni numerosi pacifisti del paese.

Ma, in ultima analisi, Delegazione Norvegia a Ginevra seguirà Londra. Secondo me, nel caso Francia e Inghilterra prendessero atteggiamenti diversi, orientamento verso Londra da parte questo Paese ha delle possibilità molto maggiori che non orientamento verso Francia.

Alti funzionari di questo Ministero sono stati molto sensibili alla comunicazione fatta in obbedienza telegramma di V. E. n. 1499/C (2).

Poichè durante lavori ginevrini Ministero sarà diretto da questo Segretario Generale, cui è indubbia grande autorità, permettomi prospettare a V. E. opportunità fargli avere per il tramite di questa Legazione almeno parte essenziale documentazione che sarà presentata Ginevra da parte del R. Governo. Sarebbe utile a tale scopo mostrargli i nostri argomenti giuridici.

Mi risulta infine che gli alti funzionari e qualche collega del Ministero degli Affari Esteri non l'hanno risparmiato nelle loro intime conversazioni. Ministro degli Affari Esteri si dev.e essere mostrato alquanto inesperto. Non si è liberato dalle abitudini della cattedra e della riunione popolare.

In fondo questi quattro Ministri esteri non sono riusciti vincere vecchia diffidenza e si sono resi conto di quello che divide quattro Paesi.

Salvo ordini contrari di V. E. in questi pochi giorni che ci separano partenza Delegazione Norvegia per [Ginevra] vorrei adottare nei riguardi di Koht una tattica di ancora maggiore indifferenza verso quello che potrà fare o non fare a Ginevra mentre mi terrò in più frequente contatto con i funzionari.

858.

IL MINISTRO A LISBONA, TUOZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5208/50 R. Lisbona, 30 agosto 1935, ore 20,40 (per. ore 21,45).

Mio rapporto n. 558 (1).

Questo Ministro degli Affari Esteri partito per Ginevra ieri dopo avere visitato Presidente del Consiglio, che soggiorna in campagna. Egli si fermerà qualche giorno a Parigi ove spera firmare accordo commerciale.

Posizione Portogallo Ginevra è evidentemente rivolta tutela sue relazioni con l'Inghilterra. Egli mi ha detto però che ritiene conquista Abissinia da parte nostra non contraria a interessi Portogallo e essere pronto dichiarare Consiglio della Società delle Nazioni che nessuna ripercussione è da temere tra i negri colonie portoghesi. Ripercussioni potrebbero esservi solo se eventuali misure adottate per ostacolare nostra azione la rendesse lunga e difficile. Egli svolgerebbe a Ginevra opera per evitare ostilità e ove ciò non fosse possibile, localizzare conflitto che non deve perdere carattere coloniale.

Mi sembrerebbe opportuno farlo avvicinare Ginevra da qualche membro nostra Delegazione, essendo persona molto sensibile a tali attenzioni.

859.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5146/534 R. Parigi, 30 agosto 1935, ore 21,30 (per. ore 24).

Aldrovandi comunica quanto segue:

« 8. Tenuta stamane venerdì seduta privata cinque Arbitri. Politis ha confermato la sua tendenza decisa a non ammettere responsabilità aggressione da parte Etiopia. Egli ci ha letto suo tentativo di conclusione in questo senso. Da esso e dal corso della conversazione è risultato che, mentre egli è disposto ad

escludere responsabilità italiana « potrebbe giungere a dire che la versione italiana è probabile e verosimile ma non può dire esserne certo~. Mando per corriere primi paragrafi di un progetto di decisione e sentenza preparato da Politis. Aldrovandi ~ (1).

860.

L'AMBASCIATORE A PARIGI CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5152/535 R. Parigi, 30 agosto 1935, ore 21,30 (per. ore 24).

Aldrovandi comunica quanto segue:

« 9. A quanto mi ha detto Cerruti, al quale dopo la comunicazione telefonica di ieri sera con Guariglia relativa al mio teLegramma n. 7 (2) avevo trasmesso istruzioni ministeriali di conferire con Lavai, ciò che egli fece immediatamente, conversazione Laval-Politis è avvenuta stamane con esito negativo. Politis ha dichiarato che egli deve giudicare unicamente con la sua coscienza e non può consentire al 100 per cento che vorrebbero gli italiani. Questo è risultato d'altronde chiaro nella seduta di oggi secondo riferisco il mio telegramma n. 8 (3).

Alla fine della seduta Politis ha ricordato agli arbitri obbligo dell'assoluto segreto delle nostre riunioni verso chicchessia, ciò che probabilmente egli ha fatto in relazione passo Lavai presso di lui. Aldrovandi, (1).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

(l) -Vedi D. 804. (2) -Non pubbllcato. (l) -Non pubbl!cato. (2) -Vedi D. 810.

(l) R. 1526/558 del 26 agosto 1935, non pubblicato.

861

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 5150/538 R. Parigi, 30 agosto 1935, ore 21,30 (per. ore 24).

A complemento di quanto accennai stamane per telefono a S. E. Suvìch, informo V. E. che Laval mi dichiarò di non riuscire a trovare una via di uscita. Egli mi disse testualmente: «Se avete dell'immaginazione ditemi le vostre idee perché io non so dove batter la testa,,

Gli ho risposto che occorre semplificare, non complicare le cose. Se la Società delle Nazioni riconoscesse che l'Etiopia non possiede i requisiti per esserne membro, essa potrebbe disinteressarsi dell'ulteriore sviluppo [dì conflitto] itala-etiopico.

Lavai mi ha detto che egli ritiene che sia troppo tardi per entrare in un simile ordine di idee.

Egli mi ha poi riparlato delle sanzioni, chiedendomi se sapevo quale sarebbe stato atteggiamento dei vari Stati Membri del Consiglio qualora esse dovessero essere proposte.

Ho risposto negativamente ed ho mostrato non poco stupore sentendo menzionare da lui per la seconda volta possibilità che qualcuno faccia una simile proposta (1).

Gli ho domandato se avesse qualche informazione a riguardo.

Lavai mi ha risposto in senso negativo anche quando io gli ho ricordato che egli aveva accennato ieri meco alla Danimarca come ad uno Stato che sarebbe in grado di fare una simile proposta.

Dichiarò di non credere affatto che Danimarca potesse pensare ad una cosa simile. Però ho fondata ragione di credere che la Danimarca deve aver fatLv qualche passo presso Quai d'Orsay per accertare quale sarebbe l'atteggiamentu della Francia di fronte ad una proposta di sanzioni.

Lavai mi ha chiesto poi se l'Italia non potesse contare in modo sicuro sopra uno Stato almeno facente parte del Consiglio il quale fosse deciso a votare contro una proposta di sanzioni perché ciò risolverebbe la questione.

Gli ho detto che mi sarei informato.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussollni. (2) -Vedi D. 851. (3) -Vedi D. 859.
862

L'INCARICATO D'AFFARI A VARSAVIA, BELLARDI RICCI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

T. 5194/112 R. Varsavia, 30 agosto 1935, ore 22 (per. ore 1,45 del 31).

A seguito istruzioni fattemi dare telefonicamente ieri sera da V. E. a mezzo comm. Cosmelli, e previa intesa con mio collega Incaricato d'Affari di Francia, ho presentato oggi a questo Ministro Affari Esteri testo progetto concordato fra Governi italiano e francese riguardante principali disposizioni a inserire in un Trattato generale di non aggressione non ingerenza e consultazione per l'Europa Centrale.

Da tale testo trasmessomi con telespresso n. 228645/C in data 22 corr. (2) avevo stralciato, secondo le istruzioni telefoniche di ieri, ultime tre righe del terzo alinea del terzo articolo, e cioè dalle parole: ... (3) alle parole «seule appreciation :~>.

Signor Beck ha mostrato gradire molto presentazione tale progetto e, nel pregarmi di ringraziare V. E., si è richiamato a quanto al riguardo aveva significato personalmente V. E., in occasione dell'incontro di Venezia (4), circa cioè il suo vivo interessamento ad un possibile raggiungimento di accordo danubiano. Ministro degli Affari Esteri ha ·detto che esaminerà subito con massima attenzione, progetto presentatogli e sarà lieto avere occasione parlarne con S. E. Aloisi prossima settimana a Ginevra.

Mio collega francese ha presentato subito dopo di me al signor Beck analogo testo di progetto ad eccezione della soppressione all'alinea terzo non avendo ricevuto istruzioni al riguardo (5).

D. -49, Allegato.
(l) -Vedi D. 855. (2) -Non rintracciato, ma si veda Documents diplomatiques jrançais, 1932-1939, vol. XI, cit., (3) -Nota deLl'Ufficio Cifra: <<Gruppo indecifrabile». (4) -Vedi D. 63. (5) -Con T. 1545/95 R. del 31 agosto 1935, ore 22, Suvich comunicava: «Con riferimento conversazione telefonica ed in relazione ad ulteriore intesa intervenuta con Governo francese, autorizzaLa presentare noto testo con soppressione di tutto l'alinea terzo dell'articolo III e quindi conforme al testo in possesso codesto Incaricato di Francia ».
863

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5173/254 R. Buenos Aires, 30 agosto 1935, ore 22,49 (per. ore 7 del 31).

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 1499/C. R. (1).

Ho fatto personalmente prima in apposita udienza datami dal Presidente della Repubblica e poscia a questo Ministro degli Affari Esteri particolareggiata comunicazione di quanto esposto nel citato telegramma avvalorando con tutte le considerazioni ed i chiarimenti esplicativi del caso. Ho rilasciato in appoggio un promemoria (non firmato) redatto in italiano ed accompagnato da traduzione spagnuola nel quale è accuratamente parafrasato contenuto dello stesso. Ricalcando quanto già detto precedenti conversazioni in merito alle quali ho riferito a suo tempo (e per ultimo con i miei telegrammi n. 235 e n. 236 dell'S corr.) (2) ho convenientemente insistito sulle ragioni storiche giuridiche e contingentali che determinano il fermo e pienamente legittimo atteggiamento italiano di fronte alla costante insidiosa malafede ed alle provocazioni etiopiche che rendono praticamente impossibile nelle attuali condizioni ogni intento di pacifica collaborazione. Atteggiamento il quale, impostoci da imprescindibile necessità di sicurezza e di difesa non solo non contrasta con i noti patti internazionali ma non è inteso comunque a pregiudicare gli interessi di alcun'altra nazione né menoma affatto nostra lealtà politica di efficace contributo ed appoggio alla sicurezza collettiva.

I miei interlocutori hanno ascoltato e chiesto chiarimenti su dettagli degli antecedenti internazionali pratici e giuridici della questione dimostrando marcato interesse ed una sufficiente conoscenza della situazione. Pur senza farmi (come certo non sarebbe stato da aspettarsi e come io non avevo affatto richiesto) dichiarazioni esplicite «contrarie ~ all'Inghilterra, il Generale Justo, esaminando meco motivi dell'opposizione del Governo britannico al punto di vista italiano ha spontaneamente esclamato: «Trattasi evidentemente di ragioni di egemonia esclusivista in Africa~.

Ministro degli Affari Esteri dal canto suo, pur senza sbilanciarsi in ciò che costituisce il fondo della questione, mi ha confermato a diverse riprese la sua disapprovazione per l'atteggiamento di «non sufficiente serena neutralità tenuto nella propria inesperienza ambiente e nell'esagerato desiderio mettersi in evidenza~ dal delegato argentino all'ultima riunione di Ginevra, ripetendomi in massima doversi tutto al più limitare un rappresentante americano a generiche dichiarazioni di principio senza entrare nella sostanza di controversie che riguardano Potenze europee localmente e direttamente interessate.

Mentre stimo superfluo riferire circa tutti i particolari delle considerazioni da me svolte nelle conversazioni che hanno mantenuto sempre intonazione assai cordiale verso l'Italia e il suo Governo e che ho ripetuto poi personalmente dettagliatamente al Direttore Generale politico presso questo Ministero Affari

Esteri, assicuro V. E. di av.ere richiesto Ministro ed ottenuto conforme affidamento, che istruzioni siano inviate al Delegato argentino nel senso di prendere gli opportuni contatti con nostra Delegazione Ginevra, nella cui imminente riunione del Consiglio, mi ha detto Ministro Affari Esteri, la Presidenza non sarà tenuta dall'Argentina, per la parte concernente conflitto italo-etiopico, come le spetterebbe per turno, ma continuerà essere attribuita al precedente Presidente sotto il quale ne fu iniziata la trattazione.

Per ciò che riguarda poi l'Assemblea, confermando punto di vista già riferito col mio telegramma n. 236, stesso Saavedra ha declinato invito ricevuto da Ginevra di recarsi personalmente a presiederla colà.

Mentre ho fondata impressione che da parte inglese si svolga qui intensa azione non tanto contro l'Italia quanto in sostegno dei proclamati principi societari, penso in riassunto di tutto ciò che precede, che, salvo imprevisti ultimi momenti, atteggiamento Argentina cercherà di essere più che altro guardingo e neutrale.

Continuo mantenere contatti e ritelegraferò.

(l) -Vedi D. 810. (2) -Vedi D. 694.
864

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5195/144 R. Ginevra, 30 agosto 1935 (per. il 1° settembre).

Ho visto stamane Avenol. Mi ha detto di essere molto preoccupato per le notizie che aveva ricevute da Londra. Il comunicato del Consiglio dei Ministri italiano (l) non aveva mutato l'ostilità fondamentale dell'opinione pubblica e degli uomini responsabili inglesi all'impresa italiana. Sempre parlandomi del comunicato di Bolzano mi ha detto testualmente che se l'esposto che farà la Delegazione Italiana sarà un preludio giustificativo all'impresa militare che dovrebbe subito seguire, l'effetto che se ne potrà scontare davanti all'opinione mondiale e davanti alla Lega sarà nullo o quasi. Se viceversa il nostro atto d'accusa costituirà la premessa per giungere ad un compromesso non vi è dubbio che il suo effetto sarà risolutivo per il successo del negoziato. Quanto

Si presenterà per porre il probwma abissino in tutta la sua cruda realtà, perché non solo il Consiglio ,ma il mondo possa finalmente prenderne esatta cognizione. L'Italia presenterà anzitutto una dichiarazione che fissa la sua posizione dinanzi al problema etiopico. Seguirà un "memorandum" più esteso, che sarà la storia politica e diplomatlCa dei cinquant'anni di relazioni f<ra Italia e Etiopia, nonché fra Italia e potenze europee confinanti. Sarà ch1aro che, dal trattato di Uccia!li in poi, sempre fu riconosciuto all'Italia un diritto di priorità coloniale sull'Abissinia. Questo "memorandum·· sarà accompagnato da una piccola, ma recentissima e scelta letteratura di scrittori inglesi, germanici, francesi, che illustrano l'Etiopia, quale essa è nella sua condizione di coacervo di tribù retrograde e schiaviste, con un inesistente potere centrale.

L'Italia intende difendere la sua tesi, i suoi blsog'ni, la sua necessità di sicurezza, i suoi interessi di vita, fino all'ultimo, perché ogni membro del Consiglio si assuma le sue responsabilità dinanzi alle eventualità di domani.

Dopo avere illustrato l'atteggiamento di talune correnti inglesi, il capo del Governo ha dichiarato che la Gran Bretagna non ha nulla da temere da quella che sarà la politica italiana verso l'Etiopia. La politica dell'ItaUa non minaccia, né direttamente, né indirettamente

all'attitudine dei vari stati rappresentati in Consiglio gli sembrava indubbio che essi avrebbero seguito l'Inghilterra, dato che quest'ultima porrà il problema sulla base del rispetto dei Trattati e della salvaguardia del sistema societario che costituisce la suprema garanzia di pace nel mondo contemporaneo. Sul terreno ideologico e morale tutti gli Stati -compresa la Francia -avrebbero seguito l'Inghilterra anche se tutti o quasi si rendono conto delle ragioni e dei bisogni dell'Italia. A suo avviso anzi la più parte degli stati se ne rendono così bene conto che egli era sicuro che a Ginevra tutti o quasi i membri del Consiglio avrebbero fatto uno sforzo decisivo spontaneo e cordiale per trovare una formula che desse piena soddisfazione all'Italia senza alcuna preoccupazione dell'Etiopia la cui sorte non sta a cuore, in fondo, a nessuno. Ma se l'Italia aggredirà l'Etiopia non troverà a Ginevra -ed ha sottolineato, sempre per ragioni ideologiche, -nessun appoggio ma solo dell'ostilità. In quanto alle sanzioni gli sembrava fin d'ora da escludere che si potesse raggiungere l'unanimità in seno al Consiglio e che su questo terreno l'Inghilterra non si faceva più molte illusioni.

Parlandomi della imminente sessione di Ginevra Avenol mi ha detto che Laval avrebbe cercato di fare tutto il possibile per trovare una soluzione del conflitto, ma che comunque il Presidente del Consiglio si trovava in una situazione difficilissima. A suo avviso Laval era andato anche troppo oltre le sue possibilità. Egli non poteva trascurare l'opinione pubblica del suo paese la quale durante quindici anni ha considerato la S.d.N. come la migliore garanzia per la sicurezza della Francia. Laval non poteva agire da dittatore. n Consiglio dei Ministri non gli avrebbe dato carta bianca. L'Italia poteva contare sugli sforzi amichevoli del Presidente francese per trovare un compromesso, ma la Francia non avrebbe in nessun modo sanzionato col suo beneplacito qualsiasi atto concreto di guerra contrario agli impegni previsti dal Patto e dagli altri Trattati. Tutto il sistema della sicurezza europea così faticosamente costruito durante questi ultimi quindici anni di pace sarebbe stato irreparabilmente compromesso da un simile atto e nessun uomo politico in Francia che tentasse di incoraggiare con la sua attitudine una guerra contraria al Covenant resisterebbe di fronte alla condanna dell'opinione pubblica, ed era un chiaro sintomo che il Presidente del Consiglio già cominciava a

gli interessi impe.riali inglesi, per cui il tendenzioso allarme suscitato dn taluni circoH è semplicemente assurdo.

L'Italia ha una questione con l'Etiopia; non ha, né vuole avere questioni con la Gran Bretagna, con la quale durante la guena mondiale, successivamente a Locarno e recentemente a stresa, fu realizzata una collaborazione di indubbia · importanza per Ja stabilità europea.

11 Govemo fascista pensa che la sua questione coloniale non deve avere r1fless! sulla situazione europea, a meno che non si voglia correre il pericolo di scatenare una nuova guerramondiale, per evitare che una grande potenza come l'Italia metta •l'ordine in un vasto paese ove regnano la schiavitù pdù atroce e primitive condizioni di esistenza.

Quanto al problema delle "sanzioni", che dov.rebbero essere eventualmente approvate dalla Lega, il Consiglio dei ministri dichiara al popolo litaliamo ed agli altri popoli che parlare di "sanzioni" significa porsi su un plano inclinato dal quale si può sboccaJ."e nelle Più gravi complicazioni. n Governo fascista ritiene tuttavia che si troverà nel Consiglio della Lega un gruppo di uomini responsabili e consapevoli, pronti a respingere ogni odiosa e pericolosa proposta di sanzioni contro una nazione quale è l'Italia; capaci anche di ricordare che in precedenti e ben più gravi casi la Sooietà delle naz.ioni non ha né votato e meno !llncora potuto applicare sanzioni di qualsiasi specie.

Comunque il Governo fascista compie il dovere preciso di rendere noto al popolo italiano che il problema delle sanzioni è stato esaminato dalle più alte autorità militari del regime, sotto tutti i suoi aspetM, e che per quanto concerne eventuali sanzioni di carattere bellico, le decisioni e le misure necessarie per fronteggiarle sono già state prese da tempo>>. (ed. dn B. MUSSOLINI, Opera omnia, vol. XXVII, cit., pp. 115-116).

61 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. I

subire violenti attacchi da buona parte della stampa. Lavai poi, a suo avviso,

impegnandosi a dichiarare preventivamente che non si sarebbe associato alle

eventuali sanzioni che la Lega decretasse, si era diminuito di fronte a quest'ul

tima di molta di quella autorità imparziale e di quel prestigio che gli sareb

bero indispensabili per una fruttifera opera di mediazione tra gli italiani e

gli inglesi a Ginevra. La formula --ha poi aggiunto con un sorriso scettico

Avenol -di «salvaguardare i principi del Patto ma di evitarne l'applicazione~

pubblicata da vari giornali di Parigi era stata suggerita certamente da Lavai

alla stampa francese ma gli sembrava di dubbia attuazione.

A questo punto ho creduto utile ricordare al signor Avenol che noi avevamo fatto dei grandi sforzi per trovare la comprensione degli stati responsabili e sopratutto di quelli che si riuniranno il 4 settembre a Ginevra ma che con 200 mila uomini pronti a marciare ai confini dell'Etiopia non potevamo aspet-tare dei mesi che Ginevra escogitasse una formula compromissoria. Era questa

ora di decisioni immediate. Se la Lega non avesse capito la necessità storica

di agire in senso realistico sfrondando il problema dalle ideologie inutili e

considerandolo nella sua realtà politica, l'Italia avrebbe agito da sola ed

erano universalmente note le idee del Capo del Governo d'Italia in proposito.

Avenol mi ha risposto che malgrado il pessimismo di tutta l'opinione pub

blica mondiale egli ancora sperava nella possibilità di un compromesso. Esclu

deva che si potesse arrivare all'espulsione dell'Etiopia dalla Lega. Si chiedeva

perché, viceversa, non si potesse far scaturire dal Consiglio attuale una con

ferenza tipo Algesiras (dalla quale la Francia aveva in sostanza ottenuto il

Marocco) e che permettesse all'Italia di «entrare legalmente in Etiopia~.

A suo avviso se l'Italia potesse stipulare con l'Etiopia un Trattato che le con

ferisse tutti i titoli voluti per una penetrazione economica e demografica pri

vilegiata, per una serie svariata di concessioni e se, a garanzia dell'esecuzione

del Trattato, l'Italia potesse occupare, mettiamo la regione di Adua o tutto

il Tigré, egli riteneva questo «primo passo~. a cui avrebbe potuto seguire len

tamente il resto, come una vittoria formidabile per l'Italia che avrebbe dato

al suo Capo uguale e forse maggiore prestigio di una vittoria militare senza

alienargli in nulla le simpatie del mondo. Egli parlava di questo come di una

idea sua personale ma era certo che se l'Italia non avesse precipitato gli eventi

una soluzione, mercè il concorso della Francia, si sarebbe potuta trovare sulle

basi anzidette o anche su altre che potessero costituire la premessa «per una

nuova Algesiras ~.

Egli, per sua parte, se noi avessimo fatto un esposto sereno sulla situa

zione dell'Etiopia -esposto che a suo avviso avremmo dovuto presentare fin

da molti mesi fa, a Ginevra, per mettere l'Etiopia nella giusta luce davanti

al mondo civile -si sarebbe impegnato a fare tutto il possibile per modera:::e

il tono della relazione che Eden stava preparando per il Consiglio e rendere

cosi più facili i contatti e le trattative.

Riteneva che malgrado la questione etiopica fosse iscritta al numero 22

dell'Ordine del giorno del Consiglio essa sarebbe stata discussa come primo

argomento e Eden avrebbe parlato per primo per rendere conto al Consiglio

del risultato dei negoziati di Parigi.

(l) Per la parte relativa alla questione etiopica il comunicato emesso dal Consiglio dei ministri riunito a Bolzano il 28 agosto 1935, ore 18-20, diceva quanto segue: «Il Consiglio dei ministri ha quindi ascoltata una relazione fatta dal capo del Governo su,Ja situazione internazionale. Egli ha comunicato che l'Italia si presenterà alla riunione del Consiglio della Società delle nazioni fissata per il 4 settembre.

865

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 30 agosto 1935.

Questo Ministro d'Ungheria è venuto a ringraziare. a nome del suo Governo per l'appoggio dato dal Delegato italiano a quello ungherese nel Comitato per lo studio delle misure atte a rendere effettivo il Patto della Società delle Nazioni per la sicurezza collettiva (Comitato dei Tredici: vedi Deliberazione di Stresa).

866

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5151/540 R. Parigi, 31 agosto 1935, ore 0,10 (per. ore 4,45).

Comunico V. E. seguente telegramma Aldrovandi:

«10. Mio telegramma n. 8 (1).

Nella seduta oggi pomeriggio venerdì, Politis ha mantenuto un atteggiamento che, pur fingendo imparzialità, Montagna ed io interpretiamo come poco favorevole nei riguardi nostri. Riferisco in altro telegramma (2) esposto Lessona su parte della seduta ufficiale, alla quale egli intervenne, con Jèze, richiamando speciale attenzione su paragrafo l del mio telegramma n. 6 (3). Riunione continuò poi in seduta privata a cinque. Si sono cominciati a rivedere paragrafi del progetto di decisione o sentenza di Politis (mio telegramma

n. 8), che non presentano gravi obbiezioni da parte nostra perché riferiscono principalmente due versioni italiana ed etiopica su fatti fino al 5 dicembre 1934 e sono redatte con bastevole imparzialità. Cio serve, se non altro, ai fini del telegramma di V. E. n. 97 (4). Richiamo infine attenzione dell'E. V. se, in previsione di sentenza di maggioranza che non ammetta responsabilità Etiopia, non sarebbe opportuno cercare un incidente che interrompa lavori comuni, come potrebbe essere dissenso dei Governi italiano ed etiopico sul punto prospettato nell'esposto di Lessona summenzionato.

Mi riservo prospettare altra nostra eventuale linea di condotta quando V. E. sarà in possesso testo del progetto di decisione o sentenza di Politis che invio per corriere~ (5).

(l) -Vedi D. 859. (2) -E' il T. 5156/541/11 R. del 31 agosto 1935: Lessona riferiva aver Jèze chiarito che il Governo etiopico sarebbe stato soddisfatto «di semplice dichiarazione responsabilità Italiana senza trarne ulteriori pretese ». (3) -Vedi D. 850, nota l, p. 884. (4) -Vedi D. 814. (5) -Il presente documento reca il visto di Mussolini.
867

IL MINISTRO AD OSLO, RODDOLO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5175/113 R. Oslo, 31 agosto 1935, ore 13,08 (per. ore 16,40).

Ho precisato stam.ane a questo Governo punto relativo questione italaabissina di cui al telegramma di V. E. n. 1541 (1).

868

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5235/122 R. Sofia, 31 agosto 1935, ore 20 (per. ore 20,40).

Oggi parte per Ginevra, via Venezia, Delegazione bulgara, composta Ministro degli Affari Esteri e direttore Debito Pubblico. Altri due componenti, Governatore Banca di Stato bulgara e Delegato permanente presso S.d.N., si trovano già sul posto.

Ho potuto mettere Ministro degli Affari Esteri sommariamente al corrente contenuto telegramma n. 1498/C (2) giunto corriere ieri e ne ho avuto assicurazione che, appena giunto Ginevra. si metterà in rapporto con la nostra Delegazione.

869

IL MINISTRO A RIGA, MAMELI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5228-5229/53-54 R. Riga, 31 agosto 1935, ore 21,07 (per. ore 24).

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 1498/C.R. per corriere (2) e

n. 1540/C. (3).

Ho fatto comunicazione prescrittami a Munters, Segretario Generale Ministero Affari Esteri, Capo Delegazione lettone prossima Assemblea Società delle Nazioni.

Prendendo atto ogni argomento, di cui Governo lettone terrà dovuto amichevole conto, mi ha dichiarato che si reca Ginevra con istruzioni generiche su

principi evitare guerra (intendendo concetto in senso generale e non relativamente caso [itala-etiopico] da considerare eventualmente in seguito) e con ordine riferire suo Governo sviluppi situazione per averne istruzioni. Mi ha formalmente assicurato che si terrà in contatto con nostra Delegazione e che riferirà soltanto con piena conoscenza nostre ragioni.

Durante lunga conversazione e sviluppo argomenti ha ricordato che Ministro degli Affari Esteri signor Merovicz, in qualità Presidente della Commissione per domanda ammissione Etiopia Società delle Nazioni, fu strenuamente contrario accoglimento. Lettonia ha relazioni molto amichevoli con, l'Italia e non ne ha con Etiopia. Se [Consiglio] attivasse procedura espulsione Etiopia Società delle Nazioni, provandone inadempienza impegni, Lettonia si sentirebbe legata alla linea di condotta in favore tesi italiana.

Riteneva che Stati Intesa Baltica condividessero punto di vista. Sembrava [condividere] interpretazione che soluzione sarà onorevole: accordo itala-inglese su reali interessi e procedura espulsione Etiopia, il tutto in adeguata cornice societaria.

Con eguale franchezza Munters mi ha detto che, in c!lso conflitto Ginevra, riteneva che innanzi tutto Lettonia, come ogni altro piccolo Stato, avrà interesse lasciare che grandi Potenze risolvano situazione critica tra loro. Se si dovesse addivenire voto, Lettonia non potrebbe evidentemente non tenere conto anche atteggiamento R. Governo come di quello altre grandi Potenze.

Data ben nota influenza britannica e societaria in questi paesi, dichiarazioni Munters appaiono già considerevoli verso nostra tesi. In ogni modo ritengo che, se del caso, potremmo valerci seguenti tre punti nei riguardi Lettonia e altri Stati Intesa Baltica:

l) Segretario Generale mi ha detto che Stati Intesa Baltica intendono perseverare azione iniziata marzo scorso per ottenere seggio Consiglio Società delle Nazioni (1). Lettonia rappresenterebbe tre Stati. Non sanno ancora se potranno porre candidatura prossima Assemblea ma ad ogni modo Segretario Generale mi ha chiesto formalmente pregare V. E. riesaminare candidatura mercé appoggio R. Governo.

2) A proposito Patto Orientale (su questo argomento riferisco per rapporto prossimo corriere) mi ha detto che ogni eventuale azione che R. Governo credesse svolgere presso quello tedesco per indurlo recedere attitudine contraria accordi collettivi sicurezza Europa Orientale riuscirebbe assai gradita Governo Iettane.

3) Questo mi ha confermato impressione che Stati Baltici grandemente temono che riavvicinamento itala-tedesco possa essere :&isultato eventuale uscita Italia Società delle Nazioni o qualsiasi conflitto Ginevra.

In relazione secondo punto è da prevedere che Munters avrà notevole influenza attitudine Delegazioni Stati Intesa Baltica alla Assemblea della Società delle Nazioni.

(l) -Vedi D. 810, nota l p. 842. (2) -Vedi D. 804. (3) -Vedi D. 804, nota l p. 826.

(l) Vedi D. 86.

870

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 1546/513 R. Roma, 31 agosto 1935, ore 22.

In relazione conversazione telefonica di ieri confermo che R. Ambasciata a Varsavia riceve istruzioni di presentare testo uguale a quello presentato da Ambasciata di Francia, vale a dire con la soppressione di tutto l'alinea terzo dell'articolo terzo del progetto francese, per quanto in realtà da parte nostra si sarebbe tenuto a mantenere la prima parte di detto alinea.

Come già noto il progetto francese è stato già da tempo comunicato da noi all'Austria ed all'Ungheria che informeremo ulteriormente delle comunicazioni fatte a Varsavia e Berlino. Desidereremmo anche sapere se Governo francese sarebbe d'accordo, come riterremmo opportuno che una comunicazione ufficiale venisse fatta da entrambi i Governi a Londra. Desidereremmo infine avere conferma se il progetto è stato comunicato dalla Francia ufficialmente ai Governi della Piccola Intesa e se costì comunque sì ritenga necessario che in dette capitali pervenga anche una comunicazione ufficiale italiana isolatamente o contemporaneamente a quella che eventualmente venisse compiuta dalle Rappresentanze francesi.

871

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 9396/514 P. R. Roma, 31 agosto 1935, ore 24.

E' molto tendenzioso che su alcuni giornali francesi, come l'Action trançaise del 25, si accenni misteriosamente a passi italiani verso Berlino per la conclusione di un patto di non aggressione. V. E. sa bene che non vi è assolutamente nulla. Continua fra i due Paesi uno stato di fredda neutralità e niente altro. Se si tratta di manovre francesi per scopi interni V. E. è autorizzato ad avvertire Laval che notizie Action trançaise sono inventate di sana pianta. Del resto Lavai ha i mezzi per convincersene.

872

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI

T. 9397/113 P. R. (1). Roma, 31 agosto 1935, ore 24.

La presa di posiziofle anti-italiana assunta da Lerroux nel suo recente discorso è un grave colpo a quelle relazioni italo-spagnuole che avrei desiderato sempre più amichevoli. Lo comunichi a codesto Ministero degli Esteri (2).

(l) -Minuta autografa. (2) -Con T. 9579/188 P.R. del 1° settembre 1935, ore 1,14, Pedrazzi comunicava di aver appreso da.! Ministro degli Ester,! che le dichiarazioni d! Lerroux al Temps non contenevano riferimenti diretti all'Italia ma che si era trattato di un errore grossolano del giornale francese. Pedrazzi riferiva inoltre che Rocha aveva riaffermato l'intenzione del Governo spagnolo di rafforzare le relazioni amichevoli con l'Italia.
873

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5240/047 R. Bled, 31 agosto 1935 (per. il 2 settembre).

Riunione Piccola Intesa si è chiusa ieri sera a tarda ora. E' stato diramato comunicato ufficiale sul risultato dei lavori, che trasmetto a parte con odierno corriere (l).

Comunicato afferma anzitutto perfetta identità vedute e assoluta solida,rietà dei tre Stati di fronte tutte questioni di politica estera. Viceversa questa identità si è realmente riscontrata soltanto sulla questione della restaurazione asburgica circa la quale il comunicato -secondo l'impressione generale e secondo quanto mi ha osservato lo stesso Stojadinovic -si è dilungato oltre il necessario.

Circa il Patto Danubiano vi sono stati malumori e recriminazioni di Titulèscu per il fatto che il testo del progetto è stato reso noto alla Piccola Intesa alla vigilia della riunione, pel tramite di questo Ministro di Francia, mentre era stato invece comunicato in precedenza a Budapest e a Vienna. Benes, da parte sua, mi ha detto che egli accettava il progetto per dar prova di buona volontà e come un pis aller ma lo riteneva insufficiente senza il complemento dei Patti di assistenza reciproca. Egli d'altronde ha dovuto rinunciare a far difficoltà sul Patto Danubiano per poter ottenere la dichiarazione di cui al comunicato sul Patto Orientale. Infatti la Jugoslavia che era favorevolmente disposta all'accettazione del progetto franco-italiano anche senza la mutua assistenza (perché preferisce che al patto non sia dato un carattere anti-tedesco) non era disposta ad assumere impegni verso la U.R.S.S. i quali avrebbero presupposto l'immediato riconoscimento dei Soviet da parte della JUgoslavia, atto che essa non ritiene poter compiere per ora. La dichiarazione del comunicato relativamente al Patto Orientale rappresenta il massimo sforzo che è stato possibile ottenere da parte jugoslava per accondiscendere alle pressioni degli altri due alleati, sopratutto della Cecoslovacchia. Quanto sopra mi è stato confidenzialmente detto da Stojadinovic.

Al riconoscimento dei Soviet da parte della Jugoslavia si oppongono principalmente: la contrarietà del Principe Reggente e degli ambienti di Corte; la contrarietà dell'elemento cattolico sloveno e, in gran parte, di quello croato; la preoccupazione per la posizione e gli interessi di oltre 30 mila russi bianchi stabiliti in Serbia; il timore della propaganda comunista che già opera su abbastanza larga scala in Croazia venendo ad aggravare e complicare il problema croato.

La dichiarazione anti-asburgica rimane l'unico punto risultante con chiarezza e precisione dalle deliberazioni della Piccola Intesa e, come già avvertivo

con mio telegramma per corriere n. 046 del 23 corrente (1), il solo che poteva essere sfruttato per fare una clamorosa affermazione di solidarietà.

Della vertenza itala-etiopica non si è parlato: hanno tenuto a farmelo notare Stojadinovic, e, a turno, anche Benes e Titulescu, aggiungendomi che non sarebbe stato possibile omettere la dichiarazione circa la fedeltà ai principi della S.d.N. e circa l'unità di atteggiamento a Ginevra.

(l) Non pubblicato.

874

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 31 agosto 1935.

Il Signor Chambrun è incaricato dal suo governo di interessare il governo italiano ancora una volta alla questione di Memel. Si tratterebbe di ottenere dal .e:overno lituano una dichiarazione e una nota, come da progetti annessi (2).

La Gran Bretagna è d'accordo e appoggerà la proposta francese.

Si lascerebbe ai rappresentanti delle tre Potenze a Kaunas di modificare nei dettagli i testi proposti secondo le circostanze.

Ho risposto che in massima non c'erano difficoltà da parte nostra, salvo per quanto riguarda l'ultima parte della nota. Difatti noi avevamo già fatto sapere a Kaunas che ci saremmo occupati del direttorio soltanto a elezioni avvenute. Occorre però che la cosa sia presentata al governo lituano nella forma più amichevole dando il carattere non di una specie di imposizione ma di una collaborazione amichevole tra le Grandi Potenze e il governo di Kaunas.

Mi riservo ad ogni modo al più presto una risposta definitiva.

875

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 920/852. Ginevra, 31 agosto 1935 (per. il 2 settembre).

Seguito mio telegramma per corriere n. 144 (3).

Il Signor A venol ha chiesto di vedermi anche oggi ed ha ripreso con me la conversazione che avevamo avuto ieri sul conflitto itala-etiopico. Riferisco quasi testualmente le sue parole.

Io non ho -mi ha detto Avenol -alcuna pretesa di darvi dei suggerimenti. Ma nella mia qualità di Segretario Generale della Società delle Nazioni, alla vigilia d'una riunione che considero d'importanza capitale per l'istituto che dirigo, e conoscendo più o meno gli umori degli Stati che siedono al Con

siglìo, posso parlarvi con tutta franchezza. Ritengo che vi converrebbe di dare al vostro esposto davanti al Consiglio non la forma di un ultimatum che lasci aperta la via ad una sola alternativa: o accettazione integrale del punto di vista italiano o l'azione militare, ma piuttosto la forma d'un atto d'accusa sereno e documentato che lasci aperta la possibilità ad un negoziato e non tolga la speranza di trovare una soluzione sia pure all'undicesima ora.

Per quanto concerne questa soluzione comprendo benissimo che non si possa irrigidire sui principi: l'Etiopia è stata ammessa nella Società delle Nazioni anche col voto italiano, ma la Società delle Nazioni può benissimo constatare che dopo i tredici anni di esperienza fatta l'Etiopia non ha risposto a nessuna delle condizioni che le si chiedevano.

Il Signor Avenol a questo proposito mi ha fatto rileggere le decisioni contenute in un annesso alla risoluzione del 4 settembre 1931 del Consiglio della Società delle Nazioni e con le quali la Commissione dei Mandati ha stabilito che l'emancipazione d'un territorio sottoposto a mandato deve essere subordinata a due condizioni essenziali: l) l'esistenza nel territorio d'uno stato di fatto che autorizzi la presunzione che il paese ha raggiunto uno stadio d'evoluzione per cui un popolo è divenuto capace, secondo i termini dell'art. 22 del Patto, di «condursi da solo nelle difficili condizioni del mondo moderno »; 2) certe garanzie da fornire alla Società delle Nazioni a nome delle quali il mandato sia stato conferito. Ora l'Etiopia non risponde alla condizione prima, né alle altre enumerate nella stessa risoluzione della predetta Commissione e che per comodità di V. E. allego al presente telespresso (l). È vero che l'Etiopia è uno Stato indipendente e sovrano, ma la Società delle Nazioni può benissimo constatare che esso non risponde neppure a quel minimo di condizioni che viene. richiesto ad uno Stato sotto mandato per uscire di tutela. La Società delle Nazioni può e deve prendere atto di questo e agire in conseguenza.

Per quanto riguarda la possibilità d'azione a Ginevra, egli aveva riletto in questi giorni il volume La conferenza di Algesiras di Tardieu. Aveva riscontrato dalla lettura delle prime pagine di quel libro una grande analogia fra la situazione della Francia nei primi anni del secolo di fronte al Marocco e quella dell'Italia oggi di fronte all'Etiopia e per questo si era convinto dell'utilità e opportunità d'una nuova Algesiras. Egli credeva che l'elemento essenziale per noi era di far entrare le nostre truppe in Etiopia. Anche l'Inghilterra aveva truppe nell'Iraq e l'Iraq era Stato sovrano e membro della Società delle Nazioni.

Ho obiettato subito al Signor Avenol che il Negus aveva fatto dichiarazioni esplicite ed intransigenti al riguardo e che non credevo avrebbe ceduto facilmente su questo punto per cui il solo mezzo per arrivare all'effettuazione di questo disegno sarebbe stato l'uso della forza come eravamo disposti a fare.

«Il Negus, mi ha detto Avenol, rischia di perdere il trono se voi gli farete la guerra, ma rischierebbe di perderlo anche se accettasse condizioni troppo umilianti per lui. Dovete rendervi conto di questo elemento importante. Io sono comunque convinto che se la Delegazione italiana non porrà il Consiglio di

fronte ad un'alternativa rigida, una soluzione in extremis potrà essere trovata. Oerto la chiave di volta di tutto quanto si svolgerà è nelle mani inglesi:..

Ho detto allora al Signor Avenol che avevo saputo di dichiarazioni fatte da Walters sulla assoluta intransigenza del Gabinetto britannico che avrebbe deciso in grande segretezza di arrivare fino alle estreme conseguenze pur d'impedire la guerra. Avenol non mi ha smentito la cosa. Mi ha solo detto che l'Inghilterra era impegnata in una questione cui era legato ormai il suo prestigio imperiale e difficilmente essa si sarebbe piegata di fronte ad un gesto di forza da parte nostra. L'eventualità d'una guerra era stata esaminata a Londra come possibile. Ma non si potevano avventare previsioni ora. Tutto dipendeva, certo, dalla maniera con cui si sarebbero condotte le cose a Ginevra, ed egli contava molto sulla prudenza e sulla saggezza tradizionali della diplomazia italiana. A quanto mi consta -ha precisato Avenol -gl'inglesi sono disposti ad andare molto lontano sulla strada delle concessioni pur d'impedire la guerra che vi solleverebbe contro indubbiamente tutta l'opinione pubblica dell'impero britannico. Io non ho alcuna veste per dirvi cose che concernono la politica britannica -ha precisato Avenol -ma mi consta che gli inglesi sarebbero disposti ad arrivare ad una revisione dei mandati pur d'impedire la guerra. L'Africa non può più essere monopolio di sole due grandi Potenze. Il problema della revisione coloniale tosto o tardi dovrebbe essere posto e ritengo che pur di salvare la Società delle Nazioni gli inglesi sarebbero disposti a trattare (Aggiungo che dichiarazioni analoghe aveva fatto pochi giorni or sono Walters a Prunas. Senonchè postogli il quesito da Prunas se l'Inghilterra sarebbe stata disposta a trattare subito, Walters aveva risposto che il suo paese non avrebbe mai voluto dare l'impressione di cedere sotto la pressione degli eventi: ma che spontaneamente sarebbe entrato nell'ordine d'idee di trattare in una conferenza internazionale sul problema della revisione dei mandati).

Avenol, avendomi in fine ripetuto gli argomenti già noti sull'attitudine dei vari membri del Consiglio, che vedono con immensa preoccupazione minacciato il principio della sicurezza, garantito dai vari trattati e dal Covenant, non ho mancato di sviluppargli la tesi italiana di cui al telegramma n. 1540 di

V. E. (1). Avenol mi ha detto che comprendeva perfettamente il nostro punto di vista: ma che l'Europa restava decisamente contraria -Governi ed opinione pubblica -ad una guerra di conquista. Meglio valeva per noi raggiungere risultati -che al punto in cui erano giunte le cose non potevano che essere eccezionali -senza ricorrere alle armi. Gli ho risposto che l'Europa si era ormai già resa conto del fondamento del nostro diritto e che non eravamo per principio restii ad ascoltare fino a che punto arrivassero e l'Etiopia e l'Inghilterra e la Società delle Nazioni. Davamo anzi la prova, intervenendo a Ginevra il 4 settembre, del nostro spirito di buona volontà. Era alle altre parti interessate ormai di agire e rapidamente.

Accennandomi infine alla possibile opera di mediazione di Lavai, Avenol mi ha ripetuto che a Ginevra il Presidente non avrebbe avuto carta bianca ma che sarebbe stato «controllato» sopratutto da Paul-Boncour (2).

(l) -Vedi D. 798. (2) -Non rinvenuti. (3) -Vedi D. 864.

(l) Non rinvenuta.

(l) -Vedi D. 804, nota l p. 826. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini.
876

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 3155/1293. Berlino, 31 agosto 1935 (per. il 2 settembre).

La nota della Corrispondenza politica e diplomatica del 29 corrente è interamente dedicata alla prossima riunione del Consiglio della S.d.N.

Di carattere essenzialmente politico e dialettico, quella nota -lungi dall'essere una presa di posizione nei riguardi dell'Abissinia -è tutta una « puntata » contro la Francia, alla quale in sostanza rimprovera di voler fare la politica dei due pesi e delle due misure: una per gli amici, l'altra per i nemici.

Mentre --dice la Corrispondenza --quando si tratta della Germania, non vi sono che i sistemi, e quindi le sanzioni collettive che siano possibili e buone, quando si tratta degli altri, questi sistemi sono ritenuti tanto poco opportuni· da sconsigliarne senz'altro l'applicazione.

Per la Germania, occorre rafforzare ed integrare il patto della Lega delle Nazioni con il famoso protocollo del 1924 prima, l'organizzazione della sicurezza francese dopo (definizione dell'aggressore, patti di assistenza mutua, etc.); per gli altri è di troppo... anche l'art. 16 del Patto. Questa la tesi, che la nota illustra e sviluppa come appresso:

Si la puissance qui croit pouvoir reprocher à l'Allemagne de troubler la r1aix parce que celle-ci a refusé « l'assistance mutuelle », comme étant dange:euse pour la paix, veut aujourd'hui voir éliminé meme l'article 16 qui est de moindre portée, il faut en conclure que les auteurs du pacte avaient dans l'idée une conception dans laquelle l'Allemagne figura1t comme le seul obstacle à la paix. Ceci devrait, en fin de compte, donner à réfléchir également aux puissances qui, envers l'Allemagne, -peut-etre de bonne fois -ont préconicé des arrangements de cette nature. Quoi qu'il en soit, rien ne saurait empècher que la conception allemande se trouve confirmée que, sous le mot d'ordre de la sauvegarde de la paix, on a employé deux mesures et que le mécanisme des pactes trahit une pomte dirigée contre l'Allemagne.

Non si tratta, in fondo, di una punta <<diretta» contro l'Italia. E tanto meno si tratta, come ho detto più sopra, di una presa di posizione in materia di questione abissina, che pure fornisce l'occasione e lo spunto alla nota in questione.

Senonchè, è vano dissimularlo, anche per quanto riguarda l'Abissinia il contengo tedesco non è, nei nostri confronti, scevro di una certa dose di amarezza. Le cagioni della quale sono duplici. Da una parte, quelle di indole generale su cui non occorre insistere; dall'altra, una ragione particolare e cioè il rimpianto -ebbe a riconoscerlo ancora ieri con me il Signor von Biilow --che il «precedente» che l'Italia sta creando nel caso dell'Abissinia possa non essere suscettibile di «immediata» estensione alla Germania. Per parecchi anni ancora, mi diceva il Segretario di Stato, la Germania non può avere programmi e concrete aspirazioni coloniali. Il precedente nostro potrebbe quindi non servire per la Germania oppure almeno non servire tanto quanto

-forse in altre circostanze di tempo -avrebbe potuto. Questo, a parte, ripeto, ogni altra considerazione di politica generale, il segreto della amarezza tedesca. Per la verità, devo aggiungere che la nota sopra riportata della Corrispon

denza non è stata riprodotta dalla stampa (1).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolln!.

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APPENDICI

APPENDICE I

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

(Situazione al 1" luglio 1935)

MINISTRO

MussOLINI Benito, capo del governo, primo ministro segretario di Stato.

SOTTOSEGRETARIO DI STATO SuvicH Fulvio, deputato.

GABINETTO

Affari confidenziali -Ricerche e studi in relazione al lavoro del mmtstro -Rapporti con la stampa e le agenzie telegrafiche -Relazioni del ministro col Parlamento e col corpo diplomatico -Udienze -Tribuna diplomatica.

Capo di gabinetto: ALOISI Pompeo, ambasciatore.

Segretari: JACOMONI Francesco, consigliere di legazione con funzioni di vice capo di gabinetto; VIDAU Luigi, console generale di 2a classe; COSMELLI Giuseppe, primo segretario di legazione di l a classe (segretario particolare del sottosegretario di Stato); CORTESE Luigi, DEL DRAGO Marcello, primi segretari di legazione di 2a classe; ALESSANDRINI Adolfo, console di 2a classe; NICHETTI Carlo, console di 3a classe; DE BOSDARI Girolamo, LANZA D'AJETA BLAsco, MAZIO Aldo Maria, vice consoli di 2a classe.

UFFICIO DEL CERIMONIALE

Regole del cerimoniale -Lettere reali -Credenziali -Lettere di richiamo -Pieni poteri -Privilegi ed immunità degli agenti diplomatici e consolari -Franchigie in materia doganale ai regi agenti all'estero e agli agenti stranieri in Italia -Massimario -Visite e passaggi di Stato, principi e autorità estere -Decorazioni nazionali ed estere -Libretti e richieste ferroviarie per il personale -Passaporti di servizio ed ordinari.

Capo ufficio: SENNI Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe.

Segretari: AssERETO Tommaso, consigliere di legazione; CAFFARELLI Filippo, CAPRANICA DEL GRILLO Giuliano, primi segretari di legazione di la classe; VANNI D'ARcHIRAFI Francesco Paolo, primo segretario di legazione di 2a classe; CIMINO Carlo, addetto consolare.

DIREZIONE GENERALE PER GLI AFFARI POLITICI

Direttore generale: BuTI Gino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

A disposizione del direttore generale: GUARIGLIA Raffaele, ambasciatore.

Addetto alla direzione generale: GALLI Guido, console di P classe.

UFFICIO I

Belgio -Francia -Germania -Gran Bretagna -Lussemburgo -Paesi Bassi -Polonia -Portogallo -Spagna -Stati Baltici -Stati Scandinavi Svizzera -Unione delle Repubbliche Sovietiche.

Capo ufficio: QuARONI Pietro, consigliere di legazione. Segretari: MoscA Bernardo, primo segretario di legazione di P classe; SILVESTRELLI Luigi, console di 3a classe.

UFFICIO II

Austria -Bulgaria -Cecoslovacchia -Grecia -Jugoslavia -Romania Turchia -Ungheria -Affari concernenti le isole italiane dell'Egeo.

Capo ufficio: CosMELLI Giuseppe, primo segretario di legazione di P classe, reggente.

Segretari: DE AsTIS Giovanni, primo segretario di legazione di l a classe; CoPPINI Maurilio, AMBROSETTI Gino, consoli di 2a classe; CLEMENTI Raffaele, SORO Giovanni Vincenzo, addetti consolari.

UFFICIO III

Africa -Iraq -Palestina -Penisola Arabica -Siria -Affari concernenti la Libia, l'Eritrea e la Somalia italiana.

Capo ufficio: GuARNASCHELLI Giovanni Battista, console generale di 2a classe.

Segretari: ZOPPI Vittorio, primo segretario di legazione di 2a classe; DESSAULES Mario, CATTANI Attilio, consoli di 3a classe; MARCHIORI Carlo, addetto consolare; PRUNAS Pasquale, volontario diplomatico-consolare.

UFFICIO IV

Asia (eccetto i paesi di competenza di altri uffici) -Oceania.

Capo ufficio: ScADUTO MENDOLA Gioacchino, primo segretario di legazione di P classe. Segretario: FERRETTI Raffaele, console di 3a classe.

UFFICIO V

America del Nord -America latina.

Capo Ufficio: TORTORA BRAYDA Camillo, consigliere di legazione. Segretario: CERULLI IRELLI Giuseppe, addetto consolare.

UFFICIO ALBANIA

Capo ufficio: FARALLI Iginio Ugo, console generale di la classe.

Segretario: CASTELLANI Vittorio, console di 3a classe.

DIREZIONE GENERALE PER GLI AFFARI ECONOMICI

Direttore generale: CIANCARELLI Bonifacio Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe.

UFFICIO I

Affari commerciali concernenti l'Europa.

Capo ufficio: GUGLIELMINETTI Giuseppe, primo segretario di legazione di l a classe.

Segretario: BADOGLIO Mario, vice console di P classe; HIERSCHEL DE MlNERBI Oscar, addetto consolare.

UFFICIO II

Affari commerciali concernenti i paesi extraeuropei.

Capo ufficio: SANTOVINCENZO Magno, console di 2a classe, reggente. Segretario: NAVARRINI Guido, vice console di la classe.

UFFICIO III

Politica doganale -Trattati di commercio -Affari finanziari -Prestiti.

Capo ufficio: SEGRE Guido, console generale di 2a classe. Segretario: ScAGLIONE Roberto, console di 2a classe.

UFFICIO IV

Fiere -Mostre -Congressi economici e finanziari -Politica del turismo.

Capo ufficio: RoNcALLI Guido, primo segretario di legazione di l a classe. Segretari: ZANOTTI BIANCO Massimo, RoTINI Ambrogio, consoli di 2a classe.

DIREZIONE GENERALE DEL PERSONALE

Direttore generale: ARONE DI VALENTINO Pietro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di l a classe.

Addetti alla direzione generale: ALBERTAZZI Enrico, consigliere di Cassazione, con titolo e rango di console generale onorario; MONTESI Giuseppe, consigliere dell'emigrazione di la classe; EMILIANI Luigi, primo commissario consolare.

62 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. I

UFFICIO I

Personale di gruppo A delle carriere dipendenti del Ministero degli Affari Esteri -Personale consolare di seconda categoria -Uffici diplomatici e consolari all'estero -Ispezione degli uffici all'estero Questioni che si riferiscono all'ordinamento del Ministero e delle carriere diplomatica, consolare e degli interpreti -Concorsi, nomine ed ammissioni, commissioni di avanzamento e consigli del Ministero relativi al personale predetto -Addetti militari, navali, aeronautici, commerciali e loro uffici -Personale e uffici diplomatici e consolari esteri in Italia -Bollettini di detto personale -Passaporti diplomatici.

Capo ufficio: MARCHETTI DI MURIAGLIO Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Segretari: DANEO Silvio, console di 3a classe; RoBERTI Guerino, vice console di la classe; DI THIENE Gian Giacomo, addetto consolare.

UFFICIO II

Personale di ogni altro gruppo o categoria dipendente dall'Amministrazione degli Affari esteri, escluso il personale delle scuole italiane all'estero -Concorsi, nomine ed ammissioni, commissioni di avanzamento e consigli del Ministero, ed in generale tutte le questioni relative alle carriere ed all'ordinamento del personale suddetto -Bollettini che si riferiscono al personale stesso.

Capo ufficio: N. N.

Segretario: FECIA DI CossATO Carlo, primo segretario di legazione di 2a classe.

UFFICIO III

Servizi amministrativi.

Capo ufficio: RINVERSI Romolo, capo divisione dei commissari consolari.

Segretari: BoNAVINO Arturo, AGOSTEO Cesare, capi sezione dei commissari consolari; LEONINI PIGNOTTI Augusto, commissario consolare capo; TORRES Oreste, primo commissario consolare; MANzo Ciro, BIONDO Gaspare, FoRINO Lamberto, commissari consolari.

Addetti all'ufficio: MANcA Elio, segretario capo della carriera amministrativa; PAZZAGLIA Gino, capo sezione di ragioneria; RENGANESCHI Vittorio, segretario capo di ragioneria; PIRODDI Mario, primo segretario di ragioneria; RoTA Armando, segretario di ragioneria; GAFFI Alfonso, consigliere del Ministero delle Finanze: MASSIMO Luigi, primo capitano di fanteria.

UFFICIO IV

Edifici demaniali.

Gestione di tutti gli stabili e locali adibiti ad uso dell'amministrazione centrale e dei RR. Uffici all'estero -Acquisto, vendita, affitto, permuta, manutenzione ordinaria e straordinaria, miglioramento e arredamento Assicurazioni, inventari e contratti -Locazioni di immobili e locali per uso dei RR. Uffici -Tutte le questioni concernenti una nuova sede per il Ministero degli Affari Esteri.

Capo ufficio: SILLITTI Luigi, console generale di la classe. Segretario: PLATANIA Giuseppe, capo sezione della carriera amministrativa.

Sezione tecnica

DI FAUSTO Florestano, ingegnere, esperto tecnico.

DIREZIONE GENERALE TRATTATI, ATTI, AFFARI SANTA SEDE E AFFARI PRIVATI

Direttore generale: SANDICCHI Pasquale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di P classe, consigliere di Stato, senatore.

UFFICIO I

Trattati e atti.

Capo ufficio: LANINO Edoardo, console generale di 2a classe.

Segretari: LANZARA Giuseppe, AMBROSETTI Gino, consoli di 2a classe; SARVOGNAN Alessandro, addetto consolare.

UFFICIO II

Affari con la Santa Sede.

Capo ufficio: BALSAMO Giovanni, consigliere di legazione. Segretario: MANSI Stefano, addetto consolare.

UFFICIO III(*)

Affari privati d'Europa.

Capo ufficio: MANFREDI Emilio, console generale di la classe. Segretario: VALERIANI Valeria, console di la classe.

(*) Gll uffici III e IV sono temporaneamente riuniti in un unico servizio autonomo al quale è preposto 11 console generale di 1• classe DELLA CROCE DI DOJOLA Galeazzo.

UFFICIO IV (*)

Affari privati dei paesi extraeuropei.

Capo ufficio: MAccoTTA Luigi, console generale di l a classe. Segretari: LANZETTA Umberto, RoTINI Ambrogio, consoli di 2• classe.

DIREZIONE GENERALE DEGLI ITALIANI ALL'ESTERO E SCUOLE

Direttore generale: PARINI Piero, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2• classe.

UFFICIO I

Opere per gli italiani all'estero -Ispettorato Fasci all'estero -Organizzazioni giovanili.

Capo ufficio: CosTA SANSEVERINO Francesco, primo segretario di legazione di 1• classe.

Segretari: BosiO Giovanni Jack, NucciO Alfredo, DE SIMONE Paolo, consoli di 3• classe; DEL ToRso Germanico, volontario diplomatico-consolare; RABBY Ezio, LAMPERTICO Gaetano, consiglieri dell'emigrazione di 2• classe; FLAMINI Pietro, segretario della carriera amministrativa.

Addetti all'ufficio: TEDEsco Pietro Paolo, segretario capo di ragioneria; CoRRENTI Antonino, ispettore delle dogane e imposte dirette.

UFFICIO II

Espatri e lavoro italiano all'estero.

Capo ufficio: GERBASI Francesco, consigliere dell'emigrazione di P classe.

Segretari: MAsi Corrado, OLIVERI Umberto, consiglieri dell'emigrazione di 2• classe; CANNONE Niccolò, DI MATTE! Alfredo, VACCHELLI Alessandro, primi segretari nella carriera amministrativa.

Comandato: PAGANI Aldo, commissario di P. S.

UFFICIO III

Scuole all'estero.

Capo ufficio: PULLINO Umberto, console generale di la classe. Segretario: MoNTANARI Franco, vice console di 2• classe.

(*) Gli uffici III e IV sono temporaneamente riuniti in un unico servizio autonomo al quale è preposto il console generale di 1• classe DELLA CROCE DI DoJoLA Galeazzo.

SERVIZIO ISTITUTI INTERNAZIONALI

Capo del servizio: BIANCHERI CHIAPPORI Augusto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe.

Aggregati al servizio: MELI LUPI DI SORAGNA TARASCONI Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe; BovA ScaPPA Renato, primo segretario di legazione di la classe; PERAssr Tommaso, professore ordinario di diritto internazionale nell'Istituto superiore di scienze economiche e commerciali di Roma; RusPOLI Fabrizio, contrammiraglio in ausiliaria; Bosco Giacinto, professore di diritto internazionale nell'Università di Urbino.

UFFICIO I

Società delle Nazioni.

Capo Ufficio: PIETROMARCHI Luca, primo segretario di legazione di la classe.

Segretario: PLETTI Mario, vice console di la classe.

UFFICIO II

Istituto internazionale di agricoltura -Ufficio internazionale del lavoro e altri istituti internazionali.

Capo ufficio: BERTELÈ Tommaso, primo segretario di legazione di la classe.

Segretari: DELLA PORTA Francesco, primo segretario di legazione di 2a classe; MARINI Vittorio, console di 2a classe.

SERVIZIO STORICO-DIPLOMATICO

Capo del servizio: ToscANI Angelo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe.

UFFICIO I

Ricerche e studt su materie storiche e questioni internazionali -Schedari -Rubriche -Pubblicazioni di carattere storico-diplomatico ed amministrativo -Sezione geografica -Tipografia riservata.

Capo ufficio: MAzzoLINI Quinto, console di la classe.

Segretari: 0RSINI RATTO Mario, GuERRINI MARALDI Agostino, consoli di 2a classe; VILLAR! Luigi, consigliere dell'emigrazione di 2a classe.

Tipografia riservata

Direttore: BERNI Fedele.

UFFICIO II

Archivio storico -Archivio di deposito -Conservazione ed incremento delle collezioni dei manoscritti del Ministero e dei RR. Uffici all'estero Conservazione degli originali dei trattati internazionali -Conservazione delle carte riservate degli archivi del Ministero e dei RR. Uffici all'este.ro -Inventari -Biblioteca.

Capo ufficio: ScARPA Gino, console di l" classe. Segretario: N. N.

Biblioteca

Bibliotecario: PIRONE Raffaele. Vice bibliotecario: N. N.

SERVIZIO CORRISPONDENZA

Capo del servizio: RoMANELLI Guido, console generale di 1• classe. Addetto al servizio: MARZIANI Luigi, consigliere dell'emigrazione di 1• classe.

UFFICIO I

Citra.

Capo ufficio: CANTONI MARcA Antonio, consigliere di legazione. Segretari: DI RovASENDA Vittorio, primo segretario di legazione di ta classe; CANNICCI Achille Angelo, console di 1• classe; RossET DESANDRÈ Antonio, console di 2• classe; DE MALFATTI DI MONTE TRETTO Carlo, console di 3" classe; GRANDINETTI Eugenio, vice consigliere dell'emigrazione.

UFFICIO II

Archivi -Apertura e registrazione corrispondenza -Organizzazione e sorveglianza degli archivi -Corrispondenza in arrivo e partenza: accettazione, registrazione, spedizione ecc. -Controllo del carteggio degli Uffici in relazione alla corrispondenza in arrivo -Archivi correnti Servizio dei corrieri.

Capo ufficio: LIBERATI Enrico, console di 1• classe. Segretario: MoscATI Riccardo, console di 2• classe.

UFFICIO III

Affari generali.

Capo ufficio: GERBORE Pietro, console di 2• classe.

Segretari: SETTI Giuseppe, vice console di 1• classe; BEVILACQUA Michele, segretario capo nella carriera amministrativa; CoRsi Fernando, primo segretario nella carriera amministrativa.

RAGIONERIA CENTRALE

Direttore capo della ragioneria: GIANDOLINI Romolo.

DIVISIONE I

Personale -Affari generali -Esame dei provvedimenti da sottoporre al Ministero delle Finanze ed in genere di tutti quelli aventi comunque effetti finanziari -Riassunto degli elementi per la preparazione degli stati di previsione dell'entrata e della spesa e relative variazioni Conto consuntivo, parte finanziaria e parte patrimoniale -Servizio dei cambi -Esame degli inventari -Competenze e pensioni relative a tutto il personale dipendente dal Ministero degli Affari Esteri escluso quello delle scuole italiane all'estero e quello del soppresso Commissariato generale dell'emigrazione -Riscontro del giornale di cassa per le gestioni di bilancio ed extra bilancio -Conto corrente infruttifero col Tesoro dello Stato -Partitario dei depositi ricevuti dai privati -Contabilità speciali -Registrazione dei valori provenienti dall'estero, sia direttamente, sia a mezzo banche corrispondenti -Riscontro dei valori non monetari e degli effetti in deposito presso il Cassiere del Ministero -Operazioni relative al finanziamento dei RR. Uffici all'estero, accettazione delle tratte emesse dai titolari di essi e registrazione delle aperture di credito -Conto corrente con il Contabile del Portafoglio e conti dei relativi capitoli di entrata e di spesa della categoria Movimento di capitali -Tenuta dei conti impegni relativi ai servizi suddetti -Emissione e registrazione dei mandati -Archivio.

Capo sezione: BARTOLINI Luigi.

Segretari: BARDI Donatello, Tosi Emilio, primi segretari; OCCHIONERO Matteo, vice segretario; URBANI FALLANI Velia, ragioniere.

DIVISIONE II

Accertamento, riscossione e versamento delle entrate disposte dalla legge e dal regolamento dell'emigrazione -Scritture generali e speciali -Servizio delle marche da bollo da applicarsi sugli atti di arruolamento -Liquidazione delle competenze ai RR. commissari imbarcati in servizio di emigrazione e rimborso delle stesse da parte dei vettori Liquidazione ed approvazione delle contabilità per le spese relative all'emigrazione -Fondo pensioni per gli impiegati del soppresso Commissariato generale dell'emigrazione -Stralcio delle contabilìtà di guerra -Inventario -Riscontro degli atti amministrativi e servizio cambiario per le scuole italiane all'estero -Locali scolastici e demaniali all'estero -Gestioni speciali e scritture relative -Revisione, approvazione e liquidazione delle spese indicate nelle contabilità scolastiche

mensili e varie -Tenuta degli impegni e scritture partitarfe riassuntive per il servizio dell'emigrazione e delle scuole italiane all'estero Monte pensione dei maestri elementari -Emissione dei mandati di pagamento relativi ai suddetti servizi.

Direttore capo della divisione: CIOTTI Remigio, direttore capo di ragioneria.

Capo sezione: N. N.

Segretari: Tuzi Alberto, consigliere; BLANDI Silvio, MAzzA Ferrante, segretari capi di ragioneria; RrccA Alfredo, VOLPE Mario, ZAFARANA Gino, primi segretari; GARGANO Guglielmo, vice segretario.

DIVISIONE III

Revisione, approvazione e liquidazione delle contabilità dei RR. Uffici diplomatici e consolari all'estero, nonché di quelli di pubblica sicurezza di confine -Contabilità degli agenti della riscossione -Conti giudiziali -Servizio marche consolari -Tenuta degli impegni relativi alle spese del funzionamento dei RR. Uffici all'estero, emissione dei mandati di pagamento -Conti correnti del personale diplomatico e consolare in dipendenza delle gestioni all'estero -Esame dei rendiconti di spesa sulle aperture di credito e sugli ordini di accreditamento -Liquidazione dei conti delle Società di navigazione per il rimpatrio dei nazionali indigenti.

Direttore capo della divisione: PoNCINI Francesco, direttore capo di divisione.

Capo sezione: DE ANNA Giuseppe.

Segretari: ROMANO Giuseppe, TARINI Ugo, consiglieri; ASBOLLI Attilio, MARTINA Filippo, primi segretari; DRAGO Giuseppe, PASSANTE Ruggero, vice segretari.

CONSULENTI GIURIDICI

Consulente generale: N. N.

Consulenti: GIANNINI Amedeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario onorario con rango di la classe, consigliere di Stato, incaricato di storia dei trattati e di diritto aeronautico nell'Università di Roma, senatore; MoNTAGNA Raffaele, consigliere di Stato con titolo onorario di consigliere di legazione; ALBERTAZZI Enrico, consigliere di Cassazione con titolo e rango di console generale onorario; CuciNOTTA Ernesto, giudice di tribunale, incaricato di diritto e legislazione coloniale nell'Università di Roma.

APPENDICE II

AMBASCIATE E LEGAZIONI DEL REGNO D'ITALIA ALL'ESTERO

(Situazione al 1° luglio 1935)

AFGHANISTAN

Kabul -SABETTA Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MONTEFORTE Giuliano, interprete.

ALBANIA

Tirana-INDELLI Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LA TERZA Pierluigi, primo segretario; CAPOMAZZA Benedetto, console con funzioni di secondo segretario; DANISCA Pietro, interprete; D'ANTONI Giovanni, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

ARABO-SAUDIANO (Regno)

Gedda -PERSICO Giovanni, incaricato d'affari.

ARGENTINA

Buenos Aires -ARLOTTA Mario, ambasciatore; CORTINI Claudio, consigliere; RuLLI Guglielmo, primo segretario; MAccHI DI CELLERE Pio, console con funzioni di secondo segretario; FIORI Romeo, direttore capo divisione nei ruoli del soppresso Commissariato generale dell'emigrazione con funzioni di consigliere dell'emigrazione; MANCINI Tommaso, addetto commerciale; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

AUSTRIA

Vienna -PREZIOSI Gabriele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GRAZZI Umberto, primo segretario; DEL BoNo Giorgio, vice console con funzioni di secondo segretario; DI NoLA Carlo, addetto commerciale; PONZA DI SAN MARTINO Dionigi, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; BRENTA Giacomo, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Budapest).

BELGIO

Bruxelles -VANNUTELLI REY Luigi, ambasciatore; PERRONE DI SAN MARTINO Ettore, primo segretario; KELLNER Arturo, tenente colonnello di. Stato Maggiore, addetto militare (residente a Parigi); PARONA Angelo, capitano di vascello, addetto navale (residente a Parigi); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico; DucA Giovanni, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare aggiunto.

BOLIVIA

La Paz -ToNI Piero, incaricato d'affari; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

BRASILE

Rio de Janeiro -CANTALUPO Roberto, ambasciatore; MENZINGER DI PREUSSENTHAL Enrico, primo segrètario con funzioni di consigliere; COTTAFAVI Antonio, primo segretario; CAVALLETTI Francesco, vice console con funzioni di secondo segretario; LIBRANDO Gaetano, addetto commerciale; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico.

BULGARIA

Sofia -SAPUPPO Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; JANNELLI Pasquale, primo segretario; VENTURINI Antonio, vice console con funzioni di secondo segretario; BARIGIANI Andrea, reggente la delegazione commerciale; DE BoTTINI DI SANT'AGNESE Achille, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; FERRERO RoGNONI Raul, capitano di vascello, addetto navale (residente ad Ankara).

CECOSLOVACCHIA

Praga -Rocco Guido, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BaRGA Guido, primo segretario; RoDA Alberto, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; BRENTA Giacomo, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Budapest).

CILE

Santiago -PEDRAZZI Orazio, ambasciatore; SILENZI Renato, primo segretario con funzioni di consigliere; GABRICI Tristano, vice console con funzioni di secondo segretario; LoNGa Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

CINA

Pechino -LOJACONO Vincenzo, ambasciatore; BONARELLI DI CASTELBOMPIANO Vittorio Emanuele, primo segretario con funzioni di consigliere; BABUSCIO Rizzo Francesco, primo segretario; CITTADINI CESI Gian Gaspare, vice console con funzioni di secondo segretario; DI RENZO Marco, interprete; Ros Berta, interprete; Ros Giuseppe, interprete; VINCENTI MARERI Francesco, interprete; SCALISE Guglielmo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Tokio); SPAGONE Gino, tenente di vascello, con funzioni di addetto navale.

COLOMBIA

Bogotà -GAzZERA Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

COSTARICA

S. José -CAPANNI Itala, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Panama); LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

CUBA

Avana -MACARIO Nicola, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

DANIMARCA

Copenaghen -CAPAsso ToRRE DI CAPRARA Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PANSA Mario, console con funzioni di primo segretario; Luzr Renato, addetto commerciale; MANCINELLI Giuseppe, tenente · colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Berlino); DE CouRTEN Raffaele, capitano di vascello, addetto navale (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles); DE ANGELIS Carlo, capitano di fregata, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

DOMINICANA (Repubblica)

San Domingo -MAcARIO Nicola, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a L'Avana); LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico <residente a Rio de Janeiro).

EGITTO

Cairo -PAGLIANO Emilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; NoNIS Alberto, primo segretario; MELLINI PaNCE DE LEON Alberto, console con funzioni di secondo segretario; MAserA Vittorio, primo segretario coloniale; OMAR Umberto, interprete; BuFFONI Decio, reggente la delegazione commerciale.

EL SALVADOR (Repubblica di)

San Salvador -CoRTESE Paolo, incaricato d'affari (residente a Guatemala): LoNGo Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

EQUATORE

Quit o -CAFIERO Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

ESTONIA

Tallinn -WEILL ScHOTT Leone, inviato straordinario e ministro plenipotenziario: MARAZZANI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Varsavia).

ETIOPIA

Addis Abeba -VINCI GIGLIUCCI Luigi Orazio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario: MOMBELLI Giulio, console con funzioni di primo segretario; DE GRENET Filippo, vice console con funzioni di secondo segretario; PoLLICI Dante, interprete; CALDERINI Mario, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

FINLANDIA

Helsinki -TAMARO Attilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MARAZZANI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Varsavia); TEuccr Giuseppe, maggiore, addetto aeronautico (residente a Berlino).

FRANCIA

Parigi -PIGNATTI MORANO DI CUSTOZA Bonifacio, ambasciatore; FRANSONI Francesco, consigliere; ScAMMACcA Michele, primo segretario; LANDINI Amedeo, console; AssETTATI Augusto, console con funzioni di secondo segretario; MENGARINI Bruno, vice console con funzioni di terzo segretario; TOMMASINI Mario, consigliere di emigrazione; SALLIER DE LA ToUR Carlo, primo segretario di emigrazione con funzioni di vice consigliere di emigrazione; CARAVALE Erasmo, consigliere commerciale; KELLNER Arturo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; PARONA Angelo, capitano di vascello, addetto navale; Prccro Ruggero, generale di squadra, addetto aeronautico; DucA Giovanni, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare aggiunto (residente a Bruxelles); RoMANO Giorgio, maggiore, aiddetto aeronautico aggiunto.

GERMANIA

Berlino -CERRUTI Vittorio, ambasciatore; DIANA Pasquale, consigliere; MAGISTRATI Massimo, primo segretario; SERRA Giovanni Battista, console con funzioni di secondo segretario; STRIGARI Vittorio, console con funzioni di terzo segretario; RICciARDI Adelchi, consigliere commerciale; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; DE CouRTEN Raffaele, capitano di vascello, addetto navale; TEucci Giuseppe, maggiore, addetto aeronautico; DE ANGELIS Carlo, capitano di fregata, addetto navale aggiunto.

GIAPPONE

Tokio -AURITI Giacinto, ambasciatore; MARIANI Luigi, consigliere; GARBAcciO Livio, primo segretario; MELKAY Ahmo, interprete; ScALISE Guglielmo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; GHÈ Alberto, capitano di fregata, addetto navale.

GRAN BRETAGNA

Londra -GRANDI Dino, ambasciatore, deputato; VITETTI Leonardo, consigliere; FRACASSI RATTI MENTONE Cristoforo, primo segretario; DEL BALZO Giulio, console con funzioni di secondo segretario; CASARDI Aubrey, console con funzioni di terzo segretario; BRUGNOLI Alberto, vice console con funzioni di quarto segretario; LANZA Michele, vice console con funzioni di quarto segretario; DE FACCI NEGRATI Gaetano, con funzioni di addetto; CECCATO Giovanni Battista, consigliere commerciale; MoNDADORI Umberto, colonnello di fanteria, addetto militare; CAPPONI Ferrante, capitano di corvetta, ff. di capitano di fregata, addetto navale; TRIGONA Ercole, capitano, addetto aeronautico; JoRI Gino, capitano del Genio navale, addetto navale aggiunto.

GRECIA

Atene -DE Rossi DEL LION NERO Pier Filippo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ANFuso Filippo, console con funzioni di primo segretario; DE SANTO Demetrio, interprete; CRESPI Alfredo, capitano di vascello, addetto navale, militare e aeronautico.

GUATEMALA

Guatemala -CoRTESE Paolo, incaricato d'affari; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

HAITI

Porto Principe -MAcARIO Nicola, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a L'Avana); LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

HONDURAS

Tegucigalpa -CoRTESE Paolo, incaricato d'affari (residente a Guatemala); LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

IRAN

Teheran -CiccoNARDI Vincenzo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; TELESIO Giuseppe, console con funzioni di primo segretario; PENNACCHIO Luigi, interprete.

IRAQ

Baghdad -PORTA Mario, incaricato d'affari; BELLINI Leone Fabiano, interprete.

JUGOSLAVIA

Belgrado -VIOLA Guido, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE CIUTIIS DI SANTA PATRIZIA Filippo, primo segretario; ALESSANDRINI Adolfo, console con funzioni di secondo segretario; BAISTROCCHI Ettore, vice console con funzioni di secondo segretario; ScELDIA Antonio, interprete; FRANCEscHINI Antonio, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; CRESPI Alfredo, capitano di vascello, addetto navale (residente ad Atene).

LETTONIA

Riga -MAMELI Francesco Giorgio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Rossi LONGHI Gastone, primo segretario; MARAZZANI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Varsavia).

LITUANIA

Kaunas -AMADORI Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Berlino); TEucci Giuseppe, maggiore, addetto aeronautico (residente a Berlino).

LUSSEMBURGO

Lussemburgo -CHIARAMONTE BoRDONARO Gabriele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

MESSICO

Città del Messico -RoGERI m VILLANOVA Delfino, inviato straordinario e mmlstro plenipotenziario; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

NICARAGUA

Managua -CoRTESE Paolo, incaricato d'affari (residente a Guatemala); LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

NORVEGIA

Oslo -RonnoLo Marcello, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CONFALONIERI Giuseppe Vitaliano, console con funzioni di primo segretario; DE CouRTEN Raffaele, capitano di vascello, addetto navale (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles); DE ANGELIS Carlo, capitano di fregata, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

PAESI BASSI

L'Aja -TALIANI DE MARCHIO Francesco Maria, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MoNAco Adriano, primo segretario; NoTARANGELI Tommaso, reggente la delegazione commerciale; MANciNELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Berlino); DE CounTEN Raffaele, capitano di vascello, addetto navale (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles).

PANAMA

Panama -CAPANNI Italo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

PARAGUAY

Assunzione -MARIANI Alessandro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

PERU'

Lima -BIANCHI Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

POLONIA

Varsavia -BASTIANINI Giuseppe, ambasciatore; BELLARDI RICCI Alberto, consigliere; ZAMBONI Guelfo, primo segretario; PIETRABISSA Francesco, addetto commerciale; MARAZZANI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare, navale e aeronautico.

PORTOGALLO

Lisbona -Tuozz1 Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE PAOLIS Pietro, primo segretario; MARIANI Erminio, consigliere commerciale (residente a Madrid); FERRARIN Arturo, maggiore, addetto aeronautico e militare (residente a Madrid).

ROMANIA

Bucarest -SoLA Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; OTTAVIANI Luigi, primo segretario; CAPECE GALEOTA Giuseppe, primo segretario; RaccHI Cesare, ff. archivista interprete; DE MARTINO Giuseppe, addetto commerciale; DELLA PORTA RomANI Guglielmo, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; FERRERO RoGNONI Raul, capitano di vascello, addetto navale (residente ad Ankara).

SANTA SEDE

Roma -TALAMO ATENOLFI Giuseppe, incaricato d'affari; SALLIER DE LA TOUR CORIO Paolo, console con funzioni di primo segretario.

SIAM Bangkok -NEGRI Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

SPAGNA

Madrid -GEISSER CELESIA DI VEGLIASCO Andrea, incaricato d'affari; FORNARI Giovanni, primo segretario; ARRIGHI Ernesto, vice console con funzioni di secondo segretario; MARIANI Erminio, consigliere commerciale; FERRARIN Arturo, maggiore, addetto aeronautico e militare.

STATI UNITI D'AMERICA

Washington -Rosso Augusto, ambasciatore; Rossi LoNGHI Alberto, primo segretario con funzioni di consigliere; MIGONE Bartolomeo, primo segretario; ToMMASI Giuseppe, console con funzioni di secondo segretario; FERRERO Andrea, vice console con funzioni di terzo segretario; BoNARDELLI Eugenio, consigliere dell'emigrazione; ANGELONE Romolo, addetto commerciale; CuGIA DI SANT'ORsOLA Umberto, capitano di fregata, addetto navale; CoPPOLA Vincenzo, tenente colonnello, addetto aeronautico e militare.

SUD AFRICA

Capetown -LABIA Natale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Lo Jucco Giacomo, console con funzioni di primo segretario.

.....

SVEZIA

Stoccolma -PATERNo' DI MANCHI DI BILICI Gaetano, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SERENA DI LAPIGIO Ottavio, primo segretario; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Berlino); DE CoURTEN Raffaele, capitano di vascello, addetto navale (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles); DE ANGELIS Carlo, capitano di fregata, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

SVIZZERA

Berna -MARCHI Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CARISSIMO Agostino, primo segretario; FRANCO Fabrizio, vice console con funzioni di secondo segretario; PoGGI Cesare, consigliere di emigrazione; PERRONE Adolfo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; Piccw Ruggero, generale di squadra, addetto aeronautico (residente a Parigi); RdMANo :Giorgio, maggiore, addetto aeronautico aggiunto (residente a Parigi).

TURCHIA

Ankara -GALLI Carlo, ambasciatore; DI GIURA Giovanni, consigliere; DE VERA D'ARAGONA Carlo Alberto, primo segretario; D'AcuNzo Benedetto, console con funzioni di secondo segretario; ARRIVABENE Antonio, reggente la delegazione commerciale; PISA Ezra, interprete; MANNERINI Alberto, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; FERRERO RoGNONI Raul, capitano di vascello, addetto navale e aeronautico.

UNGHERIA

Budapest -CoLONNA Ascanio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BALDONI Corrado, primo segretario; Lo FARO Francesco, vice console con funzioni di secondo segretario; LEPRI Stanislao, vice console con funzioni di terzo segretario; Dr NOLA Carlo, addetto commerciale (residente a Vienna); MATTIOLI Enrico, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; BRENTA Giacomo, tenente colonnello, addetto aeronautico.

UNIONE DELLE REPUBBLICHE SOCIALISTE SOVIETICHE

Mosca -ATTOLICO Bernardo, ambasciatore; BERARDIS Vincenzo, primo segretario con funzioni di consigliere; DI STEFANO Mario, primo segretario; SERAFINI Giorgio, vice console con funzioni di secondo segretario; CrRAOLO Giorgio, addetto consolare con funzioni di secondo segretario; PIACENZA Guido, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, navale e aeronautico.

63 ·-Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. I

URUGUAY

Montevideo -MAzzoLINI Serafino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CARBONELLI DI LETINO Raimondo, console con funzioni di segretario; LoNGO Ullsse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

VENEZUELA

Caracas -GEMELLI Bruno, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

APPENDICE III

AMBASCIATE E LEGAZIONI PRESSO IL RE D'ITALIA

(Situazione al 10 maggio 1935)

Afghanistan -AKBAR Mohammed khan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ALÌ Ahmed khan, primo segretario.

Albania -KoDHELI Mark, incaricato d'affari; XHOMO Vasfi, primo segretario.

Arabo-Saudiano (Regno) -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Argentina -CANTILO José Maria, ambasciatore; CHIAPPE Felipe, consigliere; ONETO AsTENGO Oscar, primo segretario; PONTI José Carlos, secondo segretario; FoPPA Tito Livio, console, addetto stampa; CoMOLLI Guido, addetto commerciale; PELESSON Hector D., colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; MEJIA Claudio A., capitano aviatore, addetto aeronautico.

Austria -VoLLGRUBER Alois, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ROTTER Adrian, consigliere; SCHWARZENBERG Johann E., segretario; FRIEBERGER Kurt, consigliere ministeriale, addetto stampa; LIEBITZKY Emil, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

Belgio -DE LIGNE Albert, ambasciatore; D'AsPREMONT LYNDEN Gobert, primo segretario; DE MEEus Hadelin, secondo segretario; LAMY Léon, addetto.

Bolivia -DE UGARTE José Samuel, incaricato d'affari.

Brasile -DE PAULA RODRIGUES ALVES José, ambasciatore; DE MACEDO SOARES José Roberto, consigliere; RANGEL DE CASTRO Sylvio, primo segretario; BAGGI DE BERENGUER CESAR Jacome, secondo segretario; DE MIRANDA PACHECO Mario W., addetto; SPARANO Luiz, addetto commerciale.

Bulgaria -PoMENOV Svétoslav, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; STANCIOV Ivan D., segretario; DASKALOV Teodossi, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico.

Cecoslovacchia -CHVALKOVSKY Frantisek, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BRAUNER Vladimir, consigliere; HERMAN Frantisek, primo segretario; CHARous Jaromir, segretario; PLECHATY Ladislav, segretario, addetto stampa; RosfK Vitézslav, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico.

Cile -RIVAS-VICUNA Manuel, ambasciatore; SUBERCASEAUX Léon, primo segretario; ERRAZURIZ OVALLE Carlos, addetto commerciale.

Cina -Liu voN-TAO, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CHou YIN, primo segretario; HwANG TA-CHUNG, secondo segretario; YoH LuN, terzo segretario; LIOu TsiEN, terzo segretario; TANG CHE, generale, addetto militare; SHAW-HWA-KUO, capitano, addetto militare aggiunto; FANG Jou, capitano, addetto militare aggiunto.

Colombia -TuRBAY Gabriele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE VALENZUELA Eduardo, segretario.

Cuba -DE ARMENTEROS Y DE CÀRDENAS Carlos, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BRULL Y CABALLERO Mariano, consigliere.

Danimarca -KRUSE Johan Christian Westergaard, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; WICHFELD Hubert, consigliere.

Dominicana (Repubblica) -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PARADAS Salvador Emilio, addetto, incaricato d'affari (ad interim); TRUJILLO MoLINA Annibale, colonnello, addetto militare.

Egitto -WAHBA Sadek pascià, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SAFWAT Abdel Kerim, segretario; TAHER AL-OMARI Mohammed, addetto agricolo; MoNEIM Mohammed Abdel, addetto.

El Salvador (Repubblica di) -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Equatore -ZALDUMBIDE Gonzalo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Estonia -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; JANSON Davide, primo segretario, incaricato d'affari (ad interim).

Etiopia -GHEVRE YEsus Negadras Afevork, incaricato d'affari.

Finlandia -ARTTI Kaarlo Pontus, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SNELLMAN Aarne, tenente colonnello, addetto militare e aeronautico.

Francia -DE CHAMBRUN Charles, ambasciatore; GuERIN Hubert, primo segretario; GARNIER Jean Paul, secondo segretario; DARIDAN Jean, terzo segretario; BoPPE Roger, addetto; SANGUINETTI Joseph, console generale, addetto commerciale; RouMILHAC Georges, addetto finanziario; PARISOT Henri, generale di brigata, addetto militare; DE LAROSIERE Robert, capitano di fregata, addetto navale; DE LA GIRAUDIÈRE Jacques, maggiore, addetto aeronautico; BARY Hubert, tenente di vascello, addetto navale aggiunto; CATOIRE, capitano di cavalleria, addetto militare aggiunto.

Germania -voN HASSELL Ulrich, ambasciatore; voN PLESSEN Johann, consigliere; ScHMID-KRUTINA Hermann, segretario; VON GRAEVENITZ Kurt-Fritz, segretario; VON HoHENTHAL Joachim, segretario; voN NEURATH Konstantin, addetto; GRAEFF Friedrich, addetto commerciale; MoLLIER Hans, addetto stampa; FrscHER Herbert, generale, addetto militare; WuRMBACH Hans Heinrich, capitano di fregata, addetto navale; ScHULTHEISS Paul, maggiore dell'arma aeronautica, addetto aeronautico.

Giappone :.. SuGIMURA Yotaro, ambasciatore; NAKAYAMA Shoichi, consigliere; HARIMA Toshiharu, primo segretario; Kuno Tadao, terzo segretario; lNOUYE Kenso, segretario interprete di seconda classe; SuGI Morio, addetto; NuMATA Takazo, tenente colonnello, addetto militare; KoJIMA Hitoshi, capitano di fregata, addetto navale.

Gran Bretagna -DRUMMOND sir Eric James, ambasciatore; lNGRAM Edward, consigliere; NoswoRTHY Richard Lysle, consigliere d'ambasciata per gli affari commerciali; McCLURE sir William, addetto stampa con rango di consigliere; NICHOLS Philip, primo segretario; JEBB Gladwyn, secondo segretario; NoBLE Andrew, secondo segretario; LUMAX J. G., secondo segretario di ambasciata per gli affari commerciali; HARPHAM W., terzo segretario d'ambasciata per gli affari commerciali; CORNELIUS V., addetto onorario; HERBERT A. J., addetto onorario; STONE Robert, colonnello, addetto militare; POTT Herbert capitano di vascello, addetto navale; DACRE George, colonnello, addetto aeronautico; STOPFORD F. V., capitano di fregata del genio navale, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

Grecia -METAXAS Petros, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DALIETOS Aleksandros, consigliere; MELÀS Michele, segretario.

Guatemala -DuRAN MoLLINEDO Victor, generale, incaricato d'affari; DURAN Y FIGUEROS J. Ramiro, segretario.

Haiti -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Iran -SEPAHBODI ANOUCHIRAVAN khan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; HADJEB-DAVALLOU Mohammed khan, primo segretario; KHosROVI Abdullah khan, addetto.

Iraq -AL-PACHACHI Muzahim bey, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ATAH Amin bey, segretario.

Jugoslavia -DuCié Yovan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; KASSIDOLATZ Dragomir, consigliere; MILIKié Iliya, primo segretario; RISTié Yovan M., secondo segretario; VuKOTié Yovan, addetto; KoTNIK Ciril, addetto; ZAJCié Bozidar, addetto stampa; MILENKovré Stojadin, tenente colonnello di artiglieria in servizio di Stato Maggiore, addetto militare, navale e aeronautico; DRAGUICEVIé Ivan, comandante, addetto militare, navale e aeronautico aggiunto.

Lettonia -SPEKKE Arnold, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RIEKSTINS Janis, primo segretario.

Lituania -GARNECKIS Valdemaras, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VILEISIS Petras, segretario.

Messico -VASCONCELOs Eduardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; URIBE Horacio, primo segretario; MoNASTERIO Francisco Ortiz, secondo segretario; BoJORQUEZ CORDOVA Jesus, addetto commerciale; Ru'Iz Conrado L., tenente colonnello del genio, addetto militare (residente a Berlino); Rmz GARGOLLO Manuel, tenente colonnello del genio, addetto militare aggiunto; PADILLA AVILA Jesus, capitano di artiglieria, addetto militare aggiunto.

Monaco -CouGET Fernand, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Nicaragua -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Norvegia -!RGENS Johannes, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VANGENSTEN Ove C. L., primo segretario; BAKKE Arnold, consigliere commerciale (residente a Berna).

Paesi Bassi -PATIJN Jacob A. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VAN PANHUYS W. E., segretario; VAN RIJN J. J., addetto commerciale.

Panama -ARIAS Arnulfo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LEFÉVRE José E. Ehrman, segretario.

Paraguay -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Perù -MANZANILLA José Matias, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LANATA Couny Luis F., primo segretario; BRAZZINI Ezio, addetto onorario; GILARDI VERA Carlos A., tenente colonnello, addetto aeronautico.

Polonia -WYSOCKI Alfred, ambasciatore; ZAWISZA Aleksander, consigliere; CHROMECKI Taddeus, segretario; MAzuRKIEWICZ Roman, consigliere commerciale; MIKULSKI Boeslaw, addetto onorario; MICHALOWSKI Jozef, addetto onorario.

Portogallo -LoBo D'AVILA LIMA José, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE OLIVEIRA BERNARDES Armando, primo segretario.

Romania -LuaosiANU Ion, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LECCA Gheorghe, consigliere; BILCIUREscu Grigore, segretario; PORN Eugen, consigliere commerciale; SKELETTI Emil, colonnello, addetto militare; GHEORGHIU Ermi!, tenente colonnello di aeronautica, addetto aeronautico (residente a Parigi); NICULEscu Gheorghe, comandante, addetto navale (residente a Londra); GunJu Ion, comandante, addetto militare aggiunto.

Santa Sede -BoRGONGINI DucA Francesco, monsignore, nunzio apostolico; SERENA Carlo, monsignore, consigliere; VEROLINO Gennaro, monsignore, segretario.

Siam· -RAJAWANGSAN Phya, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BOVARA SNEHA Phra, primo segretario; VISUTRA VIRAJJADES Luang, secondo segretario; PRASERI MAITRI Luang, secondo segretario; JITAWI Luang, terzo segretario.

Spagna -GoMEZ 0CERIN Justo, ambasciatore; DE OJEDA Gonzalo, ministro plenipotenziario, consigliere; DE RANERO Juan Felipe, primo segretario; JoRRO Jaime, secondo segretario; CARRAsco Manuel, addetto onorario (residente a Bologna); FIGUEROA Eduardo, addetto onorario; SosTRE MALQUER Ramon, addetto onorario; SANCHEZ Florencio, addetto commerciale aggiunto; BUYLLA Adolfo Alvarez, consigliere commerciale; SICARDO José, tenente colonnello di fanteria, addetto militare; EsTRADA Rafael, capitano di fregata, addetto navale; HIDALGO DE CISNEROS Ignacio, maggiore di aviazione, addetto aeronautico per l'esercito.

Stati Uniti d'America -LONG Breckinridge, ambasciatore; K!RK Alexander C., consigliere; TITTMANN Harold H., primo segretario; GADE Gerhard, secondo segretario; HARRISON Randolph jr., terzo segretario; LIVENGOOD Charles A., addetto commerciale; McNAIR Laurence N., capitano di vascello, addetto navale e aeronautico per la marina; PILLow J.G., colonnello di cavalleria, addetto militare e aeronautico; WHITE Thomas D., primo tenente dell'arma aeronautica, addetto militare e aeronautico aggiunto; HowARD Herbert Seymour, capitano di vascello, addetto navale aggiunto (residente a Parigi); GuTHRIE Harry Aloysius, tenente di vascello, addetto navale aggiunto (residente a Berlino); FuRER Julius Augustus, capitano del genio navale, addetto navale aggiunto.

Sud Africa (Unione del) -HEYMANs Albert, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; EusTACE Terence Henry, segretario; GELDENHUYS Frans Eduard, consigliere commerciale; VAN DER MERWE D.C., addetto.

Svezia -SJOBORG Erik, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SoHLMAN Rolf R., segretario; DE LAGERCRANTZ H.G., capitano di cavalleria, addetto militare e aeronautico.

Svizzera -WAGNIÈRE Georges, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BROYE Eugène, consigliere; REzzoNIGO Clemente, primo segretario; MALLET Bernard, secondo segretario.

Turchia -BAYDUR Huseyin Ragip, ambasciatore; ABACIOGLU Celai Osman, consigliere; ARAR Ekrem Ismail, primo segretario; CHADI Kavur, terzo segretario; BELBEZ Nejdet Tahir, terzo segretario; ZIYA Subhi, consigliere commerciale; HAYIROGLU Mahmut Nedim, addetto commerciale aggiunto; GuZELIMDAG Rahmi, capitano di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico (ad interim).

Ungheria -VILLANI Federico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE VÉGH Miklòs, consigliere; DE LuKA.cs-KIRALDY Gyorgy, primo segretario; DE SZENTMIKLOSY Andras, segretario; DE PARCHER Felix, addetto; DE BETHLEN Gabriele, addetto; HuszKA Istvan, addetto stampa; SzABÒ Ladislav, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare.

Unione delle Repubbliche Sovietiche Socialiste -STEIN Boris, ambasciatore; HELFAND Lev, consigliere; DNEPROFF Pavel, secondo segretario; FRIDGUT Pavel, secondo segretario; BELENKI Boris, rappresentante commerciale; AIRAPETIAN Ervand, rappresentante commerciale aggiunto; ScHAPIRO Boris, rappresentante commerciale aggiunto; LUNEFF Pavel Petrenko, addetto militare e aeronautico; ANZIPO-CIKUNSKY Lev, addetto navale e aeronautico per la marina; LIKHOVITSKY Teodor, addetto aeronautico aggiunto; ScEI Boris, addetto navale aggiunto.

Uruguay -RAMÒN GuERRA Ubaldo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GRUNWALDT CUESTAS Federico, primo segretario; RAMÒN GUERRA José Carlos, addetto; REVELLO Nicolas, addetto; DE CASTRO Julio, addetto commerciale aggiunto (assente).

Venezuela -PARRA PÉREZ Caracciolo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CAsAs BRICENO J.M., consigliere; RoJAS Hugo, addetto.